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Gregorio di Nissa

LA GRANDE CATECHESI
Traduzione, introduzione e note
a cura di Mario Naldini

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. Cenni biografici *

Gregorio Nisseno nacque a Cesarea nella Cappa­


docia intorno al 335 da Emmelia e dal retore Basilio il
Vecchio. Fratello minore di Basilio Magno, che fu la
sua guida e il suo vero maestro, Gregorio si formò
alla cultura del tempo frequentando ottime scuole di
retorica; ma soprattutto nutrì la sua mente della sa­
pienza biblica, che innestata alle sue singolari capacità
speculative, fece di lui uno dei piti grandi filosofi e
teologi dell’Oriente cristiano. Prima « lettore » e poi
maestro di retorica, si uni in matrimonio, per quanto
si sa, con la giovane Teosebia; ma dopo lasciò la vita
del secolo e si ritirò nella solitudine monastica di Annesi
presso il fratello.
Divenuto vescovo di Nissa per volontà di Basilio,
mostrò subito scarse attitudini nel campo dell’ammini­
strazione e del governo, tanto che la parte ariana potè
facilmente farlo deporre sotto l’accusa di incapacità
e di sperperi finanziari. Alla morte dell’imperatore filo­
ariano Valente (378) fece ritorno alla sua sede, e da
quel momento, in particolare dopo la morte del fra­
* Per notizie più ampie rimandiamo ai voli. 4 (pp. 9-12) e 26
(pp. 7-8) di questa stessa collana, rispettivamente su La vergi­
nità e su L’anima e la risurrezione di Gregorio Nisseno, a cura
di S. Lilla.
6 Introduzione

tello Basilio (379), la sua autorità e la sua fama creb­


bero ogni giorno: ebbe un ruolo di primo piano col
Nazìanzeno al Concilio di Costantinopoli (381 ), mentre
la nomina a vescovo del Ponto da parte dell’impera­
tore Teodosio gli conferì poteri decisionali su tutti i
vescovi di quella regione e lo confermò uomo di fidu­
cia del governo centrale. Mori poco dopo il 394.

2. Data di composizione, destinatari e struttura della


« Grande Catechesi »

La datazione delle opere di Gregorio Nisseno resta


ancora problematica per l’assenza di punti di riferi­
m ento sicuri e determinanti. Per quanto riguarda la
Grande Catechesi, tuttavia, siamo in grado di fissarne
con probabilità la composizione ad alcuni anni dopo
il 381 (386 circa), come farebbe supporre un’osserva­
zione dello stesso Gregorio al c. X X X V III, 1 della Ca­
techesi, dove avverte che quanti desiderano un'espo­
sizione più completa e più minuziosa delle dottrine in
oggetto la troveranno in altri suoi precedenti lavori.
L ’allusione ha fatto pensare a scritti quali: A Simplicio
e Dalle nozioni comuni In tal modo la Grande Cate­
chesi costituirebbe una meditata sintesi teologica delle
dottrine fondamentali esaminate e formulate nel Con­
cilio Costantinopolitano (381) ed ora ripensate ed
espresse in categorie culturali del tempo.
La Catechesi del Nisseno ha una sua specifica ori­
ginalità: mentre altre sintesi del genere (a parte il De
catechizandis rudibus,) erano dirette per lo più ad am­
maestrare i catecumeni nelle principali verità della

1 Vedi G. May, Die Chronologie des Lebens und der Werke


des Gregor voti Nyssa, in « Écriture et culture philosophique
dans la pensée de Grégoire de Nysse » (Actes du colloque de
Chevetogne), par M. Harl, Leiden 1971, pp. 60 s.
Introduzione 7

fede in vista del Battesimo, e comunque si rivolgevano


direttamente agli iniziati e ai fedeli per istruirli sui
fondamenti della dottrina evangelica, la Grande Cate­
chesi è indirizzata ai « dirigenti ecclesiastici », ai mae­
stri o « catechisti », che nella Chiesa avevano il com­
pito di promuovere nei credenti un’adeguata forma­
zione relativa al patrimonio dottrinale della tradizione
apostolica, tenendo conto delle tendenze ereticali in­
terne al cristianesimo stesso e delle difficoltà e dei
preconcetti che provenivano in particolare dall'ambien­
te pagano e da quello giudaico2.
Il compito ufficiale della catechesi, che presuppo­
ne in atto una consistente organizzazione ecclesiale,
nel IV secolo è normalmente affidato al clero, ma nelle
chiese orientali si trova non di rado nelle mani dei
laici, nei quali si richiedevano, secondo le Costituzioni
Apostoliche, perizia nel parlare e onestà di v ita 3. Al
primo requisito fa riscontro nel discorso di Gregorio
un determinato tipo di argomentazione filosofica: que­
sto ha fatto pensare che la catechesi proposta dal Nis­
seno doveva adattarsi ad un ambiente di « intellettuali
imbevuti di neoplatonismo » 4.
Quella specifica singolarità influisce sensibilmen­
te, come è facile riconoscere, sull’intera struttura della
Grande Catechesi e ne determina la sistemazione dei
temi trattati, il tono e il metodo dialettico e i modi
espressivi. A proposito di quest’ultim i diciamo subito
e brevemente che nella forma espositiva la Catechesi
obbedisce in ampia misura ai canoni retorici propri
della seconda sofistica, e fa uso sovrabbondante del-

