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Cromazio di Aquileia

CATECHESI AL POPOLO
SERMONI
Traduzione introduzione e note
a cura di Giuseppe Cuscito

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. San Cromazio vescovo di Aquileia (388-408): notizie


biografiche

Il nome di Aquileia associato a Rufino ricorre in


tutte le opere fondamentali della patristica. Non altret­
tanto si può dire per Cromazio1, certamente uno dei
più illustri vescovi della Chiesa latina tra i secoli TV
e V. Qualche cosa cambierà dopo la recente pubbli­
cazione nel « Corpus Christianorum » IX A delle sue
opere, frutto delle recenti, sostanziose scoperte di
J. Lemarié e di R. Étaix che hanno messo in luce l’in­
teriore grandezza e lo zelo pastorale del santo vescovo
nell'impegno della catechesi2. Del resto la prima pub­
blicazione organica dei Sermones di Cromazio di Aqui­
leia nei due volumi delle « Sources Chrétiennes »,
stampati a Parigi rispettivamente negli anni 1969 e

1 Manca un capitolo dedicato alla figura e all’opera di


Cromazio di Aquileia in Patrologia, III, Institutum Patristicum
Augustinianum, Roma 1978. Però nell'edizione spagnola che
sta per uscire si avrà un apposito capitolo da parte del p. B.
Studer.
2 Chromatii Aquileiensis Opera, cura et studio R. Étaix et
J. Lemarié, Tumholti 1974 (CCL IX A); Spicilegium ad Chro­
matii Aquileiensis opera, cura et studio J. Lemarié et R. Étaix,
Tumholti 1977 (Supplementum al CCL IX A). G. Trettel,
L’« opera omnia » di Cromazio di Aquileia, in « La Scuola
Cattolica», CVII (1979), pp. 148-154.
8 Introduzione

1971 a cura del Lemarié3, benemerito scopritore di


gran parte di questi testi, è senza dubbio una tappa
importante per gli studi cromaziani. Ormai non si
potrà più omettere il nome di Cromazio nelle patro­
logie, com e auspicava il Lemarié a conclusione di un
primo saggio sui frutti delle sue ricerche con queste
parole: « Poche città dell'impero romano di quell’epoca
hanno avuto l’onore di dare alla Chiesa due Padri di
tale importanza [ Rufino e Cromazio']. E non è questa
per Aquileia la gloria più limpida? » \
È da rammaricarsi che Rufino, vissuto accanto a
Cromazio fra il 399 e il 407, intimo del vescovo di
Aquileia durante gli ultimi anni della sua vita e perciò
ricco di tanti ricordi, non abbia progettato di lasciarci
una Vita Chromatii, com e fece Paolino per Ambrogio
e Possidio per Agostino. Nella sua opera esegetica e
anche nei suoi Seraioni, inoltre, va rilevata l’assenza
di ogni riferimento personale: Cromazio infatti non
ricorda mai episodi o casi capitatigli, com e fa talvolta
san Massimo di Torino5.
Cosi quel poco che sappiamo della sua vita siamo
costretti a ricavarlo indirettamente dalle testimonianze
epistolari o letterarie di uomini illustri, com e Girolamo,
Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Rufino, che, per ra­
gioni editoriali e culturali ovvero collegate all’esercizio
del ministero o per amicizia, furono in contatto con lui.
Gli atti del concilio di Aquileia del 381 ci hanno

1 Chromace d’Aquilée, Sermons, I-II, introduction, te


critique, notes par J. Lemarié, traduction par H. Tardif, Pa­
rigi 1969, 1971, « Sources Chrétieimes » (SC) 154, 164. La pre­
ziosa introduzione del Lemarié, a cui dovremo spesso ricor­
rere, si trova in SC 154, pp. 9-120.
4 J. Lemarié, Indagini su San Cromazio d'Aquileia, in
«Aquileia Nostra», XXXVIII (1967), col. 172.
5 A. De Nicola, Osservazioni sui proemi dei Sermoni di
S. Cromazio di Aquileia, in Atti e Mem. Soc. Istr. di Arch. e
St. Patria (AMSI), XXVI n.s. (1978), p. 205.
Introduzione 9

conservato gli interventi di Cromazio6 ancora presbi­


tero e fra i più zelanti collaboratori del vescovo Vale-
riano (368-388), che, dopo i compromessi con gli ariani
da parte del predecessore Fortunazia.no1, inaugurò una
linea teologica e pastorale di più nitida osservanza ni-
cena e destinò Aquileia a un ruolo preminente tra le
Chiese dell’Italia settentrionale, compresa Milano dove
sedeva il semiariano Aussenzio fino all’elezione di Am­
brogio nel 374. Fu anche questa vigorosa azione per
l’ortodossia, oltre alla sua collocazione geografica, che
fece di Aquileia la sede di quél concilio connesso a
tutta una campagna intrapresa da Ambrogio di Milano
per eliminare dall’Occidente gli ultimi focolai delVaria-
nesimo soprattutto nelle province danubiane: li infatti
furono condannati e deposti i due vescovi illirici Secon­
diano e Palladio. Allora Cromazio era una personalità
in vista e il braccio destro del suo vescovo: poteva avere
dunque una quarantina d’anni ed essere nato, pertanto,
verso il 335-340. Era già prete però intorno al 369-370,
in occasione del primo soggiorno aquileiese di Rufino,
da lui rievocato nella sua Apologia composta fra il 400
e il 402 \
La Chiesa di Aquileia viveva allora la sua più bella
stagione, quando fiori presso il centro episcopale un
notevole seminario di studi teologici organizzato secon­
do il modello monastico, forse anche per l’entusiasmo
suscitato nella fervente comunità dalla presenza di
sant’Atanasio (345), e ispirato all'ideale alessandrino
dell'armonia tra fede e cultura classica. San Girolamo,
che vi aveva soggiornato verso il 370 stringendo ami­
cizia con Rufino, ricordava qualche anno più tardi, nel

* PL XVI, coll. 916-939.


7 G. Cuscito, Cristianesimo antico ad Aquileia e in Istria,
Trieste 1977 [ma 1979], pp. 168-190.
8 Tir. Rufino, Apologia, a cura di M. Simonetti, Ed. Pao-
line, 1957, p. 75.
10 Introduzione

374 o nel 378, pieno di ammirazione e non senza nostal­


gia i chierici di Aquileia, paragonandoli a un « coro di
beati » 9.
Cromazio era nato nella stessa Aquileia da famiglia
profondamente cristiana, se, da una lettera che Giro­
lamo indirizzò nel 375-376 dal deserto della Calcide a
Giovino, a Cromazio e a suo fratello Eusebio, veniamo
a sapere che i due fratelli vivevano con le loro sorelle,
consacrate al Signore, accanto alla loro santa m adre10.
Quando Valeriano mori, il 26 novembre 388, Cro­
mazio fu designato quale suo successore e non c ’è dub­
bio che sia stato Ambrogio, di cui ci è nota la presenza
in Aquileia alla fine di quell’anno n, a conferire all’amico
la consacrazione episcopale. L’inaugurazione del suo
episcopato segue di qualche mese un avvenimento cru­
ento presso la città e l’esplosione di violenze contro la
comunità ebraica di Aquileia: sembra infatti ipotesi
assai plausibile che la distruzione della sinagoga di
Aquileia, riferitaci da un oscuro passo di Ambrogio,
debba collegarsi in qualche modo all’uccisione dél-
l’usurpatore Magno Massimo, avvenuta ad Aquileia
proprio il 28 agosto del 388 n. Egli che aveva riunito
attorno a sé, in Italia, buona parte delle frange reli­
giose estranee al consolidato blocco fra ortodossia e
impero teodosiano, pochi mesi prima aveva ottenuto
soddisfazione dalla comunità cristiana di Roma a fa­
vore degli ebrei, in seguito all’incendio di una loro sina­
goga 13. È dunque probabile che anche ad Aquileia l’eli­
minazione di Massimo, dimostratosi loro protettore,

» Hier. Chron., PL XXVII, coll. 697-698.


io Hier. Ep. VII, PL X X II, col. 341; Ep. V i l i : « Il be
Cromazio e il santo Eusebio, fratelli di sangue non meno che
per identità di ideali ».
» Ambr. Ep. XL, 8, PL XVI, col. 1104. Cf. anche Paul.
Vita S. Ambrosii, PL XIV, col. 34.
n MGH, Auct. Antiquiss., I, pp. 15, 245.
u Ambr. Ep. XL, 23, PL XVI, col. 1109.
Introduzione 11

abbia provocato reazioni violente a danno dei suoi so­


stenitori M.
Durante i vent’anni del suo episcopato, Cromazio
si consacrò al suo popolo come risulta dalle testimo­
nianze dei contemporanei e dalle sue stesse opere: la
sua attività pastorale fu, come quella di Ambrogio e
di Agostino, volta alla celebrazione dei santi misteri,
all’amministrazione dei sacramenti, alla predicazione,
se non quotidiana, certo assai frequente (S. 37), all’as­
sistenza ai poveri e agli oppressi. « Si aggiungevano
contatti stretti con gli ecclesiastici ch'erano in mis­
sione nelle regioni del nord, una corrispondenza senza
dubbio intensa di cui malauguratamente non è rima­
sto nulla. Si sa anche che il vescovo doveva saper ascol­
tare numerosi litiganti che venivano ad esporgli le loro
difficoltà, scegliendolo come arbitro. Infine, nei tempi
difficili delle invasioni, dovette confortare e sostenere
una popolazione terrorizzata » 1S, come risulta da alcuni
passi dei suoi Sermoni (SS. 12, 16, 37).
Quanto all’attività costruttiva svolta da Cromazio,
non va trascurato il lusinghiero complimento rivolto­
gli da Rufino di « Beseleel del nostro tempo », asso­
ciandolo cosi al biblico costruttore del Tabernacolo.
La basilica post-teodoriana meridionale di Aquileia ( ri­
tenuta anche post-attilana), su cui si imposta la co­
struzione medievale giunta fino a noi, si indica anche
com e cromaziana, « perché numerosi indizi orientano
verso la fine del quarto secolo o al massimo verso i
primissimi anni del quinto, che è l’epoca dominata
dalla personalità del vescovo Cromazio » 1<s.
Cromazio anche da vescovo segui con vivo inte-

M L. Cracco Ruggini, Il vescovo Cromazio e gli ebrei di


Aquileia, in Antichità Altoadriatiche (AAAd), X II (1977), pp.
367-371. G. Cuscito, Cristianesimo..., cit., pp. 214-215.
15 J. Lemarié, Indagini..., cit., col. 162.
16 S. Tavano, Aquileia. Guida dei monumenti cristiani,
Udine 1977, p. 107.
12 Introduzione

resse il destino degli amici e degli scolari, che conser­


varono per lui venerazione e rispetto sempre maggiori:
egli ne intuì le attitudini e il carattere, seppe incorag­
giarli a un fecondo lavoro spirituale e scientifico e ne
rimase spesso per tutta la vita amico paterno e consi­
gliere17; per questo ottenne che Girolamo e Rufino,
nell’acerrima inimicizia scoppiata fra loro per la pole­
mica origeniana, ascoltassero forse soltanto lu i18.
Cromazio mantenne rapporti di amicizia anche con
Eliodoro, vescovo di Aitino e già membro del Monaste-
rium di Aquileia; ai due amici Girolamo indirizza verso
il 393, dopo una malattia, la versione dei libri di Saio-
mone: « Unisca insieme la lettera — scrive Girolamo
nella prefazione — coloro che sono legati dal sacer­
dozio; anzi non divida la carta coloro che l’amore di
Cristo congiunge. Avrei scritto i commenti su Osea,
Amos, Zaccaria, Malachia, com e mi chiedete, se la
salute me l’avesse permesso. Mi mandate aiuti di de­
naro, sostentate i miei scrivani e librai, perché il mio
ingegno possa lavorare per voi. Pertanto rotto da lunga
malattia, per non tacere tutto quest'anno e non rima­
nere muto con voi, ho consacrato tre giorni al vostro
nome con l’interpretare [...] i Proverbi [...] VEccle­
siaste [.„] il Cantico dei Cantici » ,9. Intorno al 390
aveva già inviato a Cromazio dalla Palestina i suoi due
libri su Abacuc, chiamandolo « venerando papa [...]
dottissimo tra i vescovi » 20. Nel 394 nuove istanze di
Cromazio, nuovo lavoro di Girolamo: « Se la versione

17 P. Paschini, Storia del Friuli, I, Udine 1934, pp. 55


Sia pure con cautela cf. A. Scholz, Il « Seminarium Aquilei-
ense », in Mem. Stor. Forog. (MSF), I (1970), pp. 2643.
« Hier. Adversus Rufinum III, 2, PL X X III, coll. 479480.
19 Hier. Praef. in libros Salomonis, PL X X , col. 311; Id.,
Cantra Rufinum II, 31, PL X X III, col. 475.
20 Hier. Comm. in Abacuc proph. ad Chromatium prol.,
CCL LXXVI A, p. 59; Id., De viris illustr., 135 (scritto nel
392), PL X X III, col. 759.
Introduzione 13

[dei Paralipomeni] fatta dai Settanta si fosse conser­


vata genuina, quale fu da essi redatta in greco, vano
sarebbe, o mio Cromazio santissimo e dottissimo fra
i vescovi, il tuo incitamento perché io traduca il testo
ebraico in latino » 21. Qualche anno dopo, prima però
del 405, Girolamo illustra ai due amici la sua tradu­
zione del libro di Tobia in un sol giorno, soddisfa­
cendo cosi al desiderio che gli avevano espresso71.
Con questo termina la corrispondenza fra Cromazio
e Girolamo, della quale purtroppo non ci sono con­
servate che le risposte di quest'ultimo^.
Cromazio spronava anche Rufino all’attività lette­
raria, esortandolo a mettere a servizio della Chiesa le
sue conoscenze linguistiche: a lui infatti Rufino dedicò
la traduzione di ventisei Omelie su Giosuè di Origene,
pubblicata fra il 403 e il 404 per esaudire il suo pres­
sante invito « che dall'abbondanza degli scritti dei
Greci scegliesse qualcosa per l'edificazione e la costru­
zione del divino tabernacolo » 24. Da Cromazio ebbe
incitamento a tradurre la Storia Ecclesiastica di Euse­
bio di Cesarea, a cui Rufino attese negli anni 402-403,
subito dopo la prima invasione di Alarico (401 ), quasi
« per cercare qualche rimedio alla rovina [...] col
tenere occupate in studi migliori le menti affrante e
toglierle dal contatto dei mali presenti », come af­
ferma nella prefazione rivolgendosi a Cromazio
E anche nella prefazione che precede i due libri da
lui aggiunti alla Storia di Eusebio, Rufino attesta

21 Di questa versione è fatto cenno anche in Adv. Rufinum


II, 27, PL X X III, col. 471.
22 Hier. Praefatio in Lib. Tobiae, PL X X IX , coll. 23-26.
23 P. Paschini, Le vicende politiche e religiose del territo­
rio friuliano da Costantino a Carlo Magno (secc. IV -V ili), Ci-
vidale del Friuli 1912, pp. 58-59; Id., Storia del Friuli, cit., I,
pp. 55-59.
24 Rufin. Prologus in Lib. lesu Nave, PG X II, coll. 823-826.
“ Rufin. Hist. eccl., PL X X I, coll. 461-462.
14 Introduzione

di averli composti « per ubbidire ai comandi del reli­


gioso padre Cromazio ».
Quando Rufino, intorno al 398, pubblicò a Roma
la versione del libro Dei principii di Origene, tentando
malaccortamente di compromettere anche Girolamo
nella prefazione, esplose fra i due la ben nota polemica
che gli amici si sforzarono invano di comporre. Cro­
mazio stesso intervenne pregando Girolamo di por
fine alla contesa, ma Girolamo protestò di non poter
aderire a questa esortazione26.
Quali fossero i sentimenti di Cromazio a propo­
sito delle discusse questioni origeniane, lo possiamo
solo arguire da alcune parole con cui Girolamo sfida
Rufino a dire i nomi di quanti usano gli scritti di Ori-
gene senza citarlo e mettono all’indice i suoi libri
affinché non si conoscano i loro fu rti77. Era cauto circa
le posizioni di Origene ma sapeva apprezzare la ric­
chezza delle sue interpretazioni tipologiche2S.
Cromazio ebbe rapporti anche con altri perso­
naggi illustri della sua età e di essi ci sono giunte
alcune testimonianze preziose. Se era venuto a tro­
varsi in relazione con sant’Ambrogio fin dal concilio
di Aquileia del 381, più tardi lo consultò intorno a
una questione scritturale relativa alla profezia di
Balaam ( Numeri X X II): Ambrogio gli risponde che
Dio sa usare talvolta anche di ciò che è infermo innanzi
agli uomini e cosi scelse Balaam, che pure era iniquo,
per proclamare la verità2*. Questa è l’unica testimo­
nianza delle loro reciproche relazioni, che, com e si
capisce dal contesto, dovettero continuare a essere
strette e cordiali.

26 Hier. Adv. Rufin. Ili, 2, PL X X III, col. 479.


» Hier. Adv. Rufin. II, 22, PL X X III, col. 466.
28 P. Paschini, Le vicende..., cit., p. 61; Id., Storia del
Friuli, cit., I, pp. 57-58.
» Ambr. Ep. I, PL XVI, col. 1159.
Introduzione 15

Una delle ultime attività di Cromazio fu la difesa


di san Giovanni Crisostomo, da lui mai conosciuto di
persona, dopo la condanna e la deposizione dalla sua
sede di Costantinopoli nel sinodo ad Quercum (403).
Sappiamo che il Crisostomo, vittima degli intrighi di
corte e della sua franchezza, scrisse a tre vescovi del-
VOccidente, Innocenzo di Roma, Venerio di Milano e
Cromazio di Aquileia per informarli della sua situa­
zione e per pregarli di intervenire30. Quello che Cro­
mazio facesse non sappiamo, ma risulta che abbia
scritto una lettera energica all'imperatore Onorio, let­
tera che questi trasmise, assieme a quella di papa In­
nocenzo, al fratello Arcadio, imperatore d’O riente31.
E anche se questa non ci fu conservata, merita tutta­
via ricordare il cordiale e caloroso ringraziamento che
Giovanni Crisostomo spedi ad Aquileia nel 406: « È
giunta fino a noi la fama della tua calda e sincera
carità, com e squilli di tromba; essa è echeggiata chiara
e, prolungata a tanta distanza, si è diffusa fino all’estre­
mità della terra. Alla pari dei tuoi concittadini, noi
conosciamo, malgrado la distanza, la tua viva e arden­
te carità, il tuo parlare deciso, franco e ardito, la tua
fermezza simile al diamante » 32. La m orte e la lonta­
nanza impedirono un ulteriore scambio di lettere. Il
Crisostomo infatti mori nel 407, quando lo stesso
Cromazio, ormai anziano e scosso dagli avvenimenti
politici di quegli anni, era forse già colpito dal male
che poco dopo l’avrebbe portato alla tomba: secondo
i computi del De Rubeis33, fondati su alcuni dati
della vita di Rufino, Cromazio mori nel 407 o all’inizio
del 408, alla vigilia della seconda discesa di Alarico in

30 Palladii Dialogus historicus II, PG XLVII, col. 12. L.


Duchesne, Storia della Chiesa antica, III, Roma 1911, pp. 62 ss.
« Pallad. Dial. hist. Ili, PG XLVII, col. 15.
32 Ioann. Chrys. Ep. 155, PG LII, coll. 702-703.
53 B.M. De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Ar-
gentinae 1740, col. 113.
16 Introduzione

Italia, quando, morto Stilicone, il re goto marciò vit­


toriosamente fino a R om a34.1 Goti di Alarico, valicate
le Alpi Giulie, avevano già cinto d'assedio Aquileia
nel novembre 401; ignoriamo se allora la città abbia
resistito, ma certo seguirono in tutta la regione mas­
sacri, violenze e deportazioni cosi che, dopo la prima,
dolorosa esperienza, alVawicinarsi dei barbari gli
abitanti delle città fuggivano, sulle isole del litorale.
Forse anche Cromazio coi suoi fedeli si sarà rifugiato
più d'una volta a Grado, e potrebbe aver provveduto
a una qualche sistemazione dei luoghi di culto già esi­
stenti nell’isola35. Sta di fatto tuttavia che durante
tali angosce e tali preoccupazioni, mentre la situa­
zione politica dell’Occidente si era andata particolar­
mente aggravando dopo la morte di Teodosio che
aveva saputo ridare all’impero unità e coesione, Cro­
mazio si sforzava di consolare i suoi fedeli anche nel­
l’azione liturgica, come quando in un Sermone per
la veglia pasquale (S. 16) invita l’assemblea a pregare
il Signore che si degni di liberare il suo popolo da
ogni attacco di nemici e da ogni paura di avversari e
di ricacciare barbaras nationes.

2. L’attività letteraria di Cromazio

Fino alle recenti scoperte, della produzione let­


teraria di Cromazio erano noti 18 Trattati sul Van­
gelo di Matteo, tra cui fu sempre assai apprezzato

34 P. Paschini, Le vicende..., cit., p. 63 e n. 2; J. Lemarié,


Indagini..., cit., col. 165.
35 Tale è l'ipotesi del Lemarié {Indagini..., cit., col. 165);
ma M. Mirabella Roberti (La più antica basilica di Grado, in
Arte in Europa, Milano 1966, pp. 105-112), non ritiene di dover
attribuire a Cromazio alcun intervento monumentale nell’isola
di Grado.
Introduzione 17

quello sulle otto Beatitudini che in realtà era già stato


riconosciuto come un'omelia a parte, pronunciata in
un giorno di grande m ercatox : si tratta di quello che
nell’attuale corpus delle opere cromaziane è il Ser­
mone 41.
Nel 1905 P. de Puniet, studiando il testo di tre
omelie conservate nell’antico Sacramentario Gela­
siano, proponeva di restituire a Cromazio di Aquileia
quella che doveva servire di esortazione ai catecumeni
nello scrutinio per la traditio del Pater noster in pre­
parazione al battesim o37: in base a tale attribuzione,
A. Hoste aggiungeva questa omelia agli scritti di Cro­
mazio nel volume IX del « Corpus Christianorum »,
edito nel 1957; oggi, nel nuovo corpus cromaziano è
il Sermone 40, intitolato Praefatio orationis Dominicae.
Per una serie di fortunate circostanze l’opera di
Cromazio si è andata arricchendo sensibilmente grazie
alle ricordate scoperte quasi contemporanee dell’Étaix
e del Lemarié tra il 1959 e il 1965, protrattesi anche
negli anni successivi. Limitandoci a pochi essenziali
ragguagli sui risultati finali, rinviamo per una completa
documentazione ai numerosi contributi apparsi sulla
« Revue Bénédictine » dal 1960 in poi, all’articolata in­
troduzione del Lemarié all’edizione dei Sermones per
le « Sources Chrétiennes » (SC 154) e alla parte intro­
duttiva ai Sermones e ai Tractatus nel volume IX A
del « Corpus Christianorum ».
Cosi, mentre il Lemarié riusciva a ricostruire un
piccolo corpus di Sermoni derivandoli da una tradi­
zione manoscritta comprendente due famiglie, una ca­
talana e una germanica, e da collezioni o omiliari, nel

36 P. Paschini, Le vicende..., cit., p. 63; Id., Storia del Friuli,


cit., I, p. 58.
37 P. de Puniet, Les trois homélies catéchétiques du sacra-
mentaire gélasien pour la tradition des évangiles, du symbole
et de l'orfaison dominicale, in Rev. d'Hist. Eccl., VI (1905),
pp. 304-315.
18 introduzione

frattempo il Commento a Matteo, di cui si conosce­


vano solo 17 trattati (o capitoli) pubblicati sotto il
suo nome già dal sec. X V I M, andò incrementandosi in
un primo momento grazie all’edizione nella « Revue
Bénédictine » del 1960 di 4 nuovi trattati scoperti da.
R. Étaix, in seguito per le successive scoperte di altri
39 trattati ad opera di Lemarié e di R. Étaix. Tutti que­
sti trattati sino allora inediti derivano da una tradi­
zione manoscritta comprendente due famiglie distinte
per la diversa attribuzione del testo a san Giovanni
Crisostomo e a san Girolamo39. I quattro manoscritti
maggiori della famiglia pseudo-crisostomiana, vanno
dal prologo al capitolo IX di san Matteo, mentre la
famiglia pseudo-geronimiana ci tramanda il commento
molto incompleto sino al capitolo XVIII. Cosi il Com­
mento a Matteo, oltre a essere rimasto incompiuto pro­
babilmente per la m orte del suo autore, ci è noto sólo
per circa una m età40.
In tal modo una nuova edizione accresciuta delle
opere oratorie ed esegetiche di Cromazio è stata accolta
nel già citato volume IX A del « Corpus Christiano-
rum » pubblicato nel 1974, a cui ha fatto seguito nel
1977 un Supplementum sempre a cura dei due bene­
meriti Editori.
Nonostante questi felici ritrovamenti, l’opera di
Cromazio è ancora ben lontana dall’essere completa;
infatti anche la sua produzione oratoria ultimamente
edita presenta frequenti lacune: dei 43 Sermoni, nove
sono incompleti e frammentari, uno si riduce al proe­
mio, altri risultano rimaneggiati, il Sermone 42 resta

38 La prima edizione di G. Sichard (Basilea) è del 1528.


39 Lo status quaestionis fu precisato per la prima volta
nella sua globalità da R. Étaix - J. Lemarié, La tradition ma-
nuscrite des Tractatus in Matheum de saint Chromace d’Aqui-
lée, in « Sacris Eruditi », XVII (1966), pp. 302-354.
40 Per alcune precisazioni cf. Lemarié, Indagini..., cit., col.
166.
Introduzione 19

dubbio. A queste deficienze si deve aggiungere il fatto


che, sia per i Sermoni sia per i Trattati, resta impos­
sibile determinare con sicurezza uno svolgimento del
pensiero di Cromazio41. Si può solo essere sicuri che,
mentre si accingeva alla stesura del Commento, doveva
avere sottocch io un esemplare con la raccolta dei suoi
Sermoni, se parecchi Trattati rimandano a quelli. Inol­
tre dobbiamo concludere che il Commento fu redatto
con ogni probabilità quando Girolamo aveva già scritto
il De viris illustribus (392-393) e il suo Commento a
Matteo (398), poiché in entrambe le opere manca qual­
siasi riferimento a Cromazio. Tenuto conto di questi
dati, è ragionevole pensare che il vescovo di Aquileia
abbia posto mano al suo Commento solo in età piut­
tosto avanzata e negli ultimi anni del suo episcopato
(400-408); forse preferiva incoraggiare Girolamo e Ru­
fino nella loro opera di esegeti e di traduttori. Egli pe­
raltro non adduce ragioni per giustificare l’impresa di
una trattazione sistematica sul primo Vangelo, prefe­
rito — com e si sa — agli altri due sinottici nelle cele­
brazioni liturgiche per l’attenzione di Matteo all’eccle­
siologia. Quanto alla sua attività oratoria legata alla
costante formazione del suo gregge più che a un impe­
gno letterario, sono stati alcuni dei suoi uditori a con­
servarcene l’eco: « Ad Aquileia, non meno che a Milano
o a Ippona, non mancavano gli stenografi. Un p o’ alla
volta si costituì cosi un corpus di sermoni e di omelie.
Sermoni pronunciati durante l’anno liturgico, omelie
sugli evangeli, commenti alle letture dell’Antico Testa­
mento, degli Atti, delle Lettere di san Paolo, esposizio­
ni sui Salmi, furono cosi riuniti in un’opera apparen­
temente sprovvista di ogni ordine logico. Ispirandosi
molto liberamente al commento di Ilario a Matteo e
a quello di Ambrogio a Luca, Cromazio aveva esposto,

41 D. Corgnali, Il mistero pasquale in Cromazio di Aq


leia, Udine 1979, pp. 32-34.
20 Introduzione

nella sua predicazione, il senso letterale e spirituale di


molti passi del primo evangelo » 42. Solo dopo la pub­
blicazione del Commento a Matteo di Girolamo (398),
Cromazio pensò di intraprendere un'opera simile, ma
con taglio eminentemente pastorale e sviluppando al­
cuni temi già accostati nella predicazione. Il carattere
molto più spontaneo dell’esposizione omiletica appare
evidente se si paragona quest'ultima con i Trattati, in
cui la composizione è meglio ordinata e le digressioni
sono eliminate; comune invece ai Sermoni e ai Trattati
risulta il vocabolario e soprattutto il metodo esegetico,
sicuro, equilibrato e pressoché costante*.
Alla m orte di Cromazio dunque la biblioteca epi­
scopale di Aquileia possedeva, oltre agli scritti dei più
celebri autori cristiani di Occidente (Cipriano, Tertul­
liano, Ilario, Ambrogio, Girolamo) e alle traduzioni di
padri orientali compiute da Rufino, almeno due volumi
di opere di Cromazio: un corpus di Sermoni e un Com­
mento a Matteo. La sorte di questi manoscritti nelle
turbinose vicende che travolsero Aquileia fin dal sec. V
è facilmente immaginabile; forse ciò spiega il penoso
silenzio precipitato su di lui e sulla sua opera persino
in uno scrittore com e Gennadio di Marsiglia all’inizio
del sec. VI. Eppure san Leone Magno e Cesario di Arles
mostrano di averne apprezzato gli scrittiM; san Leone
infatti disponeva almeno di una parte del Commento
a Matteo, se un suo Sermone (XCV) offre numerosi
punti di contatto cól Tractatus XVII di Cromazio45.
Sul finire del sec. V ili Alcuino disponeva di un
manoscritto della prima famiglia contenente i dicias­
sette trattati del Commento a Matteo: ne cita un brano
scrivendo contro Felice di Vrgel a proposito della dot­

42 J. Lemarié, Indagini..., cit., col. 166.


43 D. Corgnali, Il mistero pasquale..., cit., p. 35.
« Rev. Bénéd., LXXIII (1963), p. 190.
45 J. Lemarié, Indagini..., cit., col. 167 e n. 19.
Introduzione 21

trina sulla Trinità, qualificando l’autore: Chromatius


[...] sanctae Romanae antistes Ecclesiae4é.
Perché non è più ricordata la sua appartenenza
alla Chiesa di Aquileia? È un mistero non ancora defini­
tivamente risolto. Dopo le esplorazioni dei due Editori,
a noi non resta che constatare com e il Friuli e la Vene­
zia non abbiano conservato più di qualche frammento
di un’opera che fu già mólto ampia. Anche i Sermoni,
tranne il 41, ci sono pervenuti con l’attribuzione ad
altri autori, ma occorre precisare che l’archetipo non
destinato al pubblico era rimasto anonimo. In Germa­
nia i Sermoni sono attribuiti ad Agostino; in Catalo­
gna sia ad Agostino che a Girolamo.
La fama acquistata da Cromazio anche per la sua
amicizia con Girolamo fece attribuire a lui e a Eliodoro
di Aitino una lettera apocrifa che essi avrebbero scritto
insieme per chiedere al grande Dottore di compilare,
con l’aiuto degli scritti di Eusebio di Cesarea, una rac­
colta delle feste dei martiri; a questa fa seguito un’apo­
crifa risposta di Girolamo che sarebbe servita di ac­
compagnamento all’opera indebitamente passata sotto
il suo nome: il Martirologio Geronimiano che, nella
sua forma originaria, è in realtà una compilazione della
metà del sec. V redatta in area veneto-aquileiese; cosi
è probabile che per dar credito alla sua opera l’anonimo
compilatore vi abbia preposto quella falsa corrispon­
denza, costruendola sulla conoscenza di dati storica­
mente veri com e le relazioni di Cromazio e di Eliodoro
con Girolamo e la continuazione da lui avviata della
cronaca di Eusebio®.

46 Alcuin. Adv. Felicis haeresin XXVI, PL CI, col. 97.


47 La nuova edizione del Geronimiano si trova in Acta
Sanctorum Nov., tomi II pars posterior. Anche per la biblio­
grafia al riguardo, cf. G. Cuscito, Cristianesimo..., cit., pp.
84-86.
48 Queste due lettere apocrife servirono da modello ad
altre tre. Cf. P. Paschini, Storia del Friuli, I, cit., p. 59 e n. 45.
22 Introduzione

3. Ortodossia e polemica antigiudaica nell'opera di


Cromazio

Cromazio, ancora presbitero, partecipa — come si


è detto — al concilio di Aquileia, dove rinfaccia a Pal­
ladio di Ratiaria di ripudiare i punti essenziali della
fede cattolica: la divinità del Figlio e la sua eguaglianza
col Padre®. E su questo punto egli ritornerà frequen­
temente nella sua attività pastorale incentrata sulla
catechesi. Ad ogni modo, se il suo intervento nelle di­
scussioni conciliari si giustifica col contributo attivo
da lui precedentemente dato per l'espulsione déll’ere-
sia ariana da Aquileia e attestato da Girolamo fra il
375 e il 37650, gli elementi più significativi della pole­
mica cromaziana contro gli eretici, com e contro gli
ebrei, vanno ricondotti a quella sotterranea coerenza
che dovette loro conferire, necessariamente, il con­
fronto con una precisa realtà locale, quella di Aquileia
nell’ultimo ventennio del sec. IV, secondo quanto si
sono sforzati di dimostrare il Duval31 e la Crocco Rug­
gini52, allontanandosi da alcune conclusioni del Lema­
rié. Questi sostiene infatti che l’episcopato di Cromazio
si sarebbe svolto in anni in cui la fede della Chiesa non
era minacciata da alcuna crisi e che, se nei suoi scritti
il ricordo di Ario e di Fotino di Sirmio è presente so­
prattutto quando il vescovo insiste nell’affermazione
della divinità di Cristo, si tratterebbe di richiami incon­
testabilmente utili ma tuttavia sempre in riferimento
alla crisi ariana di venti o trent’anni prima o alle lace­
razioni ecclesiali provocate dalla dottrina del vescovo

« PL XVI, col. 930.


» Hier. Ep. VII, PL X X II, col. 341.
51 Y.M. Duval, Les relations doctrinales entre Milan et
Aquilée durant la seconde moitié du IV e siècle. Chromace
d'Aquilée et Ambroise de Milan, in AAAd, IV (1973), p. 189.
52 L. Cracco Ruggini, Il vescovo Cromazio e gli ebrei di
Aquileia, in AAAd, X II (1977), pp. 353 s.
Introduzione 23

di Sirmio. Varianesimo poteva aver lasciato degli ade­


renti ma ormai sarebbe appartenuto al passato; l’ere­
sia jotiniana viceversa poteva destare ancora qualche
preoccupazione, sebbene l’energica repressione e le
condanne ne avessero frattanto segnato il declino. La
sola polemica viva insomma riguarderebbe i giudei5Ì.
Viceversa il Duval ha cercato di correggere tali
conclusioni facendo ricorso a certe fonti storiche come
la Storia ecclesiastica di Rufino, dove il ricordo delle
vicende di Palladio si rivela ancora assai vivo e alla
opera stessa di Cromazio: questi, in un Tractatus che
si desidererebbe poter datare, dopo aver parlato di
Fotino, ricorda i disastri provocati da Ario in Oriente,
aggiungendo un’interessante nota d’attualità: « I se­
guaci di Ario si sforzano anche oggi d’ingannare il
gregge di Dio in molte Chiese, ma, noto ormai come
maestro di fede aberrante, neppure i seguaci possono
restare più. oltre nascosti » 5S; altrove si dimostra con­
trario all’atteggiamento troppo conciliante di Ilario,
obiettando che all’eretico occorre resistere con fede
invincibile56. Osserva inoltre il Duval che il vero peri­
colo da combattere, per Cromazio, era quello di Fotino
e che l’errore cui opporsi con maggiore energia era la
negazione della divinità piuttosto che dell’umanità di
Cristo57. Per questo il nome di Fotino ricorre in vari
luoghi dell’opera cromaziana, più attenta però alle af­
fermazioni cristologiche che alle tesi trinitarie elabo­
rate da quell’eretico.
Insomma da un’analisi dei luoghi cromaziani rela­
tivi alle dottrine eterodosse allora in voga, possiamo

53 J. Lemarié, Indagini..., cit., col. 167; Id., in SC 154,


55, n. 1. J. Zeiller, Les origines chrétiennes dans les provinces
danubiennes de l’empire romain, Parigi 1918, p. 344.
* Rufin. Hist. eccl. II, 15-16, PL X X I, coll. 523-525.
« Chrom. Tract. XXXV, 3, CCL IX A, p. 369.
* Id. Tract. X X II, 1, ibid., p. 300.
57 Y.M. Duval, Les relations..., cit., pp. 202-206.
24 Introduzione

rilevare che la cristologia di questo vescovo aquileiese


a cavallo tra il IV e il V secolo è assolutamente in linea
con ia tradizione cattolica e con la teologia occidenta­
le e che la divinità e l’umanità di Cristo sono affermate
a più riprese e in termini tutt’altro che ambiguiH.
Recentemente è stata la Cracco Ruggini59 a rile­
vare il significativo articolarsi della polemica croma-
ziana nello schema tripartito di una lotta contro giu­
dei, eretici e pagani, cioè contro quella triplice alleanza
anticattolica che si era profilata potenzialmente sotto
gli occhi del giovane Cromazio®.
In speciale contrasto con questi tre gruppi di nega­
tori della divinità di Cristo, Cromazio elabora la sua
cristologia e la sua ecclesiologia, fondando il mistero
della Chiesa sulla evangelica praedicatio e sul Nuovo
V erb o61. Ma, se nei suoi scritti la polemica articolata
è quella volta a combattere ariani e fotiniani, gli attac­
chi più virulenti sono rivolti — com e vedremo — con­
tro gli ebrei, nei confronti dei quali sembra addirittura
congelarsi l’esigenza missionaria generalmente avver­
tita da Cromazio come caratteristica intrinseca della
Chiesa in espansione62. Il S. 33 è l’unico luogo dell’omi-
letica cromaziana in cui affiori la polemica diretta con­
tro la religione dei pagani forse perché, com e Girola­
mo, anche il vescovo di Aquileia doveva ritenerla
ormai esaurita.

58 J. Lemarié, in SC 154, p. 62.


59 L. Cracco Ruggini, Il vescovo..., cit., pp. 375-379.
« Chrom. S. 28, 12-19, CCL IX A, p. 129.
61 Per la cristologia di Cromazio cf. Duval, Les relatìons...,
cit., pp. 198, 202.
62 L. Cracco Ruggini, Il vescovo..., cit., pp. 378-379.
Introduzione 25

4. La produzione oratoria di Cromazio: ispirazione biblica


e cultura retorica

L’ultima edizione dei Sermoni di Cromazio di Aqui­


leia, curata sempre dal Lemarié (CCL IX A), raccoglie
quanto finora i codici ci hanno restituito della predica­
zione del santo vescovo: vi sono complessivamente riu­
niti 43 testi, o meglio 45, considerando che i numeri 17
e 18 comprendono rispettivamente due Sermoni, 17 e
17 A, 18 e 18 A; parecchi di essi, com e dicevamo, sono
purtroppo frammentari (7, 13, 18 A, 20, 34, 35, 36, 37,
38, 39, 42, 43) e, anche se la mole di questo corpus è
modesta, non è poca la luce che ne viene alla storia
della Chiesa di Aquileia fra il IV e il V secolo sotto
l’aspetto dottrinale, liturgico, pastorale e sociale. Il pen­
siero di Cromazio è rivolto in modo speciale al mistero
di Cristo e della Chiesa, ma il suo insegnamento non
si sviluppa con metodo sistematico, guidato com ’è
dallo svolgimento dell’anno liturgico con le sue feste
e col ciclo delle letture fissate da una tradizione ancora
recente, che peraltro consentiva al vescovo una qual­
che libertà di scelta.
Nonostante ciò, il Lemarié è riuscito a tracciare un
quadro generale del pensiero cristologico ed ecclesio­
logico, da cui Cromazio attinge l’ispirazione e da cui
prende le mosse per la catechesi ordinaria del suo mi­
nistero, quale si riflette appunto nei Sermoni63. E se
il centro focale della sua riflessione teologica e il filo
conduttore dei temi affrontati è stato riconosciuto da
D. Corgnali64 nel mistero pasquale, o meglio nel Croci-

® J. Lemarié, in SC 154, pp. 62-81. Ci sono elementi anche


per tracciare alcune linee di una mariologia, cui sta atten­
dendo D. Fragiacomo.
64 D. Corgnali, Il mistero pasquale..., cit. G. Cuscito,
Crocifisso risorto in Cromazio di Aquileia, in « Aquileia chia­
ma», XXVI (1979), pp. 2-5.
26 Introduzione

fisso risorto, l’attenzione di tutti i Sermoni è rivolta


alla Scrittura. Su di essa Cromazio costruisce i suoi
discorsi e perciò rilevare la componente biblica dei
Sermoni, come ha fatto A. De Nicola65, significa andare
direttamente alla fonte della spiritualità cromaziana;
non si contano le espressioni di Cromazio da cui emerge
la certezza che nella parola della Bibbia è Dio che parla,
sia pur per tramite umano. Perciò l’unica autorità alla
quale egli costantemente si richiama è la Sacra Scrit­
tura in una delle versioni pregeronimiane della Vetus
Latina. Non solo i 30 Sermoni che potremmo chiamare
de Scriptura66, ma anche i 9 de tem pore67, i 4 de san-
ctis68 e i 4 de diversis69 che possiamo individuare sono
essenzialmente commenti alla Bibbia.
Se poi nella classificazione dei Sermoni usiamo il
criterio dell’Antico e del Nuovo Testamento, dobbiamo
concludere che solo 6 di essi70 trattano argomenti del­

65 A. De Nicola, La presenza della Bibbia nei Sermoni di


Cromazio, in «Aquileia Nostra», XLV - XLVI (1974-1975), coll.
701-716.
66 Quattro discorsi sono dedicati a personaggi biblici del-
l'Antico Testamento: Caino e Abele (S. 23), il patriarca Giu­
seppe (S. 24), Elia (S. 25), Susanna (S. 35). Ventisette discorsi
riguardano passi biblici tratti dai seguenti libri della Bibbia:
imo (S. 38) su Gen. 3, 21-23; imo (S. 9) su Sai. 13; undici (SS.
4, 5, 6, 10, 13, 19, 20, 37, 39, 40, 41) su Matteo; cinque (SS. 11,
14, 15, 18, 27) su Giovanni; sei (SS. 1, 2, 3, 29, 30, 31) sugli
Atti; uno (S. 12) su Rom. 14, 2; imo (S. 28) su 1 Cor. 9, 24.
67 Ascensione (S. 8); Vigilia di Pasqua (SS. 16 e 17); Pa­
squa (S. 17 A); Natale (S. 32); Epifania (S. 34); Passione (SS.
19, 20, 43); i Sermoni 19 e 20, come si vede, possono venir
classificati sia fra quelli de Scriptura sia fra quelli de tempore.
68 Su san Giovanni evangelista, di cui Aquileia venerava
le reliquie (SS. 21 e 22); su san Pietro (S. 42 dubbio); sui
martiri Felice e Fortunato (S. 7).
69 Per la dedicazione della chiesa di Concordia con pane­
girico degli Apostoli, di cui anche Concordia aveva ricevuto
in dono una porzione di reliquie (S. 26); suH’Alleluia (S. 33);
sul Pater noster (S. 40); frammento S. 36.
™ SS. 9, 23, 24, 25, 35, 38.
Introduzione 27

l’Antico Testamento contro 39 che si riferiscono al


Nuovo e a feste cristiane. Sebbene il rapporto sia del
tutto casuale e rispecchi la selezione che i Sermoni
subirono in seguito per un loro inserimento in breviari
e omiliari più che le preferenze bibliche di Cromazio,
certo è un dato di fatto la maggior frequenza di richia­
mi al Nuovo Testamento. Vero è che Cromazio aveva
grande dimestichezza con i testi biblici sia del Nuovo
che dell’Antico Testamento. Nei Sermoni infatti egli
passa dall’uno all’altro con una semplicità e con una
naturalezza che possono disorientare il lettore contem­
poraneo. « Era questa la conseguenza benefica del­
l’esegesi tipologica e allegorica, seguita comunemente
nell’epoca patristica e in seguito ancora per molti se­
coli, la quale faceva si che i due Testamenti si fondes­
sero in un’armoniosa unità: VAntico Testamento en­
trava di pieno diritto nel Nuovo, com e prefigurazione
di questo, e questo faceva appello all’Antico per rice­
vere conferma profetica » 71. Cromazio è assai vicino ad
Agostino, allorché con celebre definizione esprime il
rapporto tra le due « economie »: In veteri testamento
novum latet, et in novo vetus patet (Quaest. in evang.,
73). Di qui lo studio e la meditazione assidua di tutta
la Scrittura. Il Sermone 1 ha già in apertura una specie
di traccia della historia salutis e dimostra in modo
esemplare la concezione unitaria dei due Testamenti
tipica di Cromazio, ma anche la difficoltà di lettura
che tale metodo comporta per i lettori di oggi, a dif­
ferenza di altri Sermoni, come quelli pasquali ancora
freschi e stimolanti senza bisogno di mediazioni cul­
turali.
Tutti i Sermoni dunque, come si potrà constatare,
convergono sulla Scrittura, perché, a eccezione di al­
cuni, sono il commento del vescovo alla lectio liturgica

71 A. De Nicola, La presenza della Bibbia..., cit., col. 709.


28 Introduzione

della Bibbia: durante la predica egli è solito rammen­


tare ai fedeli la lettura biblica che hanno appena ascoU
tato con una frequenza che, secondo un’osservazione
del De Nicola, non si riscontra in nessun altro oratore
a lui contemporaneo. A tale scopo usa varie espres­
sioni, ma la formula da lui preferita è ut audivit di-
lectio vestra in praesenti lectione, che noi abbiamo pre­
ferito tradurre per lo più « come avete appena udito,
o carissimi, nella presente lettura ».
Una testimonianza autobiografica del suo ardore
nello studio della Bibbia, considerata com e « cibo »
e « pioggia », ci viene data dal commento all’episodio
della vedova cananea vessata dalla carestia prima che
Elia entrasse nella sua casa, nel Sermone 25. E forse
ancor più significativa al riguardo è la testimonianza
del Sermone 41: tenendo conto del pregio in cui era
considerato il guadagno in un grande emporio commer­
ciale com e Aquileia, Cromazio considera se stesso un
trafficante della parola di Dio, che egli deve far frut­
tare e con pressanti inviti, a imitazione dei mercanti
tante volte da lui intesi nelle piazze e forse anche in quél
giorno di mercato ad Aquileia, sollecita i presenti a
comperare e a possedere la merce comperata.
Se lo stile è l’uomo — osserva ancora il De Ni­
cola — noi immaginiamo il vescovo di Aquileia come
una persona piena di dolcezza, di buon senso, di grande
umanità e soprattutto di straordinaria interiorità. Ab­
biamo già ricordato l’alta stima in cui Girolamo te­
neva Cromazio e la sua famiglia, ma il migliore elogio
e la più convincente testimonianza della sua santità
sono i suoi scritti.
I suoi Sermoni risultano fra i testi più vivi e
belli che possediamo dell’antichità cristiana; non si
segnalano per profondità speculativa ma per la chia­
rezza e per la semplicità con cui egli espone ai suoi
fedeli le grandi verità cristiane e la necessità di vivere
Introduzione 29

secondo i principi professatin. Il Duval, come si dice­


va, nutre seri dubbi sull’indole filosofica e teologica
dell’opera cromaziana, carente di sviluppi o di discus­
sioni delle tesi eterodosse almeno per quanto ci resta,
ma ciò che in Cromazio ha il sopravvento è l’opera del
pastore, il suo insegnamento assiduo fondato stille mi­
gliori fonti quali Girolamo, Ilario, Ambrogio e Rufino
gli potevano offrire come interpreti e filtri della teo­
logia orientalelì. Forse sotto questo profilo non lo
eguaglia nessun oratore dell’antichità cristiana, men­
tre ai suoi Sermoni si applica pienamente l’ideale ora­
torio vagheggiato da sant'Ambrogio nel De officiis
(1, 101), quando raccomanda un’oratio pura, simplex,
dilucida atque manifesta, piena gravitatis et ponderis,
non adfectata elegantia, sed non intermissa gratia.
Putroppo siamo costretti a lamentare la mancanza
di documenti diretti sulla formazione intellettuale e
letteraria di Cromazio, che desidereremmo poter cono­
scere come quella di Girolamo e di Agostino74. Ma forse
non siamo lontani dal vero se supponiamo per il gio­
vane Cromazio un’educazione culturale di tipo clas­
sico ricevuta nelle scuole di grammatica e di retorica
conforme alle condizioni sociali della famiglia, che,
dalle notizie dell'epistolario geronimiano, possiamo ri­
tenere piuttosto agiate. La sua penna non tradisce la
sua formazione retorica, se teniamo conto che la sem­
plicità e l’immediatezza del suo linguaggio sono frutto
di una precisa scelta formale coerente con le finalità
catechetiche dei suoi scritti. Già il Fontanini75 rilevava
molto opportunamente per quel poco che poteva allora
conoscere: « Cromazio non ha uno stile sublime ma
piano, proprio, uguale, ornato e non mai volgare, quale

« Ibid., coll. 701-702.


73 YM . Duval, Les relatìons..., cit., pp. 192-194, 232-234.
74 A. De Nicola, La presenza della Bibbia..., cit., col. 702.
75 I. Fontanini, Historiae literariae Aquileiensii libri V,
Roma 1742, p. 144.
30 introduzione

appunto conviene a un vescovo che parla al suo popolo.


