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Eucherio di Lione

ELOGIO
DELLA SOLITUDINE

RINUNCIA AL MONDO

Introduzione, tradu zio n e e n o te


a cura di M ario Spinelli

Città Nuova
Copertina di Gyòrgy Szokoly

© 1997, Città Nuova Editrice, via degli Scipioni 265 - 00192 Roma

Con approvazione ecclesiastica

ISBN 88-311-3139-7

Finito di stampare nel mese di novembre 1997


dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.
Largo Cristina di Svezia, 17
00165 Roma - tel. 5813475/82
IN T R O D U Z IO N E

1. E u c h e r io di L io n e

D i Eucherio non si conosce con certezza né la data né il


luogo della nascita \ anche se qualche studioso propende a
collocare l’una intorno al 380 e - sulla scia del Tillem ont2 - a
identificare l’altro in Lione, cioè la stessa città di cui egli
sarebbe diventato vescovo nel quarto decennio del V secolo,
dopo la morte del predecessore san Senatore3. Ciò che si può
sostenere con sicurezza, invece, oltre all’ascendenza etnico-
culturale gallo-romana, è l’appartenenza di Eucherio al ceto
aristocratico e, in particolare, ad una famiglia illustre e facol­
tosa. I l nostro autore, infatti, dedicherà ad un suo propin-
quus («cugino»? di certo «parente», comunque) - Valeriano
la lettera parenetica D e contem ptu mundi, ricordandogli nel
proemio che «il padre e il suocero» lo avevano «fatto salire ai
vertici più alti del mondo» 4, con evidente riferimento alle

1 G.E. Griffe, La Gaule cbrétienne à l’époque romaine, voi. II, Paris


1966, p. 286; DPAC, I, 1270 (S. Pricoco).
2 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, Mémoires pour servir à l’histoire
ecclésiastique des six premiers siècles, t. XV, Paris 1711, p. 120.
3 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 127; DSp, IV/2, 1654 (L.
Cristiani).
4 PL 50, 712.
6 Introduzione

posizioni di grande prestigio e potere ricoperte via via dalla


loro fam iglia5. Lo stesso Eucherio, d’altronde, avrebbe percor­
so un buon tratto del cursus honorum, diventando probabil­
mente anche senatore6.
Unitosi in matrimonio con Galla, anche lei di chiara ori­
gine gallo-romana e verosimilmente nobiliare, Eucherio ne
ebbe due figli, Salonio e Verano. Una certa tradizione, ricordata
pure dal Tillemont, gli attribuirebbe anche la paternità di due
figlie, Tullia e Conforzia, che sarebbero morte l'una prima
dell’inizio dell’episcopato paterno e l’altra, invece, «molto tem­
po dopo» la morte del padre. Ma è già lo stesso erudito francese
a non riconoscere a questa notizia «aucune autorité» 7.
Fra il 412 e il 4 2 0 8 Eucherio abbandona la casa, la car­
riera, i beni economici e la convivenza sociale per abbracciare
la vita religiosa e monastica: non da solo, però, ma insieme
alla moglie e ai due figli. La sua fu una conversione «nella
fede», nel senso che, dopo essere stato educato e aver vissuto
cristianamente, in età ormai adulta entrò in una crisi spiritua­
le e si sentì chiamato a u n ’esperienza religiosa ben più austera
e radicale di quella condotta fin o allora. In quel periodo, del
resto, da un lato il grande sviluppo del monacheSimo pure in

5 Se il propinquus è il Priscus Valerianus di cui parla Sidonio Apollina­


re, di familia patricia e poi Praefectus Galliae, Eucherio sarebbe stato impa­
rentato addirittura col futuro imperatore Avito (455-456). Cf. L.-S. Le Nain
de Tillemont, op. cit., pp. 120, 125; E Griffe, op. cit., voi. II, p. 286 e note
45-47; S. Pricoco, Eucherio di Lione. Il rifiuto del mondo, Firenze 1990, p. 15
e nota 22.
6 Cf. Institutum Patristicum Augustinianum, Patrologia, voi. III, Tori­
no 1978, p. 479 (A. Hamman).
7 L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 121.
8 Cf. S. Pricoco, L’isola dei santi. Il cenobio di Lerino e le origini del
monacheSimo gallico, Roma 1978, p. 44 e nota 67.
Introduzione 7

Occidente, dall'altro la grave instabilità politico-sociale e


anche spirituale introdotta nell’Europa latino-mediterranea
dalle invasioni barbariche avevano già indotto m olti esponen­
ti della nobiltà gallo-romana a ritirarsi dal secolo e a cercare
la pace perduta e un nuovo equilibrio esistenziale e morale
nell’adesione alla vita ascetica e contemplativa9.
E, in quanto gallico, nella sua nuova scelta di vita Euche­
rio non avrebbe potuto sottrarsi alla seduzione spirituale di
Lerino, l’attraente isoletta presso la costa provenzale fra Anti-
bes e Cannes (oggi Saint-Honorat) dove all’inizio del V secolo
Onorato, futuro vescovo di Arles, avrebbe fondato un asceterio
divenuto già famoso 10. N ell’arco di qualche decennio, grazie
anche all’opera di Eucherio, Lerino sarebbe diventato non solo
uno dei centri monastici più noti e frequentati di tutto l’Occi­
dente, ma anche una «scuola» prestigiosa e influente di cultu­
ra ascetica, nonché un vivaio qualificato e rigoglioso di scrittori
spirituali e di pastori della Chiesa n . In ogni caso nel secondo
decennio del V secolo, come accennato, Lerino godeva già di
una certa notorietà: spiegabile, dunque, che i passi della fa m i­
glia di Eucherio - alla ricerca dell’esperienza di Dio più tota­
lizzante - si volgessero in quella direzione.
Una volta a Lerino, Eucherio e Galla v i si trattennero
per qualche tempo. Dopo questa prima permanenza, affidaro­
no Salonio e Verano all’assistenza e all’educazione dei cenobi-

9 A questo proposito Pricoco osserva che «Eucherio, come Paolino


Nolano, offre un tipico esempio delle inquietudini religiose e della crisi
socio-culturale dell’aristocrazia gallo-romana nel periodo delle invasioni»
(L’isola dei santi, cit., p. 45).
10 La bibliografia su Lerino è vastissima. Si veda almeno la recente
monografia di Pricoco (cf. supra, nota 8).
11 Cf. DPAC, II, 1936 (S. Pricoco).
8 Introduzione

ti lerinesi12, mentre essi lasciarono il monastero fondato da


Onorato e si trasferirono a Lero (l’attuale Sainte-Marguerite),
un’altra isoletta di quel minuscolo arcipelago, più estesa di
Lerino e situata fra questa e il litorale francese, a mezzo
miglio dall’una e a due miglia dall’altro13. Si trattò, evidente­
mente, di una sorta d i parentesi eremitica condotta dalla cop­
pia nel contesto dell’esperienza lerinese: ne ignoriamo la
durata, ma possiamo immaginarne l’importanza e l’efficacia
nella formazione e nell’itinerario ascetico-spirituale dei due.
Negli anni successivi, infatti, Eucherio produrrà i fru tti
migliori e già maturi della sua esperienza spirituale, scrivendo
prima il De laude eremi e, successivamente, nel 430 o 431, il
De contem ptu m u n d i14.
In questo periodo, fra l’altro, poco mancò che Eucherio
diventasse un po’ il “Cassiano d’Oriente”, compiendo il percor­
so inverso a quello effettuato non molti anni prima dall’autore
delle Collationes. Stando alla testimonianza stessa di quest’ul­
timo i5, infatti, egli sarebbe stato in procinto di lasciare la Gal-
lia e diportarsi in Egitto, per conoscere direttamente la vita e la
spiritualità dei Padri del deserto. Non sappiamo il motivo che
lo avrebbe indotto a rinunciare all’attuazione di questo pro­
gramma, ma forse fu suggerito dall’affetto e dalla premura ver­
so i familiari, che Eucherio non avrebbe potuto condurre con sé
in un viaggio così lungo e difficoltoso16.

12 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 122.


13 lbid., pp. 121-122.
14 Cf. infra, rispettivamente, i paragrafi 3 e 4 di quest’introduzione.
15 Cf. Ioann. Cass., Coni., XI, Praef., ed. E. Pichery, SCh 54, p. 97.
16 E quanto ipotizza, ad esempio, il Tillemont (op. cit., p. 121) sulla
scorta, verosimilmente, di Giovanni Cassiano, il quale aveva auspicato che
Eucherio potesse sottrarsi a tarn periculosae navigationis necessitas (Coni,
XI, Praef, ed. E. Pichery, SCh 54, p. 99).
Introduzione 9

Si è accennato a Lerino pure come vivaio di vescovi. Ciò


vale anche per Eucherio che, dopo il 4 3 1 11, fu chiamato sul seg­
gio episcopale di Lione, una delle città più importanti della
Gallia centro-meridionale, patria dell’imperatore Claudio (41-
54), di grandi tradizioni religiose - prima pagane, poi cristia­
ne 18 - anche se la distruzione ordinatane da Settimio Severo
(193-211) nel 197 ne aveva avviato un inarrestabile declino, a
vantaggio di Treviri ed A rle sI9. Secondo u n ’antica tradizione,
non suffragata peraltro da riscontri scientifici, Eucherio avrebbe
ricevuto ufficialmente la notizia della nomina a vescovo di Lio­
ne - da parte dell’arcidiacono stesso di quella chiesa - mentre si
trovava non già a Lerino, ma «recluso» in una grotta presso il
fium e Durance, non lontano da Manosque, nella diocesi di
Sisteron, fra le montagne dell’Alta Provenza, dove forse si era
recato insieme a Galla per condurvi un altro periodo di ritiro
penitenziale particolarmente austero. Dopo l’accettazione della
carica episcopale, sia pur obtorto collo per ragioni di um iltà20,
Eucherio avrebbe subito raggiunto la sua nuova sede, mentre la
moglie sarebbe rimasta in quella caverna fino alla morte, assi­
stita dalla figlia Conforzia21.

17 L’anno della composizione del Contemptus e la data del I Concilio


di Orange (441) - al quale Eucherio partecipò come vescovo di Lione -
sono, rispettivamente, il terminus ante quem e post quem dell’inizio del suo
episcopato (cf. S. Pricoco, Eucherio di Lione, DPAC, I, 1270).
18 Cf. DPAC, II, 1966-1970 (V. Saxer), 1970-1971 (Ch. Munier); III,
fig. 207, p. 270.
19 Cf., rispettivamente, DPAC, II, 3508-3510 (Ch. Pietri), 3510-3511
(Ch. Munier); III, fig. 321, p. 348 e I, 363-365 (V. Saxer), 365-367 (Ch.
Munier); III, figg. 44-45, p. 160.
20 Un topos, questo, nell’agiografia patristica. Cf., ad esempio, VApolo­
getica de fuga di Gregorio Nazianzeno (ed. J. Alzog, Freiburg im Br. 1869 2)
o il De sacerdotio di Giovanni Crisostomo (ed. J.A. Nairn, CPT 4, Cambrid­
ge 1906).
21 Così il Tillemont {op. cit., p. 127). Quanto a Salonio e Verano, non
10 Introduzione

Sull’episcopato lionese di Eucherio non si sa granché.


Claudiano Mamerto lo loda anche nell’esercizio di questo
ministero, ricordando che «superò di gran lunga i grandi
vescovi del suo tempo» 21. Lunico dato cronologico certo di
questo periodo è costituito dal 441, anno nel quale Eucherio
dovette sicuramente partecipare al primo concilio di Orange,
accanto ai pastori delle altre diocesi della regione23. Quanto
al resto, è da supporre che - da buon ex lerinese - Eucherio
abbia usato del potere episcopale anche per promuovere e
incrementare le comunità monastiche, favorendo in generale
le iniziative di carattere ascetico-spirituale. N el quadro di que­
sto orientamento avrà curato pure la diffusione dei testi asce­
tici orientali24, specie delle opere di Giovanni Cassiano, di cui
Gennadio lo indica come un divulgatore ed epitomatore
attento e convinto25.
Come s’è visto per l’anno della nascita, nemmeno quello
della morte di Eucherio rappresenta un dato incontrovertibi-

sappiamo nulla della durata della loro permanenza a Lerino né se abbiano


lasciato l’isola insieme al padre. Si sa che diverranno entrambi vescovi (cf.
Genn. Massil., De script, eccl., 63, PL 58, 1097): Salonio di Ginevra, Verano
forse di Vence, nelle Alpi Marittime. A Salonio si possono attribuire con
una certa sicurezza quattro Expositiones mysticae (In Parabolas Salomonis,
In Ecclesiasten, De evangelio Matthaei e De evangelio lohannis) ispirate alla
metodologia esegetica del padre. Per ulteriori cenni biografici sui due figli
di Eucherio e per le edizioni e la bibliografia sui commentari biblici attri­
buiti a Salonio, cf. S. Pricoco, L'isola dei santi, cit., pp. 46-48 e note 74-81.
Si veda pure Institutum Patristicum Augustinianum, Patrologia, voi. Ili,
cit., pp. 499-500.
22 De statu animae, II, 9, 3, PL 52, 752.
23 Cf. supra, nota 17. Su queste importanti assise della Chiesa proven­
zale del V secolo, si veda DPAC, II, 2493 (Ch. Munier).
24 Cf. Vita Patrum lurensium, 11, pp. 250-252; S. Pricoco, L’isola dei
santi, cit., pp. 45-46 e nota 71.
25 De script, eccl., 63, PL 58,1096-1097.
Introduzione 11

le, oscillando fra il 449 e il 455, in tu tti i casi attorno alla


metà del V secolo. La prima delle due date, in particolare, vie­
ne indicata dal Chronicon GaUense, che registra la morte del
vescovo di Lione come contemporanea a quella di llario di
A rle s26. Gennadio di Marsiglia, invece, colloca la scomparsa
di Eucherio fra il 450 e, appunto, il 455, sotto l’imperatore
d ’Occidente Valentiniano III (425-455) e /'augustus d ’Orien-
te Marciano (450-457) 27.

2 . L’a t t iv it à l e t t e r a r ia

A proposito del servizio episcopale di Eucherio, si sono


riportate le parole di elogio espresse nei suoi confronti da Clau-
diano M am erto28. In effetti, la figura di Eucherio fu oggetto di
profonda stima e considerazione da parte dei contemporanei.
Giovanni Cassiano, ad esempio, gli dedicò - affiancandolo ad
Onorato di Arles - la seconda parte delle Collationes, lodan­
dolo come insigne maestro e modello di vita ascetica e di san­
tità 29. U n’altra dedica D om ino beatissimo Eucherio episco­
po proverrà da Polemio Silvio, autore di quella sorta di cro­
nografia erudita che è stata tramandata con il titolo di Later-
culus30.
Un simile prestigio, d’altronde, non fu solo il frutto del­
la testimonianza spirituale e dell’impegno ecclesiale di Euche-

26 Cf. Chron. Gali., a. 452, p. 134, cit., in DPAC, I, 271. Si veda pure
S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., pp. 45-46 e nota 72.
27 Cf. De script, eccl., 63, PL 58, 1097.
28 Cf. supra, nota 22.
29 Cf. Coni, XI, Praef., ed. E. Pichery, SCh 54, p. 97.
30 Cf. Laterc., p. 518, 3-8, cit. in S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p. 46,
nota 73.
12 Introduzione

rio, ma era anche dovuto alla popolarità e all’ammirazione da


cui furono circondati i suoi lavori letterari31. Un apprezza­
mento né infondato né effimero, invero, se si considera il fa t­
to che, in pieno Rinascimento, un critico ferrato ed esigente
come Erasmo da Rotterdam esalterà lo stile letterario
(phràsis) del nostro autore come un esito non più raggiunto
da altri scrittori cristiani32.

A Eucherio di Lione è stata attribuita dalla tradizione


una gran quantità di tito li00; la maggior parte di questi, tutta­
via, non sono opera sua, ma vanno ascritti al cosiddetto
“Eusebio gallicano” oppure ad altri scrittori più recenti Η I
prim i due lavori sicuramente autentici - composti dal nostro
autore durante il periodo lerinese - sono il D e laude eremi e
il D e contem ptu mundi, redatti in forma epistolare e dai con­
tenuti di carattere monastico e ascetico-spirituale. Questi due
opuscoli costituiscono l’oggetto del presente volume, per cui
ce ne occuperemo a parte più approfonditamente nei prossimi
due paragrafi di questa introduzione.
Eucherio, comunque, non coltivò solo la letteratura
monastica. La sua produzione, al contrario, pur quantitativa­
mente limitata, si presenta con caratteri di una certa varietà
sul piano dei generi letterari affrontati e delle tematiche svi­
luppate di volta in volta dall’autore. Se a ciò si aggiunge, poi,

31 Gennadio di Marsiglia loda, ad esempio, il sermo scbolasticus e


rationabilis di Eucherio {De script, eccl., 63, PL 58, 1097). Il suo stile verrà
ricordato pure da Isidoro di Siviglia (De vir. ili, 28, PL 83, 1098).
32 Cf. Opus Epistolarum Des. Erasmi Roterodami, ree. P.S. Alien et
H.M. Alien, t. Ili, Oxford 1913, pp. 98-100.
33 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., pp. 129-134.
34 Cf. DPAC, I, 1271 (S. Pricoco).
Introduzione 13

la qualità stilistica35 e lo spessore delle sue opere sul piano


culturale e dell’erudizione, si comprende come l’attività lette­
raria di Eucherio sia la testimonianza evidente di u n ’accurata
formazione non solo cristiana e spirituale, ma anche classica,
umanistica e scolastica36.
G li scritti del vescovo di Lione rivelano, anzitutto, uno
spiccato interesse nei confronti della Sacra Scrittura, oggetto
- d’altronde - di lettura e di meditazione costante nella vita
contemplativa condotta dall’autore, secondo il modello del
monacheSimo orientale. Nelle Form ulae spiritualis intelli-
g en tiae37, dedicate al figlio Verano, Eucherio mira in primo
luogo ad elaborare un proprio metodo esegetico, pur ispiran­
dosi largamente a Giovanni Cassiano e ad altri scrittori38.
Nella Praefatio all’opera, infatti, egli individua una triplex
scripturarum regula, secondo la quale il testo biblico può
essere sottoposto alla lettura letterale, a quella morale (o tro ­
pical e, infine, all’interpretazione spirituale (o anagogica).
Sulla scia di Cassiano39 Eucherio stabilisce un rapporto stret­
to e funzionale fra le tre soluzioni testé accennate e la divisio­
ne tripartita dell’uomo e della filosofia, osservando come la

35 Cf. Sul vasto e qualificato consenso in proposito, cf. supra, note


31 e32.
36 Su questo punto centrale, riguardante Eucherio come intellettuale
e scrittore - prescindendo dal cristiano e dall’asceta - , si vedano gli
approfonditi studi del Courcelle (Les lettres grecques en Occident, Paris
1943, pp. 216-218; Nouveaux aspects de la culture lérinienne, REL 46
[1968], pp. 379-409).
37 PL 50, 727-772; C SE L 31,1894, pp. 3-62 (K. Wotke).
38 Girolamo, ovviamente, in primo luogo (cf. DPAC, I, 1272), di cui
fruisce anche come traduttore latino della Scrittura (cf. L.-S. Le Nain de Til­
lemont, op. cit., p. 129). Altre auctoritates sono Ambrogio e Agostino (cf. L.
Cristiani, Eucher [saint], DSp, IV/2, 1654).
39 Cf. Coni, XIV, 8, ed. E. Pichery, SCh 54, pp. 189-192.
14 Introduzione

lettura letterale corrisponda al corpo umano e alla fisica (o


filosofia naturale,), quella morale si rispecchi nell’anima
dell’uomo e nell’etica (o morale), mentre la lettura spirituale
si accorderebbe con lo spirito umano e con la logica (o filoso­
fia razionale) 40. Questa metodologia ermeneutica, peraltro,
non viene poi applicata troppo coerentemente nel corso delle
Formulae. L’autore, infatti, raggruppando in rubriche (ani-
mantia, Hierusalem, interior homo, m em bra Domini, terre­
na, ecc.) e cercando di interpretare tutte le espressioni bibliche
maggiormente ricorrenti, non va al di là di u n ’esegesi pura­
mente duplice, cioè letterale e, più ancora, allegorica del lin-
guaggio scritturistico41.
A ll’altro figlio, Salonio, Eucherio dedica un secondo lavo­
ro di carattere esegetico, le Instructiones ad Salonium 42, per
l’appunto, articolate in due libri. N el primo libro, servendosi
del metodo scolastico improntato a domande e risposte, l’autore
spiega in maniera sintetica ma chiara una certa quantità di pas­
si biblici di difficile lettura, dalla Genesi «//'Apocalisse 43. Il
secondo libro, più breve, chiarisce il significato e l’origine di
una serie di termini difficili contenuti nell’Antico e nel Nuovo
Testamento (nomigreci ed ebraici, toponimi, ecc.)44.

40 Cf. Institutum Patristicum Augustinianum, Patrologia, voi. Ili, cit.,


p. 481; DPAC, I, 1272 (S. Pricoco).
41 Cf. C. Curti, Spiritalis intelligentia. Nota sulla dottrina esegetica di
Eucherio di Lione, Kerigma und Logos. Festschrift C. Andresen, Gòttingen
1978, p. 15.
42 PL 50, 773-822; C SE L 31,1894, 63-161 (K. Wotke).
43 Cf. DSp, IV/2, 1654 (L. Cristiani); Institutum Patristicum Augusti­
nianum, Patrologia, voi. Ili, cit., p. 481; DPAC, I, 1271-1272 (S. Pricoco).
44 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., pp. 129-130; Institutum
Patristicum Augustinianum, Patrologia, voi. Ili, cit., p. 481; DPAC, I, 1272
(S. Pricoco).
Introduzione 15

Nonostante lo sforzo teoretico e metodologico cui si è


accennato, l'esegesi di Eucherio non arriva quasi mai a essere
realmente originale. Oltre che a Cassiano, egli si rifà ad A m ­
brogio, ad Agostino e, soprattutto, al Girolamo degli O nom a­
stica e di altri lavori biblici, specie nelle pagine del primo libro
delle Instructiones dedicate ai Salmi e in tutto il secondo libro.
Del resto, è l’autore stesso a riconoscere, nella Praefatio alle
Instructiones, il proprio debito nei confronti dei maggiori ese­
geti precedenti A dispetto di questo limite, le due opere ese­
getiche di Eucherio verranno molto apprezzate durante tutto il
Medioevo, fino all’età umanistica, al punto da esser usate a lun­
go come manuali di ermeneutica biblica all’interno delle scuole
monastiche, forse soprattutto per la loro efficace impostazione
didattica. Questa lunga influenza esercitata sull’esegesi medie­
vale dalle Formulae e dalle Instructiones è provata special-
mente dalla ricchezza della tradizione manoscritta, diffusa nei
più importanti scriptoria del Medioevo europeo. I numerosissi­
m i codici, inoltre - con tutte le interpolazioni, le varianti e le
aggiunte che presentano -, testimoniano la costante attenzione
rivolta lungo i secoli medievali ai due scritti esegetici di Euche­
rio, sui quali si è intervenuto di volta in volta secondo i vari e
successivi sviluppi e orientamenti della scienza biblica46.
Oltre agli interessi ascetico-spirituali e biblici, Eucherio
coltivò anche il genere storico-agiografico, lasciandoci quella
Passio Acaunensium martyrum 47 che il Tillemont giudica

45 Cf. Instruct., I, Praef., CSEL 31, p. 65, 6-8, p. 139, 19-20. Sui
modelli esegetici di Eucherio si veda anche supra, note 38 e 39.
46 Cf. DSp, IV/2, 1654; Institutum Patristicum Augustinianum, Patro­
logia, voi. Ili, cit., p. 481; DPAC, I, 1272 (S. Pricoco).
47 PL 50, 827-832; CSEL 31, 1894, pp. 163-173; ed. B. Krusch,
MGH, Scr. rer. Mer., t. Ili, 1896, pp. 32-39.
16 Introduzione

come «l’ouvrage le m ieux écrit» dal vescovo di L io n e48. Que­


sto testo rappresenta, fra l’altro, la fo n te più antica e impor­
tante per la conoscenza di uno degli episodi più celebri tra
quelli relativi alla storia delle persecuzioni: il martirio della
legione Tebana (o Tebea) 49. Lautore racconta che questa
unità dell’esercito romano, arruolata nella regione egiziana
della Tebaide, era composta solamente da comandanti e solda­
ti cristiani. Da qui il loro rifiuto di partecipare alle sanguinose
operazioni di polizia ordinate da Massimiano (286-305/306-
310) contro alcuni correligionari. D i fronte a questo loro
atteggiamento, l’imperatore ordinò che i 6600 legionari cri­
stiani venissero puniti con durezza esemplare. Così la legio
tebana fu dapprima decimata per due volte consecutive e, alla
fine, interamente trucidata. Il fatto avvenne presso Acaunum,
l’odierna cittadina svizzera di Saint Maurice, nel Canton Vai-
lese, in un anno compreso fra il 284 e il 305. Eucherio cita
esplicitamente, fra i martiri, gli ufficiali Maurizio (da cui il
toponimo), Candido, Essuperio e Vittore. Fin qui la versione
della Passio eucheriana che, come si è detto, costituisce la più
antica fonte dell’evento ricordato. A ltre notizie più tardive,
invece, riferiscono che diversi componenti la legione sarebbe­
ro stati uccisi non solo ad Acaunum, ma pure in altre città,
specialmente sul Reno, fra le quali Bonn e Colonia, Xanten e
Treviri. A lcuni scavi archeologici, condotti nel 1928 e negli
anni seguenti nella collegiata di Bonn, hanno riportato alla
luce la basilica paleocristiana (IV secolo) dei martiri Cassio e

48 op. cit., p. 131.


49 Sull’argomento si veda almeno K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia
della Chiesa, voi. I (L’antichità cristiana), tr. it., 1969 5, p. 119, con la biblio­
grafia fino al 1948. Per un aggiornamento bibliografico al 1961, cf. DSp,
IV /2 ,1658-1659 (L. Cristiani); DPAC, 1 ,1272 (S. Pricoco).
Introduzione 17

Fiorenzo - membri della legione Tebana - e un altro edificio


commemorativo anche più antico50. Pure a Xanten (il nome
deriva significativamente da ad SanctosJ gli scavi eseguiti nel­
la chiesa di San Vittore hanno consentito di rinvenire alcune
tombe di martiri risalenti al I V secolo51.
Eucherio avrebbe scritto la Passio Acaunensium marty-
rum verso il 45 0 52. Se il dato fosse certo, si tratterebbe quindi
della sua ultima opera, composta proprio alla vigilia della
morte. In ogni caso, se l’epistola d ’accompagnamento alla
Passio è autentica, l’autore compose questo lavoro durante il
suo episcopato, al pari degli scritti esegetici. Tale lettera, infat­
ti, è indirizzata ad un Salvius (o Silvius,), indicato come vesco­
vo di O ctodunum nel Valais, che Eucherio chiama frater,
presentandolo chiaramente in questo modo come suo confra­
tello nel ministero episcopale53. Questa missiva del nostro
autore al vescovo Silvio è, tra l’altro, l’unica lettera eucheria-
na sicuramente autentica che ci sia pervenuta54.

50 Cf. H. Lehner, RQA 1930, pp. 133-151; Th. Klauser, in F. Nus-


sbaum, Bonn und sein Miinster, 1939, pp. 35-39.
51 Cf. F. Riitten - A. Steeger, Rheinische Vierteljahrsbl. 1933, pp. 281-
320; W. Neuss, RQA 1934, pp. 177-180.
52 Così il DSp, IV/2, 1654 (L. Cristiani). Pricoco la dice «composta a
Lione negli anni del vescovato» di Eucherio (DPAC, I, 1271).
53 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 131; G.É. Griffe, op. cit.,
voi. II, p. 287, nota 50; Institutum Patristicum Augustinianum, Patrologia,
voi. Ili, cit., p. 481; DPAC, I, 1271 (S. Pricoco).
54 PL 50, 827-828; CSEL 31, 1894, p. 173 (K. Wotke); ed. B. Krusch,
MGH, Scr. rer. Mer., t. Ili, 1896, pp. 39-41. Pricoco è invece cauto al riguar­
do (DPAC, I, 1271).
18 Introduzione

3. I l D e l a u d e e r e m i

Come si è già accennato nel primo paragrafo di questa


introduzione, Eucherio scrisse il primo dei suoi due capolavo­
ri, il De laude erem i55, durante il periodo lerinese e, più pre­
cisamente, nell’arco dei pochi mesi compresi fra l ’elezione di
Onorato a vescovo di Aries nel 427 (o 428) e la successione a
lui da parte di Ilario su quella medesima cattedra episcopale,
nel 429 (o 430). Infatti nelle pagine proemiali Eucherio si
compiace del fatto che Ilario, al quale dedica il D e laude ere­
mi, abbia scelto di tornare alla vita solitaria e ascetica di Leri-
no, dopo aver accompagnato Onorato ad Arles in occasione
della nomina episcopale di quest’ultim o56. Pertanto, se l’auto­
re fosse nato realmente intorno al 380, secondo l’ipotesi rife­
rita all’inizio 57 avrebbe intrapreso alquanto tardi la propria
attività letteraria, componendo questo suo primo lavoro tra i
57 e i 60 anni d’età, quindi già carico di esperienza umana e
spirituale. E, in effetti, al di là di ogni congettura, il De laude
eremi è opera che testimonia indubbiamente una compiuta
formazione e una piena maturità nel suo autore - ancorché
«esordiente» - sia sul piano dei contenuti ascetico-spirituali e
culturali, sia sotto il profilo stilistico e letterario.
Abbiamo appena ricordato che Ilario, insigne confratel­
lo lerinese di Eucherio e come lui futuro vescovo, è il dedica­
tario del De laude eremi. Questa scelta, da parte del nostro
autore, è in qualche misura illum inante circa il significato, le

55 PL 50, 701-712; CSEL 31, 1894, pp. 177-194 (K. Wotke); ed. S.
Pricoco, Catania 1965.
56 Cf. Laus, 1-2, ed. Pricoco, pp. 45-47.
57 Cf. supra, l’esordio della presente introduzione e la nota 1.
Introduzione 19

ragioni e le finalità dell’opera di cui ci stiamo occupando. Se


Eucherio, infatti', elegge come destinatario di questo suo
scritto un cenobita di Lerino, al pari di sé, ciò non significa
forse che la figura di Ilario assurge a emblema e tipo della
vita monastica e che, di conseguenza, il D e laude eremi è
dedicato in ultima analisi all’intera comunità monastica fo n ­
data da Onorato? Tanto è vero che, nei capitoli del proemio,
le virtù esaltate dall’autore nel futuro vescovo d i Arles rien­
trano fra quelle comuni e proprie della professione monastica
e della vita contemplativa: dall’am ot eremi all’am or D e i5®
dalla povertà volontaria alla santità dei costum i59. Ora, stan­
do così le cose, il D e laude erem i non è da ritenersi tanto
u n ’opera di esortazione alla scelta monastica - o addirittura
un «protrettico alla vita eremitica», com’è stato da taluno
interpretato 60 - quanto, piuttosto, u n ’esaltazione della vita
orante e solitaria diretta a quelli che monaci sono già, una
proposta di meditazione per fa rli più consapevoli sul senso
della loro vocazione e confermarli nello stato abbracciato,
u n ’opera che «si rivolge a coloro che già vivono nell’eremo,
per chiarire le ragioni della loro scelta ed esaltare la grandez­
za soprannaturale della loro condizione» 61. In definitiva, sot­
to quest’aspetto, il D e laude erem i è un fru tto e u n ’espressio­
ne della vita comunitaria, nonché un atto d ’amore e di solle­
citudine verso i confratelli.
La dedica ad Ilario spiega, inoltre, il perché della forma
epistolare in cui è redatto l’opuscolo eucheriano. Sempre nel

58 Laus, 1, ed. Pricoco, p. 47,1. 21.


59 Cf. Laus, 3, ed. Pricoco, p. 48,11. 32-34.
60 L. Alfonsi, II «De laude eremi» di Eucherio, «Convivium» 36 (1968),
p. 369. Cf. anche p. 362.
61 S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p. 159.
20 Introduzione

proemio l’autore osserva come il suo destinatario - col quale


evidentemente intrattiene un rapporto epistolare abbastanza
regolare all’interno del complesso monastico lerinese - lo
abbia sollecitato spesso a rispondere «con più ricchezza di con­
tenuti» alle sue lettere, che Eucherio definisce, a differenza
delle proprie, spatiosissimae e facundissim ae62. Finalmente,
quindi, col D e laude eremi il nostro autore accoglie le insi­
stenti richieste del confratello e si decide a sua volta a indiriz­
zargli u n ’epistola piuttosto ampia, articolata e ricca di conte­
nuti, presumibilmente sul modello delle lettere stesse inviate­
gli da Ilario e di altre che, forse, circolavano con una certa fre­
quenza nell’ambiente lerinese, destinate meno all’informazio­
ne dei singoli che all’edificazione di tutti. I l linguaggio e lo
stile del De laude eremi, comunque, trascendono di molto le
caratteristiche e i lim iti del sermo epistularis63, tradendo da
un lato l’intento edificatorio dell’autore nei confronti del­
l’intera comunità monastica lerinese e, d’altro canto, testimo­
niando il raffinato background classico della sua accurata
educazione retorica (tipica dell’aristocrazia gallo-romana di
quel tempo M) e delle sue selezionate letture, inclusi evidente­
mente i grandi epistolari degli autori antichi65.

62 Laus, 3, ed. Pricoco, p. 48,11. 37-38.


63 Cf. L. Alfonsi, art. cit., p. 363 e nota 9.
M Sulla matrice etno-culturale e sociale di Eucherio si veda l'inizio di
questa introduzione. Riguardo alla sua formazione classica cf. supra pure la
nota 36.
65 Sia classici che cristiani. Non a caso, tra le fonti e gli ispiratori di
Eucherio il Courcelle individua, tra gli altri, grandi epistolografi come Giro­
lamo e Cicerone, Seneca e Agostino (cf. Nouveaux aspects de la culture léri-
nienne, cit., pp. 380 [e nota 3], 381 [e nota 4], 383 [e nota 2], 384, 386 [e
nota 2], 387-390 [e nota 3], 391 [e note 1, 3], 392 [nota 1], 393 [e note 1-2],
394 [e nota 1], 395-397 [e nota 1], 398 [e nota 3], 399).
Introduzione 21

Per quel che concerne la struttura e i contenuti del De


laude eremi, si osserva come l’operetta sia chiaramente divisa
in due parti. La prima parte ha inizio subito dopo il proemio
al quale abbiamo accennato, ossia verso la metà del capitolo
3, per giungere fin o a tutto il capitolo 27, occupando quindi
circa la metà dell’intero lavoro. In questi 25 capitoli Eucherio
si propone di dimostrare che il deserto è il luogo privilegiato
per l’incontro con Dio, per la preghiera, per la pratica
dell’ascesi e per lo sviluppo della vita spirituale fin o al vertice
della santificazione. E per certificare tutto ciò l’autore ricorre
alla Sacra Scrittura, invitando a riflettere su una molteplicità
di esempi sia veterotestamentari (capp. 5-20) sia neotestamen­
tari (capp. 21-26). In altri termini, già in questo suo primo
scritto Eucherio coltiva quel vivissimo interesse biblico ed ese­
getico che, come si è visto 66, avrebbe testimoniato nelle opere
posteriori. A conferma di ciò basti osservare il numero delle
citazioni o allusioni scritturistiche contenute nel De laude
eremi: 8 dalla Genesi, 24 dall’Esodo, 2 dai Numeri, 16 dal
Deuteronom io, 2 da Giosuè, 2 da 1 Samuele, 5 da 1 Re, 8 da
2 Re, 3 da Neemia, 1 da Giuditta, 26 dai Salmi, 1 dai P ro ­
verbi, 3 dal Cantico dei cantici, 1 dal Siracide, 2 da
Geremia, 1 da Zaccaria, 1 da 2 M accabei (per un totale di
106 riferimenti all'Antico Testamento); poi 18 da Matteo, 2
da Marco, 3 da Luca, 6 da Giovanni, 3 dagli Atti degli apo­
stoli, 1 da Romani, 5 da 1 Corinti, 2 da 2 Corinti, 2 da Efesi­
ni, 1 da Filippesi, 1 da 2 Tessalonicesi e 3 da Ebrei (in tutto
47 riferimenti al Nuovo Testamento). Complessivamente,
quindi, si hanno ben 153 riferimenti testuali e indiretti alla
Sacra Scrittura, il che costituisce un materiale biblico più che

66 Cf. supra, il secondo paragrafo dell’introduzione e le note 37-46.


22 Introduzione

considerevole in relazione a un opuscolo composto da 44 bre­


vi capitoli qual è il D e laude eremi. Da notare, infine, che i
riferimenti veterotestamentari sono più del doppio rispetto a
quelli neotestamentari, non per effetto di una qualche prefe­
renza o scelta «ideologica» da parte dell’autore, ma per il sem­
plice motivo che l’Antico Testamento, come si vedrà, gli offre
una maggiore quantità di esempi e di testimonianze a soste­
gno di quanto egli intende dimostrare.
Qui, tuttavia, in particolare, la Parola di Dio viene «usa­
ta.» e interpretata in funzione squisitamente ascetico-spirituale
e monastica, cioè per supportare la tesi che la scelta del deserto
- operata nel vicino Oriente e soprattutto in Egitto da parte
del primo monacheSimo, e poi proseguita coerentemente in
Occidente - non sarebbe una novità né una deviazione rispet­
to alla spiritualità biblica, ma avrebbe il suo saldo fondamento
e la sua indicazione inequivoca nella rivelazione divina.
Il nostro scrittore comincia col chiedersi come si potreb­
be definire nel modo più appropriato la «vita solitaria», la
«solitudine» (erem us)ùl, e risponde che si tratta del «tempio
senza confini del nostro Dio» (incircumscriptum Dei nostri
tem plum j 68. Dio è ovunque, questo è chiaro, precisa Euche­
rio, ma «preferisce visitare soprattutto la celeste solitudine
dell’eremo» (peculiarius visitationem dignatur eremi et caeli
secretim i)69 in compagnia di quegli asceti e di quegli uom ini

67 Laus, 3, ed. Pricoco, p. 48, 1. 41. Il termine latino (che in italiano


abbiam reso di volta in volta come eremo, deserto, solitudine, luogo solitario
e simili) deriva dall’aggettivo greco erèmos, sostantivato in erème o éremos
(sottinteso chóra), entrambi di genere femminile. Per ulteriori dati ed esem­
pi, cf. L. Rocci, Vocabolario greco-italiano, Città di Castello 1990, p. 762.
68 Laus, 3, ed. Pricoco, p. 48,11. 39-40.
69 Laus, 3, ed. Pricoco, p. 49,1. 50.
Introduzione 23

spirituali per i quali i deserti sono stati espressamente creati,


perché l’aridità del suolo sarebbe stata compensata dalla
fecondità della loro folta presenza 70. Infatti, non a caso, il
Signore «si è mostrato ai suoi santi» proprio nel deserto, a
cominciare da quei protagonisti della storia sacra che sono
Mosè ed E lia71. I l primo dei due vi ha incontrato Dio per la
prima volta e ne ha udita la voce, dialogando familiarmente
con Lui. Il deserto, inoltre, per Mosè è stato il luogo della sua
elezione e investitura da parte di Dio, poiché «dopo essere
entrato nel deserto come pastore di pecore, torna dal deserto
come pastore di popoli» 72. La condizione eremitica, quindi,
come fo n te di grandezza spirituale, di autorità e di carismi,
concessi da Dio e destinati al servizio dei fratelli.
Questo primo riferimento al popolo eletto consente
all’autore di soffermarsi per ben nove capitoli (8-16) sul rap­
porto - letto sempre in chiave ascetico-spirituale - fra la soli­
tudine del deserto e la nazione ebraica in pellegrinaggio verso
la Terra promessa. I l popolo ebraico, in questo senso, è visto
anch’esso come «personaggio», come uno dei «santi» di cui si
parla nelle pagine di cui ci stiamo interessando e, quindi,
come un modello a cui gli asceti sono invitati a far riferimen­
to per confermarsi nella loro scelta di vita. Il «popolo di Dio»,
scrive dunque Eucherio, merita apprezzamento perché «ha
cercato i luoghi appartati» e «si è rifugiato nei posti solitari
per avvicinarsi (...), nella solitudine, a quel Dio che lo aveva
riscattato dalla schiavitù»·73 ed è stato proprio questo atteggia­

70 Cf. Laus, 5, ed. Pricoco, pp. 49-50.


71 Cf. Laus, 7-16, ed. Pricoco, pp. 50-58 e 48,11. 47-48.
72 Laus, 7, ed. Pricoco, p. 51,11. 94-95.
73 Laus, 8, ed. Pricoco, pp. 51-52,11. 98-99.
24 Introduzione

mento positivo a guadagnargli la compiacenza di Dio che,


durante la peregrinazione, lo ha assistito con tu tti i doni e i
benefìci di cui la Scrittura ci dà testimonianza. «Così i fig li di
Israele», conclude lo scrittore, «mentre vivevano nelle solitu­
dini, hanno meritato di vedere il luogo dove si trova Dio (Dei
sedem) e di ascoltare la sua voce»1A, dimostrando così che «la
strada verso la vera patria passa sempre tutta attraverso i luo­
ghi solitari» (Totum semper ad veram patriarci eremi man-
sionibus iter p an d itu r)75. Naturalmente Eucherio sa bene che
il significato del cammino «penitenziale» del popolo ebraico e
dei doni da lui ricevuti nel deserto va interpretato allegorica­
mente, ma ciò gli fa ulteriormente gioco nel suo proposito di
sottolineare il valore morale e spirituale della vita solitaria e
dei beni che essa procura, facendoci «diventare fin da quag­
giù», dichiara l’autore, «tali come saremo nella felicità
dell’eterna beatitudine»lè.
Dopo aver seguito l’itinerario (rivisitato spiritualmente)
del popolo eletto, Eucherio entra anche lui - per dir così - nella
Terra promessa, soffermandosi sul personaggio di Davide. E
viene osservato, in proposito, come il futuro re di Israele sia
riuscito a sfuggire alla violenza di Saul «solo ritirandosi nel
deserto» (non nisi cum desertum expeteret), cioè nell’unico
luogo in grado di garantire pace e serenità, salvezza e pienezza
di vita. Nella solitudine di quel luogo e di quella condizione,
inoltre, l’eroe biblico - «dopo essersi santificato» (sanctus) - ha
potuto contemplare «nello stesso tempo la potenza e la gloria di
Dio» (Dei virtutem pariter et gloriami11. Il deserto, in definiti­

74 Laus, 13, ed. Pricoco, p. 56,11. 156-157.


75 Laus, 16, ed. Pricoco, p. 58,11. 185-187.
76 Laus, 15, ed. Pricoco, p. 57,11. 180-181.
77 Laus, 17, ed. Pricoco, p. 5 8 , 11. 194-195.
Introduzione 25

va, gli ha consentito non solo di sottrarsi ai molti pericoli ester­


ni, ma anche di purificarsi e di incontrare Dio.
Continuando a raccontare «questa sua storia dell’asceti­
smo attraverso il Vecchio Testamento» 78 il nostro scrittore
torna nuovamente su E lia79, presentandolo come «il più gran­
de frequentatore di luoghi solitari» (maximus secretorum
colonus). Richiamati brevemente i prodigi avvenuti per opera
sua proprio nei deserti, Eucherio sottolinea che il coronamen­
to di tutto ciò è stata l’ascesa del grande profeta al cielo, «por­
tato via da un carro infuocato» ("ardenti curru raptus) 80. Il
deserto, pertanto, come scenario dei mirabilia Dei e, al culmi­
ne, come possibilità dell’esperienza mistica, del godimento
anticipato della gloria celeste e dell’ingresso fin da quaggiù
nel regno escatologico81.
E poi la volta di Eliseo, «che coltivò [anche lui] questa
vita e questa potenza» (consectator vitae huius atque
virtutis,), cioè la condizione eremitica e i miracoli che essa ren­
de possibili. I l discepolo di Elia, anzi, superò il suo maestro e,
dopo tanti altri portenti, arrivò al punto di resuscitare un
defunto quando lui stesso era «già morto» 82. ha santità e i
carismi ottenuti con la pia frequentazione del deserto - inten­
de suggerire Eucherio sul piano ascetico-spirituale - portano
con sé il rinnovamento dell’esistenza, la rinascita spirituale,
V'a cquisto-dono di una vita nuova e la vittoria sulla morte, che

78 L. Alfonsi, art. cit., p. 365.


79 Cf. supra, nota 71. Questo secondo riferimento a Elia si ha in Laus,
18, ed. Pricoco, pp. 58-59.
S0Laus, 18, ed. Pricoco, p. 59,11. 199-200.
81 Cf. il paragrafo L'eremo come paradiso, in S. Pricoco, L’isola dei
santi, cit., pp. 154-164.
82 iam defunctus (Laus, 19, ed. Pricoco, p. 59,1. 208; per l’intero passo
su Eliseo, cf. 11. 201-208).
26 Introduzione

si fa "apparente” e provvisoria come quella di Cristo. E d è


appunto al Cristo, quindi, che il monaco diviene più che mai
somigliante, pure al di là della soglia suprema.
La rassegna dei testimonia veterotestamentari si conclu­
de con il riferimento ai «figli dei profeti» che «abbandonavano
le città e andavano verso il Giordano» (relictis urbibus expe-
tebant... Iordanem), presso il quale «si costruivano delle
capanne in luoghi appartati, vicino al fiu m e solitario» (extrue-
bant in abditis tabernacula remoto iuncta to rren ti)83. E chia­
ro che Eucherio allude qui alla cosiddetta festa ebraica “delle
capanne” o “dei tabernacoli", celebrata - con un complesso
rituale84 - come espressione di ringraziamento al Signore per
il raccolto dei campi®. Col tempo la “festa delle capanne” ave­
va assunto un significato rievocativo del pellegrinaggio degli
Israeliti nel deserto, durante il quale avevano abitato in capan­
ne di fo rtu n a 86. I l autore, quindi, sia in quell’esperienza origi­
naria del popolo ebraico, sia nella festività celebrativa della
medesima, individua un altro tipo e un altro segnale relativi
alla vita eremitica, questa volta particolarmente vicini pure sul
piano esteriore al regime ascetico dei Padri del deserto e dei
loro continuatori occidentali, soprattutto nelle solitudini
dell’arcipelago lerinese. Non a caso, infatti, subito dopo,
Eucherio non trascura di aggiungere che «la schiera santa
(degli Israeliti nelle capanne: n.d.c.) vegliava sulle rive del fiu ­
me isolato, come se avesse avuto delle tende e delle abitazioni

83 Laus, 20, ed. Pricoco, pp. 59-60,11. 209-211.


84 Cf. Nm 29, 12-38.
85 Cf. Es 23,16.
86 Cf. Lv 23, 42-43. Si veda anche H. Obermayer - K. Speidel - K.
Vogt - G. Zieler, Piccolo dizionario biblico, ed. it. a cura di A. Minissale,
Roma 1982 4, p. 127.
Introduzione 27

adeguate» (Excubabat cohors sancta secreti fluminis ripis,


velut quibusdam sparsa tentoriis et habitationibus con-
gru isj87; un’immagine e u n ’osservazione che, con tutti gli ele­
m enti che evocano (la veglia di preghiera, la solitudine, la
povertà gioiosa), fanno aderire in pieno l’episodio biblico alle
condizioni ed espressioni della vita monastica.