2 In altri autori si possono trovare parziali e sporadici


riferimenti ai catechisti, come in Epifanio, Ancoratus, 107.
3 Const. Ap., V ili, 32, 17, « peritus in sermone ac morum
probitate ornatus ».
4 J. Daniélou, La catechesi nei prim i secoli (trad. it. di
S. Celani), Torino 1969, p. 28.
8 Introduzione

fekphrasis o descrizione comparativa e del principio


dell’analogia, con originale applicazione ai temi trat­
tati 5.
Quanto alle concezioni filosofiche utilizzate nell'e­
sposizione dottrinale (vedi più avanti), rientrano an-
ch’esse nel metodo pedagogico del Nisseno di espri­
mere i contenuti rivelati con categorie culturali proprie
dei destinatari dell’insegnamento evangelico: è la me­
todologia didattica comune ai tre grandi Padri della
Cappadocia, già adottata e proposta sistematicamente
dal maestro Origene.
I maestri della catechesi dovevano tener conto so­
prattutto di due schieramenti: il mondo pagano e quel­
lo giudaico, la cui mentalità e i cui influssi erano pene­
trati nel campo cristiano per la concorrenza di vari
fattori, fra i quali idee filosofiche ed etiche malamente
filtrate al vaglio di una ortodossa elaborazione della
dottrina rivelata. Posizioni eretiche e tendenze ereticali
concernenti il dogma trinitario e la cristologia in diret­
to rapporto con l’antropologia cristiana, e con ovvi
riflessi sul piano della vita ecclesiale e sacramentale,
si esprimevano in forme varie e con sfumature che
provocavano sottili e interminabili discussioni teo­
logiche.
Nello sfondo della grande crisi ariana, che verso
la fine del IV secolo volgerà decisamente al declino6,
l’ortodossia cristiana si era trovata ad affrontare l’er­
rata dottrina degli anomei, che radicalizzando la stessa
tesi ariana negavano risolutamente ogni uguaglianza
sostanziale tra il Padre e il Figlio; le persistenti con­
cezioni risalenti a Sabellio (inizio II I secolo), che ave­

5 Cf. L. Méridier, L’influence de la seconde sophistique


sur l’oeuvre de Grégoire de Nysse, Paris-Rennes 1906, in parti­
colare le pp. 58 ss., 139 ss.
6 Fondamentale sull’arianesimo è lo studio di M. Simo-
netti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975.
Introduzione 9

va considerato le persone della Trinità divina come


semplici rivelazioni o modi di manifestarsi di Dio; la
teoria di Apollinare il Giovane, che, in decisa contrap­
posizione alle tesi ariane e in stretta adesione alla
dottrina nicena, aveva riaffermato la consustanzialità
di Figlio e Padre, e nell’intento di salvaguardare l’im­
mutabilità del Logos divino aveva finito cóli’avvicinarsi
alla teoria ariana, sostenendo che in Cristo l’anima ra­
zionale o spirito si identifica con il Logos7.
È in questo contesto che si colloca la Catechesi di
Gregorio Nisseno: con attenzione a comprensibili motivi
di carattere apologetico e anche polemico, egli intesse
una magistrale sintesi teologica rispondente alle istan­
ze fondamentali del tempo, dal mistero trinitario e
della creazione all’escatologia o enunciazione dei fini
ultimi. Ma il filo conduttore che collega in unità coe­
rente i vari m om enti e le tappe dottrinali del ragiona­
mento del Nisseno è costituito dalla persona di Cristo,
causa efficiente della creazione e unico autore della
redenzione universale.
Il carattere della Catechesi di Gregorio con la sua
struttura in certo modo sistematica, ha fatto ricordare
I principi di Origene, anteriori di un secolo e mezzo
circa al trattato del Nisseno. Ma, se di sistematicità
( non certo in senso moderno) si può parlare nel caso
del maestro alessandrino, questa va intesa limitata-
mente a quei temi essenziali concernenti la fede affron­
tati nello scritto da Origene con l’intento « di dare
esposizione problematica e approfondita di alcuni fon­
damentali dati della fede cristiana » 8.

7 Sulla dottrina cristologica nei primi cinque secoli vedi


A. Grillmeier, Le Christ dans la traditìon chrétienne, Paris
1973.
8 M. Simonetti, I principi di Origene, Torino 1968, p. 43;
cf. A. Grillmeier, Vom Sym bolum zur Summa, in J. Betz - H.
Fries, Kirche und Vberlieferung, Freiburg 1960, pp. 119-169.
10 Introduzione