La frase è scelta e netta, il ragionamento adatto all’ar­
gomento trattato »; meno attendibile è invece quando
afferma che « le spiegazioni sono rivolte specialmente
ai costumi e letterali, perché a queste, piuttosto che
alle allegoriche, pare abbia badato ». Al contrario — co­
me ci si potrà convincere attraverso la lettura dei
Sermoni — è prevalente in Cromazio l’importanza data
all’allegoria e all’interpretazione mistica o spirituale:
qui egli si mostra emulo di Ilario e di Ambrogio e tri­
butario dell’esegesi alessandrina illustrata soprattutto
da Origene, di cui Rufino traduceva fra il 403 e il 405,
proprio ad Aquileia, le Omelie sulla Genesi, sull’Esodo,
sul Levitico, sui Giudici e su Giosuè76. Nell’ambito di
questa impostazione « può acquistare un peso diverso
il ricorso frequente da parte di Cromazio alla simbo­
logia, al ricco repertorio dei bestiari, che egli piega ad
applicazioni originali valide sul piano religioso-cristia­
no, attraverso le Scritture » 77.
La riflessione sul mistero celeste non gli impedisce
di richiamare l’attenzione dei suoi ascoltatori ai pro­
blemi essenziali della salvezza, del bene e del male,
senza però mai abbandonarsi a un moralismo ecces­
sivo: Cromazio sa che deve persuaderli attraverso una
esemplificazione e una casistica ricche e svariate, de­
sunte sempre dall’esperienza viva di ogni giorno e da
una fresca osservazione della natura. Perciò il suo lin­
guaggio non è mai astratto, ma al contrario si avvale

76 J. Lemarié, Indagini..., cit., col. 168.


77 S. Tavano, Sulle nuove omelie di Cromazio di Aquileia,
in MSF, XLVI (1965), p. 141. Cf. G. Trettel, Terminologia
esegetica nei Sermoni di san Cromazio di Aquileia, in Rev.
des Étud. August., X X (1974), pp. 55-81; Id., « Figura » e « Ve-
ritas» nell’opera oratoria di san Cromazio 'vescovo di Aqui­
leia, in « La Scuola Cattolica », CII (1974), pp. 3-23. A. Quac-
quarelli, Convergenze simboliche di Aquileia e di Ravenna,
in AAAd, X III (1978), pp. 378-388.
Introduzione 31

di immagini, di paragoni familiari adatti a fermare l'at­


tenzione dei subi uditori: cosi, per esempio, l’esegesi
di Deut. 22, 6 con la chioccia e i suoi piccoli ( S. 1);
il contrasto fra il corvo e la colomba con i loro rispet­
tivi significati (S. 2 ); il racconto particolarmente vivo
della fame di san Pietro (S. 3 ); il comportamento della
pernice (S. 6 ); la descrizione delle nozze (S. 10); il
paragone del banchetto (S. 12); la descrizione della
primavera (S. 17) e cosi di seguito. Allo stesso modo
riesce sempre a trovare delle sentenze ben calcolate
nella ricerca dei vocaboli, nell’uso dell’anafora con
form e di parallelismo antitetico o sinonimico, nello
studio del ritmo e persino della rima, che dovevano
essere di effetto sull’animo degli ascoltatori. Anche da
qui può venire una conferma alla formazione gramma­
ticale e retorica di Cromazio, di cui il De Nicola ha
voluto studiare i mezzi sintattici, stilistici e retorici
che contraddistinguono il suo stile specie in riferi­
mento ai proemi dei suoi Sermoni™.
Se i Sermoni e i Trattati non ci danno la misura
delle sue cognizioni letterarie, non credo che questo
vada addebitato alla supposta ignoranza degli Aquile-
iesi, quanto piuttosto al genere stesso della sua pro­
duzione, votata al commento della Parola di Dio e al­
l’edificazione dei fedeli nel rifiuto di qualsiasi remini­
scenza di autori pagani. Ne sono prova anche i discorsi
di Agostino a confronto con la sua produzione di mag­
gior impegno letterario. L’aridità e l’inerzia di un udi­
torio culturalmente impreparato infatti avrebbe do­
vuto sconsigliare al vescovo non solo certe allusioni
ai classici ma anche quei continui richiami all’Antico
Testamento per completare gli schemi talora complessi
dell’interpretazione allegorica e tipologica delle Scrit­
ture che prevedevano una cultura biblica non comune.
Farebbe eccezione a questa linea programmatica

78 A. De Nicola, Osservazioin sui proemi..., cit., pp. 191-205.


32 Introduzione

un passo del Sermone 23, in cui Cristo è designato


com e l’« agnello purpureo» ( agnus purpureus ) secon­
do una formula presa ultimamente in esame da C. E.
Chaffinw. Stabilito che per Cromazio tale espressione
manca di senso sacrificale rispetto a un testo di Ci­
priano, ritenuto fra le sue possibili fonti, e che comun­
que si tratta di una citazione in cui è trasmesso un
preciso significato (Recte autem purpureus agnus
Christus dominus intelligitur: « Giustamente Cristo
Signore è immaginato com e un agnello vestito di por­
pora »), lo Chaffin pensa che nella formula di Croma-
zio un ascoltatore colto avrebbe potuto riconoscere
un’allusione alla IV Egloga, dove Virgilio80 parla della
trasformazione della natura nella rinnovata età del­
l’oro grazie alla nascita di un bambino straordinario.
Risulta invece in m odo evidente l'ampiezza della
cultura ecclesiastica di Cromazio dalla citata lettera di
Girolamo (Ep. VII, 6), che gli attribuisce santità di
vita ma anche solida dottrina teologica capace di confu­
tare i sofismi degli eretici. I suoi scritti attestano indi­
rettamente la conoscenza di Tertulliano, di Cipriano,
di Ilario, di Ambrogio, di Girolamo e di Rufino, anche
se non cita mai nessuno di loro in quanto l'ordine del
discorso non lo richiedeva. L’unica autorità alla quale
il vescovo di Aquileia si richiama costantemente è
— com e dicevamo — la Scrittura.
Essa risulta l’unico fondamento dei suoi discorsi
e perciò egli si preoccupa solo di stabilire la stretta di­
pendenza fra il testo biblico letto e il suo sermone. Egli
avvia le sue esposizioni con un commento letterale del
testo sacro, ma non si ferma a quello per non amputare
la Parola di Dio di altre dimensioni essenziali, convinto

79 C. E. Chaffin, Christus imperator. Interpretazioni de


IV Egloga di Virgilio nell'ambiente di Sant’Ambrogio, in Riv.
di St. e Lett. relig., V ili (1972), pp. 517-527.
“ Verg. Ecl. JV, 4245.
Introduzione 33

com ’è che tutto VAntico Testamento sia figura e annun­


cio del Nuovo, il quale trova poi compimento nel mi­
stero della Chiesa. Perciò, dopo una spiegazione del
senso letterale ( secundum. litteram) del brano biblico
ch’era stato letto, Cromazio passa alla spiegazione del
senso spirituale ( spiritalis intellegentia, sensus spirita­
lis, ratio mentis, mens spiritalis, ecc.), attirando spesso
Vattenzione degli ascoltatori con le espressioni: « Ma
considera il mistero », « Ma consideriamo ora il mi­
stero della presente lettura » e simili, oppure anche
aprendo un dialogo col suo uditorio a cui rivolge delle
domande per concentrarne meglio l’attenzione: « Vuoi
sapere, vuoi conoscere...? — Ascolta... ». Il significato
letterale infatti si afferra più facilmente, mentre il senso
spirituale sfugge alle coscienze superficiali, e tuttavia
è proprio il senso spirituale che rivela la misteriosa
armonia e la complementarità fra i due Testamenti e
apre l’intelligenza al disegno di Dio sull’umanità, rea­
lizzato nella Chiesa e di cui deve essere testimonianza
la vita di ogni cristiano. Sempre a questo proposito
ricorre l’uso frequente dei verbi « predire, mostrare,
adempiersi » riferiti a testi e a fatti della Bibbia, in
quanto il Padre compie il mistero celeste in una suc­
cessione di tempi e di modi che costituiscono l’econo­
mia della salvezza: figura, sacramentum e veritas sono
infatti i tre momenti del mysterium anche ultimamente
rilevati da G. Trettel nella teologia di Cromazio81: la
figura è cosa avvenuta realmente nella storia della sal­
vezza come anticipazione di un evento che il Signore
avrebbe compiuto, dandogli tutta la consistenza che è
la veritas, ma trasmettendo tutto questo ancora sotto
un segno che è il sacramentum.
I fatti che la Scrittura riferisce vanno presi innan­

81 G. Trettel, « Figura » e « Veritas »..., cit.; Id., Mys


rium..., cit., con ree. di R. Carletti, in « Vita Nuova » (Trieste),
18 maggio 1979, p. 10.
34 introduzione

zi tutto nel loro significato letterale, accaduti cosi come


sono riferiti dall’agiografo. Solo a questa condizione,
salvata cioè la storicità degli avvenimenti, è possibile
e necessario scendere più addentro alla ricerca del
senso più profondo e nascosto de//'intellegentia spiri-
talis, o come diremmo noi oggi del « senso cristiano
integrale ». Quello che non si poteva intendere in tutte
le sue implicanze quando la figura assumeva la sua
consistenza storica, diventa chiaro nella realizzazione
del Nuovo Testamento. Anche Cromazio, come gli scrit­
tori cristiani a lui contemporanei, passa con molta li­
bertà e disinvoltura dalla lettera al senso spirituale,
da cui si lascia prendere spesso la mano fino ad avver­
tire la necessità di pazientare e di riprendere il primo
senso, quello secundum litteram (S. 15). Con ciò non
intendiamo affermare che ogni sua interpretazione sia
da sottoscrivere, mentre preferiamo lasciare a lui la
responsabilità di certe asseverazioni. Si vuol dire piut­
tosto col Trettel che questa lettura della Bibbia è una
lettura aperta e vitale e che lo Spirito Santo, dopo aver
ispirato gli agiografi, continua a parlare per mezzo dei
vescovi, « occhi della Chiesa » m.
Dopo una « sommaria presentazione dei ricchis­
simi contenuti » di un « autore presso che del tutto
ignoto », nel congedare la sua recensione al volume del
« Corpus Christianorum » (IX A) che raccoglie appun­
to /'opera omnia di Cromazio, il Trettel esprimeva un
auspicio col desiderio di vederlo presto tradotto in
realtà: una dignitosa versione italiana che consentisse
una conoscenza molto più vasta dell’autore che non
sia quella che permette un'edizione critica in testo la­
tino originale; « non ne dovrebbe perdere in efficacia,
ma guadagnarne in estensione » ®. Ebbene mi è capi­
tato di leggere tale augurio proprio mentre andavo

82 G. Trettel, «F igu ra» e «V eritas »..., cit., p. 15.


83 Id., L’« opera omnia»..., cit., p. 154.
Introduzione 35

curando la traduzione dei Sermones per i tipi della


Città Nuova Editrice: non so se sono riuscito a con­
servare l'efficacia del testo latino e al tempo stesso
produrre una versione italiana agile e presentabile a
un vasto numero di lettori. Certo sono persuaso che,
pur nello sforzo di rispettare la fedeltà del testo, si
stemperano inevitabilmente quél formulario tipico del­
l'esegesi cromaziana, di cui il Trettel è stato felice inda­
gatore, e quelle modulazioni della prosa immediata e
spontanea di Cromazio.
L'edizione a cui mi sono attenuto è quella più
recente del « Corpus Christianorum », senza trascurare
quella delle « Sources Chrétiennes » per le note criti­
che e illustrative del Lemarié, di cui mi sono largamen­
te giovato per alcuni riferimenti puntuali.
Mi sia consentito di concludere con un vivo ringra­
ziamento al P. J. Lemarié, al mio professore, Mons. G.
Corti, e al collega A. De Nicola, larghi di suggerimenti
e consigli.
Cromazio di Aquileia
CATECHESI AL POPOLO
(SERMONI)
Sermone 1 - SUGLI ATTI DEGLI APOSTOLI,
DOVE PIETRO GUARISCE UNO STORPIO

1. La Legge e i Profeti1 non solo hanno annun­


ciato a parole la venuta nell'umiltà del Signore e Sal­
vatore nostro, ma lo hanno anche fatto vedere con
segni esemplari. Cosi, tra gli altri simboli che prefigu­
rano la realtà futura2, fu scritto nella Legge che, se
un viandante trova lungo il proprio cammino un uc­
cello sul nido dei suoi piccoli, può portar via i piccoli
ma deve lasciare la m adre3. Quello di prendere i pic­
coli lasciando la madre che ne potrebbe generare ancora
di altri pare un comando assai giusto in relazione alle
circostanze e al senso letterale del passo. Ma, stando
all’interpretazione allegorica, tale precetto indicava
piuttosto un celato evento futuro, che avvertiamo chia­
ramente attuato nella venuta di Cristo.
2. Nel viandante di cui parlava la Legge infatti,

1 La Legge e i Profeti: binomio consueto al Nuovo Testa­


mento per indicare riassuntivamente l'Antico; cf. Mt. 5, 17;
7, 12; Atti, 13, 15; Roma, 3, 21; l'espressione si ritrova sovente
negli autori cristiani.
2 Tutto l'Antico Testamento è un grande sacramento, una
prefigurazione delle realtà future della nuova alleanza. L’espres­
sione futura veritas si legge in Cipriano, Ep. 63, 5. Cf. H. de
Lubac, Exégèse médiévale, I, 2, Parigi 1959, p. 506, n. 8. G. Tret-
tel, Mysterium e Sacramentum in S. Cromazio, Trieste 1979.
3 Deut. 22, 6.
40 Cromazio di Aquileia

era prefigurato il Signore, ohe, per mettersi nel cam­


mino della vita umana, prese carne da una vergine.
Ebbene, quando il viandante cosi qualificato e di tanta
grandezza compì questo viaggio terreno nel corpo del
nostro essere umano e trovò nel nido l'uccello coi suoi
piccoli, cioè la sinagoga con i suoi figli sul nido della
Legge, prese i piccoli e lasciò la madre. Separò infatti
gli Apostoli dalla sinagoga per portarli dal nido della
Legge nella casa della sua Chiesa, onde leggiamo nel
salmo: Per sin l’uccellino trova una casa e la rondinella
il suo nido, dove porre i suoi pulcini4. Per casa è da
intendere la Chiesa, per nido la sinagoga, in quanto il
nido è una dimora provvisoria allo stesso m odo della
sinagoga, che temporaneamente ha avuto la grazia
finché ha tenuto con sé nel nido anche i piccoli, cioè
i Profeti e gli Apostoli. Ma quando le furono tolti da
Cristo e dati alla sua sposa, cioè alla Chiesa, la sina­
goga rimase come un nido abbandonato.
3. Questo abbiamo voluto dire perché, pur ess
do innumerevole la moltitudine del popolo ebreo
quando Cristo si fece carne, ben pochi hanno creduto.
Che ciò sarebbe accaduto, anche Isaia lo aveva mo­
strato all’evidenza, dicendo: Fosse pure il tuo popolo,
o Israele, numeroso quanto l’arena del mare, solo un
residuo di tanti sarà salvato5. Col termine residuo egli
intendeva indicare gli Apostoli stessi o quanti del
popolo ebreo hanno creduto al tempo degli Apostoli,
di cui avete sentito parlare, miei cari, nella presente
lettura6. Infatti, quando con Pietro e Giovanni mostra­
rono un segno manifesto della potenza divina in quel
noto storpio, quel giorno, dicono gli Atti, hanno cre­
duto cinquemila uomini7. Questi segni prodigiosi, que-

« Sai. 83, 4.
s Is. 10, 22.
« Atti, 3, 1-4, 4.
i Atti, 4, 4.
Sermone 1 41

sti cinquemila uomini il Signore stesso li aveva prean­


nunciati, dicendo per bocca del Profeta: Ecco me e ì
discepoli che Dio mi ha dato. Il Signore degli eserciti
compirà prodigi nella casa d’Israele sul monte Sions.
Quali dovevano essere questi prodigi, lo stesso Profeta
ce lo indica, dicendo in seguito: Allora si apriranno gli
occhi ai ciechi e si schiuderanno le orecchie ai sordi e
lo zoppo salterà come un cerv o9. Tale profezia noi la
riscontriamo avverata in questo storpio che mai aveva
potuto camminare dal seno materno.
4. Ma, se guardiamo più a fondo, nello zoppo p
siamo vedere prefigurate anche realtà più recondite.
Questo zoppo infatti fu guarito mentre stava alla porta
del Tempio detta la Bella10 e teneva fisso lo sguardo
su Pietro e Giovanni. Noi pure eravamo veramente clau­
dicanti prima di giungere alla conoscenza di Cristo,
perché zoppicavamo fuorviando dalla strada del bene,
non già con i passi materiali del corpo ma piuttosto
con quelli dello spirito11. Chi infatti è lontano dalla
strada del bene, dalla strada della verità, costui, anche
se ha piedi e gambe normali, è da ritenere totalmente
zoppo perché sono il suo spirito e la sua anima a zop­
picare. Non ci si mette infatti sul cammino della fede
e della verità con le gambe del corpo, ma piuttosto
con i passi del proprio spirito. Finora siamo andati
certamente zoppicando lontani dalla via della giusti­
zia, dal momento che ignoravamo la strada vera della
salvezza e della vita, Cristo Signore. Giunti alla Porta
Bella del Tempio e volto lo sguardo con fede agli Apo­
stoli di Cristo, allora si sono stabilizzati i passi della

* Is. 8, 18.
» Is. 35, 5-6.
10 Si tratta della porta detta anche di Nicàmore sul lato
orientale del Tempio, dov'era il portico di Salomone, porta
che, secondo Giuseppe Flavio (Guerra, V, 5, 3), era più delle
altre ricca di ornamenti di bronzo, d’argento e d’oro.
11 Espressioni simili sono ricorrenti in Ambrogio.
42 Cromazio di Aquileia

nostra anima, cosi che non zoppichiamo più sui sen­


tieri dell'iniquità ma camminiamo a passi regolari sulla
via del bene. Siamo giunti, o piuttosto siamo stati con­
dotti dal Cristo alla Porta Bella del Tempio, dove si
solevano portare gli storpi per essere evirati. Ora la
Porta Bella del Tempio è la predicazione del Vangelo
che orna di una bellezza spirituale il tempio di Dio,
cioè la Chiesa. In essa vengono rimessi in buona salute
quanti sono deboli nell’intelletto e claudicanti nel
volere.
5. Insamma, la Porta Bella del Tempio accog
uno zoppo ma lo restituisce integro, proprio com e la
predicazione del Vangelo accoglie gli storpi e i malati
che le vengono portati, restituendoli integri e sani.
Vuoi sapere qual è questa Porta Bella? Ascolta le
parole di Davide nel salmo: Apritemi, egli dice, le porte
della giustizia, voglio entrarvi e ringraziare il Signore.
E aggiunge: Questa è la porta del Signore, i giusti en­
treranno per essa 13. Nella Legge e nei Profeti, è detto
che sono molte le porte; ma tutte queste conducono a
un'unica porta, cioè alla predicazione del Vangelo,
ohe è la vera porta di Cristo. In effetti, attraverso la
Legge e i Profeti, si giunge alla predicazione del Van­
gelo, detta propriamente porta del Signore appunto
perché ci apre l'ingresso al regno dei cieli. Ascolta il
patriarca Giacobbe quando indica la stessa cosa nella
Genesi: Giacobbe, vista una scala fissata dalla terra al
cielo e il Signore in cima ad essa, disse: Ecco la casa
del Signore, ecco la porta del c ie lo 1*. La predicazione
evangelica è la porta del cielo, perché ci schiude la
strada che sale al regno dei cieli. E il Signore e Salva­
tore nostro ha aperto per primo questa porta con la

12 La praedicatìo evangelica o la doctrina apostolica


un tema ricorrente in Cromazio.
« Sai. 117, 19-20.
» Gen. 28, 12-13.
Sermone 1 43

chiave della sua risurrezione. Per questo egli è risorto


nel suo corpo e col suo corpo è salito ai cieli, per aprirci
con la sua ascensione la porta del cielo, che era chiusa
e sprangata per tutti fino al momento della sua risur­
rezione.
6. La via è dunque aperta grazie alla risurrezione
di Cristo. Cosi non senza ragione il patriarca Giacobbe
riferì di aver visto là dove egli si trovava una scala
la cui sommità toccava il cielo e il Signore in cima ad
essa. La scala fissata dalla terra al cielo è la croce di
Cristo u, mediante la quale ci è dato l’accesso al cielo
e che conduce realmente fino in cielo. Su questa scala
sono fissati molti gradini di virtù attraverso i quali
ci eleviamo al cielo: così la fede, la giustizia, la castità,
la santità, la pazienza, la pietà e tutte le altre buone
virtù formano i gradini di questa scala, che, se sapremo
salirvi fedelmente, ci porteranno senza dubbio al cielo.
Ora questa scala simboleggia a buon diritto la croce
di Cristo. Infatti, come i gradini sono tenuti fra due
montanti, così anche la croce di Cristo si innesta fra i
due Testamenti, avendo in sé i gradini dei precetti cele­
sti per mezzo dei quali si sale al cielo.
7. Voi, carissimi, avete anche udito nella presente
lettura quali furono la carità e l'unanimità dei credenti
al tempo degli A postolilé: La moltitudine dei credenti,
dicono gli Atti, era di un cuore solo e di un'anima
sola e neppure uno chiamava sua propria cosa alcuna,
ma avevano tutto in com une17. Questo è credere vera­

15 Anche Giustino (D i a i 86, 2) e Ireneo {Dimostrazione


della Predio. Apost., 45) stabiliscono una relazione tra la croce
e la scala di Giacobbe.
16 Per mi analogo sviluppo, cf. l'ultima parte del S. 32.
L’espressione unanimitas credentium è presa da Cipriano
(De cath. eccl. unitate, 25). H. Pétré, Caritas. Étude sur le
vocabulaire latin de la charité chrétienne, Lovanio 1948, p. 329.
Si vedano anche i Sermoni 31 e 33.
17 Atti, 4, 32.
44 Cromazio di Aquileia

mente in Dio, questo è vivere fedelmente alla presenza


del Signore. Perché dovrebbero tenere divisi tra sé i
beni della terra coloro ohe possiedono in comune i
beni del cielo? Cosi, quando vediamo dei nostri fra­
telli18 nell'indigenza, massimamente se sono cristiani,
dobbiamo mettere volentieri quasi in comune le nostre
sostanze per poter essere in comunione coi santi e con
gli eletti di Dio, di cui la Sacra Scrittura ci fa sapere
che erano un cuor solo e un'anima sola e per poter
avere così la nostra parte nel regno dei cieli. Amen.

18 II concetto di fraternità è esteso a tutti gli uomini


quanto hanno lo stesso creatore e padre; cf. H. Pétré, Caritas...,
cit., pp. 124-133.
Sermone 2 - SUL BRANO DEGLI ATTI
DEGLI APOSTOLI CHE PARLA DI SIMON MAGO

1. Nel Vangelo il nostro Salvatore dice molte cose


per edificare in noi la fede. Dice, tra l’altro: II regno
dei cieli è simile a un padre di famiglia che aveva semi­
nato del buon seme nel suo campo. Or mentre gli uo­
mini dormivano, un tale venne, vi sparse sopra della
zizzania e se ne andò 1 con quel che segue. Qui dunque
il Signore e Salvatore nostro chiama se stesso padre
di famiglia: con questo appellativo egli vuole mostrare
la sua grande disposizione di amore per noi, dal mo­
mento che si presenta non solo come capo della sua
famiglia, ma anche come padre. Con tale nome di padre
di famiglia in effetti egli si presenta e, se l'appellativo
di signore incute timore, quello di padre dispone al­
l'amore. Ciò stesso il Signore indica apertamente quan­
do dice per mezzo del Profeta: Se io sono Signore,
dov'è il timoroso rispetto dovutomi? E se sono Padre,
il mio onore d ov'è?2. Egli si proclama signore affinché
10 temiamo, padre, invece, perché lo amiamo.
2. Questo padre di famiglia dunque semina in noi
11 buon grano, cioè la parola della fede e della verità,
che sparge nei solchi della nostra anima con l’aratro

1 Mt. 13, 24-25.


2 Mal. 1, 6.
46 Cromazio di Aquileia

della sua croce3, affinché la giustizia metta in noi radici


e ci faccia produrre frutti degni di fede. Ma, per contro,
il nemico vi sparge sopra la zizzania, cioè il seme del
male e dell'incredulità. E chi siano coloro sui quali il
nemico può spargere un tale seme, ci viene chiaramente
indicato. Mentre gli uomini dormivano, dice il Van­
gelo, proprio allora il nemico sparge la zizzania fra
quanti trova addormentati, cioè sorpresi dal sonno
dell'infedeltà; ma quanti sono vigilanti nella fede non
può abbindolarli. Così già Adamo, nel cui animo il
Signore aveva seminato per la prima volta il buon seme,
mai avrebbe potuto soccombere al nemico, se fosse
stato attento ai precetti del Signore. Ma, trovatolo ad­
dormentato, cioè preso dal sonno della negligenza, il
nemico subito gettò sopra di lui la zizzania, in modo
che Adamo portasse frutti di morte anziché frutti
di vita.
3. Tale confronto abbiamo proposto per la p
sente lettura, perché, quando il Signore ebbe seminato
ovunque per mezzo dei suoi Apostoli la parola di veri­
tà e di fede, il diavolo per contro gettò la zizzania sopra
individui degni di lui. Infine avete udito, carissimi,
nella presente lettura come Simon Mago, dopo che
fu seminata in lui la parola di Dio, accolse il seme del
diavolo. Simone, com e indica il testo della presente
lettura, aveva inteso la predicazione di Filippo, aveva
creduto ed era stato battezzato nel nome di Cristo;
ma subito il diavolo fece di lui imo strumento di per­
dizione. Infatti, come avete appena sentito o carissimi,
quando Simone ebbe visto donare lo Spirito Santo con
l'imposizione delle mani degli Apostoli a chi era stato
battezzato4, offri loro, raccontano gli Atti, molto de­
naro, dicendo: Concedete anche a me questo potere

3 Sull’aratro figura della croce, cf. J. Daniélou, Les sym-


boles chrétiens primitifs, Parigi 1961, pp. 95-107.
4 Atti, 8, 9-18.
Sermone 2 47

che a chiunque io imponga le mani riceva lo Spirito


Santo. Ma Pietro disse a lui: Vada il tuo argento con
te in perdizione, poiché hai pensato di acquistare con
denari il dono di D io5.
4. Gli Apostoli in effetti non erano portatori
dono di Dio come merce da vendere. Essi riscattavano
il m ondo intero col sangue di Cristo e non era loro
lecito in nessun m odo ricevere denaro materiale in
cambio della grazia di Cristo, per mezzo della quale
essi elargivano ai credenti i tesori del cielo. Era stato
detto loro nel Vangelo: Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date6. Se quanti ricercano gli onori e le
dignità di questo mondo divengono dei notabili, [...]
in che m odo gli Apostoli potevano mettere in vendita
l’onore che veniva loro dalla grazia del cielo e che essi
avevano ricevuto gratuitamente?7. Cosi assai giusta­
mente Pietro disse a Simone: Vada il tuo argento con
te in perdizione, poiché hai pensato di comperare col
denaro il dono di Dio. Non c’è parte né sorte per te
in queste cose*. E sebbene questo medesimo Simone
si fosse reso indegno della grazia celeste, anzi colpe­
vole del crimine più grave, tuttavia san Pietro gli addita
il cammino per ricuperare la salvezza. Aggiunse infatti:
Pentiti dunque di questa tua malvagità e prega il Si­
gnore e fa’ in modo che ti sia perdonato il proposito
del tuo cuore; ché io ti veggo tra i lacci dell’iniquità e
pieno d’amaro fiele9. Per parte sua il santo Apostolo,
preoccupato che nessuno perisse, indicò a Simone il
cammino della salvezza. Costui, invece, fu talmente
accecato dallo spirito della sua fede depravata10, che

s Atti, 8, 18-20.
« Mt. 10, 8.
7 II testo è lacunoso e non consente di cogliere l'ord
delle idee.
* Atti, 8, 20-21.
» Atti, 8, 22-23.
10 II termine latino è perfidia, che Cromazio usa con acce-
48 Cromazio di Aquileia

non solo non si penti di un crimine tanto grave ma


ne commise anche di altri in seguito contro gli Apo­
stoli e la Chiesa del Cristo, come ci informano le testi­
monianze storiche a suo riguardo.
5. Sappiamo come il corvo, già fatto uscire
l’arca di Noè per la sua perdizione, sia immagine di
questo Simone. Costui era stato accolto nell'arca di
Noè, cioè nella Chiesa del Cristo u, quando credette e
fu battezzato. Ma, dopo il battesimo, egli non si lasciò
trasformare dalla grazia di Cristo e fu gettato fuori a
sua perdizione, come persona indegna. Infatti quel­
l'arca di Noè, ohe è la Chiesa non può trattenere den­
tro di sé tali individui. Essa aveva accolto anche Giuda
Iscariota, ma poiché non meritò di venir trasformato,
o piuttosto perché volle rimanere come un corvo nel
nero dei suoi peccati, fu gettato fuori della barca degli
Apostoli, come fuori dell’arca di Noè, e peri nel dilu­
vio della morte eterna. Pertanto preghiamo il Signore
Gesù che nessuno di noi sia trovato corvo nella Chiesa
del Signore e, gettato fuori, perisca. Corvo è infatti
ogni impuro, ogni pagano, ogni eretico che non merita
di stare nella Chiesa di Cristo. Tuttavia, se qualcuno
di noi è ancora corvo nel suo cuore, cosa che io non
credo, preghi il Signore di cambiarlo da corvo in co­
lomba, cioè di purificarlo se è immondo, di renderlo
credente se è miscredente, casto se è impudico, catto­
lico se è eretico. Di un corvo Dio può fare una colomba,

zioni diverse con riferimento ai Giudei, agli eretici e ai pagani.


Per i Giudei si tratta di mancanza di fede proprio in chi
dovrebbe credere; nel caso degli eretici si tratta di una falsa
fede, e nel caso dei pagani si tratta di empietà; cf. H. de Lubac,
Exégèse..., cit., II, 1, pp. 153 ss.
11 L’arca come tipo della Chiesa si ritrova già in Cleme
di Roma (9, 4) e in Giustino (Diai., 138-139); ricorre poi in
Ireneo, Ippolito, Origene, Tertulliano (De bapt., 8); Cipriano
(Ep. 69, 2; 75, 15) ed è familiare ad Ambrogio, Gregorio d’El-
vira, Gaudenzio di Brescia, Agostino; cf. J. Daniélou, Mysterium
futuri, Parigi 1950, pp. 80 ss.
Sermone 2 49

lui ohe — com e è scritto n — ha cambiato l'acqua in


vino e dalle pietre ha fatto sorgere figli ad Abramo.
Non possiamo infatti restare nella Chiesa di Cristo
che alla sola condizione di diventare colombe nello
spirito.
6. Inoltre la colomba, non appena fatta uscire dal­
l'arca, subito vi fece ritorn o13; così chi è colomba nel
suo spirito non si allontana dalla Chiesa del Cristo.
Vuoi sapere chi il Signore trasforma da corvo in colom­
ba? Poni mente al famoso ladrone crocifisso assieme
al Signore: egli era corvo tutto nero di peccati. Ma
dopo aver confessato Cristo sulla stessa croce, da corvo
divenne colomba, cioè da immondo puro, da bestem­
miatore confessore, da ladrone del diavolo martire
della Chiesa. Vuoi dunque, o uomo, essere colomba?
Sii nella Chiesa del Signore senza il fiele della catti­
veria, sii senza l’amarezza del peccato e sarai chiamato
a buon diritto colomba del Signore: la colomba infatti
è per natura senza fiele e senza amarezza14. Ma se al
contrario rimani nella impurità della carne o nel nero
dei peccati come un corvo, anche se ti mascheri all’in-
terno della Chiesa, tu ne sei fuori. Agli occhi degli uo­
mini sembrerai esserne dentro, ma agli occhi di Dio,
cui nulla sfugge, risulti esserne fuori. Cancelliamo dai
nostri cuori dunque ogni macchia di peccato, ogni
impurità della carne, ogni amarezza di cattiveria per
meritare di essere veramente nell'arca di Noè, cioè
nella Chiesa di Cristo, e affinché si dica di noi ciò che
è scritto: Chi sono costoro che volano come nubi e
vengono a me come colom be coi loro piccoli? 15.
7. Infine tra queste colombe venne a trovarsi an-

“ Gv. 2, 1 ss.; Mt. 3, 9.


Gen. 8, 10-11.
14 Cf. Tertulliano, De bapt., 8, 3. Tale caratteristica fi
logica della colomba doveva essere una credenza comune pres­
so gli antichi.
“ Is. 60, 8.
50 Cromazio di Aquileia

ohe l'eunuco, di cui avete sentito parlare, o carissimi,


nella presente lettura16. Questi era venuto a Gerusa­
lemme e se ne tornava seduto sul suo cocchio leggendo
il profeta Isaia. E — raccontano gli Atti — lo Spirito
disse a Filippo: Vai innanzi e accostati a quél cocchio.
Filippo si avvicinò, rimase presso il cocchio e disse
all'eunuco: Credi tu forse di capire quél che leggi?
L'eunuco rispose: Come lo potrei se non c ’è nessuno
che mi spieghi queste Scritture?11. E, sedutosi presso
di lui, Filippo gli spiegò la Scrittura profetica che leg­
geva e lo istruì minutamente intorno al Signore Gesù
Cristo. E mentre Filippo lo evangelizzava, quell'eunuco
subito credette e gli disse: E cco dell’acqua, che cosa
impedisce che io sia battezzato? Gli rispose Filippo:
Se credi, ciò è possibile. E disse: Credo nel Signore
Gesù Cristo. E scesero entrambi nell’acqua e Filippo
lo battezzò18.
8. Dunque questo eunuco fu scelto in quanto
lomba, mentre Simon Mago fu respinto in quanto
corvo: uno infatti ha creduto di tutto cuore e con
tutta la sua fede, l'altro invece si è accostato al batte­
simo con animo dubitoso19 e del tutto diffidente. Perciò
l'uno fu accolto e l'altro gettato fuori; l'uno approvato,
l'altro condannato. Ora, poiché anche noi siamo stati
chiamati alla conoscenza di Dio e alla grazia di Cristo,
dobbiamo credere a Cristo con tutto il cuore e con tutta
la nostra fede per non venir condannati con gli inde­
cisi e con i miscredenti20, ma per meritare di essere
accolti da Cristo Signore nella gloria futura con i santi
e con gli eletti di Dio. Amen.

“ Atti, 8, 9-25, 2640.


« Atti, 8, 29-31.
18 Atti, 8, 36-38.
19 L'espressione dubia mente usata da Cromazio si ritrova
in Cipriano (De éleemos. 11).
20 Si allude ad Ap. 21, 8.
Sermone 3 - SUL CENTURIONE CORNELIO
E SU SIMON PIETRO

1. Avete udito, carissimi, come fosse pio e ti


rato di Dio il centurione Cornelio, il quale, sebbene an­
cora pagano, digiunava e pregava assiduamente ‘ . Per­
ciò come ha ricordato la presente lettura non senza
ragione meritò di vedere nella sua casa l’angelo del
Signore che gli disse: Cornelio, le tue orazioni sono
state esaudite e le tue elemosine sono ascese, in tua
memoria, al cospetto di D io 2. Ma non so se qualcuno
di noi meriterebbe di sentire simili parole da un angelo,
noi che non attendiamo né al digiuno, né alla pre­
ghiera, né all'elemosina3. È stato da poco prescritto
un regolare digiunò, ma pochi hanno digiunato. Si viene
in chiesa, ma si attende più alle chiacchiere e agli affari

1 Atti, 10, 1-2.


2 Atti, 10, 4.
3 II classico trinomio, digiuno, preghiera, elemosina, si
ispira a Mt. 6, 2-18; cf. anche Tob. 17, 8. Secondo il Quacqua-
relli (Convergenze simboliche di Aquileia e di Ravenna, in
AAAd, X III, 1978, p. 377) il Crisologo svilupperà ima tesi sul
digiuno che in Cromazio è forse implicita: tale tesi sostiene,
in linea con la tradizione evangelica e alimentata dal Pastore
di Erma, che il digiuno serve per destinare all'indigente — ve­
dova, orfano, infermo — la spesa del vitto; non c'era posto
fra i cristiani per chi fosse ozioso e cercasse di sfruttare gli
altri. « È ancora tutta da studiare questa parte che viene a
svelare la grande forza sociale del digiuno oltre quella ascetica ».
52 Cromazio di Aquileia

terreni ohe all’orazione. I poveri lamentano povertà


e bisogni, ma non si pratica nessuna elemosina. E poi
ci meravigliamo se dobbiamo soffrire tribolazioni di
ogni sorta, mentre abbiamo il cuore indurito per ogni
verso. Poniamo rimedio dunque alla nostra negligenza
e ritorniamo al Signore con tutta l'anima. Osserviamo
il digitino, attendiamo alla preghiera e all'elemosina,
per meritare di sentire anche noi ciò che l’angelo ha
detto a Cornelio: Le tue orazioni sono state esaudite e
le tue elemosine sono ascese, in tua memoria, al
cospetto di Dio.
2. Forse alcuni dicono di non poter digiunar
causa del loro stom aco4. Ma è forse a causa dello sto­
maco che non si può fare l'elemosina? Fai l'elemosina
e compenserai il digiuno. Prega assiduamente, purifica
il tuo cuore e ciò ti si conterà come digiuno. Ma se
non fai niente di tutto ciò, come puoi pensare di essere
senza peccato, o come puoi credere che il Signore ti
lodi, dal momento che non ascolti il comandamento del
Signore? L'angelo dice dunque a Cornelio: Le tue ora­
zioni sono state esaudite e le tue elemosine sono asce­
se, in tua memoria, al cospetto di Dio. Se vogliamo dun­
que che il Signore ascolti le nostre preghiere, dobbiamo
avvalorarle con le buone opere e con le elemosine,
come fece anche san Cornelio5, che meritò di essere
esaudito dal Signore. Eppure san Cornelio, quando
attendeva assiduamente alla preghiera, era ancora
pagano; infatti non aveva ancora creduto a Cristo.
Pienamente felice ci viene presentato questo Corne­
lio, che ha adempiuto ai precetti di Cristo prima ancora
di aver creduto a lui! Tale conveniva che fosse colui

4 Tale obiezione doveva essere ricorrente; cf. Agostino,


S. 210, 12.
5 Cromazio, come in seguito Cesario di Arles, si compiace
di indicare col titolo di sanctus i personaggi della Bibbia,
sia dell'Antico che del Nuovo Testamento. Ambrogio e Ago­
stino invece si segnalano per maggior sobrietà al riguardo.
Sermone 3 53

che, venuto dal paganesimo, per primo credette a


Cristo.
3. Questo Cornelio, il Signore lo aveva già mostra­
to in figura a san Pietro nel Vangelo, al punto in cui
gli dice: Va’ al mare, getta l’amo, prendi il primo pesce
che verrà su, aprigli la bocca, vi troverai uno statere6.
Ciò riscontriamo chiaramente avvenuto in questo Cor­
nelio. Egli fu infatti il primo pesce che salì dal mare
verso l'amo di Pietro, poiché fu il primo dei pagani a
credere durante la predicazione di Pietro. L'amo sim­
boleggia la predicazione della parola divina, che san
Pietro ebbe l’ordine di gettare nel mare del mondo
pagano. A questo amo Cornelio ebbe la fortuna di ab­
boccare per primo; infatti, come ho già detto, egli fu
il primo pagano a credere a seguito della catechesi di
Pietro. Infine, prima che fosse preso da Pietro, nella
sua bocca fu trovato imo statere: anche prima di cre­
dere, egli osservava la giustizia di Dio secondo la legge
naturale, poiché onorava Dio con i suoi digiuni, con le
sue preghiere e con le sue elemosine.
4. Dunque, mentre questo santo Cornelio onorava
Dio con tanta fedeltà ancora prima di conoscere la
fede, Pietro — dicono gli Atti — era a Joppe, ospite di
Simone il conciatore7. E circa l’ora sesta8 Pietro sali
sul terrazzo a pregare. Mentre pregava fu preso da
fame improvvisa e fu rapito in estasi. Vide allora di­
scendere dal cielo un recipiente come un lenzuolo tutto
bianco annodato ai quattro capi; dentro vi erano ogni
specie di quadrupedi, di rettili, di bestie feroci e di vola­
tili del cielo. E venne a lui una voce che diceva: Levati,
Pietro, uccidi e mangia. Ma Pietro disse: Non sia mai,
Signore, ché nulla ho mangiato mai di profano e d’im­
puro. E la voce di nuovo a lui: Ciò che Dio purificò tu

« Mt. 17, 26.


i Atti, 10, 5-6.
* Il mezzogiorno.
54 Cromazio di Aquileia

non dirlo profano. Questo accadde per tre volte e il


recipiente fu ritirato in cielo. Ed ecco che gli uomini
inviati da Cornelio erano giunti alla casa di Simone
e domandavano se U fosse ospite Pietro. Intanto lo Spi­
rito disse a Pietro: Scendi e va’ con loro senza punto
esitare, perché io stesso li ho mandati9. Ora il Signore
fece questa rivelazione a Pietro perché Cristo stava per
chiamare tutti i pagani alla sua grazia, e affinché Pietro
non tenesse per impuri e indegni i pagani che crede­
vano, essendo stati più numerosi i Giudei nell'inosser­
vanza della Legge che non i pagani di ogni nazionalità
nel peccare contro la Legge da essi ignorata. E non
era certo lecito che la venuta di Cristo giovasse alla
salvezza dei soli Giudei, dal momento che il Creatore
del mondo e il Signore deH’universo ha voluto soffrire
per salvare l'intero genere umano e donargli la vita:
la morte di Cristo infatti è stata la redenzione del
mondo intero10.
5. Ma consideriamo ora le circostanze di que
rivelazione e la sua portata misteriosa. Non senza mo­
tivo ci viene riferito che Pietro, all'ora sesta era salito
sulla terrazza per pregare. Forse che san Pietro non
poteva pregare all'intemo della casa in cui si trovava?
O era forse tanto impaziente di mangiare da soffrire
la fame mentre pregava alla sesta ora, lui che digiu­
nava assiduamente? In fatti di tal genere si cela un si­
gnificato spirituale e misterioso. Ma cerchiamo di ana­
lizzare i singoli punti. San Pietro per pregare, salì
sull'alto della casa. In alto evidentemente perché con
la sua fede cercava le cose di lassù. Non poteva stare
in basso lui che viveva nei cieli, secondo quanto dice
l'Apostolo: La nostra patria è nei cielin. Ascolta il Si­
gnore stesso indicarci ciò nel Vangelo, quando dice:

» Atti, 10, 9-20.


10 Interessa rilevare l’insistenza sulla portata universale
della redenzione operata da Cristo; cf. S. 12.
“ Fil. 3, 20.
Sermone 3 55

E chi è sul tetto non scenda a prendere alcunché nella


sua casa n. Sul tetto si trova colui ohe vive rivolto alle
cose di lassù e ai margini della vita di questa terra.
A questi il Signore dice di non scendere dal tetto nella
casa, cioè di non abbandonare la vita del cielo per ritor­
nare a quella della terra, cioè all’attaccamento per la
vita presente, alla concupiscenza della carne, all’avi­
dità dei beni mondani.
6. Pietro, mentre si trovava dunque sulla terraz
all'ora sesta, cominciò a sentir fame. Evidentemente,
come la lettura stessa fa intendere, Pietro non aveva
punto fame di alimenti materiali, ma di quell'alimento
che è la salvezza dell'uomo, perché la salvezza dei cre­
denti è il cibo dei santi13. Inoltre, quando ebbe fame,
era l'ora sesta e Pietro non doveva certo aver fame
in alcun altro momento come a quell'ora: all'ora sesta
infatti fu crocifisso il Signore grazie al quale gli Apo­
stoli cominciarono ad aver fame della salvezza degli
uomini. Pietro dunque sentiva fame non già pensando
a un cibo materiale ma piuttosto alla salvezza delle
anime ohe credono a Cristo. E ciò mostra chiaramente
il seguito dello stesso brano. Pietro infatti vide subito
un telo calato dal cielo simile a un lenzuolo tutto bianco
annodato ai quattro capi; esso conteneva ogni specie
di quadrupedi, di rettili, di bestie feroci e di uccelli.
E venne a lui ima voce che diceva: Levati, Pietro, uc­
cidi e mangia. Il telo che Pietro vide venire giù dal
cielo simboleggia la Chiesa, che scende veramente dal
cielo come dice Giovanni nell’Apocalisse: E vidi scen­
dere dal cielo la Gerusalemme nuova14. Questo conte­
nitore è sostenuto ai quattro capi, perché la predica­
zione del Vangelo, su cui si fonda la Chiesa, si presenta

u Mt. 24, 17.


13 Lo stesso concetto è espresso con termini affini nel
S. 68 di Massimo di Torino. Per il simbolismo collegato alla
fame degli Apostoli, cf. Ilario, In Matth., 12, 2; 21, 6.
« Ap. 21, 2.
56 Cromazio di Aquileia

sotto quattro aspetti1S. La sua bellezza si presenta


come un lenzuolo brillante per il suo candore, poiché
candida e splendente è la Chiesa di Cristo che possiede
lo splendore del paradiso e la purezza del battesimo
salutare16. Pietro raccontò di aver visto in questo ricet­
tacolo varie specie di animali, cioè quarupedi, bestie
feroci, rettili e uccelli del cielo, perché la Chiesa di
Cristo accoglie i credenti che vengono a lei da ogni
razza umana. Eravamo infatti per l’addietro quadru­
pedi 17, perché siamo vissuti su questo mondo come
dei quadrupedi senza tener conto della nostra salvezza
e con gli occhi rivolti non al cielo ma alla terra. Erava­
m o bestie feroci, perché rapivamo i beni altrui e infie­
rivamo nel sangue degli innocenti mordendo come
belve con i denti della cattiveria e della ingiustizia.
Eravamo anche serpenti, perché la nostra lingua stil­
lava inganno e veleno. Eravamo anche uccelli, perché
vagavamo di qua e di là con animo incostante.
7. Ma che fu detto a Pietro? Sorgi, disse la vo
uccidi e mangia. Non possiamo dunque essere ritenuti
cibo salutare se non moriamo alla vita passata. Altri­
menti sarebbe ridicolo e vano credere che il Signore
abbia ordinato a Pietro di mangiare serpenti e bestie
feroci, o che san Pietro abbia avuto con sé tuia spada
materiale! San Pietro aveva certo con sé una spada,
ma divina, cioè lo Spirito Santo con cui gli fu ordinato
di ucciderci. Questa spada infatti, cioè lo Spirito Santo,

15 II messaggio evangelico, su cui si fonda la Chiesa,


viene chiamato da Cromazio con l'espressione quadripertita
pra.edica.tio evangelii, che ricorda da vicino analoga defini­
zione di Origene (In Ioh., 5, 7): « Un solo evangelo, pur attra­
verso quattro scritti », oppure quella di sant'Ireneo (Adv.
haer., Ili, 11, 8) che parla di quadriforme evangelium; cf. an­
che Agostino, In Ioh., 36, 1; 118, 4. Per il simbolismo del
numero quattro, cf. H. de Lubac, Exégèse..., cit., II, 2, pp. 26-32.
16 Per l’espressione baptismum salutare, cf. S. 10 e S. 15.
17 Per lo stesso paragone, cf. Ambrogio, De Spir. Sancto,
II, 109.
Sermone 3 57

farà morire in noi, col suo taglio affilato, l'asprezza


della cattiveria, gli appetiti della carne e del sangueIS,
se però meritiamo di morire al mondo grazie a ima
tale spada al fine di poter vivere per Dio.
8. Infine, quando Pietro esclamò: Non sia m
Signore, ché nulla ho mangiato mai di profano e
d’impuro, ima voce venuta dal cielo gli disse: Ciò che
Dio purificò tu non dirlo profano19. Infatti quando
veniamo alla Chiesa di Cristo, la fede, la grazia e la
sua misericordia ci purificano da ogni impurità. E il
telo calato dal cielo per tre volte vi risalì per restarvi;
infatti noi non possiamo venir lavati e purificati dai
nostri peccati che per il m istero della Trinità. Nel nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ci è donata
la grazia del battesimo che ci purifica da ogni macchia
di peccato20. Poiché dunque riconosciamo la grande
misericordia che ci è stata usata da essere stati chia­
mati a una grazia tanto grande nonostante la nostra
indegnità, dobbiamo vivere con pietà e giustizia alla
presenza di Cristo. Così, quando egli verrà nella sua
gloria, non ci troveremo con i peccatori e con gli empi
ma potremo ricevere, con i suoi santi e con i suoi eletti,
le promesse del regno dei cieli e la ricompensa della
vita eterna. Amen.

M Per l'azione purificatrice e liberatrice dello Spirito, Cro­


mazio ricorre qui all’immagme della spada, nel S. 15 invece
a quella del fuoco. £ opportuno rilevare che l'immagine della
« spada » per simboleggiare lo Spirito e la parola di Dio ricorre
in Ef. 6, 17 e in Ebr. 4, 12.
» Atti, 10, 14-15.
20 II fatto che nella visione di Pietro quella sorta di l
zuolo sia disceso e salito al cielo per tre volte richiama a Cro­
mazio il rito battesimale, quando nella notte di Pasqua, la
nox magna, anche i catecumeni scendevano e salivano per tre
volte il fonte mentre erano invocate le tre persone della Tri­
nità. Sulla potenza della triplice invocazione, cf. Origene,
Hom. V II in Levit., 4; Hom. V ili, 11; Ambrogio, De Spir.
Sancto, II, 105.
Sermone 4 - SUI TRAFFICANTI CACCIATI
DAL TEMPIO

1. Entrato il Signore e Salvatore nostro nel T


pio dei Giudei e trovati dei venditori di pecore, di
buoi, di colom be e dei cambiavalute seduti al banco
che vi praticavano un commercio illecito, come avete
udito carissimi nella presente letturai, fece ima sferza
di funi, cacciò tutti e rovesciò i banchi dei venditori
dicendo: La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne
avete fatto un luogo di affari2. I Giudei dimenticarono
l'onore e la fede dovuti a Dio e fecero del Tempio un
luogo di affari; perciò furono tutti cacciati e cacciati
precisamente con una sferza di funi. Quale sia il signi­
ficato di tale sferza di funi, Salomone lo indica con
chiarezza quando dice: Una corda triplice non si rompe
facilm ente3. La triplice corda simboleggia indubbia­
mente la Trinità: essa non si può rompere così com e è
incorruttibile la fede della Trinità4. Sono stati spesso
gli eretici5 a sforzarsi, per quanto stava in loro, di cor­
1 Gv. 2, 13-15.
2 Mt. 21, 13; Gv. 2, 16.
3 Sir. 4, 12.
4 Per questa interpretazione trinitaria dello spartum tri-
plex, cf. Origene, Hom. IX in Exod., 3; Gregorio d’Elvira,
Tract. S. Script. 12; Ambrogio, In Lue. X , 12.
5 Si tratta degli ariani e dei semi-ariani contro cui Cro-
mazio aveva usato il suo zelo pastorale già prima dell’epi­
scopato.
60 Cromazio di Aquileia

rompere questa fede, ma non sono riusciti che a cor­


rompere sé stessi. È necessario invero che la fede nella
Trinità si conservi incorrotta e perciò Salomone disse
giustamente: Una corda triplice non si romperà.
2. Con tale sferza di funi dunque sono cacciati dal
Tempio tutti quelli che agiscono contro la Legge: in­
fatti quanti vivono in m odo illecito non sono condan­
nati da alcun altro tribunale che da quello della Tri­
nità. Perciò furono rovesciati i banchi dei venditori di
colombe, che, seduti ai loro scanni, si davano l’aria
d'insegnare al popolo quasi fossero insigniti della di­
gnità sacerdotale6. Furono dunque rovesciati i seggi
della sinagoga affinché i seggi della Chiesa fossero san­
tificati nel Cristo. Infatti la dignità sacerdotale è stata
tolta alla sinagoga e trasferita alla Chiesa. La sinagoga
non meritava di possedere la dignità sacerdotale, essa
che non ha accolto il Cristo Signore, capo e principio
del sacerdozio7. Ma stiamo attenti e guardiamoci di
non essere fra quelli che vendono pecore, buoi o co­
lombe nel Tempio del Signore. È venditore di pecore
chi giudica l’innocenza in base al denaro, venditore
di buoi chi distribuisce la grazia di Dio a prezzo di
denaro *, mentre sta scritto: Gratuitamente avete rice­
vuto, gratuitamente date9. Perciò è ancora possibile
vedere i cambiavalute rovesciati nel Tempio, per lo
meno quelli che ritengono di dover prestare il servizio
di Dio a pagamento.
3. Certo anche la Chiesa può essere detta luogo
di affari, ma di affari spirituali10, dove non si presta
6 I banchi dei venditori del Tempio indicano la dignità
sacerdotale sinché in Ilario (In Matth. 21, 4); cf. M. Simo-
netti. N ote sul Commento a Matteo di Ilario di Poitiers, in
«Vetera Christianorum», I (1964), p. 47.
7 L'espressione pregnante princeps sacerdotii è pecu­
liare di Cromazio.
8 Cromazio allude ai ministri della Chiesa.
9 Mt. 10, 8.
10 Cromazio non dimentica di parlare ai fedeli che vivono
Sermone 4 61

ad usura denaro di quaggiù ma denaro del cielo, dove


non si guadagna alcun interesse del denaro di questa
terra ma il godimento del regno dei cieli. Perciò leg­
giamo questa parola del Signore nel Vangelo: Perché
non hai portato anche tu il denaro ai banchieri cosi
che al mio ritorno io potessi esigerlo con gli interessi? u.
Ogni giorno la Chiesa del Signore ci presta a interesse
il denaro della Parola divina, la dottrina celeste e si
può dire che la mettiamo bene a frutto se la riconse­
gniamo al Signore col profitto della salvezza e della
fede. Gli Apostoli alla fine dei conti hanno concluso
tanti affari con questo denaro, da aver guadagnato a
Dio il mondo intero.
4. Quando il Signore e Salvatore nostro ebbe c
ciato dal Tempio tutti quelli che si comportavano ille­
citamente, i Giudei presero a dirgli, come avete sentito
0 miei cari: Quale portento ci fai tu vedere per agire
cosi? Rispose loro Gesù: Distruggete pure questo tem­
pio ed entro tre giorni io lo ricostruirò u. Gli replica­
rono i Giudei: Questo Tempio fu fabbricato in quaran­
tasei anni e tu in tre giorni lo ricostruirai? E aggiunge
l'Evangelista: Egli però parlava del tempio del suo
c o r p o 13. Quanto grande l'incredulità o piuttosto l'osti­
nazione dei Giudei! Essi avevano sotto i loro occhi dei
segni celesti e dei miracoli divini, eppure esigevano
un segno dal Signore. Era stato forse un segno insi­
gnificante il fatto che una vergine avesse partorito, che
1 pastori, nel natale del Signore, avessero udito la
voce delle schiere celesti che cantavano e avessero ado­
rato il Signore fanciullo in una mangiatoia, che una
nuova stella fosse stata mostrata dal cielo ai Magi?
Ma una volta nato, il Signore mostra loro ancora un

in un grande emporio commerciale qual era Aquileia nel


sec. IV.
u Mt. 25, 27.
12 Gv. 2, 18-19.
« Gv. 2, 20-21.
62 Cromazio di Aquileia

segno premonitore della sua risurrezione dicendo:


Distruggete questo Tempio di Dio ed entro tre giorni
10 lo ricostruirò. Ma, mentre il Signore aveva inteso
parlare del Tempio del suo corpo, i Giudei pensarono
ch’egli avesse parlato del Tempio di pietra. Nulla di
sorprendente, in verità, se i Giudei pensarono che que­
ste parole del Signore si riferissero al Tempio di pie­
tra, visto che avevano un cuore totalmente pietrificato.
11 Signore però non intendeva parlare del Tempio di
pietra, bensì del Tempio del suo corpo. In realtà il
corpo di Cristo è propriamente il Tempio di Dio, per­
ché lo stesso Dio Onnipotente14 si è degnato di inabi­
tarvi. Inoltre si dice che furono impiegati quarantasei
anni per costruire il Tempio, perché il nome di Adamo
secondo l’alfabeto greco forma il numero quaranta-
sei 1S. Questo Tempio, distrutto al momento della pas­
sione, il Signore lo ricostruì dopo tre giorni, poiché
il terzo giorno egli risuscitò col suo corpo, vincitore
della m orteló.

14 L’espressione Domìnus maiestatis usata qui e altrove


da Cromazio, si ritrova in Ilario, De Trinit. V ili, 6; IX , 3;
In Matth., 3, 4. Cf. inoltre Sai. 28, 3.
15 Cf. anche Agostino, In Ioh. 10, 12.
16 II contesto lascia intravedere che si tratti di un Ser­
mone pasquale.
Sermone 5 - SULLE PAROLE DEL SIGNORE:
« BEATI I POVERI DI SPIRITO »

1. Per dare ai suoi discepoli la benedizione del


cielo, il Signore salì con loro la montagna. Ciò riferi­
sce il presente brano del Vangelo: Gesù, racconta il
Vangelo, sali la montagna con i suoi discepoli e sten­
dendo le mani sopra di loro diceva: Beati i poveri di
spirito, perché di essi è il regno dei cieli con quel che
segue1. Non è senza motivo che il Signore e Salvatore
nostro abbia dato la benedizione ai suoi discepoli su
tuia montagna: non in pianura, ma su un monte; non
in basso, ma in alto. Pertanto, se vuoi ricevere anche
tu le benedizioni celesti dal Signore, sali sulla monta­
gna, cioè cammina verso la vita di lassù e riceverai a
buon diritto la benedizione che desideri. Viceversa, se
le tue azioni e la tua vita sono legate a questa terra,
non potrai ricevere la benedizione dal Signore; perciò
non senza ragione è stato scritto: È un Dio di monta­
gne e non di valli2.
2. Certamente Dio è il Dio di ogni luogo e di ogni
creatura, perché è lui che ha creato e fatto ogni cosa.
Ma sono di una grande profondità spirituale queste
parole del Profeta, secondo cui Dio è un Dio di monta­
gne e non di valli. Egli invero si degna di essere il Dio

1 Mt. 5, 1 s.
2 1 Re 20, 28.
64 Cromazio di Aquileia

di quelli che, grazie ai loro meriti, si elevano come


montagne verso le altezze e le regioni superiori, cioè
il Dio di tutti i santi. Sono montagne i patriarchi, mon­
tagne i profeti, montagne gli Apostoli, montagne i mar­
tiri 3. Il nostro Dio si presenta com e Dio di tutti questi
santi. Perciò leggiamo queste parole del Signore: Io
sono il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Gia­
cobbe. E aggiunge: Non è il Dio dei morti, ma il Dio
dei vivi4. Al contrario egli rifiuta di essere il Dio delle
valli, cioè degli uomini peccatori e senza fede, che,
come valli, sono affossati in bassifondi. Gli empi e i
peccatori, infatti, non meritano che il nostro Dio sia
detto loro Dio, di cui disprezzano o ignorano la fede
e la conoscenza. Secondo la potenza della sua divinità,
egli è Dio di ogni creatura, poiché è il creatore di tutto;
ma secondo il suo favore e la sua grazia, egli si pre­
senta come il Dio di coloro che custodiscano i suoi
comandamenti e la sua fede.
3. Inoltre questa montagna su cui il Signore
donato le benedizioni ai suoi discepoli prefigurava la
Chiesa, paragonabile appunto a una montagna per il
fatto che la sua vita è rivolta verso l'alto e com e ima
grande montagna schiaccerà la terra, cioè la vita ter­
rena, non con il carico della pietra ma sotto il peso
della santità. Vuoi la conferma che la montagna è pro­
priamente la figura della Chiesa? Ascolta la Sacra
Scrittura che dice: Chi può salire al monte del Si­
gnore? dal momento che non solo gli uomini ma anche
le bestie selvagge possono salire a simili monti di que­
sta terra. Ma essa parla propriamente della montagna
del Signore, della montagna del cielo, cioè della santa
Chiesa: alle sue vette di fede e di vita celeste non arri­
vano che i beati. A tale monte si sale infatti non con
gli sforzi del corpo ma con la fede ddl'anima.

