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1.

LA METAFISICA
Aristotele suddivide le scienze in tre gruppi:
–scienze teoretiche (metafisica, fisica, matematica): hanno come oggetto il necessario (ossia
ciò che non può essere diverso da com'è), come scopo la conoscenza disinteressata del reale, e
come metodo quello dimostrativo; 

–scienze pratiche (etica, politica) e poietiche (arti belle, tecniche): hanno come oggetto il
possibile (ossia ciò che può essere diverso da com'è), come scopo l'orientamento dell'agire e
come metodo un tipo di ragionamento non dimostrativo (valido per lo più). Le pratiche
indagano l’ambito dell’agire individuale e collettivo, mentre le poietiche studiano l’ambito
della produzione di opere o della manipolazione di oggetti.


Il termine “metafisica” non è un termine aristotelico; Aristotele, infatti, per indicare la
disciplina che indaga le strutture profonde e le cause ultime del reale, che vanno oltre
l'apparenza dei sensi, usava l'espressione “filosofia prima”. Sebbene la nascita del termine
“metafisica” fu del tutto casuale, la tradizione preferì denominare in questo modo o con la
parola “ontologia”, ciò che Aristotele definiva con l'espressione “filosofia prima. Aristotele da
4 definizioni di metafisica:
–la metafisica “studia le cause e i principi primi”; 

–la metafisica “studia l'essere in quanto essere”; 

–la metafisica “studia la sostanza”; 

–la metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”.
La seconda definizione di metafisica è la più importante, in quanto dire che “la metafisica
studia l'essere in quanto essere” equivale a dire che essa ha come oggetto una realtà in generale,
cioè l’aspetto fondamentale e comune di tutta la realtà, inoltre studia le caratteristiche
universali che strutturano l'essere come tale, e quindi tutto l'essere e ogni essere. L’idea della
metafisica come “scienza dell'essere in quanto essere”, è la grande scoperta di Aristotele, che
ha portato su un piano di superiore consapevolezza e sistematicità le indagini dei filosofi
precedenti. 


La metafisica è, quindi, lo studio dell'essere il quale, secondo Aristotele può essere inteso in
modi diversi.
-È considerato “univoco” quando in tutte le sue occorrenze è inteso sempre nello stesso modo,
ovvero come esistere. Ma in questo modo si giunge all’errore della filosofia di Parmenide, cioè
se con il verbo ‘essere’ si indicasse in modo univoco l’esistenza, allora una negazione potrebbe
negare non solo l’attributo, ma lo stesso soggetto.
–insostenibile è anche il carattere “equivoco” dell’essere, ovvero che l’essere vada inteso ogni
volta in senso diverso a seconda del contesto. Ma se si intende qualcosa sempre in modo
diverso, si giungerà all’impossibilità di comunicare, poiché chi ascolta o legge una parola non
saprà mai in quale occorrenza sia stata impiegata.
-l’essere dunque non sarà ne univoco, ne equivoco, bensì polivoco, ovvero dovrà essere inteso
in parte nel medesimo senso ed in parte in senso diverso. In questo modo si giustifica anche il
fatto che noi attribuiamo significati particolari diversi, ai quali riconosciamo un comune
significato di fondo. Ad esempio nelle frasi “il latte è un alimento sano”, “Tizio è sano”, “il
colorito di Tizio è sano”, il verbo “è” indica nel primo caso un rapporto casuale, nel secondo un
rapporto di possesso e nel terzo viene utilizzato per rendere manifesta una proprietà, ma in tutti
i casi tale verbo collega un soggetto ad un predicato.
Negando una forma unica dell’essere, a quest’ultimo vengono attribuite una molteplicità di
forme e di aspetti. Dei vari aspetti nei quali l'essere si può presentare, Aristotele raccoglie
quelli più basilari: 

-l'essere come accidente
-l'essere come categorie 

-l'essere come vero 

-l'essere come atto e potenza. 