Dall’Antico al Nuovo Testamento, «dove l’ideale asceti­


co prende il suo maggior impulso e vigore» 88 secondo la
visione di Eucherio. E il primo posto, in senso cronologico e
quindi anche nell’iter espositivo, spetta naturalmente a Gio­
vanni Battista, colui che non solo grida nel d eserto 89, ma lì
pure abita, prega e pratica la penitenza: vero precursore, in tal
senso, non solo del Salvatore, ma anche del movimento mo­
nastico 90. I l passaggio agli esempi neotestamentari e la cele­
brazione del Battezzatore, in particolare, riscaldano qui e cor­
roborano lo stile del retore Eucherio, che esordisce con degli
interrogativi retorici («[Giovanni] non viveva forse in un
deserto?») e prosegue immediatamente con una anafora adat­
ta ed espressiva: è in deserto che Giovanni battezza, in deser­
to invita a convertirsi, in deserto annuncia il regno di Dio. Il
Battista, conclude l’autore alludendo specialmente alla fru i­
zione ascetico-monastica della testimonianza di lui, non pote­
va non abitare nel deserto, perché è là che chi li cerca può tro­
vare «più rapidamente» (citius,) i beni che valgono di più, ed

87 Laus, 20, ed. Pricoco, pp. 59-60,11. 211-213.


88 L. Alfonsi, art. cit., p. 365.
89 M t3 ,3 .C f. Is 40,3; Gv 1,23.
90 Cf. Ieron., Hom. in lohannem Ev., p. 517, 24s.; p. 518, 42s. (cit. in
S. Pricoco, L'isola dei santi, cit., p. 160, nota 126); G. Turbessi, Ascetismo e
monacheSimo prebenedettino, Roma 1961, p. 75; D. Knowle, Il monacheSimo
cristiano, tr. it., Milano 1969, p. 9.
28 Introduzione

è là che comincia la strada «verso il regno celeste» (in cadeste


regnum) 91.
E poi la volta dei cinque capitoli cristologici (22-26), in
cui il nostro scrittore tocca il punto più alto di questa prima
parte scritturistica del D e laude eremi, identificando nel Cri­
sto il divino cultore della solitudine contemplativa e, con ciò
stesso, il più autorevole promotore e modello della vita mona­
stica. E, per giunta, non si tratta solo del Figlio di Dio, ma
pure dello Spirito Santo, ché per sua ispirazione e sotto la sua
guida Gesù, subito dopo aver ricevuto il battesimo nel Giorda­
no dalle mani di Giovanni, si porta nel deserto. E per l’inter­
vento dello Spirito, quindi, se «la prima cosa che [il Signore]
pensa di dover fare è andare senz’altro in un posto solitario»
(nihil sibi prius agendum putat, quam ut ad secreta conten­
d a ti Lo Spirito Santo come divino fautore - anche Lui, insie­
me al Cristo - della scelta eremitica, ascetica e contemplativa:
questo è l’importantissimo messaggio di Eucherio in questa
pagina del suo primo opuscolo. E alla luce di questo insegna­
mento così solenne, decisivo e gravido di conseguenze sugli
orientamenti etico-spirituali dei cristiani, si spiega il tono apo­
logetico della fin e del capitolo, quando l’autore osserva che
Gesù andò nel deserto non solo perché «ardeva (...) dal deside­
rio della solitudine» (Eremi... ardore flagrabaO, ma anche
«per dar[ci] un esempio salutare» (salutaris auctor exempli).
Infatti non aspirava alla condizione solitaria per sé, che non ne
aveva bisogno, ma voleva prospettarla a noi. «E se Dio, che
non può sbagliare», si chiede in conclusione Eucherio con
u n ’altra domanda retorica, «ha scelto volutamente [la solitudi­
ne], quanto più questa sarà necessaria agli uomini, che sono

91 Laus, 21, ed. Pricoco, p. 60,11. 220 e 222.


Introduzione 29

soggetti agli errori?» (Quae si votiva Deo ab erroribus libero,


quanto magis necessaria homini erroribus obnoxio?,)92.
Lontano dalla folla e nel silenzio, Gesù vive «come se fos­
se tornato in cielo» (tamque in caelum revectus), viene servito
dagli angeli e respinge le tentazioni dell’«antico avversario»
(boston illum antiqui temporis). «La virtù del deserto è gran­
de» (laus magna deserti), se è vero che il diavolo «aveva vinto
nel paradiso [terrestre]», ma nei luoghi solitari si vede costretto
a soccombere93. Come si nota, Eucherio continua a sviluppare
con puntualità e coerenza il proprio discorso, confrontando da
vicino, uno dopo l’altro, gli esempi biblici con la vita dei mona­
ci. Come Gesù nel deserto, anche loro nell’eremo sono soli, in
silenzio, vivono come in cielo94, si incontrano con gli angeli^ e
lottano vittoriosamente con il demonio96.
N ei deserti, peraltro, il Cristo non si è limitato a pregare
in solitudine, ma vi ha pure operato alcuni miracoli, circonda­
to dalle masse. Così è accaduto quando «ha dato da mangiare e
ha saziato migliaia di persone solo con cinque pani e due
pesci» (virorum milia panibus quinque et piscibus tantum
duobus pavit, satiavit, explevit). Ma perché questo miracolo è
avvenuto proprio in un deserto? Eucherio dà una risposta

92 Laus, 22, ed. Pricoco, p. 61,11. 236-237, 237-238 e 238-240.


93 Laus, 23, ed. Pricoco, p. 62,11. 244-245, 246-247 e 248-249.
94 Cf. supra, nota 81.
95 Cf. Mt 4, 11. Vedi Laus, 38, ed. Pricoco, p. 72,11. 419-421.
96 Cf. Mt 4, 1-11. Sul rapporto fra il monaco da un. lato e dall’altro gli
angeli e i demoni nella spiritualità e nell’agiografia del monacheSimo antico
(e, anche in questo caso, gallico), cf. M. Spinelli, Semantica di «sanguis»» e
«cruor» nel trittico martiniano diSulpicio Severo, in AA. W ., Sangue e antro­
pologia nella teologia medievale, a cura di F. Vattioni, voi. II, Roma 1991, pp.
897-900 e note 15-31 (con l’indicazione delle fonti tratte dalla Vita di san
Martino, dall’Epistolario e dai due Dialoghi).
30 Introduzione

duplice a questa domanda. A nzitutto il Signore ha voluto in


qualche modo replicare e quindi far ricordare il prodigio della
manna nel deserto del Sinai97, quasi a svelare il valore tipolo­
gico dell’episodio antico e sottolineare, in generale, il significa­
to spirituale di tutti i miracoli divini, mirati alla promozione
della fede, della santificazione e della salvezza dell’uomo. In
secondo luogo, osserva Eucherio, è nei deserti che si può tocca­
re con mano nel modo migliore la presenza e la potenza divi­
na, capace di compensare oltre ogni limite la povertà e la steri­
lità della natura. «Se» quello descritto nel Vangelo o nell’e s o ­
do «fosse stato un luogo fertile», infatti, «la potenza [di Dio]
avrebbe potuto forse rivelare la propria efficacia?» (virtus
potentiam declarasset, si habuisset locus copiam ?)98. Non è
che Dio è potente nell’eremo più che altrove; Dio è potente
ovunque nella stessa misura, ossia è onnipotente ovunque. Ma
è nella solitudine che l’uomo avverte realmente e col massimo
di intensità questa soprannaturale presenza e azione efficace di
Dio nei suoi confronti, fruendone al meglio per unirsi a Lui
nell’ascesi e nell’orazione, santificarsi ed entrare salvo nel
Regno per non più uscirne.
Ma l’esempio cristologico più eloquente, fra quelli che
«prefigurano la condizione monastica e annunziano i carismi
dell’eremo» 99 è costituito dalla Trasfigurazione, che avvenne
quando il Signore «si ritirò (secessit I0°) in un punto piuttosto

97 Cf. Es 1 6 ,14ss.
9*Laus, 24, ed. Pricoco, pp. 62-63,11. 251-252 e 259-260.
99 S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p. 160.
100 Significativa - in riferimento al Cristo, primo referente degli asceti
(cf. infra, nota 103) - la scelta di questo verbo squisitamente “monastico”.
Sulla «mistica lerinese del secessus», cf. S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p.
157 (si veda pure p. 146, nota 69; p. 163, nota 141).
Introduzione 31

appartato» (ad remotiora,), affidando «a un luogo solitario il


compito di manifestare la sua grandezza» (declarandae maie-
statis indicium secretisi Dio "si vede”, si contempla e si gode
nella sua vera essenza trascendente e gloriosa solo grazie alla
solitudine; e che questo sia per Eucherio l’obiettivo primario
della vita monastica si deduce da ciò che l’autore aggiunge
immediatamente, sottolineando il desiderio di Pietro - «con­
quistato dalla grandezza del miracolo nella solitudine del deser­
to» (adamans... magnitudinem signi in remotione deserti) - di
rimanere li con gli altri due Apostoli per gustare in eterno quel­
la visione e condizione101. Quel giorno sul Tabor, intende sug­
gerire il nostro scrittore, fu per nascere la prima laura, la prima
comunità cenobitica della storia cristiana. Le premesse c erano
tutte (la solitudine, l’oggetto e i fruitori della contemplazione),
ma i tem pi non erano maturi, perché il Cristo doveva ancora
compiere la sua missione redentiva. Senza redenzione, chiara­
mente, non ha senso e non può darsi vita monastica.
D el resto, che il deserto - segno e condizione della soli­
tudine interiore - sia l’ideale «luogo di preghiera» (orationis
locus) è cosa che Gesù stesso ha dimostrato a più riprese,
come testimoniano i Vangeli, quando lo descrivono tante vol­
te in disparte a pregare. Infatti, se è «favorita dal luogo»
(adiuta loco) e «impreziosita dalla solitudine» (honorata
secreto), la preghiera «arriva più facilm ente al cielo» (facilius
nubes... penetraret) 102. Anche sotto quest’aspetto, vuol con­
cludere Eucherio nell’ultimo dei testimonia cristologici, il
Cristo è stato il «prototipo monastico» 103 per eccellenza.

101 Laus, 25, ed. Pricoco, p. 63,11. 264-265 e 266-267.


102 Laus, 26, ed. Pricoco, p. 63,11. 270, 272, 272-273 e 271-272.
103 Cf. S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., p. 160, nota 127.
32 Introduzione

Infine, come in una sorta di appendice, l’autore dedica


ancora un capitolo (il 27) di questa prima parte del De laude
eremi a un accenno di storia monastica, citando gli esempi di
G iovanni di Licopoli104 e di Macario l’Egiziano105 per esorta­
re i lerinesi alla loro imitazione e farli più convinti del valore
incommensurabile della vita eremitica, indicata da tu tti gli
esempi precedenti come il mezzo privilegiato per toccare «la
terra col corpo» (terram... corporei e possedere «già il cielo
con lo spirito» (caelum... spiritu ia m )106.

Con il capitolo 28, come si è accennato W1, termina la


«storia dell’eremitismo» 108 veterotestamentario, neotestamen­
tario e cristiano ed ha inizio la parte più elaborativa e specula­
tiva del trattatello epistolare, dove «Eucherio svolge una sua
teoria dell’ideale ascetico» 109 Una teoria, lo si è visto fin qui,
ben fondata sulla lettura e meditazione scritturistica, a cui si
può aggiungere la già significativa esperienza ascetica
dell’autore nonché la conoscenza e assimilazione della lettera­
tura monastica del I V secolo e dei prim i decenni del V uo.
Si comincia con una molteplice definizione della «vita
solitaria», presentata insieme come «patria della fede» (fidei
sedemj, «arca della virtù» (virtutis arcam i «santuario della

104 Cf. Laus, 27, ed. Pricoco, p. 64.


iosibid.
106Laus, 27, ed. Pricoco, p. 64,11. 284-285.
107 Cf. supra, l’inizio della seconda parte di questo paragrafo
dell’introduzione, dove si parla della struttura del De laude eremi.
108L. Alfonsi, art. cit., p. 366.
109Ibid.
n ° Cf. Genn. Massi!, De script, eccl, 63, PL 58, 1097 (Eucherio lesse
non solo Cassiano, ma pure alia tam ecclesiasticis quam monasticis studiis
necessaria). Vedi anche supra, le note 24 e 25.
Introduzione 33

carità» (caritatis sacrarium), «patrimonio di spiritualità»


(pietatis thesaurum ) e «fonte della santità» (ìustitiae pron-
tuarium). Talmente prezioso è il «valore dei luoghi santificati
dalla solitudine» (magnificentia illa sanctorum abditorum
eremo) che Dio, come accorto padron di casa, li conserva
«sotto chiave» (claustris), appartati e nascosti, «difesi dalle
barriere della natura» (quam difficultatibus suis natura
observavit), al pari di tesori che non devono essere violati e
nemmeno «sciupati dalla gente che li frequenti» (he conver-
sationis hum anae usu obsolescat). Come niente nel mondo,
però, neanche gli eremi sono stati creati fin i a se stessi o per il
solo godimento di Dio. «Quando serve», infatti, il Signore «li
tira fu o ri dal segreto» (cum usus est, ex reconditis
prom itur) m . I luoghi solitari, quindi, come si conferma nel
capitolo successivo, vengono interpretati da Eucherio anzitut­
to come effetto e spazio di intervento dell’amore e del disegno
provvidenziale di Dio, che li ha creati, li ha sempre custoditi
gelosamente e li ha destinati in esclusiva a coloro che li avreb­
bero abitati per cercarlo, vivere con L u i e imitarlo proprio là.
Infatti è la «suprema e grandissima sollecitudine della
provvidenza divina» (cura divinae providentiae summa et
maxima) ad assistere i solitari nel deserto, procurando loro
cibo e bevanda, come accadde agli Israeliti guidati da Mosè. Il
sostentamento di allora durò quarant'anni, questo di adesso
«finché esisterà il tempo» (quousque anni erunt) 112. Quindi
la stessa provvidenza che ha condotto e nutrito gli Ebrei nel
deserto chiama gli asceti a vivere e santificarsi nell’eremo,
curando la loro assistenza materiale sì, ma soprattutto spiritua­

111 Laus, 28, ed. Pricoco, pp. 64-65,11. 287-288,290-292,293 e 296.


112 Laus, 29, ed. Pricoco, pp. 65-66,11. 297-298 e 311.
34 Introduzione

le, per realizzare nell'anima e nello spirito quello che i portenti


esodiaci prefiguravano nel corpo e nella materia. L ì la manna,
qui la grazia, la comunione con Dio, l’inizio della salvezza
eterna, il pellegrinaggio nuovo verso la nuova Terra promessa.
E il richiamo della provvidenza si renderà avvertibile
attraverso l’amore. I l «santo» (sanctus) che si sentirà «ardere
di amore divino» (divino igne succensus) lasci la «patria tem ­
porale» (tem porariam patriam) e «scelga questa abitazione»
(hanc... sedem legat) come patria nuova, ehé nell’eremo non
rimpiangerà niente di ciò che avrà abbandonato 113. Eucherio
individua così l’amore, centro assoluto e divino della cultura
neotestamentaria, come stimolo e ragione principale della
scelta monastica cristiana. G li esercizi ascetici verranno dopo.
L'ignis divinus è quello che deve accendersi, prima di tutto,
nel cuore dell’anacoreta e del cenobita. Quella all’eremo è
una vocazione, e l’amore ne è la spia.
Enunciato questo concetto così importante, l’autore «si
abbandona, nella piena del suo entusiasmo, (...) ad un inno ai
beneficia erem i»114, fonte di virtù e di santità per quelli che ne
godono. Sempre si nota Γ«abile impiego dei mezzi retorici che
la scuola fornisce» 115 al nostro scrittore, specie nell’antitesi -
fra l’uomo mondano e l’asceta solitario - che domina tutto il
breve capitolo 31. E questa antitesi, anzi, che permette di deli­
neare con brevi tratti efficaci la qualità della vita eremitica con­
dotta fuori «dalla confusione della convivenza umana» (ab ilio
rei publicae humanae tumultu), da «persone appartate, tran­
quille, silenziose, senza più non dico il desiderio, ma neanche la

113 Laus, 30, ed. Pricoco, p. 66,11. 312, 315-316 e 312-313.


114 L. Alfonsi, art. cit., p. 366.
115 Ibid. Cf. supra, note 36 e 65.
Introduzione 35

capacità di peccare» (sepositi, quieti, silentes, nec magis


absunt a voluntate peccandi quam a facilitate)116. Dopo il toc­
co psicologico, l’affondo etico, ascetico e spirituale. I commoda
eremi di cui si parla, d’altronde, non creano solo l’uomo equili­
brato e sereno, ma anche e soprattutto il santo che corrisponde
con quella vita, per amore, alla chiamata di Dio.
Segue un punto decisamente fondamentale. Riallaccian­
dosi all’educazione classica, ma pure a una certa tradizione cri­
stiana che rimonta a Origene, a Clemente e, prima ancora, a
Giustino ni, Eucherio osserva come i solitari nei deserti imitino
in qualche modo i Greci e i Romani, quando «si rifugiavano
nella filosofia come a casa loro» (in philosophiam se tamquam
in domum suam recipiebant). G li eremiti fanno lo stesso, solo
che non studiano la filosofia mondana così limitata, effimera e
tante volte aberrante, bensì la «sapienza più autentica» (imani-
festissimae sapientiae). Per cui, in questa condizione privilegia­
ta, l’eremo si fa «scuola» (gymnasium,) di vera sapienza, dove
nel silenzio, liberamente, gli asceti «si dedicano soltanto alla
filosofia» (philosophiae tantum vacantes)118.
E questo spunto sulla libertà viene ripreso sia nella
seconda parte del capitolo (nel deserto si ha il massimo di
libertà, con l’esercizio «delle virtù e della continenza» e con la
«solitudine del cuore» [cordis eremus] U9) sia nel capitolo
seguente. Qui, «attraverso una serie di domande, con la reto­
rica abilità di Eucherio a noi già nota» uo, l’autore ribadisce
come l’eremo sia il luogo - o, meglio, la condizione - dove «ci

n è Laus, 31, ed. Pricoco, p. 66, li. 324-326.


117 Cf. S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., pp. 155-157.
118Laus, 32, ed. Pricoco, p. 67,11. 328-329,330,333 e 332.
n 9 Ibid.,\i. 335 e 336-337.
120 L. Alfonsi, art. cit., p. 367. Cf. supra, note 36, 65 e 115.
36 Introduzione

si può sentire più liberi (magis vacare) e dove si gusta meglio


la dolcezza di Dio, si procede più speditamente verso la perfe­
zione, si hanno continue occasioni per esercitare la virtù e si
custodisce lo spirito, mentre il cuore si sente - ancora una vol­
ta - «più libero» (liberior m ) di «aderire a Dio» (Deo inhae-
rere) senza più allontanarsene 122. A l pari della philosophia,
quindi, pure quest’altro ideale classico della libertas etico-spi-
rituale mostra come la cultura di Eucherio si radichi
nell’hum us greco-romano, purificato e fecondato dal seme cri­
stiano. D ifatti i monaci vengono presentati, per certi versi,
non soltanto come i continuatori dei saggi e dei pensatori
antichi, ma soprattutto come coloro che hanno ricevuto legit­
timam ente e hanno saputo valorizzare al meglio quella ere­
dità intellettuale e m orale123.
Se il deserto, dunque, è il luogo della philosophia e della
libertas, dell’incontro con Dio e dell’inizio della beatitudine
eterna, è lì che - nonostante la tenuis pulvis che vi domina
sovrana! - si può accogliere seriamente l’invito di Gesù a
costruire la propria casa sulla roccia 124. Infatti non si tratta di
un edificio esteriore, ma di quello che si costruisce «nel cuore»

121 Un aggettivo che la dice lunga sulla spiritualità monastica euche-


riano-lerinese. In Laus, 32 l’autore, dopo aver invitato ad solitudinum liberta-
tem, si era chiesto: Ubi... liberius quam in deserti habitatione...? (ed. Pricoco,
p. 67, 11. 331 e 334-335). Una libertas etico-spirituale, questa esaltata dallo
scrittore, che peraltro è frutto non solo della redenzione, della vita di grazia
e dell’esperienza contemplativa, ma anche del secessus dal mondo e della
pratica dell’otium, incentrato sull’esercizio della vera philosophia (cf. L.
Alfonsi, art. cit., pp. 366-367; S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., pp. 155-157).
Tutto ciò a riprova dei fondamenti classici della cultura di Eucherio e del
suo milieu sociale ed ecclesiale. Vedi supra, note 36, 65, 115, 118 e 120.
122 Laus, 33, ed. Pricoco, p. 68,11. 348 e 350.
123 Cf. supra, nota 121.
124 Cf. Mt 7,24.
Introduzione 37

fin cordibus), coltivando l’umiltà, l’oblio delle cose terrene


(ìmmemores terrenorum), il disprezzo della ricchezza (abi-
ciunt divitias), la scelta della povertà (egere malunt), la «spe­
ranza e il desiderio dei beni celesti». Con questo spirito e con
questi intenti gli eremiti «lottano giorno e notte lavorando e
vegliando» (die ac nocte labore vigiliisque decertan t)125, per­
ché sono «avidi di eternità» (aeternitatis... avaros), «dissipato­
ri dell’effimero» (prodigos brevitatis), «disinteressati del pre­
sente» (ìncuriosos praesentis temporis), «certi del futuro»
(certos futuri) e della possibilità di vivere fin d ’ora il «tempo
senza fine» (saecula sine fine) 126. ha prospettiva escatologica,
come si può vedere, è la più potente ispiratrice per Eucherio
scrittore, che esprime in tutte queste immagini, metafore, sen­
tenze e definizioni il nocciolo della spiritualità monastica, con­
fermando al tempo stesso il suo talento letterario e quell’accu­
rata formazione classica e culturale che abbiamo ripetutamente
ricordato127.
Dopo questi cenni essenziali, a m o’ di "prologo”, l’autore
a questo punto avverte l’esigenza di addentrarsi più a fondo
nella spiritualità dell’eremo, illustrando le «leggi salutari iscrit­
te nell’uomo interiore» (conscriptae interioris hominis salu-
briter leges) 128. G li iura cui si ispirano i monaci sono sottili,
eterni, spirituali. Non contemplano né reati né delitti, né giudi­
ci né condanne (nel senso temporale, estrinseco e grossolano
che si attribuisce ordinariamente a questi atti od istituti), ma
additano la strada della santità, regolando «perfino l’inizio dei

125 Laus, 34, ed. Pricoco, pp. 68-69,11. 351,355-356, 360,362-365.


126 Laus, 34, ed. Pricoco, p. 69,11. 367-370.
127 Cf. supra, note 36, 65, 115, 118, 120, 121 e 123.
128 Laus, 35, ed. Pricoco, p. 69,11. 372-373.
38 Introduzione

pensieri oziosi» (vel levium cogitationum principia)129 in una


tensione costante verso la perfezione interiore. I l etica e la spiri­
tualità monastica sono superiori alle altre poiché non si limita­
no ad imporre la fuga dal male, ma esigono il compimento del
bene, iscrivendosi quindi pienamente - sottintende Eucherio -
nel quadro della morale evangelica 13°.

I l capitolo 36 del De laude eremi non registra tanto il


passaggio a una terza parte propriamente detta (le parti
dell’opuscolo sono in buona sostanza due, come si è detto e
dimostrato), quanto piuttosto l’avvio a una conclusione abba­
stanza ampia e mirata, dove l’autore - come si vedrà - dopo
aver descritto ed elogiato l’eremo anche nella sua esteriorità e
fisicità, si congeda dal lettore esaltando Lerino, il regime che
vi si osserva e le principali figure di monaci che hanno fonda­
to e illustrato l’“isola dei santi” 131.
Così Eucherio, allargando lentamente l’obiettivo dal pri­
mo piano dell’asceta al totale dello scenario in cui si invera la
sua esperienza interiore e si compie il suo cammino di perfe­
zione etico-spirituale, osserva preliminarmente che l’isola­
mento e il nascondimento dei luoghi prescelti sono soltanto
apparenti, dal momento che i monaci «non possono nasconde­
re la loro virtù» (meritum... occulere non possimi). A nche se
vive appartato nel deserto, «chi abita l’eremo è nascosto al
mondo, ma non può nascondere il suo esempio» (incoia ere­

129 Laus, 35, ed. Pricoco, p. 70,11. 378-379.


130 Infatti, precisa subito dopo l’autore, per i monaci il male non con­
siste tanto nell’«aver commesso il male» (malum fecisse), ma soprattutto nel
«non aver operato il bene» (bonum non fecisse). Monaco, quindi, è colui che
non solo medita e prega, ma vive pure santamente. Cf. Laus, 35, ed. Pricoco,
p. 70,11. 379-381.
131 Cf. Laus, 36-44, ed. Pricoco, pp. 70-79.
Introduzione 39

mi suae lateat saeculo et non lateat exemplo). Egli è la lucer­


na di M t 5, 15, la città sul monte di M t 5, 14 e Eb 12, 22, la
Gerusalemme celeste di A p 21, lss., e l’eremo - il luogo della
sua santificazione - è dunque parte integrante della sua testi­
monianza, è un modello e una via accessibile, anzi raccoman­
data a tu tti i cristiani che languiscono «nelle tenebre» 132.
I l deserto come scelta religiosa non ha niente di orrido e
di selvaggio, ma è un posto «ridente» (iocundus), dove il
silenzio dà letizia allo spirito e lo avvicina a Dio, mentre la
«calma tranquillità» (placida quies) addolcisce l’anima. Que­
sta pace, poi, non solo non viene turbata, ma al contrario è
potenziata e fatta sacra dalla «voce di Dio» che si coglie inte­
riormente e dalle preghiere vocali dei monaci, che inneggiano
al Signore coi loro «cori ardenti» (ferventes ch o ri)133. E il luo­
go è bello anche perché è protetto e sicuro, è un ovile in cui le
pecore sono salve dall’«avversario» che «freme» fuori delle
«mura invalicabili» (murorum obiectu). Nulla di male può
accadere dove Cristo stesso è «difensore» (propugnatori del
«popolo adottivo di Dio» (adoptiva Deo gens), come Eucherio
significativamente definisce la comunità dei contemplativi,
instaurando un ulteriore collegamento con l’esperienza di
Israele nel deserto. Per giunta non solo gli uomini, ma persino
gli angeli ammirano le «grandi attrattive del deserto» (sane
speciosa deserti) e «nobilitano l’eremo visitandolo spesso sen­
za essere visti» (eremum frequentia abditae visitationis illu­
stranti. E finalm ente c’è lo «sposo» in persona, il Cristo, che
«al meriggio» (meridie), l’ora della tentazione134, viene a cori­

132 Laus, 36, ed. Pricoco, pp. 70-71,11. 388, 391 e 397.
133 Laus, 37, ed. Pricoco, pp. 71-72,11. 400, 408, 406 e411.
134 Sul «demone meridiano», definito «il più opprimente di tutti», cf.
Evagr. Pont., Pract., 7, PG 40, 1273.
40 Introduzione

carsi con i suoi a m a n ti135. Una reminiscenza del Cantico dei


cantici, questa, che appare particolarmente giustificata in un
simile contesto, dominato com’è dal fascino del deserto e
dall’amore che Eucherio nutre nei suoi confronti e intende tra­
smettere ai lettori.
Lungi dall’esser sterile, la terra dell’eremo è la più fecon­
da e fa ricco il «contadino» (colonus) che la coltiva, perché è
irrigata da «sorgenti di acqua viva» (fontes... aquae vivae) che
la trasformano nel «prato» e nella «delizia dell’uomo
interiore136» (ìnterioris hominis pratum et voluptas). L i tutto
è «gioioso e incredibilmente bello» (mira amoenitate iocun-
dumj: è come trovarsi, a un tempo, nell’«eremo del corpo» e
nel «paradiso dell’anima» 137. Nessun terreno è altrettanto ric­
co di frum ento e di vino, di pascoli e di fiori, di pietre preziose,
d’oro e di altri metalli rari per nutrire, arricchire e allietare
coloro che lo abitano e lo lavorano138.
E chiaro che tutta questa descrizione ha un valore soprat­
tutto spirituale e, come si è già accennato, escatologico. Euche­
rio ci rappresenta più che altro degli “scenari dell’anima”, dei
«paesaggi fortemente idealizzati» 139 dove cerca di simboleggia­
re da un lato il percorso ascetico del monaco verso la perfezio­
ne, dall’altro il traguardo soprannaturale ed eterno, pregustato,
significato e anticipato già nella vita dell’eremo: il tutto, come
si è visto, all’insegna della bellezza e della letizia paradisiaca140.
E stato giustamente osservato, in proposito, come nelle descri-

” 5 Laus, 38, ed. Pricoco, pp. 72-73, li. 413-415 e 417-424.


136 Un motivo agostiniano ricorrente nel De laude eremi. Cf. supra,
nota 128.
137 11
Laus, 39, ed. Pricoco, pp. 73-74, . 433 e 435-440.
138 Cf. Laus, 40, ed. Pricoco, pp. 74-75.
139 S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., p. 162.
140 Cf. supra, nota 81. Si veda anche L. Alfonsi, art. cit., p. 368.
Introduzione 41

zioni eucheriane dell’ultima parte del De laude eremi si incon­


trino «i tratti tipici delle solitudini orientali» 14^ Il che non
deve sorprendere, alla luce del culto nutrito dall’autore nei con­
fro n ti dei Padri del deserto e del monacheSimo egiziano142 sen­
za considerare che la «topica del paesaggio orientale era pene­
trata, attraverso la Vita di Antonio e le biografie di Girolamo,
nell’Occidente» 143. Inoltre, chiamando nuovamente in causa
l’educazione classica del nostro scrittore, si è detto che il suo
“paesaggio ascetico” risente pure delle «suggestioni dell’ideale
romano della vita rustica»144.
Tutte queste ipotesi ed interpretazioni sono sicuramente
fondate e condivisibili. Occorre aggiungere, però, che nel
descrivere l’eremo e la vita che vi si conduce Eucherio non
lavora solo d ’immaginazione o astrazione, ma ritrae con
sostanziale aderenza e fedeltà - sia pur idealizzandolo145 - lo
scenario che ha sotto gli occhi, cioè quello costituito dal pae-
saggio e dall’ambiente lerinese. Olfatti, non a caso, gli ultim i
quattro capitoli del trattatello (41-44) sono dedicati proprio a
Lerino, di cui l’autore tesse entusiasticamente le lodi in uno
«stile panegiristico ed esclamativo» 146.
Sulle prime l’isola gallica non viene nominata, ma è evi­
dente che l’autore allude ad essa quando le si rivolge in secon­
da persona, chiamandola «terra veneranda» ("veneranda
tellus), tornando sul pregio della fecondità spirituale 147 e

141 S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., p. 162.


142 Cf. supra, note 15, 24, 25, 38, 39,104, 105 e 110.
143 S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., p. 162.
144 Ibid. Sul “classicismo” eucheriano, cf. supra, note 36, 65, 115, 118,
120 e 121.
145 Cf. supra, nota 139.
146 L. Alfonsi, art. cit., p. 368.
147 Cf. Laus, 5, ed. Pricoco, pp. 49-50; 39-40; 73-75.
42 Introduzione

ricordando che «tutti i santi» (quicum que sanctorum ) che


l’hanno abitata vi hanno trovato Dio e Cristo, hanno goduto
della convivenza col Signore, lo hanno posseduto essendone
posseduti e sono diventati essi stessi «tempio di D io » 14&.
Segue la citazione esplicita di Lerino, esaltata come rifu­
gio spirituale «dai naufragi delle tempeste mondane» (procel­
losi naufragiis m undi) e come luogo d ’ombra e di ristoro «per
chi è spossato dalla calura del mondo» (saeculi flagrantes
aestu). Poi è la volta di Onorato, che viene salutato come
auctor e pater, e degli altri praestantissimi monachi lerine-
s i 149. Q ui Eucherio, fra l’altro, non si fa sfuggire l’occasione
per ricordare Lerino anche come fucina di «sacerdoti eccellen­
ti» (ambiendos... sacerdotes) 150 e come sede di coloro che
«hanno introdotto i padri egiziani fra i nostri Galli» (Aegyp-
tios patres Gallis nostris in tu leru n t)15
I l riferimento ai confratelli impreziosisce e fa salire di
tono il panegirico dell’autore, che li ammira come «vasetti di
alabastro» che «sprigionavano una fragranza rara e soave, (...)
un profumo di vita» (Pretiosa... suavi unguedine alabastra
flagrabant, ...odor vitae). E, riallacciandosi alla dottrina spiri­

148 Laus, 41, ed. Pricoco, p. 75,11. 454, 460 e 464-465.


149 Oltre a Onorato, Eucherio ricorda Massimo di Riez, Lupo di
Troyes, Vincenzo di Lerino e Caprasio. Cf., rispettivamente, DPAC, II,
2480-2481; 2175; 2050; 3594-3595; S. Pricoco, L'isola dei santi, cit, p. 161 e
nota 132.
150 Per sacerdotes può qui intendersi anche «vescovi». Cf. supra, il pri­
mo paragrafo di questa introduzione e la nota 11.
Laus, 42, ed. Pricoco, pp. 75-77, 11. 468-469, 470, 478-479 e 487.
Lerino come “agenzia d’importazione” della cultura monastica greco-orien­
tale in Occidente. Su questo punto, perciò, Eucherio (cf. supra, note 15, 24,
25, 38, 39, 104, 105, 110, 142) non fa che proseguire una benemerita tradi­
zione del cenobio provenzale.
Introduzione 43

tuale delle pagine precedenti, lo scrittore chiude armonica-


mente 152 il D e laude eremi osservando come i lerinesi abbia­
no sempre mirato all’«immagine dell’uomo interiore» (Inte-
rioris hominis faciem )153, conquistando fin d’ora quella vita
beata a cui aspirano (Dum beatam quaerunt vitam,... eam...
iam co n seq u u n tu rj154. Lerino come paradiso, come terra pro­
messa dove anche Ilario è nuovamente approdato, dopo aver
lasciato l’oscuro Egitto del mondo e attraversato le «acque
salvifiche» (salutiferas aq u asj155.