Interessa poi ricordare che alle controversie con­


cernenti l’arianesimo e posizioni affini partecipò con
vivacità e passione anche la gente del popolo e « intel­
lettuali » improvvisati, specialmente in determinati
centri, dove si potevano incontrare persone di modesta
condizione e di ogni mestiere, pronte a discorrere con
lodevole interesse ma spesso anche con disinvolta fa­
ciloneria su temi trinitari. Lo stesso Gregorio denuncia
come frenesia epidemica l'incompetenza e la superfi­
cialità di certe persone dedite al chiacchiericcio più che
ad una seria ricerca teologica9.
Nel prologo della Catechesi Gregorio affronta la
questione metodologica, e con atteggiamento origenia-
no pone la necessità di adattare linguaggio e argomen­
ti al tipo di cultura e di religiosità propria delle perso­
ne o degli ambienti con cui si entra in dialogo più o
meno diretto, premettendo come base d ’intesa alcuni
principi comunemente accettati. Qualora si discuta, ad
esempio, del dogma trinitario con un pagano, si farà
leva con oculatezza sul suo concetto pluralistico della
divinità, mentre si terrà conto della concezione rigoro­
samente monoteistica quando ci si trovi a parlare dello
stesso tema con un giudeo.
Nella prima sezione ( cc. I-IV) si tratta del dogma
della Trinità. Mediante una ben calibrata utilizzazione
del concetto di analogia Gregorio, con accostamento
alla parola e al soffio che l’accompagna nella natura
dell’uomo, rivendica l'esistenza del Verbo e dello Spi­
rito. Ma il Verbo, come anche lo Spirito, possiede gli
stessi attributi di colui del quale è Verbo, ed è perciò
sostanza vivente in sé, eterna, volontà che sceglie il
bene e lo crea.
La seconda parte (cc. V-VIII) è essenzialmente an­
tropologica: tratta della creazione dell’uomo, dell’ori­

9 De deitate Filii e t Spiritus Sancti, PG XLVI, 557; cf.


M. Simonetti, La crisi ariana, cit., pp. 554 s.
Introduzione 11

gine e della natura del male. L’uomo, come l’intero uni­


verso, è opera della potenza creatrice del Verbo: egli
porta in sé l’affinità col Creatóre, e possiede perciò la
vita, la ragione, e il principio dell’immortalità. Ma la
condizione esistenziale dell'uomo avvolto in realtà dai
mali e da tante miserie sembra sconfessare la sua ori­
gine divina. La spiegazione del dramma è questa: la
causa del male, estranea alla natura divina che vuole
e crea soltanto il bene, risiede dentro l’uomo, all'inter­
no della sua indipendenza e di quella sua libertà di
scelta senza la quale del resto nessuna affinità col Crea­
tore sarebbe possibile. La sua grandezza consiste, come
c'insegna il racconto della Genesi, nell’essere creato
« ad immagine e somiglianza » di Dio. È stata l’invidia
del principe della terra, l'angelo delle tenebre, ad in­
durlo con inganno a scegliere il male apparsogli nella
forma di bene. Perché il male è « assenza del bene » e
non ha perciò una sua reale consistenza, come la te­
nebra che subentra alla luce e la cecità alla forza vi­
siva; è pertanto impossibile fissarne la causa in Dio,
che crea la realtà e l’esistenza non l’inesistenza, come
non si potrebbe addebitare al sole la tenebra che ci
avvolge quando si chiudono gli occhi. Insistendo nella
ricerca della radice del male, il Nisseno ricorre ad una
distinzione degli esseri di ispirazione biblica e più pro­
fonda e radicale della partizione platonica del reale
in intelligibile e sensibile. L’esistenza è increata o
creata: alla prima compete l'immutabilità, nella se­
conda, e quindi anche nell’uomo, la mutabilità sta alla
radice dell’essere stesso, che passa dalla non esistenza
all’esistenza. In questo essere costituzionalmente mu­
tevole, e, quindi, nella capacità di mutamento, risiede
il germe e il principio del male. L’uomo decaduto con
la perdita dell’immagine divina a causa della colpa,
non poteva essere risollevato se non da colui che, aven­
12 Introduzione

do creato la vita, era l’unico in grado di riaccenderla


anche se spenta.
Si svolge cosi la terza parte della Catechesi (cc. IX-
X X X II), dedicata al problema cristologico: all'incarna­
zione del Verbo e alla redenzione dell’uomo. Il mistero
dell’incarnazione del Verbo pone subito una difficoltà:
come spiegare l'unione della natura divina esente da
ogni infermità con la natura umana mutevole e soggetta
all’infermità. L’unica infermità che per natura si oppo­
ne al Verbo è quella del male, del vizio; il Verbo però si
è incarnato in una natura esente dal male della colpa.
Anche l’obiezione che vuol turbare l’animo consideran­
do l’impossibilità di vedere l’infinito racchiuso in una
natura finita cade, se si pensa che il Verbo non scende
ad incarnarsi in una prigione, cosi come l’anima non è
coartata dai lim iti del corpo essendo capace di esten­
dersi col movimento del pensiero a tutta la creazione
fino alla comprensione delle meraviglie del cielo.
Unendo a sé ineffabilmente i due elementi costi­
tutivi dell'uomo, il sensibile e l’intelligibile, il Verbo
ha concluso il disegno di coinvolgere nella sua risur­
rezione e in un’eternità di vita l’uomo nella sua com­
pletezza di anima e di corpo. Ma perché Dio non ha
operato la redenzione con un semplice atto di volon­
tà? Come il medico sapiente Dio ha scelto i mezzi per
il risanamento dell’uomo, e questi sul piano della rea­
lizzazione mostrano gli attributi della divinità: la bon­
tà, la saggezza e la giustizia, inseparabilmente con­
giunte. Per quanto riguarda la giustizia Gregorio svi­
luppa l’idea origeniana del Cristo come riscatto pa­
gato a satana, sottolineando l’elemento per cosi dire
contrattuale con cui Dio apre all’avversario l’accesso
all’inaccessibile: il demonio, che confusamente intra­
vede Dio nella carne e s’illude che come un uomo
divenga preda della morte, cade nei lacci del suo stes­
so inganno e là dove presumeva sicura vittoria trova
Introduzione 13