3 La stessa enumerazione in Ilario (Tract. in Ps. 96, 9).


* Mt. 22, 32.
Sermone 5 65

4. Pertanto rimaniamo sempre su questa monta­


gna 5 con l'elevazione della nostra fede e con una con­
dotta secondo lo spirito per meritare di ricevere dal
Signore queste benedizioni del Vangelo in cui si dice:
Beati voi poveri di spirito, poiché vostro è il regno dei
cieli6 e quanto segue. Sono poveri di spirito coloro
che non si lasciano gonfiare da alcun orgoglio di sug­
gestione diabolica, da alcun fermento di cattiveria,
ma custodiscono con la fede l'umiltà dello spirito; cer­
tamente sono poveri di spirito coloro che si guardano
dalle ricchezze di questa terra, dalle brame del mondo
e da ogni preoccupazione materiale. Il Signore mostra
che costoro sono appunto beati, col dire: Beati voi
poveri di spirito, poiché vostro è il regno dei cieli.
Essi sembrano poveri agli occhi del mondo, ma sono
ricchi agli occhi di Dio. Non hanno potere su questa
terra, ma possiedono la felicità del cielo; non godono
delle ricchezze di questo mondo, ma ricevono le ric­
chezze del regno dei cieli e i tesori dell’immortalità
senza fine. Del resto che il regno dei cieli appartenga
a loro, il Signore lo dichiara col dire: Beati voi poveri
di spirito, poiché vostro è il regno di Dio. Beata povertà
ricolmata da un dono così grande! Di essa si sono glo­
riati per primi gli Apostoli, i quali hanno preso pos­
sesso delle ricchezze celesti.
5. Perciò, se siamo poveri in questo mondo, non
rattristiamoci, poiché anche i santi Apostoli furono
poveri su questa terra. Vuoi da povero diventare ricco,
o piuttosto essere ricco anche nella miseria? Cerca
di essere giusto, pio, buono, caritatevole e avrai presso
Dio grandi ricchezze, che né il fisco, né i ladri e nem­
meno la morte potranno strapparti. Abbiamo dunque
grandi ricchezze messe da parte in cielo se osserviamo

s Sai. 23, 3.
« Mt. 5, 3.
66 Cromazio di Aquileia

i comandamenti del Signore e se conserviamo la fede


nel Cristo: queste sono ricchezze eterne. Ascolta che
cosa dice il profeta Tobia a suo figlio: Noi, figlio mio,
siamo in povertà, ma avrai ogni bene se temerai D io 1.
Temiamo dunque Dio di tutto cuore per meritare di
possedere ogni bene.

i Tob. 4. 23.
Sermone 6 - SUL VANGELO SECONDO MATTEO,
DOVE SI DICE: « L'OCCHIO È LA LUCERNA
DEL CORPO... »

1. Dopo aver istruito i suoi discepoli con abbon­


danti e divini insegnamenti *, il Signore e Salvatore
nostro disse nella presente lettura, come avete sentito,
miei cari: L'occhio è la lucerna del corpo. Quindi, se
il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato;
se poi il tuo occhio è offuscato, tutto il tuo corpo sarà
nelle tenebre. La lucerna del corpo sta a indicare le
facoltà dell’anima e la fede del cuore. Se questa fede
è in noi chiara e luminosa, essa illumina senza dubbio
tutto il nostro corpo. Proprio per questo la lucerna
si pone com e simbolo della fede, per il fatto che, come
la lucerna illumina i passi di chi cammina nella notte
per evitargli di cadere in qualche buca o d’inciampare
in qualche ostacolo, cosi nella notte di questo mondo
la luce della fede illumina ogni passo della nostra vita
affinché, guidati dalla luce della verità, non cadiamo
nelle fosse del peccato o non inciampiamo negli osta­
coli del diavolo. Così Giuda Iscariota, che non ebbe in
cuore la lucerna della fede, non tardò a cadere nella
fossa della morte eterna e, anziché raggiungere il Si­
gnore della vita, consegui il castigo della morte.
2. Perciò il Signore prosegue: Se il tuo occhio è
offuscato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Offu­

i Mt. 6, 22-23.
68 Cromazio di Aquileia

scato è l'occhio di chi ha un animo depravato e ima


fede perversa; costoro camminano nelle tenebre, non
nella luce. Di loro dice Giovanni nella sua lettera:
Chi odia il suo fratello è nelle tenebre e nelle tenebre
cammina, e non sa dove va perché le tenebre ne hanno
accecato gli occhi. Invece chi ama il suo fratello rimane
nella luce, come lui stesso è nella lu ce2. Inoltre nel­
l'occhio del corpo, più prezioso di tutti gli organi, pos­
siamo vedere simboleggiato anche il capo della Chie­
sa 3: se in lui la fede risplende e la sua condotta è spec­
chiata, egli illumina senza dubbio l’intero corpo della
Chiesa. Se, al contrario, egli è maestro depravato ed
eretico, è chiaro ohe, con l'esempio della sua vita e della
sua fede aberrante, può rendere tenebroso il corpo
intero. La luce della verità e della fede non può infatti
risplendere in mezzo a un popolo presso il quale le
tenebre dell'errore abbiano fatto calare la notte di
ima fede corrotta.
3. E non a torto il Signore aggiunge nella p
sente lettura: Nessuno può servire a due padroni;
poiché o odierà l'uno e amerà l’altro, ovvero si attac­
cherà all’uno e disprezzerà l'altro4. E ancora: Non
potete servire a Dio e a Mammona. In questo passo
egli ci indica due padroni, Dio e il diavolo; ma il vero
padrone è Dio; il diavolo è un falso padrone. Quanto
è la distanza tra il vero e il falso, altrettanto è distante
un padrone dall'altro. Il vero padrone è il creatore
della natura; quello falso è il diavolo sovvertitore della
natura. L'uno è autore della salvezza, l'altro della per­
dizione. L'uno guida gli uomini al cielo; l’altro li ina­
bissa neU'inferno; l'uno trascina l'uom o alla morte,
l'altro lo riscatta e lo fa vivere.

2 1 Gv. 2, 10-11.
3 L'espressione di Cromazio rector ecclesiae (capo della
Chiesa) designa il vescovo.
* Mt. 6, 24.
Sermone 6 69

4. Dio è certamente il signore di tutto, poiché da


lui è stata creata ogni cosa ed egli stesso esercita il
suo dominio su tutto per diritto della sua potenza e
in virtù della sua natura; tuttavia egli si compiace di
essere prima di tutto il padrone di chi osserva e custo­
disce fedelmente i comandamenti del Signore e Dio.
Il diavolo invece è riconosciuto padrone solo di quelli
che, allontanati dal vero Dio e Padre, ha sottomesso al­
l'orribile schiavitù del peccato e su cui domina con
empia potestà servendosi di un diritto perverso. Per
questo m otivo dunque il diavolo è detto padrone in
senso perverso; e non a torto il Profeta lo chiama
anche pernice5. Ciò infatti è scritto: La pernice gri­
derà e raccoglierà pulcini non partoriti da lei; ma al­
l'ultimo dei giorni essi Vabbandoneranno ed alla fine
sarà stolta6. Ma dobbiamo sapere perché il diavolo è
detto pernice. La pernice, cioè il volatile della nostra
terra, attira con grida seduttrici i piccoli di altri uccelli
e si gloria dei pulcini altrui come se fossero propri.
Ma, quando gli stessi piccoli cosi sedotti riconoscono la
voce dei loro veri genitori, abbandonano la loro falsa
madre e seguono la vera. Cosi anche noi eravamo stati
sedotti con voce insinuante dal diavolo, nostro falso
padre; ma non appena abbiamo riconosciuto la voce
di Dio, nostro vero Padre, grazie alla predicazione del
Vangelo, allora abbiamo abbandonato il diavolo, nostro
falso padre, per seguire Dio, Padre vero ed eterno.
5. Vi è un’altra ragione per chiamare il diavolo
pernice. Quando la pernice scorge qualcuno da lon­
tano, si ricopre di foglie per non essere veduta. Cosi
anche il diavolo nasconde il pungiglione della sua mali­

5 Geremia 17, 11 è interpretato allo stesso modo da F


strio di Brescia, Diversarum haereseon liber, praefatio (CCL
IX, 217); da Ambrogio, Exameron, VI, 3, 13; Ep. 32, 2 e dal­
l’autore dell’Opus imperfectum in Matthaeum, omelia 20
(PG LVI, 744).
« Ger. 17, 11.
70 Cromazio di Aquileia

zia quasi sotto il fogliame, affinché l'uomo non scopra


troppo facilmente il suo inganno. Perciò l'Apostolo
dice: Non ignoriamo le sue macchinazioni7. Dunque,
com e il diavolo si dimostra falso padre, cosi si dimo­
stra anche falso padrone, perché si rivela seduttore
nell’imo e nell’altro caso. Ma, infelice queU'anima che
segue un tale padre e un padrone simile. Chi segue
un simile padrone non è degno di avere Dio com e vero
padrone. Perciò il Signore dice nel Vangelo: Non po­
tete servire a Dio e a Mammona. Se dunque attendiamo
alle opere di bene8, se obbediamo ai comandamenti
divini, abbiamo certamente Dio come Signore, perché
ci assoggettiamo alla sua volontà. Ma se al contrario
ci lasciamo andare alle opere d’iniquità, alla lussuria,
all'avarizia, all'impudicizia, alla fornicazione, ci sotto­
mettiamo al dominio del diavolo e rendiamo infrut­
tuosa la passione di Cristo, che ci ha liberato dall'in­
giusto potere del diavolo. Ma il Signore tenga ciò lon­
tano da noi, affinché non passiamo dal potere di Cristo
a quello del diavolo, dal momento che proprio per
questo il Figlio di Dio si è degnato di soffrire e di
morire in croce per noi, per strapparci all'empio po­
tere del diavolo. Perciò dobbiamo servire fedelmente
in tutto l'autore della nostra vita e della nostra sal­
vezza per meritare di giungere al dominio del regno
dei cieli. Amen.

i 2 Cor. 2, 11.
8 Opera iustitiae in Cipriano indica le opere di cari
cf. H. Pétré, Caritas..., cit., p. 246; lo stesso vale per Croma-
zio, cf. S. 11. In questo caso specifico però l’accezione è più
larga: si tratta della pratica delle virtù cristiane in generale,
come risulta dal contesto.
Sermone 7 (frammento) - PER LA FESTA
DEI SANTI FELICE E FORTUNATO

Oggi celebriamo la nascita al cielo dei santi mar­


tiri Felice e Fortunato, che, per il loro glorioso marti­
rio, sono l'ornamento della nostra città...1.

1 Per l’intero problema agiografico connesso al marti


dei due santi vicentini nella città di Aquileia e per l'impor­
tanza del frammento cromaziano, cf. G. Cuscito, Cristiane­
simo..., cit., pp. 93-97.
Sermone 8 - PER L’ASCENSIONE

1. La solennità di questo giorno porta in sé un


dono festivo non trascurabile. Infatti in questo qua­
rantesimo giorno dopo la risurrezione, come avete udi­
to, o carissimi, nella presente lettura1, il Signore e
Salvatore nostro è asceso al cielo col suo corpo in pre­
senza dei suoi discepoli e sotto i loro occhi. Una nube
lo sottrasse agli sguardi attoniti dei suoi discepoli,
come riferisce la presente lettura, e così è asceso al
cielo. La nube accorse per onorare Cristo, non per
aiuto ma per deferenza a Cristo e per offrire il servizio
dovuto al suo Signore e Creatore. Per salire al cielo
Cristo non aveva bisogno del soccorso di ima nube,
lui che, col mondo, aveva creato anche le nubi. Così
dice lui stesso per bocca di Salomone impersonatosi2
nella Sapienza: Quando creava i cieli, io ero là; e
quando dava consistenza alle nubi in alto, io ero ac­
canto a lui, quale architetto3.
2. Così il Figlio di Dio sale ora al cielo nella nube
davanti agli occhi stupefatti e incantati degli Apostoli,

1 La lettura per la festa dell'Ascensione era costituita


dal racconto degli Atti.
2 II testo latino dice: ex persona Sapientiae loquitur; tale
espressione era comune agli autori cristiani antichi.
3 Prov. 8, 27-30.
74 Cromazio di Aquileia

come ha riferito la presente lettura, ma non sale ora


per la prima volta. Sin daH'origine del mondo, egli
era spesso disceso personalmente dal cielo e vi era
risalito4; ma ora per la prima volta egli ascende al
cielo con il corpo. Era appunto questo che gli Apostoli
osservavano meravigliati: che il Cristo salisse col suo
corpo al cielo, donde era disceso senza corpo. Ma per­
ché sorprendersi per la meraviglia degli Apostoli, se
anche le virtù dei cieli furono prese da stupore? È
questo infatti che Isaia vuol significare quando, imper­
sonandosi nei cittadini del cielo, dice: Chi è costui che
si avanza da Edom? La porpora delle sue vesti viene
da Bosra. Egli è splendido nella sua veste, riluce come
il tino riempito dal torchio5. Per Edom è da intendere
la terra, per Bosra la carne. Questo destava meraviglia
negli angeli, il fatto che colui il quale, secondo la carne,
era nato in terra da ima vergine, colui che si era visto
patire e venire crocifisso nella sua carne saliva al cielo
con la stessa carne. Inoltre è stato menzionato anche
il torchio perché fosse chiaro il riferimento alla pas­
sione che il Signore eibbe a soffrire sulla croce. Nella
passione della croce Cristo fu come spremuto dal legno
del torchio, perché versasse per noi il suo sacro san­
gue 6. Per questo la porpora delle sue vesti viene detta
di Bosra, per questo egli ci è presentato splendido nella
sua veste. La porpora delle vesti si riferisce all'effu­
sione del suo sangue, lo splendore della sua veste alla
gloria della risurrezione, perché è risuscitato glorioso
dalla morte nella stessa carne nella quale ha versato
per noi il suo sangue glorioso. Questo è anche quanto
la Chiesa afferma di Cristo nel Cantico dei Cantici: Mio
fratello è candido e verm iglio1. È detto vermiglio a

4 Cromazio allude alle teofanie dell’Antico Testamento.


s Is. 63, 1.
6 Cf. Gregorio d’Elvira, Tract. S. Script. 6, PLS I, col. 399.
7 Cant. 5, 10.
Sermone 8 75

caiusa della sua passione nella carne; bianco per la glo­


ria della risurrezione; invero egli, che si mostrò vili­
peso e umile durante la passione, apparve splendido e
glorioso nel momento della risurrezione. Anche Gere­
mia ci mostra questo mistero della divinità e della
carne in 'Cristo quando afferma: S'inaridiscono le
mammelle delle rocce e scompare la neve dal Libano8;
con le mammelle delle rocce egli vuol significare la sua
incarnazione da una vergine e nella neve del Libano
indica il candore della sua divina chiarezza. Di più,
quando si trasfigurò sulla montagna, secondo quanto
leggiamo nel Vangelo, le sue vesti divennero candide
come la neve, perché risplendevano per il suo glorioso
splendore. Cosi non a caso si dice di Cristo un po'
prima: La porpora delle sue vesti viene da Bosra. Non
della sua veste, ma delle sue vesti. Cristo è in effetti il
principe dei m artiri9 e perciò di lui si dice: La porpora
delle sue vesti viene da Bosra, perché è attorniato da
una corona di martiri come si trattasse di vesti di
porpora.
3. Ma ritorniamo al nostro tema. Persino le Vi
celesti si sono stupite dell'ascensione di Cristo al cielo
in questi termini: Chi è costui che si avanza da Edom?
La porpora delle sue vesti viene da Bosra. Egli è splen­
dido nella sua veste, riluce come il tino riempito dal
torchio. Le Potestà dei cieli vedevano infatti una cosa
nuova: il Figlio di Dio che saliva al cielo col suo corpo.
E perciò dicevano: Chi è costui che si avanza da
Edom? Fu una sorpresa per gli angeli, una sorpresa
per le superne Potestà che quella carne, di cui era stato
detto ad Adamo: Sei polvere e in polvere ritornerai1#,

* Ger. 18, 14.


9 II testo dice: Princeps enim martyrum est Christ
tale titolo, usato nel senso di capo dei martiri e primo fra
loro, sarà ripreso nel S. 19.
“ Gen. 3, 19.
76 Cromazio di Aquileia

ormai non era più polvere ma una carne che saliva in


cielo. Cos'è giovato al diavolo la sua malizia? La nostra
carne terrena, ch'egli non ha voluto veder regnare nel
paradiso, regna in c ie lo 11. L'ascensione in cielo del
Signore destò certo l'ammirazione e l'esultanza degli
angeli e divenne la gioia del mondo intero, mentre in­
vece fu di vera confusione e di vera condanna per il
diavolo. Questa meraviglia degli angeli per l'ascensione
del Signore al cielo anche Davide la indica nel salmo,
là dove impersonando gli angeli, pronuncia queste
parole mirabili: Alzate le vostre porte, o principi; spa­
lancatevi, porte eterne: ha da entrare il re della gloria.
Il Signore potente e prode in battaglia n. Le superne
Virtù erano dunque nello stupore, si meravigliarono
gli angeli che pur erano stati presenti alla risurrezione
del Signore; e pertanto si gridavano l'un l'altro di apri­
re le porte dei cieli a Cristo vincitore, che tornava in
cielo dopo il combattimento della passione. Egli aveva
vinto il diavolo, aveva vinto la morte, aveva distrutto
il peccato, aveva sconfitto le legioni dei demoni ed
era risuscitato vincitore della morte.
4. Cristo salì dunque al cielo con il corpo, dopo
il trionfo della croce, dopo la vittoria della passione.
Gli angeli gli rendevano il servizio che gli è dovuto.
Alcuni infatti precedevano il Cristo che saliva al cielo
col suo corpo, altri lo seguivano, offrendo a un così
grande re e a un così grande vincitore l'onore che con­
viene. Se tutti vanno incontro con canti di lode a un

11 L’Ascensione è sentita come il supremo trionfo su


Satana. Il testo di Gen. 3, 19 è usato spesso nei sermoni per
l'Ascensione sia in Oriente (Atanasio, PG XXVIII, col. 1091;
Crisostomo, PG I, col. 446), sia in Occidente (Gregorio Ma­
gno, PL LXXVI, col. 1218).
12 Sai. 23, 7-9. Questo salmo e il 109 citato più sotto sono
fra i salmi tradizionali per l’Ascensione; cf. A. Rose, «Attol-
lite portas, principes, vestras... », in Miscellanea Litur. in
onore del cardinale G. Lercaro, I, Roma 1966, pp. 458464.
Sermone 8 77

re vittorioso che pure è un uomo, quanto più tutti gli


angeli e le Virtù dei cieli dovettero andare incontro a
Cristo, re eterno, che, dopo aver trionfato del diavolo
e vinta la morte, vincitore, saliva al cielo col suo corpo.
Niente di strano, dunque, se gli angeli e le superne
Virtù sono accorsi incontro a Cristo che tornava in
cielo, dal momento che lo stesso Padre gli è venuto
incontro, com e ha appena annunciato il Salmista,
quando parlando a nome del Figlio, così si rivolge al
Padre: Tu mi tieni per la destra, mi guidi secondo la
tua volontà, e mi accogli in gloria13. Il Padre, in effetti,
ha accolto con gloria il Figlio che ritornava al cielo,
ponendolo alla sua destra, come è detto in un altro
salmo: Dio ha detto al mio Signore: Siedi alla mia
destra14. In che m odo il Padre potrebbe manifestare
amore più grande e quale gloria più degna potrebbe
ricevere il Figlio che quella di sedere alla destra del
Padre? Ed è per questo che il Salmista, parlando a
nome del Figlio, opportunamente aggiunge nel salmo
appena cantato: Cosa resta in cielo? E, fuori di te

13 Sai. 72, 24. Se tale sermone non ci fornisce dati p


cisi sulle letture liturgiche, pure ci informa che il salmo 72
era cantato nel corso della liturgia forse tra la lettura del-
l'Apostolo e il Vangelo. Se dobbiamo credere al Capituiare
evangeliorum del codex Rehdigeranus e alle note liturgiche
del codex Foroiuliensis, due importantissime testimonianze
della liturgia aquileiese del sec. VII-VIII, il Vangelo poteva
essere Le. 24, 44. Ad ogni modo sia i commenti occidentali
che quelli orientali del salmo non ci informano su una sua
applicazione per la festa dell'Ascensione: si tratta dunque di
una tradizione peculiare di Aquileia; del resto l’insistente in­
vito dell’oratore a celebrare degnamente la festa dell’Ascen-
sione potrebbe forse attestare la sua relativa novità ad Aqui­
leia. Non è un caso che Cromazio e Filastrio di Brescia for­
niscano le più antiche testimonianze occidentali dell'Ascen-
sione fissata nel quarantesimo giorno dopo Pasqua. Cf. J. Le­
marié, SC 154, p. 96.
« Sai. 109, 1.
78 Cromazio di Aquileia

cosa bramo sulla terra? Egli ha voluto soffrire sulla


terra e perciò ha accettato su di sé la passione e la
morte per la salvezza del genere umano. Ha voluto
salire in cielo col suo corpo. Siede alla destra del
Padre. È dunque unico e identico il trono della maestà
del Padre e del Figlio, perché tra il Padre e il Figlio
non c e nessuna differenza di onore, nessuna distin­
zione di dignità, ma un unico amore nella carità. Se
dunque la carne appartenente alla nostra natura è sa­
lita oggi fino al cielo nel corpo di Cristo, è giusto e
doveroso che noi celebriamo solennemente questo
giorno e che in questa vita ci comportiamo in modo
da meritare per la futura di diventare partecipi della
gloria del corpo di Cristo nel regno dei cieli.

15 Sai. 72, 25.


Sermone 9 - SUL SALMO 13, INTORNO
AGLI STOLTI E AGLI INSENSATI1

1. In questo salmo il Profeta si lamenta con


parole: Dice lo stolto in cuor suo: Dio non c'è. Sono
corrotti, e sono diventati esecrabili nelle loro iniquità2.
Potremmo certamente scoprire che, nel passato, ci sono
stati molti insensati che o non credevano o negavano
che esistesse Dio. Ma il Profeta qui si lamenta soprat­
tutto della stoltezza e della mancanza di fede del po­
polo ebraico. Del resto lo stesso ninnerò d'ordine del
salmo X III ci indica chiaramente il personaggio del
medesimo popolo ebraico. Infatti Ismaele, figlio di
Abramo, che ha prefigurato in tutto il popolo ebraico,
ricevette il segno della circoncisione a tredici anni.
Come il salmo X, per il decalogo della Legge, indica
il personaggio del popolo della Chiesa perché in essa si
adempiono i precetti della Legge, così in questo sal­
m o X III troviamo la figura del popolo ebraico, perché
Ismaele, come abbiamo appena detto, ha ricevuto il
segno della circoncisione a tredici anni. Inoltre, quando
impersonando il popolo della Chiesa, il Salmista dice
nel salmo X: Io mi affido al Signore; come potete dire
alla mia anima: Fuggi al monte come il passero?3, il

1 È l'unico commento di Cromazio a un salmo.


2 Sai. 13, 1.
3 Sai. 10, 1.
80 Cromazio di Aquileia

passero simboleggia il peccatore e l'apostata che, ab­


bandona la casa di Dio, cioè la Chiesa, e si trasferisce
sui monti, cioè passa al culto degli idoli. Cosi si è già
comportato il popolo dei Giudei, che, abbandonato il
tempio di Dio che era a Gerusalemme, sacrificava sui
monti, come indicano gli scritti dei profeti. Ma il
popolo della Chiesa, che confida nel Signore, dimostra
di non potersi trasferire su tali monti per nessun mo­
tivo, dicendo: Io mi affido al Signore; come potete
dire alla mia anima: Fuggi al monte com e il passero?
Del resto abbiamo come testimoni un gran numero di
martiri che, più: costretti nel tempo della persecuzione
a passare su tali monti, cioè al culto degli idoli, trova­
rono più facile emigrare dal loro corpo che dalla fede
di Cristo; più facile uscire da questo mondo che uscire
dalla Chiesa di Dio. Neppure davanti alla morte i mar­
tiri si allontanano dalla Chiesa di Cristo; anzi essi
sopportano la morte per Cristo al fine di rimanere per
sempre nella sua Chiesa. Invero la morte dei martiri
è ornamento della Chiesa e premio della virtù4.
2. Queste parole del Profeta riguardano dun
il popolo della Chiesa. Quanto al suo giudizio sul po­
polo dei Giudei, lo avete appena udito, carissimi, nella
presente lettura: Dice lo stolto in cuor suo: Dio non
c ’è. E vediamo come. Appena uscito d'Egitto, il popolo
dei Giudei non credette al Signore in cuor suo. E men­
tre Mosè indugiava sulla montagna, essi fecero un vitel­
lo per adorarlo, dicendo: Questi, o Israele, sono i tuoi
dèi che ti hanno tratto fuori d’E gitto5. Certo, se nel
loro cuore avessero creduto a Dio, mai, dopo averlo
onorato tanto degnamente, avrebbero rivolto le loro

4 È uno dei passi più significativi sul martirio; cf. J.


marié, Le témoignage du martyre d’après les sermons de
Chromace d’Aquilée, in Riv. di St. e Lett. relig., V (1969),
pp. 3-12.
s Es. 32, 4.
Sermone 9 81

suppliche a oggetti prodotti da mani umane. Il popolo


dei Giudei dunque si mostra veramente stolto e insen­
sato quando abbandona il Dio vivo e vero per ricercare
gli idoli dei pagani, disprezza la manna venuta dal cielo
e rimpiange i cétrioli, i poponi e le carni d'Egitto, quan­
do stima più la schiavitù d'Egitto che la libertà della
fede, più i prodigi dei demoni che le meraviglie di Dio.
3. Ma soprattutto allora lo stesso popolo dei G
dei ha rivelato la sua stoltezza, quando vide la Sapienza
di D io6, cioè Cristo, venire nella carne e non volle rico­
noscerlo; quando mostrò disprezzo per i suoi poteri
divini e per le inaudite meraviglie. I ciechi riacqui­
stavano la vista, i sordi l'udito, gli zoppi erano guariti,
i paralitici riacquistavano la salute, i lebbrosi erano
purificati, i morti erano risuscitati, ma il popolo dei
Giudei fu di tale stoltezza che non si mosse per queste
meraviglie alla fede di Cristo, e non solo non si mosse
ma addirittura si levò a condannare il Signore e Sal­
vatore. Perciò non senza motivo nel seguito di questo
salmo [...]. Esso infatti dice: La loro góla è un sepol­
cro spalancato, la loro lingua operava inganni, un ve­
leno di aspidi è sulle loro labbra7. Se poniamo atten­
zione, capiremo perché si dice: La loro gola è un sepól­
cro aperto. Un sepolcro non contiene altro che cada­
veri di morti. Giustamente dunque i Giudei sono stati
paragonati a dei sepolcri, poiché, come un sepolcro
non contiene altro che cadaveri di morti, cosi anche i
Giudei [non avendo in sé che] le opere m orte8 della
carne e dell'anima sono diventati il sepolcro della pro­
pria vita, avendo in sé la sporcizia e la lordura dei

6 L'espressione, ripresa da 1 Cor. 1, 24, è frequente


Ilario.
i Sai. 13, 3.
8 Nonostante la lacuna del manoscritto, l’editore propo
una ricostruzione ipotetica del testo. Le opere m orte sono
i peccati: cf. Ebr. 6, 1.
82 Cromazio di Aquileia

peccati. Ascolta il Signore che, nel Vangelo dice agli


scribi e ai Farisei: Guai a voi, perché siete simili a
sepolcri imbiancati, i quali di fuori appaiono belli alla
gente, ma di dentro son pieni di ossa di morti e di ogni
immondizia: cosi anche voi, di fuori sembrate giusti
alla gente, ma di dentro siete ripieni di rapina e d’ini­
quità 9.
4. È dunque chiaro, secondo la testimonianza
Signore, che per questo i Giudei sono chiamati stólti
di cuore e sepolcro spalancato. Dobbiamo però consi­
derare che non solo si parla di góla, ma ohe si dice:
la loro gola è un sepolcro spalancato. Attende la morte
di chi vi è nominato. Perciò assai giustamente si è
chiamata sepolcro spalancato la gola dei Giudei, poi­
ché aprono la loro bocca per ottenere la morte del
Salvatore, dicendo a Pilato: Crocifiggilo, crocifiggilo10.
Cosi non senza ragione la parola profetica attesta nel
presente salmo che essi sono anche dei serpenti: La
loro lingua operava inganni, un veleno di aspidi è sulle
loro labbra. Da qui dipende che Giovanni nel Vangelo
biasimi la loro empietà in questi termini: Serpenti,
razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire l’ira che
v ien e?u. Non sono chiamati genericamente serpenti,
ma più precisamente razza di vipere. Infatti, tra i ser­
penti, c e solo la razza delle vipere la quale non nasce
dall’uovo ma balza fuori dall’utero della madre; e,
appena nati, i piccoli uccidono la madre u. Con questa
espressione dunque, razza di vipere, sono ora indicati
i Giudei, perché a causa della loro empietà hanno uc­
ciso la sinagoga loro madre. Ma che dico la madre?

» Mt. 23, 37.


i« Le. 23, 21; Gv. 19, 6.
» Mt. 23, 33.
12 Si veda per es. Plinio, Hist. nat., X , 62. Sull’applica
ne di questa credenza ai Giudei, cf. anche Ambrogio, De To­
bia, X II, 41.
Sermone 9 83

Essi non hanno risparmiato neppure i loro figli quando


hanno proclamato: Il suo sangue cada su di noi e sui
nostri figliu.
5. Poiché il popolo dei Giudei doveva arrivare a
un tale sacrilegio, non senza ragione il Profeta grida
alla fine del salmo Chi darà da Sion la salvezza a Israe­
le? Quando il Signore riscatterà il suo popolo dalla
schiavitù14. In queste parole il Profeta implorava
apertamente la venuta del Signore e Salvatore nostro.
Sapeva ohe il genere umano non poteva essere liberato
altrimenti dalla schiavitù del diavolo che con l’incar­
nazione di Cristo; perciò dice: Chi darà da Sion la sal­
vezza a Israele? Infatti colui che, per la salvezza del
genere limano si degnò di nascere da una vergine, non
solo è stato dato com e salvatore, ma, abbattuto il nemi­
co e vinta la morte, ci ha liberato dalla schiavitù in
cui ci teneva il potere del diavolo per fare di noi dei
figli di Dio e dei coeredi della sua gloria.
6. Perciò non senza m otivo il Profeta aggiunge
alla fine del salmo: Si allieti Giacobbe ed esulti Israe­
le u. Non certo quel famoso Giacobbe secondo la
carne, né l ’Israele che si è mostrato ribelle ed empio
verso il suo Signore e Salvatore, ma questo Giacobbe
secondo lo spirito, cioè il popolo della Chiesa che
siamo noi. Il patriarca Giacobbe, a ricompensa della
sua fede, ebbe entrambi i nomi. Egli infatti, uscendo
dal seno materno, soppiantò16 il fratello e fu detto
Giacobbe. E in seguito, ricevuto il diritto di primoge­
nitura e le benedizioni, fu chiamato Israele. Ora sap­
piamo per manifeste ragioni che entrambi i nomi si
adattano a noi. Prima quando giungiamo alla fede e

» Mt. 27, 25.


m Sai. 13, 7.
«5 Sai. 13, 7.
lé Gen. 25, 26: piantarti fratris tenebat manu; perciò il
testo di Cromazio dice supplantavit.
84 Cromazio di Aquileia

nasciamo dal seno della madre Chiesa17 diventiamo


Giacobbe; cioè occupiamo il posto di un altro, e suben­
triamo infatti per la nostra fede all'iiicredulità del fra­
tello maggiore, cioè dei Giudei, e cosi da cadetti diven­
tiamo i maggiori. Dopo aver creduto, allora riceviamo
il diritto di primogenitura del nostro fratello, poiché
crediamo nel Figlio primogenito di Dio, in cui non
ha voluto credere il popolo dei Giudei; e cosi, dopo,
siamo chiamati Israele, cioè « coloro che vedono Dio »“
con lo spirito, perché con gli occhi della fede contem­
pliamo l'unigenito Dio, nato per la nostra salvezza.
A lui onore gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

17 Vterus matris Ecclesiae è espressione per indicare il


battesimo e il battistero.
18 Questa etimologia del nome d’Israele si fonda su
Gen. 32, 28-30; viene da Filone (De Abrahamo 57; De mutat.
nominum 81) ed è diffusa nei Padri.
Sermone 10 - SUL VANGELO DI MATTEO,
OVE SI PARLA DEL RE CHE FECE UNA FESTA
DI NOZZE AL SUO FIGLIOLO

1. Con molte e varie parabole il Signore e Salva­


tore nostro confuse i Farisei e i capi dei Giudei. Dopo
la parabola del padre di famiglia che aveva affittato la
sua vigna a dei coloni \ ecco proposta nella presente
lettura quella del re che fece una festa di nozze al suo
figliolo, come avete appena udito, o miei cari. E mandò,
dice il Vangelo, i suoi servitori a chiamare gli invitati
alle nozze. Ma quelli, non volendoci venire, se ne anda­
rono chi al proprio campo e chi al suo negozio; gli
altri poi, presi i suoi servitori, li oltraggiarono ed
uccisero2.
2. Anche in questa parabola, il re che fece la festa
di nozze al suo figliolo simboleggia Dio Padre, che, per
la nostra salvezza, celebrò le nozze spirituali del suo
unico Figlio. Cosa dobbiamo intendere per queste
nozze, se non che Cristo sposo imi a sé come sposa la
Chiesa3 per mezzo dello Spirito Santo? Queste nozze
sono immacolate e inviolabili, perché non sono fon­
date sull’amore della carne ma sulla grazia dello Spi­

1 Mt. 21, 33.


2 Mt. 22, 3. 5-6.
3 Sulla Chiesa «sposa» e «vergine» nella tradizione pa­
tristica dei primi tre secoli, cf. J. C. Plumpe, Mater Ecclesia,
Washington 1943, pp. 60, 64 e passim.
86 Cromazio di Aquileia

rito. Infatti la Chiesa ci viene presentata come una


sposa vergine, al dire di 'Paolo: Vi ho fidanzati a un
solo sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine pura4.
Secondo quanto accade nel mondo, non possiamo chia­
mare vergine ima sposa; ma, secondo il celeste miste­
r o 5, la Chiesa si presenta com e sposa pur restando
vergine. La diciamo sposa, perché è imita a Cristo
per mezzo dello Spirito Santo; vergine, perché rimane
nella sua integrità senza la corruzione del peccato.
Di queste nozze, l'autore è Dio Padre; testimone lo
Spirito Santo; ministri gli angeli; messi per portare
gli inviti gli Apostoli. E se ricerchi lo splendore spiri­
tuale di queste nozze, lo troverai: si tratta della camera
nuziale del cielo, di cui è scritto: Ed egli ne esce come
uno sposo dal suo talamo nuziale6. In queste nozze,
tiene il primo posto il coro delle vergini consacrate,
di cui leggiamo nella Scrittura: Dopo di lei, saranno
condotte al re le vergini1. Non mancano, in queste
nozze, la cetra, gli strumenti musicali, i cembali; cioè
la cetra della legge, lo strumento dei profeti, i cembali
degli Apostoli, di cui leggiamo nella Scrittura: Lodatelo
con strumenti a corda e a fiato; lodatelo con cembali
sonori8.
3. E ora vediamo la parabola. Alle mozze di
Figlio, dunque, il Padre invitò in primo luogo il popolo
dei Giudei; a loro infatti mandò i giusti, a loro mandò
i Profeti. Ma quelli, dice il Vangelo, non vollero veni­
r e 9. Mandò di nuovo altri servitori, più numerosi dei

* 2 Cor. 11, 2.
5 Caeleste mysterium è espressione ricorrente in Crom
zio (cf. S. 19 e 31): si tratta dell’economia della salvezza, del
«M istero» in senso paolino; cf. G. Trettel, Mysterium e Sa­
cramentum..., cit.
« Sai. 18, 6.
7 Sai. 44, 15.
» Sai. 150, 4-5.
» Mt. 22, 3.
Sermone 10 87

primi, cioè gli Apostoli e i predicatori del Vangelo,


dicendo loro: Andate, dite agli invitati: Ecco, ho pre­
parato il mio pranzo; tori e bestie grasse sono state
sgozzate. Venite alle n ozze10. Il pranzo simboleggia il
mistero della passione del Signore: a questo pranzo,
vero cibo di vita e nutrimento di eterna salvezza è
Cristo. Egli è il pane vivo che discende dal cielo e dona
la vita a questo mondo u. E assai opportuna torna la
menzione del pranzo; non di una cena ma del pranzo
(il pranzo in effetti si serve abitualmente all'ora sesta),
perché era l’ora sesta n quando Cristo fu crocifisso per
la salvezza del genere umano, allo scopo di offrirci l'ali­
mento celeste e il banchetto spirituale della sua pas­
sione. Con i tori macellati per le nozze di suo Figlio, il
Vangelo intende indicare i giusti e i profeti uccisi dai
Giudei perché annunciavano che il Figlio di Dio doveva
venire e soffrire nella carne. Del resto assai opportuna­
mente giusti e profeti sono chiamati tori, perché disper­
devano al vento, con le com a della giustizia, l'iniquità
del popolo dei Giudei. Quanto alle bestie grasse macel­
late, esse indicano i bam bini13 massacrati da Erode a
Betlemme, perché hanno meritato di morire per il
nome di Cristo.
4. Poiché il popolo dei Giudei rifiutò di venir
tali nozze, il re mandò i suoi servitori ai crocevia delle
strade, dicendo loro: Andate e invitate alle nozze quanti
troverete. Essi uscirono e raccolsero quanti trovarono
e cosi il banchetto si riempi di commensali14. Poiché
dunque i Giudei rifiutarono di venire a queste nozze,

«» Mt. 22, 4.
11 L’Eucaristia è il sacramento della passione del Signore;
è infatti nel mistero della sua passione che Cristo è divenuto
verus cibus et esca salutis aetemae.
12 II mezzogiorno.
13 Infantes era l’appellativo tradizionale dei santi Inno­
centi in Africa, in Spagna e in Gallia.
M Mt. 22, 9-10.
88 Cromazio di Aquileia

vi furono invitati tutti i popoli, fra cui noi che siamo


venuti alla grazia di Cristo. Infatti per le scuse del
popolo dei Giudei, non potevano andar perduti tutti i
preparativi delle nozze. Perciò dobbiamo rendere gra­
zie alla sua misericordia, perché ha invitato noi, inde­
gni, a tali nozze. Ma dobbiamo stare attenti e temere
che, quando il re sarà entrato nella sala delle nozze
e avrà cominciato a osservare i commensali, non dica
ad alcuno di noi quanto abbiamo letto nel presente
bramo evangelico: Amico, com e sei qui entrato senza
avere veste nuziale?15. E diede ordine che venisse por­
tato via legato mani e piedi. La veste nuziale è la grazia
del battesimo salutareI6, che brilla non per lo splen­
dore della lana, ma per la lucentezza della fede, [...]
la veste di Cristo bianca e splendente come la neve,
che riceviamo con la grazia del battesimo, poiché l'Apo-
stolo dice: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi
siete rivestiti di C risto17. Non possiede dunque questa
tunica nuziale chi, o non ha ricevuto la grazia del bat­
tesimo, o l'ha perduta dopo averla accolta. Chi sarà
trovato tale, sarà cacciato dal banchetto delle nozze e
gettato fuori nelle tenebre Perciò dobbiamo conser­
vare integra e pura in tutto, grazie alla fede in Cristo,
la veste nuziale che abbiamo ricevuto con la grazia del
battesimo, per essere degni, nella Chiesa, del banchetto
spirituale e per meritare più tardi di aver parte nel
regno dei cieli con i santi e con gli eletti di Dio. Amen.

« Mt. 22, 12.


16 L’interpretazione della veste nuziale in riferimento
battesimo è comune nei Padri.
” Gal. 3, 27.
i® Nonostante la linea di severo rigorismo che sembra
trasparire da questo passo, si può concludere alla luce di
altri testi che Cromazio ammetteva la possibilità di una ricon­
ciliazione per i peccati commessi dopo il battesimo; cf. G.
Trettel, Mysterium..., cit., pp. 91-93.
Sermone 11 - SULLA DONNA CHE UNSE I PIEDI
DEL SIGNORE

1. La presente lettura del Vangelo racconta c


mentre il Signore era a tavola con Lazzaro che egli
aveva risuscitato dai morti, Maria — la sorella di Laz­
zaro e di Marta — , presa una libbra di profum o schiet­
to, ne unse i piedi di Gesù, asciugandoli poi con i
capélli; e tutta la casa fu ripiena dell’odore del pro­
fu m o 1. Maria la santa fu cara a Cristo per la gran­
dezza straordinaria della sua fede, come si legge in
molti luoghi del Vangelo. Nel passo che precede, men­
tre piangeva la morte del fratello, fece piangere anche
il Signore. Mosse a pietà l’autore stesso della pietà.
Sebbene fosse sul punto di risuscitare Lazzaro dalla
morte, il Signore pianse al pianto di Maria, mostrando
a un tempo la sua tenerezza e il merito di Maria. Che
il Signore abbia pianto Lazzaro, è effetto della sua
tenerezza; che egli lo abbia risuscitato dai morti è
effetto della sua potenza. Le lacrime del Signore ci
mostrano il mistero della carne che aveva assunto;
la risurrezione di Lazzaro mette in luce la potenza
della sua divinità2. Nel passo precedente, Maria ha
strappato al Signore lacrime di tenerezza, ma qui essa

1 Gv. 12, 3.
2 Come nel S. 8, Cromazio insiste sulle due nature di
Cristo.
90 Cromazio di Aquileia

mostra il suo affetto e la sua devozione al Signore, pren­


dendo una libbra di profum o schietto per ungerne i
piedi e per asciugarli coi suoi capelli. Osservate la reli­
giosa devozione e la fe d e 3 di questa santa donna. Gli
altri sedevano a tavola col Signore; essa ungeva i
piedi del Signore. Gli altri scambiavano col Signore
parole e discorsi; essa, nel silenzio della sua fede, ne
asciugava i piedi con i propri capelli. Quelli sembra­
vano essere li per onorarlo, essa per servirlo. Ma il
servizio reso da Maria fu apprezzato da Cristo più
dell’onore dei commensali.
2. Del resto ciò che disse il Signore di lei lo av
sentito, miei cari, nella presente lettura: In verità io
vi dico che per tutto il mondo, dovunque sarà predi­
cata questa buona novella, anche quello che costei ha
fatto sarà detto a sua lode*. Quale fu dunque il servi­
zio reso da questa santa donna, che fu proclamato nel
mondo intero e che viene proclamato ogni giorno. Os­
servate l’umiltà di questa santa donna: essa non unse
per prima cosa il capo del Signore, ma i piedi, sebbene
è noto che in seguito unse il capo del Signore. Essa
dunque unse prima i piedi, poi il capo, ma cominciò
dai piedi per meritare di giungere alla testa perché,
come è scritto, chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta
sarà umiliatos. Pertanto essa si umiliò per essere innal­

3 La fede non va disgiunta dalle opere; nell’associazio


fides-devotio Cromazio si mostra una volta di più discepolo
di Ambrogio, in cui tale binomio ricorre frequentemente.
Per Cromazio come per Ambrogio, la devotio è docilità to­
tale alla Parola di Dio e sottomissione alla sua legge; sup­
pone la carità e in certo modo si identifica con essa. Tede
devotio si traduce in uno stile di vita tutta celeste e spirituale
{vita superna), lungi dalla concupiscenza e da una condotta
mondana e carnale (terrena conversatio)-, cf. J. Lemarié,
SC 154, p. 78.
“ Mt. 26, 13.
s Mt. 23, 12.
Sermone 11 91

zata. Inoltre, dopo aver unti i piedi del Signore, essa


non li asciugò con un panno, ma con i suoi capelli per
rendere al Signore un onore più grande. Per quale ra­
gione questa donna ha voluto asciugare con i propri
capelli i piedi del Signore se non per santificare la
propria testa a contatto con i piedi di Cristo? Essa ha
santificato in sé tutto quello che il corpo di Cristo,
fonte di santità6, ha potuto toccare. Essa dunque ha
reso un onore più grande per meritare una grazia
maggiore: come l’assetato beve l'acqua di una fonte
che precipita dall’alto, cosi questa santa donna ha
bevuto alla fonte della santità una grazia piena di deli­
zia per estinguere la sete della sua fede.
3. Ma, secondo l’interpretazione allegorica o
stica, questa donna prefigurava la Chiesa, che ha offerto
a Cristo la devozione piena e totale della sua fede. Maria
prese una libbra di profum o prezioso; ora una libbra
è fatta di dodici once. Tale misura di unguento pre­
zioso possiede la Chiesa, che ha accolto l’insegnamento
dei dodici Apostoli com e un profum o prezioso7. In
effetti che cosa è più prezioso deH'insegnamento degli
Apostoli, che comprende la fede in Cristo e la gloria
del regno dei cieli? Inoltre è riferito che tutta la casa
fu ripiena dell'odore di quel profumo, perché il mondo
intero è stato riempito deH'insegnamento degli Apo­
stoli. Per tutta la terra, come è scritto, trascorre la
loro voce e sino all'estremo del mondo la loro parola8.
Assai opportunamente il profumo prezioso ha in sé
diverse specie di aromi di cui odora, perché anche

6 Cf. Cromazio, Tract. VII: totius sanctitatis auctor et


princeps Christus Dominus est.
7 La dottrina degli Apostoli è il fondamento della fede;
per essa abbiamo accesso alla conoscenza di Cristo e alla
gloria del regno celeste. Porta Christi diventa anche porta
caeli.
8 Sai. 18, 5.
92 Cromazio di Aquileia

l’insegnamento degli Apostoli comprende diverse gra­


zie spirituali per mezzo delle quali diffonde la fragran­
za del suo odore. E non desta certo meraviglia il fatto
che il profumo prezioso indichi l’insegnamento degli
Apostoli, quando leggiamo che con questo termine si
esprime anche il nome del Signore e Salvatore nostro.
Così infatti dice di lui Salomone, impersonando la
Chiesa: E un profum o olezzante il tuo n om e9. Ma non
è senza motivo che il nome del Signore sia detto pro­
fumo olezzante. Un profumo, com e sapete, miei cari,
mantiene l’intensità del suo odore finché è conservato
all’intemo di un balsamario; ma non appena è versato
o sparso, allora spande la fragranza del suo profumo
in lungo e in largo10. Cosi il Signore e Salvatore nostro,
finché regnava nel cielo col Padre, era ignorato dal
m ondo e sconosciuto quaggiù. Ma quando, per la
nostra salvezza, si degnò di abbassarsi discendendo
dal cielo per assumere un corpo umano, allora egli
sparse nel mondo intero la dolcezza e il profum o del
suo nome u. Questo profum o è lo stesso di cui parla
il Profeta nel salmo: È com e l’unguento versato sul
capo, che scende alla barba, la barba del grande Aron­
ne, che scende all’estremità delle sue v estin. Questo è
dunque l'unguento sceso dalla testa alla barba di Aron­
ne e di là aU’estremo lembo delle sue vesti, cioè a tutto
il corpo della Chiesa.
4. Ma ritorniamo al nostro tema. Nella libbra
quel profumo schietto e prezioso, era indicato l’inse­
gnamento degli Apostoli che la Chiesa ha ricevuto.

9 Cant. 1, 2.
10 Cf. Ambrogio, De Spir. Sancto, I, 8, 95; De virginitate
X I, 64. Quanto al dato materiale dei profumi e dei balsamari,
Aquileia doveva essere fornita di industrie fiorenti; cf. M. C.
Calvi, I vetri romani del Museo di Aquileia, Aquileia 1968.
11 Cf. Ambrogio, De virginitate X I, 63.
“ Sai. 132, 2.
Sermone 11 93

Infatti la Chiesa non sarebbe potuta giungere a Cristo


altrimenti che per l’insegnamento degli Apostoli. Ma
osserva il mistero della fede prefigurato in quella don­
na. Essa non unse subito il capo del Signore, ma i
piedi. I piedi di Cristo indicano il mistero della sua
incarnazione per cui si è degnato di nascere da una
vergine in questi ultimi tempi; il capo, al contrario,
indica la gloria della sua divinità, nella quale procede
dal Padre prima di tutti i tempi. La Chiesa dunque
viene prima ai piedi di Cristo e poi alla sua testa, per­
ché, se non avesse appreso la sua incarnazione da una
vergine, mai avrebbe potuto conoscere la gloria della
sua divinità che procede dal Padre. E perciò leggiamo
a proposito dell'agnello che veniva offerto, sotto la
Legge, a prefigurazione del mistero di Cristo: Mange­
rete allo stesso tempo la testa e i p ied iI3. Ciò significa
che dobbiamo credere due cose di Cristo: che è Dio e
che è uomo, Dio generato dal Padre, uom o nato da
una vergine. La testa infatti, com e abbiamo appena
detto, significa la sua divinità ohe viene dal Padre; i
piedi, la sua incarnazione da ima vergine14. Non pos­
siamo essere salvati altrimenti, se non crediamo queste
due cose di Cristo. Di conseguenza, un certo numero
di eretici che confessano solo l'umanità di Cristo ma
negano la sua divinità, com e F otino15, tengono i suoi
piedi ma non possiedono la sua testa, perché hanno
perduto il capo della fede. Noi invece teniamo, come
conviene, queste due cose di Cristo, perché confes­
siamo entrambe. Teniamo i suoi piedi, perché crediamo
la sua incarnazione da una vergine; teniamo anche la

« Es. 12, 9.
14 Per questa interpretazione della testa e dei piedi del­
l'agnello pasquale cf. Gaudenzio di Brescia, Sermo 2, PL X X ,
col. 856.
15 Fotino per il suo rigido monarchianesimo nel 351 fu
deposto da vescovo di Sirmio. Le sue opere andarono perdu­
te. Cf. M. Simonetti, Studi sull’arianesimo, cit., pp. 203-206.
94 Cromazio di Aquileia

sua testa, perché confessiamo la sua divinità che pro­


cede dal Padre.
5. Quanto ai capelli con i quali la donna asciu
piedi del Signore, essi indicano il popolo della Chiesa,
il quale venera l’incarnazione di Cristo e l'insegnamen­
to degli Apostoli. Questi sono i capelli di cui leggiamo
nel Cantico dei Cantici in riferimento alla Chiesa: La
tua chioma è com e un gregge di capre che si sono mo­
strate sulle pendici di Galaadlé. A buon diritto i capelli
significano i popoli della Chiesa, perché, come i capelli
sono il grande ornamento delle donne, così i popoli
che credono sono l'ornamento della Chiesa di Cristo.
Ma nei capelli possiamo riconoscere prefigurate anche
le virtù dell'anima17 e nel profum o prezioso le opere
di misericordia. Se dunque facciamo opere di miseri­
cordia e di bontà, è come se ungessimo i piedi del
Signore con un profumo prezioso. Perciò, quando usia­
mo misericordia verso un povero, ungiamo i piedi
del Signore che dice: Quanto avete fatto a uno dei più
piccoli tra questi miei fratelli, l’avete fatto a m e 18.
Inoltre, se ci sono in noi le virtù deH’anima, è come se
asciugassimo con i nostri capelli i piedi di Cristo.
Infatti Cristo si nutre e si riconforta di ogni virtù della
nostra anima, di ogni zelo della nostra fede, di ogni
opera di giustizia, di misericordia e di pietà19, perché
è lui l'autore e il principio di ogni opera buona. Amen.

“ Cant. 6, 4.
17 Lo stesso simbolismo della capigliatura in Ambrog
De Spir. Sancto, II, Prol., 15.
“ Mt. 25, 40.
19 Simile espressione in Paolino da Nola (Ep. 23, 34).
locuzioni opera iustitiae, misericordiae, pietatis sono tre sino­
nimi che indicano le opere di carità; cf. H. Pétré, Caritas...,
cit., pp. 246-250.
Sermone 12 - SULL’EPISTOLA Al ROMANI

1. Come avete appena udito, carissimi, il 'beato


apostolo Paolo, nell’epistola ai Romani, espone e mo­
stra che il Figlio di Dio si è incarnato da ima vergine
non solo per i Giudei ma anche per i pagani *. Lo aveva
predetto la Legge e i Profeti lo avevano preannunciato2.
In effetti non era conveniente che il Figlio di Dio scen­
desse dal cielo per salvare un solo popolo, lui ohe è
il creatore di tutti. Certo la salvezza fu prima offerta
ai Giudei in considerazione dei patriarchi, dalla cui
stirpe essi discendevano. Ma poiché essi hanno rifiu­
tato il dono di una grazia cosi grande che era stata
loro offerta, la salvezza fu donata alle diverse razze
e nazioni, com e dice l'apostolo Paolo ai Giudei: A voi
per i primi era necessario che fosse detta la parola di
Dio, ma dacché vi siete giudicati da voi stessi indegni
dell’eterna vita, ecco che noi ci volgiamo ai Gentili3.
2. La venuta di Cristo è dunque salvezza per tutti
i popoli e redenzione dell’intero genere umano. In
effetti chi ci ha creato, ci ha redento; chi ci ha fatto,
ci ha salvato. Del resto non senza ragione si dice che

1 Espressione ohe ricorda Rom. 15, 7-12.


2 Sul tema dell’Antico Testamento come annuncio profe­
tico del Cristo e del suo mistero, cf. S. 1, n. 2.
3 Atti, 13, 46.
96 Cromazio di Aquileia

noi siamo stati riscattati piuttosto che acquistati da


Cristo, poiché l'Apostolo scrive di lui: Egli che ha ri­
scattato cól suo sangue4. Non ha detto acquistato, ma
riscattato, perché si riscatta ciò che ci appartiene, men­
tre si acquista ciò che appartiene ad altri. Per esem­
pio: se uno si procura un campo o uno schiavo che
prima non possedeva, tutti dicono che lo compra;
se al contrario uno si procura ciò che possedeva ma
che ha perduto, nessuno chiama ciò comprare ma
riscattare, perché riscatta il suo campo o il servo
che già possedeva. Così i Romani che vengono libe­
rati dalla prigionia dei barbari dietro versamento di
ima taglia son detti non già acquistati ma riscattati5.
3. Dunque, poiché l’uomo era opera di Cristo (
origini del mondo, l'uom o fu form ato a immagine di
Cristo, secondo la volontà del Padre), risulta piuttosto
riscattato che acquistato da Cristo, dal momento che
egli ha redento uno che gli apparteneva e che lui stesso
aveva creato. L'uomo infatti era caduto sotto il potere
del diavolo come sotto la schiavitù dei barbari; si era
allontanato dal primo padrone e fu fatto prigioniero
per la frode del nemico. Ma per questo siamo stati
redenti dal sangue di Cristo e liberati dalla schiavitù
del diavolo, per far ritorno al primo padrone, da cui
ormai non dobbiamo allontanarci per non ripiombare
nella schiavitù del diavolo senza poter più meritare
di esserne liberati. In effetti non è piccolo il prezzo che,
per la nostra redenzione, il Figlio di Dio si è degnato
di offrire, cioè il suo sangue sacrosanto. Se riteniamo
di poco conto la grazia di una simile redenzione, ingan­
niamo noi stessi. Infatti il Figlio di Dio non ha da

* Cf. Rom. 5, 9; Ef. 1, 7; Col. 1, 14.