4. I l D e contem ptu m undi

Sulla data di composizione del secondo lavoro di Euche­


rio di Lione, trasmesso con il titolo De contem ptu m undi et
saecularis philosophiae156, è l’autore stesso a fornirci u n ’indi­
cazione preziosa quando dichiara di scrivere «nell’anno 1185
dalla nascita» della civiltà romana157, cioè nel 430, secondo i
calcoli più attendibili158. Lopera, quindi, venne redatta - pro­
babilmente sempre a L erino159 - circa un triennio dopo il De

152 Un «organico trattatello» definisce felicemente Alfonsi il De laude


eremi, sottolineandone la razionale articolazione dei contenuti, fino alla coe­
rente conclusione (cf. op. cit., p. 369).
153 Cf. supra, nota 136.
!54 Laus, 43, ed. Pricoco, pp. 77-78,11. 489-491 e 497-498.
155 Laus, 44, ed. Pricoco, p. 78,11. 516-517.
156 p l 50, 711-726; BP 16, Firenze 1990, pp. 54-115 (S. Pricoco).
157 Contempi., ed. Pricoco, p. 94, Π. 569-571.
158 Cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco,
Biblioteca Patristica, 16, Firenze 1990, p. 14 (Introduzione). Vedi anche
supra, il primo paragrafo della presente introduzione, nota 14.
159 Che Eucherio lascerà, infatti, solo dopo 0 431. Cf. supra, il primo
paragrafo di questa introduzione, nota 17.
44 Introduzione

laude eremi, di cui costituisce peraltro una sorta di comple­


mento e di prosecuzione ideale, come il lettore stesso potrà
dedurre dall’analisi dei contenuti esposta brevemente nelle
prossime pagine di questa introduzione e, meglio ancora, dal­
la lettura del testo.
Scritto anch’esso in forma epistolare, al pari della Laus, il
Contemptus è dedicato a un certo Valeriane, presentato nel-
/'inscriptio come propinquus ovvero cognatus 160 (ossia «pa­
rente», «congiunto», «consanguineo», forse «cugino») di
Eucherio. D i chi si tratta? Il personaggio apparteneva sicura­
mente alla classe dirigente aristocratica, dato che l’autore stesso
nel proemio ricorda come il padre e il suocero lo avessero innal­
zato «ai vertici più alti del mondo» (In maximos saeculi
apices) 161. Da questa e da altre osservazioni formulate dal
nostro scrittore possiamo quindi concludere che Valeriane era,
come detto, un nobile, ancora piuttosto giovane, membro di
una famiglia illustre e proiettato - per ambizione, formazione,
status sociale e tradizione familiare - verso i traguardi più ele­
vati della carriera politica162. Gennadio di Marsiglia, da parte
sua, si limita a confermare la propinquitas fra autore e dedica­
tario, senza offrire ulteriori informazioni su quest'ultimo 163.
Tra le fo n ti antiche, infine, Sidonio Apollinare parla di un Pri­
sco Valeriano, di familia patricia, che non solo ottenne la pre­
fettura delle Gallie dopo la metà del V secolo, ma era addirittu­
ra imparentato con l’imperatore Avito (455-456)1M.

160Contempi., ed. Pricoco, p. 54.


161 Contempi., ed. Pricoco, p. 56,11. 23-24.
162 Cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., pp. 15-17 (Intro-
duz.).
163 Cf. Genn. Massil., De script, eccl., 63, PL 58, 1097.
1M Cf. Sid. Apoll., Epist., V, 10, 2, ed. A. Loyen, 2, p. 190; Carm., 8,
Introduzione 45

Tra i moderni, il Tillemont riprende quest’ultima testi­


monianza, accennando a una possibile identificazione del Va-
leriano di Sidonio con quello di Eucherio, ma senza crederci
troppo 165. fa u to re stesso dei Mémoires, infatti, subito dopo
propone altre eventuali identificazioni, dando particolare
risalto a quella con Valeriano vescovo di Cemenelum (oggi
Cimiez, in prossimità di Nizza) m , autore di venti O m elie167
dai contenuti teologici e spirituali vicini alla cultura lerinese.
L'ipotesi, riproposta di recente dal Weiss 168, non manca di
suggestione, mostrando un Valeriano non solo persuaso dal
C ontem ptus di Eucherio a deporre la mentalità mondana e
convertirsi totalmente a Dio, ma divenuto persino vescovo e
rappresentante "indiretto” della spiritualità lerinese, grazie
alle sue Omelie 169. Viceversa, l’identificazione con Prisco
Valeriano attesterebbe il fallim ento di Eucherio che, come
osserva il Tillemont, in tal caso non avrebbe avuto «la conso-
lation q u ii souhaitoit de luy (cioè Valeriano: n.d.c.) voir quit-
ter le monde» 170.
In ogni caso, quali che siano l’identità storica e il percorso
biografico-spirituale del cognatus di Eucherio, è chiaro che il
nostro autore ha scelto Valeriano come destinatario non solo

ed. Loyen, 1, pp. 78-79 (Valeriano decus... nostrum, cui principe Avito cogna-
tum sociat purpura celsa gens).
165 Cf. L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 125.
166Ibid., pp. 125-126.
167 Ibid., p. 126.
168 Cf. J.P. Weiss, La personnalité de Valérien de Cimiez, Ann. de la
Fac. des Lettres et Sciences Hum. de Nice 11 (1970), pp. 141-162; Id., Valé­
rien de Cimiez et Valére de Nice, Sacris Erudiri 21 (1972-73), pp. 109-146.
169 Cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., pp. 16-17 (Intro-
duz.).
170 L.-S. Le Nain de Tillemont, op. cit., p. 125.
46 Introduzione

reale ma pure emblematico e universale del Contemptus. Infat­


ti egli è l’esempio e il simbolo dell’uomo ricco, colto e potente
che, proprio per queste sue caratteristiche, è tentato più di ogni
altro di immergersi totalmente nella mentalità e nella prassi
mondana, voltando le spalle a quei valori cristiani che, invece,
come vuol dimostrare Eucherio nel Contemptus, sono gli unici
a garantire una vita ben spesa e la salvezza eterna.

Come nel De laude eremi, così pure nel De contem ptu


m undi si possono sostanzialmente distinguere due parti. N el­
la prima parte, che ha inizio dopo il proemio e la dedica Xli,
Eucherio, riecheggiando subito sant’Agostino, dichiara che il
«primo dovere dell’uomo illuminato» (Primum... in lucem
editi hominis officium )172 è quello di conoscere Dio, serven­
dolo e orientando la propria vita a Lui, il quale ci ha creati
appunto «per sé» (sib i)173· Q uindi bisogna «dedicare la cura
principale all’anima» (curam principalem animae im pen­
dere) 174, preoccupandosi esclusivamente 175 della propria sal­
vezza spirituale.
Ma che cosa significa aver cura dell’anima se non rende­
re culto a Dio? «Perciò chiunque abbia reso culto a Dio»,
scrive l’autore, «con ciò stesso si è già preso cura dell’anima;
e parimenti», prosegue, «chi si è preso cura dell’anima, non
può non aver già reso culto a Dio» (Ita quisquis D eo satisfe-
cerit, animae necesse est iam consuluerit et rursus qui ani-

171 Cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., p. 25 (Introduz.).


172 Contempi., ed. Pricoco, p. 56, li. 36-37.
173 Contempi., ed. Pricoco, p. 58,1. 47.
174 Contempi., ed. Pricoco, p. 58,11. 47-48.
175 Cf. Contempt., ed. Pricoco, p. 58,11. 52-53 (Haec [cura]... non pia­
ne prima, sedsola).
Introduzione 47

mae consuluerit, necesse est D eo iam satisfecerit) 176. L'ani­


ma, infatti, non è forse Γ«immagine di Dio in noi» (in nobis
imago Dei) 177? D i conseguenza, conclude il nostro scrittore,
«se la governiamo e la salviamo, proteggiamo il patrimonio
di Dio» (hanc si regimus et conservamus, Dei depositum
tuem ur) 178. Se, viceversa, perdiamo la nostra anima, si regi­
strerà il fallim ento totale, perché «dove c’è danno per la sal­
vezza, là è sicuro che non c è più la possibilità di nessun gua­
dagno» (Ubi salutis dam num est, illic utique iam lucrum
nullum e s t)179.
In queste riflessioni iniziali, quindi, come si vede,
Eucherio si riallaccia —e, del resto, come potrebbe essere altri­
menti? - alla cultura del De laude eremi, con quella vigorosa e
costante sottolineatura del primato dei valori religiosi e spiritua­
li rispetto a quelli umani e temporali che è propria della visione
e dell’esperienza ascetico-monastica e contemplativa. Lina pro­
spettiva radicale che, fra l’altro, darebbe ragione a quanti
sostengono che con il Contemptus l’autore non miri alla mera
conversione di Valeriano a una condotta più coerentemente cri­
stiana, ma proprio alla sua adesione alla vita cenobitica180.
Dopo aver esaltato la superiorità dell’anima, infatti, lo
scrittore invita a trascurare i «beni effimeri» (brevibus bonis)
del mondo per puntare su quelli «eterni» (perpetuis) e
sicuri181. La vita terrena viene descritta negativamente, con il

176 Contempi., ed. Pricoco, p. 58, li. 58-60.


177 Contempi., ed. Pricoco, p. 60,1. 84. Cf. Gn 1, 26-27.
178 Contempi., ed. Pricoco, p. 60,11. 86-87.
179 Contempt., ed. Pricoco, p. 62, li. 101-102.
180 Cf. S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p. 145; DPAC, I, 1271; Euche­
rio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., p. 23 (Introduz.). Si vedano anche
infra le osservazioni conclusive di questo quarto paragrafo della presente
introduzione.
181 Contempi., ed. Pricoco, p. 62,11. 116-117.
48 Introduzione

suo greve corredo di fatiche e di sofferenze, che fanno apparire


stolte e irrazionali le scelte contrarie alla visione cristiana.
«Quale interesse, quale logica ci può essere», si chiede infatti
Eucherio, «nel non ricercare i valori eterni, andando dietro ai
[beni] temporali, anzi ai mali?» (Quae... utilitas, quae ratio
non expetere bona aeterna, sequi temporaria etiam mala?) m .
Da buon “classicista” che, per di più, si rivolge a un interlocuto­
re che ha questo stesso tipo di formazione, l’autore insiste
sull'argomento ^//'utilitas, della ratio, della convenienza della
scelta di fede, procedendo secondo i canoni della diatriba filoso­
fica 183. Se le realtà spirituali, osserva infatti Eucherio, non eser­
citano su di noi un’attrattiva abbastanza forte, dovremo almeno
respingere quelle terrene in considerazione del male e del dolo­
re che le accompagnano, per cui «mentre le une ci invogliano,
le altre ci fanno scappare, e tu tt’e due ci spingono verso [qual­
cosa di] meglio» (...dum alia nos invitant, alia fugant; in
melius utraque nos sollicitant)184.
Tutti amiamo la vita, prosegue l ’autore, nonostante i
suoi limiti, le sue negatività. Allora perché non amarla anche
e soprattutto nella sua dimensione spirituale ed eterna, dove
non c’è spazio per il male ma, al contrario, regna la beatitudi­
ne? Infatti «ciò che piace, anche se limitato, dovrebbe piacere
di più se può essere perpetuo; e quello che ha valore ai nostri
occhi, anche se destinato a finire, per noi dovrebbe essere ine­
stimabile se può essere senza fine» (...istud quod, et cum
artum sit, placet, placeat magis, si potest esse perpetuim i, et
quod apud nos pretium habet, cum finem habeat, sit nobis

182 Contempi., ed. Pricoco, p. 64,11. 129-130.


183 Cf. S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., p. 149; Eucherio di Lione, Il
rifiuto del mondo, cit., p. 27 (Introduz.).
184 Contempi., ed. Pricoco, p. 64,11. 151-152.
Introduzione 49

supra pretium , si potest esse sine fine) 185. Spunto, questo,


che non solo conferma con particolare evidenza nel nostro
scrittore l’intento di persuadere con un tono pacato e un’argo­
mentazione razionale, secondo la tradizione diatribica cui si è
accennato, ma testimonia anche la sua predilezione verso una
certa ottica in positivo, sottraendo questo lavoro eucheriano a
quel dualismo platonico e a quel pessimismo radicale che
saranno invece tipici dei Contem ptus m edievali186.
Il che non significa, però - lo si è già visto - che l’autore
non esprima un giudizio pesantemente negativo sulla vita terre­
na, «penosissima e agitata per le sue stressanti incertezze»
(molestissima atque incertis fatigationibus inquietami 187 e
resa ancor più tormentosa dalle attività, dagli interessi e dalle
preoccupazioni che l’organizzazione sociale sovrappone alla già
dura esistenza naturale188. Non c’è requie per nessuno: né per i
potenti, che rischiano sempre di precipitare, né per i deboli, che
sono costretti a subire. Gli affanni abbreviano a tutti la vita, che
sembra lunga solo dal punto di vista della sofferenza189 flagel­
lata com’è da «soddisfazioni effimere» (vana gaudia) e «dispia­
ceri amari» (acerbi maerores), da «aspettative piene di ansia»
(anxia vota) e «paure diffidenti» (suspecti m etus)190.
Ma cos’è che tiene gli uom ini così legati «agli affari del
mondo» (negotiis saeculi) 191, nonostante l’alto prezzo che ciò

185 Contempi., ed. Pricoco, pp. 66-68,11. 177-181.


186 Cf. S. Pricoco, L’isola dei santi, cit., pp. 149-150 e l’importante nota
89 (con un’aggiornata bibliografia sulla letteratura e l’ideologia medioevale del
contemptus mundi)·, Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., pp. 26-27.
187 Contempi., ed. Pricoco, p. 68,11. 193-194.
188 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 68,11. 196-208.
189 Cf. Contempt., ed. Pricoco, p. 70, 11. 209-210 (hanc vitam..., lon-
gam dolori).
190 Contempi., ed. Pricoco, p. 68,11. 206-208.
191 Contempi., ed. Pricoco, p. 70,1. 219.
50 Introduzione

richiede? Soprattutto due fattori, risponde Eucherio: la ricerca


del «benessere dato dalla ricchezza» (opum voluptas) e il
«prestigio conquistato con la carriera» (honorum dignitas) m .
Ora, per quanto riguarda la ricchezza, c’è da considerare, in
primo luogo, che essa «raramente viene accumulata in manie­
ra onesta» dopes] raro nisi cum iniustitia congeruntur) 193.
Oltre a ciò, i beni materiali sono fo n te di vizi (l’autore sfrutta
in proposito il gioco di parole vitia-divitiae m ) e di arrogan­
za 195. Infine, i m ezzi economici sono precari, esposti come
sono a una quantità di insidie dettate dall’invidia e dall’avi­
dità altrui, anche all’interno delle famiglie 196. Per cui, ci si
può ben chiedere, «che cosa ci può essere di piacevole in que­
sta ricchezza, visto che possederla rende infelici e lasciarla in
eredità è problematico?» (Q uid divitiae istae in se voluptatis
habent, quarum est et misera possessio et incerta transmis-
sio ?)197. Se le cose stanno in questo modo, conclude Eucherio
richiamandosi ancora ad Agostino, è meglio rinunciare alle
risorse terrene, rientrando invece in noi stessi198 e cercando di
amare «più noi che le nostre fortune» (Nos, nos potius ame-
mus quam n o stra )199.

192 Contempi., ed. Pricoco, p. 70,1. 221.


193 Contempi., ed. Pricoco, p. 70,11. 229-230.
194 Sul linguaggio e lo stile eucheriani, frutto di un’accurata educazio­
ne retorica e classica, cf. supra, i paragrafi precedenti della presente introdu­
zione e le note 36, 65, 115, 118, 120, 121, e 144.
195 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 70,11. 234-237 (opes... materia contu-
meliarum; divitiae... pignora iniuriae).
196Cf. Contempi., ed. Pricoco, pp. 70-72,11. 237-246.
197 Contempt., ed. Pricoco, p. 72,11. 246-248.
198 Uno dei non rari né secondari punti di contatto fra Contemptus e
Laus, dovuto qui alla formazione agostiniana dell’autore. Cf. supra, il terzo
paragrafo di questa introduzione e le note 128, 136 e 153.
199 Contempi., ed. Pricoco, p. 72,11. 258-259.
Introduzione 51

E passiamo alla seconda principale seduzione terrena: il


successo, il potere, gli «onori di questo mondo» (honoribus...
huius m u n d i)200. Anzitutto, spiega il nostro autore, il «presti­
gio sociale» (dignitas... reru m )201 non può dirsi moneta trop­
po nobile, visto che può esser guadagnata «indistintamente
dai buoni e dai cattivi» (promiscue cum bonis mali) 202, dai
degni e dagli indegni20}, per cui, osserva lo scrittore non senza
una certa ironia amara, «se c è un campo dove non è più pos­
sibile distinguere le persone migliori dalle peggiori, questo è
[proprio] l’onorabilità» ("optimi ac pessimi viri nusquam fere
minus discrimen est quam in h o n o re)2W. E poi - siamo sem­
pre lì - quanto dura il successo? Quanto resiste la fam a otte­
nuta con la carriera? Si tratta di beni «che svaniscono in fret­
ta.» (transvolantia) 205, come il danaro, e quindi non valgono
neanche loro il sudore e i compromessi morali che costano.
Qualunque potere, anche «quello supremo» (verticem) 206, è
passeggero, ed anche i più potenti sovrani, che dettavano leg­
ge fra gli uomini, sono spariti insieme alle loro ricchezze 207.
Guardiamo anche ai «regni recenti e illustri» (Recentium...
inclitorum que regnorum) 208: «tutto quello che c’era lì di
grande, ora non esiste più» (Omnia illa quae hic erant magna
iam nulla su n t)209.

200 Contempi., ed. Pricoco, p. 70,1. 261.


201 Contempi., ed. Pricoco, p. 72,1. 262.
202 Contempi., ed. Pricoco, p. 72,1. 263.
203 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 78,1. 265.
204 Contempi., ed. Pricoco, p. 74,11. 268-269.
205 Contempi., ed. Pricoco, p. 74,11. 272-273.
206 Contempi., ed. Pricoco, p. 74,11. 284-285.
207 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 74,11. 278-288.
208 Contempi., ed. Pricoco, p. 74,1. 288.
209 Contempi., ed. Pricoco, p. 74,11. 289-290.
52 Introduzione

Eucherio insiste su questo motivo squisitamente parene-


tico, dove l’etica classica - in particolare stoica - si sposa con la
spiritualità evangelica e monastica210. Tuttavia, ancor una vol­
ta, vediamo privilegiata la proposta positiva, attraverso l’invito
a dirigere il comprensibile amore umano per la ricchezza e per
gli onori verso le «vere ricchezze e le vere glorie» (veris opi-
bus, veris honoribus) 211, cioè quelle spirituali e celesti. A ciò
si aggiunge la raccomandazione di coltivare sì - diversamente
dai peccatori e dai m ondani212 - il salutare ricordo della mor­
te, ma senza tem erla213. Essa, infatti, anche se getta la sua
ombra sulla vita rendendola fugace e precaria2U, non va però
interpretata come un annullamento totale, bensì come il
sospirato traguardo per «ritrovarsi con Cristo» ("esse cum
Christo) 215, passando così finalm ente dalle sofferenze tempo­
rali alla beatitudine eterna216.

A questo punto prende avvio la seconda parte del De


contem ptu mundi, nella quale, a dispetto di una «linea inter­
pretativa» più fragile, com e stato opportunamente osservato,
si coglie bene una costante «contrapposizione tra la grandezza
di Dio» e «lo squallore di questo mondo», logorato «da una

210 Sull’incidenza della componente classica nella formazione cultura­


le e spirituale di Eucherio di Lione, cf. supra, i frequenti accenni contenuti in
quest’introduzione e le note 35, 65, 115, 118, 120, 121, 144 e 194.
211 Contempt., ed. Pricoco, p. 76,1. 299.
212 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 76,1. 310 {nihil [homines\ ita oblivi-
scuntur ut mortem).
213 Cf. Contempi., ed. Pricoco, pp. 76-78, 11. 324-325 (non timebimus
mortem timendo).
214 Cf. Contempt., ed. Pricoco, p. 76,11. 311-317.
215 Contempt., ed. Pricoco, p. 78,1. 327. Cf. Fil 1, 23.
216 Cf. Contempi., ed. Pricoco, p. 78,11. 329-331.
Introduzione 53

inarrestabile senescenza e prossimo ormai alla fin e del suo


ciclo vitale» 217.
Eucherio, in primo luogo, sollecita a non imitare gli esem­
p i negativi dei peccatori, evitando di lasciarsi «fuorviare dagli
errori con cui gli altri mettono a repentaglio la propria salvez­
za» (nec ad damnum propriae salutis alienis ducam ur errori-
bus) 218 e senza farsi condizionare dal «gran numero dei pecca­
tori» (peccantium num erositas)219. Occorre guardare, piutto­
sto, alla minoranza positiva di coloro che «sono sì di meno,
però sono ricchi nella loro dimensione» (licet pauciores sint,
tamen sunt in sua parte copiosi) 220> cioè nella vita religiosa e
cristiana, nel progresso morale e spirituale. Uautore si accinge,
così, a sviluppare il tema apologetico rappresentato dall’invito a
conformarsi ai modelli più noti e significativi della santità cri­
stiana e della testimonianza evangelica, ossia a coloro che «pur
appartenendo al mondo della gente illustre, hanno abbracciato
questa osservanza così austera del culto divino e la vita [che ne
consegue]» (in saeculo illustrium virorum hanc artiorem divi­
ni cultus observantiam vitamque sectati sunt) 221. Aspetto,
quest'ultimo, tu tt’altro che secondario in ordine alla vis persua­
siva dell’argomento apologetico di cui si tratta.
La maggior parte dei “testim oni” citati dal nostro scritto­
re sono di estrazione latina: da Clemente Romano, «successo­
re del principe degli Apostoli» (principi... apostolorum suc­
cessori 222 a Paolino di Nola, «modello particolarmente felice

217 Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., p. 25 (Introduz.).


218 Contempi., ed. Pricoco, p. 78, Π. 333-334.
219 Contempi., ed. Pricoco, p. 78,1. 341.
220 Contempi., ed. Pricoco, p. 78,11. 346-347.
221 Contempi., ed. Pricoco, p. 80,11. 361-363.
222 Contempi., ed. Pricoco, p. 80,11. 370-371.
54 Introduzione

per la nostra Gallia» (peculiare et beatum Galliae nostrae


exem plum )223, da Ilario di Arles a Petronio di Bologna, «ap­
partenenti tu tt’e due alla classe più legata al potere mondano»
(ambo ex illa pienissima... mundanae potestatis classe)224, da
Firmiano Lattanzio a Minucio Felice, da Cipriano a Ilario di
Poitiers, da Giovanni Cassiano ad Ambrogio di Milano, «i più
insigni fra gli oratori» (clarissimos facundia) 225. Tra i greci
sono proposti i tre Cappadoci, presentati come eminenti oratori
e filosofi, teologi e grandi intellettuali22è. Infine, una rapida
incursione pure nell'Antico Testamento, per esaltare i re giudei
Davide, Giosia ed Ezechia, campioni rispettivamente di
«pietà», di «fede» e di «umiltà», nonostante il potere politico
di cui erano detentori221.
Dopo la rassegna dei modelli positivi Eucherio svolge un
altro motivo apologetico, che sarà ampiamente sviluppato dal
pensiero medievale. Tutto ci guida ed eleva a Dio: dal macroco­
smo dell’universo naturale al microcosmo che è l’uomo, con il
suo organismo perfetto e finalizzato al raggiungimento di Dio.
La considerazione della natura non può non condurci a Colui
che l’ha formata, ribadisce l’autore, insistendo sulla bellezza del
creato e sul nostro amore per le realtà materiali. Ma occorre che
la bellezza della natura venga riferita al suo autore e, dunque,
che l’amore abbia per oggetto anzitutto Dio, senza svilirsi

223 Contempi., ed. Pricoco, p. 82,11. 388-389.


224 Contempi., ed. Pricoco, p. 82,11. 394-395.
225 Contempi., ed. Pricoco, p. 82,11. 396-397. «Oratori» in senso lato,
evidentemente - «retori», più che altro - , ché tale facundia è da intendersi
come «facilità di parola» sia nel parlare sia, anzi forse soprattutto, nello scri­
vere (specie in autori quali Cassiano, Lattanzio e Minucio Felice).
226 Cf. Contempt., ed. Pricoco, pp. 80-82,11. 371-387.
227 Cf. Contempt., ed. Pricoco, p. 84,11. 410-414.
Introduzione 55

nell’attaccamento alla materia. «(...) correggi l’amore deviato


dalle [false] opinioni, raddrizzalo e rivolgilo al tuo Dio»,
ammonisce lo scrittore: «tutto quello che ami adesso appartiene
a Lui: è suo, ripeto, e di nessun altro» (dilectionem opinioni-
bus deviam, cohibito errore, castigans dirige atque in Deum
amorem confer tuum, quia et quicquid nunc amas suum est,
suum, inquam, suum est) 228. Quanto alla bellezza, «l’uomo
desidera e apprezza solo dei simulacri indegni, e il suo animo
assurdamente diviso gli fa cercare l’arte trascurando l’artista: si
tiene stretto quello che è bello», conclude Eucherio amaramen­
te, «ma senza nessuna ammirazione per chi lo ha fatto» (homo
aversus in indignorum tantum figmentorum desideria atque
officia convertitur animisque incongrue dissidentibus appeti-
tor artis, desertor artificis complectitur speciem cuius non
m iratur auctorem )229

Subentra qui una digressione significativa che, come si


vedrà, rispecchia una qualche premura, da parte di Eucherio,
di esprimere il suo punto di vista su una certa problematica
politico-religiosa particolarmente dibattuta nella Gallia della
prima metà del V secolo. L!autore, infatti, interrompendo a
questo punto il filo del discorso - e rischiando, diciamolo
pure, d ’incorrere in qualche contraddizione rispetto a quel che
ha detto fin qui sulla caducità e negatività del potere secolare
e delle strutture che lo sorreggono - non esita a far suo l’argo­
mento apologetico che identifica nell’impero romano, grazie
alla sua estensione e unità, una realtà storica voluta dalla
divina provvidenza per favorire la più rapida ed efficace diffu­

228 Contempi., ed. Pricoco, p. 90,11. 513-516.


229 Contempi., ed. Pricoco, p. 92,11. 525-529.
56 Introduzione

sione del messaggio cristiano 230. «(...) la maggior parte


dell’umanità», osserva il nostro scrittore, «è confluita in un
popolo unico (...) perché la fede introdotta penetrasse
[meglio] attraverso un solo popolo e si diffondesse rapida­
m ente lungo le membra, una volta immessa nella testa»
(magnani partem hum ani generis in unum transisse popu-
lum... ut... per unam gentem fides infusa penetraret et ut
capiti ingesta velociter se per m em bra diffunderet)231.
Parole chiare. Ma Eucherio si spinge oltre, arrivando a
interpretare come una «prova d ’amore da parte di Dio» (divi-
nae pietatis argumentum) 232 il fatto che Cristo sia nato «sot­
to Cesare Ottaviano, quando la dominazione romana era sicu­
ramente all’apice» (sub Caesare Octaviano, cum utique
Romana possessio verticem te n u itj233. D ifatti non si è tratta­
to di una scelta casuale, osserva l’autore, ma di un preciso
disegno provvidenziale, dal momento che «tutto quello che è
stato aggiunto all’impero romano sia prima durante la monar­
chia antica, sia dopo sotto il potere collegiale dei consoli è sta­
to preparato per la venuta di Cristo ed è stato predisposto per
la diffusione della fede» (quicquid vel sub illa prim um domi-
natione regum vetusta vel sub illa deinde gemina admini-
stratione consulum Romano accessit imperio, omnia Christi
adventui praeparata et diffundendae fidei provisa est) 234.
Una visione teologica e soteriologica della storia romana che

230 Cf. S. Pricoco, Barbari, senso della fine e teologia politica. Su un


passo del De contemptu mundi di Eucherio di Lione, in RomBarb, 2 (1977),
p. 209 e passim; Id., L’isola dei santi, cit., pp. 202-204.
231 Contempi., ed. Pricoco, p. 94,11. 549-553.
232 Contempi., ed. Pricoco, p. 94,11. 565-566.
233 Contempi., ed. Pricoco, p. 94,11. 566-567.
234 Contempi., ed. Pricoco, pp. 94-96,11. 571-575.
Introduzione 57

non solo testimonia la simpatia nutrita dal nostro scrittore


nei confronti della civiltà di Roma (atteggiamento condiviso,
del resto, da tutta la classe aristocratica gallo-romana, tenden­
zialmente conservatrice e anti-barbarica, a cui appartiene
Eucherio), ma dimostra altresì come il nostro scrittore ritenga
di poter conciliare questa posizione nazionalista e moderata
con la propria cultura e professione monastica, all’insegna di
un ascetismo lontano - anche sotto quest'aspetto ideologico-
politico - dal rigorismo e dall’intransigenza antisecolare di
altri am bienti monastici235.
Tuttavia, quest’esaltazione del ruolo provvidenziale eser­
citato dal mondo romano nell’economia della salvezza non
impedisce a Eucherio di coltivare quella Dekadenzidee che
aveva contraddistinto una gran parte della riflessione cristia­
na, e non solo, sulla storia e sull’attualità socio-politica 236.
Immediatamente dopo lo spunto su Roma, infatti, l’autore,
invitando ancor una volta a guardarsi dagli ingannevoli e falsi
beni terreni, ricorda che «il mondo stesso volge ormai verso la
sua fin e e vive gli ultim i momenti» (ìam ipse m undus, ipse
in finem smuri vergens, spatiis agatur extremis) 237, per cui
«ogni ora [che passa ci] avverte che il tempo dell’inevitabile
conclusione è vicino» (Omnis hora illud debitae resolutionis
adm onet tem pus instare)238.
Una stridente contraddizione, questa, dunque, con l’in­
terpretazione positiva della storia romana sopraricordata?

235 Cf. S. Pricoco, Barbari, senso della fine e teologia politica..., cit., p.
228 e. passim.
236 Cf. Ibid., pp. 224-228; Id., L ’isola dei santi, cit., pp. 192-204;
Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, cit., pp. 25 e 27.
237 Contempi., ed. Pricoco, p. 98,11. 606-607.
238 Contempi., ed. Pricoco, p. 98,11. 626-627.
58 Introduzione

Non proprio, se si considera, com’è stato sottolineato, che


Eucherio «in questo caso appare aver ereditato più dalla
tematica classica della Dekadenzidee che dalla apocalittica
giudeo-cristiana» 239. Perciò se egli «muove dall’idea della
decadenza, ciò avveniva perché questa era la linea maestra del
pensiero storico antico» 240. Q uindi pure su questi p u n ti noda­
li (apologia di Roma in chiave cristiana e senso della decaden­
za finale del mondo) l’autore del C ontem ptus non solo non
rinnega la robusta formazione classica che possiede, ma si pro­
pone di conciliarla con l’ottica cristiana e con la sua stessa spi­
ritualità ascetica.

Dalla Dekadenzidee deriva naturalmente un atteggia­


mento di svalutazione e di distacco dagli pseudovalori e dalle
realtà terrene, compromesse e minacciate dalla fin e che incom­
be. E d Eucherio, da parte sua, non manca di valersi a pieno di
questa condizione morale e psicologica per richiamare l’atten­
zione sull’infelicità degli uom ini e indicare l’unica soluzione
possibile: convertirsi, guardare al mondo con occhi diversi,
aprirsi alla prospettiva escatologica, «orientare tutta la tensio­
ne dell’anima verso la speranza del [bene] futuro» (Dirigenda
est omnis animi intentio in spem fu tu ri)241. Si tratta sempre
della proposta (basilare nel Contemptus) di u n ’adesione alla
fede così assoluta e radicale da implicare - anche se non è
dichiarato esplicitamente - la scelta ascetica e monastica,
espressione ottimale del secessus dal mondo 242. Tanto è vero

239 S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., p. 195.


240Ibtd., p. 202.
241 Contempi., ed. Pricoco, p. 100,11. 650-651.
242 Cf. supra, nota 100.
Introduzione 59

che, a questo punto, per rendere più autorevole e convincente


il proprio invito, l’autore richiama brevemente alcuni fonda­
m enti dottrinali, ricordando che la speranza escatologica non si
fonda «su u n ’autorità poco affidabile, ma sul Signore nostro
Gesù Cristo» (Neque... incerto auctore,... sed Domino
nostro Iesu C hristo)2n, il quale si è incarnato, è morto ed è
risorto per riconciliare l’uomo con D io244 e assicurare così «ai
giusti un regno eterno e la grande ricompensa di una felicità
senza fine» (lustis interminabile regnum et ampia beatissi-
mae aeternitatis praemia) 245. I l Cristo, quindi, e la redenzione
da L u i operata sono ricondotti con chiarezza a fondamento di
ogni reale conversione non solo alla fede cristiana, ma anche
alla vita religiosa e contemplativa, di cui viene con ciò stesso
ribadito il carattere coerentemente cristologico.
Superfluo e pregiudizievole, perciò, in tale prospettiva,
«sprecare il tempo e l’intelligenza per leggere quello che inse­
gnano i filosofi» (philosophorum praeceptis lectioni operam
ac ingenium accomodare) 246, che «hanno professato una filo ­
sofia parolaia», accusa Eucherio, mentre «noi ci siamo appro­
priati della vita» (philosophiae... nom en usurpasse, nos
vitam) 247. 1 pensatori tradizionali non possono insegnarci nul­
la, incalza l’autore, perché ignorando Dio ignorano la causa
prima, si allontanano «dal principio di giustizia» ("ab exordio
iustitiae) 248 e «cadono in errore su tutto il resto» (in cetera
feruntur errore) 249, finendo preda della menzogna e del vizio,

243 Contempi., ed. Pricoco, p. 102,11. 679-681.


244 Cf. 2 Cor 5,18.
245 Contempi., ed. Pricoco, p. 102,11. 681-683.
246 Contempi., ed. Pricoco, p. 104,11. 693-695.
247 Contempi., ed. Pricoco, p. 104,11. 702-703.
248 Contempi., ed. Pricoco, p. 104,11. 706-707.
249 Contempi., ed. Pricoco, p. 104,11. 707-708.
60 Introduzione

incapaci come sono di «riconoscere la vera giustizia e la vera


sapienza» ("veram... iustitiam, veram sapientiam... viderej 250.
Un monito, questo, che il nostro scrittore non rivolge solo a
Valeriano, ma a tu tti gli intellettuali cristiani gallo-romani,
incluso se stesso, anche se ciò non corrisponde, come si è già
osservato, al rifiuto dell’educazione classica, ma solo al rigetto
dei contenuti specifici del pensiero greco-romano, specie sul
piano etico e metafisico.
D ’altronde, dopo l’invito ad abbandonare i filosofi antichi,
non poteva mancare - da parte di un uomo di studio che si indi­
rizza a un’altra persona colta com’è Valeriano - un discorso in
positivo, cioè sulle letture alternative da contrapporre agli ideo­
logi pagani. Ecco perciò la raccomandazione a volgersi «agli
insegnamenti e alle opere dei nostri» ("ad studia... nostrorum et
scripta)251 per soddisfare «nel modo migliore lo spirito con una
formazione completa» (optime pectus... multifaria instru-
ctione) 252. E questo riferimento alla letteratura cristiana dà
modo a Eucherio di far seguire alla sintesi dottrinale dianzi
ricordata un’esposizione essenziale dei contenuti della morale e
della spiritualità evangelica, sempre nell’intento di fornire al
suo interlocutore principale (e, in generale,ai lettori) materia
ed elementi su cui riflettere per scegliere consapevolmente.
G li autori cristiani, dunque, insegneranno a Valeriano la
giustizia e la misericordia, l’amore del prossimo, la lotta
all’ira, la fedeltà e castità coniugale, il modo come vincere i
vizi e acquistare la prudenza. G li mostreranno che Dio è buo­
no, ma che richiede da noi onestà e sincerità, per aiutarci a
superare le passioni e consolarci quando vediamo i cattivi pro­

250 Contempt., ed. Pricoco, pp. 104-106, li. 713-714.


251 Contempi., ed. Pricoco, p. 106,11. 725-726.
252 Contempi., ed. Pricoco, p. 106,11. 726-727.
Introduzione 61

sperare e i buoni in difficoltà. G li spiegheranno che «è peggio


imbrogliare che essere imbrogliati» (infelicius est decipere
quam decipi) 253 e lo esorteranno a combattere «contro la
vanità» (adversus iactantiam) 254, vizio talmente insidioso da
poter aumentare con le virtù, contrariamente agli altri vizi
(cetera enim vitia crescunt vitiis, vanitas virtutibus) 255. Pre­
cetti tu tti che, comunque, potranno essere recepiti nel modo
migliore direttamente dalla Parola di Dio, che sazia la fam e
dell’anima «con questo cibo interiore e benefico» (hoc inter­
no ac salubri cibo)256.

Le pagine conclusive del Contem ptus di Eucherio di


Lione accentuano quel registro protrettico che abbiamo già
visto dominare in questa ultima parte del trattatello epistola­
re, dopo la digressione sull’impero romano e sulla Dekadenz-
idee. L’autore, dunque, incoraggia il suo illustre propinquus
ad orientare «verso Dio e nel nome di Dio tutte le parole e
tutte le azioni» (omnia dieta factaque... ad Deum vel prop-
ter D eum ) 257 ricordandogli la «generosità di Dio» (divina...
munificientia) 258 e la ricompensa ineffabile e impensabile che
attende i giusti nell’eternità beata. «(...) se Dio quaggiù», con­
clude infatti il nostro scrittore, riecheggiando M t 5, 45 e 1
Cor 2, 9, «dona nella stessa misura ai giusti e agli ingiusti
cose tanto belle, come dobbiamo immaginarci quelle che ha
preparato solo per i giusti?» (Cum hic... tam praeclara Deus

253 Contempi., ed. Pricoco, p. 110,11. 779-780.


254 Contempt., ed. Pricoco, p. 110, 1. 780.
255 Contempi., ed. Pricoco, p. 110, 11. 782-783.
256 Contempt., ed. Pricoco, p. 110, 11. 791-792.
257 Contempt., ed. Pricoco, p. 112,1. 803.
258 Contempi., ed. Pricoco, p. 112,1. 813.
62 Introduzione

iustis pariter et iniustis tribuat, qualia sunt putanda quae


iustis reservat?)259.
E finalmente, nelle ultime righe, si può hen dire che il
retore consumato si sposa felicemente con l’asceta lerinese, dal
momento che la lunga metafora con cui si chiude l’opera è sì
una figura retorica, ma vuol essere pure un’allusione non trop­
po velata all’arcipelago di Lerino e alla pace, alla santità, alla
vita divina che vi si possono trovare 260. E se Eucherio conclude
il Contemptus ricordando Lerino, ciò rende ancora più convin­
cente l’ipotesi interpretativa, più volte qui accennata, che vede
in quest’opuscolo non già un’esortazione alla conversione cri­
stiana tout court, ma un invito ad abbracciare la vita monastica
stricto sensu. E, preferibilmente, proprio a Lerino. Eucherio
come proselitista lerinese di rango, in definitiva, visto che, oltre
tutto, come si è già osservato, con il Contemptus egli non
intende evidentemente rivolgersi al solo Valeriano.

5 . C aratteri d e l l a p r e s e n t e e d iz io n e

Questo lavoro propone al pubblico il D e laude eremi e


il De contem ptu mundi, pubblicati per la prima volta insie­
me in traduzione italiana. D ’altronde, in considerazione

259 Contempi., ed. Pricoco, p. 112,11. 818-820.


260 Così l’esaltazione finale della veneranda tellus di Laus, 41 si ripro­
pone nella celebrazione del recessus e della statio fidissima (Contempi., ed.
Pricoco, p. 114,11. 834-835) con cui si conclude il De contemptu mundi, nel
segno di una salda coerenza ed armonia che sottolinea - anche sul piano
strutturale - la continuità e complementarietà dei due trattatelli ascetici. Cf.
supra, il primo capoverso di questo paragrafo dell’introduzione. Quanto ai
valori linguistici e stilistici della scrittura eucheriana, si vedano supra le rela­
tive osservazioni contenute nei precedenti paragrafi della nostra introduzio­
ne e le note 31,32, 35,36, 63, 65,115 e 146.
Introduzione 63

deU’affinità contenutistica e spirituale dei due opuscoli eu-


cheriani - espressioni omogenee della cultura monastica lerine­
se -, ci è parso quanto mai appropriato il loro abbinamento.
ha versione della Laus - la prima in lingua italiana, per
quanto ci consta - è stata condotta sul testo proposto dall’edi­
zione critica di Salvatore Pricoco261. Parimenti, ci siamo valsi
del contributo dello studioso siciliano anche per quel che con­
cerne il Contemptus, che abbiam tradotto sulla scorta del
testo critico da lui pubblicato recentemente262. N el contempo,
si sono avute costantemente sott’occhio pure le edizioni stam­
pate nel M igne263, optando però sempre, nei casi divergenti, a
favore della lectio scelta dal Pricoco.
Per ciò che attiene, infine, alla tradizione manoscritta e
alle edizioni delle due opere di Eucherio come pure alla biblio­
grafia, preferiamo evitare superflue ripetizioni, rinviando agli
studi e alle esaurienti e aggiornate rassegne già esistenti, facil­
mente reperibili264. Confidiamo che questa nostra fatica, assol­
ta con impegno e amore, sia d ’arricchimento culturale e spiri­
tuale non solo per gli studiosi, ma per tu tti gli assetati della
Verità che appaga e salva.