Per “categorie” Aristotele intende le caratteristiche fondamentali, cioè le determinazioni
generalissime che l'essere ha e non può fare a meno di avere. Esse sono: la sostanza, la qualità,
la quantità, la relazione, l'agire, il subire, il dove e il quando, a cui Aristotele aggiunge anche
l'avere e il giacere. Dal punto di vista ontologico, quindi, le categorie sono i modi fondamentali
in cui la realtà si presenta; dal punto di vista logico, sono i vari modi con cui l'essere si predica
delle cose. Di tutte le categorie la più importante è la sostanza, in quanto tutte le altre in
qualche modo la presuppongono. Infatti la qualità è sempre qualità di qualcosa, la quantità è
sempre quantità di qualcosa, e così via. Questo “qualcosa” è la sostanza, che è il polo
unificante, o il centro di riferimento delle categorie. Questa teoria implica due conseguenze: 

–in primo luogo, si comprende ancora meglio in che senso il termine “essere” abbia una
molteplicità di significati uniti tra loro da un comune riferimento alla sostanza. Quest’ultima
rappresenta dunque il senso unitario che raccoglie tutti i significati dell'essere. 

–in secondo luogo, se l'essere si identifica nelle categorie, e le categorie si appoggiano tutte
sulla sostanza, la domanda “che cos'è l'essere?” si identifica nella domanda “che cos'è la
sostanza?” 


Dal principio di non-contraddizione alla sostanza


Egli afferma che la metafisica deve auto-costituirsi in analogia con le altre scienze. Le varie
scienze procedono per astrazione, cioè spogliando le cose da tutti i caratteri che sono diversi da
quelli che esse prendono in considerazione (ad esempio il matematico spoglia le cose di tutte le
qualità sensibili, come il peso, per ridurle alla quantità), allo stesso modo la filosofia deve
ridurre tutti i vari significati di “essere” ad un unico significato, poiché la filosofia non studia i
vari aspetti dell'essere, ma l'essere in quanto tale.

Per procedere in questo modo, la filosofia ha bisogno del principio di non contraddizione il
quale si esprime in due modi: 

–E' impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e
secondo il medesimo rispetto.
Tale formula esprime l'impossibilità logica di affermare e al
tempo stesso negare un medesimo predicato intorno allo stesso soggetto.
–E' impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia. 
Tale formula esprime
l'impossibilità ontologica che un determinato essere sia e insieme non sia quello che è.
In questo modo, il principio di non-contraddizione significa che ogni essere ha una natura
determinata che non gli si può negare, e che quindi è necessaria. Aristotele chiama “sostanza”
la natura necessaria di un essere qualsiasi. La sostanza è pertanto l'equivalente ontologico del
principio logico di non-contraddizione, definito da Aristotele come il “principio più saldo di
tutti”.

Il filosofo ci offre proprio una dimostrazione confutatoria (in greco elenchos, confutazione),
che non dimostra direttamente il principio, ma che nega che il principio di non-contraddizione
possa essere negato, e di conseguenza è necessario affermarlo. I passaggi sono: PAG 314
La sostanza
La sostanza nel suo significato fondamentale è l’essere dell’essere. Per Aristotele, la sostanza è
in primo luogo l'individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto
logico di predicati. Aristotele chiama anche la sostanza tode ti, ossia “questo qui”, il quale è un
ente autonomo, cioè qualcosa che, a differenza delle qualità che gli si riferiscono, ha vita
propria. Ogni sostanza forma un sinolo, ossia un’unione indissolubile, di due elementi: la forma
e la materia. La forma non intesa come l'aspetto esterno di una cosa, ma come la struttura che la
rende quella che è. La materia è ciò di cui una cosa è composta, ossia il quid. La forma è
l'elemento attivo del sinolo che struttura la materia, la quale, quindi, è l'elemento passivo del
sinolo. Si può dunque affermare che la forma è ciò che fa si che un individuosia quello che è (la
sua essenza), ed è proprio per tale motivo che Aristotele chiama “sostanza” anche e soprattutto
la forma. La sostanza è quindi allo stesso tempo l'essenza dell'essere (forma) e l'essere
dell'essenza (sinolo). Come forma, la sostanza è l'essenza necessaria di una cosa, dalla quale è
necessario distinguere l’accidente, ossia quella qualità che una cosa può avere o non avere,
senza però cessare di essere ciò che è. In altri termini, l’accidente esprime una caratteristica
casuale o fortuita della sostanza. Insieme a questo tipo di accidente Aristotele parla di un
accidente “per se”, riferendosi ad una qualità, che pur non appartenendo alla sostanza di un
ente, deriva dalla definizione dell’ente in questione.

Le quattro cause

La teoria della sostanza è strettamente collegata alla dottrina delle quattro cause. Aristotele
afferma che la scienza e la conoscenza consistono nel rendersi conto della causa delle cose.
Aristotele, infatti, elenca quattro tipi di cause:
-causa materiale: è la materia, ossia ciò di cui una cosa è fatta; 

-causa formale: è la forma, cioè l'essenza necessaria di una cosa; 

-causa efficiente: è ciò che da inizio al mutamento o alla quiete ossia ciò che origina

qualcosa; 
 -causa finale: è lo scopo al quale una cosa tende. 