definitiva sconfitta. Ma l’obiettivo essenziale dell’in-


carnazione è la guarigione e la salvezza della vita uma­
na in tutta la sua estensione, dalla nascita alla morte.
La permanenza del male e del peccato, che persiste
come i m ovim enti ancora vitali di un serpente cui sia
stata recisa la testa, dipende dalla libera volontà degli
uomini, tutti chiamati a partecipare al bene della gra­
zia divina ma non tutti disposti ad accoglierla. La li­
bertà della fede del resto è strettamente legata alla
ragione, perché « la natura razionale e pensante, se
m ette da parte la libertà, perde subito il dono dell’in­
telligenza »; perché questa non serve più « quando la
facoltà di scegliere secondo il proprio giudizio dipen­
de da un altro ».
Un’ultima obiezione consente a Gregorio di par­
lare del mistero della croce e della morte di Cristo.
Colui che è eterno non si è incarnato perché bisogno­
so di vivere, ma spinto dall’amore, e la morte costi­
tuisce l’ultim a tappa necessaria per essere a contatto
con l’intera esistenza dell’uomo. La croce, che agli oc­
chi increduli appare soltanto un'infamante e inaccet­
tabile abiezione, è compimento e simbolo del grande
mistero di Cristo: dal suo punto centrale essa estende
i suoi bracci nelle quattro direzioni dell’universo, che
sono « la profondità, l’altezza, la larghezza e la lun­
ghezza », secondo l’espressione di Paolo (cf. Ef. 3, 18).
Per questa dimensione cosmica della croce tutta la
creazione converge verso il Cristo, « si muove intorno
a lui e in lui trova la sua coesione ». L’insistenza sul
processo unitivo con Cristo suggerisce al Nisseno
espressioni solo apparentemente panteistiche, giun-*
gendo egli ad affermare che la risurrezione di Cristo
è seme e fondamento di risurrezione per la natura
intera, e per essa « l’universo forma per cosi dire un
solo essere vivente ».
L ’ultim a parte (cc. X X X III-X L ) è dedicata ai sa­
14 Introduzione

cramenti e alla necessaria concomitanza della fede e


della conversione interiore; conclude un breve accen­
no ai fini ultim i dell’uomo. Il principio generale che
con i sacramenti l'uomo riproduce e attualizza in sé
gli effetti dell’incarnazione redentrice, viene conside­
rato specificamente nel Battesimo in stretto legame
con la risurrezione: un’idea presente anche nell’inse­
gnamento di Gregorio Nazianzeno e di Basilio Magno.
L ’originalità del Nisseno si esprime nelle pagine dedi­
cate all’Eucaristia (c. X X X V II) in cui, confermata la
trasformazione del pane e del vino nel corpo di Cristo,
Gregorio insiste particolarmente sugli effetti del sacra­
mento, e cioè sulla stretta unione e assimilazione a
Cristo che l’Eucaristia promuove e alimenta nell’uo­
mo: una unione profonda che il Nisseno spiega ricor­
rendo all’analogia del corpo sorretto nella sua esisten­
za dalla forza del nutrimento. Questa dottrina, come
è stato osservato, non soltanto divenne « classica »
nelle chiese dell’Oriente per la mediazione di Giovanni
Damasceno, ma influenzò proficuamente anche la fede
e il pensiero teologico dell’Occidente.
Coloro che con la libera accettazione della fede
sono diventati figli di Dio e hanno testimoniato nella
vita questa loro dignità, riceveranno i beni promessi
che nessuna parola né alcuna facoltà umana può espri­
mere. La sorte dolorosa riservata ai peccatori non è
paragonabile ad alcuna delle sofferenze terrene. Il
« fuoco » e il « verme » di cui si parla nella Scrittura
indicano realtà ben diverse da quelle riferite all’espe­
rienza sensoriale della vita terrena10. Chiude la Cate­

10 Nella concezione del Nisseno l’inferno non consiste


ovviamente in un luogo fìsico, bensì in uno stato o condizione,
essendo l’anima incorporea e quindi non contenuta da alcun
luogo e insieme responsabile della colpa con la sua volontà:
v. In Hexaem., PG XLIV, 69B; De anima et resurrectione,
Introduzione 15

chesi un avvertimento agli animi saggi perché gettino


nella vita presente i semi e i fondamenti di quella
beatitudine ineffabile che li àttende.
L’esposizione dogmatica del Nisseno si dispiega
senza schemi, vivacizzata da un atteggiamento dialogi­
co che la lega al tempo e alla vita, e sottesa nel grande
arco della storia della salvezza, che ha come centro
propulsore la persona e l’opera redentrice del Cristo.