261 Euch., De laude eremi, recensuit, apparatu critico et indicibus


instruxit Salvator Pricoco, Catania 1965.
262 Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, Introduzione, testo critico,
traduzione e commento di S. Pricoco, BP 16, Firenze 1990.
263 PL 50, 701-712 (De laude eremi)·, 711-726 (De contemptu mundi).
264 Cf. DSp IV/2, 1657-1660; DPAC, I, 1272; Euch., De laude eremi,
cit., pp. 9-42 (manoscritti e edizioni del De laude eremi); Eucherio di Lione,
Il rifiuto del mondo, cit., pp. 33-51 (mss. e ediz. del De contemptu mundi).
Inoltre si possono consultare le indicazioni bibliografiche offerte dalle nostre
note di commento sia all’introduzione che alla traduzione dei due testi.
Eucherio di Lione

ELOGIO DELLA SOLITUDINE


1. Ce n ’è voluto di coraggio quando un giorno
lasciato casa tua e la tua famiglia, per andare in posti lon­
tani (1), fino in alto mare! Però [adesso] che sei tornato alla

(1) Eucherio di Lione si rivolge in queste pagine proemiali a Il


Arles, al quale dedica il De laude eremi. Ilario aveva momentaneamente
lasciato Lerino per accompagnare Onorato ad Arles, di cui questi era stato
eletto vescovo nel 427 o 428.
La fonte biografica più diffusa su Ilario è la Vita ss. Hilarii et Honorati
(ed. S. Cavallin, Lund 1952), scritta probabilmente da Onorato di Marsiglia
fra 0 475 e 0 496. Ilario era nato verso il 401, per cui era poco meno che
trentenne quando Eucherio lo scelse come destinatario del suo primo tratta-
tello epistolare (cf. supra, per la data di composizione della Laus, l’inizio del
terzo paragrafo dell’introduzione). Di famiglia nobile, era imparentato con
Onorato, futuro fondatore della sede monastica lerinese e, come s’è accenna­
to, vescovo di Arles dalla fine del terzo decennio del V secolo. Dopo una
giovinezza mondana, Ilario viene convertito da Onorato all’ascetismo e lo
raggiunge a Lerino, verso il 420. Se ne sarebbe allontanato la prima volta set­
te o otto anni dopo, proprio nell’occasione cui fa riferimento il proemio del­
la Laus eucheriana. Un po’ più tardi, intorno al 430, avrebbe invece lasciato
definitivamente l’isola, dopo circa un decennio di vita cenobitica, per succe­
dere egli stesso a Onorato sulla cattedra vescovile arelatense. Come vescovo
fu autorevole nella Chiesa gallica e, fra l’altro, presiedette i concili di Riez
(439), Orange (441) e Vaison (442), cercando di imporre la primazia di Arles
anche in polemica col papa Leone I (440-461). Continuò sempre a vivere da
asceta, lavorando pure manualmente. Morì a 48 anni, intorno al 449 (cf. Vita
Hilarii, 24, 2-3, ed. cit., p. 100). A Ilario sono attribuiti alcuni scritti: omelie,
versi poetici, un'Expositio symboli e parecchie lettere. Suo con certezza è il
68 Eucherio di Lione

solitudine (2) dimostri una virtù [ancora] più grande. Infat­


ti quella volta sei partito come un turista e hai avuto una
guida (3), senza contare il Com andante dell’esercito ce­
leste 1 a farti come da staffetta durante il tuo viaggio. Allora
seguivi lui e, anche se avevi lasciato i parenti, era sempre un
parente quello che seguivi (4). O ra è diverso. Siccome hai
pensato che sia lui a dover procedere verso la dignità epi­
scopale (5), [questa volta] è stato l’amore (6) a farti ritirare

1 Cf. Le 2, 13.

Sermo de vita Honorati (SCh 235, Paris 1977). Di recente gli è stata rivendi­
cata la paternità del Carmen deprovidentia (PL 51, 617-638).
(2) Cioè alla vita monastica nella comunità lerinese.
(3) Si tratta di Onorato, accompagnato da Ilario nel trasferimento dal
piccolo arcipelago fino ad Arles (cf. supra, nota [1]). E chiaro, comunque,
che col termine «guida» (dux) l’autore vuol alludere soprattutto all’esempio
e all’autorità morale esercitata dal fondatore di Lerino sul percorso spirituale
del giovane congiunto e discepolo.
Della vita di Onorato ci sfuggono molti dati importanti. Di famiglia
consolare, era nato verosimilmente nel nord della Gallia. Aveva abbracciato
presto la vita ascetica, compiendo un viaggio nell’oriente monastico con
Caprasio (futuro monaco lerinese: cf. infra, Laus, 42 e nota [83]) e il fratello
Venanzio. Tornato in Gallia, si era ritirato a Lerino all’inizio del V secolo, fon­
dandovi il glorioso centro monastico e contribuendo negli anni al suo consoli­
damento istituzionale e spirituale. Fu abate del monastero lerinese fino al 427
o 428, quando divenne vescovo di Arles (cf. supra, nota [1]). Dei suoi scritti,
reali o presunti, non ci è pervenuto alcunché. Forse compose una regula per i
suoi cenobiti, ma non se ne hanno indizi sicuri (cf. infra, Laus, 41 e nota [76]).
(4) Cf. supra, nota (1). Sulla parentela fra Onorato e Ilario si veda
Hilar. Arel., Sermo de vita Honor., 4, 8-11; 36, 8-9, ed. S. Cavallin, Lund
1952, pp. 51 e 75.
(5) Come pastore della diocesi di Arles, a ovest di Marsiglia, sempre
nella Gallia narbonese. Su questo seggio episcopale Onorato successe a un
altro monaco, Elladio (o Euladio). Cf. DPAC, II, 2480 (S. Pricoco).
(6) Un amore duplice: per Onorato, ritenuto evidentemente da Ilario
più degno rispetto a sé dell’episcopato (questo era stato già offerto pure a
lui?), e per la comunità e la vita lerinesi.
Elogio della solitudine, 1 69

[ancora] nell’intimità della solitudine. Q uindi adesso il tuo


esempio è più elevato e più im portante. Prim a quando cer­
cavi il deserto, era come se ci andassi insieme a tuo fratel­
lo (7); adesso che cerchi di nuovo il deserto, hai lasciato
anche il fratello (8).
Ma che [fratello], e quanta grandezza in lui! Q uanta
prem ura e quanto amore ha sempre avuto per te! Che affet­
to straordinario lo ha unito a te! Al punto che non potresti
preferirgli l’amore di nessuno, tranne forse solo il desiderio
della solitudine. Infatti, confrontando obiettivamente que­
st’ultimo con [l’amore per] lui, hai concluso di non amarli
nella stessa misura, ma [di amare] la solitudine un p o ’ di più.
H ai dim ostrato pure quanto sia grande il tuo amore della
solitudine, visto che persino [l’affetto] maggiore si è dovuto
riconoscere inferiore rispetto all’altro (9). Ma diciamo la
verità, questo amore che c’è in te per la solitudine come lo
dovremmo chiamare se non amore di Dio? In definitiva hai
rispettato l’ordine stabilito dalla legge in fatto di amore,
am ando prim a il tuo Dio e, subito dopo, il prossim o2.

2 Cf. Mt 22, 37-39. Si veda pure Dt 6, 5.

(7) Ancora un’allusione a Onorato, che era stato maestro e compagno


di Ilario nella condivisione del divorzio dal mondo e nella comune scelta del­
la solitudine monastica (cf. supra, note [1] e [3]).
(8) Cioè lo stesso Onorato, “abbandonato” per la prima volta dal
suo consanguineo e confratello per far ritorno all’eremo lerinese. Il passo
risente di Mt 19, 29 e, nel contempo, è costruito con una certa compiaciuta
osservanza dei canoni retorici (si noti in special modo la ripetizione di fra-
trem e desertum). Su queste componenti dell’educazione e della personalità
letteraria di Eucherio, cf. supra, Introduz., note 31, 32, 35, 36, 63, 65, 115,
146 e 260.
(9) Un’insistenza tematica. Cf. supra, note (6), (7), (8).
70 Eucherio di Lione

2. Q uanto a lui (10), com unque, penso che [anche]


solo considerando il tuo vantaggio [spirituale], non sia stato
contrario - credo - alla tua decisione di m etterti in viag­
gio (11), ma [anzi] abbia voluto lui [stesso] lasciarti andare
non meno di quanto hai desiderato tu di partire, ne sono
convinto. Anche se un com portam ento del genere non si
osserva spesso fra persone che si sentono legate fra loro.
Infatti ti ricambia anche lui con un grande affetto; proprio
per l’amore che ti porta, però, si preoccupa del tuo profitto
[spirituale], e anche se ti vuole un bene dell’anima, in ogni
caso il suo intento è quello di guardare continuam ente al
[tuo] interesse (12).
3. Già da un pezzo - ricco di Cristo - hai donato ogni
ricchezza ai poveri di C risto3, e da allora vali più dei giovani
per l’età e più dei vecchi per la santità, e hai anche una mente
illuminata, un’eloquenza notevole (13). Eppure, quello che
ho ammirato e mi è piaciuto di più in te è l’intensità con cui
hai bramato [questo] luogo di solitudine. Perciò, siccome mi
chiedi spesso di rispondere con più ricchezza di contenuti alle
tue lettere così ampie e scritte così bene, tu che sei sapiente

3 Cf. Prv 11, 24.

(10) Ossia all’ex abate e neovescovo Onorato, ancor una volta.


(11) Per tornare nell’arcipelago lerinese. Cf. supra, cap. 1 e note (2),
(6) e (8).
(12) Qui, come del resto un po’ in tutto l’insieme di questi primi due
capitoli del De laude eremi, il tono e gli argomenti panegiristici investono
tanto Ilario quanto il "patriarca” Onorato, visti entrambi come modelli di
vita ascetico-monastica, per di più uniti fra loro da vincoli di sangue, d’affet­
to e di convivenza religiosa. Il discepolo, insomma, intende l’autore, è piena­
mente degno del maestro e, quindi, merita la dedica del proprio opuscolo.
(13) Doti apprezzate dal colto, aristocratico e “classicista” Eucherio.
Cf. supra, Introduz., note 35, 65, 115, 118, 120, 121, 144, 194, 210 e passim.
Elogio della solitudine, 2-3 71

dovrai sopportare per un p o ’ la mia insipienza (14), dandomi


il tempo di rievocare la grazia multiforme del Signore proprio
verso questo luogo di solitudine (15) che ti è caro.
Allora [vediamo], quale potrebbe essere la definizione
giusta della solitudine? [Eccone una:] il tem pio senza confi­
ni del nostro Dio (16). In effetti Colui che dim ora sicura­
m ente nel silenzio, non è logico che ami la solitudine?
Q uante volte si è fatto vedere dai suoi santi (17) [proprio]
lì, e non ha disdegnato di incontrarsi con gli uomini nelle
circostanze adatte! Per esempio è nel deserto che Mosè ha
visto il volto di D io 4; è nel deserto che Elia si coprì la faccia
per paura di vedere D io 5. E chiaro che Dio si trova dovun­
que perché a Lui appartiene tutto, e non è assente da nessu­
na parte; però si ha ragione di credere che preferisca visita­
re in m odo particolare i luoghi deserti e quelli dominati da
una solitudine celeste.

^Cf.Es 3. 5 Cf. 1 Re 19,13.

(14) La consueta ostentazione di modestia, peraltro falsa in buona


sostanza. Non un peccato veniale, però, ma un frequentissimo topos retori­
co. Comunque, cf. anche Sai 68 (69), 6; 2 Cor 11, 1.
(15) Tale è, in sostanza, lo scopo principale del trattatello eucheriano:
esaltare (e quindi pure proporre) Yeremum - e, ovviamente, la vita che vi si
conduce - come oggetto e luogo privilegiato della multimoda grafia Domini,
(16) Questo templum incircumscriptum non è solo spirituale, interiore,
ma si identifica con la natura stessa, espressione della gloria divina, oggetto
di contemplazione, arca di sacralità e veicolo al raggiungimento di Dio. In
effetti, è lecito ritenere che, rispetto allo scenario desertico e talora orrido
che fa da sfondo al monacheSimo egiziano e ad altre esperienze consimili del
mondo greco-orientale, nella spiritualità lerinese la bellezza della natura (gli
scogli e il verde delle isolette, immerse e circondate dal mare e dal sole medi-
terranei!) eserciti un ruolo particolarmente forte ed incisivo.
(17) Un primo accenno generico e introduttivo ai numerosi esempi
che verranno proposti nei prossimi capitoli.
72 Eucherio di Lione

4. C ’è l’aneddoto di quel tale che aveva chiesto a un


altro in quale posto pensava si trovasse Dio, e questo gli
rispose: «G am be in spalla, e vieni appresso a me!». Così
quello gli andò dietro, finché arrivarono alla distesa di un
grande deserto. [Allora la guida] fece vedere [all’accom pa­
gnatore] la pace di [quella] vasta solitudine6, e [poi] gli dis­
se: «Ecco dov’è Dio!». E in realtà, non è giusto pensare che
Dio sia più a portata di mano [proprio] là dove è più facile
che stia?
5. In effetti, anche al principio dei te m p i7, m entre Dio
faceva con sapienza tutte le cose, adattandole una per una
alle necessità fu tu re 8, questa parte del m ondo (18) non la
lasciò per niente inutile e senza im portanza. Anzi, siccome
creava tutte quante le cose non solo perché si sentiva gene­
roso in quel mom ento, ma soprattutto perché conosceva già
il futuro, se predispose dei luoghi solitari penso che lo fece
per i santi che li avrebbero frequentati. Io la vedo così.
[Dio] ha voluto dare a costoro quei [deserti] ricchi di frut­
ti (19) e, al posto di una natura più generosa, questa [terra]
feconda di santi. Così i deserti sarebbero diventati fertili e
anche le valli si sarebbero ricoperte di messi ab b o n d an ti9,
m entre lui dall’alto avrebbe irrigato le m ontagne10 e avrebbe
rimediato all’im produttività di [quei] luoghi, riem piendo di
abitanti u n ’abitazione sterile.

6 Cf. Dt 32, 10. 7 Cf. G n l, 1. 8 Cf. Sir 16, 26. 9 Cf. Sai 64
(65), 13-14. 10 Sai 103 (104), 13.

(18) Ossia i luoghi solitari, desertici, inabitati, considerati nel loro


insieme, secondo una sorta di geografia dell’ascetismo monastico.
(19) Spirituali, s’intende.
Elogio della solitudine, 4-7 73

6. Quello che ha posseduto il paradiso e ha trasgredito il


comandamento (20), anche se abitava in un luogo di delizie,
non ce l’ha fatta a rispettare la legge che Dio aveva stabilito
per lui n . Infatti quanto più era piacevole quel luogo per le
sue bellezze, tanto più Adamo era predisposto alla cad u ta12.
Perciò non solo ha sottomesso lui alle sue leggi, ma la morte
ha proteso pure verso di noi il suo pungiglione13.
Q uindi chi sceglie il deserto desidera la vita 14, visto
che chi ha abitato in un posto [così] incantevole ci ha trova­
to la morte. Ma adesso passiamo alle prove successive (21)
[per dimostrare] che Dio ha sempre amato i luoghi solitari.
7. Mosè aveva condotto il gregge nel cuore del deserto,
quando vide Dio in un fuoco che ardeva da lontano senza
b ru c ia re 15; e non solo lo vide, ma lo sentì addirittura parla­
re 16. E fu allora che il Signore, quando disse [a Mosè] di
togliersi i sandali dai piedi, dichiarò santa la terra del deser­
to 17. Ecco le sue parole: Il luogo in cui ti trovi è una terra
santa18. [Così] in quella circostanza [Dio] ha affermato sen­
za mezzi term ini il valore di una gloria nascosta.
Proprio così. La santità del luogo viene garantita da
Dio con la santità di una testimonianza in cui, secondo me,

11 Cf. Gn 3, lss. 12 Cf. Gn 8, 21; Es 32, 22. 13 Cf. 1 Cor 15,


55-56. 14 Cf. Sai 33 (34), 13. 15 Cf. Es 3, 1-3. 16 Cf. Es 3, 4ss.
17 Cf. Es 3,5. 18 Es 3,5; At 7, 33.

(20) Adamo, naturalmente, possessor paradisi in Gn 1, 28 e transgres-


sorpraeceptiin Gn 3, lss.
(21) Costituite, rispettivamente, da testimonia dell’Antico (capp. 7-20)
e del Nuovo Testamento (capp. 21-26). Il cap. 27, infine, è destinato agli
exempla tratti dalla storia monastica, ch’è parte di quella ecclesiastica. In
altri termini, i tre momenti della storia sacra sono invocati «a conferma della
validità del ritiro ascetico per l’incontro con Dio» (L. Alfonsi, Il «De laude
eremi» di Eucherio, «Convivium», 36 (1968), p. 364).
74 Eucherio di Lione

Egli rivela nello stesso tem po anche questo, sia pure velata­
mente: chi entra nel deserto deve liberare il cammino della
sua vita dalle preoccupazioni che fino allora lo hanno con­
dizionato, e deve procedere svincolato dai legami di prima,
se non vuole sporcare [quel] luogo (22). E lì che Mosè, per
la prim a volta, parla familiarmente [con D io], ascolta e a
sua volta replica, si inform a e viene istruito su quello che
dovrà dire e fare, conversando col Signore del cielo in un
collaudato rapporto di reciproca confidenza19. E lì che rice­
ve il bastone [tanto] potente nel compiere i prodigi 20 e,
dopo essere entrato nel deserto come pastore di pecore, to r­
na nel deserto come pastore di popoli.
8. E poi il popolo di Dio, che doveva essere libe
dall’Egitto e affrancato dalle preoccupazioni terrene (23),
non ha cercato forse i luoghi appartati e non si è rifugiato
nei posti solitari per avvicinarsi veramente, nella solitudine,
a [quel] Dio che lo aveva riscattato dalla schiavitù21? E per
questo che andava verso il deserto, m entre M osè lo guidava
per [quella] grande desolazione che faceva p a u ra 22. Quanto
è grande la tua dolcezza, Signore23! Q uando era entrato nel
deserto Mosè aveva visto Dio (24); adesso ci ritorna per
vederlo [ancora].
E chiaro che era il Signore stesso a guidare il suo
popolo nel cammino e a condurlo verso i deserti, portando

19 Cf. Es3-4. 20 Cf. E s 4 ,17. 21 Cf. Es 13,14. 22C f.D tl, 19;
8,15. 23 Sai 30 (31), 20.

(22) Un tipico esempio di esegesi allegorica, ispirata alla teologia e


spiritualità monastiche. Sulla cultura esegetica eucheriana, cf. supra, il secon­
do paragrafo dell’introduzione e, in particolare, le note 38, 39 e 45.
(23) Cf. supra, cap. 7 e nota (22).
(24) Cf. supra, cap. 7.
Elogio della solitudine, 7-10 75

una colonna ora rossa di fuoco ora bianca di nube, per aiu­
tarlo giorno e notte m entre viaggiava. Così, siccome allora
se lo meritavano, gli dava un segno dal cielo che si allungava
e faceva luce di volta in volta con una massa bianca o con
delle fiamme. C ’era un gran chiarore, e Israele poteva segui­
re il raggio di luce che brillava da lontano per lo splendore
del fuoco. Così, m entre si dirigevano verso la solitudine del
deserto, il Signore faceva strada precedendoli bene con la
[sua] lu c e24.
9. E m entre andava verso i deserti, a questo popolo
non si sono aperte più di una volta le porte del m are inac­
cessibile che si era trovato davanti (25)? M ettendosi in cam­
mino, il custode della [sua] gente ha introdotto le folle coi
piedi impolverati di sabbia rossa in mezzo alle onde divise
e, guardando dal profondo dell’abisso le minacciose m onta­
gne d ’acqua che incombevano, ha attraversato in questo
m odo il m are ridotto a un pantano (26).
10. M a la potenza dell’intervento divino non si è limi­
tata solo a questo. Infatti facendo rifluire le acque ha coper­
to di nuovo quello che aveva prosciugato (27); [così Dio] ha
cancellato [ogni] via di comunicazione col nemico e in mez­
zo ci ha messo tutta l’estensione del m a re 25, penso per non
far ritornare Israele dalla solitudine. Aveva aperto un pas-

24 Cf. Es 13, 21-22; Dt 1, 33; Ne 9, 19; Sai 77 (78), 14. 25 Cf. Es


14,27-28; Sai 77 (78), 53.

(25) Cf. Es 14, 21-22; Verg., Aen., IX, 130, ed. C. Carena, Torino
1971, p. 682.
(26) Cf. Verg., Aen., IV, 154-155, ed. C. Carena, Torino 1971, p. 438;
Hor., Sat., I, 5, ed. T. Colamarino - D. Bo, Torino 1975 2, p. 128; Gs 3, 16.
(27) Cf. Prud., Psych., 654-657; Catb., V, 86, cit. in Euch., De laude
er., ed. S. Pricoco, Catania 1965, p. 53.
76 Eucherio di Lione

saggio fra le acque e poi rimescolando le onde lo ha richiu­


so (28), per perm ettere l’andata e im pedire il ritorno a quel­
li che andavano in cerca del deserto.
11. Q uindi quel popolo è stato gratificato da questa
potenza benefica, perché aspirava alla solitudine; quando
poi ci è arrivato, si è m eritato [ancora] di più. Infatti là il
Signore l’ha ristorato con un miracolo inaspettato, quando
ha fornito acqua in abbondanza a [quegli] assetati da una
roccia colpita [da Mosè] 26. D a un m om ento all’altro ha
immesso misteriosamente la vita nelle vene nascoste [della
terra], e per quella gente che [ormai] aveva disgusto delle
pietre ha fatto zampillare dei rivoli [d’acqua] da una sor­
gente naturale.
Ma [il Signore] là non si è limitato a introdurre un cor­
so d ’acqua e versarlo nelle viscere della roccia asciutta, ma
ha reso dolci dei sorsi che erano amari per la cattiva qualità
dell’acqua27. Nel prim o caso ha fatto sgorgare [l’acqua], nel
secondo l’ha bonificata; e il miracolo di far uscire l’acqua da
una roccia non è inferiore a quello di trasform are dell’acqua
in u n ’acqua diversa. [Infatti] quelle volte tu tto quanto il
popolo di Dio è rimasto stupito di fronte a un aiuto [così]
efficace, sia quando l’acqua c’era [già] (29), sia quando non
c’era stata fino a quel m om ento (30).
12. E non è tutto. Sempre quel popolo lì ha raccolto
dalla terra bianca del cibo sceso dal cielo, quando il Signore

26 Cf. Es 17, 6; Nm 20, 11; Ne 9, 15; Sai 76 (77), 16; 77 (78), 20; 104
(105), 41. 27 Cf. Es 1 5 ,2 5 ;G d t5 ,15.

(28) Cf. Prud., Cath., V, 75, cit. in Euch., De laude er., ed. cit., p. 53.
(29) Riferimento alle acque di Mara, rese potabili (cf. nota 27).
(30) Si allude all’acqua fatta scaturire da Mosè (cf. supra, nota 26).
Elogio della solitudine, 10-13 77

dalle nubi ha fatto cadere pioggia asciutta e pane bagnato.


Dal cielo nevoso è caduta sulle tende e nei dintorni dell’ac­
campamento la manna vischiosa28, quando l’uomo ha man­
giato il pane degli angeli29. E siccome a (ogni) giorno basta la
sua pena30, la bontà divina ha fornito all’uomo il cibo giorno
per giorno, secondo una legge fissata fin da allora, per evitare
che [il suo popolo] si preoccupasse del dom ani31. Una volta
entrati nella solitudine, quindi, ci pensava il cielo a servirli,
dato che la terra non avrebbe potuto assicurare il
nutrim ento (31).
13. Pure la legge e i com andamenti divini gli Ebr
cui parliamo non li hanno forse ricevuti m entre si trovavano
nel deserto, quando si sono avvicinati per guardare e hanno
avuto i comandi impressi sulle tavole dal dito di Dio 32?
Sono usciti dall’accampamento incontro al Signore e si sono
fermati di fronte alle falde della m ontagna33; hanno guarda­
to spaventati la cima del Sinai, su cui vedevano in preda al
terrore che la maestà [di Dio] si era sed u ta34.
H anno osservato attoniti il m onte che fumava da lon­
tano per le colate di fuoco, prim a che una nube densissima
lo ricoprisse e lo nascondesse per un bel tra tto 35; li ha atter­
riti il balenare dei fulmini infuocati, m entre rimbombava di
continuo uno strepito di tuoni misto a squilli di tro m b e36. E
così che i figli di Israele, m entre vivevano nelle solitudini,

28 Cf. Es 16; Nm 11,31; Sai 77 (78), 24 e 27-28. 29 Sai 77 (78), 25.


3° Mt 6, 34. 31 Cf. Es 16, 4; 16, 16; 16, 21; Mt 6, 34. 32 Cf. Dt 9, 10.
33 Cf. Es 19, 17; Dt 4, 11. 34 Cf. Es 20, 18; 2 Mac 2, 8; Is 63, 12.
35 Cf. Es 19, 18; 20, 18; Dt 4, 11. 36 Cf. Es 19, 16.

(31) Cf. supra, cap. 7 e nota (22); cap. 8 e nota (23). Sulla ste
feconda, in senso etico-spirituale, cf. supra, cap. 5.
78 Eucherio di Lione

hanno m eritato di vedere il luogo dove si trovava Dio, e di


ascoltare la sua voce (32).
14. Allora quel popolo ha goduto e vissuto di questi e
[altri] miracoli del genere, quando abitava nel deserto,
quando mangiava un cibo misterioso, [si dissetava con] una
bevanda insperata e [indossava] una veste che non si consu­
mava, perché anche quello che serviva per coprire l’esterno
del corpo era fatto in m odo tale da durare ininterrottam en­
t e 37. Tutto quello che la natura dei luoghi non poteva forni­
re per [soddisfare] le loro necessità, è chiaro che ci pensava
la misericordia di Dio a procu rarlo 38. Q uesti doni della gra­
zia celeste son toccati sì e no a uno solo dei santi, che su
questo popolo dice: Il Signore non si è comportato in questo
modo con nessun [altro] popolo 39; ha accordato dei beni
speciali, ha concesso delle cose inaudite, ha ristorato il
[suo] popolo nella solitudine con dei doni divini.
15. E vero che questi avvenimenti sono raccontati a
m o’ di esempio per noi (33) - m entre il loro vero significato
splende nel profondo dei misteri (34) - ed è vero che i b at­
tezzati in Mosè nella nube e nel mare, come sappiam o40,
hanno mangiato tutti un cibo spirituale e hanno bevuto una
bevanda spirituale; tutto questo, però, anche se contiene la
fede nelle realtà future, non toglie nulla alla verità di quanto
è avvenuto (35).

37 Cf. Dt 8, 2-4; 29, 5; Ne 9, 21; At 13, 18. ™ Sai 106 (107),


13.19.28. 39 Sai 147, 20. 40 Cf. 1 Cor 10, 2-4.

(32) Cf. supra, cap. 7 e nota (22); cap. 8 e nota (23); cap. 12 e nota (31).
(33) Cf. 1 Cor 10, 6. Si veda anche supra, cap. 6 e nota (21).
(34) Cf. supra, cap. 7 e nota (22); cap. 8 e nota (23); cap. 12 e nota
(31); cap. 13 e nota (32).
(35) E noto come Eucherio abbia a cuore pure l’interpretazione stori­
co-letterale del testo biblico, secondo una teoria di eclettismo ermeneutico
Elogio della solitudine, 13-16 79

Q uindi non è che l’elogio della solitudine diminuisca,


p er il fatto che quegli avvenimenti devono essere riferiti a
dei misteri elevati; si tratta sempre di una grazia, anche se
allora quella condizione del corpo e il m ancato deteriora­
m ento delle vesti prospettavano un modello della vita futu­
ra. Infatti un luogo non ha forse in sé una grande grazia, se
la [sua] solitudine ci può far diventare fin da quaggiù tali
come saremo nella felicità dell’eternità beata?
16. Ma per quale ragione i figli di Israele sono arr
a quella terra bellissima solo dopo aver abitato nella solitu­
d in e 41? Per poter possedere un giorno quella [terra] dove
scorre il latte e il m iele42, il popolo di cui stiamo parlando
doveva prim a occupare questa [terra] arida e incolta. La
strada verso la terra patria passa tutta sempre attraverso i
luoghi solitari (36). Deve abitare una terra inospitale43 chi
vuol vedere i beni del Signore nella regione dei viv e n ti44:
dovrà essere ospite della prima, se lotta per diventare citta­
dino della seconda (37).

41 Cf. Sai 105 (106), 24; Ger 3, 19; Zc 7, 14. 42 Dt 6, 3; 26, 9; 27,
3; Gs 5, 6. 43 Cf. Ger 2, 6. 44 Sai 26 (27), 13; cf. Sai 114 (115), 9.

forse funzionale alle esigenze della meditazione scritturistica, così centrale


nella vita e nella spiritualità monastiche. In merito, sulla triplex scripturarum
regula cf. il secondo paragrafo dell’introduzione e le note 39-41.
(36) La spiritualità ascetica di Eucherio si raccoglie spesso in senten-
tiae come questa, dove l’allegoria (ad veram patriam... iter) è tutt’uno con la
cultura ascetica (eremi mansionibus). Cf. supra, ad esempio, cap. 6 («[...] chi
sceglie il deserto desidera la vita, [...]»). Sull’educazione classico-retorica del
nostro scrittore e, più in generale, sulle caratteristiche del linguaggio e dello
stile eucheriani, cf. supra, Introduz., note 31, 32, 35, 36, 63, 65, 115, 116,
120, 121, 144, 146, 194, 210 e relativi paragrafi.
(37) Cf. Ef 2, 19. Vivere ora il deserto (nello spirito prima che mate­
rialmente) per meritare domani il paradiso. «E qui», a giudizio dell’Alfonsi,
«il nodo paolino della questione» (art. cit., pp. 364-365). Sui riferimenti sicu-
80 Eucherio di Lione

17. Ma facciamo un altro esempio. Davide in persona è


riuscito a sfuggire alle insidie del re che lo minacciava solo
ritirandosi nel d eserto45. Q uando si trovava nei luoghi aridi
delTIdumea, aveva sete di Dio con tutto il cuore. Così, m en­
tre era assetato nel deserto, in un posto fuori mano e senza
acqua, allora sì che è apparso a Dio nel santuario, e subito
dopo ha potuto contemplare - santificato - la potenza e la
gloria di D io 46.
18. Invece Elia, il più grande frequentatore di luoghi
solitari, ha chiuso il cielo alla pioggia47, lo ha aperto al fuo­
co (38), ha preso il cibo da un uccello che lo serviva48, ha
revocato i diritti immutabili della m o rte 49, ha attraversato il
G iordano interrom pendo il corso del fiume 50 ed è salito in
cielo portato via da un carro infuocato51.
19. E che dire di Eliseo, che coltivava [anche lui] i valori
di questa vita [solitaria]? N on è stato altrettanto grande nel
compiere i miracoli divini? Infatti è diventato famoso una
volta dividendo un fium e52, u n ’altra volta facendo galleggiare
un pezzo di ferro 53, u n ’altra volta [ancora] resuscitando un
m o rto 54 o aumentando la quantità dell’olio55. Alla fine, dopo
tantissimi altri [prodigi], ha dimostrato pure che la potenza
del maestro in lui si era raddoppiata, perché se Elia da vivo
[aveva resuscitato] un m orto (39), Eliseo ne resuscita un altro
quando [lui stesso] era già m orto56.

45 Cf. 1 Sam 23,14; 23 , 25 . 46 Cf. Sai 62 (63), 1-3. 47 Cf. 1 Re 8,


35; Le 4,25 . 48 Cf. 1 Re 17, 6. 49 Cf. 1 Re 17,17-23. 50Cf. 2 Re 2, 8.
51 Cf. 2 Re 2,11. 52 Cf. 2 Re 2,14. 53 Cf. 2 Re 6,5-6. 54 Cf. 2 Re 4,
32-35. 55 Cf. 2 Re 4,2-6. 56 Cf. 2 Re 13,20-21.
ri a Paolo, per non parlare delle reminiscenze più o meno indirette, cf. supra,
il terzo paragrafo dell’introduzione e l’indice scritturistico.
(38) Cf. infra, nota 51.
(39) Cf. supra, nota 49.
Elogio della solitudine, 17-21 81

20. Anche i figli dei profeti abbandonavano le città e


andavano verso il G iordano che nasce da due sorgenti; [lì]
si costruivano delle capanne in luoghi appartati, vicino al
fiume solitario (40). La schiera santa vegliava sulle rive del
fiume isolato, come se avessero avuto delle tende e delle
abitazioni adeguate: figli straordinari, che conservavano la
spiritualità dei padri.
21. E che? La persona, di cui non è nato [nessuno\ più
grande tra i fig li di donne57, non viveva forse in un deserto
m entre gridava nel deserto58? E nel deserto che amministra
il battesim o, nel deserto predica la conversione59, nel deser­
to parla per la prim a volta del regno dei cieli60. E dov’è che
ha prospettato per prim o queste cose alla gente che lo
ascoltava? Nel posto dove chiunque le abbia cercate le ha
ottenute più rapidam ente (41). [Perciò] era giusto che p ri­
ma che apparisse il Signore fosse m andato come messagge­
ro 61 quest’uomo tutto d ’un pezzo che avrebbe abitato nel
deserto, per aprire la via al regno celeste: precursore e nello
stesso tem po testimone di Cristo, degno di sentir parlare il
Padre dal cielo62, di arrivare a battezzare il Figlio e di vede­
re scendere lo Spirito S anto63.

57 Mt 11, 11. 58 Cf. Mt 3, 3. Vedi anche Is 40, 3 . 59 Cf. Me 1, 4.


60 Cf. M t4 , 11. 61 Cf. Mt 11, 10. 62 Cf. M e i, 11. 63 Cf. Mt 3,
13-16.

(40) Cf. 2 Re 6, 1-4. Con questo testimonium terminano gli exempla


veterotestamentari. Col prossimo iniziano quelli desunti dal Nuovo Testa­
mento. Cf. supra, nota (21).
(41) Cioè nel deserto. La Nuova Alleanza ha inizio nel deserto (cf. in
merito anche il prossimo capitolo, sul primo atto di Cristo dopo il battesi­
mo). A giudizio d’Eucherio, d’altronde, «è proprio nel Nuovo Testamento
dove l’ideale ascetico prende il suo maggior impulso e vigore» (L. Alfonsi,
art. cit., p. 365).
82 Eucherio di Lione

22. Perfino il nostro Signore e salvatore subito do


battesimo, come dice la Scrittura, viene portato dallo spirito
nel deserto 64. Ma chi è questo spirito? Lo [Spirito] Santo,
non c’è dubbio. [Infatti] è proprio questo che dice lo Spirito
Santo, è questa la sua ispirazione silenziosa: andare nel deser­
to, e l’interpretazione giusta di quello che suggerisce lo Spiri­
to Santo si risolve in [una scelta di] solitudine (42). Per que­
sto [il Signore], dopo l’immersione nel fiume mistico (43), la
prima cosa che pensa di dover fare è andare in un posto soli­
tario. Eppure allora aveva santificato le acque sempre santifi­
canti, però anche se Lui era puro non aveva [ancora] purifi­
cato l’uomo del peccato65: infatti non aveva commesso pec­
cato, e non lo temeva nemmeno. Ma ardeva lo stesso dal desi­
derio della solitudine e, per dare il buon esempio in tutto,
voleva per noi una cosa che non era indegna [neanche] di
Lui (44). E se Dio, che non può sbagliare, ha scelto voluta­

64 Cf. Gv 14, 26. 65 Cf. 2 T s 2 ,3 .

(42) Cristo - insieme al Battista - come primo asceta dell’economia


neotestamentaria, per giunta su ispirazione dello Spirito Santo. Eucherio
avverte l’importanza straordinaria di questo primo modello eremitico e non
trascura di porla in evidenza, dedicando ben cinque capitoli (22-26) a que­
st’aspetto dell’esperienza e della testimonianza di Gesù. Su questo tema
(Giovanni Battista e il Cristo come «prototipi monastici»), si veda S. Prico­
co, L ’isola dei santi. Il cenobio di Lerino e le origini del monacheSimo gallico,
Roma 1978, p. 160, note 126 e 127.
(43) Cf. Mt 3, 13-17; Me 1, 9ss.; Le 3, 21-22; Gv 1, 31-34. Il Giordano
è detto mysticum flumen perché strumento e simbolo della salvezza eterna,
sia pure solo promessa e prefigurata: è il luogo della penitenza e della con­
versione, che preludono alla redenzione. Cf. Mt 3, 11.
(44) Il Signore - intende Eucherio - come non avrebbe avuto bisogno
del battesimo per purificarsi e convertirsi (tanto meno di quello amministra­
to da Giovanni, che era solo un segno di penitenza: cf. Mt 3, 11), così non gli
sarebbe stato necessario Veremus per santificarsi e salvarsi. Con la scelta del
Elogio della solitudine, 22-24 83

mente [la solitudine], quanto più sarà necessaria agli uomini,


che sono soggetti agli errori? Se l’ha cercata Chi non può fare
il male, quanto più dovrà bramarla il peccatore?
23. Sempre lì, lontano dal chiasso delle folle, viene in
soccorso del Signore l’aiuto silenzioso della forza divina e,
m entre vive nella solitudine come se fosse tornato in cielo,
gli angeli accorrono a servirlo66. E lì che allora ha respinto
l’antico avversario che lo tentava con le insidie della solita
malizia, e il nuovo Adamo ha scacciato l’ingannatore del
vecchio Adamo (45). Q uanto è grande la gloria del deserto
se il diavolo, che nel paradiso [terrestre] aveva vinto, è stato
sconfitto nella solitudine (46) !
24. D eserto era pure il luogo dove il nostro Salvatore
ha dato da mangiare e ha saziato migliaia di persone solo
con cinque pani e due p e s c i67. E sem pre nel deserto che
G esù nutre i suoi con il pane. U na volta gli aveva dato la
m anna per dim ostrare l’aiuto divino (47), adesso [gli A po­
stoli] hanno dato dei pezzi [di pane], e con lo stesso m ira­

r c i. Mt 4,11. 67Cf. Mt 14,15-21.


deserto, sia pur episodica (ma comunque ribadita costantemente: cf. i prossi­
mi capitoli), Egli, vuol dire l’autore, «ci addita l’ideale ascetico» (cf. L.
Alfonsi, art. cit., p. 365).
(45) L’eremus come luogo, condizione e segno del nuovo Adamo,
dell’uomo nuovo - nel quale Eucherio, quindi, vede soprattutto il monaco -
convertito, santificato e salvo. Ciò che Cristo ha operato nel deserto, infatti,
respingendo le tentazioni diaboliche (cf. Mt 4, 1-11), potrà farlo anche
l’asceta che lo avrà imitato sulla via del ritiro dal mondo. Tematica e termi­
nologia sul vecchio e nuovo Adamo sono, notoriamente, paoline (cf. special-
mente Rm 5, 14, ma pure Col 1, 15 e 3, 9-10).
(46) Sull’intimo rapporto fra il deserto da un lato e dall’altro la pre­
senza e l’azione angeliche e demoniache, cf. supra, il terzo paragrafo del­
l’introduzione e le note 93-96.
(47) Cf. supra, cap. 12.
84 Eucherio di Lione

colo il cibo come allora è sceso sulla gente che aveva fame,
così ora si è m oltiplicato p er quelli che lo m angiano. Per
grazia di Lui, tu tte le volte la m ensa è stata più ricca e il
cibo è stato più abbondante di quanto fosse richiesto dal
num ero dei com m ensali68. E nei deserti, in definitiva, nei
deserti che adesso dobbiam o cercare la ragione di miracoli
così grandi. [In effetti], se si fosse trattato di un luogo fer­
tile, la potenza [divina] come avrebbe fatto a m anifestare
la sua efficacia?
25. Anche quella volta il Signore Gesù si è ritirato in un
punto piuttosto appartato di un monte altissimo, quando la
sua faccia è apparsa luminosa come non mai soltanto ai tre
[Apostoli] che erano stati scelti per accompagnarlo69. Facen­
do vedere apertamente un uomo sollevato verso l’alto, il
Signore ha affidato a un luogo solitario il compito di manife­
stare la sua grandezza. Ed è stato lì che il più grande degli
Apostoli ha detto: Per noi sarebbe stato bello rimanere q u i70,
perché è chiaro che era stato conquistato dalla grandezza del
miracolo nella solitudine del deserto.
26. Sempre il Signore Gesù, come sta scritto, andava
in un posto deserto e là p reg av a71. P er questo orm ai quel
luogo deve essere chiamato «luogo di preghiera», perché
Dio C reatore ha fatto vedere che è ideale p er pregare Dio,
e ha insegnato che la preghiera di chi si umilia, rafforzata
dal luogo e im preziosita dalla solitudine, può arrivare più
facilmente al cielo. E proprio andando a pregare lì, ha
indicato Lui stesso dove dobbiam o avere il desiderio di
pregare.