5 Sintomatica la menzione dei barbali, dalle cui violen
— come è noto — fu turbato l'ultimo periodo d.ell’episcopato
di Cromazio.
Sermone 12 97

essere crocifisso ancora una volta per noi, in m odo


ohe attendiamo un’altra redenzione. Da qui viene che
l’Apostolo, nella presente lettura, ci esorti ad avere
davanti agli occhi la grazia di una simile redenzione
e a obbedire fedelmente all’autore della nostra reden­
zione e della nostra salvezza.
4. Ora cerchiamo di vedere quanto poco prima il
medesimo Apostolo ci ha proposto in un senso pro­
fondo e spirituale, là dove dice: Uno crede di poter
mangiare di tutto; ma chi è debole, si cibi di legumié.
Non è piccolo problema quello che pongono le parole
dell’Apostolo. Ma vediamo se, con l'aiuto di Dio, pos­
siamo dame, almeno in parte, una spiegazione. L'Apo­
stolo qui non si riferisce né aU'infermità della carne,
né alla salute del corpo, ma alla malattia dello spirito
e alla salute dell'anima. C e vera infermità quando
l’anima è malata per i suoi peccati; e c ’è vera salute
quando nessuna malattia del peccato indebolisce l'ani­
ma. Cupidigia e avarizia sono malattie deH'anima; lo
stimolo di un'illecita concupiscenza è ima malattia del­
l'anima; furore, collera, vanità, invidia e altri vizi sono
malattie dell'anima e ferite dello spirito, che recano
danno alla salute dell'anima e la conducono alla morte
del peccato. Pertanto chi langue in peccati di tal ge­
nere, anche se è sano di corpo, è internamente malato.
Chi è malato nello spirito ha la volontà malata. Chi
invece è esente da questi vizi gode della piena salute
dello spirito, anche se è malato nel corpo, perché Dio
desidera la salute della nostra anima più che quella
del nostro corpo.
5. Ne vuoi la prova? Il povero Lazzaro7, come
leggiamo nel Vangelo, fu sempre malato nel corpo fino
alla morte. Era infatti pieno di ulcerazioni, ma la sua

6 Rom. 14, 2.
7 II testo di Luca (16, 20) usato da Croomazìo doveva ripor­
tare verosimilmente la lezione Eleazarus.
98 Cromazio di Aquileia

anima era perfettamente sana perché non soffriva di


alcuna malattia del peccato. Perciò, quando mori, fu
accolto dagli angeli e condotto nel seno di Abramo.
Al contrario, il ricco, alla cui porta giaceva Lazzaro,
era fisicamente sano, ma spiritualmente malato, perché
soffriva del male del peccato grave. Aveva anche lui
la febbre della concupiscenza, la febbre dell'avarizia e
molte ferite del peccato. E perciò, non appena mori,
fu condotto al luogo dei tormenti. O beata malattia di
Lazzaro e infelice salute del ricco! L'imo è condotto
al luogo del refrigerio8, l’altro a quello del patimento;
l’uno al regno dei cieli, l’altro al supplizio senza fine.
Abbiamo voluto portare questo esempio perché dob­
biamo sapere che la salute spirituale è più necessaria
di quella del corpo. La malattia del corpo infatti non
è di ostacolo alla salute deH'anima, la malattia del­
l’anima invece, a meno di non guarirla con le opere
buone, è d'impedimento anche alla salute del corpo.
È certo cosa buona e augurabile la salute fisica, ma
è preferibile la salute dello spirito che garantisce la
salute stessa del corpo, perché la sanità dell'anima è
la salute del corpo. Il trattamento stesso mostra quale
differenza c ’è fra la salute del corpo e quella deH’anima.
Il corpo si cura con i rimedi di questa terra, l’anima
con i rimedi del cielo; il corpo, per guarirlo, si cura
col balsamo dell'olio; l'anima riprende forze dalle
parole di Dio.
6. Ma torniamo ora alla parola dell’Apostolo
dice: Uno crede di poter mangiare di tutto; ma chi è
debole, si cibi di legumi. Chi dunque gode di buona

* Il refrigerio indicava la 'beatitudine, come nella cele


iscrizione sepolcrale aquileiese posta nel 352 a un greco di
Dardano, rappresentato mentre sta seduto e beve: analogo
refrigerio augurano i vivi al morto; cf. G. Brusin, Un’epigrafe
aquileiese col refrigerio, in Miscellanea Paschini, I, Roma 1948,
pp. 69-76.
Sermone 12 99

salute nella fede, nella scienza, nei precetti celesti,


nelle opere 'buone, quello, senza dubbio, mangia spiri­
tualmente ogni insegnamento della Legge e della fe d e 9.
Egli ascolta la Legge e si nutre della Legge, perché
quanto insegna la Legge è alimento dell’anima. Egli
ascolta i profeti e si nutre dell'insegnamento dei pro­
feti, perché la predicazione dei profeti è cibo del­
l'anima e alimento dello spirito. Egli ascolta il Vangelo
e mangia avidamente l’insegnamento del Vangelo, per­
ché ascolta Cristo che parla, lui il pane del cielo sceso
per rianimare il cuore di chi crede. Egli ascolta l’Apo-
stolo e si nutre avidamente dell’Apostolo, perché l'in­
segnamento dell’Apostolo è per lui un ristoro. Per que­
sto l’anima fedele mangia di tutto, perché si ristora
di ogni scrittura divina, dell'alimento della fede e della
parola di verità. Come se uno mangia, nel senso natu­
rale del termine, [...] cibi diversi in un grande e opu­
lento banchetto, prende di ogni portata, cosi l'anima
fedele e ricca in Cristo si nutre di ogni parola di Dio,
se ne ristora e se ne sazia.
7. Ma chi è debole, dice l'Apostolo, si cibi
legumi. Debole è chi soffre del male del peccato. Costui
non può mangiare di tutto, perché la sua anima non
riceve i misteri divini. Ma prenda, come legumi, i giu­
sti precetti dei comandamenti per ristabilirsi, per poter
prendere forze al fine di ricuperare la salute e così
essere in grado di mangiare di tutto. Se dunque siamo
colpiti, nel senso spirituale del termine, da qualche
malattia del peccato, dobbiamo affrettarci a riacqui­
stare la salute per meritare di prendere gli alimenti
più sostanziosi della giustizia e della fede. Così, dive­
nuti veri atleti spirituali, potremo vincere e superare
l'avversario, rinfrancati dal nutrimento della giusti­
zia, della verità e della salvezza, pronti a ricevere la
corona della vita e la ricompensa deH'etema immorta­

9 Qui Cromazio riflette Ambrogio (Exp. Ps. 118, XIV, 2).


100 Cromazio di Aquileia

lità. Ma cerchiamo di esaminare questo punto più a


fondo. Per esempio, se qualcuno è spiritualmente ma­
lato di libidine carnale, a lui è necessario il comanda­
mento della castità e della pudicizia per poter essere
guarito dalla malattia del peccato di cui soffre, perché
la salute del suo corpo consiste nella pudicizia della
sua anima; infatti la pudicizia deH'anima è la salute
del corpo. Se qualcuno soffre di cupida avarizia, che
opprime più di ogni infermità deH'anima perché radice
di tutti i mali è la cupidigia — come dice l'Apostolo10—
a questo tale occorre il comandamento della carità,
affinché sappia di non poter guarire altrimenti che
diventando da avaro caritatevole, da avido generoso.
Se ancora qualcuno soffre del male della frenesia e
della collera, gli è necessario il comandamento della
pazienza per poter guarire dalla malattia della irasci­
bilità. Se qualcuno soffre del male deH’invidia e del­
l’odio, anche in lui bisogna insinuare il comandamento
della carità e dell'amore fraterno perché la sua anima
possa guarire. Tale individuo non può guarire altri­
menti che escludendo dal suo cuore l'odio e accoglien­
dovi l'amore fraterno; infatti, come la carità viene da
Dio, l'odio viene dal diavolo, poiché la carità ha Dio
per autore, mentre il diavolo è aH'origine dell'odio.
8. La malvagità e le tendenze peccaminose tu
quante sono infermità dell’anima; per cui sono neces­
sari i comandamenti di Dio, com e dei legumi, per
potersi ristabilire e ritornare alla salute. Questi legumi
spirituali infatti ridanno forza alle anime malate fino a
che le conducono alla piena salute. E ciò è quanto
dice l'Apostolo: Ma chi è debole, si cibi di legumi.
Forse per questo leggiamo le parole del Signore (Gen.
9, 3): Tutto questo io vi do come i legumi [...] u. Incor-

i« 1 Tim. 6, 10.
11 II testo è lacunoso e la citazione incompleta; essa t
tavia può venir identificata, secondo il iLemaiié, con Gen. 9, 3
Sermone 12 101

reva anche lui [Noè] infatti nella grave infermità del


peccato e non ne poteva essere guarito altrimenti che
mangiando i precetti della salvezza. Pertanto, se siamo
colpiti da qualche infermità di tal genere, dobbiamo
mangiare volentieri i precetti della castità, della pa­
zienza, dell'amore e della carità per poterci ristabilire
fino alla piena salute ed essere in grado di mangiare
gli alimenti più sostanziosi della giustizia e della fede.
Infatti è proprio degli uomini sani e robusti e in spe­
cial m odo degli atleti spirituali nutrirsi di cibi sostan­
ziosi. Se dunque meritiamo di mangiare gli alimenti
più sostanziosi della giustizia e della fede, diverremo
senza dubbio degli atleti spiritualin, così da poter
vincere e superare in questa vita l’avversario. Amen.

piuttosto che con Gen. 1, 29, passo per il quale la Vetus Latina
e le citazioni patristiche ignorano l’espressione sicut olerà.
u La metafora dell’atleta, già usata da san Paolo, ritorna
in Origene, Tertulliano, Cipriano soprattutto in riferimento al
martirio; ma ogni cristiano deve essere un atleta spirituale
nella lotta contro le potenze del male; cf. G. Lomiento,
’AfrX/ri'rìis Ti)s e\i<7e|3e£as , in « Vetera Chiistianorum », I {1964),
pp. 113-128.
Sermone 13 (frammento) - SUL VANGELO
DI MATTEO, DOVE SI DICE:
« GERUSALEMME, GERUSALEMME,
CHE UCCIDI I PROFETI »

1. Dopo molti rimproveri contro l'empietà d


scribi e dei farisei, il Signore e Salvatore nostro apo­
strofò Gerusalemme, come avete appena sentito, o miei
cari, nella presente lettura: Gerusalemme, Gerusalem­
me, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono a te
inviati *. Sotto il nome di Gerusalemme sono qui accu­
sati non i muri di Gerusalemme, ma gli abitanti della
città, o piuttosto la sinagoga dei Giudei, che è chia­
mata m olto spesso Gerusalemme. Non sono stati infatti
i muri della città a uccidere i profeti o a lapidare coloro
che erano ad essa inviati, ma la gente della sinagoga.
Costoro hanno già ucciso i profeti e lapidato i giusti.
Ora forse i Giudei sostengono di essere innocenti del
sangue dei profeti e della morte dei giusti, dal mo­
mento che a quell’epoca essi non esistevano. Ma poiché
non credono a ciò che profeti e giusti hanno detto di
Cristo, è come se essi stessi ora lapidassero i giusti e
uccidessero i profeti. Quale oltraggio più grande si
può fare ai giusti e ai profeti che quello di non credere
a Cristo? E poiché i Giudei non credono in lui, senza
dubbio lapidano i giusti non con le pietre delle strade,
ma lanciando insulti; e uccidono i profeti non con una

i Mt. 23, 37.


104 Cromazio di Aquileia

spada di ferro, ma col pugnale della miscredenza: per­


ché le bestemmie dei Giudei contro Cristo sono la lapi­
dazione dei giusti e l’uccisione dei profeti. 'Ma è dovere
di un soldato coraggioso soffrire la morte per il suo
re. Ciò si deve intendere a proposito dei giusti e dei
profeti, perché sono soldati coraggiosi e degni servi­
tori di Cristo. Perciò è senza dubbio un oltraggio a
Cristo la lapidazione dei giusti, e sua morte la morte
dei profeti. Ciò abbiamo voluto dire, perché vediamo
i Giudei, ancora oggi, perseguitare i giusti e uccidere
i profeti, in quanto non credono a quello che i giusti
e i profeti hanno detto di Cristo.
2. Inoltre non viene rimproverato alla sinago
Gerusalemme, Gerusalemme, che hai ucciso i profeti,
ma: che uccidi i profeti. E non è scritto: che lapidasti
coloro che sono a te inviati, ma: che lapidi coloro che
sono a te inviati, affinché tutti i Giudei riescano a
capire di essere anche loro colpevoli della morte dei
giusti e del sangue dei profeti. Dunque è detto alla
sinagoga: Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi
coloro che sono a te inviati, quante volte ho voluto rac­
cogliere i tuoi figlioli com e la gallina raccoglie i suoi
pulcini sotto le ali, e tu non hai volu to2. Poiché si
legge: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli,
non è ora la prima volta, ma spesso...

2 Mt. 23, 37.


Sermone 14 - SULLA GUARIGIONE
DEL PARALITICO E SUL BATTESIMO

1. Quando il Signore e il Salvatore nostro venn


Gerusalemme, come avete udito, carissimi, nella pre­
sente lettura, vi trovò una piscina con cinque porticati,
chiamata in ebraico Betsaida Ebbene quella piscina
era una perfetta immagine del battesimo che doveva
ancora venire2. Ma quanto differisce l'immagine dalla
realtà, tanto differisce la grazia di quella piscina dalla
grazia del battesimo salutare. L'acqua di quella piscina
non si agitava che una volta all'anno3, mentre l'acqua
del battesimo della Chiesa è sempre pronta ad agi­
tarsi. Quella non si agitava che in un solo luogo, men­
tre questa si agita per il m ondo intero. Lì scendeva
un angelo, qui lo Spirito Santo. Lì la grazia di un
angelo, qui il mistero della Trinità. Lì l'acqua non
guariva che un uomo l'anno, qui essa salva ogni giorno
intere fo lle 4. L'acqua della piscina non guariva che

1 Gv. 5, 2.
2 È il solo Sermone cromaziano che ci sia pervenuto rela­
tivo a una catechesi pasquale parallela al De Sacramentis di
Ambrogio. L’interpretazione battesimale della guarigione del
paralitico di Betsaida è comune ai 'Padri sia occidentali che
orientali. Fra le prime testimonianze in Occidente, cf. Ter­
tulliano, D e Baptismo, 5 e 6; Cipriano, Ep. 13, 2.
3 Gv. 5, 3-4.
4 Lo stesso parallelismo antitetico in Tertulliano.
106 Cromazio di Aquileia

il corpo, questa del battesimo invece guarisce ad un


tempo anima e corpo. Quella liberava solo il corpo
dalla malattia, questa libera corpo e anima dal pec­
cato. Presso l’acqua della piscina giaceva una moltitu­
dine di malati, perché essa ne guariva uno solo l’anno;
presso l’acqua del battesimo sta in attesa soltanto chi
è voluto venire per essere guarito: essa è sempre pron­
ta a guarire, purché si venga per essere guariti. Ven­
nero infatti i pagani e sono stati guariti. I Giudei non
sono voluti venire e perciò sono rimasti per sempre
nella loro infermità.
2. Quanto sia importante la grazia del battesi
della Chiesa, lo Spirito Santo lo mostra chiaramente
per bocca di Salomone, che si rivolge alla Chiesa in
questi termini: I tuoi occhi sono com e colom be ba­
gnate nel latte, appoggiate su acque abbondanti5. Gli
occhi della Chiesa stanno a significare gli Apostoli e i
martiri che, nel corpo della Chiesa, sono ritenuti pre­
ziosi come gli occhi e che sono stati intinti6 nel batte­
simo di latte della Chiesa perché diventassero spiri­
tualmente bianchi come il latte. Vuoi sapere come gli
Apostoli sono stati lavati nel latte? Ascolta ciò che
dice Paolo: Vi ho dato da bere latte, non un cibo
solido7. E giustamente offre del latte chi è stato lavato
nel latte. Tuttavia, fra questi occhi della Chiesa lavati
nel latte, dobbiamo comprendere prima di tutti quei
bambini che a Betlemme sono stati trucidati per Cri­
sto da E rode8. Essi infatti sono stati realmente lavati
nel latte, loro che meritarono di morire per Cristo

5 Cant. 5, 12.
6 Tingere ( = immergere) era termine corrente ad Aquileia
per indicare il battesimo {cf. S. 18 e 19). Tale parola, prefe­
rita dalle versioni bibliche più antiche, frequente in Tertul­
liano e in Cipriano, cederà il posto a baptizare. Cf. anche S. Ta-
vano, Aquileia e l’Africa, in Aquileia, Udine 1968, pp. 193-194.
t 1 Cor. 3, 2.
* Mt. 2, 16.
Sermone 14 107

quand'erano ancora lattanti; furano dunque lavati nel


latte questi che mentre succhiavano ancora dal seno
materno hanno sofferto il martirio per Cristo. Che il
martirio stia a significare il battesimo, è il Signore
stesso che lo afferma nel Vangelo quando ai suoi disce­
poli dice: C'è un battesimo che devo ancora ricevere9.
Egli non si riferiva certo al battesimo di acqua che
aveva già ricevuto da Giovanni, ma al battesimo della
sua passione: beato chi avrà meritato di esservi immer­
so! Certamente è cosa buona anche il battesimo di
aoqua, ma è cosa superiore e ottima il battesimo del
martirio. Là, c'è il perdono; qui, il premio; là, la remis­
sione dei peccati; qui, si diventa meritevoli della corona
delle virtù 10.
3. Salomone rileva opportunamente l’abbonda
delle acque nel battesimo quando si rivolge alla Chiesa
dicendo: I tuoi occhi sono come colombe bagnate nel
latte, appoggiate su acque abbondanti, perché abbon­
dante è la grazia del battesimo della Chiesa: essa si
spande e il mondo intero ne è irrigato. L'acqua della
piscina di Betsaida non guariva che una volta l'anno,
mentre la grazia del battesimo della Chiesa si spande
ogni giorno, ogni giorno cresce, ogni giorno sovrab­
bonda nei regni, fra i pagani, fra gli innumerevoli po­
poli delle nazioni che godono del suo dono u. Solo il
popolo dei Giudei non ha voluto riconoscere il dono
di tale acqua. E perciò questo infermo, che era il sim­
bolo del popolo giudaico, dice: Mentre vado, un altro

» Le. 12, 50.


10 Cromazio riprende qui le espressioni di Cipriano (Ep.
ad Fortunatum, Prol., 4). Sul rapporto fra battesimo e marti­
rio, cf. R. Jacob, Le martyre, épanouissement du sacerdoce
des chrétiens, dans la littérature patristique jusqu’en 258,
in « Mélanges de Science Religieuse », XXIV (1967), pp. 76-79.
Il premio consiste nell’unione immediata a Dio; cf. S. 16, n. 7.
11 Moto di eloquenza da cui traspare l’entusiasmo del­
l'oratore.
108 Cromazio di Aquileia

vi discende prima di m e n. Infatti, mentre il popolo


dei Giudei questionava e dubitava sulla venuta del Cri­
sto, il popolo dei pagani gli passò avanti ed ebbe per
primo la salvezza, divenuto il primo nella fede lui che
era stato salvato per primo.
4. Ma ora dobbiamo considerare ciò che, n
presente lettura, il Signore ha detto a colui che fu gua­
rito dopo trentotto anni: Ecco, ormai sei guarito; non
peccare più, affinché non ti capiti di peggio u. Tutti i
peccati che avevi ti sono stati rimessi; sei guarito da
ogni malattia del peccato, dal languore deiranima, dalla
debolezza del corpo, dal malanno della concupiscenza
illecita; sei risorto, com e uomo nuovo, dal lavacro della
rigenerazione. Stai attento a non tornare ai peccati di
prima e a non metterti in pericolo di morte, perché la
grazia del battesimo non è donata che una sola volta.
Chi la dovesse perdere per sua negligenza o piuttosto
per sua infedeltà, diventa egli stesso responsabile della
propria morte, perché non ha voluto custodire una gra­
zia cosi grande M. È per questo che, prima di accedere
al battesimo, ti è stato chiesto di rinunciare al mondo,
alle sue pompe e alle sue op ere15. E tu hai risposto
di rinunciarvi e cosi sei venuto alla grazia del battesimo
eterno. Le tue parole sono conservate presso Dio, la
tua risposta è scritta in cielo. Hai giurato a Dio la tua
fede; hai giurato alla presenza degli angeli, perché gli
angeli sono presenti quando ci viene domandata la
nostra parola. Bada a quello che fai. Se la promessa a

u Gv. 5, 7.
« Gv. 5, 14.
14 Come si rilevava più su, Cromazio dimostra un certo
ritegno nel parlare del sacramento del perdano per i peccati
commessi dopo il battesimo, forse per il timore che si dif­
fondessero tra i suoi fedeli forme di lassismo; of. G. Trettel,
Mysterium..., cit., pp. 91-93.
15 Per i otiti deU’iniziazione cristiana, si veda un parallèlo
in Ambrogio, De Sacr., I, 5-6.
Sermone 14 109

un uomo ci lega fortemente che ne sarà della promessa


fatta a Dio? Sulle tue parole, com e è scritto, sarai giu­
stificato, e sulle tue parole sarai condannato16. Sarai
giustificato se adempì ciò che hai promesso a Cristo;
sarai condannato se non avrai voluto mantenere la
fede giurata. Ascolta Salomone che dice: Per l’uomo,
le proprie labbra sono un saldo laccio11. Poiché dun­
que abbiamo a che fare con il Forte [D io], dobbiamo
mantenere la fede giurata e conservare la grazia rice­
vuta per non cadere in grande confusione nel giorno
del giudizio, quando ci verrà detto: Amico, com e sei
qui entrato senza avere veste nuziale?18e per non essere
presi per le mani e per i piedi e gettati fuori nelle
tenebre. Per questo Salomone ti dice: I tuoi vestimenti
siano bianchi in ogni tempo e l’olio non manchi alla
tua testa19. Le nostre vesti saranno sempre bianche se
manterremo integra la grazia del battesimo. Avremo
sempre l’olio sulla testa se sapremo custodire il crisma
salutare20 che abbiamo ricevuto. Così non saremo con­
fusi nel giorno del giudizio, ma piuttosto meriteremo
di rallegrarci con tutti i santi e gli eletti di Dio nel
regno dei cieli.

Mt. 12, 37.


” Prov. 6, 2.
« Mt. 22, 12.
» Sir. 9, 8.
20 Con tutta probabilità è in riferimento alla conferma­
zione; l’aggettivo salutare è un (richiamo al valore soteriologico
del segno e non è molto diverso da caeleste di cui Cromazio
fa ampio uso; of. G. Trettel, Mysterium..., cit., p. 91, n. 4.
Sermone 15 - SULLA LAVANDA DEI PIEDI

1. Sono certamente molti gli esempi di umiltà


il Signore e Salvatore nostro ci ha offerto dopo aver
preso corpo da una vergine. Ma è superiore a tutti
l’esempio riportato nella presente lettura, dal momento
che si degnò di lavare i piedi ai discepoli. Il Vangelo
dice: E levatosi dalla mensa, si tolse la veste, si cinse
di un panno e si mise a lavare i piedi dei suoi disce­
p o li’. Poco dopo egli volle spiegare loro perché lo
avesse fatto, dicendo: Voi mi chiamate Maestro e Si­
gnore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che
sono Maestro e Signore, ho lavato i piedi a voi, anche
voi dovete lavarvi i piedi l’un l’altro. Vi ho dato infatti
l'esempio perché anche voi facciate com e ho fatto i o 2.
È meravigliosa e incomparabile questa umiltà del Si­
gnore. Lui, Signore di eterna maestà, lava i piedi ai
suoi servi e serve gli uomini in terra, lui che gli angeli
servono in cielo. Egli si umiliò sulla terra perché tu
non voglia esaltarti in nulla. Egli lavò i piedi ai suoi
discepoli perché tu non disdegni di lavarli ai tuoi con­
servi. Non puoi esaltarti per ricchezza, per natali, per
onori, perché è il Signore degli onori e delle potestà
che si è degnato di compiere fino in fondo questo gesto.

‘ Gv. 13, 4.
2 Gv. 13, 13-15.
112 Cromazio di Aquileia

Ci ha mostrato un esempio di umiltà, che dobbiamo


seguire e imitare. D’altronde in questo gesto si nascon­
de un grande mistero riguardante la nostra salvezza.
Ma ne parleremo al momento opportuno.
2. Per ora vediamone intanto il senso letter
Anche Abramo lavò i piedi al Signore, quando gli
apparve alla quercia di M am bre3. Ma era un servo
che li lavava al padrone ed era giusto che un servo
lavasse i piedi al Signore. Lavando i piedi al Signore,
Abramo rese un servizio non al Signore ma a se stesso
per riceverne benedizioni. Infatti, per tale servizio, ebbe
nella vecchiaia un figlio dalla moglie sterile. Fu quando
il Signore, sul mezzogiorno, gli apparve presso la
quercia di Mambre che Abramo vide la prefigurazione
del mistero che si sarebbe realizzato in seguito. La quer­
cia di Mambre prefigurava infatti la croce del Signo­
r e 4; l’ora di mezzogiorno è il tempo della passione,
dato che il Signore all’ora sesta fu posto in croce per
la salvezza del mondo, secondo la testimonianza del
Vangelo5. E perciò si racconta che Abramo riposava
sotto un albero di quercia, perché la fede dei patriar­
chi non ha trovato riposo che sotto la croce di Cristo,
e si riposò sul mezzogiorno, nell'ora in cui la calura
vuol essere più forte, perché solo la croce di Cristo
ha potuto ridarci sollievo dall’arsura del peccato con
l’ombra della sua passione6. E non senza motivo il
Signore apparve sul mezzogiorno ad Abramo presso
un albero di quercia, perché il momento culminante
della manifestazione di Cristo fu quando a mezzo­
giorno pati la beata passione della croce per la nostra

3 Gen. 18, ls .
4 La stessa interpretazione della quercia di Mambre in
Gregorio di Elvira, Tract. S. Script., 2, PLS I, col. 366.
s Mt. 27, 45.
6 L'ombra della passione è evocata anche da Ambrog
Exp. Ps. 118, III, 19.
Sermone 15 113

salvezza7. Lavò dunque Abramo i piedi al Signore,


ma li lavò a suo vantaggio. Con quella lavanda dei pie­
di egli si liberò da ogni sozzura di peccato, perché
lavando i piedi di nostro Signore si ottiene la purifi­
cazione dai peccati. Anche Gedeone lavò i piedi al
Signore, com e si legge nel libro dei Giudici, non per
rendergli ossequio bensì per riceverne un beneficio8.
Infatti, per questo servizio, ottenne tutto ciò che aveva
chiesto e vide in anticipo i misteri della verità che si
sarebbe realizzata in seguito9. Offri un sacrificio su
una pietra; il Signore toccò la pietra con una verga e
ne usci fuoco che consumò l'olocausto10. In quella
pietra era prefigurata l'incarnazione di Cristo, da cui
procedette quel divino fuoco spirituale, cioè lo Spi­
rito Santo, che consuma in noi i vizi dei peccati. Non
possiamo divenire invero un sacrificio degno di Dio
se non siamo illuminati da quel fuoco divino, cioè dallo
Spirito Santo, che consuma in noi i vizi della carne
affinché siamo mondati da ogni macchia di peccato.
Fu poi comandato a Gedeone, mentre partiva per com­
battere i nemici, di scegliere soltanto trecento uomini,
coi quali riportò una splendida vittoria sui nem iciu.

7 Tale « manifestazione » include il tema della 'vittor


sulla croce infatti Cristo si manifesta come re vittorioso, trion-
fatore della morte e del demonio; cf. G. Cuscito, II Crocifisso
risorto in Cromazio di Aquileia, in « Aquileia chiama », XXVI
(1979), pp. 2-5.
* Giud. 6, 11 s. non fa alcuna allusione a una lavanda
piedi deH’angelo del Signore da parte di Gedeone. Tuttavia
anche Ambrogio (De Spir. Sancto, I, Prol. 15) associa Gedeone
ad Abramo. Secondo il Lemarié (SC 154, p. 251, n. 2) questo
passo conserverebbe la eco di ima tradizione rabbinica ed è
uno dei numerosi punti di contatto fra il presente Sermone e
il prologo del De Spir. Sancto di Ambrogio.
9 II testo latino dioe: futurae veritatis sacramenta prae-
vidit.
w Giud. 6, 21.
» Giud. 7, 6 e 16.
114 Cromazio di Aquileia

E certamente non sarebbe potuto riuscire vincitore


con un numero diverso da questo che simboleggiava il
mistero della croce: infatti nel numero trecento, secon­
do il sistema di numerazione dei Greci, è rappresentata
la lettera « tau », che è un’immagine evidente della
croce. Per di più Gedeone ripartì quei trecento in tre
corpi, perché la vittoria della croce si fonda sulla fede
nella Trinità12.
3. Ma riprendiamo il filo del discorso: Abramo l
dunque i piedi al Signore e li lavò anche Gedeone, ma
come servi al loro padrone. Ciò di cui parla la pre­
sente lettura sorpassa ogni meraviglia perché fu il
Signore a degnarsi di lavare i piedi dei suoi discepoli.
Se ci atteniamo al significato letterale, dobbiamo osser­
vare che si trattò di un atto di bontà e di benevola
restituzione. Gli Apostoli discendevano, secondo la
carne, da Abramo e da Gedeone. Poiché Cristo ricom­
pensa con tenerezza e bontà i servizi a lui resi, lava i
piedi dei suoi discepoli per restituire ai figli l’omaggio
ricevuto dai loro padri13. Questi lavarono i piedi al
Signore; egli lavò i piedi dei suoi discepoli e ricambiò
il servizio ma m olto più generosamente. Essi lavarono
i piedi al Signore per ricevere la santificazione; il Si­

12 Sul significato della lettera « tau », cf. H. Rahner, Das


mysfische Tau, in Symbole del Kirche. Die Ekklesiologie der
Vater, Salisburgo 1964, pp. 406 s. S. Tavano (In margine al­
l'omelia X V di Cromazio d'Aquileia, in « Studi Goriziani »,
XXXVI, 1964, pp. 8-10) si richiama a tale passo di Cromazio
per interpretare il simbolico numero inscritto sulla colon­
netta neH’emblema con la lotta fra il gallo e la tartaruga sul
pavimento musivo dell’aula teodoriana meridionale di Aqui­
leia: il segno che precede le tre « C »„ significante « mille »
ma anche « infinito », farebbe esaltare il valore infinito del
premio o del simbolo, mentre con le tre « C » si sarebbe vo­
luta indicare la « tau » per rappresentare contemporaneamente
il simbolo della redenzione, la croce, e quello della Trinità.
13 La stessa idea in Gregorio d'Elvira, Tract. S. Script.,
2, PLS I, col. 367.
Sermone 15 115

gnore invece lavò i piedi dei suoi discepoli non per


esserne santificato ma per santificarli. Essi lavarono
i piedi al Signore per cancellare i propri peccati; egli
lavò i piedi dei discepoli per mondarli da ogni 'brut­
tura di peccato. Abramo in quell'occasione offri al
Signore tre fo ca cce 14; Cristo ne saziò i figli nel deserto
con cinque pani15. Abramo fece riposare il Signore
all’ombra di una quercia, sul mezzogiorno; il Signore,
sul mezzogiorno, ne ha protetto i figli all’ombra della
sua croce: era infatti mezzogiorno quando il Signore
fu crocifisso. Abramo allora uccise un vitello da offrire
al Signore; Cristo offri se stesso come vittima per la
salvezza dei figli di Abramo.
4. Ora però consideriamo il significato recond
della presente lettura, sebbene lo sia già quello che
abbiamo appena d ettolé. Il Signore si tolse la tunica e
si cinse di un panno; versò dell’acqua in un catino e
cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli e ad asciu­
garli col panno di cui si era cinto. Non è riferito senza
motivo che il Signore si tolse la tunica e cosi lavò i
piedi dei suoi discepoli. In nessun altro momento sono
stati lavati i piedi delle nostre anime e purificati i
passi del nostro spirito, se non quando il Signore si
spogliò della sua tunica; allora, sulla croce, ha real­
mente deposto la tunica della carne, che aveva indos­
sato all’atto della nascita e di cui si spogliò al mo­
mento della passione. E fu per ricoprire la nostra nu­
dità che egli si spogliò della tunica della sua carne.

“ Gen. 18, 6.
“ Mt. 14, 7.
16 Cromazio si limita a commentare due gesti success
del Signore: il fatto che sì tolse la tunica e la lavanda dei
piedi. Questa è simbolo del battesimo che ci monda dal pec­
cato di Adamo. Per Cromazio, che in ciò si scosta da Ambrogio
(De Sacr., Ili, 4-7), la rituale lavanda dei piedi ai catecumeni
non ha alcuna efficacia per se stessa, ma è tutta orientata
verso il battesimo di cui è tipo e figura.
116 Cromazio di Aquileia

E dunque questa sola tunica del corpo di Cristo è


bastata a rivestire tutto il m on d o17. E benché il Si­
gnore nella passione si fosse spogliato della tunica della
carne, non rimase nudo, poiché aveva gli indumenti
delle sue virtù. Questo significa il fatto di essersi spo­
gliato della tunica.
5. Ma quando Gesù si accostò a Pietro per la
gli i piedi, questi, com e riferisce la presente lettura,
gli disse: Non mi laverai i piedi in eterno. Il Signore
gli rispose: Se non ti laverò i piedi, non avrai parte
con me. Gli disse allora Pietro: Signore, non solamente
i piedi ma anche le mani e il ca p o 18. All’inizio san Pie­
tro si sottrasse all'omaggio del Signore, perché si rite­
neva indegno di avere i piedi lavati da lui. Ma quando
il Signore gli disse: Se non ti laverò i piedi, non avrai
parte con me, non rifiutò più l’omaggio di Cristo per
poter avere parte con lui. E siccome capì che nella
lavanda dei piedi si nascondeva un profondo signifi­
cato, aggiunge: Non solamente i piedi ma anche le
mani e il capo. Presentò i piedi perché i passi della
vita, che erano stati macchiati in Adamo, fossero lavati
dal battesimo. Presentò le mani per purificare le
nostre col sacro battesimo di Cristo, dal momento
che Adamo aveva macchiato le sue quando le aveva
protese all'albero nonostante il divieto. Presentò il
capo da lavare, affinché l’intelligenza che risiede nel
capo non rimanesse nella sozzura del peccato di Adamo.
Così si offriva tutto intero al battesimo, lui che desi­
derava essere interamente lavato; per avere un cuore
puro grazie alla lavanda del capo, per poter compiere

17 La nudità dell'uomo peccatore è quella di Adamo spo­


gliato della tunica della grazia di Dio. I cristiani, rivestiti del-
Yunica tunica corporis Christi, cioè rivestiti di lui, formano
con lui un solo coipo: Cromazio affronta cosi il mistero della
Chiesa inseparabile da quello di Cristo.
18 Gv. 13, 8-9.
Sermone 15 117

opere di giustizia della verità con passi puri grazie


alla lavanda dei piedi.
6. Dunque il Signore lavò i piedi dei suoi di
poli, perché non rimanesse in noi traccia alcuna del
peccato di Adamo. Oggi il Signore lava i piedi a quei
servi che invita alla grazia del battesimo salutare. E
sebbene tale compito appaia eseguito da uomini, l’azio­
ne tuttavia è di colui che è autore del dono; è lui che
effettua ciò che ha istituito. Noi compiamo il rito;
egli concede la grazia. Noi eseguiamo; egli dispone.
La grazia viene da lui, anche se noi compiamo il rito.
Noi laviamo i piedi del corpo; egli lava i passi del­
l'anima. Noi immergiamo il corpo nell’acqua; egli ri­
mette i peccati. Noi immergiamo; egli santifica. Noi
sulla terra imponiamo le mani; egli dal cielo manda
lo Spirito Santo19. Perciò catecumeni, figli miei, do­
vete affrettarvi20 a ricevere la grazia del battesimo,
cosi che, liberati dalle macchie del peccato, possiate
divenire perfettamente puri alla presenza del Signore
e Salvatore nostro, Gesù Cristo...

19 L'imposizione delle mani, cioè la confermazione è vista


nel complesso dei sacramenti della Pasqua in continuità e in
relazione col battesimo.
20 L'invito ad affrettarsi ricorre anohe nei sermoni di Ago­
stino ai catecumeni.
Sermone 1 6 - 1 SERMONE PER LA
GRANDE NOTTE1

1. Certamente tutte le veglie che si celebrano


onorare il Signore sono gradite a Dio e a lui accette,
ma questa veglia supera tutte le altre. Cosi questa notte
è detta in m odo del tutto speciale veglia del Signore.
Si legge infatti: Questa è la veglia del Signore, che tutti
i figli d’Israele devono osservare2. Questa notte ben a
proposito porta il titolo di veglia del Signore: egli
infatti ha vegliato in vita perché noi non rimanessimo
addormentati nella morte. Egli ha sofferto per noi il
sonno della morte mediante il mistero della passione;
ma quel sonno del Signore è diventato veglia per tutto
il mondo, dato che la morte di Cristo ha scosso via
da noi il sonno della morte eterna. Egli stesso lo
dichiara per bocca del Profeta: Poi ho dormito e mi
sono svegliato e il mio sonno mi è parso soave3. Fu
certo dolce quel sonno di Cristo che ci ha richiamato

1 Per questo e per il successivo sermone pronunciati du­


rante la veglia pasquale l’editore usa il tìtolo in nocte magna,
secondo l'indicazione del capituiare del codex Rehdigeranus;
se non è certo che l'espressione risalga al sec. IV-V, almeno
essa appartiene a ima tradizione liturgica aquileiese anteriore
all'epoca carolingia.
2 Es. 12, 42.
3 Sai. 3, 6. Anche Agostino nei suoi Sermoni per la veglia
pasquale cita lo stesso versetto e Sai. 120, 4.
120 Cromazio di Aquileia

dall'amarezza della morte alla dolcezza della vita. Que­


sta notte porta dunque il titolo di veglia del Signore,
perché egli vegliò anche nel sonno della sua passione,
come lo rivela egli stesso con le parole di Salomone:
Io dormo, ma il mio cuore veglia4. Da ciò risulta in
tutta evidenza il mistero della sua divinità e della sua
umanità. Ha dormito in quanto uomo, ma la sua divi­
nità vegliava perché la divinità non poteva dormire.
Leggiamo queste parole a proposito della divinità di
Cristo: Non si addormenterà, non prenderà sonno il
custode d'Israele5. Ed è la stessa cosa di quando dice:
Io dormo, ma il mio cuore veglia; durante il sonno
della sua passione infatti, egli ha dormito in quanto
uomo, ma la sua divinità visitava gli inferi, per trame
l'uom o che vi era trattenuto prigioniero. Il Signore e
Salvatore nostro ha voluto di fatto visitare ogni luogo,
per usare misericordia a tutti. Discese dal cielo sulla
terra per visitare il mondo; discese ancora dalla terra
agli inferi per portare la luce a coloro che ivi erano pri­
gionieri, secondo la parola del Profeta: Su voi che
siete nelle tenebre e nell'ombra di m orte una luce ri­
fulse 6. È giusto dunque chiamare questa notte veglia
del Signore, dato che in questa notte egli non ha fatto
risplendere la sua luce soltanto sul mondo, ma anche
su quelli che stavano agli inferi.
2. Questa veglia del Signore, di conseguenza,
celebrano gli angeli nel cielo, gli uomini sulla terra e
le anime dei fedeli agli inferi7. Nel cielo, gli angeli

4 Cant. 5, 2.
s Sai. 120, 4.
« Is. 9, 2.
7 Gli inferi indicano qui la dimora dei defunti, fra i qu
si trovano le anime dei giusti. Nell'attesa della risurrezione e
del giudizio finale, le anime dei fedeli dimorano in uno stato
intermedio che comporta ima partecipazione incompleta ai
beni celesti; fanno eccezione solo i martiri, che partecipano
Sermone 16 121

celebrano questa veglia del Signore, perché Cristo con


la sua morte ha distrutto la morte, ha sottoposto ai
suoi piedi gli inferi, ha salvato il mondo e liberato
l’u om o8; e giustamente essi la celebrano, perché la sal­
vezza del mondo è gioia per gli angeli. Che se il ravve­
dimento di un solo peccatore è motivo di gioia per gli
angeli nei cieli, come si legge nel Vangelo9, quanto più
10 sarà la redenzione del mondo intero! In terra anche
gli uomini la celebrano dato che per la salvezza del
genere umano Cristo ha sofferto la morte, per vincere
la morte con la sua morte. Negli inferi, anche le anime
dei fedeli la celebrano dato che per la salvezza del ge­
nere umano Cristo ha sofferto la morte, per vincere la
morte con la sua morte. Negli inferi, anche le anime
dei fedeli la celebrano, perché Cristo è disceso agli
inferi proprio per far cessare su di essi il regno della
morte e deH'infemo. E perché meravigliarsi se questa
veglia del Signore la celebrano gli angeli in cielo, gli
uomini sulla terra e le anime agli inferi, se chi si è
degnato di morire per noi è il creatore del cielo, della
terra e degli inferi? Ma dobbiamo dire di più: questa
veglia del Signore è il Padre stesso a celebrarla con il
Figlio e con lo Spirito Santo, perché è secondo la vo­
lontà del Padre che il Figlio ha accettato la morte,
per dare a noi la vita mediante la sua morte. Questa
veglia, dunque, non è una festa per gli uomini e per
gli angeli soltanto, ma anche per il Padre, per il Figlio
e per lo Spirito Santo, poiché la salvezza del mondo
è la gioia della Trinità. Ecco perché dobbiamo cele­
brare in tutta devozione la veglia di questa notte cosi
grande: è in questa notte che la morte è stata distrutta,
11 mondo è stato redento, il popolo liberato.

immediatamente della beatitudine, cf. S. 14, n. 10. Cromazio


non si scosta dalla credenza comune alla sua epoca.
8 Tale passo pare l'eco di un inno liturgico.
9 Le. 15, 7-10.
\

122 Cromazio di Aquileia

3. Giustamente dunque questa notte viene detta


veglia del Signore, perché essa è celebrata nel mondo
intero in onore del suo nome. Le preghiere di ciascuno
sono tante quanti sono i desideri; tanti i loro lumi
quanti i voti e i meriti. Le tenebre della notte sono vinte
dalla luce della nostra devozione10. Gioiscono gli angeli
nel cielo per la solennità di questa veglia. Gioiscono
gli uomini sulla terra. Gioiscono anche le potenze degli
inferiu, poiché la grande solennità di questa notte è
giunta fino ad esse. Anche i Giudei e i pagani, quantun­
que sembrino ancora estranei a questa solennità, non
possono non gioire, perché sono vinti da ima certa gra­
zia nascosta e dalla potenza del nome di Cristo che
regna su tutti. Ora appunto un certo numero di pagani
e di Giudei celebrano la solennità di questa notte, che
è nostra, com e se fosse loro, e se non proprio per i
riti del culto, almeno con la gioia della loro anima n.
4. Poiché questa è la notte in cui già furono col­
piti i primogeniti degli Egiziani e liberati i figli d ’Israe­
l e 13, preghiamo il Signore con tutto il cuore e con
tutta la nostra fede che si degni di tenerci lontani da
ogni incursione di nemici e da ogni timore di avversari.
Non guardi ai nostri meriti, ma alla sua misericordia,
lui che già si degnò di liberare i figli d'Israele non
per i loro meriti ma per la sua misericordia. Ci pro­

10 La luce è intesa prima in senso proprio poi in senso


figurato. Durante la veglia pasquale i fedeli portavano delle
fiaccole, la cui luce richiama all'animo di Cromazio la devo­
zione, la preghiera e i meriti del popolo cristiano.
11 Le potenze infernali non possono essere i demoni, ma
piuttosto la personificazione della dimora dei defunti.
12 Tutta la città doveva essere in festa nella notte di Pa­
squa, ma, al di là delle apparenze propriamente popolari, Cro­
mazio sembra rilevare l'efficacia del mistero pasquale nel più
profondo del cuore umano, quasi che nessuno e nulla possa
sfuggire all'universale signoria del Cristo risorto; cf. D. Cor-
gnali, II m istero pasquale in Cromazio di Aquileia, Udine 1979.
13 Es. 12.
Sermone 16 123

tegga con la solita compassione, respinga le nazioni


barbare14, operi in noi ciò che il santo Mosè disse ai
figli d'Israele: Il Signore combatterà per voi, senza
che voi ve ne diate pensiero È lui che combatte, è
lui che riporta la vittoria, se ha pietà, se perdona i
peccati, se non considera i nostri meriti ma la sua
clemenza, perché è solito aver pietà anche degli inde­
gni. E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare
con tutte le nostre forze. Egli stesso infatti dice per
bocca del Profeta: Invocami nel giorno della tribola­
zione, io ti libererò e tu mi renderai gloria*6.

14 Aquileia era esposta più di ogni altra città d’Italia o


incursioni dei barbari, che specialmente dopo il 401 ne tur­
barono la vita civile e religiosa.
« Es. 14, 14.
16 Sai. 49, 15.
Sermone 17-11 SERMONE PER LA
GRANDE NOTTE

1. Quanto grande sia la solennità di questa notte,


10 attesta il mondo stesso in cui si celebra la veglia
pasquale per tutta questa notte e non a torto dato che
in questa notte la morte è stata vinta, vive la Vita e
Cristo è risorto da morte. Ed è senz’altro quella Vita
di cui iMosè un tempo aveva detto al popolo: Vedrete
la vostra vita sospesa a un legno giorno e notte, e voi
non crederete alla vostra v ita 1. Questa Vita dunque,
cioè Cristo Signore, fu sospesa a un legno quando Cri­
sto fu sospeso in croce per la salvezza del m on d o2.
11 popolo dei Giudei non ha voluto credere a questa
Vita e perciò è precipitato nella morte, perché chi
fugge la Vita cade necessariamente nella morte.
2. Ma non senza motivo Mosè aveva predetto che
questa Vita sarebbe stata sospesa a un legno giorno
e notte: è proprio di giorno che il corpo del Signore
è stato deposto dalla croce, come si legge nel Vangelo3.

1 Deut. 28, 66.


2 La stessa interpretazione di Deut. 28, 66 in Ireneo, Meli­
tene, Tertulliano, Cipriano, Ilario, Agostino e in altri. Nel
corso del sec. IV, Deut. 28, 66 era divenuto un testo privilegiato
come profezia delle tenebre del Venerdì santo, poiché era il
solo ad associarle alla crocifissione; cf. J. Daniélou, Ètudes
d’exégèse judéo-chrétienne, Parigi 1966, p. 72.
3 Mt. 27, 57; Gv. 19, 38.
126 Cromazio di Aquileia

E tuttavia, benché fosse ancora mezzogiorno quando


il Signore fu sospeso in croce, si fece buio su tutta la
terra per tre ore e perciò Cristo fu sospeso in croce
giorno e notte, perché la notte sopraggiunse a mezzo­
giorno. Il sole infatti non poteva tollerare l’ingiuria
fatta al suo creatore e perciò si ricopri di tenebre, per
non essere costretto ad assistere al crimine dei Giudei.
Anche il sole ebbe orrore davanti all’enorme delitto
dei Giudei e pertanto si rivesti di un velo di tenebre
come di un abito di lutto, per mostrare che onorava
la morte del suo Signore quasi con un rito di ono­
ranze funebri. Che per Vita bisogna intendere propria­
mente Cristo Signore, è lui stesso che lo manifesta
nel Vangelo quando dice: Io sono la via, la verità e
la vita4. Egli si definisce via, perché conduce al Padre,
verità, perché condanna la menzogna; vita, perché do*
mina la morte. Non è a caso dunque che il Profeta dica
contro la morte: Dov’è, o morte, il tuo pungiglione;
dov’è, o morte, la tua vittoria?5. La morte infatti, che
era solita vincere, fu vinta dalla morte del vincitore.
La Vita, pertanto, accettò di abbassarsi fino alla morte,
per mettere in fuga la morte stessa. Come le tenebre
si dileguano non appena spunta il giorno, cosi la
morte fu annientata al sopraggiungere della Vita eter­
na. Questa Vita non era soggetta alla morte e tuttavia
sostenne la morte nella sua carne, allo scopo di annien­
tare con la sua occulta potenza la morte stessa. Come
accade per un leone che si rivesta della pelle di pecora
per ingannare il lupo, così Cristo, che è la Vita, assume
la carne per ingannare la morte, divoratrice dell’essere
umano6. Per non aver voluto credere a questa Vita, i
Giudei sono precipitati nella morte; ma noi dobbiamo
credere a quella per poter scampare alla morte.

4 Gv. ,14, 6.
5 1 Cor. 15, 55.
6 Una sentenza popolare di largo impiego.
Sermone 17 127

3. Questo è il tempo di Pasqua, di cui Mosè av


già parlato al popolo dicendo: Questo mese sarà per
voi il primo mese dell’anno''. La solennità di questo
tempo dunque, Mosè la chiamò primo mese e inizio
dell'anno8. Dobbiamo infatti computare l’inizio del­
l’anno a partire da questo tempo, in cui abbiamo rice­
vuto le primizie della salvezza. È quindi giusto che
noi diciamo primo quel mese in cui siamo stati salvati
dalla morte. E allora sbagliano di grosso i pagani che
considerano primo il mese di gennaio. Ma come può
essere ritenuto gennaio il primo mese dell'anno, se
durante quel mese tutto il mondo si trova in qualche
m odo disseccato e senza bellezza? Durante quel tempo
infatti non c'è erba sulla terra, non fiori sugli alberi,
né gemme sulle viti. Il primo mese non è dunque gen­
naio in cui tutto muore, ma il tempo di Pasqua in cui
tutto riprende vita. È che l'erba dei prati risorge come
da morte, allora i fiori compaiono sugli alberi, allora
le gemme sulle viti, allora anche la stessa atmosfera
è come lieta per il tempo rinnovato, un tempo in cui
il timoniere può ormai riprendere tranquillo la via
del m are9. Primo mese e tempo nuovo è proprio que­
sto tempo di Pasqua, in cui gli stessi elementi del
mondo si rinnovano. E non fa alcuna meraviglia che
in questo tempo il mondo venga rimesso a nuovo, se
lo stesso genere umano oggi viene innovato. Infatti
sono innumerevoli i popoli che oggi in tutto il mondo,
sbarazzata la vetustà del peccato, risorgono a novità
di vita per l’acqua del battesimo. In questo tempo in­
fatti anche le pecore partoriscono ormai in tutta sicu-

i Es. 12, 2.
8 È ricorrente questa osservazione nei Padri anche perché
associavano la creazione del mondo all’equinozio di primavera;
cf. J. Daniélou, Bible et Liturgie, Parigi 1951, pp. 389 s.
9 La navigazione era bloccata nel Mediterraneo dall’ll no­
vembre al 10 marzo; cf. Vegezio, Epitom e rei militaris IV, 39.
128 Cromazio di Aquileia

rezza, poiché non temono più i rigori dell’mvemo. E


a loro somiglianza, in questo tempo, la Chiesa di Dio,
quasi si trattasse di pecore spirituali, procrea al Cristo,
quali agnelli, greggi di fedeli, nutrendoli col latte della
vita e con la bevanda della salvezza. Queste sono le
pecore spirituali di cui parla Salomone: Esse risal­
gono com e pecore dal bagno; tutte hanno due piccoli
e nessuna di esse è sterile10. Egli ci mostra queste pe­
core, cioè le pecore che sono la Chiesa, fecondate per
mezzo del bagno, poiché per la grazia del battesimo
partoriscono dei figli a Dio. Danno alla luce dei figli
gemelli, perché coloro che arrivano alla fede proven­
gono da due p o p o liu.
4. Dunque sbagliano di grosso i pagani i qu
pensano che il primo mese e il tempo nuovo sia quello
di gennaio; ma niente di strano che s'inganni sul
tempo chi s’inganna in fatto di religione. Quanto a
noi invece, che crediamo davvero nuovo questo tempo
di Pasqua, dobbiamo celebrare questo santo giorno
in tutta letizia, esultanza e gioia deH'anima, per poter
ripetere con piena coerenza il ritornello del salmo
che abbiamo appena cantato: Questo è il giorno fatto
dal Signore, esultiamo e rallegriamoci in e s so tt. Ciò
potremo dire con fiducia se obbediamo fedelmente a
tutti i suoi comandamenti in modo da poter giungere
alla vita eterna e alla perpetua esultanza del regno
celeste.

10 Cant. 4, 2 e 6, 5.
11 Si tratta del noto tema deWEcclesia ex gentibus e del-
YEcclesia ex circumcisione, tema peraltro raramente appli­
cato a questo versetto della Cantica.
“ Sai. 117, 24.
Sermone 17A - SERMONE DI PASQUA1

1. Quando il Signore e Salvatore nostro giunse


momento della sua passione allo scopo di mostrare
quanto fosse grande ai suoi occhi la gioia della Pasqua,
disse: Ho desiderato ardentemente mangiare questa
Pasqua con v o i2. Quanto grande sia la festa di Pasqua,
possiamo dedurlo sinché da questo, che il Signore e
Salvatore nostro ha desiderato portarla a compimen­
to. La gioia di questa Pasqua era il desiderio degli an­
geli, il desiderio della Legge, il desiderio dei giusti, il
desiderio dei profeti; ma il suo tempo non era ancora
giunto. E certo da lungo tempo era stata preparata
nella Legge questa fèsta di Pasqua, ma in figura. Ciò
che la Legge aveva dunque preparato in figura, Cristo
Signore portò a compimento nella realtà. La vera Pa­
squa è la passione di Cristo, da cui propriamente la
festa ha ricevuto il nome di Pasqua3. E questo indica
con chiarezza la parola dell'Apostolo: E infatti Cristo,
nostra Pasqua, è stato immolato. Dunque, come dice

1 La brevità del sermone, verosimilmente pronunciato


nella mattina dà Pasqua, si spiega con la fatica già sostenuta
dal vescovo nella lunga veglia.
2 Le. 22, 15.
3 Per questa etimologia corrente presso i Padri, of. C. Moh­
rmann, Pascha, Passio, Transitus, in Études sur le latin des
chrétiens, I, Roma 1961, pp. 205-222.
130 Cromazio di Aquileia

10 stesso Apostolo, celebriamo la festa non con lievito


vecchio, né con il lievito della malizia e della perver­
sità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità *.
Dobbiamo dunque respingere dai nostri cuori ogni
fermento di malizia e di peccato, in m odo da diven­
tare, per purezza di cuore e rettitudine di coscienza,
come pani azzimi e poter così celebrare degnamente
la Pasqua di Cristo.
2. Se al contrario conserviamo in cuore il
mento del peccato e del male, non siamo degni di cele­
brare la Pasqua del Signore. E per ciò dice l’Apostolo:
Mondatevi dal vecchio lievito per essere pasta nuova,
siccome siete azzimi5. Siamo azzimi se restiamo senza
11 fermento della malizia. Siamo azzimi se rimaniamo
estranei a ogni lievito di peccato. Infatti un p o ’ di lie­
vito fa fermentare tutto l’impasto6, come dice l’Apo-
stolo. Per questo dobbiamo purificarci da ogni fer­
mento di peccato e gettarlo via da noi, per meritare
di godere della solennità di Pasqua, di cui il Signore
ha detto ai suoi discepoli: H o desiderato ardentemente
di mangiare questa Pasqua con voi. Mangiamo dunque
questa Pasqua con Cristo, poiché è lui stesso il nutri­
mento di coloro che salva. È lui l’autore della Pasqua,
è lui l'autore del mistero; e perciò ha portato a compi­
mento la festa di questa Pasqua, per renderci forti col
cibo della sua passione e per ridarci vigore con la
bevanda della salvezza7. Poiché dunque il Signore
ha voluto farci partecipi di una festa così grande, pre­
ghiamo di ricevere degnamente i suoi sacramenti per
meritare a buon diritto la sua benedizione. Amen.