Tutte le quattro cause sono specificazioni o articolazioni della sostanza globalmente intesa, che
è la vera causa dell'essere.

La critica alle idee platoniche 



Aristotele critica la dottrina di Platone in quanto in essa non si capisce come le idee possano
essere cause delle cose, in quanto cose ed idee sono separate tra di loro. Il filosofo afferma che
il principio delle cose non può che risiedere nelle cose stesse, ossia nella loro forma interiore;
per tale motivo, al posto delle idee intese come paradigmi trascendenti delle cose, pone le
forme intese come strutture immanenti degli individui. Ad esempio, l’umanità non è un’idea
esistente nell’iperuranio, ma solamente la specie biologica immanente degli individui chiamati
uomini. Aristotele si distacca definitivamente da Platone per il fatto che egli ritiene 
che le
idee siano solo dei doppioni che, anziché semplificare, complicano ciò che devono rendere
comprensibile. Oltre a ciò, Aristotele afferma che Platone, per spiegare la realtà delle idee,
presuppone idee che secondo i platonici nemmeno esistono (come le cose negative o quelle
transitorie), e stabilisce rapporti tra idee e cose rappresentate da esse stesse (ad esempio l'idea
di uomo è l'uomo). Infine le idee, essendo immobili, non spiegano il movimento delle cose
sensibili.

La dottrina del divenire



La dottrina delle quattro cause è strettamente collegata con la dottrina del divenire. Che il
divenire esista è un fatto, infatti nell'universo tutto muta. Come il divenire debba essere pensato
è un problema, tanto che Parmenide aveva dichiarato che il divenire è logicamente impensabile,
poiché esso implica un passaggio dall'essere al non essere, comportando l'esistenza del nulla.
Aristotele ritiene che il divenire non implichi alcun passaggio dal non essere all’essere, e
viceversa, ma un passaggio da un certo tipo di essere a un altro tipo di essere. Dunque afferma
che l’unica realtà è l’essere e che il divenire è soltanto una modalità dell’essere.

Aristotele distingue 4 tipi di movimento, o divenire:


-il movimento locale, che consiste nello spostamento di un corpo da un posto all’altro.
-il movimento qualitativo, quando, in un sostrato, cambia una caratteristica accidentale.
-il movimento quantitativo, che consiste nell’accrescimento o nella diminuzione di una certa
quantità di un sostrato.
-il movimento sostanziale, ovvero nascita e morte.

Inoltre il filosofo, per riuscire a pensare e a spiegare meglio il divenire, ha elaborato i concetti
di “potenza” e “atto”. Per potenza intende la possibilità, da parte della materia, di assumere una
determinata forma. Per atto intende la realizzazione di tale capacità. Ad esempio dal pulcino in
potenza (dall’uovo) al pulcino in atto: l’uovo è la possibilità, da parte della materia, di
assumere una configurazione nuova. La potenza sta dunque alla materia come l’atto sta alla
forma. Il punto di partenza del divenire è quindi la materia come privazione, o pura potenza,
mentre il punto di arrivo è l’assunzione di tale forma. L’atto viene anche chiamato entelechia,
che in greco significa proprio realizzazione.
Aristotele, inoltre, riconosce la priorità gnoseologica, cronologica e ontologica dell'atto nei
confronti della potenza. Infatti basti pensare che la conoscenza della potenza presuppone la
conoscenza dell’atto e che l'atto viene temporalmente prima della potenza, in quanto, sebbene il
seme (potenza) venga prima della pianta, esso non potrà che derivare da una pianta già in atto.
Perciò la potenza aristotelica è una possibilità a senso unico e la necessità è quella di costruire
la modalità fondamentale dell'essere.

Materia e forma, atto e potenza, danno origine al divenire; il movimento presuppone, invece, la
causa efficiente, che da inizio al divenire, e la causa finale, che mette fine al divenire.
Solitamente in natura è la materia a diventare forma, ma spesso ciò che è forma, punto di arrivo
di un movimento, diventa materia, punto di partenza di un movimento ulteriore; per questo
motivo una stessa cosa può essere sia materia (potenza) che forma (atto): ad esempio, il pulcino
è potenza della gallina e atto dell'uovo. Questo discorso implica due estremi:
-da un lato vi è la “materia pura”, definita da Aristotele “materia prima”, ossia priva di
determinazioni (la materia-madre di cui aveva già parlato Platone nel Timeo). Questa, essendo
indeterminata, non può essere conosciuta, né constata di fatto, poiché nel mondo vi è solo
materia formata, ed è quindi una pura nozione teorica; 

-dall'altro lato vi è la “forma pura”, o “atto puro”, che consiste in una perfezione
completamente realizzata. Questa realizzazione perfetta è Dio, il quale è oggetto della teologia.