68 Cf. Mt 14, 20; 15 , 37 . 69 Cf. Mt 17, 1-2. 7° Mt 17, 4.


71 Cf. Le 6,12.
Elogio della solitudine, 24-27 85

27. Che cosa dovrei dire allora di Giovanni, di M


rio (48) e dei tantissimi altri che, m entre vivevano nei deser-

(48) Il primo si potrebbe identificare con Giovanni di Licopoli


dedicato il cap. I dell’Historia monachorum in Aegypto (cf. ed. A.J. Festugiè-
re, Subs. Hagiogr., 34, Bruxelles 1960, pp. 9-35; tr. frane., Id., Les moines
d’Orient, IV, 1, Paris 1964, pp. 9-28). Fu un grande asceta della Tebaide, in
relazione con l’imperatore Teodosio (379-395). Dotato di vari carismi, venne
soprannominato il «Veggente della Tebaide». La sua spiritualità si caratte­
rizza per l’accento posto sull’umiltà, sulla purificazione del cuore e sulla lot­
ta incessante contro il peccato, incoraggiata dalla fiducia nella misericordia
divina. Secondo alcuni Giovanni di Licopoli sarebbe autore di un testo asce­
tico greco giunto fino a noi (J. Muyldermans) e di parecchi trattati di spiri­
tualità mistica trasmessi in siriaco sotto il suo nome (A. Baumstark). Gli stu­
di più recenti (I. Hausherr) hanno peraltro smentito questa paternità, per
cui lo Pseudo-Giovanni di Licopoli andrebbe invece identificato con Gio­
vanni di Apamea, attivo tra il V e il VI secolo (cf., anche per la bibliografia,
DPAC, II, 1568-1570 [J.-M. Sauget]).
Quanto a Macario, gli studiosi di storia e letteratura monastica greco­
orientale del IV secolo sanno bene quanto sia problematico identificare con
sicurezza il personaggio-autore in questione, anche perché nell’Egitto di
quell’epoca furono in molti a portare quel nome che, oltre tutto, può anche
avere un mero valore simbolico (= «beato», in greco). Quindi non si può
affermare con assoluta certezza a chi Eucherio intenda qui riferirsi. Potrebbe
trattarsi (più probabilmente) di Macario d’Egitto, noto come il Grande o il
Vecchio - fondatore di Sceti, ex cammelliere, discepolo del grande anacore­
ta Antonio e morto intorno al 390 - oppure (con minore possibilità) di
Macario l’Alessandrino, detto il Cittadino, il «santo padre Macario» della
tradizione, ex mercante, presbitero a Celle, amico di Evagrio e altri origeni-
sti, morto anch’egli all’inizio dell’ultimo decennio del IV secolo. D ’altra par­
te, per capire quanto sia complessa la questione, basti dire che 1’Historia
monachorum in Aegypto e la Storia lausiaca fanno già confusione tra gli apof-
tegmi e i miracoli attribuiti all’uno o all’altro dei due Macari ricordati. Pre­
scindendo dagli altri scritti, apocrifi tranne gli Apoftegmi (CPG 2400-2403;
PG 34, 385-392, 967-990), si può attribuire al Grande Macario la famosa
Lettera spirituale, di cui si ha un originale greco (ancora inedito) e varie ver­
sioni copte e siriache (cf. l’edizione della versione latina a cura di A. Wil-
mart, RAM 1 [1920], 58-83 [CPG 2415, I]). Su tutta la vexata quaestio si
può consultare introduttivamente J. Gribomont, Macario d’Egitto e Maca­
rio/Simeone, DPAC, II, 2053 e 2055-2056.
86 Eucherio di Lione

ti, avevano la loro patria nei cieli (49)? Si sono avvicinati al


Signore per quanto era possibile a un uom o avvicinarsi a
Dio, e sono stati introdotti nelle realtà divine p er quanto era
permesso a degli [uomini] rivestiti di carne. H anno pene­
trato i misteri celesti con il loro spirito concentrato sulle
realtà soprannaturali. Così hanno dim ostrato o con delle
rivelazioni interiori o con dei segni evidenti che la grazia era
con loro, e con l’aiuto della solitudine sono arrivati fino al
punto di toccare sì la terra con il corpo, ma di possedere già
il cielo con lo spirito.
28. In definitiva si può dire benissimo che questo
re nella solitudine è in certo qual m odo la patria della fede,
l’arca della virtù, il santuario della carità, il tesoro della spi­
ritualità, la fonte della santità (50).
Facciamo un esempio. In una casa spaziosa tutti gli
oggetti preziosi sono conservati sotto chiave in qualche
angolo appartato. Lo stesso discorso vale p er la magnificen­
za dei luoghi santificati dalla solitudine: è protetta dagli
ostacoli della natura ed è riposta nella terra del deserto
come in una stanza sigillata, per evitare che la gente la sciu­
pi a furia di frequentarla. E il Signore del m ondo fa bene a
m ettere al sicuro questo ricco patrim onio in quella parte
della casa terrena (51). Però non si limita a questo, perché
quando è il caso lo tira fuori dal segreto.

(49) Cf. Fil 3, 20. Con questo capitolo termina la rassegna degli exem-
pla ascetici. Con il prossimo, il 28, iniziano le pagine più teoretiche e creative
del De laude eremi.
(50) Ben cinque sententiae consecutive per definire ed illustrare senso
e valore della vita eremitica. Cf. supra, cap. 16 e nota (36).
(51) Cioè nei luoghi isolati e desertici, presentati da Eucherio come i
forzieri che custodiscono i beni più preziosi.
Elogio della solitudine, 27-30 87

29. Una volta la provvidenza divina aveva a cuore mol­


tissimo la solitudine, ma neanche adesso se ne disinteressa.
Ora, per esempio, se Dio m anda da mangiare agli abitanti di
un eremo con una generosità che loro neanche si aspettava­
no, [questo aiuto] da dove scende se non dal cielo? Pure
questi trovano la loro manna in questa munificenza celeste, e
per loro non meno [che per gli altri] il Signore sparge di
nascosto il nutrimento con l’intervento misterioso della sua
potenza. E quando si scava fra le pietre e finalmente, per gra­
zia di Dio, appare l’acqua che scorre dai sassi, non è come se
sgorgasse dalla roccia colpita dal bastone di M osè72?
M a non è tutto. A chi sta nella desolazione del deserto
non manca neanche la veste per coprirsi: finché è la provvi­
denza divina a procurarla gratuitam ente73, è sicuro che con­
tinuerà a esserci. Allora il Signore ha nutrito i suoi nel
deserto, ma pure adesso li nutre: quelli per quarant’anni,
questi finché esisterà il tem p o 74.
30. Il santo, quando sente ardere dentro di sé il fuoco
dell’amore divino, sarà bene che abbandoni la propria resi­
denza e scelga questa [nuova] abitazione (52). Sarà bene
che la preferisca ai parenti, ai figli e ai genitori, e se la com­
pri vendendo tutto quello che h a 75. Sarà bene che per quelli
che la abbandonano la patria d ’origine prenda il nome di
patria temporale, e verso di lei non si sentiranno [più] atti­
rati né dal rim pianto, né dai bei ricordi, né dalla tristezza.

72 Cf. Es 17, 5-6. 73 Cf. Dt 8, 4; 29, 5; Ne 9, 21. 74 Cf. Dt 8, 2-3;


Ne 9, 21; At 13, 18. 73 Cf. Mt 13, 44.46.

(52) Una compiaciuta allusione a Ilario, che aveva fatto appunt


sta scelta attorno al 420, raggiungendo Onorato a Lerino. Cf. supra, cap. 1 e
nota (1).
88 Eucherio di Lione

Sarà bene, proprio così, che [questa nuova patria] ricom ­


pensi da sola tutti gli affetti [p erd u ti]76.
31. In realtà, chi potrebbe fare un elenco completo dei
benefici che dà la vita solitaria e delle buone occasioni che
ci trova la virtù di quelli che la scelgono? Inseriti nel m on­
do, è come se si ritirassero fuori dal m ondo, andando in giro
per i deserti, fra le montagne, nelle grotte e nelle caverne del­
la terra77. E ha ragione l’Apostolo quando dice che il m on­
do non è degno di persone del genere 7S, che non hanno
[più] niente a che fare con la confusione della convivenza
umana, appartate, quiete, silenziose, senza più non dico il
desiderio, ma neanche la capacità di peccare.
32. N ell’antichità gli uomini grandi di questo mondo,
quando erano stressati dalle fatiche dei loro impegni, si rifu­
giavano nella filosofia come a casa loro. M a [allora] non è
più bello dedicarsi a studiare la sapienza più autentica?
N on è più glorioso ritirarsi nella libertà dei luoghi solitari e
nel silenzio dei deserti, per allenarsi a muoversi in quella
solitudine come se fosse la propria scuola, assorbiti soltanto
dalla filosofia (53)?
Mi dom ando se esiste un posto dove si può celebrare la
Pasqua con più libertà che stando nel deserto (54). Ma con le

™ Cf. Mt 19, 29. 77 Eb 11,38. 78 Cf.ibid.

(53) Sulla qualità e il significato di questa philosophia, ben altra da quel­


la classica, cf. supra, il terzo paragrafo dell’introduzione e le note 117 e 118.
(54) Perché la prima pasqua (= «passaggio») è stata “celebrata” dal
Popolo eletto proprio nel deserto, primo scenario della liberazione dalla
schiavitù egiziana e itinerario del pellegrinaggio penitenziale verso la Terra
promessa. Cf. H. Obermayer - K. Speidel - K. Vogt - G. Zieler, Piccolo dizio­
nario biblico, ed. it. a cura di A. Minissale, Roma 1982 4, pp. 119 (Esodo
dall’Egitto) e 249-250 [Pasqua). Sulla liturgia lerinese e sugli edifici destinati
alla sua celebrazione, cf. H. Leclercq, Lérins, DACL, VIII/2, 2622-2624.
Elogio della solitudine, 30-34 89

virtù e la continenza: e per continenza intendo quella che,


come certe altre cose, coincide con la solitudine del cuore.
Non per niente pure Mosè ha digiunato in un posto solitario
per quaranta giorni79, e poi [sempre] lì lo ha fatto anche Elia
per un periodo altrettanto lu ngo80, e tu tt’e due in quel luogo
sono stati senza mangiare al di là delle possibilità della condi­
zione umana. Poi anche il Signore stesso, ma [pure Lui] nel
deserto, ha vissuto il tem po dell’astinenza81. E a parte questi
casi, non ci risulta da nessuna parte che il digiuno sia stato
praticato per dei periodi della stessa durata, per cui non si
può negare che il Signore abbia comunicato a quei luoghi
anche u n ’energia particolare {55).
33. Ditemi un p o ’, dove ci si può sentire più liberi e
vedere quanto è dolce il Signore82? Dove si apre una via più
diretta alla perfezione, se uno ci vuole arrivare? D ov’è a
disposizione un campo più grande p er [l’esercizio delle]
virtù? D ov’è che ci si può guardare meglio intorno per p ro ­
teggere lo spirito? Se il cuore vuole aderire a Dio, dov’è più
libero di farlo che in quelle solitudini? Infatti lì è facile non
solo trovare Dio, ma pure tenerselo.
34. Tante volte nel deserto la polvere che c’è sul terreno
è così sottile che si sposta, questo è vero: però non c’è luogo
al m ondo dove le fondamenta della casa evangelica siano più
solide. Se uno vuole stabilirsi fra quelle sabbie, questo non
significa che costruirà la sua casa sulla sabbia83: [anzi] se c’è

79 Cf. Es24, 18; 34, 28; Dt 9, 9.18. 80 1 Re 19, 8. 81 Cf. M t4,2.


82 Cf. Sai 33 (34), 9. 83 Cf. Mt 7, 26.

(55) Il carisma del deserto, la sua potenza e fecondità spiritua


supra, capp. 5, 12 e passim. La Laus nel suo insieme, d’altronde, mira essen­
zialmente a celebrare questo vigor santificante posseduto dall’eremus.
90 Eucherio di Lione

un posto dove piazzerà sulla roccia l’edificio di cui abbiamo


parlato prim a (56), questo è proprio [il deserto], [Li] la
costruzione avrà una statica perfetta e resisterà incrollabile.
P otrà passare il tempo, potranno scatenarsi i tem porali e
soffiare i venti, potranno arrivare le alluvioni, ma [quella
casa] rim arrà in p ie d i84.
Per questo quelli che abitano nel deserto si costruisco­
no degli edifici del genere, però [lo fanno] nel cuore, serven­
dosi delle cose più semplici per arrivare a quelle più preziose
e cercando di raggiungerle con la più sublime umiltà, senza
affannarsi, scordandosi delle cose terrene per la speranza e il
desiderio di quelle celesti. Infatti disprezzano la ricchezza,
perché hanno scelto di essere poveri; e non si angustiano per
il fatto che sono poveri, anche se vorrebbero tanto essere ric­
chi (57). Lottano giorno e notte lavorando (58) e vegliando,
per im parare il principio di quella vita di cui non si potrà
conoscere la fine. Così la solitudine li accoglie come in un
grembo materno, loro che hanno il grande merito di essere

84 Cf. Mt 7, 24-25.

(56) Solo qualche riga più su, al principio di questo capitolo.


(57) Spiritualmente, s’intende.
(58) A Lerino si lavorava? Sembra di sì, stando a questo accenno di
Eucherio. Leggiamo in proposito il Malnory: «Ignoriamo come [a Lerino]
fosse regolato nei dettagli l’impiego del tempo: ma le opere letterarie uscite
dall’isola e ciò che riferisce Eucherio sulla varietà delle produzioni che vi si
trovavano, indicano chiaramente quale ruolo onorevole venisse assegnato al
lavoro, sia delle mani che dello spirito» (A. Malnory, Saint Césaire d’Arles,
Paris 1934 2, p. 249). Il Quacquarelli, più recentemente, conferma alla luce
delle fonti la presenza e l’importanza del lavoro manuale e intellettuale
nell’insegnamento di Onorato e nella spiritualità-organizzazione del cenobi-
tismo lerinese. Cf. A. Quacquarelli, Lavoro e ascesi nel monacheSimo prebe­
nedettino del IV e Vsecolo, Bari 1982, pp. 46-47 e 61-64.
Elogio della solitudine, 34-36 91

avidi di eternità, che hanno la virtù di essere dissipatori


dell’effimero, disinteressati del presente, certi del futuro. E
in questo m odo ottengono che quelli per i quali è arrivata la
fine dei tem p i85 si possano meritare il tem po senza fine.
35. Lì sono in vigore le leggi salutari iscritte nell’uomo
interiore (59), e le regole più sottili che valgono alla luce
dell’eternità. Lì le condanne umane dei reati e dei delitti non
fanno sentire il loro effetto, e di sentenze che puniscono i
delitti capitali non se ne parla nemmeno, perché sottometto­
no a una legge indegna pure il cuore più innocente. Invece
[nella vita solitaria] anche il moto interiore dello spirito viene
ricondotto con tutto l’impegno entro i limiti della santità e
perfino l’inizio dei pensieri oziosi è punito dallo stesso giudi­
ce. P er altri il male consista pure nell’aver fatto il male, per
questi invece male significa non aver fatto il bene.
36. M a come faccio a trovare le parole giuste per esal­
tare le leggi interiori che regolano la vita solitaria? Una cosa
però adesso la devo dire, e cioè che quelli che coltivano
quella vita sanno qual è la forza della sua efficacia (60),
anche se la ignorano quasi tutti. Infatti quando se ne vanno
lontano nei luoghi più isolati, rinunciando al m ondo e alla
compagnia degli uomini, il loro desiderio più grande è quel­
lo di starsene nascosti, questo è vero, però quello che non
possono nascondere è la loro virtù.
Più la loro vita si sviluppa interiorm ente, più si manife­
sta al di fuori la gloria verso Dio, ne sono convinto, perché

85 Cf. 1 Cor 10,11.

(59) Sulla ricorrenza di questa eco agostiniana nel De laude eremi, cf.
supra, il terzo paragrafo dell’introduzione e le note 128, 136 e 153.
(60) Cf. supra, nota (55).
92 Eucherio di Lione

fra l’uno e l’altro c’è un rapporto tale per cui chi abita il
proprio eremo è nascosto sì al m ondo, ma non si può
nascondere con l’esempio. E questa la lucerna che risplende
per tutto il m ondo, messa sul candelabro della vita solitaria:
da qui diffonde una luce sfolgorante per gli angoli oscuri
del mondo. E questa la città che non può rim anere nascosta
perché si innalza sulla m ontagna del deserto 86, e col suo
m odo di essere ha offerto al m ondo u n ’immagine della
Gerusalem me celeste87. Perciò se uno si trova nelle tenebre,
si avvicini a questa luce per vedere se è in pericolo, venga in
questa città se vuole sentirsi al sicuro (61).
37. Come sono ridenti anche i luoghi appartati su
m onti selvosi per la gente che ha sete in Dio! Q uanto sono
belli quei deserti (62) per chi cerca Cristo, messi a disposi­
zione dalla natura che si estende in lungo e in largo !
Tutto tace. Allora lo spirito - lieto - è come spinto e
stimolato dal silenzio verso il suo Dio, vitalizzato da impulsi
ineffabili. N on si sente nessun rumore, non si parla con nes­
suno, tranne eventualm ente che con Dio. C ’è solo quella
voce (63) che interrom pe il silenzio della vita solitaria e alte­
ra quello stato di calma tranquilla: ma p er l’anima è più dol­
ce della quiete, [perché] è il suono santo di una dolcissima
intimità. E in quel mom ento, proprio per effetto di questa
soave e sublime [intimità], risuonano dei cori ardenti che

86Cf.M t5, 14. 87 Cf. Eb 12, 22.

(61) E un invito a Lerino, ma per rimanerci tutta la vita, da monaco!


Sul «proselitismo» lerinese-eucheriano si vedano supra le considerazioni
espresse alla fine del quarto paragrafo dell’introduzione.
(62) Cf. supra, nota (16).
(63) La voce di Dio, chiaramente.
Elogio della solitudine, 36-39 93

intonano inni, e si può dire che si tocca il cielo anche con le


voci oltre che con le preghiere.
38. Allora freme invano l’avversario, come un lupo [di
fronte] alle pecore protette dentro l’ovile (64): il confine
dell’eremo è come un m uro invalicabile. Tiene lontani i
nemici e, per evitare che quelli che sorvegliano la città fac­
ciano le sentinelle inutilm ente88, il pastore può contare pure
su Cristo come difensore. Così il popolo adottivo di Dio
quanto [più] si troverà scoperto nei luoghi solitari, tanto
[meno] potrà cadere nelle mani dei suoi nemici.
Gli angeli che festeggiano in coro si accorgono delle
grandi bellezze del deserto e, andando su e giù per la fam o­
sa scala di G iaco b b e89, nobilitano i luoghi solitari frequen­
tandoli tante volte di nascosto. Lì anche al meriggio si viene
a riposare lo sposo 90, e gli abitanti del deserto - feriti
dall’amore - lo contemplano dicendo: Abbiamo trovato
quello che la nostra anima cercava, ce lo terremo e non lo
lasceremo andar via91.
39. Al contrario di quello che si pensa, questa terra
dell’erem o non è infruttuosa, non è sterile, e le pietre del
deserto - anche se è arido - non sono infeconde (65).
O gnuno che abita da quelle parti raccoglie tanti prodotti e
centinaia di frutti. E difficile che i semi gettati lì vadano a
finire sulla strada, dove se li prendono gli uccelli, o che
cadano fra i sassi, dove il terreno non è profondo e quando

88 Cf. Sai 126 (127), 1. 89 Cf. Gn 28, 12. 90 Cf. Ct 1, 7.


91 Ct 3,4.

(64) Cf. Verg., Aen., IX, 59-60, ed. C. Carena, Torino 1971, pp. 678
e 680.
(65) Cf. supra, nota (55).
94 Eucherio di Lione

sorge il sole lo infuoca e lo fa inaridire, oppure che si


disperdano in mezzo ai cespugli, dove ci sono le spine che
crescono e arrivano a ricoprirli92.
Il contadino (66) si fa ricco col raccolto che ci miete, e
con la messe che viene fuori fra queste pietre si ingrassano
pure le ossa. Ci si trova anche il pane vivo che scende dal cie­
lo 93, e fra quelle rocce scaturiscono delle sorgenti che irriga­
no e delle acque vive94 che possono bastare non solo per chi
si deve togliere la sete, ma anche per quelli che si devono sal­
v are95. Q ui c’è il prato e la delizia dell’uomo interiore (67),
c’è il deserto da un lato selvaggio e dall’altro gioioso per la
sua bellezza incredibile (68), c’è l’eremo del corpo e - nello
stesso tem po - il paradiso dell’anima.
40. N on si potrebbe più vantare nessuna terra,
quanto fertile, di fronte alla terra dell’eremo. C ’è un terreno
che produce tanto grano? [Ma] è soprattutto in questo [ter­
reno] che spunta quel frum ento capace di saziare gli affa­
mati col suo potere nutritivo %. Da u n ’altra parte ci sono
vigneti a non finire? [Eppure] è qui specialmente che si
produce quel vino che rallegra come si deve il cuore
dell’u om o97. U n altro posto abbonda di pascoli? [Ma] è qui
che pascolano nella maniera più adatta quelle pecore di cui
è detto: Pasci le mie pecorelle98.
C ’è un altro [terreno] che è ravvivato dal germogliare
dei fiori? [Però] è su questo [terreno] che risplende in

92 Cf. Mt 13, 4-7. 93 Gv 6, 51. 94 Cf. Gv 7, 38. 95 Cf. G v4,


13-14. 96 Cf. Sai 147,14. 97 Sai 103 (104), 15. 98 Gv 21,17.

(66) Metafora del monaco. Cf. infra, cap. 41.


(67) Cf. supra, nota (59).
(68) Cf. supra, cap. 3 e nota (16); cap. 37 e nota (62).
Elogio della solitudine, 39-42 95

m odo particolare il vero fiore di campo e il giglio delle


va lli99. U n’altra [terra] si gloria addirittura dei metalli p re­
ziosi, oppure brilla per l’oro che possiede? [Ebbene,] in
questa [terra] non manca lo splendore delle pietre che sfol­
gorano con una luminosità scintillante (69). Perciò questa
terra è superiore a qualunque terra e sorpassa di gran lunga
tutte le altre nei vantaggi che può offrire.
41. Q uindi è giusto se tu, terra veneranda (70), sei
apparsa abitabile o [quanto meno] desiderabile per i santi che
stanno [già] presso di te o per quelli che si sono ritirati nelle
tue vicinanze, perché agli occhi di tutti i buoni sei feconda di
Colui nel quale si possiede tutto. Il contadino che ci vuole per
te è questo, uno che coltivi il suo terreno, non il tuo: tu sterile
dei vizi di chi ti abita, tu feconda delle sue virtù (71).
Ogni santo che abbia cercato la tua compagnia, ha tro­
vato Dio. Chiunque ti abbia coltivato, in te ha trovato Cristo.
Chi vive in te ha la gioia di convivere col Signore e, nello stes­
so tempo, possiede te ed è posseduto da Dio. Se uno accetta
di abitare in te, è diventato lui stesso tempio di Dio 10°.
42. I luoghi deserti che vengono nobilitati dalla vita
solitaria dei santi, è chiaro che devono rispettarli tutti. Però
un occhio di riguardo ce l’ho per la mia Lerino (72), che

99 Ct 2,1 . 100 Cf. 1 Cor 3,16; 2 Cor 6,16.

(69) Si noti la successione delle contrapposizioni. Su Eucherio retore


cf. supra, i paragrafi secondo, terzo e quarto delPintroduzione e le note 31,
32, 35, 36, 63, 65, 115, 118, 120, 121, 144, 146, 194 e 210. Si vedano pure i
capp. 16 e 28 della Laus, con le rispettive note (36) e (50).
(70) L’arcipelago lerinese. Ha qui inizio il panegerico conclusivo
dell’“isola dei santi”.
(71) Un altro saggio di sapienza retorica (cf. supra, nota [69]).
(72) Continua l’encomio iniziato nel capitolo precedente (cf. supra,
nota [70]).
96 Eucherio di Lione

accoglie fra le sue braccia tanto generose quelli che arrivano


strapazzati dai naufragi delle tem peste m ondane (73) e fa
accomodare dolcemente sotto le sue om bre la gente spossa­
ta dalla calura del m ondo, per cui se uno è affannato lì può
riprendere fiato sotto l’om bra spirituale del Signore. Zam ­
pillante di acque, verdeggiante di erbe, splendida di fiori,
soave nei paesaggi, [Lerino] offre alle persone che la possie­
dono il paradiso che [un giorno] possiederanno (74).
Degna di aver avuto per iniziatore e fondatore O nora­
to (75), con la sua regola celeste (76), e di aver trovato un
padre così grande per la validità dei suoi insegnamenti, a
cui si leggeva pure in faccia la forza dello spirito apostoli­
co (77). Degna di accoglierlo e di restituirlo così (78).
Degna di ospitare anche i monaci migliori e di fornire dei
sacerdoti che tutti ci terrebbero ad avere (79).

(73) Una metafora particolarmente appropriata, visto che Lerino è


un’isola!
(74) In spunti come questo l’elemento estetico si fonde con quello
escatologico nella dottrina ascetico-spirituale del De laude eremi, nel senso
che la bellezza della natura (cf. supra, cap. 3 e nota [16]; cap. 37 e nota [62])
diviene metafora, riflesso e anticipazione della beatitudine eterna. Si veda al
riguardo S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., pp. 154-164.
(75) Cf. supra, nota (3).
(76) Sulla complessa questione storico-monastica legata alla cosiddet­
ta “regola lerinese” e su Onorato come autore vero o presunto della medesi­
ma, cf. DACL, VIII/2, 2609-2613 (H. Leclercq).
(77) La cultura monastica antica, come si vede, è già cosciente dello
stretto legame fra contemplazione e apostolicità: l’asceta - anacoreta o ceno­
bita che sia - è anche apostolo nella sua testimonianza e nel suo impegno per
la santificazione propria e altrui. Ben profonde, dunque, le radici di una pro­
blematica attualissima (cf. Il Decreto «Perfectae caritatis» sul rinnovamento
della vita religiosa, capp. 20-21 e passim, in I documenti del Concilio Vaticano
II, a cura di K. Rahner - H. Vorgrimler, Roma 1968 1, pp. 581-582).
(78) Si allude al trasferimento di Onorato ad Arles, per esercitarvi
l’episcopato. Cf. supra, cap. 1 e note (1), (3) e (5).
(79) Cf. supra, il primo paragrafo dell’introduzione.
Elogio della solitudine, 42 97

È lei che adesso ha come suo successore M assi­


mo (80), l’insigne, perché ha m eritato di essere accolto
dopo di lui. E lei che ha avuto L upo - nom e venerando! -
che ci ha ridato il famoso lupo della trib ù di Beniami­
no (81). E lei che ha suo fratello Vincenzo (82), una gem-

(80) Dopo gli exempla monastici illustrati nel cap. 27, si ha ora una
breve rassegna celebrativa dei “santi” lerinesi. Questi, in particolare, è Mas­
simo di Riez, succeduto a Onorato - lo si è appena letto - come secondo
abate di Lerino, perciò in carica mentre Eucherio scrive la Laus. Era giunto
a Lerino in età già adulta, qualche anno prima del 427 o 428. Rimase abate
per sette anni. Dopo aver rifiutato varie richieste da parte di altre diocesi,
alla fine accettò di diventare vescovo di Riez, nel 434. In tale veste prese par­
te ai concili di Riez (439), Orange (441), Vaison (442) e al quarto concilio di
Arles (ca. 463). Su Massimo - ricordato, oltre che da Eucherio, pure da
Onorato di Marsiglia, Fausto di Riez, Sidonio Apollinare e Gregorio di
Tours - ci è pervenuta una biografia antica, la Vita S. Maximi di Dinamio,
scritta verso il 585. Cf. S. Pricoco, L ’isola dei santi, cit., pp. 48-49 (bibliogra­
fia nella nota 82); Id., Massimo di Riez, DPAC, II, 2175.
(81) Cf. Gn 49, 27. È Lupo di Troyes, nato a Toul, nell’odierna Lore­
na, intorno al 395. Di famiglia nobile, sposò la sorella di Ilario di Arles, per
poi rinunciare alla vita matrimoniale e votarsi all’ascesi, d’accordo col cogna­
to e sull’esempio di lui. Invece lo attendeva un’intensa attività pastorale e
missionaria. Spogliatosi dei beni, fu richiesto come vescovo di Troyes, che
difese durante le invasioni barbariche. La città fu risparmiata pure da Attila,
raggiunto da Lupo come più tardi avrebbe fatto Leone I (440-461) in Italia.
Con san Germano attraversò la Manica per contrastare il pelagianesimo in
Britannia. Ci rimangono quattro epistole inviategli da Sidonio Apollinare
(PL 58,5 3 1 ,5 5 4,558 e 562). Cf. DPAC, II, 2050 (A. Hamman).
(82) Si tratta di Vincenzo di Lerino, il più famoso rappresentante di
quel milieu. Ex militare, diventò monaco e presbitero a Lerino. Morì prima
della metà del IV secolo, forse nel 435. E autore del celeberrimo Commoni-
torium, sul valore della traditio fidei e della cattolicità ecclesiale (PL 50, 637-
686). Cf. DPAC, II, 3594-3595 (A. Hamman). Se è vero quanto riferisce il
Tillemont (Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siè-
cles, t. XV, Paris 1711, p. 122), Eucherio doveva conoscere piuttosto bene
Vincenzo e nutrire nei suoi confronti sentimenti di gratitudine, dato che era
stato fra i precettori lerinesi del figlio Salonio (si veda supra, il primo para­
grafo dell’introduzione e la nota 12).
98 Eucherio di Lione

ma che risplende di luce interiore. È lei che ora ospita


Caprasio (83), venerabile nella sua austerità, come i santi
antichi. E lei che adesso accoglie quei vecchi asceti che,
con le loro cellette separate, hanno intro d o tto i p adri egi­
ziani fra i nostri Galli (84).
43. Che assemblee, buon Gesù, che comunità di
ho visto lì! Era come se fra loro ci fossero dei vasetti di alaba­
stro che emanavano una fragranza rara, soave: sentivi da tutte
le parti un profum o di vita. Guardavano al m odo di essere
dell’uomo interiore (85) e non all’apparenza di quello esterio­
re, vincolati dalla carità, sottomessi dall’umiltà, mitissimi nel­
la bontà, certissimi nella speranza, modesti nel com porta­
mento. Sono pronti a ubbidire, servono in silenzio, hanno
u n ’espressione serena: insomma quella loro contemplazione
continua li fa sembrare un esercito pacifico di angeli. Non
aspirano a niente, non desiderano niente, tranne Colui che è
l’unico a cui aspirano e che desiderano. Cercano la vita beata,

(83) È l’anziano asceta che aveva guidato Onorato e suo fratello


Venanzio dopo l’abbandono del mondo e l’inizio della vita eremitica (cf.
supra, nota [3]). Fu 0 loro maestro spirituale e i due lo chiamavano «padre».
Dopo la morte di Venanzio, rimase sempre al fianco di Onorato, che gli pre­
morì. Quando Eucherio scrive la Laus, come si vede, Caprasio vive ancora a
Lerino, evidentemente come un patriarca circondato di venerazione. Morirà
all’inizio dell’abbaziato lerinese di Fausto di Riez, nel 433 (cf. DPAC, I,
1336 [M. Simonetti]). Sul cofondatore del monastero lerinese cf. DACL,
VIII/2, 2598-2599 (H. Leclercq).
(84) Due osservazioni importanti. La prima descrive la comunità leri­
nese come una laura bizantina (divisis cellulis). La seconda sottolinea
l’importanza di Lerino come centro d’irradiazione della cultura monastica
greco-orientale in Occidente. Sui caratteri della scuola di Lerino e sugli edi­
fici dell’isola, cf. DACL, VIII/2, 2615-2624 (H. Leclercq).
(85) Cf. supra, il terzo paragrafo dell’introduzione e le note 128, 136 e
153. V. anche cap. 35 e nota (59); cap. 39 e nota (67).
Elogio della solitudine, 42-44 99

ma intanto fanno già cose beate, e mentre ancora la sognano


già la possiedono (86).
Q uesto vuol dire che vogliono separarsi dai peccatori?
M a sono già separati. Vogliono vivere una vita casta? Ma lo
fanno già. Vogliono avere tutto il tem po per lodare Dio?
M a ce l’hanno. Vogliono la gioia della com unione dei santi?
M a è [già] così. Vogliono avere Cristo? H anno lo Spirito.
Vogliono arrivare alla vita solitaria? La vivono nel cuo­
re (87). Perciò l’abbondanza della grazia di Cristo gli p rocu­
ra fin da adesso molte di quelle cose che sperano per il futu­
ro, anzi quello che sperano ce l’hanno già (88). Faticano, sì,
ma non è che siano pagati poco per la loro fatica, visto che
nel lavoro si può dire che trovano già quella che sarà la loro
ricompensa.
44. Col tuo ritorno, Ilario mio carissimo (89), e
tuo [nuovo] inserim ento nella loro com unità, hai fatto un
grandissim o regalo a te e anche a loro, che adesso sono
tu tti contenti che sei tornato. Insiem e a loro, ti prego, non
dim enticarti di intercedere p er i miei peccati: voglio dire
insieme alle persone vicino alle quali non so se porterai o
troverai più gioia.

(86) Il ricorrente e fondamentale motivo eucheriano della dimensione


escatologica della vita monastica e contemplativa. Cf. supra, la fine del terzo
paragrafo deU’introduzione. Si veda anche S. Pricoco, L’isola dei santi, cit.,
pp. 154-164.
(87) Si noti la costruzione retorica del passo, con la serie delle propo­
sizioni interrogative che si susseguono incalzanti. Cf. supra, nota (69).
(88) Cf. supra, nota (86).
(89) E la prima, e unica, volta che l’autore nomina apertis verbis il
dedicatario del suo opuscolo. Conclusa l’esposizione dei contenuti, con un
procedimento circolare si torna al tono e agli argomenti dell’esordio (cf.
supra, capp. 1-3).
100 Eucherio di Lione

Il vero Israele ora sei tu, che contempli Dio col cuore.
Ti sei appena liberato da quell’Egitto che sono le tenebre del
mondo, hai attraversato le acque salvifiche che hanno som­
merso il nemico (90), hai cercato il fuoco della fede acceso
nel deserto, e adesso - grazie al legno della croce (91) - senti
la dolcezza di quelle cose che una volta erano amare, attingi
l’acqua che zampilla per la vita ete rn a 101, nutrì l’uomo inte­
riore (92) col pane celeste 102 e ascolti nel Vangelo la voce
divina del tu o n o 103. D opo aver abitato nel deserto di Israele,
entrerai nella terra promessa di Gesù (93). Ti saluto in Cristo
Gesù, nostro Signore.

101 Cf. Gv 4, 14. 102 Cf. Gv 6, 32-33.50-51 103 Cf. Sai 76 (77),
19; 103 (104), 7.

(90) Cf. Es 14, 15ss. È più che una metafora, visto che Ilario ha real­
mente attraversato il mare per tornare a Lerino. Il Mar Ligure come il Mar
Rosso, per i “santi” lerinesi! Cf. supra, cap. 42 e nota (73).
(91) L’imbarcazione che ha condotto Ilario dalla costa gallica al picco­
lo arcipelago. Prosegue l’architettura metaforica del passo.
(92) Cf. supra, cap. 43 e nota (85).
(93) Cf. Ruf., De ben. patr., II, 3, CCL 20 (1961), ed. M. Simonetti, 7-
9, p. 205.
Eucherio di Lione

Epistola a Valeriano
RINUNCIA AL MONDO
E ALLA FILOSOFIA TERRENA
Il legame di sangue unisce p erfettam en te!, quando si
è congiunti dal vincolo dell’amore. Così anche noi possia­
mo ben gloriarci proprio di questo dono di Dio, dal m o­
m ento che la carità ci unisce al pari della parentela (1) e ci
stringono in un solo affetto due obblighi, uno dei quali lo
abbiam o ricevuto dai parenti della nostra carne, l’altro lo
abbiam o scelto di nostra iniziativa. Q uesto nostro duplice
legame - che ci unisce da un lato sul piano familiare,
dall’altro su quello dell’amore - mi ha spinto a scriverti que­
ste cose con una certa ampiezza, per raccomandare al tuo
spirito il bene dell’anima tu a 2 e per confermarti come quella
vera beatitudine - che com prende anche le realtà eterne -
sia l’effetto della nostra professione (2). Infatti, siccome amo
te come me [stesso], è logico che io desideri vivamente che
tu raggiunga come me il bene supremo (3).

O . D n4, 12. 2 Cf. Lam 3, 58; 1 Pt 4, 19.

(1) Sull’identità dell'illustre dedicatario del De contemptu mundi, sul


suo rapporto parentale con Eucherio di Lione e sul significato simbolico ed
etico-spirituale della scelta di un simile «interlocutore», cf. supra, l’inizio del
quarto paragrafo della nostra introduzione e le note 160-170.
(2) Non si tratta solo della professio fidei, ma anche e soprattutto dello
«stato monastico». Cf. la nota (3).
(3) Cos’è questo summum bonum se non l’adesione non soltanto alla
104 Eucherio di Lione

Sicuramente già non sei lontano da una condotta di


vita santa (4), grazie anche alla [tua] buona indole. Difatti
quello che insegna la sacra dottrina tu lo hai prevenuto m ol­
tissime volte, con la prem atura fecondità dei [tuoi] com por­
tamenti: sicché ho l’impressione che tu abbia rispettato certi
doveri della religione come se ci avesse pensato la natura,
per la benevolenza che il Signore Dio nostro già ti [ha
dim ostrato] a questo proposito. E per la sua grazia, infatti,
se la conoscenza di Dio che è in te può in parte trovare le
sue ricchezze, in parte elargirle (5).

fede-vita cristiana autentica, ma anche alla proposta ascetico-monastica?


