LA METAFISICA
Aristotele suddivide le scienze in tre gruppi:
–scienze teoretiche (metafisica, fisica, matematica): hanno come oggetto il necessario (ossia
ciò che non può essere diverso da com'è), come scopo la conoscenza disinteressata del reale, e
come metodo quello dimostrativo;
–scienze pratiche (etica, politica) e poietiche (arti belle, tecniche): hanno come oggetto il
possibile (ossia ciò che può essere diverso da com'è), come scopo l'orientamento dell'agire e
come metodo un tipo di ragionamento non dimostrativo (valido per lo più). Le pratiche
indagano l’ambito dell’agire individuale e collettivo, mentre le poietiche studiano l’ambito
della produzione di opere o della manipolazione di oggetti.
Il termine “metafisica” non è un termine aristotelico; Aristotele, infatti, per indicare la
disciplina che indaga le strutture profonde e le cause ultime del reale, che vanno oltre
l'apparenza dei sensi, usava l'espressione “filosofia prima”. Sebbene la nascita del termine
“metafisica” fu del tutto casuale, la tradizione preferì denominare in questo modo o con la
parola “ontologia”, ciò che Aristotele definiva con l'espressione “filosofia prima. Aristotele da
4 definizioni di metafisica:
–la metafisica “studia le cause e i principi primi”;
–la metafisica “studia l'essere in quanto essere”;
–la metafisica “studia la sostanza”;
–la metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”.
La seconda definizione di metafisica è la più importante, in quanto dire che “la metafisica
studia l'essere in quanto essere” equivale a dire che essa ha come oggetto una realtà in generale,
cioè l’aspetto fondamentale e comune di tutta la realtà, inoltre studia le caratteristiche
universali che strutturano l'essere come tale, e quindi tutto l'essere e ogni essere. L’idea della
metafisica come “scienza dell'essere in quanto essere”, è la grande scoperta di Aristotele, che
ha portato su un piano di superiore consapevolezza e sistematicità le indagini dei filosofi
precedenti.
La metafisica è, quindi, lo studio dell'essere il quale, secondo Aristotele può essere inteso in
modi diversi.
-È considerato “univoco” quando in tutte le sue occorrenze è inteso sempre nello stesso modo,
ovvero come esistere. Ma in questo modo si giunge all’errore della filosofia di Parmenide, cioè
se con il verbo ‘essere’ si indicasse in modo univoco l’esistenza, allora una negazione potrebbe
negare non solo l’attributo, ma lo stesso soggetto.
–insostenibile è anche il carattere “equivoco” dell’essere, ovvero che l’essere vada inteso ogni
volta in senso diverso a seconda del contesto. Ma se si intende qualcosa sempre in modo
diverso, si giungerà all’impossibilità di comunicare, poiché chi ascolta o legge una parola non
saprà mai in quale occorrenza sia stata impiegata.
-l’essere dunque non sarà ne univoco, ne equivoco, bensì polivoco, ovvero dovrà essere inteso
in parte nel medesimo senso ed in parte in senso diverso. In questo modo si giustifica anche il
fatto che noi attribuiamo significati particolari diversi, ai quali riconosciamo un comune
significato di fondo. Ad esempio nelle frasi “il latte è un alimento sano”, “Tizio è sano”, “il
colorito di Tizio è sano”, il verbo “è” indica nel primo caso un rapporto casuale, nel secondo un
rapporto di possesso e nel terzo viene utilizzato per rendere manifesta una proprietà, ma in tutti
i casi tale verbo collega un soggetto ad un predicato.
Negando una forma unica dell’essere, a quest’ultimo vengono attribuite una molteplicità di
forme e di aspetti. Dei vari aspetti nei quali l'essere si può presentare, Aristotele raccoglie
quelli più basilari:
-l'essere come accidente
-l'essere come categorie
-l'essere come vero
-l'essere come atto e potenza.