La concezione aristotelica di Dio

La teologia chiarisce perché la metafisica viene definita anche scienza che studia le cause e i
principi primi e Dio e la sostanza immobile; tale disciplina, infatti, indaga l'essere più alto e la
causa suprema del cosmo, ossia Dio. Alcuni studiosi hanno ritenuto che la metafisica come
teologia (ossia come scienza di Dio) fosse contraddittoria rispetto alla metafisica come
ontologia (ossia come scienza che studia l'essere in quanto tale); così per far coesistere i due
significati, hanno attribuito la teologia alla prima fase della filosofia di Aristotele e l'ontologia
al periodo della maturità.

Nella Metafisica Aristotele da una prova dell'esistenza di Dio, la quale viene tratta dalla teoria
del movimento, inteso come possibilità di assumere nuove condizioni o forme. Aristotele
afferma che tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da altro, quest’altro poi è
necessario che sia mosso da altro ancora. Ovviamente in questo processo di rimandi non è
possibile risalire all'infinito, ad un certo punto ci si dovrà necessariamente fermare e dovrà
esserci un principio assolutamente “primo” e “immobile”, causa iniziale di tutti gli altri
movimenti. Aristotele identifica il primo motore immobile con Dio.

Innanzitutto afferma che Dio è atto puro, ossia atto senza potenza, in quanto dire potenza
significa possibilità di movimento, e Dio, essendo immobile, non può essere soggetto al
movimento e quindi al divenire. Dio, dunque, è privo di materia; da ciò ne deriva che egli è
pura forma, o sostanza incorporea. Inoltre Aristotele, sostenendo che i movimenti delle cose
dell'universo sono eterni, sostiene anche che Dio è eterno. Aristotele dichiara che Dio non è
causa efficiente, ossia non da inizio al movimento, ma dichiara che egli è causa finale, ossia
oggetto d'amore, quindi determina il movimento dell’amante verso di se. Questo significa che
l’universo non è altro che uno sforzo della materia verso Dio, ovvero un desiderio incessante di
“prendere forma”. Dunque non è Dio che forma e organizza il mondo, ma è quest'ultimo che,
aspirando a Dio, si auto-determina e auto-ordina. Questo Dio che è Atto puro, Sostanza
incorporea, Essere eterno e Causa finale del mondo, rappresenta la realtà di ogni possibilità e
costituisce un'entità perfetta e totalmente compiuta. A questa perfezione massima corrisponderà
il genere di vita più alto, ossia la vita dell'intelligenza. Dio sarà dunque pensiero di pensiero e
la vita divina sarà la più eccellente e la più felice tra tutte, inoltre Dio possiede da sempre per
intero tutta la sapienza.

Il Dio aristotelico non è una sostanza unica. Aristotele, infatti, nella Fisica descrive Dio come il
motore immobile del primo cielo. I movimenti degli altri cieli sono continui ed eterni come
quello del primo, e perciò presuppongono motori immobili. Aristotele ammette 47 e 55
intelligenze motrici, corrispondenti alle 47 e 55 sfere celesti riconosciute dall’astronomia del
tempo. Il rapporto esistente tra il primo motore immobile e gli altri motori immobili non è
chiaro. In ogni caso, sebbene il pensiero di Aristotele si presenti come un monoteismo
esigenziale, talvolta appare anche come un pensiero tendenzialmente politeista.
2. La logica
Aristotele non classifica la logica assieme alle altre scienze, perché essa studia il
punto in comune delle varie scienze: il metodo dimostrativo o, comunque, i vari metodi di
ragionamento utilizzati. Il termine logica non è nemmeno aristotelico; Aristotele, infatti, per
designare tale disciplina, utilizzava il termine “analitica”.