Con il suo Contemptus, in effetti, l’autore si proporrebbe di convertire il suo
destinatario (e gli altri eventuali lettori) non solo a un cristianesimo “di livel­
lo”, ma proprio alla soluzione cenobitico-lerinese. Su questa interpretazione
si veda supra, la quarta parte dell’Introduzione e la nota 180.
(4) Ancora un chiaro riferimento alla vita monastica in questa profes-
sio vitae sanctae cui Valeriano sarebbe già incline «per carattere» (ingenio).
Qui, oltre che nel sostantivo professio, la cultura monastica si esprime
nell’aggettivo sancta. Paolino di Nola, ad esempio, chiama spesso sancii i
monaci (d.'Epist., 3, 2; 3, 3; 13, 1; 15, 3; 16, 1; 23, 7; 23, 33; 40, 6, CSEL 29
[W. Hartel], p. 14, 15; p. 16, 2; p. 84, 11-12; p. 112, 23; p. 114, 18; p. 163,
23; p. 190, 25; p. 346, 16). Altri autori fanno lo stesso (cf. Eger., Itiner., 7, 2;
10, 9, CSEL 125 [E. Franceschini - R. Weber], p. 47, 16; 51, 57; Hier., Vita
Hil., 25, PL 23, 42b; Aug., In Psalm. 83, 4, CCL 39, p. 1149, 16; Serm., 355,
4, PL 39, 1573; Paul., Epigr., 109, CSEL 16 [C. Schenkl], p. 508). Pure
Eucherio, nel De laude eremi, definisce più volte sancti i lerinesi e il loro
cenobitismo. Si veda Laus, 28, 291; 41, 454-455; 42, 485-486; 43, 488 e 502,
ed. Pricoco, pp. 65, 75, 77 e 78.
(5) Tutto il passo, dal capoverso precedente, mira a riconoscere e
valorizzare ciò che di naturaliter christianum (come avrebbe detto Tertullia­
no) risiede nello spirito umano. In tal senso Eucherio, al pari della maggio­
ranza degli asceti lerinesi e marsigliesi contemporanei, incorrerebbe in qual­
che misura, qui e altrove, in quella presunta posizione eterodossa che solo
nel XVII secolo verrà definita «semipelagianesimo». Questi cosiddetti «pela-
giani moderati», comunque, pur esaltando il honum naturae, la bona volun-
tas, Xinitium fidei e Yinitium salutis quali frutti dell’impegno umano - in
antitesi rispetto all’agostinismo più radicale in materia di rapporti fra grazia
Rinuncia al mondo 105

Inoltre, anche se il padre e il suocero ti hanno fatto


salire ai vertici più alti del m ondo (6), e grazie a entram bi tu
aspiri a titoli illustri, tuttavia per quanto mi riguarda deside­
ro ardentem ente per te il prestigio di un onore di gran lu n ­
ga superiore e ti invito a una gloria non terrena ma celeste,
non tem porale ma eterna. Gloriarsi dell’eternità, infatti, è
una gloria certa e intramontabile. Q uindi non ti parlerò del­
la sapienza di questo mondo, ma di quella sapienza arcana,
nascosta, che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra
gloria^. Ti parlerò con grande affetto verso di te, pensando
pochissimo a me [stesso], perché mi sono preoccupato più
di quello che vorrei in te, che di quello che potrei in me.
Il prim o dovere dell’uom o istruito e illuminato, mio
carissimo Valeriano, è quello di conoscere il proprio Crea­
tore e, una volta conosciutolo, di accoglierlo, orientando la
vita - che è un dono divino - al servizio e al culto di
D io (7). Quello che [l’uomo] ha ricevuto in dono da Dio,

3 1 Cor 2, 6-7.
e natura - tuttavia si guardano bene dal sottovalutare e tanto meno
dall’escludere l’opera determinante della grazia, come dimostra qui lo stesso
Eucherio nella conclusione del passo. Per una sintesi sull’argomento, con
relativa bibliografia, cf. C. Tibiletti, Semipelagiani, DPAC, II, 3147-3149.
(6) Non solo la famiglia di Valeriano, ma anche quella della moglie era
nobile e potente. Sulla posizione sociale del personaggio si veda comunque
supra, nota (1).
(7) Secondo il Courcelle, impostazione e contenuti tradirebbero qui
l’influsso di «quelque traité De officiis, aussi bien pa'fen que chrétien». Lo stu­
dioso propone, in concreto, un’ascendenza da Apul., Fiat., II, 2, 219, ed. P.
Thomas, p. 104, 1: passo riprodotto, a sua volta, da Ambr., Exc. fratr., I, 42,
2, CSEL 73 (O. Faller), p. 232 (P. Courcelle, Nouveaux aspects de la culture
lérinienne, REL 46 [1968], p. 380 e nota 5). Se così è, non si ha comunque
alcuna forzatura nella scelta di Eucherio, essendo giusto e razionale identifi­
care come primum officium la conoscenza e il culto di Dio (cf. Le 10, 42).
106 Eucherio di Lione

infatti, deve essere perfezionato dalla devozione, e ciò che si


è ottenuto da Lui nonostante la propria indegnità, bisogna
consacrarlo con la sottomissione a Lui. Noi ci com portiam o
secondo un m odo di pensare veram ente retto quando siamo
convinti di essere guidati sia da Lui, sia verso di Lui.
Perciò chiunque la pensa in questo m odo distingue
com pletamente e magnificamente l’intento del nostro Crea­
tore nella progettazione dell’uomo, poiché è stato Lui stesso
a crearci e [ci ha creati] per s é 4. La cosa migliore, quindi, è
dedicare la cura principale all’anim a5, in maniera che quan­
to viene prim a nell’utilità non risulti secondario nella consi­
derazione. Ciò che è giudicato al prim o posto deve essere
oggetto delle prim e preoccupazioni da parte nostra, e alla
salvezza - che è il massimo - bisogna consacrare la maggior
parte della sollecitudine. E per la sua protezione e la sua
difesa che dobbiam o impegnarci: e non soprattutto, ma
esclusivamente. [Questo intento] deve averla vinta su tutto,
grazie a quello zelo che lo fa venire prim a di tutto.
La suprem a considerazione la dobbiam o a Dio, poi la
più grande all’anima; e tuttavia la situazione è tale che, sic­
come tu tt’e due le cose sono al prim o posto, sembra non sia
assolutamente possibile tener conto di una senza l’altra.
Q uindi chiunque abbia reso culto a Dio, con ciò stesso si è
già preso cura dell’anima; e viceversa, chi si è preso cura
dell’anima, non può non aver già reso culto a Dio. Così, per
quanto attiene ai due valori più alti che ci riguardano, la
cosa finisce per risolversi in u n ’utile «scorciatoia», per cui
se uno ne ha rispettato con cura [anche] uno solo, li ha
messi tu tt’e due insieme, perché l’ineffabile bontà divina fa

4 Cf. Sai 99 (100), 3. 5 Cf. 2 Cor 12, 15.


Rinuncia al mondo 107

pure dell’utilità un sacrificio in onore di Dio. Al corpo si


dedicano m olte cure, gli si somministrano una quantità di
medicine. Ma l’anima non m erita forse di essere assistita?
Se il corpo viene soccorso in varie maniere con l’obiettivo di
tutelare la salute, non è giusto però che l’anima rimanga
come emarginata e si consumi per le sue malattie quasi in
stato di ab b andono6, privata essa sola dei rimedi appropria­
ti. Tutt’al contrario, se si fa tanto per il corpo, per l’anima
bisogna provvedere [ancora] di più.
In effetti, se questa carne è la serva - come qualcuno
ha ben detto (8) - allora l’anima è la padrona. N on dobbia­
mo relegare la padrona al secondo posto, preferendo ingiu­
stam ente la serva. La parte migliore (9) esige a buon diritto
cure maggiori, perché è lì che dobbiam o rivolgerci con ogni
sollecitudine, dove la dignità della nostra condizione risulta
essere più ricca (10). N on è giusto che, nella gerarchia della
nostra sollecitudine, riserviamo ad essa un [trattam ento]
peggiore. La carne, infatti, è incline ai vizi, ci riporta alla
terra, dalla quale proviene; l’anima, invece, venendo dal

6 Cf. Sai 106 (107), 26; Lam 3, 20; Sai 38 (39), 12.

(8) Commenta al riguardo Salvatore Pricoco: «Sono di questo tipo,


generiche e senza indicazioni di nomi, le formule con le quali Eucherio vuole
accompagnare i riferimenti ad altri scrittori», rendendoli quindi il più delle
volte ben difficilmente individuabili. «Imprecise e deludenti per il nostro
gusto della citazione documentata, queste formule erano abituali presso gli
antichi» (Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, Introduzione, testo critico,
traduzione e commento di S. Pricoco, BP 16, Firenze 1990, pp. 130-131).
(9) Cioè la domina, l’anima. Si veda Aug., De civ. Dei, XIII, 24, 38,
CCL 48 (B. Dombart - A. Kalb), p. 409 {...non totus homo, sed pars melior
anima est).
(10) Un’altra reminiscenza agostiniana. Cf. De Gen. ad litt., 7, 19,
CSEL 28/1 (J. Zycha), p. 215, 22-23 {...anima omnem corpoream creaturam
naturae dignitate praecellit).
108 Eucherio di Lione

Padre della luce1, come fa sempre il fuoco nel suo movimen­


to, tende verso l’alto. E questa l’immagine di Dio in n o i8,
questo è il pegno prezioso del dono divino. E questa che
dobbiam o custodire con ogni mezzo, col massimo delle for­
ze. Se la governiamo e la salviamo, proteggiamo il patrim o­
nio di D io 9.
Q uando puoi costruire, se non dopo aver gettate le
fondamenta? Se uno decide di sopredificare le altre cose che
p u r sono utili, il fondamento per lui rimane [comunque] la
salvezza 10. Chi potrebbe aggiungere tutto il resto, che è
secondario, se non possedesse i beni prim ari n ? Come si
potrà sviluppare quello che viene dopo, se c’è difetto nel­
l’inizio di quello che precede? Chi può pensare di partecipa­
re alla beatitudine, quando è privo perfino della salvezza? Se
uno manca della vita [stessa], come fa ad abbondare di una
vita felice? O a che gli serve accumulare, se non possiede
[niente]? Perciò bisogna pensare all’anima, sulla quale
anche il Signore nostro G esù Cristo dice: Che ci guadagna
l’uomo·, infatti, se acquista il mondo intero, ma paga con la sua
anima? u . Perciò non ci può essere nessuna convenienza,
quando si tratta di rimetterci l’anima. Dove c’è danno per la
salvezza, là è sicuro che non c’è più nessun vantaggio: del
resto, a che serve guadagnare, se la sede del guadagno va in
rovina? E allora affrettiamoci verso quel guadagno vero,
quel commercio santo e desiderabile, finché c’è te m p o 13.
Pochi giorni possono produrre la vita eterna. Questi
giorni, tuttavia, anche se possedessero una beatitudine asso­
luta e incontam inata di vita, ciò nonostante, essendo pochi,

7 G e l, 17. 8 Cf. Gn 1, 27; Sir 17, 1. 9 Cf. 1 Tm 6, 20; 2 Tm 1,


12.14. 10 Cf. 1 Cor 3, 10-12; 2 Cor 9, 10. 11 Cf. Me 4, 24-25.
12 Mt 16, 26; Me 8, 36. 13 Cf. Gal 6, 10.
Rinuncia al mondo 109

avrebbero poco valore. Infatti niente è grande nella sostan­


za se è piccolo nella durata, e tutto quello che si esaurisce
entro un term ine ristretto non può am m ettere gioie prolun­
gate. I beni passeggeri di questo m ondo hanno u n ’utilità
che dura poco. D i conseguenza, è giusto che l’acquisto della
vita eterna appaia preferibile anche al godim ento di una
breve esistenza. Q uesta è temporale, infatti, m entre l’altra
consiste in una felicità eterna; fruire di beni effimeri è p re­
cario, m entre godere di quelli eterni è sicuro (11).
Ora, però, la vita eterna è sommamente beata. Difatti,
che cosa si può definire più felice della vita eterna? Questa
breve, invece, è tanto fugace quanto infelice. E oppressa da
ogni parte dagli inconvenienti delle sofferenze che la assedia­
no, è torm entata da continui mali, m entre la furia degli eventi
la travolge14. Cos’è tanto infido, tanto instabile, tanto pieno
di disgrazie quanto il corso di questa vita? E piena di fatica,
piena di ansia, piena di preoccupazioni, e piena anche di
situazioni critiche; esposta all’incertezza degli eventi, diventa
inquieta per i dolori fisici, ansiosa per le angosce dell’animo,
malsicura davanti allo scatenarsi dei pericoli (12).

14 Cf. Qo 2,23; 5,16.

(11) L’invito a meditare sulla brevitas vitae per scegliere l’eternità beata
è ricorrente negli autori ascetico-monastici e, più in generale, nella letteratura
parenetica cristiana, di cui il Contemptus fa parte. Questa meditatio temporis,
tuttavia - in Eucherio come in molti altri scrittori cristiani - , si ispira anche
alla tradizione classica, incarnata sotto questo aspetto specialmente da Seneca
(cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco, cit., p. 136).
(12) «Periodo di studiatissima composizione, tipico del gusto di
Eucherio per il genus acutum; vi si noterà l’incalzante susseguirsi di asindeti
e commi martellanti, sottolineati dall’insistere della climax, dell’anafora, del
parallelismo» (Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco,
cit., p. 139 [Commento]).
110 Eucherio di Lione

Ma quale interesse, quale logica ci può essere nel non


ricercare i valori eterni, andando dietro ai [beni]
tem porali15, anzi ai mali? N on vedi che anche in questa vita
qualunque persona accorta è disposta a spendere parecchio
per sistemare un luogo o una proprietà, se pensa di abitarci
più a lungo? e se si tratterà di poco tempo, provvede a
poche cose; se invece il periodo sarà più lungo, ne organizza
di più? Pure per noi il tem po [che trascorreremo] fra le
angustie opprim enti delle realtà terrene è brevissim o16, m en­
tre il futuro durerà secoli. [Quindi] ingrandiamo con spese
adeguate la vita eterna e interveniamo con [spese proporzio­
nalmente] adeguate su quella breve, se non vogliamo fare un
preventivo aberrante, dedicando il maggior impegno al tem ­
po breve e un impegno modesto al tem po più lungo.
E non so cos’è che dovrebbe spingerci più rapidam en­
te o con maggior risolutezza verso questa vita beatissima: se
[cioè] i beni stessi della vita futura, che sono promessi,
oppure i mali della vita presente, che sono evidenti. Quelli
là ci invitano con tutta la dolcezza, questi qui ci turbano
violentemente. Perciò, siccome anche il peggio può facilita­
re ciò che è meglio, [pure] se non siamo attratti dai beni, ci
sentiamo respinti dai mali. Q uando si tratta di incitare a
quel che è meglio, le cose migliori vanno d ’accordo con
quelle peggiori e, pur essendo diverse, concorrono allo stes­
so giovamento: m entre le une ci chiamano, le altre ci scac­
ciano, e tu tt’e due ci stimolano verso ciò che è migliore.
In effetti, se un uom o nobile e ricco ti mandasse a
chiamare per adottarti come figlio, non affronteresti ostaco­
li e difficoltà p u r di andare, e non correresti [da lui] anche
se dovessi arrivare chissà quanto lontano? Il Dio dell’uni­

15 Cf. 2 Cor 4,18. 16 Cf. Gb 14,1; Sap 2,1.


Rinuncia al mondo 111

verso e Signore del m ondo ti chiama per a d o tta rti17, attri­


buendoti - se lo vuoi - quel dolce nom e di figlio con cui
Egli chiama il nostro Dio e il suo unico [Figlio]18, e tu non
ti lasci prendere dall’emozione, non ti senti spinto ad affret­
tarti, per evitare che una m orte prem atura piom bi da un
m om ento all’altro e ti scippi prim a del tem po una condizio­
ne così privilegiata? E pur di ottenere questa, non attraver­
serai i deserti impraticabili della terra 19 e l’estensione del
m are con le sue incognite? Ma se tu lo volessi, questa tua
adozione è [già] con te. Allora non sarà, forse, che questo
evento ci sorprenderà pigri e inerti perché è tanto improvvi­
so quanto grandissimo? Ma i negligenti (13) sperim enteran­
no questa condizione più duram ente di così. [Dio], infatti, è
tanto più contrario a coloro che dicono di no, quanto più è
disponibile nei confronti di quelli che acconsentono.
E chiaro che quello che tiene legati è l’attaccamento
alla vita, con il godim ento della realtà materiale. Allora, sic­
come amiamo la vita, noi esortiamo alla vita. E un argomen­
to veram ente persuasivo (14) - se occorre - per ottenere da
voi quello che tanto desiderate. In nom e della vita, che ama-

17 Cf. Rm 8, 15.23; Gal 4, 5; Ef 6, 20. 18 Cf. M t3, 17; M e i, 11; Le


3, 22; Gv 1,34. 19C f.Is35, 1.

(13) dissimulatores. Nel latino classico: «colui che finge», «colui che
nasconde», «dissimulatore» e simili. Qui ha invece il valore di «negligenti»,
«indifferenti», «superficiali», «incoscienti», ecc. Significato affine, ovvia­
mente, a quello assunto da dissimulare e dissimulatio negli autori tardi e cri­
stiani. Cf. Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco, cit.,
p. 140 (Commento).
(14) Vera ratio est persuadendi. L’autore osserva deliberatamente e
consapevolmente i canoni della diatriba filosofica, conciliando dialettica e
parenesi in un discorso mirato a convincere il destinatario-lettore sul piano
teoretico e a convertirlo sotto il profilo esistenziale. Cf. supra, il quarto para­
grafo dell’introduzione e la nota 183.
112 Eucherio di Lione

te, fungiamo da ambasciatori20 presso di voi; e questa [vita],


che amate anche se effimera, noi vi proponiam o di amarla
eterna. Ma non saprei in che m odo potrem m o amarla, se
non vogliamo fortem ente che questa che amiamo sia la più
lunga possibile. Q uindi ciò che piace anche se limitato, pia­
cerebbe di più se può essere perpetuo; e quello che ai nostri
occhi ha valore, anche se destinato a finire, p er noi sarebbe
inestimabile se può essere senza fine.
Sarebbe giusto, perciò, aver messo la vita inferiore di
fronte a quella superiore, in maniera da costruirci un passag­
gio all’altra, ma attraverso questa; invece non conviene in
nessun m odo che, in nome dei beni della vita eterna, si venga
ad im pedire la vita terrena con esortazioni ambigue. N on si
devono fare contrapposizioni: si creerebbero ostacoli, sareb­
be assurdo. E assurdo e contraddittorio che l’amore per la
vita possa recar danno alla vita [stessa]. Per cui, se pensi che
questa vita sia da disprezzare o al contrario da amare, tu tt’e
due le alternative mi fanno gioco. Infatti, se essa è oggetto di
disprezzo, il solo motivo [valido] per disprezzarla è il deside­
rio di una [vita] m igliore21. Se invece la si ama, bisogna ama­
re ancora di più quella che le è superiore (15).
P er quanto mi riguarda, tuttavia, avrei preferito che tu
giudicassi questa [vita] dopo averne fatta l’esperienza, in

20 2 Cor 5, 20. Vedi anche Ef 6, 20. 21 Cf. Eb 11, 16.

(15) Cf. supra, nota (14). Eucherio sceglie l’interpretazione po


della vita umano-terrena non solo come ratio persuadendi più logica ed effi­
cace in ordine alla preferenza da accordare alla vita soprannaturale e eterna,
ma anche per il carattere moderato, umanistico e aperto della spiritualità
lerinese. La stessa cultura di questo Contemptus, d’altronde, è distante dal
pessimismo e dall’angelismo che segneranno le similari e omonime opere
medioevali. Cf. supra, il quarto paragrafo dell’introduzione e la nota 186.
Rinuncia al mondo 113

maniera da ritenerla penosissima e inquieta - così com’è -


per i suoi affanni e le sue incertezze, e da disprezzarla e
respingerla con tutte le sue occupazioni.
Bisogna spezzare quella catena interminabile di attività
mondane, e quel continuo darsi da fare per tutta la vita, frut­
to di molteplici bisogni. Rompiamo le catene delle vane
preoccupazioni22, con gli obblighi e le costrizioni che com­
portano, fra le quali incomincia quasi sempre la nostra atti­
v ità23. Basta con quelle faccende tanto vacue quanto assor­
benti, in mezzo alle quali - finché si è al m ondo - l’impegno
dei mortali non si esaurisce mai, coinvolto da un affare dopo
l’altro. E dire che la tensione continua per queste cose rende
la vita - già di per sé breve e limitata - ancora più difficile. E
per questo che si alternano soddisfazioni effimere a dispiaceri
crudeli, aspettative piene di ansia a timori sospettosi.
In conclusione, lasciamo stare tutto quello che accor­
cia questa vita in rapporto al lavoro, ma la allunga se si con­
sidera la sofferenza. Liberiamoci di una vita inaffidabile da
tu tt’e due i punti di vista, in un m ondo così incerto, dove
non solo le posizioni privilegiate, ma anche le condizioni
umili sono poco sicure. Le classi sfavorite vengono calpesta­
te nella loro debolezza, quelle elevate vacillano nella loro
alta dignità. N on sopravvalutare la posizione che hai voluto:
quaggiù non c’è pace né quando si sta sul fondo, né quando
si è in cima. Chi è inferiore subisce l’oltraggio, chi è altolo­
cato se la vede con l’invidia.
Secondo me, ci sono principalm ente due cose che, più
di tu tto il resto, tengono la gente legata agli affari del m on­

22 Cf. Sai 2, 3; 24 (25), 17; 106 (107), 6.13-14.19.28; 115 (116), 16;
Ger 2, 20; 5,5; Na 1,3; 2 Tm 2, 4. 23 Cf. Qo 1, 13.
114 Eucherio di Lione

do, ne lusingano e ne catturano i sensi, attirandola e sedu­


cendola irresistibilmente: il benessere dato dalla ricchezza e
il prestigio conquistato con la carriera. Ma la prim a cosa è
[veramente] benessere? No, è povertà. E l’altra è prestigio?
Il suo vero nom e è vanità24. Tutt’e due irretiscono di volta
in volta nei loro lacci, im pedendo di camminare e stringen­
do un legame ingannevole. Sono una rovina quando suscita­
no nel cuore umano, con i desideri, la tendenza ai vizi; poi
rammolliscono gli spiriti, tentandoli con il piacere facile.
Parliamo prima della ricchezza (16). C ’è niente di più
dannoso, visto che raramente viene accumulata in modo one­
sto? Il suo amministratore e il suo custode si identificano.
Infatti la radice di tutti i mali è l’avidità25. Al punto che queste
due cose - i vizi e le ricchezze - sono in qualche m odo asso­
ciate anche di nom e (17). La ricchezza non è forse motivo di
arroganza? N on a caso uno dei nostri (18) dice: «Che altro è

24 Cf. Qo 6, 2. 25 1 Tm 6, 10.

(16) «La requisitoria contro la prima delle due insidie più gravi del
secolo, la ricchezza, è uno dei passi più incisivi del nostro opuscolo e più ric­
co di echi biblici e patristici» (Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura
di S. Pricoco, cit., p. 146 [Commento]): dall’Antico al Nuovo Testamento,
da Clemente Alessandrino al Crisostomo, dai Cappadoci ad Ambrogio, da
Girolamo a Salviano di Marsiglia, il tutto filtrato e assimilato da quella lette­
ratura monastica (Atanasio, Cassiano, Sulpicio Severo, gli autori lerinesi,
ecc.) che è tra le componenti di fondo della formazione culturale e spirituale
di Eucherio. Cf. op. cit., pp. 146-149.
(17) Un’etimologia ingenua che offre il destro a un gioco di parole fin
troppo corrivo. Lo scrittore, in ogni modo, vi ricorre per stimolare più effi­
cacemente alla riflessione e all’esame di coscienza. Cf. supra, il quarto para­
grafo dell’introduzione e la nota 194.
(18) Con questa formula Eucherio suole indicare gli autori biblici.
Sulla genericità di talune indicazioni da parte del nostro autore, cf. supra,
nota (8).
Rinuncia al mondo 115

la ricchezza, se non un segno di violenza?». [Le ricchezze]


non attizzano forse gli sguardi e i desideri degli speculatori,
m ettendo per così dire sotto gli occhi [di tutti] persino i beni
confiscati e suscitando appetiti, come fossero dei premi su cui
i disonesti possono mettere le mani? Ma anche se questo non
succede, possiamo mai essere sicuri di dove andranno a finire
gli sbandati che si affanneranno dopo di noi? Accumula i capi­
tali, e non sa per chi li raccoglie26. Ma mettiamo pure che si
presenti l’erede designato. E allora? N on capita spesso che
l’erede non prenda una lira, mentre il patrimonio accumulato
se lo arraffa un figlio viziato o un genero mascalzone?27. Che
ci può essere di bello in una ricchezza il cui possesso rende
infelici, e la cui trasmissione è aleatoria?
Dove ti lasci trascinare, am ore um ano [così] deviato e
rovinoso? Le cose che ti conviene amare le conosci, però
non le sai amare. Quello che ami sta fuori di te, quello per
cui stravedi è esterno a te. E meglio che rientri in te (19), se
vuoi avere più valore dei tuoi soldi di fronte a te [stesso].
P er lo meno, se fai la conoscenza di qualcuno che sa che sei
ricco, tu preferisci che ti ami per te stesso, piuttosto che per
i beni che possiedi. Fai questa scelta: che lui voglia bene alla
tua anima, invece che al tuo conto in banca; preoccupati
che sia fedele all’uomo, non al denaro. Se vuoi che un altro
ti dia qualcosa, dattela tu da solo, dato che i tuoi interessi
nessuno li può fare meglio di te. Cerchiamo di amare più

26 Sai 38 (39), 7. 27 Cf. Qo 2,18-19.

(19) Ritorna questa eco stoico-senechiana (cf. Sen., Epist. ad Lue.


ed. B. Giuliano, Bologna 1969, p. 30: Recede in te ipse, quantum potei), non
meno che cristiano-agostiniana. Vedi supra, il terzo paragrafo dell’introdu­
zione e le note 128, 136 e 153.
116 Eucherio di Lione

noi che le nostre fortune. E fin qui si è parlato contro la ric­


chezza economica.
Veniamo adesso agli onori (20) di questo mondo. Anche
se si sorvola sul resto, come si fa a chiamare prestigio sociale
quello che l’ambizione fa ottenere indistintamente ai buoni e
ai cattivi, quando la stessa rispettabilità circonda uomini che
non hanno gli stessi meriti e la dignità non fa più distinzione
tra degni e indegni, ma [anzi] li confonde? Così quella che
doveva promuovere i migliori rispetto ai peggiori ha comin­
ciato a metterli sullo stesso piano; e, stranamente, se c’è una
dimensione dove non è più possibile distinguere le persone
ottime da quelle pessime, è [proprio] l’onorabilità. E più
dignitoso voler avere l’onore dei disonorati, oppure guada­
gnarsi il rispetto con la propria condotta e senza quei ricono­
scimenti che non si negano a nessuno? E queste cose, poi,
comunque si ottengano, [non vedi] come sono evanescenti, e
quanto durano poco?
In passato abbiamo visto uomini circondati di prestigio,
insediati ai vertici di cariche elevate, che avevano incrementa­
to le loro sostanze nel m ondo [intero] con le somme investite
da tutte le parti. Avevano saziato gli appetiti coi loro guada­
gni, accumulando più beni di quanti ne potessero desiderare.
E parlo solo di fortune private. Q uanto ai re (21), dall’alto

(20) Dopo le divitiae, gli honores. Una “demolizione” dopo l’altra, con
ferrea sistematicità argomentativa e dialettica. Cf. supra, nota (14).
(21) Nel contesto degli honores, il potere sovrano, l’autorità regale.
«Nell’assumere la condizione dei re come esempio supremo della instabilità
della fortuna e della provvisorietà dei beni terreni [Eucherio] appare rie­
cheggiare taluni topoi classici», anche se «difficilmente egli può avere ignora­
to le immagini di indimenticabile grandiosità che su questo tema non manca­
no nella Bibbia» (Eucherio di Lione, II rifiuto del mondo, a cura di S. Prico­
co, cit., p. 154 [Commento]).
Rinuncia al mondo 117

del loro grande potere risplendevano coperti di gioielli.


Incredibile: i metalli [preziosi] delle loro vesti li facevano
sfolgorare, il diadema scintillava fra le piante ornamentali, la
reggia brillava piena di sfarzo regale e le travi dorate rendeva­
no i tetti sfolgoranti. I loro desideri erano leggi per gli uomi­
ni, le loro parole venivano interpretate come ordini. Chi
potrebbe salire più in alto di loro dal punto di vista del suc­
cesso terreno? [E invece] eccoli lì: della loro grandezza non
c’è più traccia, anche le loro ricchezze faraoniche sono spari­
te, sono passate insieme ai loro stessi padroni28.
O rm ai da noi c’è una specie di leggenda sui regni
recenti e illustri. Tutto quello che c’era lì di grande, ora non
esiste neanche più. D i quelle ricchezze, onori, regni non si
son portati via niente, credo - anzi, lo so con certezza -,
tranne i valori della fede e della pietà, ammesso che ce ne
fossero. Solo questi li accompagnano, nient’altro, perché
tutto il resto lo hanno perduto. Q uesti [valori] li seguono
m entre se ne vanno, inseparabili e come fedeli. Adesso si
m antengono con queste risorse, si accontentano di queste
ricchezze, di questi unici onori. Q uesti valori adesso sono
[tutti] i loro privilegi (22).
E allora, se non siamo indifferenti agli onori e alle ric­
chezze, lasciamoci attrarre dalle vere ricchezze e dalle vere

28 Cf. Sap 2, 3.5; 5, 9.

(22) Queste riflessioni sui bona saecularia si concludono con la d


cia del «loro carattere più proprio, la precarietà»: motivo, questo, che «è il
punto di forza della linea dialettica dello scritto eucheriano e della diatriba
contro il secolo» (Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Prico­
co, cit., pp. 153-154 [Commento]).
118 Eucherio di Lione

glorie (23). Fa benissimo chiunque alle glorie e alle ricchez­


ze terrene preferisca le glorie e le ricchezze celesti: là dove
c’è una distinzione netta e assoluta fra i valori e i disvalori;
dove quello che conquistiamo una volta, lo conserviamo per
sempre; dove quello che si sarà potuto ottenere, non si
potrà assolutamente perdere.
Com unque, ora che abbiamo dim ostrato quanto sia
precario il possesso della ricchezza terrena, dobbiam o p ar­
lare un p o ’ pure della condizione di brevità della vita stessa.
Che voglio dire, con questo? N on c’è niente che gli uomini
vedono tutti i giorni come la morte, eppure non si scordano
di niente quanto della morte. L’umanità è incalzata senza
requie dalla sua fragile condizione mortale: un secolo dopo
l’altro, immancabilmente, tutta la posterità scorre veloce29.
I nostri antenati sono passati, noi ce ne andrem o, i posteri
seguiranno. Come dal largo del m are le onde si gettano e si
accavallano l’una sull’altra, e alla fine si infrangono sulla
riva, così le generazioni che si susseguono vengono a urtare
contro il limite della m orte (24). G iorno e notte ci assilla
questo pensiero, questo ricordo della nostra condizione. Il
debito della vita stiamo lì lì p er pagarlo, pensiamo: quanto
più è stato rinviato, tanto più ce lo sentiremo im m inente30.
D obbiam o sperare che [quel] giorno sia vicino: se è lon­
tano, noi non lo sappiamo. Prepariamo le nostre vie alla par­

29 Cf. Qo 1, 4; Sir 14, 19. 30 Cf. Eb 10, 25.

(23) ... si honoribus opibusque ...veris opibus, veris honoribus. Si noti il


vigoroso chiasmo. Cf. supra, Elogio della solitudine, note (69), (71) e (87).
(24) Ancora una similitudine ispirata dallo scenario marino, quotidia­
no sfondo della vita lerinese. Cf. supra, Elogio della solitudine, capp. 42, 44 e
note (73), (90) e (91).
Rinuncia al mondo 119

tenza, è scritto31. Se ci pensiamo, se ci riflettiamo, la morte


non ci farà paura, anche se saremo inquieti. Beati voi, che vi
siete già riconciliati con C risto32. N on ci si sente oppressi da
questo gran timore della morte, quando ci si vorrebbe già
annullare·, per ritrovarsi con Cristo33; quando si aspetta già
pronti, già tranquilli, in silenzio, l’ultimo giorno di questa
vita (25). Del resto, che importanza potrebbe avere la fine
della [vita] temporale, quando si passa a quella eterna34?
La massa di quelli che fanno cattivo uso della vita non
deve indurci a imitarli, e non lasciamoci fuorviare dagli erro­
ri con cui gli altri m ettono in pericolo la propria salvezza. A
che ci servirà la gente quando Dio ci giudicherà? Allora ver­
remo giudicati uno per uno; l’esame dei meriti sarà indivi­
duale 35 e ognuno sarà assolto dalle sue azioni, non dall’opi­
nione pubblica! Finiamola una buona volta con le consola­
zioni che non valgono niente al mom ento decisivo ! E molto
meglio aver prolungato la vita con meno persone, che averla
persa con la maggioranza. E allora non cadiamo nell’inco­
scienza dei peccatori solo perché quelli che peccano sono
tanti (26), e la poca cura che altri hanno di sé non faccia
testo per noi. Ti scongiuro, i peccati altrui considerali sem­
pre come una vergogna36, mai come un esempio. Se poi vuoi

31 Cf. MI 3, 1; Le 3, 4. 32 Cf. 2 Cor 5, 18ss. 33 Fil 1, 23.


34 Cf. G v5, 24. 35 Cf. Ap 20,13. 36 Cf. L a m 5 ,1.

(25) Cf. Mt 24, 44; 2 Pt 3, 13-14. Quest’ultima immagine - con la rela­


tiva reminiscenza scritturistica - sembra evocare il ritratto del monaco: nel
suo atteggiamento, nello stato d’animo, nella spiritualità. Sulla valenza esca­
tologica della vita eremitica, cf. supra, il terzo paragrafo dell’introduzione e
le note 81, 137, 140 e 155 e passim.
(26) Ci sia consentito un commento né storico-filologico né teologico,
sottolineando l’attualità etico-spirituale e sociale di questa esortazione
eucheriana!
120 Eucherio di Lione

avere sott’occhio degli esempi, allora guarda da quella parte


dove sono sì di meno, però sono ricchi nella loro dimensione.
G uarda, insisto, lì dove ci sono quelli che capiscono bene
perché sono nati e, finché sono al mondo, difendono in ogni
modo la causa della loro vita. Spiccano per l’utilità del loro
lavoro e si distinguono per le virtù eccezionali, coltivando la
vita presente e seminando per quella futura.
I loro esempi sono numerosi, non solo, ma anche signi­
ficativi. N on ci sono più membri della classe nobiliare, non ci
sono notabili né autorità, non ci sono intellettuali né oratori
né letterati che non si siano arruolati in questa milizia del
regno celeste37. N on c’è più eccellenza che non voglia sotto­
mettersi a questo lieve giogo celeste38. Del resto, il più grave
errore e la massima dimostrazione di ignoranza sarebbe pro­
prio quella di trascurare (27) tutto ciò che riguardi la propria
salvezza. Al contrario, se non rischiassi di andare troppo per
le lunghe, potrei riferire nome e cognome di molte persone
fra le innumerevoli che, p u r appartenendo al m ondo della
gente altolocata, hanno abbracciato questa osservanza così
austera del culto divino, e la vita [che ne consegue]. Comun­
que non voglio sorvolare del tutto sui loro esempi, per cui ne
citerò qualcuno brevemente (28).

37 Cf. At 7,42. 38 Cf.Mt 11,30.

(27) Ancora una volta dissimulare, nell’accezione tardoantica e cristia­


na di «trascurare», «ignorare», «sottovalutare» e simili. Cf. supra, nota (13).
(28) Comincia la rassegna degli exempla, che si articolerà in due parti:
1) Padri della Chiesa e scrittori ecclesiastici; 2) re giudaici (con un cenno
generico pure sui principes contemporanei). Anche in questa “galleria di
ritratti” paradigmatici il Contemptus si armonizza con il De laude eremi. Cf.
Laus, 7-27, ed. Pricoco, pp. 50-64 (qui, in più rispetto al Contemptus, si par­
la dei patriarchi e dei profeti veterotestamentari, di Giovanni Battista, di
Gesù Cristo e degli asceti cristiani delle prime generazioni).
Rinuncia al mondo 121

Clemente (29), di antica famiglia senatoria, e del ceppo


dei Cesari, persona coltissima, di grande esperienza in tutte
le arti liberali, è passato a questa via dei giusti39; e anche qui
è riuscito così bene, da diventare addirittura un successore
del principe degli Apostoli. Gregorio (30), sacerdote del
Ponto, u n ’autorità in filosofia agli occhi del m ondo, e orato­
re eminente; in seguito, però, [ancora] più grande e più
eccellente nelle virtù, al punto che - come riferisce attendi­
bilm ente la storia che abbiamo - fra le tante prove dei suoi
m eriti straordinari, si racconta che per le sue preghiere e le
sue orazioni si spostò una m ontagna e si prosciugò un
lago (31). Come pure un altro santo, anche lui G regorio di

39 Cf. Sai 1,6.

(29) Quarto vescovo di Roma (92-101), indirizzò ai Corinti la famosa


Epistola (ed. A. Jaubert, SCh 167, Paris 1971), ritenuta il primo testo lettera­
rio cristiano extrabiblico. Gli son state attribuite anche la Seconda lettera di
Clemente (ed. H. Hemmer, Paris 19262), che in realtà è l’omelia più antica
che ci sia pervenuta, due Epistole ai vergini (ed. F.X. Funk - F. Diekamp,
Tubingen 1913 3, pp. 1-49: frammenti greci e una traduzione latina del testo
siriaco curata da J.Th. Beelen) e le Pseudoclementine, un romanzo apostolico
che va annoverato fra gli Atti apocrifi degli Apostoli (ed. PG 2, 19-646; PG
I, 1157-1474); B. Rehm - J. Irmscher - F. Paschke, GCS 42, Berlin 1952; B.
Rehm - F. Paschke, GCS 51, 1964).
(30) E Gregorio il Taumaturgo (213-270ca.), allievo di Origene a
Cesarea di Palestina fra il 233 e il 238, poi vescovo di Neocesarea del Ponto.
Scrisse varie opere, fra cui il celebre Discorso di ringraziamento a Origene,
modello di retorica e ricco di notizie sull’attività didattica del maestro ales­
sandrino. Per tutti gli scritti (inclusi i non autentici) cf. PG 10, 963-1232. La
più recente edizione del Discorso si deve a H. Crouzel (SCh 148, Paris 1969).
(31) Nel riferire di questi due miracoli avvenuti per l’intercessione di
Gregorio, Eucherio si rifa al racconto di Rufino di Aquileia, inserito nella sua
traduzione latina della Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (cf. V ili, 28, 2,
GCS Eus. 2, pp. 953-955, con la descrizione pure di un terzo miracolo). Si
veda in merito P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident. De Macrobe à
Cassiodore, Paris 1948, p. 217, nota 3; Nouveaux aspects..., cit., p. 385.
122 Eucherio di Lione

nom e (32), dopo essersi dedicato sia alle lettere che alla filo­
sofia, si innam orò di questa filosofia celeste (33). N on si
può far a meno di ricordarlo, perché è funzionale al
[nostro] argomento. Infatti intervenne in aiuto di Basi­
lio (34), che prim a era stato suo compagno negli studi p ro ­
fani, e continuava a esercitare la professione di retore. [G re­
gorio] lo prese per mano e lo portò via dalla scuola, dicen­
do: «Lascia perdere queste cose e preoccupati della salvez­
za» (35). E così quei vescovi memorabili hanno tu tt’e due
lasciato le testimonianze luminose del loro genio fra le ope­
re dei nostri autori ecclesiastici.
Poi Paolino, vescovo di Nola (36), un modello partico-

(32) Si tratta del Nazianzeno (329-390ca.), uno dei tre Cappadoci,


grande amico di Basilio (cf. infra), asceta austero, vescovo di Nazianzo dal
362 e di Costantinopoli dal 379. Eccellente oratore e poeta, ci ha lasciato
una vasta produzione omiletica, epistolare e poetica (PG 35-38).
(33) Cf. Laus, 32, ed. S. Pricoco, p. 67. Vedi anche supra, il terzo para­
grafo dell’introduzione e le note 117 e 118.
(34) Un altro dei Cappadoci, noto come il Grande (330ca.-379) o di
Cesarea (di Cappadocia), fratello di Gregorio Nisseno, della vergine Macri-
na e discendente o imparentato con martiri, vescovi e santi. Asceta, fondato­
re e legislatore monastico, successore di Eusebio sulla cattedra episcopale di
Cesarea di Palestina e scrittore fecondo, coltivò un po’ tutti i generi:
dall’ascetica (le due Regole monastiche, i Moralia, ecc.) alla dogmatica (il
Contro Eunomio e il De Spiritu Sancto), dall’omiletica (per lo più di carattere
esegetico: YHexaemeron, le Omelie sui salmi, ecc.) alla produzione epistolare
(rimangono 365 Lettere). L’intera opera è in PG 29-32.
(35) In sostanza Eucherio attribuisce a Gregorio di Nazianzo il merito
di aver convertito Basilio a una vita cristiana più coerente e impegnata (come
tenta di far lui con Valeriano!). Comunque pure in questo episodio c’è una
dipendenza da Rufino-Eusebio (Hist. eccl., XI, 9, GCS 9, pp. 1014 e 1017).
Cf. supra, nota (31). Si veda in proposito P. Courcelle, Nouveaux aspects...,
cit., pp. 385-386.
(36) Originario di Bordeaux (353ca.-431), si spogliò dei beni, fu pre­
sbitero a Barcellona e nella Milano di Ambrogio e, infine, vescovo nella cam­
pana Nola. Praticò una severa ascesi insieme alla moglie Terasia e coltivò il
Rinuncia al mondo 123

larmente felice per la nostra Gallia (37), una volta ricchissimo


grazie alla fonte inesauribile della sua oratoria. Anche lui ha
aderito alla nostra idea e alla nostra proposta di vita, spargen­
do bene su tutte quante le parti del m ondo la sua eloquenza e
le sue opere. Ilario (38) poco tempo fa, e adesso in Italia il
vescovo Petronio (39) - [provenienti] tu tte due da quella ric­
chissima classe di potere mondano (40), dicono - , hanno scel­
to uno la vita religiosa e l’altro il sacerdozio (41). E quando
leggerò in quel libro così voluminoso [i nomi degli] oratori
più illustri, da Firmiano (42) a Minucio (43), da Cipriano (44)

genere poetico, lasciandoci 35 Poesie e 14 Carmina natalicia (PL 61; CSEL


29-30 [W. Hartel]).
(37) Eucherio non è il solo a presentare Paolino come un figlio esem­
plare della Gallia cristiana. Lo aveva già fatto un altro protagonista del cri­
stianesimo di quella terra, Martino di Tours. Cf. Sulp. Sev., Vita Mart., 25, 4-
5, SCh 133 (J. Fontaine), p. 310 (praestantissimumque nobis praesentium
inlustris viriPaulini... [Martinus] exemplum ingerebat).
(38) E Ilario di Arles, confratello di Eucherio a Lerino e dedicatario
del De laude eremi (cf. supra, Elogio della solitudine, nota [1]).
(39) Probabilmente di nobile famiglia, vescovo di Bologna forse dal
420 al 450, è ricordato anche da Gennadio. Tra i personaggi veterocristiani
proposti da Eucherio, è l’unico che non sia stato scrittore, almeno a quel che
risulta. Qui rappresenta il modello del vescovo. Cf. infra e nota (41).
(40) Entrambi di origine aristocratica, cioè. Cf. supra, Elogio della soli­
tudine, nota (1) e la nota precedente a questa.
(41) Cf. supra, Elogio della solitudine, nota (1); Rinuncia al mondo,
nota (39).
(42) Si tratta del “Cicerone cristiano”, L. Cecilio Firmiano Lattanzio
(250ca.-320ca.), il celebre autore africano delle Divinae institutiones e di
molti altri scritti (PL 6-7; CSEL 19 e 27 [S. Brandt - G. Laubmann]).
(43) Minucio Felice (fine II ο III secolo). Il suo notissimo Octavius è
uno dei capolavori della letteratura apologetica latina (CSEL 2, pp. 1-71 [C.
Halm]).
(44) Un altro grande africano (200ca.-258). Vescovo di Cartagine dal
248 o 249, morì martire durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano
(253-260). Con Tertulliano, è il maggior esponente della letteratura patristi­
ca latina prenicena. Cf. PL 4; CSEL 3 (G. Hartel).
124 Eucherio di Lione

a Ilario (45), da Giovanni (46) ad Ambrogio (47)? Credo


che anche loro si erano detti quello che dice uno dei nostri,
come per convincersi in questo m odo a passare dal m ondo
a questa vita più felice. Avevano detto, penso: «Come mai
succede questo? Si fanno avanti gli ignoranti e si im padro­
niscono del regno, m entre noi con le nostre dottrine ci rigi­
riamo nella carne e nel sangue» (48). N on avevano detto
così? Ecco perché poi anche loro si sono impossessati del
regno dei cieli con la forza40.
Così ho ricordato alcuni di quelli che si sono distinti
p er un maggiore fervore nella nostra fede, dopo aver
conosciuto la filosofia, l’eloquenza e gli onori del m ondo.