Per “categorie” Aristotele intende le caratteristiche fondamentali, cioè le determinazioni
generalissime che l'essere ha e non può fare a meno di avere. Esse sono: la sostanza, la qualità,
la quantità, la relazione, l'agire, il subire, il dove e il quando, a cui Aristotele aggiunge anche
l'avere e il giacere. Dal punto di vista ontologico, quindi, le categorie sono i modi fondamentali
in cui la realtà si presenta; dal punto di vista logico, sono i vari modi con cui l'essere si predica
delle cose. Di tutte le categorie la più importante è la sostanza, in quanto tutte le altre in
qualche modo la presuppongono. Infatti la qualità è sempre qualità di qualcosa, la quantità è
sempre quantità di qualcosa, e così via. Questo “qualcosa” è la sostanza, che è il polo
unificante, o il centro di riferimento delle categorie. Questa teoria implica due conseguenze:
–in primo luogo, si comprende ancora meglio in che senso il termine “essere” abbia una
molteplicità di significati uniti tra loro da un comune riferimento alla sostanza. Quest’ultima
rappresenta dunque il senso unitario che raccoglie tutti i significati dell'essere.
–in secondo luogo, se l'essere si identifica nelle categorie, e le categorie si appoggiano tutte
sulla sostanza, la domanda “che cos'è l'essere?” si identifica nella domanda “che cos'è la
sostanza?”
Per procedere in questo modo, la filosofia ha bisogno del principio di non contraddizione il
quale si esprime in due modi:
–E' impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e
secondo il medesimo rispetto.
Tale formula esprime l'impossibilità logica di affermare e al
tempo stesso negare un medesimo predicato intorno allo stesso soggetto.
–E' impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia.
Tale formula esprime
l'impossibilità ontologica che un determinato essere sia e insieme non sia quello che è.
In questo modo, il principio di non-contraddizione significa che ogni essere ha una natura
determinata che non gli si può negare, e che quindi è necessaria. Aristotele chiama “sostanza”
la natura necessaria di un essere qualsiasi. La sostanza è pertanto l'equivalente ontologico del
principio logico di non-contraddizione, definito da Aristotele come il “principio più saldo di
tutti”.
Il filosofo ci offre proprio una dimostrazione confutatoria (in greco elenchos, confutazione),
che non dimostra direttamente il principio, ma che nega che il principio di non-contraddizione
possa essere negato, e di conseguenza è necessario affermarlo. I passaggi sono: PAG 314
La sostanza
La sostanza nel suo significato fondamentale è l’essere dell’essere. Per Aristotele, la sostanza è
in primo luogo l'individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto
logico di predicati. Aristotele chiama anche la sostanza tode ti, ossia “questo qui”, il quale è un
ente autonomo, cioè qualcosa che, a differenza delle qualità che gli si riferiscono, ha vita
propria. Ogni sostanza forma un sinolo, ossia un’unione indissolubile, di due elementi: la forma
e la materia. La forma non intesa come l'aspetto esterno di una cosa, ma come la struttura che la
rende quella che è. La materia è ciò di cui una cosa è composta, ossia il quid. La forma è
l'elemento attivo del sinolo che struttura la materia, la quale, quindi, è l'elemento passivo del
sinolo. Si può dunque affermare che la forma è ciò che fa si che un individuosia quello che è (la
sua essenza), ed è proprio per tale motivo che Aristotele chiama “sostanza” anche e soprattutto
la forma. La sostanza è quindi allo stesso tempo l'essenza dell'essere (forma) e l'essere
dell'essenza (sinolo). Come forma, la sostanza è l'essenza necessaria di una cosa, dalla quale è
necessario distinguere l’accidente, ossia quella qualità che una cosa può avere o non avere,
senza però cessare di essere ciò che è. In altri termini, l’accidente esprime una caratteristica
casuale o fortuita della sostanza. Insieme a questo tipo di accidente Aristotele parla di un
accidente “per se”, riferendosi ad una qualità, che pur non appartenendo alla sostanza di un
ente, deriva dalla definizione dell’ente in questione.
Le quattro cause
La teoria della sostanza è strettamente collegata alla dottrina delle quattro cause. Aristotele
afferma che la scienza e la conoscenza consistono nel rendersi conto della causa delle cose.
Aristotele, infatti, elenca quattro tipi di cause:
-causa materiale: è la materia, ossia ciò di cui una cosa è fatta;
-causa formale: è la forma, cioè l'essenza necessaria di una cosa;
-causa efficiente: è ciò che da inizio al mutamento o alla quiete ossia ciò che origina
qualcosa;
-causa finale: è lo scopo al quale una cosa tende.
Tutte le quattro cause sono specificazioni o articolazioni della sostanza globalmente intesa, che
è la vera causa dell'essere.