➔Logica e metafisica
Gli studiosi, per quanto riguarda la logica, si sono chiesti

1. se essa abbia preceduto o posticipato la metafisica 


2. se essa presupponga un legame tra i modi del pensiero e quelli della realtà 


Per quanto riguarda il primo punto, gli studiosi sono arrivati ad affermare che logica e
metafisica si sono sviluppate parallelamente; per quanto riguarda il secondo punto, Aristotele
affermava che la logica ha un oggetto di studio, ossia la struttura della scienza. Proprio per tale
motivo, egli affermava che tra le forme del pensiero, studiate dalla logica, e quella della
realtà, studiate dalla metafisica, esiste un rapporto necessario sul quale si basa il realismo
gnoseologico e la precedenza ideale della metafisica rispetto alla logica.

➔I concetti
L'opera di Aristotele, chiamata Organon, tratta di oggetti che vanno dal più
semplice a quello più complesso, ed è strutturato secondo una logica di concetti, di
proposizioni e di ragionamenti. Secondo Aristotele i concetti che noi utilizziamo per formare
dei ragionamenti, possono essere disposti entro una scala secondo un rapporto di genere e
specie. Rispetto al genere, la specie è un concetto che include un maggior numero di
caratteristiche ma un minor numero di individui; al contrario, rispetto alla specie, il genere è un
concetto che include un maggior numero di individui ma un minor numero di caratteristiche.
Percorrendo la scala dei concetti dall'alto verso il basso, ossia dal genere alla specie, si andrà
incontro a un progressivo aumento di comprensione (insieme delle caratteristiche) e a una
progressiva diminuzione dell'estensione (numero di individui), fino a che si arriverà alla specie
infima, ossia quelle specie che, al di sotto di se, non ha altre specie. Tale è l'individuo, o
“sostanza prima”, che Aristotele distingue dalle “sostanze seconde”. La sostanza prima è la
sostanza in senso proprio; le sostanze seconde, invece, sono le specie e i generi entro i quali
rientrano

logicamente le sostanze prime. Percorrendo la scala dei concetti dal basso verso l'alto, ossia
dalla specie al genere, si andrà incontro a un progressivo aumento di estensione e a una
progressiva diminuzione della comprensione, fino a che si arriverà ai “generi sommi”, ossia
alle dieci categorie.

➔Le proposizioni
Aristotele, dopo aver esaminato i concetti, prende in esame le


combinazioni di concetti, ossia quelle frasi che costituiscono le asserzioni; queste si
identificano con le proposizioni che, a loro volta, costituiscono dei giudizi. Aristotele fa una
distinzione tra preposizioni affermative e proposizioni negative; suddivide, poi, queste in
universali (proposizioni con soggetto universale; esempio “tutti gli uomini sono mortali”) e
particolari (proposizioni con soggetto particolare; esempio “alcuni uomini sono bianchi”); a
queste due, talvolta, aggiunge anche le singolari, ossia quelle preposizioni il cui soggetto è un
ente singolo. Aristotele, per spiegare bene che rapporto esiste fra queste preposizioni, ha
utilizzato il “quadrato degli opposti”. In questo quadrato, le proposizioni universali
affermative erano indicate con la lettera A (prima vocale del termino adfirmo); le proposizioni
universali negative erano indicate con la lettera E (prima vocale del termine nego); le
proposizioni particolari affermative erano indicate con la lettera I (seconda vocale del termine
adfirmo); le proposizioni particolari negative erano indicate con la lettera O (seconda vocale
del termine nego).
E' detta:

– contraria, l'opposizione tra l'universale affermativa e l'universale negativa.


Due proposizioni contrarie non possono essere entrambe vere, ma possono essere
entrambe false; 


– contraddittoria, l'opposizione tra l'universale affermativa e la particolare


negativa e l'opposizione tra l'universale negativa e la particolare affermativa. Due
proposizioni contraddittorie devono necessariamente essere una vera e l'altra falsa;

– sub-contraria, l'opposizione tra la particolare affermativa e la particolare


negativa. Due proposizioni sub-contrarie possono essere entrambe vere, ma non
entrambe false; 