40 Mt 11,12.

(45) E Ilario di Poitiers (315ca.-367), vescovo della sua città natale dal
350 ca. Difensore dell’ortodossia nicena e leader dell’antiarianesimo in Occi­
dente, scrisse parecchie opere esegetiche, storico-polemiche e dogmatiche,
fra cui svettano i 12 libri De Trinitate. L’edizione complessiva dell’opera ila-
riana è pubblicata in PL 9-10.
(46) Si tratta con ogni verosimiglianza di Giovanni Cassiano (360ca.-
435), l’autore ascetico-spirituale e maitre à penser per eccellenza dei monaci
gallici del V secolo, soprattutto a Marsiglia e a Lerino. I suoi 12 libri del De
institutis coenobiorum e le sue 24 Conlationes favorirono, più di ogni altro
contributo, la diffusione in Occidente della spiritualità e della prassi mona­
stica greco-orientale. L’edizione critica più recente è in SCh 42, 52, 64 (E.
Pichery: Conlationes) e 109 (J.-C. Guy: Institutiones).
(47) Il grande vescovo di Milano (340ca.-397), uno dei giganti della
patristica latina. La sua vasta produzione è in PL 14-17. Dal 1977 è in corso
un’edizione bilingue (testo critico latino e traduzione italiana), curata da
Città Nuova Editrice e dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Finora ne son
stati pubblicati quasi 30 volumi.
(48) Aug., Conf., VIII, 8, 1, ed. H. Wangnereck, Torino 1962, p. 288.
Cf. Gdt 14, 4; Mt 11, 12. La rassegna dei testimoni cristiani termina, non a
caso, con una frase di Agostino, ossia di un autore che - come e più di quelli
sopraricordati - si caratterizza nelle opere e nel pensiero per una forte spiri­
tualità e che, inoltre, ha inciso sull’evoluzione della cultura monastica.
Rinuncia al mondo 125

Adesso passerò proprio ai re e alla famosa capitale della


terra (49). O ra non è che penso di doverm i richiam are a
tu tti quei predecessori che sono stati devoti alla religione,
ed erano personaggi di rango regale: mi lim iterò a parlare
di quelli che spiccano secondo la testim onianza delle vene­
rande Scritture, [come] Davide p er la pietà, Giosia p er la
fede ed Ezechia per l’um iltà (50). A nche di recente, di
questi tem pi ci sono stati dei principi che si sono avvicina­
ti alla conoscenza del vero re 41 e hanno confessato con
tu tta la contrizione del cuore 42 il suprem o Signore dei
signori. Persone di tu tt’e due i sessi, appartenenti ad
am bienti regi, hanno espresso un convinto rispetto nei
confronti della maestà divina. Anzi, direi che si dim ostra­
no meritevoli di emulazione, perché i loro esempi m entre
sono proficui in rapporto alla salvezza futura, [nello stesso
tem po] possiedono l’autorevolezza che deriva loro dalle
condizioni presenti.
N on lo vedi? Pure i giorni e gli anni, e tutti gli orna­
menti del cielo, rispettano la parola e i com andamenti di
Dio con una cura instancabile, ubbidendo ai suoi precetti in
base a una legge incancellabile43. E allora noi - dopo che
[tutto] questo è stato creato a nostro vantaggio e ci è stato
dato per illuminarci - dovremmo trascurare e rim anere sor-

41 Cf. Ef 1, 17; 4, 13. 42 Cf. Sai 146 (147), 3. 43 Cf. Dt 4, 2; 6,


17; Prv3, 1; 4, 4; Qo 12, 13; Sir 15, 16; Mt 19, 17; 1 Cor 7,19; Gv 14, 15.21.

(49) Quale se non Roma, questo caput mundi?


(50) Il re David si distingue per la pietas in quanto autore (presunto)
della metà dei Salmi e dell’elegia per la morte di Saul e di Gionata (cf. 2 Sam
1, 19-27). Giosia rappresenta la fides perché è l’ultimo grande re religioso,
rinnovatore del tempio di Gerusalemme e fiero avversario dei culti estranei a
JHWH. Quanto a Ezechia, la sua humilitas (in senso religioso, di fronte a
Dio) emerge dall’elogio rivoltogli dalla tradizione biblica. Cf. 2 Re 18, 3-7.
126 Eucherio di Lione

di ai precetti di Dio (51), senza conoscere i suoi comanda-


m enti e ignorando la sua volontà? E dire che a quelle stru t­
ture dell’universo di cui abbiamo appena parlato sono state
dettate una sola volta le regole che dovevano seguire nei
secoli. Noi, invece, abbiamo libri su libri che ci ripetono i
com andamenti della legge divina: almeno p er questi, impari
l’uom o [una buona volta] a rispettare la volontà del Creato­
re e a ubbidire ai suoi precetti, visto che è stato chiamato a
questo: infatti tutto l’universo, nel m om ento in cui [ci] ser­
ve, [ci] è [anche] di esempio.
Ma ammettiamo pure che qualcuno non voglia saper­
ne di tornare dal suo C reatore44. E allora? Q uesto significa
per caso che può evitare [anche] il suo Signore? M a dove
potrebbero andar a parare, quelli che si allontanano da
D io 45? Stiano bene a sentire quello che dici tu, sacro Davi­
de: Dove me ne andrò lontano dal tuo Spirito, come farò a
sfuggire la tua presenza? Se salirò in cielo, tu sei là; se scen­
derò att’inferno, eccoti. Se m i metterò le ali dell’aurora e
andrò ad abitare all’estremità del mare, la tua mano m i gui­
derà anche lì, e m i stringerà la tua destra46. Perciò volenti o
nolenti, anche se si allontanano da Dio con la volontà, non
possono sottrarsi alla sua legge. Va bene che per Lui non
provano più interesse, però Lui c’è e ha autorità su di loro.
Così si arriva al com portam ento più sprovveduto e sconsi­
derato: vagano di qua e di là, ma sono prigionieri; vivono

44 Cf. Am 4,8-11. 45 Cf. Sai 77 (78), 57 . 46 Sai 138 (139), 7-10.

(51) Il Courcelle mette in relazione questa espressione euche


(praeceptum Dei surda aure transibimus?) con il seguente passo agostiniano:
Obsurdueram stridore catenae mortalitatis meae, poena superbiae animae
meae, et ibam longius a te (Conf, II, 2, 1, ed. H. Wangnereck, Torino 1962,
p. 44). Cf. Nouveaux aspects..., cit., p. 391, nota 1.
Rinuncia al mondo 127

senza pensare a Dio, ma stanno sotto la sua potestà. O ra, se


ognuno quando scappa un servo lo ricerca con u n ’indagine
puntigliosa e lo insegue nella sua fuga, affermando il p ro ­
prio diritto, perché non riconoscere al Signore celeste il suo
diritto su di noi, senza esitare un istante a offrirci volonta­
riam ente 47 al suo servizio, per essere tanto onesti quanto
giusti verso noi stessi? Perché ci fissiamo sull’aspetto allet­
tante delle cose esteriori? Perché [ci] piace tanto andar die­
tro a quello che vediamo? Viviamo solo con questi occhi,
forse, oppure non sappiamo usare nient’altro?
Noi viviamo pure con le orecchie (52), p er poter ascol­
tare le promesse. G randi sono i desideri che ci trascinano,
anche attraverso questa parte del corpo. Q uello che viene
promesso, che viene annunciato, aspettiam olo con una
voglia ardente, con un desiderio intenso. E Lui, il Creatore
del fedele a inculcargli la fede nelle promesse: cerchiamo di
aspirare alle cose straordinarie che assicura. Com unque, se
proviamo a usare bene e utilm ente anche gli occhi, pure
questi in larga misura ci fanno desiderare i beni futuri; e se
la contemplazione del m ondo ci suscita ammirazione, rivol­
giamo questa all’autore vero e proprio di u n ’opera così
grandiosa. O ppure pensiamo a quanto splendore potrebbe
offrirsi un giorno agli occhi, se [già] adesso ne trapela tanto.
Come saranno magnifiche e splendenti le realtà eterne, se
[fin da] ora sono così belle quelle destinate a sparire !

47 Cf. Ef 5, 2.

(52) Per questo dobbiamo tenerle aperte e non diventare sordi, s


a ciò che più conta! Cf. supra, nota (51).
128 Eucherio di Lione

Q uindi non dobbiam o servirci delle m em bra nel senso


peggiore 48, ma regolare convenientemente il loro uso in
funzione di entram be le vite, in maniera tale che, p u r asse­
condando lo svolgimento della [vita] temporale, [ci] siano
utili [anche] in vista di quella eterna. E se questo amore ci
piace - anche se ci distrae - e ci stimola col piacere dei sensi
in quella direzione, [allora] pure questo amore è di una gioia
veramente suprema: non è in gioco solo quello che si può
amare con tutto il cuore, ma anche quel bene soave, splendi­
do, unico, eterno che si deve [amare] in senso assoluto.
Parlo del nostro Dio. Tu potresti ardere per Lui di un
fuoco tanto grande quanto santo: basta che al posto delle
passioni di prim a subentrino dei desideri che abbiano un
valore. Se ti colpiva il prestigio di qualcuno tanto in alto,
niente è più in alto di Lui. Se non resistevi davanti a qualco­
sa come di adatto e predisposto alla gloria, di più glorioso
di Lui non esiste niente 49. Se non potevi far a meno di
ammirare lo splendore delle cose brillanti, c’è forse qualco­
sa di più luminoso di Lui? Se ti attraeva la vista delle cose
belle, niente è più bello di Lui. Se pensavi di cogliere in
qualcuno la verità, di Lui non c’è nulla di più vero. Se cre­
devi di dover ammirare qualcuno per la sua liberalità, nien­
te è più generoso di Lui.
Quello che è puro e semplice lo ammiri? Niente è più
limpido di quella bontà. Ti fa gola una grande quantità di ric­
chezze? Niente è più dovizioso di quella prosperità. Sei affe­
zionato a un tale perché è fedele? E cosa ci può essere di più
sicuro della tua fedeltà? Ti piace una cosa perché è conve­
niente? Ma nulla può essere più conveniente del suo stesso

48 Cf. 1 Cor 12, 24-25. 49 Cf. D n 3 ,4 5 .


Rinuncia al mondo 129

amore. C ’è qualcosa che ti attira per la sua aria austera oppu­


re piacevole? N on c’è niente che sia più terribile o più beni­
gno di quella grandezza50, di quella indulgenza (53).
Q uando le cose vanno storte cerchiamo la bontà, se ce
la passiamo bene vogliamo la dolcezza: da Lui abbiamo tu t­
to, la gioia nelle circostanze liete come il conforto nelle occa­
sioni tristi51. Q uindi non ci sono tutte le ragioni per amarlo
più di tutto, visto che in Lui hai tutto? [Per esempio] la ric­
chezza, e tutte le cose che adesso ti seducono con le loro
attrattive: [ebbene] non solo si trovano in Lui, ma addirittu­
ra è da Lui che si ottengono. L’amore mal speso fino adesso
è ora di restituirlo alle guardie divine. Basta con le passioni,
è il mom ento di coltivare un affetto casto (54) per vivere san­
tamente. Smettila di sbagliare, correggi l’amore deviato dalle
[false] opinioni, raddrizzalo e rivolgilo al tuo Dio: tutto
quello che stai amando adesso appartiene a Lui: è suo, [ti]
dico, e di nessun altro. Lui è talmente grande, infatti, che se
qualcuno non lo ama si com porta male, questo è chiaro,
però in tutti i casi non può non amare qualche cosa che è di
Dio.
Com unque vorrei vedere se per un giudice obiettivo è
giusto amare l’opera senza pensare all’autore e scordandosi

50 Cf. Sai 144 (145), 6. 51 Cf. Rm 15,5.

(53) La terribilis magnitudo divina è temperata dalla blanda benignitas,


come a dire che la giustizia di Dio coesiste con la sua bontà e misericordia.
Quella lerinese, in particolare eucheriana, non è una spiritualità da dies irae,
ma si conferma sempre moderata, serena, positiva. Cf. S. Pricoco, L ’isola dei
santi, cit., pp. 149-154. Vedi anche supra, nota (15).
(54) Ancora un’espressione agostiniana. Cf. De Trin., V ili, 5, 41-42,
CCL 50 (W.J. Mountain), p. 227 (... si autem falsum de illa \Trinitate] credi-
derimus, inanis erit spes et non casta caritas).
130 Eucherio di Lione

del Creatore dell’universo, oppure aggredire disinvoltamen­


te da tutte le parti con le proprie passioni la sua creazione52.
N on sarebbe stato giusto, invece, amare Dio in quanto tale,
o almeno arrivarci attraverso questo am ore per le sue ope­
re? O ra succede il contrario. L’uom o desidera e apprezza
solo dei simulacri indegni e il suo animo assurdam ente divi­
so gli fa cercare l’arte infischiandosene dell’artista: si tiene
stretto quello che è bello, ma senza nessuna ammirazione
per chi lo ha fatto.
E io che cosa ho potuto dire di quella sua straordinaria
dolcezza53? Come ho fatto a parlare su tanta soavità, talm en­
te buona che non si può descrivere, e sul tesoro santo e
profondo della sua carità? Ma quando mai uno [può parla­
re] di Lui? Chi è all’altezza di esprimere a parole la magnifi­
cenza di una simile realtà?
Perciò ci dobbiam o convincere che amare Dio non è
più semplicemente una cosa bella, ma è anche indispensabi­
le. Sarebbe un sacrilegio non amarlo, [anche] perché pur
amandolo non potresti [mai] ricambiarlo [adeguatamente].
Sarebbe troppo non voler dare a Dio quello che gli potresti
dare, anche se non riusciresti a ricompensarlo nem meno se
volessi. Che cosa renderemo al Signore, per quello che ci ha
dato? 54. Cosa gli renderem o anche solo per questo: aver
dato la salvezza all’uom o attraverso la fe d e 55 e aver voluto
che il m ondo e i mortali ottenessero la speranza e la vita
nella maniera più facile?
E adesso passiamo alle cose di quaggiù, alla realtà sto­
rica insomma, cioè alle nazioni e ai regni, che da un lato

52 Cf. Rm 1, 25 . 53 Sai 30 (31), 20. 54 Sai 115 (116), 12.


55 Cf. R m 3,28.
Rinuncia al mondo 131

sono passati sotto il potere e la legge romana, m entre


dall’altro la maggior parte dell’um anità è confluita in un
popolo unico {55). Ora, non pensi che [questo è avvenuto]
perché la fede introdotta penetrasse [meglio] attraverso un
solo popolo e si diffondesse rapidam ente lungo le m embra
una volta immessa nella testa? Come fanno le medicine,
[che si distribuiscono] più facilmente attraverso un solo
organismo. Se no, [la fede] non si sarebbe sparsa fra tante
genti diverse di lingua e di costumi, e non avrebbe superato
per tanto tem po gli ostacoli di situazioni sempre nuove.
G uardiam o il beato Paolo: non si limita [pure lui] a diffon­
dere la fede proprio attraverso questo popolo 56, quando
scrive di aver portato a term ine la predicazione del Vangelo
di Cristo da Gerusalemme fino all’Illiria57? Poteva mai suc­
cedere la stessa cosa fra popolazioni chissà quanto num ero­
se, oppure a un livello barbaro di civiltà? Ecco perché ades­
so la terra - da est a ovest, da nord a su d 58- risuona di C ri­
sto e in tutti gli angoli del m ondo si corre verso la vita, m en­
tre la fede è accolta dai Traci e dai Libici, dai Siri e dagli
Spagnoli (56).
Q uindi il fatto che Dio è venuto sulla terra sotto Cesa­
re Ottaviano, quando la dominazione romana era sicura-

56Cf.At 13 , 49. 57 Cf. Rm 15,19. 58 Sai 106 (107), 3.

(55) Cioè nel popolo romano. È appena iniziata la pagina apologetica


sul ruolo provvidenziale che l’impero romano avrebbe svolto in ordine alla
diffusione e al consolidamento della religione cristiana e della Chiesa cattoli­
ca, quindi in funzione della salvezza dell’umanità. La digressione si protrarrà
lungo il presente e il prossimo capoverso. Cf. in merito la quarta parte
dell’introduzione e le note 230-235.
(56) Questi quattro popoli, nell’ordine in cui sono qui menzionati, indi­
cano rispettivamente il nord, il sud, l’est e l’ovest, ossia l’intero oikouméne.
132 Eucherio di Lione

m ente all’apice {51), è una prova dell’amore divino. Allora


passiamo a quello che ti interessa da vicino. Adesso ci tro ­
viamo più o meno nell’anno 1185 dalla nascita di quell’im ­
pero. Perciò, se uno sa interpretare bene (58), può dim o­
strare che tutto quello che è stato aggiunto all’im pero rom a­
no prim a durante la m onarchia antica, poi sotto il potere
collegiale dei consoli, è stato preparato per la venuta di Cri­
sto ed è stato predisposto per la diffusione della fede.
Ma riprendiam o il filo del discorso. Non amate il m on­
do, né quello che si trova nel mondo 59, perché sono tutte
cose che ci seducono con dei colori pericolosi per la nostra
vista. La facoltà visiva che hanno gli occhi, non sprechiam o­
la per l’errore: quello che serve alle funzioni vitali non deve
creare cause di m o rte 60. I desideri della carne, come dice
benissimo l’Apostolo, combattono contro l’anima 61. Sono
armati fino ai denti per sconfiggerci e sterminarci, e quando
ci attaccano 62 non abbassano mai la guardia, proprio come
dei nemici esterni, e diventano sempre più forti man mano
che indeboliscono noi.
C om unque fino adesso ho parlato delle lusinghe irresi­
stibili del m ondo, dei suoi pericoli, degli onori e delle ric­
chezze, come se il m ondo non perdesse [mai] lo smalto del
suo fascino. [Ma non è così.] Q uale che sia l’aspetto di
quelle cose, una volta spogliato dei suoi ornam enti fasulli,

59 1 Gv 2, 15. 60 Cf. Le 23, 22. 6 i i p t2 , il. 62 cf. Sai 3,


2; 53 (54), 5.

(57) In realtà la Romana possessio aveva raggiunto il suo verticem,


com’è noto, durante il principato di Marco Ulpio Traiano (98-117).
(58) si quis idoneus est assertor. Cf. Firm. Latt., Div. inst., I, 1, 7 e V,
1, 22, cit., in Eucherio di Lione, II rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco,
cit., p. 201.
Rinuncia al mondo 133

ha già perso il suo splendore, e tu tto il belletto viene


via (59). N ient’altro che questo ha il m ondo, per ingannare.
E sparita quell’immagine delle cose con cui contraffare p er­
sino la bellezza. Prima [il mondo] pensava di sedurci con il
suo sfolgorio, senza riuscirci. Ormai non può più corrom ­
perci ostentando addirittura quello che non c’è. [Prima] gli
mancavano i beni durevoli, adesso non ha neanche quelli
effimeri. Le cose belle lo adornano nel tempo, quindi non
possono garantire che dureranno in futuro. Se non ci ingan­
niamo noi da soli, il m ondo non può assolutamente farlo.
Ma perché continuare a nascondere gli argomenti più
decisivi? Io sto dicendo che le ricchezze del m ondo si sono
consumate, m entre è il m ondo in sé che volge ormai verso
la sua fine e vive gli ultimi m om enti (60). N on è più im por­
tante e più grave il fatto che il m ondo non ne avrà più per
molto? Che ricordo a fare che la sua realtà materiale si è
logorata? E naturale che col tem po [il m ondo] abbia perso

(59) Sono le prime note della mesta sinfonia sulla senectus saeculi, pre­
ludio a sua volta delle riflessioni inerenti alla Dekadenzidee. Cf. supra, il
quarto paragrafo dell’introduzione e le note 236-240. Tale analisi si svilup­
perà in questo e nei successivi tre capoversi.
(60) «Dopo le considerazioni sull’Impero (...) ha inizio l’ultima, con­
clusiva sezione dell’opuscolo. Il tema del destino individuale si allarga ora a
quello della morte cosmica, in una pagina di notevole tensione drammatica.
Sullo squallore del mondo invecchiato e prossimo alla fine avevano scritto
Tertulliano e, soprattutto, Cipriano» nell 'Ad Demetrianum (Eucherio di Lio­
ne, Il rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco, cit., p. 202). A questi autori si
possono aggiungere Girolamo e Sulpicio Severo, Orienzio e Salviano di
Marsiglia, Lattanzio e Paolo Orosio. Il Courcelle (Nouveaux aspects..., cit., p.
392, nota 3) sottolinea l’influsso di Ambrogio, riferendosi a una pagina del
Commento a Luca incentrata sulla finis mundi (cf. 10, 10, CSEL 32, 4 [C. e
H. Schenkl], 458, 16). Innegabili pure le influenze classiche: da Lucrezio a
Seneca, da Annio Floro ad Ammiano Marcellino, fino agli Scriptores Histo-
riae Augustae.
134 Eucherio di Lione

le forze e sia sprofondato nella debolezza, rim anendo senza


i suoi sostegni, m entre sta già cadendo sotto il peso vacillan­
te dei vecchi. L’ultima età del m ondo è piena zeppa di mali
come la vecchiaia lo è di malattie. E da un pezzo che il vec­
chio m ondo ha visto queste cose, e continua a vederle,
[cioè] la fame e le epidemie, le distruzioni, le guerre, il ter­
rore (61). Sono le malattie degli ultimi anni, ormai.
Q uante volte si vedono da qui quei fenomeni celesti, e
i terremoti, le stagioni che si susseguono in m odo alterato,
la nascita di esseri mostruosi: tutti prodigi che sono propri
sì di un tem po che ancora procede, ma che è già vicino alla
fine. E non lo confermano solo le nostre deboli parole, ma
pure le testimonianze d ’autorità apostolica, dove per esem­
pio leggiamo: per noi è arrivata la fin e dei te m p ii. Ora, sic­
come questo è stato detto tanto tem po fa, perché siamo esi­
tanti? Che cosa aspettiamo (62)? Q uel giorno incom be (63)
su di noi, e non soltanto su di noi, ma anche sul mondo.
Ogni ora ricorda che il tem po dell’inevitabile conclusione è
im m inente64. Corriamo due pericoli, perché la stessa m orte
minaccia a tutti una duplice fine e una doppia separazione.
Q uanto sono infelice a sentirmi oppresso dalla m ortalità del
mondo, come se a spaventarmi non bastasse già la mia

63 1 Cor 10, 11. 64 Cf. 2T m 4 , 6.

(61) Cf. M. Spinelli, L'eco delle invasioni barbariche nelle omelie di


Pier Crisologo, in Vetera Christianorum, 16/1, 1979, pp. 87-93.
(62) Cf. Aug., Conf., VI, 11, 35ss., cit. in P. Courcelle, Nouveaux
aspects..., cit., p. 389.
(63) Cf. Sof 1, 15. Si noti in questo passo la variatio nell’uso dei sino­
nimi: «incombe» (urget), «è imminente» {instare), «minaccia» (minatur),
«opprime» (incumbit), «sovrasta» (impendet). Cf. supra, Elogio della solitudi­
ne, note (69), (71) e (87).
Rinuncia al mondo 135

[mortalità] ! Perché minimizziamo le nostre paure? Come si


fa a sentirsi sicuri, dal mom ento che la fine ci sovrasta indi­
stintamente, [cioè] tutti come ciascuno?
La condizione infelice degli uomini sta più che altro in
questo, [cioè] non solo nel fatto che il m ondo finirà, ma
anche perché le cose del m ondo sono precarie, per cui gli
uomini quando non hanno speranza nelle gioie future, non
trovano piacere [neanche] nelle realtà presenti. N on godo­
no di una vita così breve, e non possono sperare in una sen­
za fine. N on hanno le risorse dei beni temporali, e non pos­
siederanno quelli eterni. Q ui poche cose, là nessuna speran­
za. Q uesto stato dell’uomo è veramente triste e disgraziato.
P er lui c’è una sola soluzione: ricavare da una condizione
così dura una regola di vita adeguata, rivolgersi proprio per
questo ai rimedi migliori e più utili per lui e cercare di for­
marsi una mentalità più sana. Lo deve fare, perché la situa­
zione attuale è così compromessa che se l’uom o perde la
ricom pensa del m ondo futuro, [alla fine] avrà perduto [i
vantaggi] dell’uno e dell’altro [mondo].
Bisogna orientare tutta la tensione dell’anima (64) ver­
so la speranza del [bene] futuro. E per farti acquistare que­
sta speranza in m odo più pieno e convinto, te la spiegherò
pure sotto forma di qualche esempio (65). Se un tizio offre
cinque denari di bronzo a un’altra persona oggi, ma gliene
prom ette cinquecento d ’oro per l’indomani, dicendo: «Sce­

(64) animi intentio. Cf. Eb 4, 12. Sull’accezione “monastica” di inten-


tio (ricorrente nella letteratura ascetico-spirituale), cf. Laus, 33, ed. Pricoco,
p. 68,11. 348-349: cordis... intentio.
(65) La vis persuadendi ispira all’autore, di volta in volta, i processi
dialettici o gli esempi concreti. Tutto, pur di convincere: il fine giustifica i
mezzi, in questo caso! Cf. supra, note (14) e (15).
136 Eucherio di Lione

gli tu se preferisci prendere il bronzo adesso, oppure l’oro


più tardi», ci possono essere dubbi sul fatto che [quel tale]
opterebbe per la grossa somma, p u r dovendo aspettare un
p o ’? P er te è la stessa cosa. O ra che ti sei reso conto della
qualità di questa vita breve e di quella eterna, non scegliere
di prendere le cose che hanno poco valore, quando puoi
sperare dei beni preziosi. Che conta aver rim ediato delle
cosettine? Quello che conviene è aspettare il grande guada­
gno. Ragioniamo. Se tutto quello che sta nel m ondo è fragi­
le, e lo vediamo, e ce lo prendiam o (ma la parola «speran­
za» viene da «sperare» (66)), è chiaro che la speranza non si
può possedere in questo m ondo, perché in esso noi ci ser­
viamo delle cose che vediamo. Infatti la speranza che si vede
non è speranza, perché se uno vede una cosa come fa a sperar­
la? 65. Perciò anche se una certa speranza si mischia colle
cose umane, [la vera speranza] bisogna cercarla in una p ro ­
spettiva futura; se no, non si può nem meno chiamare spe­
ranza, dal m om ento che non viene sperata.
Q uindi l’oggetto della speranza che riponiamo nel
futuro è più chiaro di quanto lo sia la speranza dell’oggetto
che sperimentiamo nel presente. Mi spiego. Le cose che
stanno proprio vicine allo sguardo dei nostri occhi noi non
le vediamo bene, come se avessimo la vista offuscata; invece
quelle che si stagliano da lontano in maniera m olto più niti­
da, le percepiam o con gli occhi per così dire liberi. La stessa

65 Rm 8, 24.

(66) Un’etimologia più lapalissiana in italiano (la radice sia del sos
vo sia del verbo è sper-l) che in latino, dove spes appare sulle prime altra cosa
da spero (il rotacismo ha coinvolto solo il verbo). Siamo, comunque, sempre
sul piano dell’ingenuità e dell’empirismo etimologico. Cf. supra, nota (17).
Rinuncia al mondo 137

cosa, più o meno, succede a proposito delle realtà presenti e


di quelle future, non c’è da dubitarne. Le realtà del presen­
te è come se si riversassero negli occhi, e non si distinguono
correttam ente; quelle del futuro diciamo che si tengono a
distanza dagli occhi, e [per questo] si colgono con la massi­
ma chiarezza. D ’altra parte questa fiducia nel futuro non è
che noi la fondiam o su u n ’autorità poco affidabile, ma sul
Signore nostro G esù Cristo, certissimo garante della veri­
tà 66, quando prom ette ai giusti un regno eterno e la grande
ricom pensa di una felicità senza fine (67).
Del resto, non è stato Lui ad assumere il sacramento
ineffabile della carne, uomo e insieme Dio, riconciliando
l’uomo con D io 67? E non ha assolto il m ondo dalla colpa
con il mistero grande e insondabile della passione68? E per
questo che si è manifestato nella carne, è stato giustificato nel­
lo spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato ai pagani, il
mondo gli ha creduto e L ui è stato assunto nella gloria69. Per
questo Dio lo ha esaltato70, perché adesso tutte le cose - nel
cielo e sulla terra, nel mare e negli abissi71 - proclamino che
il Signore Gesù è nella gloria12, Re e Dio prim a dei secoli.
Allora smettila di sprecare il tem po e l’intelligenza a
leggere quello che dicono i filosofi e applica lo spirito a stu­
diare e assimilare la dottrina cristiana. P ure lì troverai m odo
di esercitare la tua parlantina e il tuo ingegno, e non tarde­
rai a capire in che misura questi nostri precetti, che insegna­
no la pietà e la verità, siano diversi dalle ideologie dei filoso-

66 Cf. Eb 7, 22. 67 c f. 2 Cor 5, 18. 68 Cf. Col 1, 26.


69 1 Tm 3,16. 70 Fil 2, 9. 71 Sai 134 (135), 6. 72 Fil 2,11.

(67) Si ripropone il leitmotiv escatologico. Cf. supra, il terzo para


dell’introduzione e le note 81, 137, 140, 155.
138 Eucherio di Lione

fi. In quei loro insegnamenti [si trova] o un abbozzo di


virtù o una falsa sapienza, questi invece contengono la giu­
stizia perfetta e una verità sicura. Perciò si può dire che
m entre gli altri hanno professato una filosofia parolaia, noi
ci siamo appropriati della vita.
G uardiam o i fatti. Che ci possono insegnare [i filosofi]
sulla vita? N on conoscono la causa [prima]. Infatti ignoran­
do D io 73, si allontanano subito dal principio di giustizia, e
di conseguenza cadono in errore su tutto il resto. Così alla
fine qual è il risultato di questi studi? La menzogna. Alcuni
di loro a volte dicono qualcosa di più giusto, ma poi se ne
vantano, senza preoccuparsi d ’altro, per cui fra loro nean­
che il ripudio dei vizi è esente da vizi. Q uindi queste perso­
ne, come sta scritto, sono quelle che hanno il gusto delle cose
terrene74, dal che appare chiaro che non possono riconosce­
re la vera giustizia, la vera sapienza. Per caso potrà ricono­
scere la verità uno della famosa scuola di Aristippo (68),
che nella sua natura non vede differenze dai porci o dalle
pecore, visto che identifica la felicità col piacere fisico e il

73 Cf. 1 T s 4,5. 74 Fil 3,19.

(68) Di Cirene, visse tra il V e il IV secolo a.C. Discepolo di Prot


e Socrate, fondò la scuola cirenaica e teorizzò un edonismo radicale, identifi­
cando nel piacere fisico - più di Epicuro - il valore supremo. Proprio per
questo, cioè come simbolo del filosofo pagano irrazionale e corrotto, Aristip­
po è l’unico pensatore classico ad esser esplicitamente nominato da Euche­
rio. Secondo il Courcelle (cf. Nouveaux aspects..., cit., p. 393), la fonte del
nostro scrittore è qui Latt., Div. inst., Ili, 7, 7, CSEL 19 (S. Brandt), p. 191,
6 (Epicurus summum bonum in voluptate animi esse censet, Aristippus in
voluptate corporis); III, 8, 6, p. 193, 2 ([Aristippum] semper in corporis
voluptates ruentem nihilque aliud quam ventri et Veneri servientem nemini
dubium est hominem fuisse. Sic enim vixit, ut nihil inter eum pecudemque
distarei nisi quod unum, quod loquebatur).
Rinuncia al mondo 139

suo Dio è il ventre, e si vanta75 delle cose di cui dovrebbe


vergognarsi? U no così potrà insegnare l’onestà, la rettitudi­
ne, quando a scuola sua si perm ettono di filosofare [anche]
i dissipatori, i depravati, gli adulteri?
C om unque per parlare contro i filosofi sarà meglio
riservare u n ’altra occasione. [Adesso] io torno all’argomen­
to per cui sto parlando con te.
E ora che lasci stare soprattutto quelle loro sentenze
universali, che tanto ti piacciono, raccolte in quattro e quat-
tr ’otto da trattazioni di ogni tipo, e passi agli insegnamenti e
alle opere dei nostri (69). Lì, caro mio, troverai come soddi­
sfare il tuo spirito con una istruzione completa. Lì, magari
non con queste parole, ma com unque ti verrà detto questo
per inculcarti la fede: se uno non crede, non può capire la
Parola di Dio. Lì ti sarà raccomandato: temi il Signore, visto
che lo chiami Signore; siccome [però lo chiami pure] padre,
amalo. Lì im parerai [quali sono] i veri sacrifici, quando sen­
tirai: i sacrifici più graditi a Dio sono la giustizia e la miseri­
cordia (70). Lì ti suggeriranno questo: se ami te [stesso],
ama il prossim o76, perché il m odo migliore per fare i propri
interessi è quello di pensare agli interessi degli altri. Lì ti
verrà insegnato che nessuna causa può essere giudicata tan­
to degna da farti apparire giusta la m orte di un uomo.

75 Fil 3, 19. 76 Cf. Sir 27, 18; Mt 19, 19 e 22, 39; Me 12, 31.

(69) Inizia qui una serie di 24 sentenze filosofeggianti (cf. P. Courcel­


le, Nouveaux aspeets..., cit., pp. 393-395), nelle quali Eucherio fa un po’ una
summa dell’etica e della spiritualità cristiana, da contrapporre agli insegna-
menti e ai modelli contrari della cultura classico-pagana.
(70) Cf. Prv 16, 5; Os 6, 6; Mt 9, 13 e 12, 7. Si veda anche Cassiano,
Coni., 9, 36, SCh 54 (E. Pichery), p. 72.
140 Eucherio di Lione

Là ti diranno di guardarti dalle cose illecite: resisti alla


passione come al peggiore nemico, che ci prova gusto a
infierire sui vinti, arrivando a oltraggiare il loro corpo 11. Là
ti sarà dato questo insegnamento, per farti evitare la concu­
piscenza: è meglio non desiderare quello che non hai, p iu t­
tosto che possedere quello che vuoi. Là ti faranno riflettere
su questo, perché ti guardi dall’ira: se uno si arrabbia quan­
do è stato provocato, riesce a evitare la collera solo se non
viene provocato. E ancora. Lì sentirai dire dei nemici: ama
chi non ti ama, perché è difficile trovare uno che non ama
quelli che lo am ano78. Là ti continueranno a ripetere: inve­
ste bene il suo patrim onio chi lo distribuisce fra i p o v eri79,
perché non potrà più perdere quello che ha depositato
donandolo. Là ti prospetteranno una felicità più grande,
quando diranno: il frutto dei matrim oni fedeli è la castità.
Lì saprai come si devono vedere le cose, quando sentirai: i
mali di questo m ondo sono comuni ai buoni e ai cattivi80.
Lì ti sarà dato di ascoltare questo: uno è più malato quando
la sua anima langue fra i vizi che quando il corpo è colpito
dal virus. Lì, per raccom andarti di essere pacifico, ti verrà
detto chiaro e tondo: gli impazienti hanno [tutti] lo stesso
m odo di fare, e per questo litigano. Lì ti diranno questo,
per non farti seguire i cattivi: si può im parare a essere p ru ­
denti sia dalle persone intelligenti che dagli sciocchi, perché
i prim i ti fanno vedere cosa devi imitare, gli altri cosa devi
evitare.
E là che insegnano pure questo: tante cose fanno bene
anche se uno non se ne rende conto, per cui la bontà di Dio

77 Cf. R m l,2 4 . 78 Cf. Mt 5, 44; Le 6, 27.35. 79 Cf. Mt 19, 21;


Me 10,21; Le 18, 22; Tb 12, 8. 80 Cf. Qo 9, 2-3.
Rinuncia al mondo 141

è grande sia alla luce del sole che in m odo misterioso. È là


che riceverai questo ammonimento: rendi grazie a Dio tanto
nella buona quanto nella cattiva sorte; e quando le cose ti
vanno bene, riconosci che non sei stato tu a meritartelo. E
là che ti appariranno chiari pure i fatti abbastanza lontani,
quando ti verrà spiegato questo: il fato non esiste; i pagani
si rivolgano invece alle loro leggi, che non puniscono altro
che la volontà di chi compie gli atti. E là, lo sentirai, che per
conservare l’onestà si insegna anche questo: se vuoi essere
sincero, non essere diffidente, perché noi diffidiamo solo di
quello che non conosciamo.
Lì sentirai anche questo sulle realtà più elevate: se uno
aderisce a Dio con lo spirito ma poi si lascia solleticare dalle
passioni, precipita dal cielo alla terra. Lì ti sarà ricordato
anche questo: quando certe volte su questa terra i cattivi
prosperano m entre i buoni tribolano, [solo] chi non crede
nel giudizio finale di Dio dice (ma noi guardiamocene
bene!) che Dio è ingiusto81. Lì ti consiglieranno pure que­
sto: anche quando non ti vede nessuno, non fare quello che
non vorresti che gli uomini sapessero; se poi si tratta di Dio,
[allora] non arrivare neanche a pensare [quello che Lui
potrebbe disapprovare] (71). Lì ascolterai questa condanna
di ogni frode: è peggio imbrogliare che essere imbrogliati.
Lì anche contro la vanità ti saranno dati questi insegnamen­

81 Cf. Q o 3, 16-17 e 7,16.

(71) Cf. Laus, 31, ed. Pricoco, p. 66,11. 325-326. E sempre sottint
discorso di matrice agostiniana sulla prevalenza assoluta delYhomo interior
nella vita cristiana e, più ancora, in quella che voglia essere più impegnata e
coerente sul piano morale e ascetico-spirituale. Cf. supra, il terzo paragrafo
dell’introduzione e le note 128, 136 e 153.
142 Eucherio di Lione

ti edificanti: quanto più migliorerai, tanto m eno cercherai di


farlo vedere, perché m entre tutti gli altri vizi crescono con i
vizi, la vanità invece [può aum entare di pari passo] con le
virtù. E queste poche cose sulla dottrina [cristiana] non
sono che un assaggio piccolo e parziale.
Infatti se ti accosterai alla fonte della Parola sacra (72),
ci vedrai qualcosa di spirituale più che di esteriore. La Scrit­
tura irradia dal di dentro, come tutte le gemme più prezio­
se, e quindi attira gli occhi di chi la m edita verso la sorgente
profonda della sua luce. Tu non scappare, ma abitua a que­
sta luce lo sguardo offuscato del tuo spirito e sazia la fame
dell’anima con questo cibo interiore e benefico. P er opera
di Dio misericordioso sono sicuro che se avrai voglia dei
nostri alimenti e non vorrai più saperne dei tuoi, [alla fine] i
cibi senza consistenza ti daranno la nausea e sarai affamato
di quelli [veramente] nutrienti (73).
Che incoscienza se pure noi non facciamo niente per
noi [stessi], quando Dio ha fatto tanto per noi! Lui in quel­
lo che ha fatto ha guardato al bene degli uomini, e l’uomo
non vuole [neanche] preoccuparsi di sé! N oi ci pensiamo
invece, perché adoriamo e amiamo Dio. Del resto dov’è la
vera felicità se non nel disprezzo dei piaceri m ondani e nel

(72) Ci si avvia alla «conclusione del lungo itinerario dialettico e pare-


netico che si è andato svolgendo lungo il nostro opuscolo» (Eucherio di Lio­
ne, II rifiuto del mondo, a cura di S. Pricoco, cit., p. 227). Perciò, a questo
punto, è d’obbligo l’invito più importante, quello cioè ad attingere diretta-
mente alla fonte scritturistica per conoscere la verità e incamminarsi verso la
santificazione.
(73) Sulla fecondità e nutrizione spirituale cf. Laus, 5, 12, 14, 16, 24,
29, 32, e 39-41, ed. S. Pricoco, pp. 49-50,54-55, 56-57, 58, 62-63, 65-66, 67-
68 e 73-75.
Rinuncia al mondo 143

rifiu to dei valori terreni, godendo [solo] della [felicità] che


viene d a Dio?
A llora, fin da questo mom ento, orienta verso Dio e nel
n o m e d i Dio tutte le tue parole e le tue azioni. Fai in m odo
che la beatitudine divina ti accompagni sempre, e lei ti p ro ­
teggerà: di lei sì che ti puoi fidare! E una gran cosa seguire
la v irtù , e darle un contributo [pure] noi per quanto ci è
possibile. E non dobbiam o aver paura che l’anima non ce la
faccia con una vita migliore a liberarsi dalle cose che con
l’a b itu d in e le si sono attaccate addosso: lo stesso a cui ci
o ffriam o per farci guarire e proteggere, darà ai nostri p ro ­
po siti la forza di [tram utarsi in realtà]. M a come si fa a capi­
re il v alo re della ricompensa dei beni futuri? Ecco, guardia­
m o la generosità di Dio, che ha concesso a tutti quanti sen­
za distinzione di godere della luce del g io rn o 82. Il sole è per
tutti: c e l ’hanno davanti agli occhi le persone per bene e i
m ascalzoni. La creazione presta generosamente il suo servi­
zio a tu tti, e il m ondo intero appartiene indistintam ente ai
b u o n i e ai cattivi.
Q u in d i, se Dio quaggiù dà nella stessa misura ai giusti
e agli ingiusti delle cose tanto b elle83, come ce le dobbiamo
im m aginare quelle che ha preparato solo per i giusti? Riflet­
tiam o: se sono tanto grandi le cose che ha donato, quanto lo
saran n o quelle che darà come ricompensa? Chi è così gran­
dioso n e l donare, come sarà nel premiare? Se la sua genero­
sità è co sì inestimabile quando si tratta di dare gratuitam en­
te, co m e sarà al m om ento di ricom pensare? N on si possono
[neanche] descrivere le cose che ha preparato Dio per quelli
che lo am ano 84 come si deve, senza riserve e alla luce del

82 Cf. Mt 5,45. 83 Cf. Mt 5, 45. 84 1 Cor 2, 9. Cf. Is 64, 4.


144 Bucherio di Lione

sole, perché chi regala delle cose tanto grandi agli ingrati i
buoni li prem ierà in una misura che è veram ente incalcola­
bile 85.
G uardati intorno. Dal mare delle tue faccende guarda
per così dire verso il porto della nostra religione, e cambia
rotta (74). E l’unico porto dove trovare scampo a tutte le
tem peste di un m ondo agitato, dove dirigerci stanchi sotto
la violenza delle bufere terrene. E qui che si deve rifugiare
chi è sconvolto dall’uragano di un m ondo irrequieto. E qui
l’ancoraggio più affidabile, e una calma sicura. Q ui c’è un
riparo grande e silenzioso, dove i cavalloni non possono
arrivare (75). Q ui c’è la dolcezza della quiete, e splende il
sereno. Una volta qui, la tua nave sarà al sicuro dopo [tanti]
sforzi inutili; ed è qui che si fermerà, assicurata all’àncora
della croce.
Ma gli scrittori non devono farla troppo lunga: bisogna
concludere. Ricevi, per la gloria di Dio, la potenza degli
insegnamenti celesti raccolta in [questa] sintesi breve e con­
cisa. I com andam enti sono tutti qui. Scusami e dammi retta.