Inoltre il filosofo, per riuscire a pensare e a spiegare meglio il divenire, ha elaborato i concetti
di “potenza” e “atto”. Per potenza intende la possibilità, da parte della materia, di assumere una
determinata forma. Per atto intende la realizzazione di tale capacità. Ad esempio dal pulcino in
potenza (dall’uovo) al pulcino in atto: l’uovo è la possibilità, da parte della materia, di
assumere una configurazione nuova. La potenza sta dunque alla materia come l’atto sta alla
forma. Il punto di partenza del divenire è quindi la materia come privazione, o pura potenza,
mentre il punto di arrivo è l’assunzione di tale forma. L’atto viene anche chiamato entelechia,
che in greco significa proprio realizzazione.
Aristotele, inoltre, riconosce la priorità gnoseologica, cronologica e ontologica dell'atto nei
confronti della potenza. Infatti basti pensare che la conoscenza della potenza presuppone la
conoscenza dell’atto e che l'atto viene temporalmente prima della potenza, in quanto, sebbene il
seme (potenza) venga prima della pianta, esso non potrà che derivare da una pianta già in atto.
Perciò la potenza aristotelica è una possibilità a senso unico e la necessità è quella di costruire
la modalità fondamentale dell'essere.
Materia e forma, atto e potenza, danno origine al divenire; il movimento presuppone, invece, la
causa efficiente, che da inizio al divenire, e la causa finale, che mette fine al divenire.
Solitamente in natura è la materia a diventare forma, ma spesso ciò che è forma, punto di arrivo
di un movimento, diventa materia, punto di partenza di un movimento ulteriore; per questo
motivo una stessa cosa può essere sia materia (potenza) che forma (atto): ad esempio, il pulcino
è potenza della gallina e atto dell'uovo. Questo discorso implica due estremi:
-da un lato vi è la “materia pura”, definita da Aristotele “materia prima”, ossia priva di
determinazioni (la materia-madre di cui aveva già parlato Platone nel Timeo). Questa, essendo
indeterminata, non può essere conosciuta, né constata di fatto, poiché nel mondo vi è solo
materia formata, ed è quindi una pura nozione teorica;
-dall'altro lato vi è la “forma pura”, o “atto puro”, che consiste in una perfezione
completamente realizzata. Questa realizzazione perfetta è Dio, il quale è oggetto della teologia.
La concezione aristotelica di Dio
La teologia chiarisce perché la metafisica viene definita anche scienza che studia le cause e i
principi primi e Dio e la sostanza immobile; tale disciplina, infatti, indaga l'essere più alto e la
causa suprema del cosmo, ossia Dio. Alcuni studiosi hanno ritenuto che la metafisica come
teologia (ossia come scienza di Dio) fosse contraddittoria rispetto alla metafisica come
ontologia (ossia come scienza che studia l'essere in quanto tale); così per far coesistere i due
significati, hanno attribuito la teologia alla prima fase della filosofia di Aristotele e l'ontologia
al periodo della maturità.
Nella Metafisica Aristotele da una prova dell'esistenza di Dio, la quale viene tratta dalla teoria
del movimento, inteso come possibilità di assumere nuove condizioni o forme. Aristotele
afferma che tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da altro, quest’altro poi è
necessario che sia mosso da altro ancora. Ovviamente in questo processo di rimandi non è
possibile risalire all'infinito, ad un certo punto ci si dovrà necessariamente fermare e dovrà
esserci un principio assolutamente “primo” e “immobile”, causa iniziale di tutti gli altri
movimenti. Aristotele identifica il primo motore immobile con Dio.
Innanzitutto afferma che Dio è atto puro, ossia atto senza potenza, in quanto dire potenza
significa possibilità di movimento, e Dio, essendo immobile, non può essere soggetto al
movimento e quindi al divenire. Dio, dunque, è privo di materia; da ciò ne deriva che egli è
pura forma, o sostanza incorporea. Inoltre Aristotele, sostenendo che i movimenti delle cose
dell'universo sono eterni, sostiene anche che Dio è eterno. Aristotele dichiara che Dio non è
causa efficiente, ossia non da inizio al movimento, ma dichiara che egli è causa finale, ossia
oggetto d'amore, quindi determina il movimento dell’amante verso di se. Questo significa che
l’universo non è altro che uno sforzo della materia verso Dio, ovvero un desiderio incessante di
“prendere forma”. Dunque non è Dio che forma e organizza il mondo, ma è quest'ultimo che,
aspirando a Dio, si auto-determina e auto-ordina. Questo Dio che è Atto puro, Sostanza
incorporea, Essere eterno e Causa finale del mondo, rappresenta la realtà di ogni possibilità e
costituisce un'entità perfetta e totalmente compiuta. A questa perfezione massima corrisponderà
il genere di vita più alto, ossia la vita dell'intelligenza. Dio sarà dunque pensiero di pensiero e
la vita divina sarà la più eccellente e la più felice tra tutte, inoltre Dio possiede da sempre per
intero tutta la sapienza.