3. La catechesi nella Chiesa antica

La Grande Catechesi del Nisseno s’inserisce quale


tappa fondamentale nell’itinerario pedagogico della
Chiesa antica, il cui impegno di annunziare il Vangelo
a tutte le genti risale, come è noto, al comando di Gesù
rivolto agli apostoli prima della sua ascensione al
cielo “.
Dopo la sorprendente diffusione del Vangelo sotto
l’impulso missionario di persone e di gruppi operanti
nello spirito e nel fervore dell’età apostolica e subapo­
stolica, la Chiesa, tra la fine del I I secolo e l’inizio del
III, avverti l’esigenza di una nuova struttura organiz­
zativa richiesta dall’afflusso dei credenti di provenienza
pagana e giudaica e dai problemi che l’ambiente e la
storia ponevano per un regolato ingresso e una solida
permanenza degli adepti nella Chiesa stessa.
L’istituzione del catecumenato, sotto la vigilante
direzione ecclesiastica, rispose a quelle esigenze, e co­
stituì un'attività d ’importanza vitale e feconda di risul­
tati e di nuovi slanci per la storia e per la vita della
Chiesa. Un attento e organizzato impegno nella didat-

PG XLVI, 68B. Cf. M. Pellegrino, Il platonism o di Gregorio


Nisseno nel dialogo « Intorno all’anima e alla resurrezione »,
in « Rivista di Filosofìa neo-scolastica », 30 (1938), p. 468.
» Mt. 28, 19; Me. 16, 15-20.
16 Introduzione

tica autenticamente evangelica era suggerito, in parti­


colare, dalle continue infiltrazioni di germi e di ten­
denze ereticali nella compagine ecclesiale, e dal com­
plesso e insidioso movimento gnostico che penetrava
dovunque anche per l’appoggio dei culti m isterici12.
La formazione dottrinale specialmente nella pro­
spettiva della conversione e dell’inserimento nella Chie­
sa mediante il Battesimo, fu esercitata in un primo
tempo in forma privata, per l’iniziativa e sotto la re­
sponsabilità di persone che organizzarono, come Giu­
stino a Roma, centri o scuole di istruzione cristiana.
La stessa scuola di Alessandria, il celebre Didaskaleion,
ebbe nei suoi inizi con Panteno e Clemente Alessandrino
un carattere privato, e divenne centro ecclesiale uffi­
cialmente riconosciuto quando il vescovo Demetrio
intorno al 215 affidò a Origene l’incarico di istruire i
catecumeni. Ma poco dopo, sempre d ’intesa col vesco­
vo, Origene lasciò l’istruzione vera e propria dei cate­
cumeni all’amico Eracla, riservando a sé l’impegno di
esporre sistematicamente la dottrina evangelica a per­
sone di ambiente colto e progredito; e sappiamo che
la sua scuola era molto frequentata anche da persone
dell’ambiente giudaico e pagano.
È noto come la catechesi antica insistesse parti­
colarmente su due aspetti presentati in stretto rap­
porto fra di loro: quello morale e quello liturgico-sa-
cramentale, che furono poi gli aspetti peculiari della
catechesi propriamente catecumenale. Cosi la Didachè
o Dottrina dei dodici Apostoli, e più tardi la Lettera
di Barnaba, contenenti ambedue, pur nella loro diver­
sificazione, la dottrina delle due vie, la via della vita
e la via della morte. Alla seconda metà del I I secolo
appartiene la cosiddetta Lettera degli Apostoli, nella
quale è presente anche una parte dogmatica. La Espo­

12 Cf. K. Baus, in Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin,


voi. I, Le origini, Milano 1977, pp. 357 s.
Introduzione 17

sizione della predicazione apostolica di Ireneo (sec. II-


III), di carattere apologetico, espone in sintesi « la
predicazione della verità » presentando « le prove dei
dogmi divini » (1-8), e traccia a grandi linee la storia
della salvezza, un aspetto quest’ultimo che entrò come
dato comunemente acquisito nelle catechesi succes­
sive 13.
Si sono richiamati alcuni elementi di rilievo nella
storia della catechesi antica, senza proporci ovvia­
mente di esporne un quadro completo sia pure in com­
pendio. È chiaro che nella didattica cristiana più antica
erano prevalenti gli aspetti etico-liturgici su quelli espo­
sitivi e dogmatici; i quali per le mutate condizioni cul­
turali esterne e interne al cristianesimo prenderanno
via via maggiore consistenza. In questo senso è signi­
ficativa l'esperienza origeniana nel separare i due cam­
pi dell’attività didattica, quello più direttamente etico­
sacramentale e quello di carattere dogmatico-specula­
tivo, che specialmente nel IV secolo registrerà una
vasta produzione in cui s’incroceranno non sempre in
equilibrata convivenza filosofia e teologia.
Non si può tralasciare infine un accenno al De
catechizandis rudibus di sant’Agostino, scritto alla fine
del IV secolo e quindi non molto lontano dalla Grande
Catechesi di Gregorio: ambedue al centro di un pro­
cesso ecclesiale-teologico che va da Nicea (325) a
Calcedonia (451). Nella storia della catechesi il trat­
tato di Agostino costituisce, come è noto, una guida
metodica che ha influito fino ad oggi sulla catechesi
pratica sia per il contenuto e sia per l’esemplare vita­
lità della composizione. Riferendosi alla fase iniziale
del catecumenato Agostino risponde agli interrogativi
del diacono Deogratias, incaricato a Cartagine della
catechesi ai catecumeni e scoraggiato dinanzi alle diffi­