85 Cf. Le 6,35.

(74) Ancora una metafora ispirata all’ambiente marino. Cf. supra,


L ’elogio della solitudine, capp. 42, 44 e note (73), (90) e (91).
(75) hic late recessus exclusis fluctihus silet. Il Courcelle (cf. Nouveaux
aspeets..., cit.) individua qui una chiara eco virgiliana. Si veda Aen., I, 159-
164, ed. C. Carena, Torino 1971, p. 300.
INDICI
IN D IC E D E I N O M I E D ELLE CO SE N O T EV O LI

Acaunum·. 16 Antiarianesimo: 124


Adamo: 73 (nuovo A. e vecchio A.) Antibes: 7
A d Demetrianum (di Cipriano, s.): Antico Testamento: 14, 21, 22, 25,
133 2 6 ,2 7 ,3 2 ,5 4 ,7 3 ,8 1 ,1 1 4 ,1 2 0
AdSanctos·. 17 Antonio (s., abate): 85
Agiografia: 9 (a. patristica), 29 Apocalittica (giudeo-cristiana): 58
Agostinismo: 104 Apoftegmati: 85
Agostino (s.): 13, 15, 20, 46, 50, 91, Apostoli/o: 83, 84, 96, 121, 132
107,115,124,126,129,141 Apostolicità: 96
Alfonsi L.: 19, 20, 25, 27, 32, 34, 35, Aristippo: 138
3 6 ,4 0 ,4 1 ,4 3 ,7 3 ,7 9 , 81,83 Arles: 7, 9 ,1 1 ,1 8 ,1 9 , 67, 68, 96, 97
Allegoria: 79 Arti liberali: 121
Alpi Marittime: 10 Ascesi: 21, 26, 30, 32 (esperienza
AlzogJ.: 9 ascetica), 34 (esercizi ascetici), 40
Ambrogio di Milano (s.): 54, 114, (percorso ascetico), 47 (esperien­
122, 124,133 za ascetica), 58 (spiritualità asceti­
Ammiano Marcellino: 133 ca), 97, 122
Amor Dei·. 19 Asceta/i: 22, 23, 30, 33, 34, 35, 38,
Amore: 19,33, 34, 3 5 ,4 0 ,5 2 ,5 4 ,5 5 , 83, 96, 98,104,120
56, 68, 69, 70, 87, 93, 103, 112, Ascetismo: 25, 27, 57, 67, 72
115,128, 129,130,132,139,140 Asindeti: 109
Amor eremi·. 19 Astinenza: 89
Anacoreta: 34, 96 Atanasio (s.): 114
Anafora: 109 Atti apocrifi degli Apostoli: 121
Angeli: 29,39, 77, 83, 93, 98,137 Attila: 97
Angelismo: 112 Attività missionaria: 97; pastorale:
Anima: 14, 34, 39, 40, 46, 47, 58, 61, 97
70, 92, 93, 94, 103, 106, 107, 108, Attualità (di Eucherio): 119
115,132,135,140,142,143 Augustus: 11
Annio Floro: 133 Austerità: 98
148 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Autori antichi: 20 Bonum naturae·. 104


Autorità apostolica: 134 Bordeaux: 122
Avidità: 114 Brandt S.: 123, 138
Avito: 6, 44, 45 Brevitas vitae: 109
Avversario (= demonio): 29 (antico Britannia: 97
a.), 39, 83, 93, 100 («nemico»).
Caduta (di Adamo): 73
Basilica paleocristiana: 16 Candido (martire): 16
Basilio di Cesarea (s.): 122 Cannes: 7
Battesimo: 81, 82 Canton Vallese: 16
Battezzatore (= Giovanni Battista, Cappadoci: 54, 114, 122
s.): 27 Cappadocia: 122
Beatitudine eterna: 24, 36, 48, 52, Caprasio: 42, 68, 98
59, 61, 79, 96, 103, 108, 109 (feli­ Carena C.: 75, 93, 144
cità e.), 137 (id.), 143 (b. divina) Carisma/i: 23, 25, 30, 89
BeelenJ.Th.: 121 Carità: 33,86, 98, 103, 130
Bellezza/e (della natura): 54, 55, 71, Carmen de providentia (di Ilario di
73,79,92,93,94, 96,130,133,143 Arles): 68
Beneficia eremi·. 34 Carmina natalicia (di Paolino di
Beni celesti: 37, 47 (b. eterni), 48 Nola, s.): 123
(id.), 52, 58 (b. futuri), 78 (id.), Carne: 86, 107, 124, 132, 137 (c. di
90, 99, 103 (bene supremo), 108 Cristo)
(b. primari), 110 (valori eterni), Cartagine: 123
112 (id.), 118 (ricchezze eterne), Cassio (martire della Legione Teba-
127 (b. futuri), 133 (b. durevoli), na): 16
135 (b. eterni), 143 (b. futuri) Castità coniugale: 60, 140
Beni (transeunti): 47 (brevia bona), Cattolicità ecclesiale: 97
47 (b. temporaria), 50, 51 (b. trans- Causa prima (= Dio): 59, 138
volantia), 57, 58, 90, 109 (b. pas­ Cavallin S.: 67, 68
seggeri, effimeri), 110 (b. tempora­ Cecilio Firmiano Lattanzio: 54, 123,
li), 113 (affari del mondo), 116 (b. 133
terreni), 117 (bona saecularia), 133 Celle: 85
(b. effimeri), 135 (b. temporali), Cellette (separate): 98
138 (cose terrene), 143 (valori ter­ Cemenelum·. 45
reni) Cenobita: 34, 96
Beniamino: 97 Cenobitismo lerinese: 90
Bo D.: 75 Cesarea di Cappadocia: 122
Bologna: 123 Cesarea di Palestina: 121, 122
Bona voluntas (dell’asceta): 104 Cesare Ottaviano: 56, 131
Bonn: 16 Cesari: 121
Bontà divina: 77, 106, 128, 129, 130, Chiasmo: 118
140 Chiesa: 7, 10, 67 (c. gallica), 131
Indice dei nomi e delle cose notevoli 149

Chronicon Gallense·. 11 Conversione: 6, 45, 47, 58, 59, 62,


Cicerone: 20, 123 81,82,104, 111
Cimiez: 45 Convivenza col Signore: 42
Cipriano (s.): 54, 123, 133 Corinti: 121
Cirene: 138 Corpo: 14, 34, 40, 79, 86, 94, 107,
Claudiano Mamerto: 10, 11 127,128,140
Claudio (imperatore): 9 Costantinopoli: 122
Clemente Alessandrino: 114 Courcelle P.: 13, 20, 105, 121, 122,
Clemente Romano: 35, 53, 121 126,133,138,139,144
Climax: 109 Creatore: 84, 105,106,126, 127, 130
Codici: 15 Creazione: 106,130, 143
Colamarino, T.: 75 Cristiani L.: 13, 14, 17
Collationes (di Giovanni Cassiano): Cristo: 28, 29, 30, 31, 39, 42, 52, 56,
11, 13, 124 59, 70, 81, 82, 83, 92, 93, 95, 99,
Colonia: 16 100,119,120,131, 132,137
Comandamenti (di Dio): 77, 125, Croce: 100, 144
126, 144 Cronografia: 11
Commento a Luca (di Ambrogio): 133 Crouzel H.: 121
Commi: 109 Culto (a Dio): 105, 106,120
Commoda eremi·. 35 Cultura ascetica: 7, 79; classica: 36;
Commonitorium (di Vincenzo di classico-pagana: 139; monastica:
Lerino): 97 98, 104, 124
Compimento del bene: 38 Cuore: 36, 37, 80, 85 (purificazione
Comunione con Dio: 34; dei santi: del c.), 89, 90, 91,99,100,114
98 Cursus honorum·. 6
Comunità cenobitica: 31; di santi (a
Lerino): 98; monastica/che: 10, Davide: 24, 54, 80, 125, 126
19, 20 (c. m. di Lerino), 68 (id.) De institutis coenobiorum (di Gio­
Concilio di Orange (1°): 9, 10 vanni Cassiano): 124
Concupiscenza: 140 Dekadenzidee·. 57, 58, 61, 133
Conforzia (presunta figlia di Euche­ Demone meridiano: 39
rio): 6, 9 Demonio: 29
Conoscenza di Dio: 46,125,104 De scriptoribus ecclesiasticis (di Gen-
Consoli: 132 nadio di Marsiglia): 12
Contadino (= monaco): 94, 95 Deserto: 21, 22, 23 (/i), 25 (id.), 26,
Contemplativi: 39 27, 28, 29, 30, 31, 33, 35, 36, 38,
Contemplazione: 31, 36, 47, 71, 96, 39, 40, 69, 71, 72, 73, 74, 75, 76,
98, 100, 127 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85,
Continenza: 35, 89 86, 87, 88, 89, 90, 92, 93, 94, 95,
Contrapposizioni: 95 100, 111
Contro Eunomio (di Basilio di Cesa­ De Spiritu Sancto (di Basilio di Cesa­
rea, s.): 122 rea, s.): 122
150 Indice dei nomi e delle cose notevoli

De Trinitate (di Ilario di Poitiers, s.): Epicuro: 138


124 Episcopato (di Eucherio): 6, 9, 10,
De viris illustribus (di Isidoro di 11, 17,68, 96,101
Siviglia, s.): 12 Epistola (di Eucherio): 17
Devozione: 106 Epistola {ai Corinti, di Clemente
Diatriba (filosofica): 48, 49, 111, 117 Romano, s.): 121
Diavolo: 29, 83 Epistolari: 20
Diekamp F.: 121 Epistole ai vergini (dello Pseudo-
Digiuno: 89 Clemente): 121
Dinamio: 97 Erasmo da Rotterdam: 12
Dio: 7, 21, 22, 23, 24, 25, 27, 28, 30, Eremiti: 35, 37
3 1 ,3 3 ,3 4 , 35, 36, 39, 42,45, 46, Eremitismo: 8
47, 52, 54, 55, 56, 59, 60, 61, 69, Eremo: 19, 22, 25 (condizione e.),
71, 72, 73, 74, 75, 77, 80, 82, 84, 29, 30, 33, 34, 35, 37, 38, 39, 40,
86, 92, 93, 95, 99, 100, 103, 104, 41, 69, 71, 82, 83, 87, 89, 92, 93,
105, 106, 107, 108, 110, 111, 119, 94
125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, Eremus·. 22
137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, Ermeneutica biblica: 15
144 Esegesi: 14 (e. allegorica), 15 (e.
Discorso di ringraziamento (di Gre­ medievale), 21 (interessi e. di
gorio il Taumaturgo, s.): 121 Eucherio), 74 (e. allegorica).
Disprezzo della ricchezza: 37 Esortazione (alla scelta monastica):
Dito di Dio: 77 19
Divinae institutiones (di Cecilio Fir- Esperienza contemplativa: 36; misti­
miano Lattanzio): 123 ca: 25
Divitiae (= beni economici): 50-52 Essuperio: 16
Dombart B.: 107 Età umanistica: 15
Dottrina cristiana: 137, 142 Eternità: 37, 40, 59, 61, 91, 100, 105,
Dualismo platonico: 49 109
Durance: 9 Etica: 14, 38 (e. monastica), 52 (e.
classica)
Ebrei: 33, 77 Etimologie (ingenue): 114,136
Edifici (di Lerino): 88, 98 Europa: 7
Edonismo radicale: 138 Eusebio di Cesarea: 121,122
Educazione classica (di Eucherio): Eusebio Gallicano: 12
35; retorica: 20 Evagrio Pontico: 39, 85
Egitto: 8, 2 2 ,4 3 ,7 4 ,8 5 ,1 0 0 Expositio symboli (di Ilario di Arles):
Elia: 2 3 ,2 5 ,7 1 ,8 0 , 89 67
Eliseo: 25, 80 Ezechia: 54, 125
Elladio (o Euladio): 68
Eloquenza: 70 (di Ilario di Arles), Facundia: 54
123 (di Paolino di Nola, s.), 124 Faller O.: 105
Indice dei nomi e delle cose notevoli 151

Fausto di Riez: 97, 98 Germano (s.): 97


Fecondità spirituale (del deserto): Gerusalemme: 39 (G. celeste), 92
23, 40, 41, 42, 72, 77 , 89, 93 , 94, (id.),125,131
95 Gesù: 28, 29, 31, 36, 59, 82, 83, 84,
Fede: 6, 30, 32, 48, 54, 56, 58, 59, 98,100, 108,120,137
78, 100, 117, 124, 125, 127, 130, Giacobbe: 93
131.132.139 Ginevra: 10
Fedeltà coniugale: 60, 140 Gioia/e: 109, 128,129, 134
Felicità: 138, 140, 142, 143 Gionata: 125
Festa dei tabernacoli: 26 Giordano: 26, 28, 80
Festugière A.J.: 85 Giosia: 54, 125
Figli di Israele: 77, 79 Giovanni Battista (s.): 27, 28, 82,
Figlio di Dio: 28, 111 120
Filosofi (antichi): 60 Giovanni Cassiano: 8, 10, 11, 13, 15,
Filosofia: 35, 36, 59, 88, 101, 121, 3 2,54,114,124,139
122.124.137.138.139 Giovanni Crisostomo (s.): 9,114
Filosofia celeste: 122; naturale: 14; Giovanni di Apamea: 85
razionale: 14 Giovanni di Licopoli: 85
Finis mundi·. 91 (fine dei tempi), Girolamo (s.): 13, 15, 20, 27, 41,
133,134,135 114,133
Fiorenzo: 17 Giudizio finale: 141
Fisica: 14 Giuliano B.: 115
FontaineJ.: 123 Giustino (s.): 35
Formazione classica (di Eucherio): Giustizia: 59, 60, 127, 129, 138, 139,
13, 20, 37, 41, 48, 50, 52, 58, 60, 143
7 0 ,79,109,116,133 Gloria celeste: 25, 118 (/e /i), 128,
Formulae spiritualis intelligentiae (di 137, 144
Eucherio): 13, 14, 15 Gloria divina: 71, 73, 80, 91, 105
Franceschini E.: 104 Grazia: 34, 36, 71, 79, 84, 99, 104,
Fuga dal male: 38 105
Funk F.X.: 121 Greci: 35, 54
Gregorio il Taumaturgo (s.): 121
Galla (moglie di Eucherio): 6, 7, 9 Gregorio Nazianzeno (s.): 9, 122
Galli: 42, 98 Gregorio Nisseno (s.): 122
Gallia: 6, 8, 9, 44 (/e), 54, 55, 68, Gribomont J.: 85
123 Griffe G.E.: 5, 6, 17
Genere storico-agiografico: 15 GuyJ.C.: 124
Generi letterari: 12
Generosità di Dio: 143 Hamman A.: 6, 97
Gennadio di Marsiglia: 10, 11, 12, Hartel W.: 104, 123
32, 44, 123 Hausherr I.: 85
Genus acutum: 109 Hemmer H.: 121
152 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Hexaemeron (di Basilio di Cesarea): LaubmannG.: 123


122 Laura: 31, 98
Historia monachorum in Aegypto·. 85 Lavoro: 37, 90, 99, 120
Honores: 51, 52 Leclercq H.: 88, 96, 98
Legge romana: 131; di Dio: 73, 77,
Ideale ascetico: 81, 83 125, 126
Ideologi pagani: 60 Leggi (pagane): 141
Idumea: 80 Legione tebana: 16, 17
Ignis divinus·. 34 Lehner H.: 17
Ilario di Arles: 11, 18, 19, 20, 43, 54, Le Nain de Tillemont L.S.: 5, 6, 8, 9,
67, 68, 69, 70, 87, 97, 99,100,123 1 2 ,1 3 ,1 4 ,1 5 ,1 7 ,4 5 , 97
Ilario diPoitiers (s.): 54, 124 Leone Magno (s.): 67, 97
Illiria: 131 Lerino: 6, 7, 8, 9, 10, 18, 19, 38, 41,
Immagine di Dio (= anima): 47, 108 42, 43, 62, 67, 68, 87, 90, 92, 95,
Impegno ecclesiale: 11 97,98,100,123,124
Impero romano: 55, 61, 131, 132, Lero: 8
133 Lettera spirituale (dello Pseudo-
Incarnazione: 59 Macario): 85
Incontro con Dio: 21, 23, 25, 36, 73 Letteratura monastica: 12, 32
Initium fidei: 104; salutis·. 104 Lettere (= studi letterari): 122
Insegnamenti celesti: 144 Lettere (di Basilio di Cesarea, s.):
Instructiones ad Salonium (di Euche- 122
rio): 14, 15 Lettura letterale (del testo biblico):
Intento edificatorio (in Eucherio): 14; morale: 14; spirituale: 14
20 Libertà: 35, 36
Invasioni barbariche: 7, 97, 134 Lihertas: 36
Invidia: 113 Libici: 131
Ira: 60,140 Ligure (mare): 100
Isidoro di Siviglia (s.): 12 Lione: 5, 6, 9, 11, 13, 16
Israele: 24, 39, 75, 77, 79, 100 Liturgia lerinese: 88
Israeliti: 26, 33 Lode a Dio: 99
lura monastici: 37 Logica: 14
Lorena: 97
Jaubert A.: 121 Loyen A.: 44, 45
JHWH: 125 Luce interiore: 98
Lucrezio: 133
Kalb A.: 107 Lupo di Troyes: 42, 97
Klauser Th.: 17
Knowle D.: 27 Macario Alessandrino (o 0 Cittadi­
Krusch B.: 15, 17 no, o il santo padre Macario): 85
Macario d’Egitto (o il Grande, o il
Laterculus·. 11 Vecchio): 85
Indice dei nomi e delle cose notevoli 153

Macario l’Egiziano: 32 Monarchia (romana arcaica): 132


Macrina: 122 Morale evangelica: 38, 60
Maestà divina: 125 Moralia (di Basilio di Cesarea): 122
Malnory A.: 90 Morte: 52, 73, 80, 111, 118, 119,
Manica: 97 132,133,134,139
Manna: 30,34, 77, 78, 83, 84, 87 Mosè: 23, 33, 71, 73, 74, 76, 78, 87,
Manosque: 9 89
Mara (toponimo biblico): 76 Mountain W.J.: 129
Marciano: 11 Munier Ch.: 9, 10
Marco Ulpio Traiano: 132 Munificenza (celeste): 87
Marsiglia: 67, 68, 124 Muyldermans J.: 85
Martino di Tours (s.): 29, 123
Martiri: 16, 17 Naim J.A.: 9
Massimiano: 16 Natura: 33, 54, 71, 72, 78, 86, 96,
Massimo di Riez: 42, 97 104,105
Materia: 34, 55 Nazianzo: 122
Maurizio: 16 Nazionalismo (filoromano, di Euche­
Medioevo: 15 rio): 57
Meditatio temporis: 109 Neocesarea del Ponto: 121
Meditazione: 13, 19, 32, 38, 79 Neuss W.: 17
Metafore: 96, 100, 144 Nizza: 45
Metodologia ermeneutica: 14; esege­ Nobiltà gallo-romana: 7, 20,57
tica: 10, 13 Nola: 122
Metodo scolastico: 14 Nuova alleanza: 81
Milano: 122, 124 Nuovo Testamento: 14, 21, 22, 27,
Milizia (celeste): 120 3 2 ,3 4 ,7 3 ,8 1 ,8 2 , 114
Minissale A.: 26, 88
Minucio Felice: 54, 123 Obermayer H.: 26, 88
Mirabilia Dei·. 25 Occidente: 7, 11, 22, 41, 42,124
Miracoli/o: 25, 29, 30, 76, 78, 80, Octavius (di Minucio Felice): 123
84, 85,121 Octodunum·. 17
Misericordia: 60, 78, 85, 129, 139, Oikouméne·. 131
142 Omelie sui Salmi (di Basilio di Cesa­
Misteri celesti: 86 rea): 122
Mistica lerinese: 30 Onestà: 141
Mitezza: 98 Onomastica (di Girolamo): 15
MonacheSimo: 6, 22 (primo m.), 27 Onorato: 7, 8, 11, 18, 19, 42, 67, 68,
(movimento monastico), 29 (anti­ 69,70, 87, 90, 96, 98
co m.) Onorato di Marsiglia: 67, 97
MonacheSimo orientale: 13, 41 (m. Onori: 116,117, 124, 132
egiziano), 71 (id.) Orange: 67, 97
Monaci lerinesi: 42 Orazione: 30
154 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Oriente: 8, 11, 22 Perfezione: 36, 38, 40, 89


Orienzio: 133 Persecuzioni: 16
Origene: 35, 121 Pessimismo: 49, 112
Origenisti: 85 Petronio di Bologna (s.): 54, 123
Ortodossia nicena: 124 Philosophia (vera = sapienza spiri­
Ostentazione di modestia (topos): 71 tuale): 36
Otium·. 36 Phrasis: 12
Piacere/i: 138 (p. fisico), 142 (p.
Pace: 7, 24, 39, 72, 98, 113, 144 mondani)
(quiete) Pichery E.: 8, 11, 13,124, 139
Padre (= Dio): 81, 108,139 Pier Crisologo (s.): 134
Padri del deserto: 8, 26, 41, 42 (p. Pietà: 54, 117, 125, 137
egiziani), 98 (id.) Pietri Ch.: 9
Padri della Chiesa: 120 Pietro (Apostolo, s.): 31
Pagani: 137, 141 Poesie (di Paolino di Nola): 123
Pane celeste: 100; degli angeli: 77 Polemio Silvio: 11
Panegirico: 42, 70 Ponto: 121
Paolino di Nola (s.): 7,53, 104, 132 Popolo (di Dio): 23, 74, 76, 78;
Paolo (Apostolo, s.): 131 adottivo (= monaci): 39, 93;
Paolo Orosio: 133 ebraico: 26; eletto: 23, 24
Paradiso (= vita eremitica, Lerino, Potenza (divina): 84, 87, 89
deserto et similia)·. 40, 43, 73, 79, Potere (politico, mondano): 54, 55,
94, 96 123, 131, 132
Paradiso terrestre: 29, 83 Potestà (di Dio): 127
Parallelismo: 109 Povertà: 19, 27, 30 (p. della natura),
Parenesi: 142 37,70, 90,114,140
Parola di Dio: 22, 61, 139, 142 (p. Precetti (divini): 126, 137
sacra) Preghiera/e: 21, 27, 29, 31, 38, 39,
Paschke F.: 121 84, 93,121
Pasqua: 88 Preoccupazioni: 74, 77, 109, 113
Passio Acaunensium martyrum'. 15, Pricoco S.: 5, 6, 7, 9, 10, 11, 12, 14,
16, 17 15, 17, 18, 19,20, 22, 23, 24, 25,
Passione/i: 60, 128, 129, 130, 140, 26, 27, 28, 29,30, 31, 32, 33, 34,
141 35, 36, 37, 38,39, 40, 41, 42, 43,
Passione di Cristo: 137 44, 46, 47, 48,49, 50, 51, 52, 53,
Patriarchi: 120 54, 55, 56, 57,58, 59, 60, 61, 62,
Peccati/o: 35, 82, 85, 88, 99, 119 63, 68, 75, 82, 96, 97, 99, 104,
Peccatore/i: 53, 83, 99, 119 107, 109, 111, 114, 116, 117, 120,
Pelagianesimo: 97 122, 129, 132, 133, 141, 142
Pellegrinaggio: 23 Primato (dei valori religiosi e spiri­
Penitenza: 24, 27, 82 tuali): 47
Pensieri oziosi: 38, 91 Principe degli Apostoli: 121
Indice dei nomi e delle cose notevoli 155

Principes: 120 Rehm B.: 121


Prisco Valeriano: 44, 45 Religione: 104, 125, 144
Professio fidei·. 103; vitae sanctae·. Reno: 16
104 Resurrezione: 59, 80
Professione monastica: 19, 57, 103 Retorica (in Eucherio): 27, 28, 34
Profeti: 26, 81,120 (mezzi retorici), 35, 50, 62, 69, 71,
Profitto spirituale: 70 79, 95, 99
Progettazione dell’uomo: 106 Ricchezza (mondana)/e: 114, 115,
Promesse (di Dio): 127 116,117,118,128,129,132,133
Proselitismo: 92 Riconciliazione (con Dio): 59
Prospettiva escatologica (della vita Riez: 67, 97
monastica): 37, 58, 59, 99 (dimen­ Rigorismo (monastico): 57
sione e.), 119 (valenza e.), 136 (p. Rinascimento: 12
futura) Ritiro ascetico: 73, 83 («ritiro dal
Prossimo: 69, 139 mondo»)
Prototipi monastici: 31 (Cristo), 82 Rivelazione: 22
Protrettico (alla vita eremitica): 19 Rocci L.: 22
Provenza: 9 Roma: 57,58, 121, 125
Provvidenza: 33, 34, 55, 56, 57, 87, Romana possessio: 56, 132
131, 132 Romani: 35
Pseudoclementine·. 121 Rosso (mare): 100
Pseudo-Giovanni di Licopoli: 85 Rufino di Aquileia: 121, 122
Rutten F.: 17
Quacquarelli A.: 90
Sacerdozio: 123
Rahner Κ.: 96 Sacra dottrina: 104
Re: 116, 117, 120 (r. giudaici), 125, Sacra Scrittura: 13, 21, 24, 32, 82,
137 (= Cristo) 125,142
Realtà divine: 86, 103 (r. eterne), Sainte-Marguerite (nome attuale di
137 (r. future), 141 (r. più elevate) Lero): 8
Realtà presenti: 137, 138 («cose ter­ Saint-Honorat (nome attuale di
rene») Lerino): 7
Reclusi (monaci): 9 Saint-Maurice (nome attuale di
Redenzione: 31,36, 59, 82 Acaunum)·. 16
Regime (lerinese): 38 Salonio (figlio di Eucherio): 6, 7, 9,
Regno escatologico: 25, 27 (r. di 10,14, 97
Dio), 28 (r. celeste), 59 (r. eter­ Salvatore (= Cristo): 27, 82, 83
no), 81, 124 (r. dei cieli), 137 (r. Salvezza: 24, 30, 34, 46, 47, 53, 82,
eterno) 94, 100, 106, 108, 119, 120, 122,
Regola lerinese: 96 («r. celeste») 125,130,131
Regole (di Basilio di Cesarea): 122 Salviano di Marsiglia: 114, 133
Regula (di Lerino): 68 Salvius (o Silvius): 17
156 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Santi (per lo più = monaci)/o: 23, Servizio (di Dio): 127, 143
34, 35, 38, 42, 71, 72, 78, 87, 95, Settimio Severo: 9
97, 98, 100, 104 (sancii), 122 Sidonio Apollinare: 6, 44, 45, 97
Santificazione: 21, 30, 39, 82, 86, 89, Signore (= Dio, Cristo): 23, 26, 28,
96 30, 33, 39, 42, 59, 71, 73, 74, 75,
Santità: 11, 19, 25, 33, 34, 37, 38, 53, 76, 77, 78, 79, 81, 82, 83, 84, 86,
62, 70, 73, 86, 91 87, 89, 95, 96, 100, 104, 108, 111,
San Vittore (chiesa): 17 126,127,130,137, 139
Sapienza (vera, opposta alla filosofia Silenzio: 29, 35, 39, 71, 88, 92, 98,
mondana): 35, 60, 72, 88,105,138 119,144
Sapienza mondana (falsa): 105, 138 Similitudine: 118
Sauget J.M.: 85 Simonetti M.: 98, 100
Saul: 24, 125 Sinai: 30, 77
Saxer V.: 9 Siri: 131
Scavi archeologici: 16, 17 Sisteron: 9
Scelta ascetica: 28, 58; contemplati­ Socrate: 138
va: 28; eremitica: 28; monastica: Sofferenza/e: 48, 49, 52, 58, 109,
34, 58 113
Sceti: 85 Solitari: 33,34,35
Schenkl C.: 104, 133 Solitudine, -i: 22,23, 24, 26, 27, 28,
Scienza biblica: 15 29, 30, 31, 33, 35 (s. del cuore),
Scriptores Historiae Augustae·. 133 36, 41, 68, 69,70, 71, 72, 74, 75,
Scriptoria·. 15 76, 77, 78, 79,82, 83, 84, 86, 87,
Scrittori ecclesiastici: 120, 122 (auto­ 88, 89 (s. cordis), 90
ri e.) Soprannaturale/i: 19 (condizione s.),
Scuola (monastica)/e: 7, 15, 35, 88, 86 (realtà s.)
98; cirenaica: 138; retorica: 34, Sottomissione (a Dio): 106
122 (s. mondana) Spagnoli: 131
Secessus: 30, 36, 58 Speidel Κ.: 26, 88
Seconda lettera di Clemente·. 121 Speranza: 58, 59, 98, 130, 135, 136
Semipelagianesimo: 104 Spinelli M.: 29, 134
Senatore (s.): 5 Spirito (umano): 14, 34, 36, 37, 39,
Seneca: 20, 109,115, 133 89, 91, 92, 96 (s. apostolico), 103,
Senectus saeculi·. 133 104,114 (-i), 137,141,142
Senescenza (del mondo): 53 Spirito Santo: 28, 81, 82, 99, 126
Sensi: 114, 128 Spiritualità (per lo più ascetico-
Sententiae·. 79, 86, 139 monastica): 8, 22 (s. biblica), 29,
Serenità: 98,144 33, 36, 37, 38, 45, 52, 58, 60, 71,
Sermo de vita Honorati (di Ilario di 74, 79, 81, 85, 86, 90, 112, 119,
Arles): 68 124,129, 139
Sermo epistularis·. 20; rationabilis·. 12; Sposo (= Cristo): 39, 93
scholasticus·. 12 Stato monastico: 103
Indice dei nomi e delle cose notevoli 157

Steeger A.: 17 Turbessi G.: 27


Stile letterario (di Eucherio): 12
Stoici: 52 (etica s.), 115 Ubbidienza: 98
Storia ecclesiastica (di Eusebio di Umanità: 131
Cesarea): 121 Umiltà: 9 ,3 7 ,5 4 , 84, 85, 90, 98,125
Storia lausiaca·. 85 Unione con Dio: 36, 89, 92
Storia monastica: 32, 73; sacra: 23, Uomini spirituali: 23
73 Uomo illuminato: 46, 70 (mente i.);
Studi profani: 122 interiore: 37, 40, 43, 91, 94, 98,
Sulpicio Severo: 29, 114, 133 100, 141
Summum bonum (= fede - vita cri­ Uomo nuovo: 83
stiana e scelta ascetico-monasti-
ca): 103-104 Vaison: 67, 97
Valais: 17
Tabor: 31 Valentiniano III: 11
Tavole (di Mosè): 77 Valeriano (dedicatario del De con­
Tebaide: 16, 85 temptu mundi)·. 5, 6, 44, 45, 47,
Tempio di Gerusalemme: 125 60, 62,101,105,122
Tenebre (spirituali): 39, 92, 100 (t. Vangeli/o: 30, 31, 100, 131
del mondo) Vanità: 61, 114, 141,142
Tentazione/i: 29, 39, 83 Vattioni F.: 29
Teodosio: 85 Veggente della Tebaide (= Giovanni
Terasia (moglie di Paolino di Nola): di Licopoli): 85
122 Veglia: 27, 37, 90
Terra promessa (= eremo, vita Venanzio: 68, 98
monastica, santità...): 23, 24, 34, Vence: 10
43, 88,100 Verano (figlio di Eucherio): 6, 7, 9,
Tertulliano: 104, 123, 133 10,13
Testi ascetici orientali: 10 Verità: 128, 137, 138, 142
Tibiletti C.: 105 Vincenzo di Lerino: 42, 97
Thomas P.: 105 Violenza: 115, 144 (v. del mondo)
Topoi·. 9, 71, 116 Virgilio: 144
Toul: 97 Virtù: 19, 29, 32, 34, 35, 36, 38, 61,
Traci: 131 68, 88, 89, 91, 95, 120, 121, 138,
Traditio fidei: 97 142,143
Tradizione: 12, 15 (t. manoscritta) Visione: 31
Trasfigurazione: 30 Vis persuadendo. 135
Treviri: 9, 16 Vita ascetica: 7, 11, 18, 68, 70; beata:
Triplex Scripturarum regula·. 13 43, 98, 110; casta: 99; cenobitica:
Tristezza: 88 47, 67; comunitaria: 19; contem­
Troyes: 97 plativa: 7, 13, 19, 59, 99; cristiana:
Tullia (presunta figlia di Eucherio): 6 53, 104, 141; di grazia: 36; divina:
158 Indice dei nomi e delle cose notevoli

62; effimera: 112; eremitica: 19, Vittoria sulla morte: 25


2 6 ,3 2 ,3 4 ,4 0 , 86, 98,119 Vizi: 50, 60, 61, 95, 107, 114, 138,
Vita di Antonio (di Atanasio di Ales­ 140, 142
sandria, s.): 41 Vocazione (o chiamata, alla vita
Vita eterna: 100, 108, 110, 112, 119, monastica): 19, 34, 35
128, 136 Voce di Dio: 23, 39, 78, 92,100
Vita felice: 108; futura: 79, 110, 120; Vogt Κ.: 26, 88
inferiore: 112; lerinese: 68, 118; Volontà di Dio: 126
matrimoniale: 97; migliore: 112, Volto di Dio: 71
143; monastica: 6, 19, 27, 28, 29,
Vorgrimler H.: 96
31,62, 68, 70, 99,104
Vita nuova: 25; orante: 19; presente:
Wangnereck H.: 124, 126
110, 120; religiosa: 6, 53, 59, 123;
Weber R.: 104
rustica: 41; santa: 104; solitaria:
18, 19, 22, 24, 32, 80, 88, 91, 92, Weiss J.P.: 45
95, 99 Wilmart A.: 85
Vita s. Maximi (di Dinamio): 97 Wotke Κ.: 14,17, 18
Vita soprannaturale: 112; spirituale:
21; superiore: 112; temporale: Xanten (nome attuale del sito ad
119, 128; terrena: 47,49,112 Sanctos): 16-17
Vita ss. Hilarii et Honorati (di Ono­
rato di Marsiglia): 67 Zieler G.: 26, 88
Vittore: 16 ZychaJ.: 107
IN D IC E SCRITTURISTICO

A n t ic o T e s t a m e n t o 17, 5-6: 87 27,3:79


17,6: 76 29,5:78, 87
19, 16: 77 32, 10: 72
Genesi 19, 17:77
19, 18: 77 Giosuè
1, 1:72
20, 18: 77
1,27: 108 3, 16: 75
24, 18: 89 5,6: 79
1,28: 73
32,22:73
3, lss.: 73
34, 28: 89 1 Samuele
8,21:73
28, 12: 93 23, 14: 80
Numeri
49, 27: 97 23, 25:80
11,31:77
Esodo 20, 11:76 2 Samuele
3:71 1, 19-27: 125
Deuteronomio
3-4: 74
3, 1-3:73 1, 19: 74 1 Re
3, 4ss.: 73 1,33:75
3,5:73 4,2: 125 8, 35: 80
4, 17: 74 4, 11:77 17, 6: 80
13, 14:74 6 ,3 :7 9 17, 17-23: 80
13.21-22:75 6, 5: 69 19, 8: 89
6, 17:125 19, 13:71
14, 15ss.: 100
14.21-22:75 8, 2-3: 87
2 Re
14, 27-28: 75 8, 2-4: 78
15,25:76 8,4: 87 2, 8: 80
16: 77 8,15: 74 2, 11:80
16,4:77 9, 9.18: 89 2,14: 80
16, 16: 77 9, 10: 77 4, 2-6: 80
16,21:77 26, 9: 79 4, 32-35: 80
160 Indice scritturistico

6, 1-4:81 76 (77), 19: 100 3, 16-17: 141


6, 5-6: 80 77 (78), 14: 75 5, 16: 109
13,20-21:80 77 (78), 20: 76 6,2: 114
18,37: 125 77 (78), 24: 77 7,16: 141
77 (78), 25: 77 9, 2-3: 140
Neemia 77 (78), 27-28: 77 12, 13: 125
77 (78), 53: 75
9, 15: 76
77 (78), 57: 126 Cantico dei Cantici
9, 19: 75
99 (100), 3: 106
9,21:78, 87 1, 7: 93
103 (104), 7: 100
2, 1:95
103 (104), 13:72
Tobia 3, 4: 93
103 (104), 15: 94
12, 8: 140 104 (105), 41: 76
Sapienza
105 (106), 24: 79
Giuditta 106 (107), 3: 131 2 , 1 : 110
106 (107), 6.13-14.19. 2,3.5: 117
5, 15:76
28: 113 5,9: 117
14,4: 124
106 (107), 13.19.28: 78
106 (107), 26: 107 Siracide
2 Maccabei
114 (115), 9: 79
14, 19: 118
2, 8: 77 115 (116), 12: 130
15, 16: 125
115 (116), 16: 113
16, 26: 72
Giobbe 126 (127), 1: 93
17, 1: 108
134 (135), 6: 137
14,1: 110 27, 18: 139
138 (139), 7-10: 126
144 (145), 6: 129
Salmi Isaia
146 (147), 3: 125
1, 6 : 121 147,14: 94 35, 1: 111
2,3: 113 147, 20: 78 40,3:81
3,2: 132 63, 12: 77
24 (25), 17: 113 Proverbi 64,4:143
26 (27), 13:79
3, 1: 125
30 (31), 20: 74, 130 Geremia
4, 4: 125
33 (34), 9: 89
11,24: 70 2, 6: 79
33 (34), 13: 73
16,5: 139 2, 20: 113
38 (39), 7: 115
3, 19: 79
38 (39), 12: 107
Qoelet 5,5: 113
53 (54), 5: 132
62 (63), 1-3:80 1,4: 118
Lamentazioni
64 (65), 13-14: 72 1, 13: 113
68 (69), 6: 71 2, 18-19: 115 3,20: 107
76 (77), 16: 76 2,23: 109 3,58: 103
Indice scritturistico 161

5 , 1:119 5,44: 140 4,25:80


5, 45: 143 6, 12: 84
Daniele 6, 34: 77 6, 27.35: 140
7, 24-25: 90 6, 35: 144
3,45: 128
7, 26: 89 10, 42:105
4, 12: 103
9, 13: 139 18, 22: 140
11, 10:81 23,22: 132
Osea
11, 11:81
6, 6: 139 11, 12: 124 Giovanni
11,30: 120 1.31-34:82
Amos 12,7: 139 1,34: 111
13,4-7:94 4, 13-14: 94
4,8-11: 126
13, 44.46: 87 4, 14: 100
14, 15-21: 83 5,24: 119
Naum
14, 20: 84 6.32-33.50-51: 100
1,3: 113 15, 37: 84 6,51:94
16, 26: 108 7, 38: 94
Sofonia 17, 1-2: 84 14, 15.21: 125
17,4: 84 14, 26: 82
1, 15: 134
19, 17: 125 21, 17: 94
19, 19: 139
Zaccaria
19,21: 140 Atti degli Apostoli
7, 14: 79 19, 29: 69, 88 7,33:73
22,37-39: 69 7,42: 120
Malachia 22,39: 139 13, 18: 78, 87
24,44: 119 13,49: 131
3, 1: 119
Marco Romani
Nuovo T e s ta m e n to 1,4:81 1,24: 140
1, 9ss.: 82 1,25: 130
1, 11: 81, 111 3,28: 130
Matteo 4,24-25: 108 5,14: 83
8,36: 108 8,15.23: 111
3,3:81
10,21: 140 8, 24: 136
3, 11:82
12,31: 139 15,5: 129
3, 13-16: 81
3, 13-17:82 15, 19: 131
Luca
3, 1 7 :111
4, 1-11:83
1 Corinti
2, 13:68
4, 2: 89 3,4: 119 2, 6-7: 105
4, 11:81,83 3, 21-22: 82 2, 9: 143
5, 14: 92 3,22: 111 3, 10-12: 108
162 Indice scritturistico

3, 16: 95 Filippesi 4, 6: 134


7,19: 125
1,23: 119
10, 2-4: 78 Ebrei
2, 9: 137
10, 6: 78
2, 11: 137 4, 12:135
10,11:91,134
3, 19: 138,139 7,22: 137
12,24-25: 128
15,55-56: 73 3, 20: 86 10,25: 118
11, 16: 112
2 Corinti Colossesi 11,38: 88
1,15: 83 12, 22: 92
4,18: 110
5,18: 137 1,26: 137
3,9-10: 83 Giacomo
5 , 18ss.: 119
5,20: 112 1 ,17: 108
6, 16: 95 1 Tessalonicesi
9,10:108 4,5: 138 1 Pietro
11,1:71
12,15: 106 2, 11: 132
2 Tessalonicesi
4, 19: 103
Galati 2,3:82
2 Pietro
4,5: 111 1 Timoteo
6,10: 108 3,13-14: 119
3,16: 137
Efesini 6,10: 114 1 Giovanni
6,20: 108
1, 17: 125 2 , 15: 132
2, 19: 79
2 Timoteo
4, 13: 125 Apocalisse
5, 2: 127 1, 12.14: 108
6 , 2 0 : 111 , 112 2,4: 113 20, 13: 119
IN D IC E G EN ERA LE

Introduzione..................................................................... pag. 5
1. Eucherio di L io n e .............................................. » 5
2. L’attività le tte ra ria .............................................. » 11
3. Il De laude erem i................................................. » 18
4. Il De contemptu m u n d i .................................... » 43
5. Caratteri della presente e d iz io n e ................... » 62

E u c h e r io di L io n e
E LO G IO D ELLA SO LITU D IN E
T e s t o ............................................................................... » 67

E u c h e r io di L io n e
Epistola a Valeriano
R IN U N C IA A L M O N D O
E A L L A FILOSOFIA TE R R E N A
T e s t o ............................................................................... » 103

IN D IC I

Indice dei nomi e delle cose n o te v o li...................... » 147

Indice scritturistico..................................................... » 159

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