Il Dio aristotelico non è una sostanza unica. Aristotele, infatti, nella Fisica descrive Dio come il
motore immobile del primo cielo. I movimenti degli altri cieli sono continui ed eterni come
quello del primo, e perciò presuppongono motori immobili. Aristotele ammette 47 e 55
intelligenze motrici, corrispondenti alle 47 e 55 sfere celesti riconosciute dall’astronomia del
tempo. Il rapporto esistente tra il primo motore immobile e gli altri motori immobili non è
chiaro. In ogni caso, sebbene il pensiero di Aristotele si presenti come un monoteismo
esigenziale, talvolta appare anche come un pensiero tendenzialmente politeista.
2. La logica
Aristotele non classifica la logica assieme alle altre scienze, perché essa studia il
punto in comune delle varie scienze: il metodo dimostrativo o, comunque, i vari metodi di
ragionamento utilizzati. Il termine logica non è nemmeno aristotelico; Aristotele, infatti, per
designare tale disciplina, utilizzava il termine “analitica”.
2. se essa presupponga un legame tra i modi del pensiero e quelli della realtà
Per quanto riguarda il primo punto, gli studiosi sono arrivati ad affermare che logica e
metafisica si sono sviluppate parallelamente; per quanto riguarda il secondo punto, Aristotele
affermava che la logica ha un oggetto di studio, ossia la struttura della scienza. Proprio per tale
motivo, egli affermava che tra le forme del pensiero, studiate dalla logica, e quella della
realtà, studiate dalla metafisica, esiste un rapporto necessario sul quale si basa il realismo
gnoseologico e la precedenza ideale della metafisica rispetto alla logica.
➔I concetti
L'opera di Aristotele, chiamata Organon, tratta di oggetti che vanno dal più
semplice a quello più complesso, ed è strutturato secondo una logica di concetti, di
proposizioni e di ragionamenti. Secondo Aristotele i concetti che noi utilizziamo per formare
dei ragionamenti, possono essere disposti entro una scala secondo un rapporto di genere e
specie. Rispetto al genere, la specie è un concetto che include un maggior numero di
caratteristiche ma un minor numero di individui; al contrario, rispetto alla specie, il genere è un
concetto che include un maggior numero di individui ma un minor numero di caratteristiche.
Percorrendo la scala dei concetti dall'alto verso il basso, ossia dal genere alla specie, si andrà
incontro a un progressivo aumento di comprensione (insieme delle caratteristiche) e a una
progressiva diminuzione dell'estensione (numero di individui), fino a che si arriverà alla specie
infima, ossia quelle specie che, al di sotto di se, non ha altre specie. Tale è l'individuo, o
“sostanza prima”, che Aristotele distingue dalle “sostanze seconde”. La sostanza prima è la
sostanza in senso proprio; le sostanze seconde, invece, sono le specie e i generi entro i quali
rientrano
logicamente le sostanze prime. Percorrendo la scala dei concetti dal basso verso l'alto, ossia
dalla specie al genere, si andrà incontro a un progressivo aumento di estensione e a una
progressiva diminuzione della comprensione, fino a che si arriverà ai “generi sommi”, ossia
alle dieci categorie.
l'unione è il termine medio, in quanto esso è incluso nel termine maggiore e include in sé il
termine minore. Di conseguenza, la caratteristica espressa dal termine maggiore, appartenendo
al termine medio, apparterrà anche al termine minore. Tutto ciò può anche essere espresso con
l'algebra del discorso: si sostituiscono ai termini del sillogismo le lettere dell'alfabeto, ad
esempio A,B,C. Da ciò genera che: ogni B è A, ogni C è B, ogni C è A.