13 Cf. J. Daniélou, La catechesi, cit., p. 21.


18 Introduzione

colta del suo compito: facendo perno sulla storia della


salvezza come è rivelata nella Scrittura, bisogna adat­
tarsi e adattare l’insegnamento alla cultura, ai proble­
m i e all’ambiente di chi ci ascolta M.
A parte le peculiarità che distinguono evidente­
mente i due scritti del Nisseno e di Agostino, su questo
elemento fondamentale essi convergono con significa­
tiva affinità: come si è già rilevato, la Grande Cate­
chesi, articolata sulla storia della salvezza, adatta pe­
dagogicamente contenuto e forma speculativa alle esi­
genze caratteristiche dei suoi destinatari.
Ripensando all’aspetto dinamico e dialettico dì
quella che oggi si è soliti chiamare mediazione cultu­
rale, è facile riscontrare nei trattati dei due grandi
teologi rispettivamente dell’Oriente e dell'Occidente
un esempio e una lezione di viva attualità.

4 . Esegesi biblica

L ’accostamento della Catechesi di Gregorio al De


catechizandis rudibus di Agostino ha fatto giudicare
eccessiva nel primo la prevalenza delle giustificazioni
■filosofiche sulle motivazioni biblico-teologiche. Non bi­
sogna tuttavia trascurare né sottovalutare quello che
è il metodo di fondo scelto da Gregorio, di adattare
cioè forma e argomenti alla mentalità e alle categorie
intellettuali di un uditorio colto imbevuto di neopla­
tonismo. Ma a parte questo, bisogna anche riconoscere
che l'argomentazione della Grande Catechesi è costruita
sulla base di motivi scritturistici direttamente o indi­
rettamente presenti e spesso richiamati testualmente.
Ci sembra perciò che i due aspetti siano in definitiva

14 Per il carattere e la sistemazione del contenuto va ricor­


dato di Agostino anche il sintetico Enchiridion ad Laurentium
del 421, manuale di teologia articolato sulle virtù teologali.
Introduzione 19

bene armonizzati e uniti fra loro in efficace consonanza.


Come si può riscontrare nell’indice scritturistico,
le citazioni e le reminiscenze della Catechesi apparten­
gono a 11 libri dell’A.T. e a 14 del N.T., con netta preva­
lenza rispettivamente dei Salmi e del Vangelo di
Giovanni.
L ’esegesi biblica del Nisseno, su cui si è molto di­
scusso, deriva, come quella del fratello Basilio, da
Origene (Srawley): nel c. X X X I I della Catechesi Gre­
gorio, che altrove dichiara di seguire il senso proprio
letterale della Scrittura B, espone i principi del metodo
allegorico-interpretativo, applicati in quel caso a spie­
gare il modo in cui è avvenuta la morte di Cristo: in
ogni parola e in ogni fatto del Vangelo, dice Gregorio,
vi è un senso più alto e più divino di quello espresso
in superficie dalla paróla, e in ogni punto si trova
una mescolanza del divino con l’umano, sicché nella
m orte di Cristo è riconoscibile l’elemento umano men­
tre nel modo in cui essa si compie si svela il divino.
Del resto, la coesistenza del senso letterale col senso
allegorico è riscontrata dal Nisseno nei prim i capitoli
della Genesi, in cui Mosè presenta un insegnamento
« come verità storica e insieme sotto il velo dell’alle­
goria » (V ili, 4). Comunque, l’uso délVallegorismo
da parte di Gregorio rivela spesso « una concezione
profondamente spirituale del senso della Scrittura »
(Srawley)
Nell’esegesi di Gregorio sono stati individuati e
messi in debita luce anche recentemente tre elementi
chiave reciprocamente collegati: lo scopo della Scrit­
tura ('skopósj, la ricerca e la comprensione del senso
scritturistico (theoria,), il legame dei fatti e dei sensi

“ In Hexaetn., PG XLIV, 121D; 124B.


16 Vedi Contra Eunomium, 7, PG XLV, 744D; In Cant.
Cant., PG XLIV, 756-757; cf. M.N. Esler, Allegorie und Analogie
bei Gregor von Nyssa, Bonn 1979, pp. 6 ss., 28 ss.
20 Introduzione

della Scrittura (akolouthiaj 17: elementi sui quali il


Nisseno ha fondato il suo intento di « far emergere l’in­
segnamento teologico delle Scritture », concernente il
disegno divino della salvezza1B.
Il valore di questo atteggiamento metodologico
tradotto nella realtà ha fatto ripensare ad istanze dei
nostri tem pi e ai chiari insegnamenti già espressi dal
pontefice Pio X II nell’enciclica Divino afflante Spirito:
« Nell’esegesi (gli insegnanti di Sacra Scrittura) fac­
ciano risaltare principalmente il contenuto teologico
schivando le dispute superflue... espongano con tanta
solidità, dichiarino con tale maestria e inculchino con
tal calore il senso letterale e specialmente dommatico,
che nei loro alunni si verifichi in certo modo ciò che
accadde ai due discepoli di Gesù sulla via di Emmaus,
i quali, udite le parole del Maestro, esclamarono: *Non
ci sentivamo noi infiammare il cuore mentre egli ci
spiegava le Scritture?" (Le. 24, 32) » 19.