« 1 Cor. 5, 7-8.
s 1 Cor. 5, 7.
6 1 Cor. 5, 6.
7 E imo dei tre sermoni in cui sia evocato il mistero euca­
ristico: l'Eucaristia, come si è già detto, è il sacramento della
passione del Signore.
Sermone 18 - SU NICODEMO
E SUL BATTESIMO 1

1. Poiché il Signore e Salvatore nostro aveva


nifestato la potenza della sua divinità operando diversi
segni e prodigi, venne da lui di notte Nicodemo, uno dei
capi dei Giudei, racconta il Vangelo, e gli disse: Sap­
piamo che tu sei venuto come maestro da parte di
Dio; poiché nessuno, se Dio non è con lui, può operare
quei prodigi che tu fa i2. Questo Nicodemo, uno dei capi
dei Giudei, desiderava certo venire dal Signore, ma
temeva di offendere i Giudei e perciò si presentò a
lui non di giorno ma di notte, perché era ancora trat­
tenuto nella notte dell'ignoranza e neH'incredulità dei
Giudei. Cristo, sole di giustizia, infatti non aveva ancora
cominciato a risplendere nel suo cuore, perché egli
non aveva ancora riconosciuto la luce della verità.
Perciò quelle parole del Signore nel Vangelo: Quando
uno cammina di giorno non inciampa; ma quando
uno cammina di notte inciampa, perché gli manca la
luce del m ondo3. Chi segue Cristo, perenne luce, cam­
mina sempre di giorno; il sopraggiungere della notte
non gli è d’impedimento, perché la luce della verità

1 Si tratta di un sermone pronunciato nel corso di una si-


nassi riservata ai catecumeni.
2 Gv. 3, 1-2.
3 Gv. 11, 9-10.
132 Cromazio di Aquileia

è sempre nel suo cuore; chi invece ignora Cristo, la vera


luce, è sempre nella notte, anche se cammina di giorno.
Poiché dunque Nicodemo era ancora trattenuto nel­
l'ignoranza dei Giudei, giustamente è detto che venne
di notte a trovare il Signore. E che Nicodemo fosse al­
lora nella notte dell’ignoranza, il testo stesso lo mette
in chiaro. Egli dice infatti al Signore: Sappiamo che
tu sei venuto com e maestro da parte di Dio; poiché
nessuno, se Dio non è con lui, può operare quei pro­
digi che tu fai. Nicodemo considerò come un maestro
qualsiasi chi era l’autore della dottrina celeste; ammi­
rava in lui dei segni prodigiosi, mentre da quelli avreb­
be dovuto riconoscere la maestà del Signore, poiché
solo Dio poteva operare tanti e tanto grandi prodigi.
Ma sebbene Nicodemo fosse venuto di notte a trovare
il Signore, non se ne andò tuttavia senza la grazia della
luce, perché era venuto a trovare Dio che è la vera luce.
2. Per spandere dunque nel suo cuore la luce d
nuova nascita, il Signore gli disse: È necessario nascere
una seconda volta*. Ma poiché Nicodemo non aveva
potuto conoscere ancora pienamente la grazia di una
nascita tanto grande, rispose: Come potrà accadere
ciò? Può forse un uomo, da vecchio, entrare nel seno
di sua madre e cosi nascere un’altra volta?5. Allora
Gesù gli disse chiaramente: Se uno non rinasce dal­
l’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel
regno di Dio. Ciò che è generato da carne è carne e
ciò che è generato dallo Spirito è spirito6. Dicendo ciò
il Signore mostra chiaramente a Nicodemo che ci sono
due nascite: tuia terrena, l’altra celeste; tuia secondo
la carne, l’altra secondo lo Spirito. Ma mostra che la
nascita dallo Spirito è ben superiore a quella della

* Gv. 3, 3.
5 Gv. 3, 4.
« Gv. 3, 5-6.
Sermone 18 133

carne con queste parole: Ciò che è generato da carne


è carne e ciò che è generato dallo Spirito è spirito.
3. Carnale è dunque la nascita da un uomo,
rituale la nascita da Dio; l'ima viene daU’uamo, l’altra
da Dio; l'ima fa nascere l'uomo al mondo, l'altra lo
genera a Dio. L'una consegna il generato alla terra,
l'altra lo destina al cielo. Con l'una si entra in possesso
della vita temporanea, con l'altra si possiede la vita
eterna. L'ima infine rende figli degli uomini, l'altra
figli di Dio. Infatti la nascita spirituale si compie in
modo del tutto invisibile, come l'altra visibilmente.
Chi è battezzato si vede certo venir immerso nel fonte,
si vede risalire dall'acqua, ma ciò che si effettua in
quel lavacro non si vede: solo l'assemblea dei fedeli
comprende spiritualmente che uno scende peccatore
nel fonte e ne risale m ondo da ogni peccato. Beata dun­
que e veramente celeste questa nascita che da figli di
uomini rende figli di Dio! Nicodemo ne ignorava an­
cora il mistero e perciò disse al Signore: Può forse un
uomo, da vecchio, entrare nel seno di sua madre e cosi
nascere un’altra volta? Nicodemo era ancora carnale
e perciò parlava secondo la carne. Ma il Signore, per
portare la sua mentalità carnale aH’intelligenza spiri­
tuale e mostrargli cosi di quale nascita ognuno deve
rinascere, disse: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo
Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli.
Infatti questa nascita spirituale trasforma da vecchi
in fanciulli. Quanti sono stati rigenerati dal battesimo
rinascono nell'innocenza, dopo essersi spogliati del
vecchio errore e della malizia del peccato. Ed è il
seno spirituale della Chiesa7 che concepisce e dà
alla luce i figli di Dio.

7 Ancora una volta il battistero è considerato spirita


uterus Ecclesiae.
134 Cromazio di Aquileia

4. Poiché dunque, o candidati al battesimo8, fi


miei, state per rinascere neU’innocenza per mezzo della
grazia di Dio, dopo aver deposto ogni peccaminosa
vetustà, dovete conservare intatta e senza macchia la
grazia della vostra nascita, per poter essere chiamati
ad essere veramente i figli di Dio e per poter essere
trovati degni di entrare nel regno dei cieli.

* Il testo usa il termine competentes, che, come a Mila


e in Africa (a Roma erano detti electi) indicava i catecumeni
destinati a ricevere il battesimo di Pasqua.
Sermone 18A - SUL BATTESIMO
E SULLO SPIRITO SANTO 1

... Questa nascita infatti rende degni del regno


celeste, secondo la parola del Signore come avete, o
carissimi, appena udito: Se uno non rinasce dall’acqua
e dallo Spirito Santo, ncm può entrare nel regno dei
cieli. E aggiunge: Ciò che è generato da carne è carne,
perché è nato dalla carne; ma ciò che è generato dallo
Spirito è spirito, [ perché Dio è spirito] 2. E com e mai
certi eretici hanno osato negare che lo Spirito Santo
è Dio, pur vedendo che il Figlio di Dio proclama aper­
tamente che lo Spirito Santo è Dio? La nostra nascita
spirituale dunque non ha luogo senza lo Spirito Santo
e giustamente perché, come la nostra prima creazione
fu opera della Trinità, cosi la nostra seconda creazione
è opera della Trinità. Il Padre infatti non fa niente
senza il Figlio e senza lo Spirito Santo, perché l'opera
del Padre è anche del Figlio e l'opera del Figlio è
anche dello Spirito Santo. Non c'è che una sola e

1 Nell'edizione delle SC 164, questo frammento 18 A non


è distinto dal S. 18; per gli argomenti in favore di tale distin­
zione, cf. « Sacris Erudiri », X X I (1972), pp. 35-41.
2 Cromazio cita Gv. 3, 5-6 secondo la versione di Ambro­
gio nel De Spirita Sancto; questa versione comprende le
aggiunte: perché è nato dalla carne e perché Dio è spirito.
136 Cromazio di Aquileia

medesima grazia della Trinità3. Ora siamo dunque


salvati dalla Trinità, perché in origine siamo stati
creati solo dalla Trinità. Unica è l'opera della Trinità
nella creazione dell'uomo; unica fu già l'offesa alla
Trinità quando l'uomo andò in rovina...

3 Cromazio si riferisce agli eretici che combatterono


tesi dello Spirito Santo chiamati pneumatomachi e perciò
riafferma la divinità dello Spirito Santo, il quale partecipa
col Padre e col Figlio nelle opere divine ad extra (creazione,
redenzione, santificazione).
Sermone 19 - SULLA PASSIONE DEL SIGNORE,
DOVE SI DICE: « ALLORA I SOLDATI DEL
GOVERNATORE, CONDOTTO GESO NEL
PRETORIO, RADUNARONO ATTORNO A LUI
TUTTA LA COORTE E, SPOGLIATOLO,
GLI MISERO ADDOSSO UN MANTELLO
SCARLATTO » (M t. 27, 27-28)

1. Abbiamo ascoltato invero molte letture1,


da dove potremmo meglio prendere il nostro tema che
dal Vangelo, su cui si fonda in modo particolare la
nostra salvezza? Certo la lettura dei profeti è cosa
buona, ma la lettura del Vangelo è migliore, perché
nella lettura dei profeti troviamo l'anticipazione, men­
tre nel Vangelo è la realtà che si manifesta. Le parole

1 II sermone deve essere stato pronunciato verosimilme


durante una sinassi del Venerdì santo; tale giorno richiedeva
infatti una lunga e articolata celebrazione della Parola nel
corso della quale venivano lette le profezie dell'Antico Testa­
mento relative alla passione. Per quanto riguarda il numero
e la scelta di tali letture, è possibile solo supporre il brano
evangelico sulla base del Capituiare e del cod. Foroiul. che
danno rispettivamente Mt. 27, 1 e 27, 24. Solitamente nella ce­
lebrazione eucaristica si avevano tre letture: la Legge e i Pro­
feti, l’Apostolo (lettere) e il Vangelo. Come Ambrogio (PL XV,
col. 1443) e Agostino (PL XX XV III, col. 247 e X X X IX , col. 1493),
anche Cromazio conserva qua e là chiari cenni di questa tri­
logia di letture e specialmente all’inizio di questo S. 19. L’An­
tico Testamento è visto come figurazione, come predizione ed
è letto alla luce del Nuovo, che ne segna la realizzazione, la
pienezza; insomma il Nuovo Testamento è la veritas adombrata
nell'Antico; cf. anche S. 12 e S. 25. Su ciò si diffonde G. Tret-
tel, « Figura » e « veritas » nell’opera oratoria di san Cromazio
vescovo di Aquileia, in «La Scuola Cattolica», CII (1974), pp.
18-19.
138 Cromazio di Aquileia

dei profeti sono oscurate dalle nubi dei simboli; le


parole del Vangelo invece sono illuminate dallo splen­
dore del sole di giustizia2. La presente lettura del Van­
gelo ci ha fatto conoscere con quali oltraggi il Signore
e Salvatore nostro fu trattato dai Giudei e dai pagani
per la salvezza degli uomini. Quando infatti il Signore
e Salvatore nostro fu consegnato nelle mani dei sol­
dati per essere condotto alla croce, lo rivestirono, narra
il Vangelo, di una tunica di porpora e gli misero ad­
dosso un mantello scarlatto. Posero sul suo capo una
corona di spine e una canna nella sua destra; e inginoc­
chiandosi lo adoravano dicendo: Salve o re dei Giu­
d e i3. Giudei e pagani fecero ciò per schernirlo. Ma
ora sappiamo che questi fatti sono avvenuti secondo
il misterioso piano di D io4. In quelli agiva la cattive­
ria; nei pagani opera il mistero della fede e la norma
della verità5. Cristo infatti è rivestito di una tunica
purpurea quale re e di un mantello scarlatto quale
principe dei martiri, perché risplende del suo sacro
sangue come di uno scarlatto prezioso. Ha ricevuto la
corona com e vincitore, perché la corona si offre pro­
priamente al vincitore. Come Dio egli è adorato a ginoc­
chia piegate. Dunque è rivestito di porpora come re,
di scarlatto com e principe dei martiri, è cinto di corona

2 Sul contrasto fra il linguaggio allegorico dell’Antico


Testamento e la chiarezza del Vangelo, cf. H. de Lubac, Exé-
gèse Médiévale, cit., I, pp. 319 s.
3 Mt. 27, 28-30.
4 II testo dice: Sed nunc, caelesti mysterio, haec ipsa gesta
cognoscimus.
5 Si tratta, come pare, della Ecclesia ex gentibus: in essa
la derisione di Cristo, ricca di una portata simbolica, si com­
pleta sul piano del mysterium fidei e della veritas che nella
storia evangelica era solo adombrata; questi schemi a un re
da burla prefiguravano infatti l'adorazione e gli omaggi a Cri­
sto re. Cf. Ilario, In Matth., 33, 3; Ambrogio, In Lue., X , 105.
Sermone 19 139

come vincitore, è ossequiato come signore, è adorato


come D io6.
2. Ma nella tunica di porpora possiamo rico
scere prefigurata anche la Chiesa, che restando ferma
in Cristo re, rifulge di splendore regale. Perciò è detta
anche stirpe regale da Giovanni nell'Apocalisse7. Que­
sta è la porpora, di cui leggiamo nella Cantica: Tutto
il suo letto è di porpora8. Cristo infatti riposa su quel
letto dove ha potuto trovare una porpora, cioè una
fede regale e un nobile cuore. La porpora si presenta
infatti cosa veramente preziosa e regale, perché seb­
bene sia un prodotto naturale, cambia di sostanza e
d’aspetto quando la si immerge nel bagno: altra diven­
ta la sua sostanza e altro il suo aspetto. La materia è
senza valore in se stessa, ma la sua trasformazione ne
fa un prodotto prezioso9. Così anche il nostro essere
umano è realtà senza pregio, ma diventa preziosa per
la trasformazione della grazia, quando è immersa per
tre volte, come la porpora, nello scarlatto spirituale,
nel mistero della Trinità. Cosi, se vogliamo essere sti­
mati come porpora preziosa, dobbiamo conservare la
grazia della nostra trasformazione, per poter esser
ritenuti degni di un re così grande. Inoltre nel man­
tello scarlatto possiamo vedere prefigurata anche la
gloria dei martiri, che, tinti del loro proprio sangue
e ornati del sangue del martirio, rifulgono in Cristo

6 Si possono rilevare coincidenze testuali con Ambrog


In Lue., X , 105; del resto tale Sermone si ispira in diverse
parti al commento di Ambrogio: lo stesso simbolismo del man­
tello scarlatto, la stessa allusione al carro trionfale (ibid.,
104, 109).
i Ap. 1, 6.
8 Cant. 3, 10.
9 Si immergeva la lana o la seta nel bagno di porpora
prima della lavorazione o della tessitura; in tale senso biso­
gna interpretare il testo: mutat naturam cum tingitur. In tutto
il passo purpura indica la stoffa e non la sostanza colorante.
140 Cromazio di Aquileia

come un prezioso scarlatto. Questo è lo scarlatto che


già fu prescritto di offrire per ornare il tabernacolo
di D io 10: i martiri infatti sono l'ornamento della Chiesa
di Cristo. Ma fu prescritto che quello scarlatto per or­
nare il tabernacolo fosse doppio. Infatti i martiri di
Cristo ricevono una duplice grazia dal momento che
consegnano ai tormenti il loro corpo e la loro anima:
esteriormente il sangue del martirio macchia il loro
corpo; interiormente la confessione della fede decora
la loro anima. Perciò i martiri, offrono un doppio scar­
latto per ornare il tabernacolo, perché sono divenuti
preziosi di corpo e di anima agli occhi del Signore.
3. La corona di spine posta sul capo del Signore
prefigurava la nostra assemblea, di noi cioè che siamo
giunti alla fede dal paganesimo. E sebbene un tempo
fossimo spine, cioè peccatori, tuttavia con la fede in
Cristo siamo diventati corona di giustizia, perché or­
mai non pungiamo né feriamo più il Salvatore, ma
coroniamo il suo capo con la confessione della fede,
quando confessiamo il Padre nel F iglio11: infatti il
Capo di Cristo è Dio, com e mostra l’Apostolo u. Questa
è la corona che Davide aveva già preannunciato nel
salmo dicendo: Hai messo sul suo capo una corona
di pietre p rezioseu. Sì, fummo già delle spine; ma
dopo essere stati destinati a corona di Cristo siamo
diventati pietre preziose, poiché quel medesimo che
dalle pietre ha fatto sorgere figli ad Abram o14, ha tra­
sformato le spine in pietre preziose.
4. E non è senza significato che sia stata posta
una canna nella destra del Signore, secondo quanto

w Es. 25 e 26.
11 Formula di fede conforme all'ortodossia nicena
quanto postula l’unità di sostanza; cf. Ilario, In Matth., 33, 3
PL IX, col. 1073.
>2 1 Cor. 11, 3.
« Sai. 20, 4.
14 Mt. 3, 9.
Sermone 19 141

riferisce la presente lettura. Ascolta ciò che Davide


attesta di Cristo nel salmo: La mia lingua è penna di
agile scrivanou. Sul punto di soffrire la sua passione,
egli prese nella destra ima canna sia per annotare
in cielo l'indulto delle nostre colpe, sia per imprimere
a lettere divine la sua legge nel nostro cuore, come
dice egli stesso per bocca del Profeta: Scriverò la mia
legge nel loro cuore e nella loro mente l’imprimerò
Ma possiamo intendere anche diversamente il signi­
ficato di questa canna, perché il senso spirituale am­
mette molte interpretazioni. La canna, vuota e senza
midollo, indica il popolo dei gentili che fu già senza
il m idollo della legge divina, vuoto di fede, privo della
grazia. Una simile canna dunque, cioè il popolo dei
gentili, è posta nella destra del Signore, perché a sini­
stra ormai aveva il popolo dei Giudei che perseguitava
Cristo. Che la canna simboleggi il popolo dei gentili,
lo indica Isaia, parlando così del Signore: Non spez­
zerà una canna fessa 11, cioè il popolo dei gentili che,
sebbene apparisse sferzato dal diavolo, tuttavia non
fu spezzato ma consolidato da Cristo18. La geneflus-
sione di quelli che lo adoravano significava la fede e
la salvezza dei popoli fedeli, che ogni giorno adorano
in ginocchio il Cristo, re eterno.
5. Infine la presente lettura ha riferito che, m
tre il Signore veniva condotto alla passione, incontra­
rono un certo Simone di Cirene e lo requisirono perché
portasse la sua c r o c e 19. La croce di Cristo è il trionfo
della sua potenza e il trofeo della sua vittoria. Fortu­
nato dunque questo Simone che ebbe il grande merito
di portare per primo lo stendardo di un cosi grande

« Sai. 44, 2.
« Ger. 31, 33.
17 j S- 4 2 ( 3.
» Cf. Ilario, In Matth. 33, 3.
» Mt. 27, 32.
142 Cromazio di Aquileia

trionfo. Questa croce, a dire il vero, il Signore l’ha


portata per primo e solo in seguito fu costretto a por­
tarla Simone. Sulla croce il Signore ha manifestato
distintamente la grazia del mistero celeste, poiché era
Dio e uomo, verbo e carne, Figlio di Dio e figlio del­
l'uomo. Come uom o dunque fu crocifisso, ma come
Dio ha trionfato nel mistero stesso della croce. La pas­
sione appartiene alla sua carne; alla divinità il trionfo
della vittoria30; per mezzo della sua croce infatti Cristo
ha trionfato sulla morte e sul diavolo. Per mezzo della
croce Cristo è salito in certo modo sul suo carro trion­
fale. E perciò ha scelto quattro evangelisti, come
un’eletta quadriga celeste, per annunciare al mondo
intero che egli era il trionfatore di ima strepitosa vit­
toria 21. Simone di Cirene dunque ha portato sulle sue
spalle il trofeo di queste vittorie22; egli fu associato
alla passione per essere associato alla risurrezione se­
cando le parole dell'Apostolo: Se moriamo con lui, con
lui vivremo; se con lui soffriamo, regneremo con lui23.
Perciò anche il Signore dice nel Vangelo: Chiunque
non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio
discepolo 24.
6. La croce di Cristo è dunque la nostra vittori
perché la croce di Cristo ha procurato a noi il trionfo
della vittoria. Chi di noi è tanto fortunato da meritare

20 Cf. Origene, In Iesu Nave, V ili, 3 SC 71, pp. 222-225.


21 Tale immagine si inserisce nella visione trionfale della
passione a cui Cromazio si ispira. Cf. Ambrogio, Exp. ps. 118,
IV, 28, PL XV, col. 1250.
22 Nel testo, triumphus è usato nel senso di tropaeum;
cf. C. Morhmann, A propos de deux mots controversés de la
latinità chrétienne: tropaeum-nomen, in Études sur le latin
des Chrétiens, cit., Ili, p. 334.
23 2 Tim. 2, 11.
» Le. 14, 27.
“ Cf. Massimo di Torino, S. XLV, CCL X X III, p. 182; Ru­
fino di Aquileia, Exp. Symboli, 12, CCL X X , p. 149.
Sermone 19 143

di portare in sé la croce di Cristo? Porta in sé la croce


di Cristo chi muore al mondo, chi è inchiodato con
Cristo. Ascolta anche l’Apostolo professare ciò: Con
Cristo sono confitto in croce e non sono più io che
vivo, è Cristo che vive in m e 26. Chi dunque è estraneo
ai vizi della carne, come dice l'Apostolo, estraneo ai
desideri del mondo, è inchiodato con Cristo. Al con­
trario, chi vive nei vizi della carne e nella concupi­
scenza del mondo non può dire: Sono inchiodato con
Cristo, perché non vive secondo Cristo, ma secondo
la vita del mondo e la volontà del diavolo. La croce di
Cristo è dunque la salvezza del mondo e il trionfo della
vittoria celeste. Anche in passato i grandi re, dopo aver
riportato ima grande vittoria sui popoli sconfitti, in­
nalzavano un trofeo di vittoria a forma di croce e vi
sospendevano in segno di imperitura memoria le spo­
glie sottratte al nemico. Ma la croce di Cristo attesta
una vittoria del tutto diversa. La vittoria di quei re
significava sterminio di popoli, distruzione di città,
saccheggio di province. La vittoria della croce, al con­
trario, comporta redenzione per i popoli, salvezza per
le città, libertà per le province, sicurezza per il mondo
intero. Soltanto al diavolo è toccato di essere stermi­
nato e ai demoni di essere ridotti in schiavitù, poiché
la croce di Cristo ha redento il mondo e imprigionato
i demoni. Di fatto le spoglie sottratte ai demoni sono
sospese alla croce trionfale di Cristo. Ancor oggi col
segno della croce i demoni vengono appesi, tormentati
e crogiolati, perché la fede nella croce e il segno della
passione li hanno fatti prigionieri27.
7. Quando furono giunti sul Golgota gli diede
dice il Vangelo, dell’aceto mescolato con fiele; ma as-

* Gal. 2, 19-20.
27 Cromazio allude forse alla pratica di usare il seg
della croce negli esorcismi di ogni specie e per vincere le ten­
tazioni; cf. DACL III, pp. 3139 s. e specialmente voi. V, p. 971.
144 Cromazio di Aquileia

saggiatolo, non ne volle b e r e 28. Egli stesso aveva prean­


nunciato per bocca di Davide che ciò sarebbe acca­
duto, dicendo: Mi hanno dato del fiele per cibo e, nella
mia sete, mi hanno dato dell’a ceto29. Esamina il mi­
stero significato. Primordialmente Adamo ha gustato
il dolce pom o e ha procurato al genere umano l'ama­
rezza della morte. Al contrario il Signore ha assapo­
rato l'amarezza del fiele per richiamarci da una morte
amara a una vita piena di dolcezza. Egli ha così assa­
porato l'amarezza del fiele per spegnere in noi l'ama­
rezza del peccato; ha gustato l'acredine dell'aceto, ma
ha sparso per noi il vino prezioso del suo sangue. Egli
ha sofferto il male, ma ha concesso il bene; ha accet­
tato la morte, ma ha donato la vita. Non senza motivo
è stato crocifisso sullo stesso luogo ove si dice sia
stato sepolto il corpo di Adam o30. Là dunque Cristo
è stato sepolto, affinché la vita operasse dove per la
prima volta aveva operato la morte e dalla morte risor­
gesse la vita. La morte venne da Adamo, la vita da
Cristo, che si è degnato di venir crocifisso e di morire
per noi proprio per distruggere, mediante l'albero
della croce, il peccato prodotto dall'albero e per libe­
rarci dalla pena di morte col mistero della sua morte.

“ Mt. 27, 34.


» Sai. 68, 22.
30 Ambrogio (In Lue., X , 114) attesta la stessa credenza
assai diffusa nel sec. IV; Girolamo, dopo un primo consenso,
mutò opinione. Tuttavia se storicamente tale leggenda è una
costruzione fantastica, dal punto di vista teologico è ima verità
magnifica; cf. P. Benoit, Passion et Résurrection du Seigneur,
Parigi 1966, p. 194.
Sermone 20 (frammento) - SULLA PASSIONE

... Poiché dunque il Signore e Salvatore nostro


si è degnato di soffrire anche il patimento della croce
per la nostra salvezza, dobbiamo avere sempre davanti
agli occhi la grazia di una tale redenzione e obbedire
fedelmente in tutto ai suoi precetti. In Adamo siamo
infatti caduti, ma siamo risorti in Cristo; il peccato
di Adamo ci aveva annientato, ma la grazia di Cristo
ci ha ristabilito [...]. Pertanto nel campo del vasaio,
come dice l'Evangelista, cioè nella Chiesa di Cristo,
si trova la sepoltura dei forestieri1. Invero, quando
crediamo a Cristo, diventiamo forestieri al mondo
per far parte della famiglia di Dio. Pellegrini sulla
terra, ma cittadini del cielo; lontanissimi dal mondo,
ma vicinissimi a Cristo. Ascolta anche l’apostolo Pie­
tro quando professa ciò con queste parole: Come fore­
stieri e pellegrini quaggiù., astenetevi dalle brame car­
nali 2. Ascolta Paolo che dice qualcosa di più: Voi siete
morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora anche
voi comparirete con lui nella gloria3. Se dunque siamo
spogli dei vizi del m ondo e dei desideri della carne,

1 Mt. 27, 7.
2 1 Pt. 2, 11.
3 Col. 3, 3-4.
146 Cromazio di Aquileia

siamo sepolti nel campo del vasaio, cioè nella Chiesa


di Cristo, ma siamo sepolti nella gioia perché moriamo
al m ondo per vivere con Cristo. Siamo sepolti all’ini­
quità, risorgiamo al bene; siamo sepolti ai vizi per
risorgere alla virtù. Ciò proclama apertamente l’apo­
stolo Paolo, dicendo: Siete stati dunque sepolti con
lui nella morte mediante il battesimo, affinché come
Cristo è risorto in vita cosi anche noi camminiamo in
una nuova vita...4.

4 Rom. 6, 4. La stessa interpretazione ecclesiale e batte


male di Mt. 27, 7-10 in Ambrogio, In Lue., X , 95-96; Exp. Ps.
61, 13.
Sermone 21 - I SERMONE SU SAN GIOVANNI,
EVANGELISTA E APOSTOLO

1. Come si legge nel Vangelo, san Giovanni a


stolo ed evangelista, di cui oggi celebriamo la nascita
al cielo, trovò grande e particolare favore presso il
Signore, poiché fu amato da Cristo con speciale affetto.
Dopo la passione del Signore, com e si legge nell’Apoca-
lisse, egli fu relegato nell'isola di Patino per il nome
di Cristo e fu messo in ceppi *. Ma quelle catene non
furono per l’Apostolo una punizione bensì un onore,
perché è un onore, anzi il più grande onore, soffrire
oltraggi per Cristo: ogni ingiustizia infatti e ogni tor­
mento inflitto dagli uomini per Cristo eleva alla gloria.
E così, pur trovandosi in ceppi nella medesima isola,
Giovanni fu rapito in ispirito e gli fu aperta una porta
in cielo, com ’egli attesta. I ceppi dunque non furono
per san Giovanni un peso opprimente ma ali potenti
sulle quali si elevò al cielo. Aperta pertanto una porta
nel cielo, egli riferisce nell’Apocalisse2 quale immensa
gloria del cielo potè vedere. Vide il trono di Dio nel
cielo; vide il Figlio di Dio seduto alla destra del Padre;
vide i cori degli angeli; vide i ventiquattro vegliardi e
i quattro animali costellati di occhi avanti e dietro
che gridavano con voce incessante per lodare il Signo­
re: « Santo, santo, santo è il Signore, il Dio degli eser-
» Ap. l, 9-10.
2 Ap. 4.
148 Cromazio di Aquileia

c iti3.1 cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna


nel più alto dei cieli ». Ogni giorno, com e loro, tutta
l’assemblea dei fedeli proclama nella Chiesa le stesse
parole a lode di D io4. Giovanni vide molti altri miste­
riosi segreti su cui fu obbligato a tacere, secondo la
sua testimonianza.
2. Mentr'era sull’isola, come egli racconta, mi fu
dato un libro, egli dice, e mi fu detto di mangiarlo.
Lo mangiai; e nella mia bocca era dolce com e miele,
ma nel mio ventre era amaro. Allora mi fu detto: Tu
devi ancora profetare alle nazioni5. E ciò accadde,
perché quel libro che gli fu dato da mangiare era il
Vangelo che poi scrisse. Infatti quando fu ucciso Domi­
ziano Cesare, che lo aveva fatto relegare, fu liberato
dall'isola e allora com pose il libro del Vangelo che
porta il suo nome. Ecco il libro che egli disse dolce
alla sua bocca, ma amaro al suo ventre: dolce per la
predicazione, amaro a causa della persecuzione, per­
ché, predicando la dolcezza della fede, si espose all'ama­
rezza della persecuzione. Tuttavia l'amarezza della per­
secuzione reca con sé una grande dolcezza, poiché gra­
zie ad essa si giunge alla gloria dolce del martirio.
Come gli alberi hanno radici amare, ma dolci sono i
frutti che producono, cosi anche la persecuzione sem­
bra amara ma produce il frutto dolce della salvezza,
poiohé rende confessori o martiri coloro che perse­
guita 6.
3. Ma vi può essere anche un altro m odo di inter­
pretare il fatto che Giovanni abbia detto dolce per la
bocca e amaro per il ventre il libro del Vangelo che
3 Is. 6, 3; Ap. 4, 8.
4 Interessante testimonianza del Sanctus nella liturgia
aquileiese. Per i problemi di critica testuale che il passo può
sollevare, cf. J. Lemarié, SC 154, pp. 4243, n. 1.
5 Ap. 10, 9-11.
6 Sono distinti i martiri morti per la fede dai confessori
che, pur avendo sofferto per Cristo, non sono morti di morte
violenta.
Sermone 21 149

gli fu dato da mangiare. Chi intende le parole di Gio­


vanni in spirito di fede apporta dolcezza siila sua boc­
ca, cioè alla sua predicazione perché intende con beni­
gno affetto le parole della fede. Ma coloro che inten­
dono malamente le sue parole, com e gli eretici, destano
amarezza perché volgono la dolcezza della fede nel­
l'amarezza di una credenza pervertita. Perciò si dice
che gli uni sono nella bocca, gli altri nel ventre. I cat­
tolici sono nella bocca da dove si benedice Dio; gli
eretici sono nel ventre da dove vengono espulsi nel
cesso. I cattolici procurano dolcezza a san Giovanni
per il suo Vangelo; gli eretici gli procurano invece
amarezza. Ha colmato Giovanni di amarezza Fotino,
avendo rifiutato di credere nella divinità di Cristo che
Giovanni rivela con chiarezza quando dice: In prin­
cipio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo
era D io1. Lo ha colmato di amarezza Ario, avendo
negato che il Figlio procede dal Padre, mentre non si
può credere altrimenti che il Verbo del Padre sia Figlio
se egli non procede propriamente dal seno paterno.
Colmano Giovanni di amarezza tutti gli eretici che
demoliscono o combattono la fede che egli predica.
San Giovanni riceve dunque dolcezza dalla sua predi­
cazione grazie ai cattolici, amarezza a causa degli ere­
tici; dolcezza grazie alla fede della Chiesa, amarezza
per l’incredulità della sinagoga che non ha voluto acco­
gliere la sua predicazione.
4. Dopo essere stato liberato dall’isola, san G
vanni scrisse il Vangelo che è predicato per il mondo
intero. Dopo molte persecuzioni sostenute per il nome
di Gesù, essendo già molto avanti negli anni, abban­
donò questo mondo per raggiungere il Signore. Il Si­
gnore aveva detto di lui, come leggiamo nel Vangelo:
Cosi voglio che egli rimanga -finché io venga*. Il Si­

7 Gv. 1, 1.
« Gv. 21, 22.
150 Cromazio di Aquileia

gnore non si era espresso in questi termini per signi­


ficare che egli non sarebbe m orto ma per dire che
avrebbe subito la morte senza dolore. Infatti il testo
precisa: Gesù però non aveva detto che non doveva
morire, ma: Cosi voglio che egli rimanga finché io
venga9. Il Signore viene incontro a ciascuno dei suoi
santi quando escono dal loro corpo. Giovanni dunque,
ormai gravato dal peso degli anni, disse ai suoi disce­
poli di scavargli ima fossa, come riferisce il racconto
della sua morte. Il Signore gli aveva indicato il giorno
in cui avrebbe abbandonato il mondo. I discepoli gli
scavarono pertanto una fossa ohe potesse accogliere
il suo corpo. San Giovanni, vi si adagiò e senza alcuna
sofferenza, né agitazione, né sforzo, abbandonò il suo
corpo dando l’impressione di uscirne liberamente più
che di esserne cacciato10. Perciò il Signore aveva detto
di lui: Cosi voglio che egli rimanga finché io venga,
perché gli fu accordato senza sofferenza un sonno
beato. In questo luogo si compiono tanti prodigi e
tanti miracoli, che persino gli increduli non possono
non credere. E niente di strano se la sua grazia opera
là dove fu deposto il suo corpo, quando opera persino
là dove non si trova che un po' delle sue ceneri. Poiché
dunque sinché la nostra Chiesa ha meritato di posse­
dere le sue reliquieu, dobbiamo celebrare la sua
morte e la sua nascita al cielo con tutta la fede e la
devozione per poter essere associati a lui e a tutti i
santi di Dio.
» Gv. 21, 23.
10 Per questa narrazione della morte di san Giovanni, Cro­
mazio dipende dagli Acta Iohannis, apocrifo composto in Asia
Minore nella seconda metà del sec. II. Cf. F. M. Braun, Jean
le Théologien, I, Parigi 1959, pp. 200 ss.
11 Per la presenza di reliquie di san Giovanni ad Aquileia,
cf. S. 26. La festa dell’Evangelista, celebrata ad Aquileia il
28 dicembre, era di origine orientale; i due Sermoni di Cro­
mazio sono fra i primi documenti occidentali della festa del-
l’Evangelista.
Sermone 22 - Il SERMONE SU SAN GIOVANNI
EVANGELISTA

1. Il Vangelo riferisce molte cose grandi e nobili


su san Giovanni, di cui celebriamo oggi la nascita al
cielo; ma poiché non possiamo raccontarle tutte, di­
ciamo almeno qualche parola su un tema cosi ampio.
Dire infatti qualcosa sui meriti dei santi è riconoscere
la loro santità. Di tutti i discepoli, Giovanni fu il più
giovane; il più giovane per età, ma il più maturo per
fede, lui che nel Vangelo è posto fra i primi. Perciò
ogni qualvolta il Signore volle fare ima scelta fra gli
Apostoli, incluse tra gli eletti anche Giovanni.
2. Prima di entrare nella casa del capo della sina­
goga per risuscitare sua figlia dalla morte, scelse Gio­
vanni con Pietro e G iacom o1. Egli volle che fossero
questi tre testimoni quando risuscitò la fanciulla
morta. Il Signore agi in questo m odo per due ragioni:
sia perché la legge divina aveva predetto che ogni
affare riposa sulla parola di due o tre testimoni2, sia
perché nessuno può risuscitare dalla morte del pec­
cato senza la fede e la grazia della Trinità. Il Signore
dunque prese con sé tre discepoli quando risuscitò
la fanciulla morta, per manifestare il mistero della
Trinità. E anche quando volle rivelare la sua gloria ai

1 Me. 5, 37; Le. 8, 51.


2 Deut. 19, 15.
152 Cromazio di Aquileia

discepoli sulla montagna, prese anche Giovanni con


Pietro e G iacom o3. Egli portò con sé questi tre disce­
poli sulla montagna e fu trasfigurato davanti a loro;
ed ecco apparire ad essi Mosè ed Elia e farsi sentire
dal cielo la voce del Padre: Questi è il mìo diletto Fi­
gliolo, in cui io mi sono compiaciuto; ascoltatelo4.
Badate anche qui al misterioso significato: come il Fi­
glio di Dio si manifesta Dio del cielo, della terra e
degli inferi. Dal cielo il Padre rende testimonianza al
Figlio; dalla terra sono scelti tre apostoli; Mosè è chia­
mato come testimone dagli inferi, perché aveva già
patito la morte. E affinché in ogni luogo fosse resa testi­
monianza a Cristo, anche Elia, che non aveva ancora
sofferto la morte, fu condotto dal paradiso come testi­
mone. Cosi il Dio del cielo e della terra, del paradiso
e degli inferi ebbe dei testimoni venuti da ogni parte
e da ogni luogo. Ora, anche in questa circostanza, san
Giovanni è scelto fra i primi apostoli.
3. E al momento della passione, quando il Fi
di Dio fu sospeso in croce per la salvezza del mondo,
il Signore non affidò Maria, sua madre secondo la
carne, a nessun altro che a Giovanni, dicendogli: Ecco
tua madre, e a sua madre: Ecco tuo -figlio5. Egli affi­
dava cosi Maria, sua santa madre, a Giovanni non per­
ché pensasse di abbandonarla, lui che nella sua divina
condiscendenza è protettore di tutti — egli è infatti
difensore e protettore di tutti — ma per manifestare
i sentimenti della sua pietà filiale a Maria, poiché è
lui l'autore di ogni pio sentimento6. Anche in questo

3 Mt. 17, 1 ss.


* Mt. 17, 5.
5 Gv. 19, 27. 26.
6 Cromazio, assieme ad Ambrogio e ad altri Padri, inter­
preta il fatto narrato da Giovanni come un semplice gesto
di pietà filiale.
Sermone 22 153

caso dunque Giovanni è scelto fra i santi apostoli, per­


ché aveva meritato la grazia di essere amato da Cristo
di un affetto speciale.
4. Dopo la passione, quando il Signore risuscitò
da morte, Pietro e Giovanni, appresa la notizia della ri­
surrezione, accorsero alla tomba per rendersene con­
t o 7; Giovanni arrivò per primo alla tomba, anche se
non entrò per primo, perché lasciò a Pietro di en­
trarvi per primo. Se Giovanni arrivò prima di san Pie­
tro alla tomba, (fu per il suo amore verso Cristo; se
poi cedette il posto a Pietro, fu per umiltà. Giunse per
primo perché trascinato dall'amore di Cristo, cedette il
posto perché guidato dalla deferenza dovuta al più
anziano. E in questo m odo osservò l'umiltà verso Pie­
tro e la fede verso Cristo.
5. San Giovanni ha scritto anche un Vangelo che
ognuno sa quanto sia eccellente e ammirevole. Il Van­
gelo secondo Giovanni è soprattutto necessario contro
tutti gli eretici, perché la divinità di Cristo vi è messa
in piena luce e perché vi si mostra che Cristo è Dio.
Poiché dunque oggi ricorre la nascita al cielo di un
Apostolo tanto esimio e grande, celebriamo la sua festa
con onoranze degne, affinché, con l'aiuto delle sue pre­
ghiere, possiamo giungere a quella gloria eterna pre­
parata per i santi di Dio.

i Gv. 20, 3.
Sermone 23 - SERMONE SU CAINO E ABELE

1. Nel brano che avete appena sentito, o miei c


la Sacra Scrittura ci parla di Caino e di Abele, preci­
sando che Abele era pastore di greggi, mentre Caino
coltivava la terra. E accadde, narra la Scrittura, che
entrambi presentassero i loro doni al Signore. Abele
presentò i primi nati del suo gregge e dei piti grassi.
E Dio guardò all’offerta di Abele, non guardò invece
all’offerta di Caino. Ne fu Caino grandemente crucciato
e portava la testa bassa!. Che dovremmo dire? Forse
che Dio è un estimatore parziale delle persone per aver
guardato all'offerta di Abele e non a quella di Caino?
Lungi da noi il pensare ciò! Ma nulla poteva sfuggire
a Dio, che svela lo spirito e il cuore di ognuno, perché
è il giudice delle coscienze. Dio guardò dunque ai doni
di Abele perché egli li offriva al Signore con cuore
semplice e con anima pura. Quanto a colui che medi­
tava la morte del fratello, gli fu detto dal Signore: Se
tu fai delle offerte con buone disposizioni senza tutta­
via dividere com e si deve hai peccato, vai tranquillo2.
Il Signore ammoni Caino a non compiere col fatto
quanto meditava in cuor suo. Ma egli era cosi acce­

1 Gen. 4, 3-5.
2 Gen. 4, 7.
156 Cromazio di Aquileia

cato nel suo animo per l’odio contro il fratello da non


tenere in nessun conto né la pietà fraterna, né il giudi­
zio presente di Dio. Né il vincolo fraterno, né l’amore
dovuto a un fratello, né il monito divino lo distolsero
dal suo proposito delittuoso. Perciò non senza ragione
il Signore dice nel Vangelo: Se presenti la tua offerta
all’altare e ti ricordi di avere qualcosa contro tuo fra­
tello, lascia la tua offerta davanti all’altare e torna pri­
ma a riconciliarti con il tuo fratello e poi vieni a pre­
sentare la tua offerta3. Se dunque vogliamo che i nostri
doni siano accetti a Dio, dobbiamo riconciliarci con i
fratelli; e poi, bandito l'odio [...] per non divenire
simili a Caino.
2. Guardando alle offerte di Caino e di Abele,
considerava dunque i sentimenti del loro cuore, cosi
che riuscì gradito nel dono chi era apprezzato nell’ani-
mo e dispiacque nel dono chi dispiaceva nel cu ore4.
L’offerta di Abele fu gradita a Dio, perché egli pre­
sentò i doni al Signore con cuore puro; l'offerta di
Caino non fu gradita a Dio, perché egli presentò i
doni al Signore non già con cuore puro ma con inten­
zioni scellerate poiché meditava la morte del fratello.
Del resto le stesse offerte, secondo l’interpretazione
figurale, mostrano quanto fossero diversi i donatori.
Caino presentò in dono i frutti della terra, perché
i suoi pensieri erano terreni; Abele invece presentò
in dono gli agnelli del suo gregge per mostrare un
segno della sua innocenza; e Abele presentò non solo
gli agnelli del suo gregge ma i più grassi, in cui sono
simboleggiate le opere generose di misericordia. Dio
dunque gradisce l’offerta della nostra innocenza, quan­
do vi si aggiungono le opere di misericordia, come le
pecore più grasse. E non è superfluo rilevare che Abele
era pastore di pecore; egli prefigurava infatti chi disse

3 Mt. 5, 23-24: da rilevare la libertà presa al v. 23.


4 Cf. Cipriano, De dom. orat., 24.
Sermone 23 157

nel Vangelo: Io sono il buon pastore. Il buon pastore


dona la vita per le sue p eco re5. In Abele fu anticipata
l’immagine affinché in Cristo si manifestasse poi la
realtà6. Abele è pastore di quaggiù, Cristo è il pastore
venuto dal cielo. L’uno è pastore di greggi, l'altro di
martiri; l'imo è pastore di pecore senza ragione, l'altro
di pecore fom ite di ragione.
3. Ma rileviamo un grande mistero. Sebbene
nostro Salvatore sia detto pastore, è chiamato anche
pecora e agnello7. Cosi, non senza allusione al mi­
stero della passione del Signore, si è letto nel brano
presente che Abele presentò in dono al Signore Dio
degli agnelli del suo gregge. Sono i santi patriarchi e
profeti che, in considerazione della loro innocenza,
sono chiamati pecore o arieti. Di essi infatti si legge
nella Scrittura: Gli arieti delle greggi hanno il loro
vello, e le valli abbondano di grano*; e ancora: Noi
siamo il tuo popolo e le pecore del tuo gregge9. Da que­
sto gregge di santi è uscita la pecora senza difetto e
senza macchia, cioè Maria la santa10 che per noi, oltre­
passando la natura, generò queH'agnello purpureo,
che è Cristo r e 11. Ora giustamente Cristo Signore è
immaginato com e un agnello vestito di porpora, per-
ohé non è divenuto ma è nato re. Nessuno è re fin dalla
nascita; ma solo in seguito lo diviene sia che riceva egli
stesso l’abito purpureo del re, sia che riceva la dignità
regale. Il Signore e Salvatore nostro invece è uscito

s Gv. 10, 11.


6 II parallelismo imago-veritas ritorna nel S. 24, 78-79.
t Is. 53, 7; Ger. 11, 19.
8 Sai. 64, 14.
» Sai. 94, 7.
10 Anche altri Padri chiamano Maria ovis, perché ha gene­
rato l’Agnello pasquale; cf. J. Lemarié, SC 164, p. 65, n. 3.
11 II Lemarié (SC 164, p. 65, n. 3) nota che Cromazio prefe­
risce sottolineare l’aspetto regale piuttosto che quello sacri­
ficale dell’Agnello-Cristo.
158 Cromazio di Aquileia

già dal seno della Vergine rivestito di autorità regale,


poiché era re già prima di nascere dalla Vergine. Era
nato infatti da Dio Padre com e re e Figlio di D io 12.
Ascolta il Signore stesso proclamarlo nel Vangelo.
Quando infatti Pilato gli chiese: Tu sei re? Gesù gli
rispose: Per questo io sono nato e per questo sono
venuto al mondo B. Questa dignità regale anche i Magi
in Oriente l’hanno riconosciuta, al momento stesso del­
l’incarnazione, poiché dicono ai Giudei: Dov’è il re
dei Giudei che è nato? Poiché vedemmo la sua stella in
Oriente e siamo venuti ad adorarlo14. Quanto migliore
la fede di Abele che presentò in dono al Signore gli
agnelli del suo gregge, tanto più religiosa la devozione
del popolo cristiano, che siamo noi, che offriamo al
Signore i doni della innocenza e della semplicità, se
tuttavia meritiamo [...] dal Signore. Noi dunque pre­
sentiamo in dono al Signore gli agnelli del nostro
gregge, se viviamo sotto lo sguardo di Dio in sempli­
cità e innocenza; e offriamo in dono al Signore anche
le più grasse delle nostre pecore, se presentiamo a Dio,
come animali grassi, opere di misericordia e di pietà.

n La regalità del Padre, che è anche quella del Figlio, è


propria della natura divina e chiamare Cristo re è come affer­
mare la sua comune natura col Padre.
« Gv. 18, 37.
M Mt. 2, 2.
Sermone 24 - SUL SANTO PATRIARCA
GIUSEPPE

1. La Sacra Scrittura ci tramanda un certo nu


ro di notizie sul santo patriarca Giuseppe1 e anche noi
cercheremo di dire qualcosa; come per offrire le bri­
ciole di grandi pani. A questo proposito leggiamo nel
Vangelo: Tanto vero che i cagnolini si cibano delle
briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni2. Se
le briciole di un grande banchetto non saziano, almeno
nutrono. Di fatti, quando siamo ai nostri primi passi
nella fede, ci nutriamo degli insegnamenti degli Apo­
stoli com e di briciole; ma quando abbiamo fatto dei
progressi nella fe d e 3 allora ci è elargita l'abbondanza
del pane del cielo, affinché ci saziamo del pane celeste
di colui che dice nel Vangelo: Io sono il pane vivo
disceso dal cielo4. Non disdegniamo dunque le briciole
deU’insegnamento, perché sono briciole di pane; e per
questo non dobbiamo disprezzare le briciole, per meri­
tare di essere ristorati dal pane. Ma veniamo ora a
san Giuseppe, per nutrirci, come di un alimento cele­
ste, dell’esempio della sua castità e del suo pudore.

1 Gen. 37 s.
2 Mt. 15, 27.
3 L’espressione di Cromazio progredire nella fede era
divenuta specifica e comune nel linguaggio cristiano antico.
* Gv. 6, 51.
160 Cromazio di Aquileia

2. San Giuseppe, di cui, o carissimi, avete app


sentito parlare nella presente lettura, era bello di
co rp o 5, ma più bello quanto all'anima, perché, era
casto nel corpo e onesto nell'animo. In lui splendeva
la bellezza del corpo, ma più ancora quella dell'animo.
E se per molti la bellezza fisica è di solito un ostacolo
alla salute, essa non potè nuocere a quel santo uomo,
perché era la bellezza dell'animo a regolare quella
del suo corpo. L'anima dunque deve guidare il corpo,
non il corpo guidare l'anima, perché l'anima è padrona
del corpo e il corpo ancella deH'anima6. Onde è infe­
lice l'anima che si lascia dominare dalla carne e che
da padrona diventa ancella, perché perde la fede nel
Signore e si sottomette alla schiavitù del peccato. Ma
l'anima del patriarca Giuseppe conservò fermamente
il suo dominio e la carne non ebbe affatto la possibi­
lità di dominarla. Richiesto dalla sua padrona, femmina
impudica, di giacere con lei, non volle acconsentire7,
perché non aveva perduto il dominio della sua anima
neppure nella condizione di schiavo. Perciò calunnio­
samente accusato, fu messo in carcere8. Ma il santo
uomo tenne quella prigione per un palazzo, anzi era egli
stesso un palazzo, perché dove sono fede, castità, pu­
dore, lì si trova il palazzo di Cristo, il tempio di Dio,
la dimora dello Spirito Santo. Se dunque qualche
uom o si lusinga per l'aspetto del suo corpo, o se ima
donna si gloria per la bellezza delle sue forme, segua
l'esempio di Giuseppe e rispettivamente quello di
Susanna9: siano casti nel corpo, onesti nellammo; e
cosi saranno di 'bell'aspetto non solo agli occhi degli
uomini ma anche a quelli di Dio. Ci sono nella Chiesa

s Gen. 39, 20.


6 II tema è presente in Filone, Tertulliano, Lattanzio, Am­
brogio; cf. J. Lemarié, SC 164, p. 71, n. 2.
7 Gen. 39, 7.
8 Gen. 39, 20.
» Dan. 13.
Sermone 24 161

tre modelli di castità che ognuno deve imitare: Giu­


seppe, Susanna e Maria; gli uomini imitino Giuseppe,
le donne Susanna, le vergini Maria.
3. Ma secondo l'interpretazione mistica e allego­
rica, Giuseppe prefigurava il Signore10. Se infatti con­
sideriamo anche in minima parte le vicende di Giu­
seppe, dobbiamo riconoscere apertamente che egli pre­
sentava in anticipo la figura del Signore. Giuseppe
portò ima tunica di diversi co lo riu; sappiamo che
anche il Signore e Salvatore nostro porta ima tunica
di diversi colori, perché ha preso come proprio vesti­
mento la Chiesa radunata da diverse nazioni. Vi è
anche un'altra diversità di colori in questa tunica che
porta Cristo, cioè nella Chiesa. La Chiesa infatti è
ricca di doni diversi e vari: ha i martiri e i confes­
sori, ha i vescovi e i ministri, ha le vergini e le vedove,
ha chi si dedica alle opere di bene. Questa diversità
nella Chiesa non è però varietà di colori bensì diver­
sità di d o n in. E il Signore e Salvatore nostro risplende
di questa varietà della sua Chiesa, com e di una veste
preziosa e variopinta. Giuseppe, venduto dai fratelli,
fu comperato dagli Ismaelitiu; cosi il Signore e Sal­
vatore nostro fu venduto dai Giudei e acquistato dai
pagani. Inoltre gli Ismaeliti che comperarono Giuseppe
portavano con sé profumi di ogni specie, a significare
che i pagani, venendo alla fede, emanavano nel mondo
intero i profumi diversi del bene.
4. Rileviamo ora un grande mistero: Giuseppe fu
venduto per venti monete d’o r o 14, il Signore per trenta

10 Questa tipologia di Giuseppe era tradizionale nella Ch


sa antica.
“ Gen. 37, 3.
12 Cf. Gregorio di Elvira, Tract. 5, 14, PLS I, col. 385.
“ Gen. 37, 25 s.
14 Cromazio segue qui un testo conforme alla lezione dei
Settanta; secondo il testo ebraico, Giuseppe fu invece venduto
per venti monete d’argento.
162 Cromazio di Aquileia

monete d’argento15. Il servitore fu venduto a prezzo


più caro del padrone. Ma certamente s’ingannano gli
uomini fissando il prezzo del Signore, poiché colui che
viene messo in vendita è al di sopra di ogni valuta­
zione. Ma consideriamo ancora più a fondo questo
mistero. Per il Signore, i Giudei hanno offerto trenta
monete d'argento; per Giuseppe, gli Ismaeliti venti mo­
nete d’oro. Gli Ismaeliti hanno acquistato il servitore
a prezzo più caro che non i Giudei il padrone? Quelli
hanno venerato in Giuseppe l’immagine di Cristo, que­
sti hanno disprezzato la realtà stessa di Cristo. Dunque
i Giudei hanno offerto un prezzo più basso per il
Signore, perché hanno stimato a vii prezzo la passione
del Signore. Ma com e può essere ritenuta senza valore
la passione del Signore, a prezzo della quale tutto il
mondo fu redento? La passione di Cristo infatti ha
redento dalla morte il mondo intero e tutto il genere
umano. Ascolta l’Apostolo che indica ciò quando dice:
Davvero che siete stati comprati a caro p rezzo16. Ascol­
ta l’apostolo Pietro che attesta ugualmente: Dai vostri
futili costumi foste riscattati non con l’oro di questa
terra né con un oro corruttibile, ma col preziosissimo
sangue del Figlio di Dio senza macchia11. Se fossimo
stati riscattati dalla morte a prezzo d’oro o di argento,
la nostra redenzione sarebbe di poco valore, perché
l’uomo vale più che l’oro o l’argento; ma ora siamo
stati redenti a un prezzo inestimabile, perché è al di
là di ogni stima chi ci ha riscattato con la sua passione.
5. Se consideriamo anche le altre vicende di G
seppe, in tutte potremo riconoscere prefigurata l’im­
magine del Signore. Giuseppe subisce la calunnia di
ima donna svergognata; anche il Signore fu spesso
accusato calunniosamente dalla sinagoga. Giuseppe ha

>5 Gen. 37, 28; Mt. 26, 15.


“ 1 Cor. 6, 20.
” 1 Pt. 1, 18-19.
Sermone 24 163

patito la pena del carcere; il Signore la passione e la


morte. Uno fu messo in prigione, l’altro è disceso agli
inferi. Del resto la Sacra Scrittura è solita chiamare
carcere gli inferi; perciò il Profeta che desiderava es­
sere liberato dagli inferi esclama: Libera dal carcere
l'anima m iau. Ma in ciò bada al senso del simbolo
misterioso: Giuseppe, dopo essere uscito dal carcere,
divenne signore d’E gittoI9; cosi il Signore e Salvatore
nostro, dopo essere uscito dal carcere [degli inferi]
ha ottenuto la signoria sul m ondo intero, giunto alla
conoscenza della fe d e 20. Ovunque regna il nome di
Cristo, 11 si estende il suo dominio; il mondo crede
in lui, il mondo lo proclam a21; le nazioni lo onorano,
i re lo adorano. A lui gloria e impero nei secoli dei
secoli. Amen.