– subalterna, la relazione tra l'universale affermativa e la particolare negativa,


oppure tra l'universale negativa e la particolare affermativa. In questo tipo di
proposizione, dalla verità dell'universale si inferisce la verità della particolare, mentre
dalla verità della particolare non si inferisce la verità dell'universale; al contrario, dalla
falsità dell'universale non si inferisce la falsità della particolare, mentre dalla falsità della
particolare si può inferire la falsità dell'universale. 
Aristotele considera anche la
modalità delle preposizioni, distinguendo tra asserzione (A è B), possibilità (A è
possibile che sia B) e necessità (A è necessario che sia B), e da ciò sviluppa una serie di
considerazioni logiche e filosofiche. Secondo Aristotele, dei termini o dei concetti
singolarmente presi, non si può dire né che siano veri, né che siano falsi; vera o falsa
solo la combinazione tra più concetti. Da ciò derivano i due teoremi fondamentali di
Aristotele: il primo è che la verità è nel pensiero e non nell'essere o nella cosa; il
secondo è che la misura della verità è l'essere o la cosa, e non nel discorso. Il vero, per
Aristotele, consistere nel congiungere ciò che è realmente congiunto e nel disgiungere
ciò che è realmente disgiunto; il falso consiste nel congiungere ciò che non è realmente
congiunto e nel disgiungere ciò che non è realmente disgiunto. Dunque anche per
Aristotele esiste, tra linguaggio, pensiero ed essere, esiste una serie di rimandi
necessari: ad esempio, si possono combinare le parole “uomo” e “corre” nella
proposizione “l'uomo corre”, solo le l'uomo corre nella realtà. 
➔Il
sillogismo
Secondo Aristotele, noi ragioniamo solamente quando da passiamo da
giudizi, o da proposizioni, a proposizioni che abbiano fra di loro determinati nessi e
che siano una la conseguenza dell'altra; senza questo nesso non c'è ragionamento. Il
sillogismo è il ragionamento per eccellenza, ovvero è un discorso in cui poste alcune
premesse segue necessariamente una conclusione per il fatto che quelle premesse sono
state poste. Il sillogismo-tipo è composto da tre proposizioni, due delle quali (la
premessa maggiore e la premessa minore) fungono da antecedenti e la terza (la
conclusione) funge da conseguente. Nel sillogismo, inoltre, si hanno tre termini o
elementi: il termine maggiore, con estensione maggiore e compare come predicato nella
prima premessa; il termine minore, con estensione minore e compare come soggetto
nella seconda premessa; il termine medio, con estensione media e che si trova in
entrambe le premesse, una volta come soggetto e una volta come predicato. Il termine
maggiore e quello minore compaiono nella conclusione, dove fungono da soggetto
(quello minore) e da predicato (quello maggiore). L'elemento grazie al quale avviene 


l'unione è il termine medio, in quanto esso è incluso nel termine maggiore e include in sé il
termine minore. Di conseguenza, la caratteristica espressa dal termine maggiore, appartenendo
al termine medio, apparterrà anche al termine minore. Tutto ciò può anche essere espresso con
l'algebra del discorso: si sostituiscono ai termini del sillogismo le lettere dell'alfabeto, ad
esempio A,B,C. Da ciò genera che: ogni B è A, ogni C è B, ogni C è A.

➔Il problema delle premesse
Aristotele, sebbene studi il sillogismo da un punto di vista


formale, sa che la validità di un sillogismo non si identifica con la sua verità, in quanto un
sillogismo, pur essendo logicamente corretto, può partire da premesse false e, di conseguenza,
arrivare ad una conclusione falsa. Per tale motivo, Aristotele si sofferma sul sillogismo
“scientifico” o dimostrativo, ossia su quel sillogismo che parte da premesse vere e che,
ovviamente, arriva a una conclusione vera. Non è chiaro come si ottengano queste premesse
vere; Aristotele afferma che esse si ottengono con gli “assiomi”, ossia con quelle proposizione
intuitivamente vere comuni a più scienze che si ottengono con il principio di non-
contraddizione, con il principio di identità o con il principio del terzo escluso. Tuttavia tali
principi non risultano sufficienti ai fini della costruzione del sapere concreto; accanto a essi,
quindi, occorrono dei principi propri alle singolo scienze offerti da una lista di definizioni.
Queste definizioni si conseguono predicando di un certo concetto il suo genere prossimo e la
sua differenza specifica e si ottengono mediante l'induzione, ossia mediante un procedimento
grazie al quale dal particolare si ricava l'universale. L'induzione, non essendo necessariamente
valida, è priva di un valore dimostrativo; essa, infatti, registra ciò che si constata di fatto e non
spiega perchè le cose siano come sono. A questo punto è lecito chiedersi da dove derivano le
definizioni che fungono da premesse di basi per i sillogismi dimostrativi. Secondo Aristotele
esse derivano dalla medesima facoltà da cui derivano gli assiomi, ossia dall'intelletto e
dall'intuizione razionale. Quindi Aristotele, come Platone, afferma che noi otteniamo ogni
conoscenza da un'apprensione intuitiva delle essenze delle cose.

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