5. Fonti di cultura filosofica e patristica *

Una rassegna, sia pure per som m i capi, delle fonti


che in qualche misura hanno influito e ispirato Gre­
gorio nella composizione della Catechesi, è sicuramente

11 B. De Margerie, Introduction à l’histoire de l'exégèse,


I. Les Pères grees et orientaux, Parigi 1980, pp. 240-269; cf.
J. Daniélou, L’ètre e t le tem ps chez Grégoire de Nysse, Leiden
1970, pp. 1-50.
18 B. De Margerie, op. cit., p. 267.
19 Divino afflante Spiritu, AAS 35 (1943), 322.
* Si vedano i riferimenti di S. Lilla, in Gregorio di Nissa,
L’anima e la risurrezione, « Collana di testi patristici » 26,
Città Nuova, Roma 1981, pp. 13-33. Per le fonti relative ai temi
della Grande Catechesi si è tenuto conto in particolare dei rife­
rimenti e delle note contenute nelle rispettive edizioni di
Srawley e di Méridier.
Introduzione 21

di grande utilità per un'adeguata valutazione del testo;


la varietà dei tem i trattati tuttavia si riflette su questa
rassegna conferendole in qualche punto un carattere
non pienamente omogeneo e specifico.

1) Fonti platoniche
La consistente presenza di elementi platonici negli
scritti di Gregorio Nisseno ha sempre attratto l’atten­
zione e l’interesse dei commentatori. Secondo l’affer­
mazione di Hamack, Gregorio è un platonico. Ma nelle
ricerche successive si è analizzato e valutato più a fon­
do il problema, chiarendo la portata e i lim iti di questa
dipendenza platonica, e m olti studiosi, come Ivanka,
hanno messo in luce l’originale trasformazione in sen­
so cristiano dei tem i platonici da parte del N issenoM.
È da notare che, eccettuato il caso di citazioni esplicite
e di reminiscenze dirette, l’influsso è spesso riferibile
più che a pagine determinate, al contesto del sistema
platonico. Conviene poi tener conto del fatto che molte
concezioni platoniche del Nisseno derivano indiretta­
mente tramite l’elaborazione precedente di autori cri­
stiani, come Origene (vedi più avanti).
a) N ei prim i capitoli della Catechesi Gregorio fa
ricorso alla psicologia platonica per illustrare la dot­
trina della Trinità.
b) Il concetto dell’immanenza divina che Gregorio
utilizza per spiegare, come già Atanasio, l’incarnazione
del Verbo (IX-XV) e poi nell’esporre la potenza san-
tificatrice dei sacramenti ( XXXI I I - XXXVI I ) , è di
stampo platonico f TimeoJ.
c) Nel c. X X X I I della Catechesi Gregorio svolge
il tema centrale della partecipazione dell'intero creato
alla redenzione dell’uomo, giungendo ad illustrare il

20 Vedi in particolare E. von Ivanka, Plato christianus,


Einsiedeln 1964, pp. 151-185.
22 Introduzione

valore cosmico della croce e ponendo alla base del suo


ragionamento l’idea platonica della natura che costi­
tuisce « un solo essere vivente » (cf. Timeo, 30b-c; 69c).
d) Il concetto di immutabilità della natura divina,
che Gregorio in particolare contrappone alla condizio­
ne dell’uomo soggetto per natura al mutamento e
quindi peccabile (VI, XXI ) , è già in Platone, Repubbl.,
381 c.
e) Per chiarire l’affinità col divino che nell’uomo
rende ontologicamente realizzabile la partecipazione
ai beni celesti (V ) Gregorio ricorre all’analogia plato­
nica dell'occhio reso capace di ricevere la luce « grazie
all’elemento luminoso insito in lui per natura » ('Timeo,
45b-d).
f) Il problema del male, di cui Gregorio tratta al
c. V della Catechesi, è risolto sulla base di concetti
direttamente connessi al sistema platonico: sulla iden­
tificazione platonica dell’essere (to onj col bene (to
agathòn) Gregorio fonda la concezione (già origenia-
na) puramente negativa del male, che è definito come
« assenza del bene ».
g) Poiché Dio è creatore dell’essere, non gli si può
attribuire la causa del male, che è « privazione di
bene » e quindi non essere: radice del male è soltanto
il libero arbitrio dell’uomo (V ili). Sono idee di ma­
trice platonica ricorrenti in Repubbl., 379b-c; 617e;
cf. Teet., 176a; Tim., 86d; e Filone, De conf. ling., 33.
h) Secondo Gregorio l’uomo è attratto dal male
in quanto che questo gli appare nelle sembianze di
bene, sicché alla base della colpa vi è un falso giudizio,
akrisia (XXI). L’idea è riferibile alla teoria platonica
esposta particolarmente in Tim., 86d.
i) Per spiegare come la divinità nell’incarnazione
non resti imprigionata e coartata dalla natura umana
limitata e circoscritta, Gregorio si appella al rapporto
analogico dell’anima col corpo: essa non ne è impri­
Introduzione 23