“ Sai. 141, 8.
» Gen. 41, 37 s.
20 Anche per Gregorio di Elvira (Tract. 5, 27, PLS
col. 387) la liberazione di Giuseppe dal carcere è figura della
risurrezione di Cristo,
a 1 Tim. 3, 16.
Sermone 25 - SU SANT’ELIA

1. Abbiamo appena ascoltato la lettura su san­


t’Elia *, lettura invero assai confacente alla circostanza
del digiuno in corso. Infatti anche Elia digiunò qua­
ranta giorni e quaranta notti, senza cercare il pane di
questo mondo, poiché possedeva in se stesso il pane
della vita, cioè la parola di Dio, la cui efficacia fu per
lui un alimento che lo rafforzò durante quei giorni al
punto da sembrare più robusto del solito. Di Elia si
raccontano dunque molti prodigi, come avete almeno
in parte udito, o miei cari, nella presente lettura; ma
sarebbe troppo lungo commentarli singolarmente, poi­
ché non un’ora di tempo ma nemmeno intere giornate
sarebbero sufficienti a volerli narrare, perciò limitia­
moci a pochi cenni su un argomento cosi ampio cosic­
ché in poche parole condensiamo molte cose.
2. Mentre il santo Elia era costretto a subire
l’estremo rigore della persecuzione del re Achab e di
sua moglie Iezabel, il Signore gli disse: Vai verso il
torrente e io ordinerò che li ti portino il nutrimento e
berrai l’acqua del torrente. E i corvi gli portavano
pane al mattino e carne alla sera2. Da ciò possiamo
dunque capire quanta cura il Signore ha sempre avuto

1 1 Re 17, 1 s.
2 1 Re 17, 3 e 6.
166 Cromazio di Aquileia

dei suoi santi, se si degna di nutrirli persino con l’im­


piego dei corvi. Del resto già prima Davide lo aveva
detto opportunamente nel salmo: Dio non lascia mo­
rire di fame l'anima giusta3. Certo l'anima del santo
profeta Elia era giusta, se il Signore non volle che
soffrisse la fame fino al punto di nutrirlo per mezzo
di volatili. E sebbene il nutrimento dell'anima giusta
sia tutto interiore, cioè la parola del Signore di cui
continuamente si ristora, tuttavia, per bontà di Dio,
essa non è privata neppure del pane4. A questo santo
Elia il pane viene portato nel deserto con l’aiuto dei
corvi; a Daniele, gettato nella fossa dei leoni, il Signore
comanda che il pasto sia portato da un angelo5. Anche
Daniele infatti ebbe a soffrire persecuzioni per la giu­
stizia dai potenti di Babilonia. Ma l’iniquità dei perse­
cutori non è di alcun danno alle anime dei giusti. I
corvi nutrono Elia, le fiere non toccano Daniele6, sono
gli uomini invece a insidiarli e a perseguitarli.
3. Ma torniamo al tema in parola. Dio nutre d
que il suo servo Elia nel deserto servendosi dei corvi,
che di mattina gli portavano pane e di sera carne. Che
dicono i Giudei, i quali si ritengono puri per il fatto di
astenersi da determinati cibi che la Legge dichiara
immondi, per significanza simbolica? Certamente,
stando alla Legge, il corvo è un animale immondo, e

3 Prov. 10, 3.
4 Nel S. 21, Cromazio si avvia a considerare la Parola come
cibo; nel S. 24 la Parola è presentata come nutrimento che
va spezzato al pari dell’Eucaristia; qui si tratta dell'esigenza
di avere la Parola per vivere. Questo potrebbe essere detto il
Sermone della fame, intesa come mancanza di cibo e fame
della Parola divina: cibus animae iustae, id. est serm o Dei
quo sem per reficitur. Ma forse uno dei testi più energici ove
identificare la Parola quale cibo è il S. 12; cf. G. Trettel, La
« Parola di Dio » nei sermoni di Cromazio, in MSF, LUI (1973),
pp. 20-25.
s Dan. 14, 33 s.
6 Dan. 6, 16 s.; 14, 31 s.
Sermone 25 167

ciò che tocca una cosa immonda diventa, secondo la


loro interpretazione, necessariamente immondo. Come
il santo Elia, per nutrirsi, ha potuto utilizzare la carne
portatagli dai corvi, se ciò che un corvo tocca è im­
mondo? Ma neppure il cibo recatogli dai corvi poteva
essere immondo per Elia, perché la sua coscienza era
incontaminata. Da ciò appare evidente che non è il
cibo a contaminare l'uom o ma la sua coscienza. Ecco
perché dice bene l'Apostolo: Tutto è puro per i puri;
per i corrotti invece nulla è p u ro7, anche se si nutrono
di cibi mondi: i cibi mondi sono infatti contaminati
da una coscienza impura. Così i Giudei credono sia
bene astenersi da cibi immondi, ma non sono affatto
puri perché sono interamente contaminati dall’impu-
rità dei peccati. Potessero astenersi dall'impurità dei
peccati, così com e credono di doversi astenere dai
cibi immondi, per diventare realmente puri! Invero
mangiare cibi mondi ma non avere pura la coscienza
non giova alla nostra salvezza. Pertanto dobbiamo ave­
re sempre la coscienza incontaminata per poter consi­
derare mondo il cibo che prendiamo, in quanto non
è il cibo a rendere l'uomo impuro, ma la cattiva
coscienza.
4. Quanto detto riguarda i Giudei, i quali ri
cono tutta la purezza morale all’astinenza di alcuni
cibi, mentre — com 'è noto — il santo Elia che fu inte­
gralmente puro non disdegnò la carne recatagli da
corvi immondi. Ed egli ne fu così poco contaminato
che, non solo non commise fallo, ma fu trasportato
in paradiso. Se tuttavia consideriamo le azioni di
Elia secondo il senso spirituale e con gli occhi della
fede, vi scopriamo significati simbolici di grande im­
portanza. Infatti Elia, perseguitato da Iezabel, donna
perversa8, rappresentava tipicamente il Signore, che

7 Tit. 1, 15.
« 1 Re 19, 10.
168 Cromazio di Aquileia

subì la persecuzione della sinagoga, donna sacrilega.


I corvi che portavano il nutrimento a Elia erano figura
della nostra vocazione, perché noi siamo approdati
alla fede uscendo da nazioni immonde, portando a Cri­
sto Signore il cibo della nostra dedizione e della nostra
fede. Infatti la dedizione e la fede dei credenti sono
il nutrimento di Cristo9. Ma consideriamo più a fondo
il significato nascosto degli stessi corvi. I corvi porta­
vano infatti a Elia pane al mattino e carne alla sera l0.
Di mattina portarono pane al Signore quanti crede­
vano a Cristo di tutto cuore e recavano in bocca il
vero cibo della fede. Di sera portarono carne i mar­
tiri, perché sulla sera della loro vita consegnarono la
propria carne, cioè il proprio corpo, per il nome di
Cristo; e questa carne tuttavia la portarono in bocca,
perché subirono il martirio per Cristo confessandolo
con la propria bocca.
5. Passiamo ora a meditare, del medesimo E
il fatto di essere stato inviato a una certa vedova abi­
tante in Sarefta dei Sidoni per esser nutrito e non
morir di fame u. Questa donna, com e la lettura ha rife­
rito, aveva ancora un po' di farina e d ’olio. Elia l'av­
vicinò e le chiese di impastargli un pane da mangiare.
Ma essa gli rispose dicendo che aveva solo un po' di
farina e un p o’ d’olio bastanti appena per preparare un
pane per sé e per i suoi figli e poi morir di fame. Elia
le disse: Fanne prima uno per me affinché possa man­
giare, perché cosi dice il Signore: Non rimarrà vuota
la giara della farina e non scemerà l’olio, né mancherà
nel suo orcio, fino al giorno in cui il Signore manderà

9 Cf. la conclusione del S. 11: è un’idea di Origene che


si ritrova in Ambrogio (De bono mortis, 5, 19-21; De Isaac, 5,
49; Myst., 57); ne accenna J. Lemarié, in SC 154, p. 81.
10 1 Re 17, 6.
“ 1 Re 17, 8 s.
Sermone 25 169

la pioggia sulla terra n. Grande era la grazia del pro­


feta che fece a questa donna tale promessa; ma la
fede della donna venne in aiuto alla grazia del pro­
feta. Essa credette con tutta la sua fede, cosi da accon­
sentire alla richiesta di Elia. Il fatto stesso che dalla
poca farina rimastale abbia offerto un pane al profeta
prima di dame ai suoi figli mette in luce la profonda
fede di questa donna; la considerazione per il profeta
potè infatti più che l'amore per i figli. Perciò a buon
diritto questa donna prefigurava in tutto la Chiesa,
poiché venerava già in Elia la figura di Cristo che
amava più dei suoi figli e della sua stessa vita. Questa
donna non aveva ancora udito dire dal Signore nel
Vangelo: Chi non odia i genitori o i -figli a causa mia
non è degno di m e a, e tuttavia adempì il comanda­
mento evangelico prima di averlo conosciuto, perché
intravedeva che in Elia si andava allora attuando il
mistero di Cristo. Questa donna era vedova; essa non
aveva ancora creduto a Cristo-Sposo, di cui Giovanni
Battista dice: Dopo di me verrà un uomo che è da più
di me, perché era prima di m e 14. Codesto uom o venne
in effetti dopo Giovanni, poiché, secondo la carne, si
è degnato di nascere dalla Vergine dopo la nascita
di Giovanni, ma egli era prima di Giovanni, perché
è stato generato da Dio Padre prima di tutte le cose.
6. Ma vediamo l'immagine della Chiesa che q
sta donna prefigurava in tutto. Prima che Elia fosse
venuto da lei, essa soffriva la fame con i suoi figli;

12 1 Re 17, 13-14: la citazione nel testo latino di Croma


presenta alcune anomalie lessicali (capsaces farinae) rispetto
alle citazioni del passo corrispondente in Cipriano, in Giro­
lamo, in Rufino, in Ambrogio e nelle lezioni dell'itala, uno
dei tipi fondamentali della Vetus latina; questi testi, infatti,
associano, contrariamente a Cromazio, capsaces a olei e atte­
stano l’espressione hydria farinae.
« Mt. 10, 37; Le. 14, 26.
14 Gv. 1, 30.
170 Cromazio di Aquileia

soffriva nel vero senso della parola anche una fame


assai più grave, perché Cristo, pane di vita, non era
ancora sceso dal cielo; il Verbo di Dio non aveva
ancora preso carne da una vergine. Ascolta la parola
del Profeta: Manderò sulla terra la fame, non fame
di pane o sete di acqua, ma fame di udire la parola
di D io 1S. Muore di fame infatti chi soffre la fame della
parola di Dio. Altra è la fame del pane di questa terra,
altra la fame della parola di Dio. La fame del pane ter­
reno può uccidere solo il corpo, non l’anima; ma la
fame della parola di Dio uccide il corpo e fa perire
l’anima. La fame del pane terreno fa uscire l’uomo
dalla vita presente, ma la fame della parola di Dio
esclude l'uom o dalla vita eterna e senza fine. Prima
di aver accolto Cristo, la Chiesa correva tale pericolo,
ma dopo averlo accolto ha evitato il rischio della morte
eterna. Prima della venuta di Cristo questa donna
aveva un p o’ di farina e un po' d’olio, cioè la predica­
zione della Legge e dei Profeti, ma ciò non era suffi­
ciente per assicurarle la vita, se la grazia di Cristo
non avesse portato a compimento la Legge e i Profeti.
Da ciò queste parole del Signore nel Vangelo: Non
sono venuto ad abrogare la Legge e i Profeti ma a
portarli a com pim entoI6. Infatti la salvezza della
vita umana non poteva essere nella Legge e nei Pro­
feti ma solo realizzarsi nella passione di Cristo. Perciò
quando la Chiesa accolse Cristo, la farina, l'olio e il
legno cominciarono ad abbondare. La farina simbo­
leggiava il nutrimento della Parola; l’olio il dono della
misericordia divina; il legno il mistero della croce
adorabile, per mezzo della quale ci è donata la pioggia
del cielo. Elia dice alla donna: La farina e l’olio non
ti mancheranno fino a che il Signore mandi la pioggia

15 Am. 8, 11.
« Mt. 5, 17.
Sermone 25 171

sulla terra17. Il Signore e Salvatore nostro ci ha man­


dato la pioggia dal cielo, cioè la predicazione evangeli­
ca, con la quale ha ricreato con acque vive i cuori degli
uomini rinsecchiti com e una terra sitibonda. Poiché
dunque siamo nutriti da simili alimenti celesti, non
dobbiamo lamentarci del peso del digiuno M; anzi dob­
biamo piuttosto, dire al Signore quanto esclamò il
Profeta nel salmo: Quanto sono dolci al mio palato le
tue parole, Signore, più di un favo di miele alla mia
b occa 19, affinché il Signore, vedendo lo slancio della
nostra fede in lui, ci ricompensi con la grazia celeste
e con tutti i beni spirituali.

" 1 Re 17, 14.


18 Si tratta di un Sermone pronunciato durante il ri
roso digiuno quaresimale.
» Sai. 118, 103.
Sermone 26 - PER LA DEDICAZIONE
DELLA CHIESA DI CONCORDIA

1. Dobbiamo rendere infinite grazie al nostro


che si è degnato di arricchire in ogni m odo la sua
Chiesa1. La costruzione della basilica in onore dei
Santi è stata completata, e lo è stata in breve tempo.
A compiere questo atto di devozione siete stati solle­
citati daU'esempio delle altre Chiese; ma ci felicitiamo
della vostra fede, perché avete superato chi vi dava
l’esempio: infatti avete cominciato più tardi di loro,
ma avete terminato prima, perché prima avete meri­
tato di possedere le reliquie dei Santi. Noi abbiamo
ricevuto da voi le reliquie dei Santi, voi avete ricevuto
da noi lo zelo della devozione e l'emulazione nella fede.
Bella cosa è questa competizione e santa questa gara,
dove non si contende per cupidigia di beni mondani ma
per dono di grazie. Noi abbiamo preso con religiosa
avidità quelle reliquie dei Santi che erano state por­
tate a voi, ma in tal m odo abbiamo eccitato il vostro
desiderio a chiederne almeno una parte. Non si poteva
rifiutare, perché la vostra richiesta era legittima. Ve
ne fu data una parte, di modo che voi aveste a posse­
dere il tutto in una parte e noi non avessimo a perdere

1 Cf. Gaudenzio di Brescia, Sermo 17 (PL X X , col. 959).


174 Cromazio di Aquileia

nulla di quanto ci era stato concesso2, secondo ciò che


è scritto: Chi ebbe di più, non ebbe troppo; e chi ebbe
poco, non ne ebbe di meno*. La Chiesa di Concordia
fu dunque ornata con il dono delle reliquie dei Santi,
con la costruzione della basilica e con il ministero
del sommo sacerdote4. Infatti questo santo uomo,
confratello m io nell’episcopato, ha meritato l'onore
del sommo sacerdozio poiché, con queste insigni reli­
quie di Santi, ha onorato la Chiesa di Cristo, eterno
sacerdote.
2. Molti sono invero i meriti dei santi Apost
le cui reliquie sono qui presenti; ma dei molti meriti
diciamo almeno poche parole. È opportuno infatti
dire qualcosa sui meriti di coloro la cui fede e gloria
rifulgono nel mondo intero e la cui potenza e grazia
operano in ogni luogo. Su tutta la terra, infatti, come
dice a questo riguardo il Profeta nel salmo, si è diffusa
la loro voce, e le loro parole fino agli estremi confini
della terra5. Sì, la voce degli Apostoli si è diffusa in
ogni dove, non solo quando, ancora rivestiti della
loro carne, predicavano Cristo al mondo, ma anche oggi
e ogni giorno essa si espande quando la potenza della
fede e la grazia dello Spirito operano contro le diverse
infermità dei peccati. Non abbiamo qui le reliquie di
tutti e singoli gli Apostoli: non pertanto è meno grande
la grazia che ci aspettiamo da loro; infatti dove due
o tre si trovano uniti insieme, tutti sono là, poiché

2 Lo stesso concetto esprime Gaudenzio di Brescia nel


citato Sermone (PL X X , col. 970) e Victricio di Rouen, De laude
sanct., 9 {PL XX, coll. 452453).
3 2 Cor. 8, 45.
4 Per le esplorazioni archeologiche volte a individuare la
basilica cromaziana di Concordia, cf. B. Forlati Tamàro -
G. Dei Fogolari, Concordia paleocristiana..., cit., pp. 177-178,
205-207. Sulle espressioni summus sacerdos e sanctus vir usate
per designare il vescovo, cf. J. Lemarié, in SC 164, p. 95, n. 4.
5 Sai. 18, 5.
Sermone 26 175

comune è la fede e simile la grazia. Ascolta il Signore


stesso che lo afferma: Là dove due o tre sono riuniti
in mio nome, io sono là, in mezzo a lo ro 6. Se dunque
Cristo è con due o tre, tutti gli Apostoli sono con Cri­
sto; là dove c e Cristo, tutto il coro degli Apostoli è
necessariamente presente. Perciò dobbiamo credere e
tenere per ferm o che tutti sono là dove c'è un sia pur
piccolo numero. Ma, poiché non possiamo illustrare
i meriti di ciascuno di essi, dobbiamo dire in questo
sermone almeno brevemente qualcosa su coloro di
cui possediamo le reliquie, affinché la nostra fede ne
tragga un qualche profitto.
3. Quanto grande sia san Giovanni Battista
occhi del Signore, come pure san Giovanni Evangeli­
sta, dei quali abbiamo qui le reliquie, ce lo espongono
i Vangeli7. L'un Giovanni è battezzatore, l'altro è evan­
gelizzatore. L'uno ancora nel seno della madre rico­
nobbe il Signore8; l'altro, sulle rive [del lago] trovò
Cristo9. L'imo battezzò il Signore10; l'altro riposò
sul petto del Signore u. L'uno è chiamato il primo tra
i figli di donna n; l'altro fu amato di un affetto spe­
ciale fra tutti gli A postoli13. L'imo è chiamato angelo14;
l'altro figlio del tu on o15. L'uno presentò al popolo il
Cristo dicendo: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che
toglie i peccati del m ondo16; l'altro, con la predica-

« Mt. 18, 20.


7 Si veda l'enumerazione e l'elogio dei santi nel citato S
mone di Gaudenzio di Brescia.
* Le. 1, 44.
» Mt. 4, 21-22.
w Mt. 3, 13-17 e parr.
« Gv. 13, 23.
12 Mt. 11, 11; Le. 7, 28.
u Gv. 13, 23.
n Mt. 11, 10; Me. 1, 2; Le. 7, 27.
« Me. 3, 17.
“ Gv. 1, 29.
176 Cromazio di Aquileia

zione del suo Vangelo ha mostrato al mondo intero


il Figlio di Dio, dicendo: In principio era il Verbo e
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo
era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per
mezzo di lui e senza di lui niente è stato fa tto 17. En­
trambi sono eminenti, entrambi grandissimi. L’uno
vide lo Spirito Santo discendere sul Signore sotto
forma di colom b a 18; l’altro, rapito nello spirito, co­
nobbe i segreti del cie lo 19. Infine l’uno fu messo in
prigione dal re Erode, per la sua intransigenza m orale20;
l’altro fu relegato in un’isola dall’imperatore Domi­
ziano, per il nome di Cristo21.
4. Che dire degli apostoli Andrea e Tommas
dell'evangelista Luca? Anche le loro reliquie infatti
si trovano qui. Andrea è il fratello di san Pietro e,
come suo fratello Pietro, anche lui accettò di essere
crocifisso per Cristo. Essi furono simili nella passione,
perché simili nella fede. Essendo entrambi simili per
la causa di Cristo, accettarono pure la sua stessa croce.
E fu assai conveniente che essi, fratelli di sangue, lo
fossero anche per la loro gloriosa passione. Pure Tom­
maso è uno degli Apostoli. A questo Tommaso, che
dubitava della risurrezione del Signore, per confer­
mare pienamente la sua fede disse: Metti la tua mano
nel mio costato, non essere incredulo, ma credente12.
Quando ebbe messo la sua mano e toccato il costato
di Cristo, Tommaso gli disse: Mio Signore e mio D io 23.
Il Signore gli rispose: Hai creduto perché hai veduto.
Beati coloro che credono senza aver veduto24. San Tom-

” Gv. 1, 1-3.
i« Gv. 1, 32.
19 Ap. 4 s.
20 Mt. 14, 3 e parr.
21 Ap. 1, 9.
22 Gv. 20, 27.
23 Gv. 20, 28.
« Gv. 20, 29.
Sermone 26 177

maso invero ha dubitato dopo la risurrezione del


Signore, ma il suo dubbio ha confermato la fede della
Chiesa. Tommaso ha toccato le mani del Signore per
riconoscervi le ferite dei chiodi; ha toccato anche il
costato del Signore per verificare nella ferita palpa­
bile l’identità del corpo, affinché i nemici della fede
non potessero sostenere che Cristo non è risuscitato
dai morti nella medesima carne25. E, sebbene san Tom­
maso avesse accertato la risurrezione corporale di
Cristo, né Marcione, né i manichei hanno voluto cre­
dere che il Signore è risuscitato nel suo medesimo
corpo. Ma che dice Tommaso dopo aver toccato le
mani del Signore? Dice: Mio Signore e mio Dio! Egli
non ha dunque riconosciuto Cristo per suo Signore
che in virtù della risurrezione, perché "vincere il mondo
e risuscitare il corpo da morte con la propria potenza,
è esclusivo della sola potenza divina e della maestà
eterna. Ecco perché gli dice: Mio Signore e mio Dio.
E, secondo l’ordine del Signore, Tommaso parti per
le Indie, per predicare fino in quelle regioni il Cristo
Signore. Vi operò numerosi prodigi e miracoli, grazie
ai quali confermò la fede dei credenti e soffri in com ­
penso una morte gloriosa. Poiché il suo corpo si tro­
vava sepolto nelle Indie, un commerciante cristiano
molto religioso vi andò per affari, allo scopo di por­
tare ai Romani pietre preziose e mercanzie orientali,
spinto dal desiderio di un guadagno terreno. Ma, da
affarista nelle cose di questo mondo, divenne affarista
nelle cose di Dio. Al suo arrivo nelle Indie, gli fu rive­
lato il luogo ove si trovava il corpo di san Tommaso
e gli fu ordinato di portarlo con sé fino a Edessa26.

25 È degna di rilievo l’insistenza dell’espressione in eadem


carne, che troviamo anche in Rufino, Exp. Symboli, 37 (CCL
X X , p. 173). Cf. G. Cuscito, Cristianesimo..., cit., pp. 52-54.
26 Rufino (Hist. Eccl., II, 5) attesta il culto alle reliquie
dell’apostolo Tommaso a Edessa ed Egeria vi visitò il suo
178 Cromazio di Aquileia

Allora, come buon affarista nelle cose di Dio, disprez­


zando i guadagni di questa terra, si mise a pensare ai
soli guadagni del cielo. Trovò infatti una merce che
non aveva cercato, molto più preziosa delle gemme del­
le Indie27...

martyrium nel 384; cf. P. Devos, Égérie à Édesse, in Anàl.


Boll., LXXXV (1967), pp. 381 s. L'apostolato e il martirio del­
l’apostolo nelle Indie risultano dagli Atti di Tommaso, apo­
crifo del sec. II.
27 H Sermone non è completo: vi mancano infatti l’elog
dì san Luca e la conclusione.
Sermone 27 - SULLA RISURREZIONE
DI LAZZARO

1. Il Signore e Salvatore nostro Cristo G esù1


certo manifestato la potenza della sua divinità con
numerosi segni e con miracoli di ogni specie, ma parti­
colarmente alla morte di Lazzaro, come avete appena
udito, carissimi, nella presente lettura, mostrando di
essere colui del quale era stato scritto: Il Signore della
potenza è con noi, nostra rocca è il Dio di G iacobbe2.
Questi miracoli, il Signore e Salvatore nostro li ha ope­
rati sotto due aspetti: materiale e spirituale, cioè p ro­
ducendo un effetto visibile e un altro invisibile, mani­
festando per mezzo dell’effetto visibile la sua invisi­
bile potenza. Prima, con un'opera visibile, rese al cieco
nato la vista della lu ce3 per illuminare con la luce della
sua conoscenza, per mezzo della sua invisibile potenza,
la cecità dei Giudei. Nella presente lettura, egli rese
la vita a Lazzaro che era m orto4, al fine di risuscitare
dalla morte del peccato alla vita i cuori increduli dei

1 L’espressione Dominus ac Salvator noster Christus Iesus


non si ritrova che un'altra sola volta nei Sermoni di Croma-
zio (S. 30 incipit); sulle varianti e sull’uso di tale espressione,
cf. J. Lemarié, in SC 164, pp. 104-105, n. 1.
2 Sai. 45, 8.
3 Gv. 9.
* Gv. 11, 144.
180 Cromazio di Aquileia

Giudei. Di fatto molti Giudei credettero a Cristo Si­


gnore a causa di Lazzaro: riconobbero nella sua risur­
rezione una manifestazione della potenza del Figlio
di Dio, poiché comandare alla morte in forza della
propria potenza non rientra fra le capacità della condi­
zione umana, ma è proprio della natura divina. Leg­
giamo invero che anche gli Apostoli hanno risuscitato
dei morti, ma essi hanno implorato il Signore perché
li risuscitasse5; essi li hanno si risuscitati, non però
con le loro forze, o per virtù propria, ma dopo aver
invocato il nome di Cristo che comanda alla morte
e alla vita6: il Figlio di Dio invece ha risuscitato Laz­
zaro per virtù propria. Infatti appena il Signore disse:
i Lazzaro, vieni fu ori7, quegli uscì subito dal sepolcro:
J la morte non poteva trattenere colui che veniva chia-
■ mato dalla Vita. Il fetore della tomba era ancora nelle
I narici dei presenti allorché Lazzaro era già in piedi
e vivo. La morte non attese di sentirsi ripetere il co-
! mando dalla voce del Salvatore, perché essa non era
! in grado di resistere alla potenza della Vita; e pertanto
f a una sola parola del Signore la morte fece uscire
' dal sepolcro il corpo di Lazzaro e la sua anima dagli
inferi; così tutto Lazzaro uscì vivo dal sepolcro, dove
non era completo ma solo col suo co rp o 8. Ci si risve­
glia più lentamente dal sonno che non Lazzaro dalla
morte. Il fetore del cadavere era ancora nelle narici
dei Giudei ohe Lazzaro stava in piedi e vivo. Ma consi­
deriamo ora l'inizio della stessa lettura.
2. Il Signore disse dunque ai suoi discepoli, co
avete udito, carissimi, nella presente lettura: Lazzaro,
Vomico nostro, dorme; ma io vado a risvegliarlo9.

s Atti, 9, 40; 20, 9-12.


« Cf. S. 31.
7 Gv. 11, 43.
8 La sua anima si trovava infatti agli inferi.
» Gv. 11, 11.
Sermone 27 181

Il Signore disse bene: Lazzaro, l'amico nostro, dorme,


perché in realtà egli stava per risuscitarlo da morte
come da un sonno. Ma i discepoli, ignorando il signi­
ficato delle parole del Signore, gli dicono: Signore, se
dorme, guarirà10. Allora in risposta disse loro chiaro:
Lazzaro è morto, ma sono contento per voi di non
essere stato là, affinché crediate “ . Se il Signore qui ,
afferma di rallegrarsi per la morte di Lazzaro in vista 1
dei suoi discepoli, com e jù spiega che in seguito pianse )
sulla mortej l i Lazzar o ? 12. Occorre, al riguardo, badare
al motivo della sua contentezza e delle sue lacrime. ?'
Il Signore si rallegrava per i discepoli, piangeva per i j
Giudei. Si rallegrava per i discepoli, perché con la
risurrezione di Lazzaro egli sapeva di confermare^
la loro fede nel Cristo; ma piangeva pCT l'incredulità,
dei Giudei, perché neppure di fronte aJLazzaro risorto i
avrebbero creduto a Cristo Signore. 0 forse il Signore,;
pianse per cancellare con le sue lacrime i peccati del)
mondo. Se le lacrime versate da Pietro poterono lavare \
i suoi peccati, perché non credere che i peccati del '
mondo siano stati cancellati dalle lacrime del Signore? (
In effetti, dopo il pianto del Signore, molti fra il popolo
dei Giudei credettero. La tenerezza della bontà del
Signore vinse in parte l’incredulità dei Giudei e le
lacrime da lui teneramente versate addolcirono i loro
cuori ostili. E forse per questo la presente lettura ci
riferisce l'imo e l’altro sentimento del Signore, cioè
la sua gioia e il suo pianto, perché chi semina nelle
lacrime, com e scritto, mieterà nella gioia13. Le lacrime
del Signore sono dunque la gioia del mondo: infatti
per questo egli versò lacrime, perché noi meritassimo
la gioia. Ma ritorniamo al tema. Disse dunque ai suoi

« Gv. 11, 12.


11 Gv. 11, 14-15.
12 Gv. 11, 35.
13 Sai. 125, 5.
182 Cromazio di Aquileia

discepoli: Lazzaro, l’amico nostro, è morto; ma io


sono contento per voi di non essere stato là, affinché
crediateM. Rileviamo anche qui un mistero: com e il
Signore può dire di non essere stato là [dove Lazzaro
era m orto] ? Infatti quando dice chiaramente: Lazzaro
è m orto dimostra all'evidenza di essere stato li pre­
sente. Né il Signore avrebbe potuto parlare così, dal
momento che nessuno l'aveva informato, se non fosse
stato li presente. Come il Signore non poteva essere
presente nel luogo dove Lazzaro era morto, lui che
abbraccia con la sua divina maestà ogni regione del
m ondo? Ma anche qui il Signore e Salvatore nastro
manifesta il mistero della sua umanità e della sua divi­
nità. Egli non si trovava lì con la sua umanità, ma era
li con la sua divinità, perché Dio è in ogni luogo.
A 3. Quando il Signore giunse da Maria e da Marta,
sorelle di Lazzaro, alla vista della folla dei Giudei,
chiese: Dove l'avete m esso?15. Forse che il Signore
' poteva ignorare dove era stato posto Lazzaro, lui che,
i sebbene assente, aveva preannunciato la morte di Laz-
j zaro e che con la maestà del suo essere divino è pre-
j sente dappertutto? Ma il Signore, cosi facendo, si
) attenne a un’antica sua consuetudine16. Infatti, allo
i stesso m odo chiese ad Adamo: Adamo, dove sei ? 17.
i Egli interrogò Adamo non perché ignorava dove si tro-
i vasse, ma perché Adamo confessasse il suo peccato
con le proprie labbra e potesse cosi meritarne il per-
j dono. Interrogò anche Caino: Dov’è tuo fratello Abele?
( ed egli rispose: Non so “ . Dio non interrogò Caino quasi
i che Uon sapesse dove si trovava Abele, ma per poter-
1 gli imputare, sulla base della sua risposta negativa

M Gv. 11, 14-15.


>5 Gv. 11, 34.
16 Cf. Ilario, In Ps. 119, 11; Tract. Myster., 6.
n Gen. 3, 9.
18 Gen. 4, 9.
Sermone 27 183

il delitto commesso contro il fratello. Di fatto Adamo


ebbe il perdono perché confessò il peccato commesso ;
al Signore che lo interrogava; Caino invece fu condan­
nato alla pena eterna, perché negò il suo delitto. Cosi,
anche nel nostro caso, quando il Signore chiede: Dove'
l’avete messo? non pone la domanda quasi che ignori
dove sia stato sepolto Lazzaro, ma perché la folla dei
Giudei lo segua fino al suo sepolcro e, constatando
nella risurrezione di Lazzaro la divina potenza di Cri­
sto, essi divengano testimoni contro sé stessi qualora
non credano a un miracolo cosi grande. Infatti il
Signore aveva loro detto in precedenza: Se non cre-l
dete a me, credete almeno alle mie opere e sappiate che {
il Padre è in me e io sono in lu i19. Quando poi giunse
presso il sepolcro, disse ai Giudei che stavano intorno:
Levate via la pietra 70. Che dobbiamo dire? Forse che
il Signore non poteva rimuovere la pietra dal sepolcro
con un semplice comando, lui che, con la sua potenza,
ha rimosso le sbarre degli inferi? Ma il Signore ha
ordinato agli uomini di fare ciò che era nelle loro
possibilità; ciò che invece appartiene alla virtù divina,
lo ha manifestato con la propria potenza. Infatti ri­
muovere la pietra dal sepolcro è possibile alle forze
umane, ma richiamare un’anima dagli inferi è solo in
potere di Dio. Ma, se l'avesse voluto, avrebbe potuto
rimuovere facilmente la pietra dal sepolcro con una
sola parola chi con la sua parola creò il mondo.
4. Quand'ebbero dunque rimosso la pietra d
sepolcro, il Signore disse a gran voce: Lazzaro, vieni
fu ori21, dimostrando così di essere colui del quale
era stato scritto: La voce del Signore è potente, la
voce del Signore è maestosan, e ancora: Ecco che

» Gv. 10, 38.


» Gv. 11, 39.
21 Gv. 11, 43.
a Sai. 28, 4.
184 Cromazio di Aquileia

darà una voce forte alla sua potenza23. Questa voce


che ha subito richiamato Lazzaro dalla morte alla vita
è veramente una voce potente e maestosa, e l'anima fu
restituita al corpo di Lazzaro prima che il Signore
avesse fatto uscire il suono della sua voce. Sebbene
il corpo fosse in un luogo e l'anima in un altro, tut­
tavia questa voce del Signore restituì subito l'anima
al corpo e il corpo obbedì all’anima. La morte infatti
fu rimossa alla voce di ama così grande potenza. E
nulla di strano, certamente, che Lazzaro sia potuto
risorgere per una sola parola del Signore, quando ha
dichiarato egli stesso nel Vangelo che quanti sono
nei sepolcri risorgeranno alla sola e unica parola, di­
cendo: Viene l’ora in cui i morti ascolteranno la voce
del Figlio di Dio e risorgeranno24. Senza dubbio, all'udi­
re la parola del Signore, la morte avrebbe potuto allora
lasciar liberi tutti i morti, se non avesse capito che
era stato chiamato soltanto Lazzaro. Dunque, quando
il Signore disse: Lazzaro, vieni fuori, subito egli usci
legato piedi e mani e la faccia ravvolta in un sudario25.
Che diremo qui ancora? Forse che il Signore non
poteva spezzare le bende nelle quali Lazzaro era stato
sepolto, lui che aveva spezzato i legami della morte?
Ma qui il Signore e Salvatore nostro manifesta nella
risurrezione di Lazzaro la duplice potenza della sua
operazione per tentare d'infondere almeno così la fede
nei Giudei increduli. Infatti non desta minor meravi­
glia veder Lazzaro poter camminare a piedi legati
che vederlo risuscitare dai morti...

23 Sai. 67, 34.


24 Gv. 5, 25.
25 Gv. 11, 44.
Sermone 28 - SULLE PAROLE DELL’APOSTOLO:
« NON SAPETE CHE NELLE CORSE
DELLO STADIO... »

1. Il beato apostolo Paolo ci esorta a guadagn


la corona della gloria celeste non solo seguendo l'in­
segnamento della Legge1, ma anche gli esempi tratti
dalla vita di questo mondo. Così infatti, tra le altre
cose, disse, come avete appena udito, o carissimi: Non
sapete che nelle corse dello stadio tutti bensì corrono,
ma uno solo riceve la corona? E aggiunse: Correte in
modo da guadagnarla2. Stando a questo esempio,
preso dall'esperienza di quaggiù, molti sono coloro
che corrono nello stadio, come dice l’Apostolo, ma
imo solo riceve la corona, cioè colui che ha fatto la
corsa migliore; cosi succede nello stadio della vita
presente: molti sono quelli che corrono, ma uno solo
riceve la corona. I Giudei corrono nella pratica della
Legge, i filosofi corrono dietro la loro vana sapienza,
corrono anche gli eretici annunciando una dottrina
adulterata, i cattolici corrono predicando la vera fede:
ma di tutti questi, uno solo riceve la corona, cioè il
popolo cattolico che si dirige verso Cristo sulla stra­

1 II Lemarié (SC 164, p. 117, n. 1) si chiede se l’insegna­


mento della Legge non si riferisca agli episodi dei capitoli 13,
14 e 16 dell'Esodo ricordati in 1 Cor. 10, 1-5, subito dopo il
passo qui commentato da Cromazio.
2 1 Cor. 9, 24.
186 Cromazfo di Aquileia

da maestra della fede e giunge così alla palma e alla


corona dell’immortalità.
2. Perciò Giudei, filosofi ed eretici3, che non
guono la strada maestra della fede, corrono invano.
Che giova infatti ai Giudei correre nell'osservanza del­
la Legge, quando ignorano Cristo, signore della Leg­
ge? Anche i filosofi corrono dietro alla vuota sapien­
za di questo mondo, ma la loro corsa è inutile e vana,
perché non conoscono la vera sapienza di Cristo. La
vera sapienza di Dio è Cristo4, che non si adorna di
parole, né di discorsi eleganti, ma che si riconosce
con la fede del cuore. Corrono anche gli eretici dietro
le affermazioni della loro fede aberrante, corrono nei
digiuni, corrano praticando l'elemosina, ma non giun­
gono alla corona perché non credono fedelmente a
Cristo; la loro fede deviata non merita di ricevere la
grazia che riceve la fede vera. Manifesta ciò l'Apostolo
in un altro luogo, quando dice: E se distribuissi ai po­
veri tutti i miei averi, e dessi il mio corpo a farmi bru­
ciare, se non ho la carità, tutto ciò non mi serve a
nientes. Non ha la carità di Cristo chi non crede fedel­
mente a Cristo. E perciò l'Apostolo aggiunge molto
opportunamente tali parole: Correte in modo da gua­
dagnare [la corona]. Dobbiamo dunque correre fedel­
mente nella fede di Cristo, nei comandamenti di Dio,
nelle opere di giustizia6, per poter giungere alla co­
rona della vita eterna.

3 L’associazione dell’eresia, del giudaismo e della filoso


si ritrova in Ambrogio (In Lue., V, 70; VII, 197). Per il disprezzo
della filosofia, luogo comune negli autori cristiani dopo Ter­
tulliano, cf. J. Lemarié, in SC 164, pp. 118-119, n. 2.
* 1 Cor. 1, 24.
5 1 Cor. 13, 3.
6 Più che la sola pratica dell’elemosina, le opera iustitiae
qui indicano l’insieme delle virtù cristiane; cf. J. Lemarié,
in SC 164, p. 119, n. 3.
Sermone 28 187

3. Nel seguito l'Apostolo ci mostra come dobbiamo


correre, dicendo: Tutti gli atleti si impongono una
rigorosa astinenza; ed essi lo fanno per conseguire
una corona corruttibile1. Considera con quali esempi
l’Apostolo ci invita alla corona deH'immortalità pro­
messa. Nelle gare di questo mondo, chi vuole essere
vincitore si astiene da certi cibi, dall'eccesso del bere,
da ogni impurità, [e vive] in tanta castità che non
ricerca neppure i rapporti coniugali; costoro non spe­
rano di poter vincere altrimenti che conservando la
purezza e la castità del loro corpo. E, d op o tanto sfor­
zo, che altro ricevono all’infuori di ima povera e vile
corona corruttibile? Se dunque vi sono alcuni che af­
frontano tanti sforzi per tuia corona corruttibile, quan­
to più non dovremmo sopportare ogni fatica noi, cui è
promessa la ricompensa celeste e la corona della glo­
ria eterna? Noi dobbiamo dunque disputare una gara
non facile: combattiamo infatti contro gli spiriti ma­
ligni8, contro il diavolo e i suoi emissari; combattia­
mo contro l'ingiustizia, contro l'empietà, contro la
cattiveria, contro l'impurità, contro le varie lusinghe
del peccato. E se siamo vincitori in tale gara, ricevia­
m o tante corone quante sono le vittorie riportate sui
nostri vizi.
4. Grande è dunque questo combattimento, in cui
offriamo spettacolo al Signore9: quando lottiamo, il
Signore ci guarda, ci guardano i suoi angeli; siamo
vincitori sulla terra, ma riceviamo nei cieli la ricom­
pensa del nostro valore. In effetti i martiri santi nella
lotta sostenuta non sono stati solo vincitori dei vizi
e dei peccati, ma della morte stessa e hanno ricevuto
la ricompensa deU'immortalità. In questa gara, il Si­
gnore e Salvatore nostro 'ha combattuto e ha vinto

7 1 Cor. 9, 25.
8 Ef. 6, 12.
9 Cf. Minucio Felice, Oct., 37, 1; Cipriano, De Lapsis, 2.
188 Cromazio di Aquileia

per primo, per offrire a noi l’esempio della lotta e


della vittoria. Mentre trattiamo di ciò con voi, get­
tiamo il seme del buon combattimento nel vostro
cuore, e troviamo il vostro petto quasi solcato dell
l'aratro della giustizia10. Coltivate dunque la Parola
che abbiamo seminato in voi, affinché possa germinare
ciò che abbiamo piantato. Dio possa visitarvi, sparge­
re su di voi la rugiada della sua bontà e dare incre­
mento ai nostri semi affinché, al tempo di raccogliere
i fasci dei vostri meriti, possiate raggiungere un frut­
to centuplicato11.

10 L'aratro della giustizia è verosimilmente la croce; cf. S.


2, n. 3. Anche Gaudenzio di Brescia ricorre alle stesse imma­
gini agricole, ma per lui l'aratro simboleggia la dottrina evan­
gelica (PL X X , col. 1000).
11 Mt. 13, 23; Me. 4, 20.
Sermone 29 - SU SAN PIETRO E SULLA SUA
LIBERAZIONE DAL CARCERE

1. Avete udito in ordine di successione *, miei cari,


come san Pietro, gettato in prigione, fu legato con
due catene e aifidato a quattro squadre di quattro
soldati, e come fu liberato grazie a un angelo del Si­
gnore2. San Pietro fu dunque gettato in prigione per
il nome di Cristo, ma non poteva temere la pena del
carcere, perché in carcere egli stesso era tempio di
Dio. Era stato legato con due catene, ma anche dalla
stia cella scioglieva i credenti dalle catene dei loro
peccati. Era piantonato da quattro squadre di quat­
tro soldati, cioè da sedici uomini — come infatti un
centurione ha sotto di sé cento soldati, cosi un capo­
squadra ne ha quattro — , ma pure con tale sorve­
glianza annunciava i quattro Vangeli a quanti si ac­
costavano alla fede; del resto non poteva certo teme­
re la sorveglianza degli uomini chi era sotto la custo­
dia di Dio.
2. Mentre Pietro era in prigione sotto la guardia
attenta di quattro squadre di quattro soldati ciascuna
e legato con due catene, venne da lui l'angelo del Si­
gnore, com e avete appena udito, miei cari, gli spalan­

1 Sull'espressione per ordinem (in ordine di successione),


cf. S. 31, n. 1.
2 Atti, 12, 1-17.
190 Cromazio di Aquileia

cò le porte della prigione e gli disse: Alzati, prendi il


tuo mantello, indossalo, legati i sandali, vieni e se­
guimi3. Pietro si alzò e lo segui e quando giunse con
l'angelo al portone di ferro, questo si spalancò da
solo davanti a loro. Niente di strano certo se il por­
tone di ferro si spalancò da solo davanti a san Pietro,
ohe aveva già ricevuto in suo potere le porte dell’in-
fem o, quando il Signore gli aveva detto: Tu sei Pietro
e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte
dell’inferno non prevarranno contro di essa. E ciò
che legherai sulla terra, resterà legato nei cieli; e ciò
che scioglierai sulla terra, resterà sciolto nei cieli*.
Chi dunque ha spalancato il portone di ferro davanti
a san Pietro è colui che ha aperto le porte dell'infer­
no; chi ha strappato Pietro alla morte è colui che ha
debellato la morte stessa.
3. Ma quanto capitò allora a san Pietro secon
il significato letterale, sappiamo che capita anche a
noi in senso più alto qualora seguiamo la fede di
Pietro. Anche noi infatti siamo in questo mondo qua­
si come in prigione. Se dunque meritiamo di essere
visitati da Dio, egli ci manda un angelo che dice a
ciascuno di noi: Metti la cintura e legati i sandali, in­
dossa il mantello e seguimi5. Noi mettiamo in effetti
la cintura, e cingiamo i fianchi del nostro corpo con
la cintura della castità, come dice l'Apostolo: Tenete
accinti i vostri fianchi6 nella castità. Calziamo anche
i nostri piedi, se difendiamo i passi della nostra vita
con la protezione dei precetti evangelici e con la virtù
della fede, cosi da calpestare in piena sicurezza le
spine del peccato e i triboli dell'iniquità7. Indossia­

3 Atti, 12, 8 (citazione approssimativa).


« Mt. 16, 18-19.
5 Atti, 12, 8.
6 Le. 12, 35. Non si tratta dell’Apostolo, ma di Cristo.
7 Cf. Gaudenzio di Brescia, Sermone 5, PL X X , coll. 873,
875.
Sermone 29 191

mo anche noi il nostro mantello, se conserviamo in


noi intatta la veste nuziale, cioè la grazia del batte­
simo. Pertanto, se compiamo fedelmente tutto ciò,
cadranno subito le catene dalle nostre mani, cioè le
catene dei peccati che tenevano la nostra anima stret­
tamente vincolata.
4. Non possiamo però evadere dalla prigione, c
dall’errore di questo mondo, se il Signore non ci vi­
sita per mezzo del suo angelo. Il portone di ferro,
cioè la porta della morte e della sofferenza, che il Fi­
glio di Dio ha spezzato con la potenza della sua pas­
sione si aprirà davanti a noi; e allora veniamo alla
casa di Maria, [cioè] alla Chiesa di Cristo dove abita
Maria, la Madre del Signore8; e là ci viene incontro
una giovinetta di nome R od e9. Questo nome Rode
è adatto a esprimere il mistero della nostra salvezza,
perché in greco Rode significa Rosa. Dunque, quando
veniamo alla casa di Maria, non può essere che Rode a
venirci incontro, cioè l'assemblea dei santi10, che, co­
me una rosa di pregio, risplende del glorioso sangue
dei martiri...

8 £ interessante rilevare i legami qui stabiliti fra la Chi


e Maria; cf. J. Lemarié, in SC 154, p. 72.
» Atti, 12, 12-13.
10 II testo latino usa congregatici sanctorum, che rico
in Agostino assieme a espressioni simili per indicare, prima
di tutto, una realtà celeste. Quanto all'immagine della rosa,
vale la pena ricordare la « rosa » del Paradiso dantesco.
Sermone 30 - SULLE ORIGINI DELLA CHIESA

1. Dopo che il Signore e Salvatore nostro Cr


Gesù, vincitore della morte, fu risuscitato e sali al
cielo, la sua Chiesa si riunì fra un centinaio di perso­
ne, come avete appena udito, miei cari, nella presente
lettura *. La Chiesa si riunì in una camera al piano su­
periore con Maria, la Madre di Gesù, e con i suoi fra­
telli. Non si può dunque parlare di Chiesa se Maria,
la Madre del Signore, non è li con i suoi fratelli: ivi
è la Chiesa di Cristo dove si predica l'incarnazione di
Cristo dalla Vergine2; e là si sente il Vangelo dove
predicano gli Apostoli, fratelli del Signore. Non si può
parlare di Chiesa là dove si trova la sinagoga dei Giu­
dei, perché essa ha ricusato di credere all’incamazio-
ne del Cristo dalla Vergine e di ascoltare coloro che
annunciano il compimento della Scrittura3.

1 Atti, 1, 12-14.
2 Maria è associata alla Chiesa anche nel S. 29; cf. J. Le­
marié, in SC 154, pp. 71-72.
3 « Coloro che annunciano il compimento della Scrittura »
traduce il testo latino: praedicantes spirìtaliter. La « predica­
zione spirituale » è quella che va oltre la lettera ed espone il
senso spirituale della Scrittura, di cui è oggetto il disegno
di Dio che si adempie nel mistero di Cristo e della Chiesa;
cf. H. de Lubac, Esegesi medievale, Roma 1962.
194 Cromazio di Aquileia

2. All'inizio, dopo l’ascensione del Signore al


lo, la Chiesa contava centoventi persone, poi si dilatò
a tal punto da riempire, attraverso innumerevoli po­
poli, il m ondo intero. Il Signore stesso del resto mo­
stra nel Vangelo che ciò doveva accadere, quando dice
agli Apostoli: Se il chicco di frumento non è gettato
in terra, rimane solo; ma se muore, porta frutto ab­
bondante*. La risurrezione del Signore, dopo la pas­
sione, ha portato certamente m olto frutto per la sal­
vezza degli uomini. Infatti nel chicco di frumento il
Signore e Salvatore nostro vuole indicare il suo corpo.
Quando esso fu sepolto nella terra, portò frutti so­
vrabbondanti, perché la risurrezione del Signóre ha
prodotto in tutto il mondo i frutti delle virtù e le mes­
si dei popoli dei credenti. La morte di uno solo è di­
venuta la vita di tutti. A ragione, quando altrove nel
Vangelo il Signore stabilisce un paragone a proposito
del regno dei cieli, si esprime cosi: Il regno dei cieli
è simile a un granello di senape seminato in un campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma cresciuto che
sia, è il più grande degli ortaggi, di modo che gli uc­
celli del cielo vengono a posarsi tra i suoi ram i5. Il Si­
gnore ha paragonato se stesso al grano di senape e,
pur essendo Dio della gloria e dell’eterna maestà, si
è fatto oltremodo piccolo, essendosi degnato di na­
scere da una vergine con un corpo di bimbo. Egli fu
dunque seminato nella terra, quando il suo corpo fu
affidato al sepolcro. Ma, sorto dai morti con la sua
gloriosa risurrezione, è cresciuto sulla terra fino a
diventare un albero sui rami del quale abitano gli
uccelli del c ie lo 6. Questo albero significava la Chiesa,

4 Gv. 12, 24-25.


s Mt. 13, 31-32.
6 Per l’interpretazione cristologica della parabola del g
no di senapa, cf. Ilario, In Matth., 13, 4 (PL IX, col. 994)
e Ambrogio, In Lue., VII, 179-180 (SC 52, p. 75).
Sermone 30 195

che per la morte di Cristo è risorta nella gloria. I suoi


rami non possono simboleggiare che gli Apostoli, per­
ché, come i rami sono l'ornamento naturale dell’al­
bero, così gli Apostoli sono l’ornamento della Chiesa
di Cristo con la bellezza della loro grazia. Su questi
rami si sa che abitano gli uccelli del cielo. Allegorica­
mente gli uccelli del cielo indicano noi che, venendo
alla Chiesa di Cristo, riposiamo sull’insegnamento de­
gli Apostoli, come gli uccelli sui ram i7.
3. Ma ritorniamo al nostro tema. All’inizio d
que, dopo l’ascensione del Signore, la Chiesa fu poco
numerosa. Ma in seguito si sviluppò fino a riempire
il mondo intero, non solo le città, ma anche le diverse
nazioni. Credono i Persiani, credono gli abitatori delle
Indie, crede il m ondo intero8. Non il terrore della spa­
da o la paura di un imperatore ha tratto queste na­
zioni ad adorare Cristo, ma solo la fede di Cristo le
ha rese pacifiche. Infatti, quando le nazioni lottava­
no l'una contro l'altra per stabilire la propria ege­
monia sulla terra, rivendicavano propri territori o
province; ma, quando vengono alla fede e confessano
il nome di Cristo9, nessuno combatte più, perché tutti
riconoscono Gesù Cristo come unico re. A causa di
questo re non ci sono conflitti fra le nazioni: tutti, di
comune accordo, lo onorano, lo adorano, lo venerano.
Per amor suo depongono i sentimenti brutali e cer­
cano la propria gloria nella sua grazia e nella fede.
Sebbene la diversità degli stati che vige in questo
mondo abbia reso i popoli discordi, tuttavia secondo
il regno di Dio e l'unità della concordia, le nazioni

7 Cf. Ilario, In Matth., 13, 4 (PL IX , col. 994). Ambrog


In Lue., VII, 185 (SC 52, p. 78). L’espressione doctrina aposto­
lica è ricorrente in Cromazio.
* Cf. S. 11; S. 24.
9 « Venire alla fede » equivale a « confessare il nome
Cristo ».
196 Cromazio di Aquileia

obbediscono con pari fede a un solo imperatore e tut­


te, per la fede, formano la milizia di Cristo10. E se la
necessità lo esige, essi sono più facilmente disposti a
morire per il loro re che a perdere la fede; e certo
assai giustamente perché questo re per il quale mili­
tano ricompensa i suoi soldati anche dopo la morte.
Un re di questa terra non può far nulla dopo la morte
di un soldato caduto per la sua causa, in quanto egli
stesso è soggetto alla morte; ma Cristo re accorda ai
soldati morti per lui la ricompensa dell'immortalità
senza fine. Il soldato di questo mondo, se cade per il
suo re, non è che un vinto, ma il soldato di Cristo
vince con più gloria se merita di morire per Cristo.

10 Cromazio riferisce raramente a Cristo il titolo di imp


rator; cf. S. 32. Per l'uso patristico di tale titolo, come pure
dell'espressione militia Christì, cf. J. Lemarié, in SC 164, pp.
138-139, n. 7.
Sermone 31 - SUGLI APOSTOLI CHE
GUARISCONO I MALATI

1. Quale varietà di grazie gli Apostoli hanno


to dal Signore, lo avete sentito, miei cari, in ordine
di successione1. In primo luogo hanno parlato lin­
gue diverse per predicare al m ondo intero il Signore
e il creatore di tutte le lingue, l'unigenito Figlio di
D io2. Nessuno avrebbe potuto credere che gli Apo­
stoli predicavano in varie lingue se ognuno non li
avesse intesi nella propria lingua. Gli Apostoli non
avevano bisogno di traduttori, essi che avevano per
traduttore Dio e lo Spirito Santo; né avevano biso­
gno di imparare dagli uomini, poiché avevano appre­
so quanto predicavano da Cristo, maestro di vita. In
primo luogo dunque gli Apostoli ebbero la grazia di
parlare in tutte le lingue: poi cominciarono a operare
prodigi divini: restituire la vista ai ciechi, l’udito ai
sordi, la possibilità di camminare agli storpi, la sa­
lute ai malati, la vita ai m orti3, tutte cose che non
sono in potere degli uomini, ma della potenza di Dio.
Tali segni prodigiosi, gli Apostoli non li operavano in

1 L’espressione per ordinem può riferirsi sia a una lettura


abbastanza lunga fatta nello stesso giorno, sia a una lettura
distribuita in più giornate.
2 Atti, 2, 1 s.
3 Atti, 3, 1 s.; 5, 15-16; 9, 3143.
198 Cromazio di Aquileia

forza della loro natura umana, ma in virtù della po­


tenza di Dio. Come il fabbro batte il ferro, che per
sua natura è più resistente di ogni metallo e riduce
tutto in polvere, non con le sue forze, ma per la po­
tenza del fuoco, a condizione tuttavia di aver messo
il ferro nel fu oco e di averlo reso incandescente, cosi
gli Apostoli resi incandescenti dal fuoco divino, cioè
dallo Spirito Santo, cominciarono a operare divini
prodigi non in virtù della loro natura mortale, ma per
la potenza di Dio 4. Non è infatti proprio della natura
mortale comandare alla morte, ma della potenza
divina.
2. Gli Apostoli esplicavano una doppia effica
sui malati, agendo sul corpo e sullo spirito3. Essi
infatti liberavano i corpi dalle infermità, ma guari­
vano anche le anime dalle malattie del peccato, perché
la malattia dell'anima è più grave di quella del corpo.
E Davide mostra ciò chiaramente nel salmo, quando
dice: Benedici il Signore, anima mia, perché perdona
tutte le tue colpe, guarisce tutti i tuoi malanni6. I mali
dell’anima sono dunque molto più gravi di quelli del
corpo. I mali corporei causano all’uomo la morte tem­
porale, ma i mali dello spirito gli procurano la morte
eterna. Infatti, quando nel paradiso Adamo trasgredì
il comandamento divino, non contrasse un male cor­
poreo ma un male deH’anima, per il quale sarebbe
perito di morte eterna se la grazia di Cristo non
l'avesse riscattato dalla morte. Ascolta il Profeta che
dichiara ciò quando dice: Per le sue piaghe siamo stati
tutti guariti1. In effetti le ferite e la passione del Si­

4 Anche Dante paragona i miracoli a prodotti non usc


dairofficina della natura: « ...l’opere seguite, a che natura/
non scaldò ferro mai né batté incude » (Farad.., XXIV, 101-102).
s Cf. S. 27.
« Sai. 102, 2-3.
7 Is. 53, 5.
Sermone 31 199

gnore sono state il rimedio che ha guarito gli uomini.


I mali dèiranima in realtà non si guariscono con
l’arte medica degli uomini, ma solo con la grazia di
Cristo. Sono mali dell'anima le febbri del peccato e
le ferite delle colpe, che non penetrano nel corpo dal­
l'esterno ma dal di dentro nell’anima. Tali ferite del­
l’anima non sono guarite dall’uomo, ma da Dio; non
dal taglio di lama terrena, ma dalla lama della Parola
divina che penetra nell’intimo dell’anima8. Ascolta il
Profeta affermare ciò: Né erba, né lenitivo li guari, ma
la tua parola, o Signore, che a tutto rimedia9. E ancora
queste parole di Davide: Mandò la sua parola a gua­
rirli 10. E giustamente il Profeta prega il Signore per
l’iniquità del popolo giudeo in questi termini: Forse
che non vi è balsamo in Galaad, non vi è medico alcuno?
Perché dunque la salute del tuo popolo non risale a
te? u. Il Profeta non parla qui di un balsamo qualun­
que, ma di un rimedio celeste, né di un medico che
sia uomo ma di un medico che è Dio n.
3. Ma dobbiamo considerare a fondo questo fa
come mai cioè, pur manifestandosi nel genere umano
ogni sorta di mali o di peccati, che sono dei mali,
come mai il Profeta qui promette la guarigione da
ogni male con l’unico rimedio del balsamo. Se si sta
al paragone delle cose di quaggiù, differenti malattie
richiedano differenti rimedi; invece, secondo il miste­
rioso piano di Dio u, il medesimo balsamo è il rime­

8 Questo passo si richiama a Ebr. 4, 12. Il termine acum


si ritrova nel S. 3: si tratta dello Spirito Santo, che, come la
punta di ima spada, toglie il peccato daU’anima.
» Sap. 16, 12.
«o Sai. 106, 20.
u Ger. 8, 22.
a Nel suo Commento a Matteo Cromazio ritorna con fre­
quenza al tema di Dio-medico e specialmente di Cristo-medico,
tema ricorrente nella patristica.
13 II testo latino usa l’espressione tante volte ricorre
di caeleste mysterium.
200 Cromazio di Aquileia

dio unico che ha guarito e ogni giorno guarisce tutti


i mali del peccato. È noto che il balsamo lenitivo pro­
viene da un albero; di conseguenza, quando promette
il balsamo come mezzo per guarire, il Profeta indica
senza dubbio il rimedio della croce del Signore, che
dona al genere umano la salvezza eterna. Questa è
dunque l'unica medicina che ha guarito e che guari­
sce ogni giorno i diversi mali del mondo, perché la
predicazione della croce di Cristo è il rimedio dei pec­
cati, come avete udito, o miei cari. Essa guarisce non
solo le malattie del corpo, ma anche quelle deH'anima.
Quanto abbiamo fede in Cristo, siamo liberati da ogni
infermità del peccato. Infatti si conducevano dagli
Apostoli i malati sulle loro lettighe, come ha riferito
la presente lettura, ma si conducevano anche quanti
erano tormentati da spiriti immondi e tutti erano gua­
riti. Chiunque veniva sfiorato anche solo dall'ombra
di Pietro ritrovava subito la salute14. Fu certo straor­
dinario il dono concesso agli Apostoli, di poter gua­
rire le malattie con la loro stessa ombra. Ma forse a
certi spiriti dubbiosi o di poca fede potrà sembrare
incredibile che l'ombra degli Apostoli sia stata di rime­
dio alle malattie degli uomini. Gli spiriti dubbiosi non
credono che gli Apostoli abbiano potuto fare ciò, se
non li vedono operare simili prodigi anche ai nostri
giorni. Ora le ombre degli Apostoli15 operano in soc­
corso dei malati, dei sofferenti, di coloro che sono
posseduti da spiriti maligni e manifestano in loro
favore la guarigione celeste a ricompensa della loro
fede. Non si può dunque dubitare che l'ombra degli
Apostoli abbia già avuto tale potenza, quando sappia­
m o che le loro reliquie ai nostri giorni hanno un simile
potere. E se essi operassero prodigi unicamente sul

« Atti, 5, 15-16.
15 Col termine om bre qui Cromazio intende riferirsi a
reliquie degli Apostoli, come dopo dirà esplicitamente.
Sermone 31 201

posto dove si sa che hanno sofferto per Cristo sarebbe


già straordinario; ma essi li com piono anche là dove
non hanno sofferto, affinché i loro meriti siano resi
tanto più evidenti quanto maggiori appaiono i loro mi­
racoli lé. Abbiamo detto ciò perché abbiam o sentito
nella presente lettura che l'om bra di Pietro e degli
altri Apostoli liberava i malati da ogni male che li
angustiava17.
4. Avete anche udito, miei cari, quali erano
carità e l’unanimità dei credenti al tem po degli Apo­
stoli “ . Tutti erano di un cuor solo e nessuno chiamava
sua propria cosa alcuna di quelle che possedeva, ma
avevano tutto in comune w. Così erano graditi a Dio,
conducendo una tale vita. Perché avrebbero dovuto
dividere i beni di questa terra, dal momento che pos­
sedevano indivisi i beni del cielo? O perché non avreb­
bero dovuto possedere tutto in comune, essi che in
comune possedevano il Signore di tutti? Ciò che era
di uno solo era di tutti, ciò che era di tutti era di cia­
scuno. In quella comunanza di beni essi imitavano già
la partecipazione alla gloria futura, là dove i santi
regneranno in comune, là dove nessuno contrasta per
confini, per proprietà, per case. Là è comune a tutti
la gioia, com une la letizia, in quanto ciò che appar­

16 Oltre alle reliquie di san Giovanni Evangelista (S. 21),


Aquileia possedeva quelle degli Apostoli Andrea e Tommaso.
Per i prodigi operati dalle reliquie di san Giovanni, cf. il
S. 21.
17 Atti, 5, 15-16.
18 Cf. S. 1, nn. 16 e 18, di cui siamo debitori al puntuale
commento del Lemarié. È interessante anche rilevare come
alla fine di due Sermoni Cromazio abbia voluto rievocare Eli
suoi fedeli il modello della primitiva comunità di Gerusa­
lemme; dove tutto era in comune e non vi erano contrasti di
sorta per questioni di interesse, come invece se ne dovevano
registrare in una città commerciale qual era Aquileia; cf. il
commento alla settima beatitudine nel S. 41.
» Atti, 4, 32.
202 Cromazio di Aquileia

tiene a im o solo appartiene a tutti e ciò che appar­


tiene a tutti appartiene a ciascuno. Ma tem o che quella
unanimità e quella carità di credenti al tem po degli
Apostoli siano un m otivo di condanna per noi che, a
causa della cupidigia, non manteniamo l'unanimità, la
pace, la carità. Essi consideravano com e beni comuni
i propri beni, noi vogliam o fare nostri quelli degli
altri; contrastiam o per confini, per proprietà, com e
se non dovessim o mai m orire. Attendiamo tutto dalla
terra, niente dal cielo; tutto dalla vita presente, niente
dalla gloria futura e daH’immortalità senza fine. Dimen­
tichiam o le parole del Signore e Salvatore nostro:
Che giova all’uomo guadagnare il mondo intéro, se
poi perde l’anima sua?20. E ancora: Badate e guarda­
tevi [da ogni cupidigia]; perché non sta la vita di
alcuno nell’abbondanza dei suoi averi21. Perciò dob­
biam o evitare ogni connivenza con l'avarizia e con la
cupidigia, con l’invidia, con la discordia, con le dissen­
sioni. Dobbiamo invece ricercare la pace, la concordia,
l'unanimità, per poter partecipare alla vita eterna con
tanti e tali uom ini di cui si dice: Ora la moltitudine
dei credenti era di un cuore solo e di un'anima sola e
avevano tutto in com une22. Perciò dobbiam o soccor­
rere i fratelli e i poveri che soffrono la miseria com e
se i nostri beni fossero in comune, perché abbiam o in
comune un solo Dio e Padre e un solo Signore, l'uni­
genito Figlio di Dio, e un solo Spirito Santo, una sola
fede e la grazia di un solo battesim o2B, che ci fa rina­
scere a Dio per la vita eterna.

» Mt. 16, 26; Me. 8, 36.


21 Le. 12, 15.
22 Atti, 4, 32.
23 Ef. 4, 5-6.
Sermone 32 - SUL NATALE DEL SIGNORE1

1. [...] Di quei giorni usci un editto di Ces


Augusto che si facesse il censimento di tutto l'impero.
Questo è il primo censimento fatto mentre Quirinio era
governatore della Siria. Or tutti andavano a farsi regi­
strare, ciascuno nella propria città2. Se consideriam o
ogni singolo fatto secondo il senso spirituale, vi sco­
priam o importanti misteri. Questo prim o censimento
del m ondo intero fu fatto quando il Signore nacque
secondo la carne; infatti non sarebbe stato opportuno
che questo prim o censimento di tutta la terra fosse
indetto in altro m om ento se non alla nascita di colui
per il quale doveva venir censito il genere umano, né
sotto un altro im peratore se non sotto colui che per
prim o prese il nom e d i Augusto, perché era vera­
mente augusto ed eterno colui che nacque da una
vergine. Quel Cesare Augusto non era che un uom o,
questo è D io; uno era im peratore della terra, l'altro
im peratore del cielo; l'uno re degli uom ini, l’altro re
degli angeli 3. Persino il nom e del governatore Quirinio

1 Per il contesto liturgico di questa omelia, cf. J. Lemarié,


in SC 154, pp. 83-87. Il sermone ci è giunto acefalo. Per le noti­
zie intorno a Sulpizio Quirinio, cf. G. Felten, Storia dei tempi
del Nuovo Testamento, I, Torino 1932, pp. 186 ss.
2 Le. 2, 1-3.
3 Lo stesso parallelismo antitetico nel Commento su Luca
204 Cromazio di Aquileia

sotto il quale ebbe luogo il censimento, è adatto al


m istero celeste. Quirinio si traduce dal greco in latino
con la parola « dominatore », nome che a nessuno si
conviene m eglio che a Cristo Signore, che domina sul
corpo e sull'anima degli uomini. Egli è, com e leggiamo
di lui nella Scrittura, il Signore dei Signori \ che regna
non solo sulla terra ma anche nel cielo. M olte sono
invero le signorie sulla terra e nel cielo, ma questo è
il solo Signore che regna su tutti. Assai opportuna­
mente dunque il censimento di tutta la terra ebbe
luogo al tem po della nascita del Signore, perché per
lui doveva essere censito il m ondo intero in vista della
salvezza. Coloro che sono censiti da un imperatore
di questa terra vengono registrati per pagare le im po­
ste dovute e il testatico esigibile5. Anche noi siamo
stati censiti da Cristo, re eterno, per versare l ’imposta
del nostro testatico e per pagare il testatico indispen­
sabile della nostra fede; la qual cosa fecero soprat­
tutto i martiri, che offrirono la vita stessa per il nome
di C risto6. Dunque al tem po in cui ebbe luogo il cen­
simento di tutta la terra, il Signore nacque secondo
la carne. Nacque a Betlem m e7, e non poteva nascere
certo più opportunamente che a Betlemme, perché
Betlemme significa « casa del pane ». Questo luogo
era già stato denominato cosi in m odo profetico,
perché colui che nacque da ima vergine a Betlemme
era il pane del cielo*. Se si esaltano tante città per

di Ambrogio (In Lue., II, 37), a cui Cromazio qui s’ispira più
volte.
4 Ap. 17, 14; 19, 16 (1 Tim. 6, 15; Deut. 10, 17).
5 II testatico o capìtatio è un sistema fiscale istituito da
Diocleziano sotto forma di imposta personale e fondiario;
cf. A. Déléage, La capitation du Bas-Empire, Macon 1945,
pp. 219-220.
6 Per la menzione dei martiri a commento di Le. 2, 1 s.,
cf. Ambrogio, In Lue., II, 36-37, SC 45, pp. 88-89.
7 Le. 2, 4.
8 Gv. 6, 41.
Sermone 32 205

aver dato i natali a grandissimi re, quale località è più


sublime di questa in cui si è degnato di nascere il re
del cielo e della terra e il Signore del m ondo intero?
2. Quando giunsero dunque a Betlemme Giuseppe
e Maria per essere censiti, com e riferisce la presente
lettura, Maria diede alla luce il suo -figliolo primoge­
nito e, avvoltolo in fasce, lo adagiò in una mangiatoia,
perché non v'era posto nell’albergo9. Qui pertanto ci
viene presentato com e primogenito colui che nacque
da ima vergine non solo com e prim ogenito ma com e
unico figlio: prim ogenito del Padre, prim ogenito della
Vergine; prim ogenito del Padre perché nato dal Padre
prima di tutte le cose, unigenito del Padre perché è
il solo Figlio nato dal Padre. Allo stesso m odo è pro­
clam ato primogenito e unigenito della Vergine: primo­
genito in quanto il prim o a nascere da una vergine,
unigenito in quanto l’unico a essere nato da una ver­
gine. Considera fino a quale umiliazione il Figlio di
Dio si abbassa per noi: si adagia in una mangiatoia
chi regna in cielo col Padre; si avvolge in fasce chi
concede la veste della immortalità; si mostra col corpo
di un bim bo chi è sublime e potente10.
3. Questi fatti della vita del Signore simboleg­
giano tuttavia anche reconditi significati. Egli fu av­
volto in panni, perché ha preso su di sé i nostri peccati
com e dei panni, secondo quanto è scritto: Egli si fece
carico dei nostri peccati e soffre al nostro posto u. Egli
fu dunque avvolto in fasce per spogliare noi dei panni
dei nostri p ecca tiu; egli fu avvolto in fasce per tessere
con lo Spirito Santo la preziosa tunica della sua Chiesa;

» Le. 2, 7.
10 I Padri hanno usato frequentemente nei loro sermoni
natalizi queste formule antitetiche riprese dalle liturgie di
Oriente e di Occidente; cf. J. Lemarié, La Manifestation du
Seigneur, Parigi 1957, pp. 84-92.
11 Is. 53, 4.
12 J. Lemarié, La Manifestation..., cit., p. 193.
206 Cromazio di Aquileia

egli fu certo avvolto in fasce per chiamare i diversi


popoli che credono in lui. Infatti siam o venuti alla
fede da differenti nazioni e cingiam o Cristo com e di
fasce, noi che già fum m o delle fasce ma che ormai
siamo diventati la preziosa tunica di Cristo B. Che poi
il Signore e Salvatore nostro sia stato adagiato in una
mangiatoia, significava ch'egli doveva essere il nutri­
mento dei credenti. La mangiatoia è il posto in cui gli
animali vengono insieme per prendere il cibo. Poiché
anche noi siamo animali dotati di ragione, abbiamo
una mangiatoia celeste presso la quale ci riuniamo.
La nostra mangiatoia è l ’altare di Cristo, attorno al
quale ci riuniamo ogni giorno per prendervi il corpo
di Cristo, alimento della nostra salvezza M. Il Signore
fu adagiato in una mangiatoia, perché non v'era posto
nell’albergo 15. L'albergo significa la sinagoga che, già
occupata daH’errore dell’infedeltà, non fu idonea ad
accogliere in sé il Cristo. E giustamente l'albergo è
inteso com e la sinagoga, perché, com e uomini di ogni
sorta si ritrovano all'albergo, cosi la sinagoga è dive­
nuta l'albergo di ogni infedeltà e di ogni errore, onde
Cristo non vi potè trovar posto. Perciò egli si trova
adagiato in ima mangiatoia, cioè nella Chiesa delle
nazioni che ha accolto in sé il Signore e Salvatore
nostro con fede totale e con piena devozione, perché
egli è vero cibo per tutti i credenti e alimento spiri­
tuale per le anime.
4. Un angelo annunciò la nascita del Signore ne
carne in prim o luogo ai pastori che vegliavano sulle
loro greggi. Era doveroso che i pastori per primi ap­
prendessero la nascita del principe dei pastori. Secondo
il senso spirituale, i pastori delle greggi sono i vescovi

« Cf. S. 24, 3.
14 Chiara allusione alla celebrazione quotidiana dell’Eu-
caristia.
« Le. 2, 7.
Sermone 32 207

delle Chiese, che custodiscono le greggi loro affidate


da Cristo perché non abbiano a soffrire le insidie dei
lupi. Lo riferisce la Scrittura: In quella contrada
c ’erano dei pastori, che pernottavano e vegliavano di
notte a guardia del loro gregge16. Se dunque vegliamo
sempre nella fede di Cristo e nei precetti del Signore,
custodiam o com e si deve le greggi affidateci da Cristo
e portiam o a buon diritto il titolo di pastori della
Chiesa. Se, al contrario, ci lasciamo opprim ere dal
sonno della negligenza e dell'infedeltà, non potrem o
custodire non solo le greggi affidateci ma neppure noi
stessi, com e accadde ai maestri dei Giudei, pastori cat­
tivi e inutili, che mandarono in rovina sé stessi e le
pecore del Signore. Ma allontani da noi il Signore tale
pericolo affinché mai ci lasciamo appesantire dal sonno
dell’infedeltà; ma ci conceda la sua grazia e la sua
m isericordia in m odo che possiam o vegliare sempre
nella fedeltà a lui. Infatti la nostra fedeltà può vegliare
in Cristo. Vegli sempre anche la vostra devozione, per­
ché, com e l'insegnamento del vescovo sollecita il suo
popolo alle opere di ben e17, così la devozione del po­
polo è un incoraggiamento per i vescovi; e ne risulta
che il gregge fa la gioia del suo pastore e il pastore
la gioia del suo gregge1S.
5. L'angelo disse dunque ai pastori, com e av
appena udito, miei cari, nella presente lettura: Io vi
do annunzio di grande gioia: oggi è nato a voi, nella
città di Davide, un Salvatore, che è Cristo Signore19.
Grande gioia è certo per i pastori: è nato il Principe
dei pastori, per custodire le sue pecore e mettere in
fuga i lupi che sono i demoni. Perciò la nascita di

“ Le. 2, 8.
17 Per l’espressione opus iustitiae, cf. S. 24.
18 Rileva il Lemarié che non si potevano esprimere più
felicemente i legami reciproci tra il vescovo e il suo popolo.
w Le. 2, 10-11.
208 Cromazio di Aquileia

Cristo secondo la carne fu la gioia dei pastori, la sicu­


rezza per le greggi e mise in fuga i lupi. L'angelo disse
dunque ai pastori: Io vi do annunzio di grande gioia:
oggi è nato a voi, nella città di Davide, un Salvatore,
che è Cristo Signore. Poteva esserci gioia più grande
di quella annunciata dall'angelo ai pastori, per il fatto
che il re della gloria, il Cristo e il Signore di eterna
maestà aveva voluto nascere da una vergine per sal­
vare gli uom ini? Tuttavia la presente lettura ci ha
m anifestato che non solo i pastori ma anche gli angeli
si sono rallegrati per la nascita del Signore. È detto
infatti: E a un tratto si uni con Vangelo uno stuolo
delle schiere celesti che esclamavano: Gloria a Dio
nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di
buona volontà10. Era conveniente che non solo gli
uomini ma anche gli angeli si rallegrassero alla nascita
di un re cosi grande, poiché egli era il creatore degli
uomini, il creatore degli angeli e il Dio onnipotente.
Poiché dunque, in questo giorno il Signore e Salvatore
nostro si è degnato di nascere secondo la carne, anche
noi con gli angeli esultiamo di gioia celeste e allietia­
m oci di spirituale letizia con la fede, con l’entusiasmo
e con la santità del cuore.

2» Le. 2, 13-14.
Sermone 33 - SULL'ALLELUIA

1. La stessa parola Alleluia ci invita a esalt


Dio e a confessare tutta la nostra fede. Alleluia infatti,
traducendo dall'ebraico in latino, può essere interpre­
tata in due m odi; cioè: « Canta a colui che è », o almeno
« Dio, benedici noi tutti insieme » *. Cose entrambe
indispensabili alla nostra salvezza e alla nostra fede.
Dobbiam o infatti cantare « a colui che è », perché
abbiam o già cantato a coloro che non erano, cioè alle
divinità dei pagani e alle statue degli id o li2. Ma canta­
vamo invano, perché vane erano le cose che adoravamo.
Cantavamo inutilmente quando parlavamo di turpi­
tudini, quando esaltavamo gli dèi pagani e i loro amori
illeciti e sacrileghi, contro cui il Profeta si scaglia in
questi termini: Gli dèi che non hanno fatto il cielo e
la terra, spariscano da questa terra e da sotto questo
cielo...3. Ascolta anche Davide che dice nel salmo:

1 Se è possibile collocare i commenti agli Atti nel tempo


pasquale, nulla consente di sostenere la stessa cosa per que­
sto Sermone, in cui manca qualsiasi allusione alla gioia della
Pasqua.
2 È l'unico luogo dei Sermoni cromaziani in cui affiori la
polemica diretta contro la religione pagana forse perché,
come Girolamo, anche il vescovo di Aquileia doveva ritenerla
ormai moribonda.
3 Ger. 10, 11. Nel testo è segnato anche un breve passo
corrotto che non traduciamo.
210 Cromazio di Aquileia

Tutti gli dèi delle genti sono idoli vani, il Signore invece
è il creatore del cielo 4. Cantavamo pertanto inutilmen­
te; ma, giunti alla fede e alla conoscenza di Dio, abbiamo
com inciato a celebrare con canti « colui che è », cioè
Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra, colui
che ha fatto l'uom o e che ingiunge a Mosè: Cosi dirai
ai figli d'Israele: colui che è mi ha mandato a v o i5.
Egli è senza inizio e dura in eterno. È oltrem odo giusto
ohe noi inneggiamo a lui, perché il nostro essere e il
nostro vivere non sono in nostro potere né dipendono
da noi, ma dal suo favore e dalla sua bontà. Dobbiamo
dunque cantare a questo Dio, che è ed è sempre stato,
le grandezze che gli com petano e si addicono alla lode
della sua maestà, cioè: che egli è eterno, che è onni­
potente, che è immenso, che è creatore del m ondo e
suo salvatore, che ha avuto per gli uomini tale amore
da offrire persino il Figlio suo per la salvezza del
m ondo, com e dice egli stesso nel Vangelo: Dio ha tanto
amato il mondo, che ha dato il suo Figliolo unigenito,
affinché chiunque in lui crede non perisca, ma abbia
la vita eterna6.
2. Alleluia dunque si traduce: « canta a colui
è »; ma si può anche interpretare: « Dio, ‘b enedici noi
tutti insieme ». Se ben consideriam o, possiam o rilevare
quanto questa seconda traduzione sia consona alla
nostra fede e alla nostra salvezza. Quando diciam o
Alleluia facciam o questa preghiera: Dio, benedici noi
tutti insieme. Se dunque, siamo uniti tutti insieme
nella fede, nella pace, nella concordia, nell'unanim ità7,
siamo degni di meritare che il Signore ci benedica tutti
insieme. Infatti è scritto: Ecco com ’è bello, com'è gio­

* Sai. 95, 5.
5 Es. 3, 14.
« Gv. 3, 16.
7 Si ritrova ancora una volta il termine unanimitas fre­
quente in Cipriano.
Sermone 33 211

condo il convivere di tanti fratelli insiem e8; e ancora:


Dio fa abitare quelli che sono un cuor solo nella sua
casa9. Pertanto siamo benedetti da Dio se egli ci trova
tutti insieme, cioè dimoranti nell'unità della fede, nella
concordia della pace, nell'am ore della carità, secondo
l'esortazione e l’ammonimento dell'Apostolo: Io vi
scongiuro, abbiate tutti lo stesso sentimento e non
siano tra voi divisioni, ma siate perfettamente uniti
in uno stesso sentimento e in uno stesso pensiero™.
Per conseguenza, se ci sono fra di noi discordia, divi­
sione, dissensioni, non siamo degni della benedizione
di Dio. Come potrem m o rispondere senza timore in
lingua materna Alleluia, cioè « Dio, benedici noi tutti
insieme », se non ci troviam o tutti insieme uniti?
Cerchiamo dunque di essere sempre uniti per meritare
di essere benedetti tutti insieme. Il rispondere Alle­
luia non com pete né agli eretici, né agli scismatici, né
ad alcun avversario dell'unità della Chiesa. Non sono
uniti tutti insieme con la Chiesa coloro che non si rac­
colgono con noi in unità. Il Signore stesso infatti mani­
festa ciò nel Vangelo dicendo: Chi non è con me, è
contro di me; e chi non raduna con me, disperdeu,
perché è proprio di Cristo raccogliere in unità, mentre
è proprio del diavolo disperdere mediante le diver­
genze. Chi dunque ama l'unità della Chiesa, segue Cri­
sto; chi si com piace della divisione, segue il diavolo,
perché è il diavolo l'autore della divisione. E perciò
si leggono queste parole di Salomone: Vi è un tempo
per disperdere le pietre e un tempo per riunirle u. Ci
fu un tem po in cui il diavolo ci aveva disperso con
la diversità; ma è venuto di nuovo il tem po in cui

* Sai. 132, 1.
» Sai. 67, 7.
io 1 Cor. 1, 10.
» Mt. 12, 30 (Le. 11, 23).
12 Eccle. 3, 5.
212 Cromazio di Aquileia

Cristo ci ha raccolti in unità. Perciò dobbiam o fuggire


ed evitare la discordia, di cui sappiamo che il diavolo
è l’autore; e perseguire invece la pace e l’unità della
Chiesa per poter rispondere degnamente e a buon di­
ritto Alleluia, cioè: « Dio, benedici noi tutti insieme ».
3. Considera quale abbondanza di grazia sia
chiusa in questa interpretazione della parola Alleluia.
Ciascuno risponde e chiede la benedizione per tutti,
affinché tutti veniamo benedetti insieme. Infatti tutti
noi form iam o l’unico corpo della Chiesa13e per questo
ciò che il singolo chiede lo ottiene per tutti e ciò che
tutti chiedono è assicurato ai singoli popoli che for­
mano la Chiesa. E dobbiam o capire che quanto detto
si applica pure al popolo dei gentili e al popolo dei
Giudei. Viene annunciata una distinzione ove è detto:
Solleva da terra il misero e dal letame rialza il povero M.
Si dice m isero chi è privo assolutamente di mezzi,
povero invece chi sembra avere qualcosa. Nel m isero
pertanto è da riconoscere il popolo dei gentili il quale
non possedeva assolutamente niente, in quanto non
aveva ricevuto né la Legge né i Profeti. Povero invece
era il popolo dei Giudei, il quale risultava possedere
qualcosa in forza della Legge e dei Profeti, del merito
dei patriarchi, della grazia dei giusti, ma giaceva nel
letame perché era involto nei vizi della carne, immerso
nella sozzura dei peccati e nell’errore dei gentili. Il
popolo dei gentili, che dobbiam o riconoscere nel mi­
sero, giaceva a terra perché adorava gli idoli di questa
terra, perché ogni cosa sperava dalla terra, niente dal
cielo. Entrambi pertanto vengono elevati, perché en­
trambi vengono rialzati; entrambi si rialzano, perché
entrambi vengono fatti liberi: im o dal fango dei vizi,
l’altro dal letame dei peccati; im o dal culto degli idoli,
l’altro dalla trasgressione della giustizia. Vengono in­

* 1 Cor. 10, 17.


14 Sai. 112, 7.
Sermone 33 213

nalzati sino al punto da essere posti con i principiu,


cioè con gli Apostoli e con i profeti che sono i primi
nella Chiesa di Dio.
4. E non è superfluo il fatto che, pur essendo ri
dati due, si dica che uno solo viene collocato fra i
principi, perché di due popoli è stato form ato l'unico
popolo della Chiesa, messo al posto d'onore fra i capi
del popolo e associato agli Apostoli e ai profeti. E cosi
di due popoli chiamati è risultato un solo popolo,
poiché entrambi com inciarono a essere un solo popolo,
secondo quanto dice l’Apostolo: Chiamò coloro che
sono lontani e coloro che sono vicini; egli infatti è la
nostra pace, egli, che di due popoli ne fece uno s o lo I6.
E appunto per mostrare ima sola Chiesa da due voca­
zioni, aggiunse alla fine del salmo queste parole: Lui
che assegna un posto in famiglia alla sterile, quale lieta
madre di figli17. Prima della venuta di Cristo, la Chiesa
era sterile, perché non aveva ricevuto alcun seme di
giustizia e non aveva prodotto alcun parto di fede.
Era sterile nella fede, infeconda nella produzione del
bene. Ma dopo la venuta di Cristo, accolse il seme della
parola divina e divenne feconda e fertile. Ha procreato
e continua a procreare ogni giorno innumerevoli figli
a Dio nel m ondo intero, in tutte le nazioni. Ogni giorno
concepisce e ogni giorno genera figli, poiché tutti coloro
che arrivano alla fede sono procreati spiritualmente
dal suo grembo. Perciò acclama a lei il Profeta dicen­
do: Esulta, o sterile che non hai partorito, erompi in
giubili e canti, tu che non hai provato le doglie, perché
son più numerosi i figli della solinga che quelli della
maritata18. La sinagoga aveva già un marito, cioè la
Legge che esercitava su di lei il suo dom inio, ma non

« Sai. 112, 8.
“ Ef. 2, 17 e 14.
17 Sai. 112, 9.
« Is. 54, 1.
214 Cromazio di Aquileia

potè produrre alcun frutto di giustizia e cosi procreò


inutilmente figli. Li procreò non a Dio ma al m ondo,
non a Dio perché li salvasse, ma perché esercitasse la
sua giustizia. La Chiesa invece, già sterile e infeconda,
ora è diventata fertile. Concepisce ogni giorno frutti
di giustizia, produce parti di salvezza, genera a Dio
innumerevoli figli, perché ogni giorno la Chiesa pro­
crea figli a Dio. Siamo concepiti dalla Chiesa quando
veniamo alla fede; siamo rigenerati attraverso il la­
vacro dell'acqua; nasciam o a Dio nel battesimo.
5. Poiché dunque ogni giorno vengono fatti s
coloro che credono, è com e se ogni giorno la Chiesa
partorisse figli al Signore. Pertanto la Chiesa è pre­
sentata com e madre di figli cosi numerosi, quando si
legge: Lui che assegna un posto in famiglia alla ste­
rile, quale lieta madre di figli; e di quei figli che prefi­
guravano la Chiesa, secando quanto è detto nella Ge­
nesi, perché essa fu la madre di tutti i viventi19; madre
non di m orti, ma di vivi, perché la Chiesa non procrea
che figli vivi e genera quanti vivono nella fede in Dio
lungi dalle opere di morte. La Chiesa non vuole essere
madre di m orti, poiché tutti quelli che non credono e
non hanno fede sono ritenuti m orti presso Dio, anche
se vivono nel corpo. Perciò leggiamo nel Vangelo que­
ste parole del Signore: Lasciate che i morti seppelli­
scano i loro m orti10. Quanti invece sono giusti e cre­
dono, anche se m uoiono nel corpo, sono ritenuti vivi
presso Dio, cosi che, secondo la testimonianza del
Vangelo, il Signore ha potuto affermare: Io sono il
Dio di Àbramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe e
ha aggiunto: Non è il Dio dei morti, ma dei viventi21.
Sono comunque vivi per lui Abramo, Isacco e Gia­
cobbe. Secondo il corpo, essi erano orm ai m orti e tut-

» Gen. 3, 20.
20 Mt. 8, 22.
21 Mt. 22, 32.
Sermone 33 215

tavia furono detti viventi, perché, per i meriti della


loro fede e della loro giustizia, vivevano in Dio. Per­
tanto chiunque vive in questo m ondo con fede e secon­
do giustizia, risulta vivere anche dopo la m orte e vivere
anche ima vita m igliore. In questa vita presente non
mancano occasioni di peccato, mentre in quella c'è
la sicurezza del regno; nella presente la morte, in quella
l'im m ortalità del regno; nella presente le disgrazie,
in quella la beatitudine. Se dunque viviam o secondo
giustizia e con fede agli occhi di Dio, siamo chiamati
a buon diritto figli della Chiesa, perché la Chiesa non
risulta che madre di viventi. Se invece viviam o in que­
sta vita senza fede e con iniquità, non m eritiamo di
essere ritenuti figli della Chiesa. Perciò dobbiam o agire
e com portarci in questo m ondo così da poter essere
detti figli della Chiesa e meritare a buon diritto di
regnare con la Chiesa nella gloria futura.
Sermone 34 (frammento) - PER L'EPIFANIA
DEL SIGNORE

1. In questo giorno, com e abbiamo appena udito


mentre veniva letta la divina lettura, il Signore e Sal­
vatore nostro fu battezzato da Giovanni nel Giordano
e perciò si tratta di una solennità non da poco, ma
anzi grande e assai grande1. Quando infatti nostro
Signore si è degnato di ricevere il battesimo, lo Spi­
rito Santo scese su di lui in form a di colom ba e si udì
la voce del Padre che diceva: Questi è il Figliolo mio
diletto in cui mi sono com piaciuto2.
2. Oh, che grande m istero in questo battesim o ce­
leste! Il Padre si fa sentire dal cielo, il Figlio appare
sulla terra, lo Spirito Santo si manifesta sotto form a
di colom ba: non si può parlare infatti di vero batte­
simo, né di vera remissione dei peccati dove non sia
la verità della Trinità, né si può concedere la remis­
sione dei peccati ove non si creda alla Trinità per­
fetta 3. L'unico e vero battesimo è quello della Chiesa,
che è dato una sola volta: in esso veniamo immersi
un'unica volta e ne usciam o puri e rinnovati; puri

1 Sulla celebrazione dell’Epifania ad Aquileia, cf. l'In-


troduzione.
2 Mt. 3, 17 (cf. 17, 5).
3 Lo stesso collegamento fra ortodossia della fede e remis­
sione dei peccati in Cipriano, Ep. 70, 2; 73, 4-5. Per l'espressione
che segue unum et verum baptismum, cf. Ep. 69, 1; 75, 11.
218 Cromazio di Aquileia

perché ci liberiam o dalla sozzura dei peccati, rinno­


vati perché risorgiam o a nuova vita, dopo aver deposto
la decrepitezza del peccato. Questo lavacro del batte­
sim o rende l’uom o più bianco della neve, non nella
pelle del suo corpo, ma nello splendore del suo spirito
e nel candore della sua anima. I cieli pertanto si apri­
rono al battesim o del Signore, per mostrare che il
lavacro della rigenerazione spalanca ai credenti il regno
dei cieli, secondo quella sentenza del Signore: Nes­
suno, se non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo,
può entrare nel regno dei cieli*. Vi entra dunque
ohi rinasce e chi non trascura di custodire la grazia del
proprio battesim o; e cosi, per contro, non vi entra chi
non sia rinato.
3. Poiché nostro Signore era venuto a donare
nuovo battesim o per la salvezza del genere umano e
per la remissione di tutti i peccati, si degnò di rice­
vere egli stesso per prim o il battesimo, non per deporre
i peccati, lui che non aveva com m esso peccato, ma
per santificare le acque del battesimo allo scopo di
cancellare i peccati di tutti i credenti rinati nel batte­
simo. Egli dunque fu battezzato nelle acque, perché
noi fossim o lavati di ogni nostro peccato per mezzo
del battesimo...

* Gv. 3, 5.
Sermone 35 (frammento) - SU SUSANNA

1. Nella presente lettura che avete appena udito,


miei cari, ci è stata letta la storia di Susanna, donna
nobilissima, che ci ha offerto un m odello di pudore e
un esem pio di castità Costei era bella d'aspetto, ma
più bella ancora per i suoi costum i m orali. In essa la
bellezza dell’anima superava quella del corpo, dal m o­
mento che la bellezza corporea non dura che un attimo,
mentre quella deU’anima è eterna. Non ornava il suo
corpo di m onili, non portava orecchini, né anelli, né
perle; ma nella sua anima era ricca di ogni ornamento
di virtù. Al posto degli orecchini, essa portava le
parole divine; al posto dell'anello, lo splendore della
fede; al posto delle perle, le opere preziose di cui
ogni giorno ornava la bellezza del suo spirito e della
sua anima.
2. Anche con questo esem pio il beato apostolo
Paolo esorta le donne, dicendo tra le altre cose: Infine
le donne siano sante, si adomino non con trecce e
oro o gemme e con véli preziosi, ma conservando la
castità con opere buone2. Pertanto sbagliano di grosso
le donne eleganti che non si credono belle se, contro
la sentenza dell'Apostolo, non indossano tali ornamenti.

1 Dan. 13, 1 s.
2 1 Tim. 2, 9-10 (cf. 1 Pt. 3, 3-5).
220 Cromazio di Aquileia

Tale loro pregiudizio merita davvero l’indegnazione


del Creatore3. Perché copri il tuo volto di bianco o
di rosso, com e se volessi correggere in te l'immagine
di Dio, che ha plasmato il tuo volto com e ha voluto?
I tratti che tu hai dalla nascita sono opera di Dio crea­
tore; ciò che tu aggiungi di tuo è opera del diavolo,
che vuole alterare in te l'opera di D io 4. Perché desi­
deri ornarti di oro o di vesti preziose, tu che dovresti
essere adorna di fede e costum i santi? Se dunque desi­
deri essere gradita a Dio, segui l’esempio di Susanna:
sii casta, pudica, di costum i irreprensibili, sii opera­
trice di bene; allora sarai m olto bella e di gran pregio
non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini.
Infatti la bellezza, che di solito piace anche a un marito
fedele, è la condotta esemplare e la nobiltà di spirito
della m oglie [...].
3. Susanna, dunque, pur di custodire la castità,
disprezzo persino la morte. Essa fu riprovata da due
vecchi perversi, accusata com e colpevole, condannata
com e adultera. Ma questa santa e mirabile donna pre­
ferì subire la m orte per conservare la castità piuttosto
che vivere con cattiva coscienza. Tuttavia, mentre
veniva condotta alla morte, Dio sollecitò lo spirito
santo del giovane Daniele, nom e che significa « desi­
derabile a Dio », per far conoscere l'innocenza di Su­
sanna e per denunciare la calunnia dei suoi accusa­
tori. Perciò accadde, secondo il giusto giudizio di Dio,
che Susanna, innocente, fosse liberata e che i vecchi,
falsi accusatori e adulteri, perissero di una m orte ben
meritata. Il re di Babilonia li fece bruciare sul fuoco
per l'ingiustizia da loro commessa in Israele e perché
disonoravano le m ogli dei loro concittadini.
4. Susanna prefigurava dunque la Chiesa per il
suo pudore e per la sua castità; per la sua fede e per

3 Cf. Cipriano, De habitu virginum, 15.


* Ibid.
Sermone 35 221

la sua condotta, essa dimorava nel paradiso di Cristo,


com e tutti i fedeli nella Chiesa si sforzano di essere
graditi a Cristo Dio, loro capo, per la purezza dei loro
costum i, per la santità delle loro buone opere, per la
loro retta fede, per la loro ferm a speranza, per la loro
perfetta carità. Infine la castità e il pudore sono soste­
nuti dal digiuno: non digiuniamo soltanto per privarci
del cibo, ma per tenerci lontani da ogni vizio della
carne, cioè dalla libidine del corpo, dalla concupiscen­
za dell'anim o, dai cattivi pensieri, dall’odio e dall’in­
vidia, dalla denigrazione e dalla mormorazione, dalla
collera e dall'ira e insieme da tutti i vizi e i peccati.
Il solo privarsi del cibo è un digiuno di nessun valore.
Perciò, quando digiuniamo, dobbiam o astenerci spe­
cialmente dai vizi, affinché il Signore non ci dica per
bocca del Profeta: Non è questo il digiuno che gradi­
sco, dice il Signore [...] 5.

5 Is. 58, 5.
Sermone 36 (frammento)

...perciò è necessario che tutti lodiam o Dio con


ima sola voce, con un solo spirito, cioè con un cuore
solo, con mia sola fede, con una sola speranza, con
una sola carità. Cosi Dio si degna di essere lodato dai
giusti, non si degna di esserlo dai peccatori. Si degna
di essere lodato dai cattolici, non si degna di esserlo
dagli eretici. Si degna di essere lodato dai fedeli, non
si degna di esserlo dagli infedeli. Pertanto dobbiam o
agire e com portarci in m odo da essere degni di lodare
Dio e in maniera che si possano applicare a noi queste
parole del Profeta: Lodate, o servi di Dio, il Signore,
lodate il nome del Signore1. E ciò facciam o giusta­
mente e a buon diritto, se obbediam o fedelmente in
tutto alla sua volontà e ai suoi comandamenti.

1 Sai. 112, 1.
Sermone 37 (frammento) - SULLA TEMPESTA
SEDATA

1. [Com e riferisce la verità evangelica, nos


Signore Gesù Cristo sali su una barca con i suoi disce­
poli per approdare all'altra riva del lago. Ed ecco sol­
levarsi in mare una tempesta così grande, che la barca
era coperta dalle on d e1]. [...] Ci sono due m odi di
interpretare questa barca sulla quale Cristo era salito.
Essa può simboleggiare prima di tutto la croce sulla
quale Cristo salì per la nostra redenzione. Il Signore
e Salvatore nostro che regge il timone del m ondo
intero, è portato dal m odesto legno di una barca; chi
creò il m ondo, lo ha salvato col legno di una crocei.
Chi si è degnato di m orire in croce per noi, chi custo­
disce il suo popolo vegliando ininterrottamente, ha dor­
m ito in una barca; chi si è degnato di liberarci dal
pericolo della m orte eterna, ha sofferto il pericolo del
mare; chi, ogni giorno nella santa Chiesa ci sveglia
per mezzo di santi predicatori dal sonno dell'infedeltà
e dell’ignoranza, è stato svegliato dai suoi discepoli2.

1 Mt. 8, 23 s. Il compilatore delTomiliario che ci ha tra­


smesso questo Sermone ha attinto l'incipit dal commentario
di Epifanio; cf. J. Lemarié, in SC 164, p. 203, n. 1.
2 Per l’immagine del sonno dal quale non dobbiamo la­
sciarci appesantire, cf. S. 32, 4. Interessante è il rilievo storico
sulla frequenza della predicazione sacra fra il IV e il V seco
lo, affidata a sancii praedicatores.
226 Cromazio di Aquileia

Secondo un'altra interpretazione, questa barca può


simboleggiare la santa Chiesa3; essa all’inizio non con­
tava che un esiguo numero di fedeli, ma poi il numero
dei credenti aumentò al pianto da riempire il m ondo
intero. E perciò orm ai non la si chiama più barca,
ma grande nave, mentre il mare è sim bolo di questo
m ondo.
2. Ed ecco sollevarsi in mare una tempesta c
grande, che la barca era sopravvanzata dalle onde*.
Una grande persecuzione si levò contro la Chiesa non
m olto tempo dopo la passione del Signore; la crudeltà
di uom ini empi istigata dai demoni infieriva contro
i fedeli della Chiesa al punto che le persecuzioni degli
empi avevano quasi annientato l'assemblea dei popoli
fed eli5. E, mentre i discepoli navigavano, Cristo si
addormentò: ciò significa che egli permette di afflig­
gere per qualche tempo la sua Chiesa con le tribola­
zioni e le persecuzioni di questo m ondo per mettere
alla prova la sua fede. Gli si appressarono i discepoli
e, destatolo, gli dissero: Signore salvaci; siamo perduti!
Allora si alzò, comandò ai venti e al mare e si fece
gran bonaccia6. Quando la fede dei supplicanti non
ha alcuna esitazione, tutte le volte che il Signore è
pressato dalle preghiere dei fedeli nelle loro strettezze,
subito si leva per esercitare la sua m isericordia. E noi,
ogni volta che siamo oppressi dalla tribolazione e dal­
l’angoscia com e dalla tempesta del mare, dobbiam o
destare alla m isericordia il Signore e Salvatore nostro
con preghiere insistenti e con i nostri m eriti7, affinché

3 Una prima attestazione di questa figura si trova in Ter­


tulliano, De bapt. 12, 7 (SC 17, p. 84). J. Daniélou, Les symbo-
les..., cit., pp. 65 s.
4 Mt. 8, 24.
5 Atti, 8, 1.
« Mt. 8, 25-26.
7 Cromazio associa la preghiera ai meriti.
Sermone 37 227

si degni di portare aiuto e soccorso a chi spera nella


sua m isericordia, com e dice lui stesso per bocca del
Profeta: Invocami nella sventura, io ti libererò e tu
mi renderai onore*. Perciò invochiamo il Signore di
tutto cuore e con tutta la nostra fede, affinché si degni
di liberarci da ogni afflizione: dalla fame, dalla guerra,
dalla m orte, dalla prigionia, da ogni p ericolo9, affinché
possiam o in ogni cosa magnificare il suo nome e, cari­
chi di frutti degni delle nostre opere buone, meritare
di approdare al porto della patria celeste.

* Sai. 49, 15.


9 Come si è visto, nel S. 12 troviamo un cenno assai ge
rico alle violenze dei barbari sulle popolazioni romane; nel
S. 16 e nel presente, Cromazio è più esplicito sui pericoli delle
invasioni che minacciano Aquileia ed entrano quasi nell'oriz­
zonte della sua attività pastorale. Questi rilievi possono essere
considerati come un elemento interno per la datazione dei
due Sermoni, che il Lemarié colloca appunto dopo la morte
di Teodosio (395), quando il problema dei barbari divenne di
attualità e il pericolo si fece minaccioso, o al più dopo la
prima invasione di Alarico (401).
Sermone 38 (frammento) - SERMONE DI
SANT’AGOSTINO SU QUESTO PASSO:
« DIO FECE PER ADAMO E PER SUA MOGLIE
DELLE TUNICHE DI PELLE » 1

1. Quanto grande sia stata la bontà di Dio ve


l'uom o persino dopo la trasgressione del comanda­
mento, lo abbiam o udito quando si leggeva la divina
lettura. E Dio fece, dice la Genesi, per Adamo e per
sua moglie delle tuniche di pelle e ne li v esti2; infatti,
dopo il peccato, erano nudi tutti e due, perché ave­
vano perduto il vestimento del loro pudore, obbedendo
al diavolo che parlava loro per bocca del serpente, piut­
tosto che al comandamento di Dio: perciò erano nudi,
spogliati della tunica della grazia di Dio e del vesti­
mento del suo amore. Chi non è rivestito della grazia
di Dio, anche se possiede m olte tuniche, è spoglio di
ogni bene. Perciò non senza ragione Dio fece per
Adamo e per sua m oglie delle tuniche di pelle e ne li
vesti: egli voleva m ostrare in tal m odo la grazia della
passione di Cristo, perché il genere umano, denudato,
non poteva essere rivestito della grazia di Dio in altro
m odo se non con la passione di Cristo Signore, che
ha redento e liberato il m ondo intero dalla dannazione
e dalla morte.

1 Questo Sermone frammentario ci è pervenuto con tale


titolo dalla collezione bavarese che ha utilizzato e rimaneg­
giato profondamente parecchi Sermoni del corpus cromaziano
(S. 15, 21, 22, 23).
2 Gen. 3, 21.
230 Cromazio di Aquileia

2. La Scrittura aggiunge ancora questo: Dio cac


Adamo dal paradiso, perché non potesse allungare la
mano all’albero della vita e, mangiandone, vivere eter­
namente3. Non senza una misteriosa ragione Dio im­
pedì all’uom o, che aveva disprezzato i comandamenti
della salvezza eterna a lui affidati, di vivere in eterno;
per questo Dio gli proibì di toccare l'albero della vita,
perché non vivesse per una sofferenza senza fine. Se
l'uom o avesse mangiato dell'albero della vita senza
essere stato redento dal peccato, sarebbe vissuto certo
per sempre, ma com e destinato a un castigo eterno e
non già alla gloria. Perciò era necessario che gli uomini
fossero prima condannati a m orire, per aver trasgre­
dito il comandamento, e per tale via fossero richia­
mati alla grazia. Così ciò che l'albero della vita non
potè allora procurare all'uom o nel paradiso, glielo ha
procurato la passione di Cristo: grazie all'albero della
croce egli ha riacquistato la grazia perduta, che allora
non aveva potuto ricuperare con l'albero della vita...

3 Gen. 3, 23 e 22.
Sermone 39 (frammento) - SULLE BEATITUDINI1

... Beati i mansueti, perché possederanno la terra \


I mansueti devono dunque avere carattere m ite e un
cuore sincero3; e il Signore m ostra all’evidenza che
il loro m erito non è piccolo, quando dice: Perché pos­
sederanno la terra, quella terra di cui è scritto: Credo
di vedere i beni del Signore nel mondo dei vivi*. Ere­
ditare questa terra significa possedere l’immortalità
del corpo e la gloria dell’etem a risurrezione5. La man­
suetudine non conosce l’orgoglio, non conosce il vanto,
ignora l’ambizione. Perciò non senza ragione il Signore
esorta altrove i suoi discepoli dicendo: Imparate da
me che sono mite e umile di cuore e cosi troverete
conforto alle anime vostre6 [...]. Beati coloro che pian­
gono, perché saranno consolati7: non coloro che pian­
gono la perdita dei propri cari, ma coloro che si strug-

1 È ormai accertato che il primo paragrafo del sermone


non appartiene a Cromazio ma a Frigulus, un autore irlan­
dese del VII secolo; perciò lo abbiamo omesso in questa tra­
duzione.
2 Mt. 5, 4.
3 Cf. Cipriano, De cath. Ecclesiae unitate, 24.
* Sai. 26, 13.
5 Cf. Ilario, In Matth., 4, 3.
« Mt. 11, 29.
i Mt. 5, 5.
232 Cromazio di Aquileia

gemo in pianto per i propri peccati e lavano nelle


lacrime le proprie colpe; o anche coloro che piangono
per l'iniquità di questo m ondo e deplorano le colpe
degli altri [...]. Beati gli operatori di pace, perché
saranno chiamati figli di D io9. Considera il grande
m erito degli operatori di pace, dal m om ento che non
sono più chiamati servi ma figli di Dio. E ciò non è senza
ragione, poiché chi ama la pace ama Cristo, autore
della pace, che l’apostolo Paolo chiama col nome di
pace dicendo: Egli infatti è la nostra p a ce9. Chi, al
contrario, non ama la paoe va dietro alla discordia,
perché ama il diavolo autore della discordia. È lui che
sin dall'inizio seminò la discordia tra Dio e l’uom o,
perché istigò l'uom o a trasgredire il comandamento
di Dio. Ma per questo il Figlio di Dio è sceso dal cielo,
per condannare il diavolo autore della discordia e per
mettere pace tra Dio e l'uom o, riconciliando l'uom o
a Dio e inducendo Dio a ridare all'uom o la sua grazia.
E cco perché dobbiam o essere operatori di pace: per
meritare di essere chiamati figli di Dio. Poiché, senza
la pace, non soltanto perdiamo il titolo di figli, ma per­
sino il nom e di servi, poiché l'Apostolo afferma: Amate
la pace, senza la quale nessuno di noi può piacere
a D io 10...

« Mt. 5, 9.
» Ef. 2, 14.
10 II passo è una contaminazione di Ebr. 12, 14 con 11, 6.
Sermone 40 - ESPOSIZIONE DELLA PREGHIERA
DEL SIGNORE1

1. Fra tutti i salutari insegnamenti, il Signor


Salvatore nostro Gesù Cristo ha dato ai suoi disce­
poli, che gli chiedevano com e dovessero pregare, que­
sta form a di preghiera, di cui anche voi avete avuto
più esatta conoscenza grazie alla presente lettura.
Ascoltate ora, o m iei cari, com e insegni ai suoi disce­
poli a pregare Dio Padre onnipotente: Tu invece,
quando preghi, entra nella tua camera e, serratone
l’uscio, prega il Padre tu o 1. La camera a cui accenna
non indica una parte nascosta della casa, ma vuol ricor­
dare che i segreti del nostro cuore si rivelano solo a
lui. E il fatto di dover pregare Dio a porta chiusa signi­
fica che dobbiam o misticamente chiudere a ohiave il
nostro cuore per ogni pensiero cattivo e parlare con
Dio a bocca chiusa e in spirito di purezza: il nostro
Dio ascolta la voce della fede e non il suono delle
parole. Chiudiamo dunque con la chiave della fede
il nostro cuore alle insidie dell'aw ersario e spalanchia­
m olo solo a Dio di cui, cotme si sa, è il tem pio, affinché,
mentre abita nei nostri cuori, sia lui ad assisterci nelle
nostre preghiere. Cristo nostro Signore, Parola di Dio

1 Tale esposizione era rivolta ai catecumeni e pronunciata


con ogni probabilità al momento del Pater.
2 Mt. 6, 6.
234 Cromazio di Aquileia

e Sapienza di D io3, ci ha dunque insegnato questa ora­


zione, in m odo che preghiamo cosi: Padre nostro che
sei nei cieli*. Sono parole, queste, di uomini liberi e
piene di confidenza. V oi dovete dunque com portarvi
in m odo da poter essere figli di Dio e fratelli di Cristo.
Chi traligna dalla sua volontà con quale temeraria pre­
sunzione può chiamare Dio suo Padre? Perciò voi,
o carissimi, mostratevi degni dell’adozione divina, poi­
ché è scritto: A quanti credettero in lui diede il potere
di diventare figli di D io 5.
Sia santificato il tuo nome. Ciò non significa che
le nostre preghiere santificano il Signore, che è sem­
pre santo; ma chiediam o che il suo nome sia santifi­
cato in noi, affinché, santificati nel suo battesimo, per­
severiamo in ciò ohe abbiam o com inciato a essere.
Venga il tuo regno. E quando non regna sovrana-
mente il nostro Dio, il cui regno è immortale? Ma
quando diciam o: Venga il tuo regno chiediamo che
venga il nostro regno, quello che ci è stato promesso
da Dio e che la passione e il sangue di Cristo ci ha
ottenuto.
Sia fatta la tua volontà com e in cielo cosi in terra,
cioè la tua volontà si com pia in m odo che noi facciam o
irreprensibilmente sulla terra ciò che tu com andi in
cielo.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Qui dob­
biam o capire che si tratta di un cibo spirituale, perché
il nostro pane è Cristo che ha detto: Io sono il pane
vivo disceso dal cielo6; e questo pane lo diciam o quo­
tidiano, perché dobbiam o sempre chiedere di evitare

3 L'espressione è mutuata da 1 Cor. 1, 24, come nel S. 9.


« Mt. 6, 9-13.
5 Gv. 1, 12.
« Gv. 6, 51.
Sermone 40 235

il peccato in m odo da essere degni dell'aliinento del


cie lo 7.
E rimetti a noi i nostri debiti, com e noi li rimet­
tiamo ai nostri debitori. Questo precetto significa che
noi non possiam o ottenere altrimenti il perdono dei
nostri peccati se prima non perdoniam o a quanti hanno
peccato contro di noi, secondo la parola del Signore
nel Vangelo: Se non perdonate agli uomini le loro
colpe, neanche il Padre vostro perdonerà i vostri
peccatis.
E non c'indurre in tentazione, cioè: non lasciarci
in potere del tentatore, artefice del male. Infatti dice
la Scrittura: Dio non è tentatore di m ale9. Il diavolo
è tentatore e per vincerlo il Signore suggerisce: Vegliate
e pregate per non cadere in tentazione10.
Ma liberaci dal male. Egli si esprime così perché
l'Apostolo ha detto: Non sapete ciò che vi conviene
chiederen. Dobbiam o dunque ohiedere a Dio onnipo­
tente che quanto la fragilità umana non è capace di
preavvertire e di evitare, si degni di farcene capaci,
nella sua bontà, Gesù Cristo nostro Signore che vive
e regna, Dio, nell'unità dello Spirito Santo per tutti
i secoli dei secoli. Amen.

7 Mentre nel Traci. XXVIII (CCL IX A, pp. 332-333) sono


considerati i due significati del pane, quello materiale e quello
eucaristico, qui Cromazio presenta solo il secondo. L’urgenza
della comunione quotidiana, qui espressa con linguaggio assai
conciso, si precisa con maggior chiarezza nel Tract. citato.
« Mt. 6, 15.
» Giac. 1, 13.
10 Mt. 26, 41; Me. 14, 38.
» Rom. 8, 26.
Sermone 41 - SERMONE DEL VESCOVO ROMANO
CROMAZIO SUL CAPITOLO V DI MATTEO
O SULLE OTTO BEATITUDINI1

1. Questo concorso e affluenza di popolo in


giorno di m ercato2 ci offre l’occasione di proporvi,
fratelli miei, la parola del Vangelo, perché le cose di
questo m ondo sono generalmente figura delle realtà
spirituali e le cose della terra offrono l'immagine di
quelle del cielo. Infatti il Signore e Salvatore nostro
ci richiama frequentemente le realtà celesti ricorrendo
a quelle della terra, com e quando dice: Il regno dei
cieli è simile a una rete gettata nel m are3, o ancora:
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca
di una perla preziosa4. Se dunque lo scopo del mercato
è di consentire a ciascuno, secondo i propri interessi,
di mettere in vendita ciò che ha di troppo o di aoqui-

1 È difficile sapere dalle testimonianze che sinora abbiamo


il titolo originale di questo Sermone.
2 Interessante notizia sulla circostanza in cui il Sermone
è stato pronunciato a ulteriore conferma dei traffici commer­
ciali di cui Aquileia era il centro ancora tra il IV e il V secolo.
Il Sermone non è stato tenuto nel corso di una sinassi litur­
gica e l’oratore non si rivolge ai fedeli, ma a ima cerchia più
ristretta di chierici e di asceti. Si tratta probabilmente di
quella comunità monastica di chierici-asceti già raggruppati
attorno al vescovo Valeriano come un chorus beatorum e ora
operanti intorno a Cromazio.
3 Mt. 13, 47.
« Mt. 13, 45.
238 Cromazio di Aquileia

stare quanto gli manca, non sarà fuor di luogo che


anch'io vi proponga la m erce affidatami dal Signore,
particolarmente la predicazione celeste, dal momento
ohe m i ha scelto, sebbene infimo e indegno, fra quei
servitori ai quali ha distribuito dei talenti per essere
impiegati e tram e guadagno5. E certamente i mercanti
non mancheranno là dove, per grazia di Dio, ci sono
tali e tanti uditori. D’altra parte è più necessario cer­
care un guadagno celeste là dove non si trascurano
gli interessi materiali. Il m io desiderio è di proporvi,
fratelli carissim i, le perle preziose delle Beatitudini
estratte dal santo Vangelo; perciò aprite i forzieri del
vostro cuore, comperate, prendete con avidità, im pos­
sessatevi con gioia. Mentre folle numerose convenivano
da diverse regioni, il Signore e Dio nostro, Figlio uni­
genito del somm o Padre, che si è degnato di farsi
uom o mentre era Dio, e m aestro mentre era il Signore,
prese con sé i suoi discepoli, cioè i suoi Apostoli, sali
sulla montagna e prese ad ammaestrarli dicendo: Beati
i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati i mansueti, perché possederanno la terra6. Il Si­
gnore nostro Salvatore pone com e dei gradini estrema-
mente solidi di pietre preziose attraverso i quali le
anime sante e fedeli possano arrampicarsi e salire
fino a quel somm o bene che è il regno dei cie li7. Desi­
dero dunque, fratelli carissimi, indicarvi quali sono
questi gradini; prestate solo attenzione con tutta la
vostra mente e con tutta la vostra anima, perché le
cose di Dio non sono di poca importanza.
2. Beati i poveri di spirito, perché di essi è il

5 Mt. 25, 15-16.


« Mt. 5, 1-4.
7 Questa interpretazione delle Beatitudini come grad
per salire a Dio pare ricorrere la prima volta nei Sermoni per
la Quaresima (387) di Gregorio di Nissa.
Sermone 41 239

regno dei cieli8. Principio stupendo, fratelli miei, della


dottrina celeste. Il Signore non com incia dalla paura,
ma dalla beatitudine, non suscita tim ore ma piuttosto
desiderio. Come un arbitro o chi dà im o spettacolo di
gladiatori, egli propone un prem io importante sii lot­
tatori di questo stadio spirituale9, affinché non temano
le fatiche e non tremino davanti ai pericoli in vista
del premio. Beati, dunque, i poveri di spirito, perché
di essi è il regno dei cieli. Il Signore non ha detto
semplicemente, senza precisare, che sono felici i po­
veri, ma ha specificato: i poveri di spirito. Infatti non
si può dire beata ogni povertà, perché essa deriva
spesso da disgrazia, da costumi depravati e persino
dalla collera divina. Beata è dunque la povertà spiri­
tuale, di quegli uomini, cioè, che in spirito e in volontà
si fanno poveri per Dio, rinunciando ai beni del m ondo
e donando spontaneamente le proprie ricchezze. Que­
sti sono chiamati beati a giusto titolo, perché sono
poveri di spirito e perché di essi è il regno dei cieli;
per mezzo della povertà volontaria si conseguono le
ricchezze del regno dei cieli. Il Signore prosegue:
Beati i mansueti, perché possederanno la terra10. In
m odo mirabile, dopo il prim o gradino, ci viene indi­
cato il secondo: Beati i mansueti, perché possede­
ranno la terra. Ma com e non è possibile, senza rispet­
tare l’ordine degli scalini, ferm arsi sul secondo se non
abbiamo salito il primo, cosi non possiam o essere
mansueti se prima non siamo diventati poveri di spi­
rito. Come potrebbe uno spirito in mezzo alle ric­
chezze, alle preoccupazioni e agli affanni del m ondo,
da cui nascono agitazioni, processi, ricorsi in appello,
ire e malanimi senza fine, com e potrebbe dico io, in
mezzo a tutto ciò uno spirito essere dolce e mite, se

« Mt. 5, 3.
9 Per l'immagine dell’atleta, cf. S. 12 e n. 12; S. 28.
10 Mt. 5, 4.
240 Cromazio di Aquileia

prima non avrà rinunciato con un taglio netto a tutto


ciò che provoca collera e a ogni occasione di dispute?
Il mare non diventa tranquillo fin tanto che i venti
non siano cessati; il fu oco non si spegne fino a che
non si toglie il materiale incendiabile e le frasche
secche degli arbusti spinosi. Allo stesso m odo uno
spirito non potrà essere dolce e m ite fino a che non
avrà rinunciato a quanto eccita e infiamma. Il secon­
do gradino viene dunque assai opportunamente dopo
il primo, perché i poveri di spirito sono già sulla
strada della mansuetudine.
3. Ed ecco il terzo: Beati coloro che piangono,
perché saranno consolatiu. Quali sono per noi queste
lacrime salutari? Non certo quelle che nascono dalla
perdita dei nostri beni, o dalla m orte dei nostri cari,
o dalla perdita degli onori di questo m ondo, cose
tutte, queste, per le quali chi è orm ai divenuto povero
nello spirito non avrà a dolersi. Sono salutari quelle
lacrime che si versano per i propri p eccati12, ricor­
dando il giudizio di Dio. In mezzo alle innumerevoli
occupazioni e alle difficoltà di questo m ondo, lo spi­
rito non poteva pensare a se stesso, ma, libero orm ai
da cure e divenuto mansueto, si pone a guardare in
sé più da vicino, a esaminare le proprie azioni del
giorno e della notte; allora com inciano ad apparire
le ferite delle colpe passate, da cui seguono pianti
e lacrime salutari e tanto utili da attirare subito la
consolazione celeste, poiché è veritiero chi ha detto:
Beati coloro che piangono, perché saranno consolati.
4. Veniamo, fratelli miei, al quarto gradino: Beati
coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché sa­
ranno saziatiu. Dopo il pentimento, dopo i pianti e

» Mt. 5, 5.
12 Per la stessa interpretazione, cf. Ambrogio, In Lue.,
V, 55.
13 Mt. 5, 6.
Sermone 41 241

le lacrim e versate sui peccati, che altra fame e che


altra sete invero può nascere se non della giustizia?
Come si rallegra per la luce orm ai prossima chi ha
trascorso la notte neH'oscurità e com e desidera man­
giare e bere chi ha smaltito l'amara bile, così anche
lo spirito del cristiano, dopo aver espiato i propri
peccati col dolore e con le lacrime, ormai non ha più
fame e sete che della sola giustizia di Dio e a buon
diritto si rallegrerà di essere saziato di quanto de­
sidera.
5. Passiamo ora al quinto gradino: Beati i mi­
sericordiosi, perché otterranno misericordia14. Nessu­
no può dare alcunché ad altri se prima non l’abbia
dato a se stesso. Dopo aver dunque ottenuto m ise­
ricordia e abbondanza di giustizia, il cristiano com in­
cia orm ai ad aver com passione degli infelici e com in­
cia ormai a pregare per gli altri peccatori. Diventa
m isericordioso persino verso i suoi nemici, egli si
prepara, con tale bontà, una bella riserva di miseri­
cordia per la venuta del Signore. Perciò è detto: Beati
i misericordiosi, perché otterranno misericordia.
6. E cco il sesto gradino: Beati i puri di cuore,
perché vedranno D io 15. Certamente sono orm ai puri
di cuore, certamente potranno ormai vedere Dio i
poveri di spirito, i mansueti, coloro che hanno pianto
i propri peccati, coloro che si sono nutriti di giusti­
zia, e i m isericordiosi che persino nelle avversità man­
tengono l'occh io del loro cuore così lim pido e cosi
chiaro da poter guardare senza alcuna infiammazione
di malizia e senza ostacolo l'inaccessibile chiarezza di
Dio. La purezza del cuore e la rettitudine della co­
scienza non sopportano alcuna nube nello sguardo
rivolto al Signore.

M Mt. 5, 7.
« Mt. 5, 8.
242 Cromazio di Aquileia

7. Segue, fratelli m iei: Beati gli operatori di pace,


perché saranno chiamati figli di D io 16. Grande è la
dignità di quanti si adoperano a promuovere la, pace,
poiché sono considerati figli di Dio. È bene certo
ristabilire la pace tra fratelli che si chiamano in giu­
dizio per questioni di interessi, di vanagloria o di
rivalità. Ma ciò non m erita che una modesta ricom ­
pensa, perché il Signore aveva detto, proponendosi
a nostro m odello: Chi mi ha costituito giudice o par­
titore sopra di v o i? 11. E prima: Non richiedere il tuo
da chi te lo porta via w. E ancora: Come potreste cre­
dere voi, che andate in cerca di gloria gli uni dagli
altri? 19. Dobbiam o renderci conto dunque che esiste
un'opera di pace di m iglior qualità e di più alto pre­
gio: intendo riferirm i a quella che, mediante un assi­
duo insegnamento, porta alla pace i pagani, nemici
di Dio, quella che fa ravvedere i peccatori e, mediante
la penitenza, li riconcilia a Dio; quella che rimette sul
retto cammino gli eretici ribelli; quella che ricom ­
pone nell'unità e nella pace quanti sono in disaccordo
con la Chiesa20. Tali operatori di pace, invero, non
sono soltanto beati, ma ben degni di essere chiamati
figli di Dio. Infatti, poiché imitano lo stesso Figlio di
Dio, Cristo, che l'Apostolo dice nostra pace e nostra
riconciliazione21, è dato loro di partecipare al suo
nome.
8. Beati i perseguitati a causa della giustizia, per­
ché di essi è il regno dei cieli22. Non c'è dubbio, fra-

io Mt. 5, 9.
" Le. 12, 14.
« Le. 6, 30.
» Gv. 5, 44.
20 Questi esempi di riconciliazione ci offrono un quadro
delle fatiche pastorali di un vescovo e del suo clero tra il IV
e il V secolo.
21 Ef. 2, 14-16; 2 Cor. 5, 18-19.
2 Mt. 5, 10.
Sermone 41 243

telli miei, che l’invidia sia sempre compagna del bene


com piuto. Per non parlare della crudeltà dei perse­
cutori, quando si com incia a praticare una giustizia
rigorosa, a com battere l'arroganza, a richiamare gli
increduli per mettersi in pace col Signore, quando
inoltre si com incia a dissentire da chi vive nella mon­
danità e nell'errore, subito esplodono le persecuzioni;
è fatale che sorgano gli odi e che la rivalità diffam i s .
Cosi Cristo conduce finalmente i suoi uditori a quel
supremo gradino, a quella cima e a quell’altezza non
solo perché resistano nella sofferenza ma anche per­
ché gioiscano nel m orire.
9. Beati, dice, siete voi quando vi oltraggera
e perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni
male a causa della giustizia. Gioite ed esultate, perché
grande è la vostra ricompensa nei cieli. Cosi del resto
hanno perseguitato i profeti che furono prima di v o iM.
È perfetta virtù, fratelli m iei, dopo tante opere di
giustizia, venir oltraggiati per la verità, venire afflitti
da tormenti e alla fine venir colpiti a morte senza
lasciarci terrorizzare, seguendo l'esem pio dei profeti
che, tormentati in m olte maniere per la giustizia,
hanno m eritato di essere assimilati a Cristo nelle sof­
ferenze e nella ricompensa. E cco il gradino più alto,
dove Paolo con gli occhi rivolti a Cristo diceva: A
questo solo io miro: dimentico di ciò che mi sta die­
tro, protendendomi verso ciò che mi sta davanti,
corro verso la palma alla quale Dio mi chiama lassù
in Gesù Cristo25. E ancora più chiaramente a Timo­
teo: Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto
al termine della corsa26. E com e chi ha salito tutti i
gradini aggiunge: Ho serbato la fede. E ormai mi è

23 Eco forse di un’esperienza personale di Cromazio.


» Mt. 5, 11-12.
25 Fil. 3, 13-14.
“ 2 Tim. 4, 7.
244 Cromazio di Aquileia

preparata la corona di giustizia21. Portata a termine


infatti tutta la corsa, a Paolo non restava che raggiun­
gere gioioso, attraverso le tribolazioni e le sofferenze
il gradino più alto del m artirio. La parola del Signore
ci esorta dunque opportunamente: G ioite ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli; ed egli
m ostra con chiarezza che questa ricompensa aumenta
con l’aumento delle persecuzioni.
10. E cco, fratelli m iei, sotto i nostri occh i questi
otto gradini del Vangelo, costruiti, com e dicevo, di
pietre preziose. E cco sotto i nostri occhi quella scala
di Giacobbe che partiva da terra e la cui sommità
raggiungeva il cie lo 28; chi vi sale trova la porta del
cielo ed entratovi starà senza fine con gioia alla pre­
senza di D io per lodare il Signore con gli angeli santi
in eterno. E cco il nostro com m ercio, ecco il m ercato
spirituale. Doniamo, o benedetti da Dio, ciò che ab­
biam o; offriam o la povertà di spirito per ricevere la
ricchezza del regno dei cieli che ci è stata promessa;
offriam o la nostra mansuetudine, per possedere la
terra e il paradiso; piangiamo i peccati, sia i nostri
che quelli degli altri, per meritare di essere consolati
dalla bontà del Signore; cerchiam o di aver fame e
sete di giustizia, per esserne più abbondantemente
saziati; usiamo m isericordia, per ricévere vera mise­
ricordia; viviam o com e operatori di pace, per essere
chiamati figli di Dio; offriam o un cuore puro e un
corpo casto per poter vedere Dio con chiara coscien­
za; non temiamo di venir perseguitati per la giusti­
zia, per diventare eredi del regno dei cieli; accogliam o
con gioia e con letizia gli insulti, i tormenti, la m orte
stessa, se dovesse succedere, per la verità di Dio, al
fine di ricevere in cielo una grande ricompensa con

» 2 Tim. 4, 8.
“ Gen. 28, 12.
Sermone 41 245

gli apostoli e i profeti. E ora desidero concludere


il m io discorso in corrispondenza all'esordio: se i com ­
m ercianti si rallegrano per i fragili guadagni del m o­
mento, quanto più dobbiam o rallegrarci e felicitarci
tutti insieme per aver oggi trovato tali perle del Si­
gnore alle quali non può essere paragonato alcun bene
di questo m ondo. Per meritare di acquistarle e di pos­
sederle, dobbiam o chiedere il soccorso, la grazia e la
forza al Signore stesso, a cui sia gloria nei secoli dei
secoli. Amen.
Sermone 42 (frammento dubbio) -
SUL MARTIRIO DI SAN PIETRO

... Perciò il Signore gli dice, com e avete udito


nella presente lettura: Simone di Giovanni, mi ami
tu? Gli risponde: Si, o Signore, tu sai che io ti amo.
Il Signore gli chiede ancora per la seconda volta:
Simone di Giovanni mi ami tu? Gli risponde: Si, o
Signore, tu sai che io ti amo Che dovrem m o dire?
Forse che il Signore non sapeva che Pietro lo amava,
lui ohe leggeva i segreti dei cuori? o forse una sola
risposta di Pietro non era sufficiente al Signore, che
conosce ogni cosa prima che sia proferita? Ma per
ben tre volte il Signore interrogò Pietro affinché, con
una triplice professione, potesse ripudiare la triplice
negazione. In seguito il Signore disse a Pietro: Quando
eri più giovane, ti cingevi da te stesso e andavi dove
volevi; ma, quando sarai vecchio, un altro ti cingerà
e ti condurrà dove tu non vuoi. E questo diceva per
indicare con quale m orte avrebbe dato gloria a D io2.
In vecchiaia san Pietro prese sopra di sé la croce per
Cristo. Il Signore aveva detto in altro luogo del Van­
gelo: Chiunque non porta la sua croce e mi segue,
non può essere mio discepolo1. Il discepolo della Ve-

» Gv. 21, 15-16.


2 Gv. 21, 18-19.
3 Le. 14, 27.
248 Cromazio di Aquileia

rità adempì il comandamento del Maestro, prese so­


pra dì sé la croce per Cristo allo scopo di glorificare
la croce del Signore. Ma, mentre vaniva condotto alla
croce, pensò di farsi inchiodare a piedi in su. Non
rifiutò il m artirio, m a in esso volle conservare l’umil­
tà, affinché il servo non venisse ritenuto uguale al
Signore; se fu simile la pena del supplizio, non fu
simile la grazia, perché Pietro fu crocifisso per sé,
Cristo invece per la salvezza del m ondo. Pietro fu
messo in croce perché potesse procurarsi la gloria
personale del m artirio, Cristo fu crocifisso per coro­
nare il m ondo intero con la gloria della propria pas­
sione. Pietro fu inchiodato a piedi in su per dirigersi
verso il cielo a passi velocissim i; Cristo fu alzato
sulla croce con le mani inchiodate per coprire il m ondo
intero con l’apertura delle sue braccia...
Sermone 43 (frammento) - COMINCIA
IL SERMONE DEL VESCOVO SANT'AMBROGIO
SULLA VITTORIA DELLA CROCE DEL SIGNORE1

Quando i re di questa terra, debellati i nemici,


conseguivano la vittoria, alzavamo un trofeo simile
alla croce del Signore su cui si appendevano, a pe­
renne ricordo, le spoglie predate ai nemici. E seb­
bene già allora in ogni com battim ento l'immagine
della croce indicasse la vittoria, tuttavia è di gran
lunga diversa la vittoria della croce. Come sappiamo,
la vittoria di quei re com portava strage di nemici,
prigionia di sventurati; viceversa questa vittoria della
croce del Signore è salvezza per tutte le genti, reden­
zione dei peccati, speranza di risurrezione, presidio
di vita eterna2. Che cosa è m eglio dunque: aver ab­
battuto in un com battim ento corpo a corpo le na­
zioni barbare o aver sgominato le legioni degli spiriti
maligni? Grande è dunque la vittoria di questa croce
del Signore, grazie alla quale sono stati donati al
m ondo tanti beni, cioè la conoscenza di Dio, la mani­
festazione del nome di Cristo, il culto della vera reli­
gione, la fine della falsa superstizione, il trionfo sul
diavolo, la vittoria sul peccato, la salvezza della vita

1 II Sermone, attribuito a sant’Ambrogio, è un testo com­


posito. Il compilatore sembra aver utilizzato un paragrafo del
S. 19 di Cromazio; cf. CCL IX A, Suppl., p. 615.
2 Questo passo sembra tratto dal S. 19 e rielaborato.
250 Cromazio di Aquileia

sulla m orte della dannazione [...]. Perciò dunque non


senza m otivo la croce di Cristo è chiamata albero
della vita, perché, grazie alla croce di Cristo, è donata
la vita ai credenti. Questo è dunque l'albero della
vita di cui Giovanni dice nell'Apocalisse: Da ambedue
le rive del fiume sta Valbero della vita che fa dodici
specie di frutti, uno al mese, e le foglie di quell’albero
conferiscono alla sanità delle genti3. Tale albero della
vita risulta dunque piantato presso la riva di un fiume
proprio perché, dove si alza la croce di Cristo, lì
sgorga anche l'acqua della grazia salutare; lì ci sono
anche i dodici frutti dei dodici mesi, cioè della pre­
dicazione apostolica, i quali ornano con la grazia par­
ticolare di ciascuno + per il frutto che ha portato
la loro fede + l’anno gradito di D io 4. Già Adamo,
nel paradiso, desiderò mangiare di questo albero della
vita, ma gli era stato proibito di tocca rlo5. Infatti
l'uom o, orm ai divenuto peccatore, non poteva toccare
il frutto della vita prim a di aver pagato la colpa del
peccato con la pena della m orte; perciò leggiamo
nell'Apocalisse: Al vittorioso darò a mangiare dell’al­
bero della vita che è nel paradiso del mio D io6. Al
vittorioso dice, non al vinto; al giusto, non al pecca­
tore, perché quel frutto spetta ai giusti ed è concesso
ai vincitori solo dopo il trionfo. Perciò Cristo fu vit­
torioso, perché noi potessim o vincere...

3 Ap. 22, 2 (cf. Ez. 47, 11).


4 Cf. Is. 61, 2 (Le. 4, 19). Si veda anche Vittorino di Pettau,
In Ap. X X I, 1, PLS I, col. 169. Per questa interpretazione del
passo corrotto compreso fra le due crocette, mi sono valso
della collaborazione del collega A. De Nicola, che propone
l’emendamento: fidei suae fructu.
s Gen. 3, 22.
« Ap. 2, 7.
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Abacuc: 12 Anno (inizio per i cristiani):


Abele: 26, 155 ss., 182 127
Abramo: 49, 64, 79, 98,112 s., Antico e Nuovo Testamento
114, 115, 140, 214 (conoscenza e lettura uni­
Achab (re): 165 ficante di Cromazio): 27,
Acqua di Betsaida = acqua 39, 95, 137 ss.
di battesimo: 107 Apologia di Rufino: 9
Adamo: 46, 62, 75, 114-117, Apostoli: 40, 41, 46, 47, 61,
144-145, 182-183, 198, 229, 65, 73, 74, 86, 87, 91, 92,
250 106, 114, 151, 159, 174, 175,
Africa: 87, 134 180, 193, 197 ss., 201, 213
Agnello pasquale: 93 Appetiti della carne e del
Agostino (s.): 8, 11, 21, 27, sangue: 57
31, 48, 52, 62, 117, 119, 125, Aquileia: 7, 8, 9, 10, 15, 16,
137, 191, 229 20, 21, 22, 25, 26, 28, 30, 32,
Alarico: 15, 227 71,77,92,106,114,123,150,
Albero della vita: 230, 250 201, 209, 217, 227, 237
Alcuino: 20, 21 Aratro - Croce - Dottrina
Alleluia: 209 ss. evangelica: 188
Ambrogio (s.): 8, 9, 10, 11, Arca di Noè = Chiesa: 48
14, 19, 20, 29, 32, 41, 48, Arcadio (im p.): 15
52, 56, 57, 59, 69, 82, 90, Ario e ariani: 9, 22, 23, 59,
92, 94, 99, 105, 108, 112, 93, 149
113, 135, 136, 137, 138, 142, Aronne: 92
144, 146, 160, 168, 169, 186, Ascensione: 43, 73 ss., 195
195, 203, 204, 240, 249, 250. Atanasio di Alessandria (s.):
Amos: 12 9, 76
Andrea (ap.): 176, 201 « Atleti spirituali »: 101
Angeli: 74 ss., 98, 108, 111, A tti degli A p ostoli: 19, 26, 39
120 ss., 190, 208 Augusto - Cristo (paralleli-
252 Indice del nomi e delle cose notevoli

smo antitetico): 203 Chierici di Aquileia - coro


Aussenzio: 9 di Beati: 10, 237
Avarizia: 100 Chiesa: 169, 195
Avidità dei beni mondani: — albero: 194, 195
55 — arca di Noè: 48
— barca: 226
Babilonia: 166, 220 — e insegnamento apostoli­
Balaam (profezia di): 14 co: 92-93
Barbari: 96, 123, 227 — e Maria: 191, 193
Basilica post-teodoiiana a — « lenzuolo di Pietro »: 54-
sud di Aquileia attribuita 56
a Cromazio: 11 — « luogo d'affari »: 60
Battesimo: 56, 88, 105 ss., — madre dei viventi: 214-
131 s., 133, 135 ss., 217-218 215
Beatitudini: 231 ss., 238 — mangiatoia: 206
Bellezza fisica e spirituale: — mantello di Cristo: 139,
160, 219 161, 205
Benedizione di Dio: 210-211 — montagna: 64
Beseleel: 11 — occhi d. Ch. = Apostoli
Betlemme: 87, 106, 204-205 e martiri: 106
Betsaida: 105, 107 — « sepoltura dei forestie­
Bosra: 74 ss. ri»: 145
Braun F.M.: 150 — sposa vergine: 85
Brusin G.: 98 — (sterilità e fecondità del­
la): 213-214
Caino: 26, 155 ss., 182 — (unità della): 211-212
Calcide: 10 « Cibi immondi »: 167
Campo del vasaio: 145-146 Cipriano (s.): 20, 32, 39, 48,
Candidati al battesimo o 50, 70, 101, 105, 106, 107,
competentes: 134 125, 126, 169, 187, 210, 217,
Canna = popolo dei gentili: 220, 231
141 Clemente di Roma (s.): 48
Capelli di Cristo = popolo Clero (compiti d.): 242
cristiano: 94 Codex Foroiutìensis: 77, 137
Capituiare evangeliorum: 71 Codex Réhdigeranus: 77,119
Carità: 94, 100 Collera: 100
Carletti R.: 33 Colomba - Apostolo - Marti­
Castità: 161, 190, 220 re: 106 ss.
Catechesi di S. Pietro: 53 Colomba (il redento) oppo­
Catecumeni: 117, 134 sta a corvo (il peccato­
Cattolici: 149 re): 49
Censimento di Quirinio: 203, Commento a Matteo: 18, 19,
204 20
Cesario di Arles: 20, 52 Commercianti: 245
Chaffin C.E.: 32 Comunione dei beni nella
Indice del nomi e delle cose notevoli 253

Chiesa delle origini: 201 Dante: 198


Comunione quotidiana (ne­ Dardano: 98
cessità d.): 206, 235 Datazione dei Sermoni di
Comunità ebraica aquileie­ Cromazio: 227
se: 10 Davide: 42,140,141,144,166,
Concilio di Aquileia (381): 198, 199, 207, 209
8, 9, 14 Dei Fogolari G.: 174
Concordia (città di): 26, Déléage A.: 204
173 ss. De Lubac H.: 39, 48, 56, 138,
Concupiscenza della carne: 193
55, 90 Demoni e croce: 142
Confessione (sacr.): 108 De Nicola A.: 8, 26, 27, 28,
Corgnali D.: 19, 20, 25, 122 31, 250
Cornelio centurione: 51 ss. De Rubeis BJV1.: 15
Corona di spine - ecclesia ex Deuteronomio: 31, 39
gentibus: 140 De viris illustrìbus di Giro­
Corrispondenza di Croma- lamo: 19
zio: 11 Devos P.: 178
Corvi di Elia: 166 Devotio - -fides: 90
Corvo - peccatore: 48, 49 Diavolo: 49, 67 ss., 76-77, 96,
Costantinopoli: 15 100, 187, 229, 235
Cracco Ruggini L.: 11,22, 23 — divisore d. Chiesa: 211
Crisologo (s.): 51 — falso padrone = sovver­
Crisostomo (s.): v. Giovanni titore d. natura: 68
Crisostomo — pernice: 69
Croce: 125-126, 142 ss. Digiuno - preghiera ed ele­
— aratro: 46 mosina (importanza d.):
— balsamo: 200 51 ss., 165, 221
— barca: 225 Dignità sacerdotale: 60
— quercia di Mambre: 112, Diocleziano: 204
115 Divinità dei pagani: 209
— scala di Giacobbe: 43 Divinità di Cristo: 22, 24 e
— « tau »: 114 passim
— trofeo e trionfo: 141-142 Dolce pomo che ha procura­
Cromazio: 107, 108, 109, 115, to l’amarezza della morte:
121, 122, 135, 137 144
Cromazio ed Eliodoro so­ Domiziano Cesare: 148
stengono l'attività edito­ Doni diversi nella Chiesa:
riale di S. Girolamo: 12 161
Cuscito G.: 9, 11, 21, 25, 71, Donne (costume cristiano
177 d.): 219 ss.
Dottrina degli Apostoli =
Daniele: 166, 220 fondamento della fede: 91,
Daniélou J.: 46, 48, 125, 127, 195
226 Duval Y.M.: 22, 23, 29
254 indice del nomi e delle cose notevoli

Ebrei (o Giudei): 10, 11, 22, — e opere: 90


23, 24, 48, 54, 60, 61, 79- — (libertà della): 81
80, 82-83, 85, 86, 87, 88, 95, — lucerna: 67 ss.
103-104, 106, 107, 122, 126, — (passaggio dal paganesi­
131, 132, 138, 161-162, 166, mo alla): 140
167, 179, 180, 181, 182, 185, Felice di Urgel: 20
186 Felice e Fortunato (ss.): 26,
Ecclesia ex circumcisione ed 71 ss.
ecclesia ex gentibus: 128, FeJten G.: 203
138 Festa di S. Giov. Ev. in Aqui­
Ecclesiaste-. 12 leia: 150
Economia dalla salvezza: 33 Filastrio di Brescia: 69, 77
Edessa: 177 Filippo (s.): 46, 50
Edom: 74 ss. Filane: 84, 160
Egeria: 177 Filosofi: 185-186
Egitto: 80 ss., 122, 163 Fontanini I.: 29
Egloga (IV) di Virgilio: 32 Forlati Tamaro B.: 174
Elemosina: v. Digiuno Fortunaziano: 9
Elia: 26, 28, 152 Fotino di Sirmio: 22, 23, 93
Eliodoro vescovo di Aitino Fragiacomo D.: 25
(s.): 12, 21 Fraternità umana: 43-44
Epifania: 217 ss. Frigulus: 231
Epifanio (s.): 225 Friuli: 21
Eretici: 22, 24, 48, 59, 93, « Fuoco divino che consu­
136, 149, 185, 186, 211, 242 ma i vizi della carne » =
Erode: 87, 106, 176 Spirito Santo: 113
Esegesi alessandrina: 30
Esodo: 30 Galaad: 199
Étaix R.: 7, 18 Gallia: 87
Eucaristia, sacramento della Gaudenzio di Brescia: 48,93,
passione del Signore: 87, 173, 175, 188
130, 206, 235 Gedeone: 113-114
Eunuco evangelico: 50 Genesi: 30
Eusebio di Cesarea: 10, 13, Gennadio di Marsiglia: 20
21 Gerusalemme: 50, 55, 103-
Evangelico (messaggio) = 104, 105
quadripertita praedicatio: Giacobbe: 42, 43, 64, 83, 214,
56 244
Giacomo (s.): 151, 152
Fame della parola di Dio: Giosuè: 30
170 Giovanni Battista: 169, 175,
Fame di S. Pietro e reden­ 217
zione universale: 54 ss. — Evangelista: 26, 40, 41,
Fede: 45, 57 e passim 55, 68, 147 ss., 151 ss., 175,
— e devotio: 90 201, 250
Indice dei nomi e delle cose notevoli 255

Giovanni Crisostomo (s.): 8, 112, 114, 137 ss., 141, 156,


15, 18, 76 160, 167-168, 206, 225
Giovino: 10 Invasioni: 11, 227
Girolamo (s.): 8, 9, 10, 12, Invidia: 100
13, 14, 18, 19, 20, 21, 22, Ippolito (s.): 48
24, 28, 29, 32 Ireneo (s.): 43, 48, 125
Giuda Iscariota: 48, 67 Isacco: 64, 214
Giudei: v. Ebrei Isaia: 74, 141
Giudici: 30 Ismaele (circoncisione di):
Giuseppe Flavio: 41 79
— (Patriarca): 26, 159 ss. Ismaeliti: 161
— (s.): 205
Giustino (s.): 43, 48 Jacob R.: 107
Goti (di Alarico): 16 Joppe: 53
Grado: 16
Grazia del Battesimo: 88, Ladrone, compagno di croce
108, 116-117, 139, 190, 229
— di Cristo: 57 di Gesù: 49
— veste nuziale: 109 Lattanzio: 160
Gregorio di Elvira: 48, 59, Lavanda dei piedi: 111 ss.,
74, 112, 114, 161, 163 115 ss.
Gregorio di Nissa («.): 238 Lazzaro: 89 ss., 97, 179 ss.
Gregorio Magno (s.): 76 Lectio liturgica: 27-28
« Legge »: 39, 42, 54, 185
Legge naturale e giustizia dì
Hoste A.: 17 Dio: 53
Lemarié J.: 7, 8, 16, 17, 18,
Idoli: 209 20, 22, 23, 24, 25, 30, 35, 77,
Iezabel (regina): 165-166 80 ss., 90, 100,113,157,160,
Ilario di Poitiers (s.): 19, 20, 168, 174, 179, 185, 186, 191,
23, 32, 55, 60, 62, 64, 125, 193, 196, 201, 203, 205, 207,
138, 141, 182, 195, 231 225, 227
Imposizione delle mani: 46, Leone Magno (s.): 20
117 Lettere di S. Paolo: 19
Incarnazione di Cristo: 113 Levitico: 30
Indie: 177-178 Liberazione di Giuseppe =
Inferi: 120 ss., 163, 190 risurrezione di Cristo: 163
Innocenzo, vesc. di Roma Libidine: 100
(s.): 15 Liturgia: 77, 148
Insegnamento apostolico: Lodi di Dio: 223
91-92 Lomiento G.: 101
Interpretazione allegorica, Luca (s.): 19
letterale, spirituale, tipo­
logica delle Scritture: 14, Magi: 61, 158
20, 30, 31-34, 39, 40, 91, 97, Magno Massimo: 10
256 Indice del nomi e delta cose notevoli

Malachia: 12 Nìcamore (porta di): 41


Malattia (corporale e spiri­ Nicodemo: 131 ss.
tuale): 97-98, 197 ss. Noè: 48
Mambre: 112 Nozze della Chiesa con Cri­
Mammona: v. Diavolo sto: 85 ss.
Mangiatoia-altare di Cristo: Numeri: 14
206
Manichei: 177 Occhio = lucerna del cor­
Manna: 81 po: 67 ss.
Mansuetudine: 231, 239, 244 Occhio della Chiesa = vesco­
Mantello di Cristo: 138-139 vo: 68
Marciane: 177 Onorio (imp.): 15
Maria (sorella di Lazzaro): Opere buone: 51 ss., 165,221,
89 182 227
Maria (Vergane): 152, 157, — di misericordia o di cari­
169, 191, 192-193, 204 tà: 94, 156
Marta: 89, 182 Opus imperfectum in Mat-
Martiri: 80, 139-140, 148,168, thaeum: 69
187, 204, 247-248 Oratoria (abilità di Croma-
Martirio-Battesimo: 107 zio): 19
Martirologio Geronimiano: Origene: 13, 14, 30, 48, 56,
21 57, 59, 101, 142, 168
Massimo di Torino (s.): 8, Osea: 12
55, 142
Matteo (s.): 18, 26 Pace: 232, 242
Melitene di Sardi (s.): 125 Pagani: 54, 95, 106, 107, 122,
Meriti e preghiera: 226 138, 209, 212, 242
Milano: 9, 134 Palestina: 12
Minudo Felice: 187 Palladio di Ratiaria: 9, 15,
Mirabella Roberti M.: 16 22, 23
Miracoli di Cristo: 81 Paolino diacono di Milano:
— degli Apostoli: 197-198, 8, 10
200 — vescovo di Nola (s.): 94
Misericordiosi: 241 Paolo (s.): 19, 86, 95, 99, 101,
Mistero celeste: 30, 33, 86 145, 185, 244
Mohrmann C.: 129, 142 Paralipomeni: 13
Morte di Cristo (distrugge la Paralitico di Betsaida: 105
morte): 121, 126 ss.
Mosè: 80, 123, 125, 127, 152 Parigi: 7
Parola di Dio: 166
« Nascita » del Cristiano: v. Paschìni P.: 12,13,14,16,17,
rinascita 21
M a ta ìp * 7Ù% Pasqua: 119 ss., 127, 129 ss.
Nature di Cristo: 89, 93,120, Passero = peccatore e apo­
149 stata: 80
Indice dei nomi e delle cose notevoli 257

Passione di Cristo: 112, 119, Primogenitura: 84


137 ss., 145 ss., 229 Profeti: 40, 86, 99, 103-104,
P a store di Erma: 51 170, 212, 213, 243
Pastori-vescovi: 206-207 P roverb i: 12
Pater n o s te r : 234 ss. Puniet (de) P.: 17
Patmo (isola di): 147
Patria celeste: 227 Quacquarelli A.: 30, 51
Peccato: 97 ss., 108, 113, 151, Quercia di Mambre = Cro­
217 ce: 112
Peccatori che si mascherano Quirinio (governatore): v.
all'interno della Chiesa: 49 Sulpizio Quirinio
Perdono: 235
Persecuzioni: 148, 226, 243
Petré H .: 43, 44, 94 Rahner H .: 114
Pietro (s.): 26, 40, 41, 47, 50 Ravenna: 30
ss., 116, 151 ss., 162, 189 Redenzione: 54, 56, 96, 162
ss., 201, 247 ss. Refrigerio - Beatitudine: 98
Pilato: 82, 158 Regalità di Cristo: 157-158,
Piscina di Betsaida: 105 ss. 195-196
Plinio: 82 Regno dei cieli: 44, 70, 78,
P lum peJ.C .: 85 91, 128, 134, 234, 244
Pneumatomachi: 136 Reliquie apostoliche: 173 ss.,
Polemica origeniana: 12, 14, 200
22 « Rinascita » del Cristiano:
Popolo dei gentili: 141, 212 132, 135
— dei Giudei e p. d. Chiesa: Risurrezione di Cristo: 43,
80 ss., 212 76, 89, 177, 194
— d. Chiesa = Israele = — di Lazzaro: 179 ss.
Giacobbe: 83-84 Rode = rosa = salvezza =
Porpora (tunica di Cristo): assemblea dei santi: 191
138 ss. Romani: 177
Porta Bella d. Tempio: 41-42 Romani riscattati dai barba­
Possidio: 8 ri: 96
Potere del diavolo: 70 Rose A.: 76
Povertà di spirito e materia­ Rufino: 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14,
le: 63 ss., 212, 239 15, 19, 20, 23, 30, 32, 42,
Predicazione quotidiana e 169, 177
frequente: 11, 225
— evangelica: 42, 171 Sacram entario Gelasiano: 17
— celeste affidata ai pastori Salomone: 12, 41, 59, 60, 73,
della Chiesa come merce 92, 107, 109, 120, 129, 211
da diffondere: 238 Sant'Elia: 165 ss.
Preghiera e meriti destano Santi, assemblea: 191
il Signore alla misericor­ — reliquie: 173 ss.
dia: 123, 226, 233 Sapienza di Dio: 81
258 Indice del nomi e delle cose notevoli

Sarefta dei Sidoni: 168 Susanna, modello di castità:


Scala dì Giacobbe = croce 161
di Cristo: 43
Scholz A.: 12 Tavano S.: Il, 30, 106, Ì14
Scismatici: 24 Tempesta sedata: 225 ss.
Secondiano di Singidunum: Tempio = corpo di Cristo:
9 62
Segno della croce: 143
Seme (buono) evangelico: Tempio dei Giudei: 59 ss.
4546 Teodosio (imp.): 16, 227
Seminarium o Monasterium Tertulliano: 20, 32, 48, 49,
di Aquileia: 9, 12 101, 105, 106, 125, 160, 186,
« Sepolcri imbiancati »: 82 226
Serpenti (Giudei uccisori Tingere = baptizare: 106
della madre-sinagoga): 82 Tobia'. 13
Settanta (i): 13 Tommaso (ap.): 176-177, 201
Sichard G.: 18 Trafficanti d. Tempio: 59-60
Simon Mago: 45 ss. Trasfigurazione di Cristo:
Simone di Cirene: 141-142 152
Simonetti M.: 60, 93 Trattati sul Vangelo di Mat­
Sinagoga: 60, 168, 193, 213 teo di Cromazio: 16,17,19,
— albergo di infedeltà: 206 20, 31
— di Aquileia (distruzione): Trettel G.: 7, 30, 33, 34, 35,
10 86, 88, 108, 109
Sinagoga dei Giudei = Geru­ Trinità (dottrina d.): 20, 21,
salemme: 103 57, 59-60,105, 114, 121, 135
Sinodo « Ad quercum »: 15 136,139, 151,160, 217
Sion: 83 Tunica di Cristo: 115 ss., 138
Siria: 203 ss., 206
Soccorso ai poveri: 202 Tunica = corpo di Cristo:
« Spada » = Spirito Santo: 115-116
57
Spagna: 87 Umiltà: 90, 111
Spirito Santo: 46, 47, 56-57, Unanimità dei credenti nelle
85, 86, 105, 106, 113, 117, comunità apostoliche: 43,
120, 135, 136, 176, 197, 198, 201t 202
199, 202, 205, 217 Unzione d. piedi di Cristo:
Statère nel pesce = pagani 90
redenti: 53 Uterus ecclesiae = battesi­
Stile oratorio di Cromazio: mo, battistero: 84, 133
29, 31
Stilicone: 16 Valeriano di Aquileia (s.): 9,
« Stolti »: 79 ss. 10, 237
Sulpizio Quirinio: 203-204 Vegezio: 127
Indice del nomi e delle cose notevoli 259

Veglia pasquale o veglia del Victricio di Rouen: 174


Signore: 119 ss. Virgilio: 32
Venerdì santo: 125 Visione di S. Pietro: 53 ss.
Venerio, vescovo di Milano: Vittorino di Pettau (s.): 250
15
Venezia (regione veneta): 21 Zaccaria: 12
Vetus Latina: 26, 169 Zeiller J.: 23
INDICE SCRITTURISTICO

Antico 12, 2: 127 Giobbe


Testamento 12, 42: 119
14, 14: 123 17, 11: 69
Genesi 25 e 26: 140
32, 4: 80 Salmi
1, 29: 101
3, 9: 182 Deuteronomio A 8, 18: 41
3, 19: 75 10, 1: 79
3, 20: 214 10, 17: 204 10, 22: 40
3, 21: 229 19, 15: 151 13, 1: 79
3, 22: 250 28,66: 125 13, 3: 81
3, 23 e 22: 230 13, 7: 83
4, 3-5: 155 Giudici 18, 5: 91
4, 7: 155 18, 5: 174
4, 9: 182 6, 11: 113 18, 6: 86
8, 10-11: 49 6, 21: 113 20, 4: 140
9, 3: 100 7, 6 e 16: 113 23, 3: 65
10, 11: 209 23, 7-9: 76
25, 26: 83 23, 37: 104
28, 12: 244 1 Re
26, 13: 231
28, 12-13: 42 28, 3: 62
32, 28-30: 84 10, 3: 166
17, 1: 165 28, 4: 183
37 s.: 159
37, 3: 161 17, 3 e 6: 165 35, 5-6: 41
37, 28: 162 17, 6 e 17, 8: 168 42, 3: 141
39,7: 160 17, 13-14: 169,171 44, 2: 141
39,20: 160 20, 28: 63 44, 15: 86
41, 37: 163 45, 8: 179
Tobia 49, 15: 123, 227
Esodo 60, 8: 49
4, 23: 66 64, 14: 157
3, 14: 210 17, 8: 51 67, 7: 211
262 Indice scrltturìatlco

67, 34: 184 Siracide Nuovo


68, 22: 144 Testamento
72, 24: 77 4, 12: 59
72, 25: 78 9, 8: 109
94, 7: 157 Matteo
95, 5: 210 Isaia
102,2-3: 198 2, 2: 158
106, 20: 199 6, 3: 148 2, 16: 106
112, 1: 223 9, 2: 120 3, 9: 49, 140
112, 7: 212 53, 1: 213 3, 13-17: 175
112 , 8 : 212 53, 4: 205 3, 17: 217
112, 9: 213 53, 5: 198 4, 21-22: 175
117, 19-20: 42 53, 7: 157 4, 32: 202
117, 24: 128 54, 1: 213 5, 1: 63
118, 103: 171 58, 5: 221 5, 1-4: 238
120,4: 120 61, 2: 250 5, 3: 65
125, 5: 181 63, 1: 74 5, 4: 231
132, 1: 231 5, 5: 231
132, 2: 98 5, 6: 240
141, 8: 163 Geremia 5, 7: 241
150, 4-5: 86 5, 8: 241
8, 22: 199 5, 9: 232, 242
11, 19: 157 5, 10: 242
Proverbi 17, 11: 69 5, 11-12: 243
18, 14: 75 5, 17: 39, 170
6, 2: 109 31, 33: 141 5,23-24: 156
8, 27-30: 73 6, 2-18: 51
Ezechiele 6, 6: 233
Ecclesiaste 6, 9-13: 234
47,11: 250 6, 15: 235
3, 5: 211 6, 22-23: 67
Daniele 6, 24: 68
Cantico 7, 12: 39
6, 16 s.: 166 8, 22: 214
13: 160 8, 24: 226
1, 2: 92 13, 1: 219
3, 10: 139 8, 25-26: 226
4,2: 128 14, 31: 166 10, 8: 47, 60
14, 33: 166 10, 37: 169
5, 2: 120
5, 10: 74 11, 10: 175
6, 4: 94 Amos 11, 11: 175
6,5: 128 8, 11: 170 11, 29: 231
12, 30: 211
Sapienza Malachia 12, 37: 109
13, 24-25: 45
16, 12: 199 1, 6: 45 13, 31-32: 194
Indice scrltturlstlco 263

13, 45: 237 5, 37: 151 3, 4: 132


13, 47: 237 8, 36: 202 3, 5: 218
14, 7: 115 3, 5-6: 132, 135
15, 27: 159 Luca 3, 16: 210
16, 18-19: 190 5, 7: 108
16, 26: 20 1, 44: 175 5, 14: 108
17, 1: 152 2, 1 s.: 204 5, 25: 184
17, 5: 152 2, 1-3: 203 5, 44: 242
17, 26: 53 2, 4: 204 6, 41: 204
18, 20: 175 2, 7: 205, 206 6, 51: 159, 234
21, 13: 59 2, 8: 207 9: 179
21, 33: 85 2, 10-11: 207 10 11: 157
22, 3: 86 2, 13-14: 208 10 38: 183
22, 4: 87 4, 19: 250 11 1-44: 179
22, 5-6: 85 6, 30: 242 11 9-10: 131
22, 9-10: 87 7, 27: 175 11 11: 180
22, 12: 88, 109 8, 51: 151 11 12: 181
22, 32: 64, 214 11, 23: 211 11 14-15: 181, 182
23, 12: 90 12, 14: 242 11 34: 182
23, 33: 82 12, 15: 202 11 35: 181
23, 37: 82, 103 12, 35: 190 11 39: 183
24, 17: 55 12, 50: 107 11 43: 183
25, 15-16: 238 14, 26: 169 11 44: 184
25, 27: 61 14, 27: 142, 247 12 3: 89
25, 40: 94 15, 7-10: 121 12 24-25: 194
26, 13: 90 16, 20: 97 13 4: 111
26, 41: 235 22, 15: 129 13 8-9: 116
27, 1: 137 23, 21: 82 13 13-15: 111
27, 7: 145 24, 44: 77 12 23: 175
27, 7-10: 146 14 6: 126
27,24: 137 18 37: 158
27, 25: 83 Giovanni 19 6: 82
27, 27-28: 137 19 27, 26: 152
27, 28-30: 138 1, 1: 149 19 38: 125
27, 32: 141 1, 1-3: 176 20 27: 176
27,34: 144 1, 12: 234 20 28: 176
27, 45: 112 1, 29: 175 20 29: 176
27, 57: 125 1, 30: 169 21 15-16: 247
33, 3: 138, 140 1, 32: 176 21 18-19: 247
2, 1: 49 21 22: 149
2, 13-15: 59 21 23: 150
Marco 2, 16: 59
2, 20-21: 61 Atti
1, 2: 175 3, 1-2: 131
3, 17: 175 3, 3: 132 1, 12-14: 193
264 Indice scrìtturìstlco

2, 1: 197 5, 6: 130 2 Timoteo


3, 1: 197 5, 7: 130
3, 14: 40 5, 7-8: 130 4, 7: 243
4, 4: 40 6,20: 162 4, 8: 244
4, 32: 43, 201 9, 24: 185
5, 15-16: 197, 200, 9, 25: 187 Filemone
201 10, 1-5: 185
8, 1: 226 10, 17: 212 3, 13-14: 243
8, 9-18: 46 11, 2 : 86
8, 18-20: 47 11, 3: 140
8, 20-21: 47 13, 3: 186 Ebrei
8, 22-23: 47 15, 55: 126
8, 26-40: 50 4, 12: 57
8, 29-31: 50 6, 1: 81
8, 36-38: 50 2 Corinti 11, 6: 232
9, 40: 180 12, 14: 232
9, 31-43: 197 2, 11: 70
10, 1-2: 51 Giacomo
10, 4: 51 Galati
10, 5-6: 53 1, 13: 235
10, 9-20: 54 2, 19-20: 143
10, 14-15: 57 3, 27: 88 1 Pietro
12, 1-17: 189
12, 8: 190 1, 18-19: 162
13, 15: 39 Efesini 2, 11: 145
3, 46: 95 3, 3-5: 219
20, 9-12: 180 2, 14: 232
2, 14-16: 242
2, 17: 213 1 Giovanni
Romani 4, 5-6: 202
5, 18-19: 242 2, 10-11: 68
3, 21: 39 6, 17: 57
5, 9: 96 Apocalisse
6, 4: 146
6, 15: 204 Colossesi 1, 6: 139
8, 26: 235 1, 9-10: 147
14, 2: 97 1, 14: 96 2, 7: 250
15, 7-12: 95 3, 3-4: 145 4: 147
4, 8: 148
10, 9-11: 148
1 Corinti 1 Timoteo 17, 14: 204
19, 16: 204
1, 10: 211 2, 9-10: 219 21, 2: 55
1, 24: 81, 186, 234 3, 16: 163 21, 8: 50
3, 8: 106 6, 10: 100 22, 2: 250
INDICE GENERALE

Introduzione....................................................... pag. 7
Catechesi al p o p o lo ...........................................» 37
Sermone 1 - Sugli Atti degli Apostoli, dove
Pietro guarisce uno storpio . . . . » 39
Sermone 2 - Sul brano degli Atti degli Apo­
stoli che parla di Simon Mago . . » 45
Sermone 3 - Sul centurione Cornelio e su
Simon P i e t r o .....................................» 51
Sermone 4 - Sui trafficanti cacciati dal
T e m p i o ................................................. » 59
Sermone 5 - Sulle parole del Signore: « Bea­
ti i poveri di spirito » ........................ » 63
Sermone 6 - Sul Vangelo secondo Matteo,
dove si dice: « L’occhio è la lucerna del
corpo... » ................................................. » 67
Sermone 7 (frammento) - Per la festa dei
santi Felice e Fortunato . . . . » 71
Sermone 8 - Per l'Asoensione . . . . » 73
Sermone 9 - Sul salmo 13, intorno agli stol­
ti e agli in s e n s a t i...............................» 79
Sermone 10 - Sul Vangelo di Matteo, ove
si parla del re che fece una festa di nozze
al suo f i g l i o l o .....................................» 85
Sermone 11 - Sulla donna che unse i piedi
del S ig n o r e ...........................................» 89
Sermone 12 - Sull'Epistola ai Romani . . » 95
Sermone 13 (frammento) - Sul Vangelo di
Matteo, dove si dice: « Gerusalemme, Ge­
rusalemme, che uccidi i profeti » » 103
266 Indice generale

Sermone 14 - Sulla guarigione del parali­


tico e sili b a tte sim o ...............................pag. 105
Sermone 15 - Sulla lavanda dei piedi . . » 111
Sermone 16 - I sermone per la grande notte » 119
Sermone 17 - II sermone per la grande
n o t t e ....................................................... » 125
Sermone 17 A - Sermone di Pasqua . . » 129
Sermone 18 - Su Nicodemo e sul battesimo » 131
Sermone 18 A - Sul battesimo e sullo Spi­
rato S a n t o ...........................................» 135
Sermone 19 - Sulla passione del Signore,
dove si dice: « Allora i soldati del gover­
natore, condotto Gesù nel pretorio, radu­
narono attorno a lui tutta la coorte e,
spogliatolo, gli misero addosso un man­
tello scarlatto» (Mt. 27, 27-28) . . * 137
Sermone 20 - (frammento) - Sulla Passione » 145
Sermone 2 1 - 1 sermone su san Giovanni,
evangelista e a p o s t o lo .........................» 147
Sermone 22 - II sermone su san Giovanni
evangelista ..................................... » 151
Sermone 23 - Sermone su Caino e Abele . » 155
Sermone 24 - Sul santo patriarca Giuseppe » 159
Sermone 25 - Su sant’E l i a .........................» 165
Sermone 26 - Per la dedicazione della chie­
sa di C o n co rd ia .....................................» 173
Sermone 27 - Sulla risurrezione di Lazzaro » 179
Sermone 28 - Sulle parole dell'Apostolo:
« Non sapete che nelle corse dello
stadio... » ........................................... » 185
Sermone 29 - Su san Pietro e sulla sua li­
berazione dal c a r c e r e ........................ » 189
Sermone 30 - Sulle orìgini della Chiesa . » 193
Sermone 31 - Sugli Apostoli che guarisco­
no i m a l a t i ........................................... » 197
Sermone 32 - Sul Natale del Signore . » 203
Sermone 33 - SuirAlleluia . . . . . » 209
Sermone 34 (frammento) - Per l’Epifania del
S i g n o r e ................................................. » 217
Sermone 35 (frammento) - Su Susanna . . » 219
Sermone 36 (frammento) . . . . . » 223
Sermone 37 (frammento) - Sulla tempesta se­
data ....................................................... » 225
Sermone 38 (frammento) - Sermone di sant'
Agostino su questo passo: « Dio fece per
Indice generale 267

Adamo e per sua moglie delle tuniche di


pelle » ....................................................... pag. 229
Sermone 39 (frammento) - Sulle Beatitudini » 231
Sermone 40 - Esposizione della preghiera
del S ig n o r e ...........................................» 233
Sermone 41 - Sermone del vescovo romano
Cromazio sul capitolo V di Matteo o sulle
otto B ea titu d in i.....................................» 237
Sermone 42 (frammento dubbio) - Sul mar­
tirio di san P i e t r o ...............................» 247
Sermone 43 (frammento) - Comincia il ser­
mone del vescovo sant’Ambrogio sulla vit­
toria della croce del Signore . . . » 249
Indice dei nomi e delle cose notevoli . . . » 251
Indice scrìtturistico » 261

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