gionata, ma grazie al movimento del pensiero può cir­


colare dovunque, si estende a tutto il creato e penetra
nei cieli (X). Idea ed espressioni hanno fatto pensare
ad un’ispirazione di Fedro, 246b.
I) Nei cc. XXVI - XXVI I della Catechesi, parlando
del riscatto pagato da Cristo per la salvezza dell’uma­
nità, Gregorio espone la sua teoria circa la purificazio­
ne delle anime contaminate dalla colpa: non è un trat­
tamento punitivo, ma un atto di benevolenza salvifica
verso l’uomo e la natura, che, liberata dal male attra­
verso la sofferenza, sarà grata al Salvatore come il ma­
lato, una volta guarito, esprime gratitudine al medico
dopo aver sopportato le sofferenze procurategli dalla
medicina e dalla chirurgia. È riscontrabile in questa
teoria una traccia di Repubbl., 380a-b (cf. 591a-b), dove
Platone ribadisce gli effetti salutari di una disciplina
severa, tesa a redimere i cattivi dalla loro infelicità.

2) Fonti aristoteliche
L ’influsso aristotelico nella Grande Catechesi è re­
lativo e modesto, come già annotava Srawley. Per di
più i pochi riferimenti o contatti aristotelici che vi si
incontrano costituivano patrimonio comune della filo­
sofia corrente di carattere fortemente sincretistico.
a) Parlando dell’incarnazione Gregorio spiega di
che genere è l’infermità o affezione (pathos,) assunta
dal Verbo insieme alla natura umana (XVI): il senso
da dare al termine pathos in questo caso è di « atti­
vità », come la nascita, la crescita ecc., e non quello
di « m utam ento » che conduce la volontà al vizio. È
molto probabile che lo spunto di questa pagina risalga
ad Aristotele, Metaf., 4, 21, in cui si definisce e si di­
stingue la natura del pathos.
b) Il termine to hypokèimenon nel senso di mate­
ria e in opposizione a « forma », per cui cf. Aristotele,
24 Introduzione

Pol., 1, 8 21, è usato al c. X X X della Grande Catechesi,


dove si dice che la formazione dell’uomo è dovuta non
alla « materia » ma alla potenza divina, che trasforma
l’elemento sensibile del seme in natura um ana71.
c) Trattando dell'Eucaristia, Gregorio al c. X X X V I I
della Catechesi spiega la potenzialità del pane di tra­
sformarsi nella carne e nel corpo, ricorrendo all’anti­
tesi aristotelica di « potenza » (dynamis) - « atto »
(enérgeiaj, e di « forma » (èidos,) - « materia » fhyléj,
e avendo presente la dottrina di Aristotele circa la nu­
trizione e la crescita (De anima, 2, 4; De gen. et corr.,
1, 5; De part. animai., 2, 3).
d) Nello stesso contesto (c. XXXVI I , 11) Grego­
rio, riferendosi alla necessità dell’elemento umido nel­
l’alimentazione del corpo, sembra aver tenuto presen­
te Aristotele, De gen. anim., 3, 2, dove si afferma che il
nutrimento del corpo deve contenere l’elemento umido
come avviene nelle piante.
e) Un concetto molto frequente negli scritti del
Nisseno in genere e nella Catechesi in particolare è
quello espresso col termine akolouthia e affini ( akòlou-
thon e il verbo akolouthèòj, usati anche con valore
logico per indicare il necessario collegamento dei ra­
gionamenti fra di loro e delle conseguenze con i loro
principi23. È chiara qui una certa dipendenza aristo­
telica con probabile sovrapposizione deU’influsso stoico
(v. più avanti) 24.
21 Per l’uso stoico vedi I. von Amim, Stoicorum Veterum
Fragmenta, II, Stuttgart 1979, pp. 113-125.
22 Si veda anche l'uso dello stesso termine col significato di
soggetto-materia in Grande Catechesi, Prologo e cc. I e V.
23 Nella Grande Catechesi vedi I, 5; V, 3, 8; VI, 1, 8; IX, 1;
XXI, 1; XXIII, 1; XXIV, 1; XXXII, 5; XXXVII, 5.
24 Vedi J. Daniélou, Akolouthia chez Grégoire de Nysse,
in « Revue des Sciences Religieuses », 27 (1953), pp. 243-245.
L’intero articolo è riprodotto con qualche aggiunta in L’ètre
e t le tem ps chez Grégoire de N ysse (dello stesso Daniélou),
Leiden 1970, pp. 18-50.
Introduzione 25

Ai riferimenti più o meno diretti qui accennati si


aggiungono comprensibili calchi e affinità di singole
espressioni.

3) Fonti stoiche
L'influsso stoico in Gregorio Nisseno è stato stu­
diato, come è noto, da K. Gronau che esamina in par­
ticolare /'Hexaemeron, il De hominis opificio e il De
anima et resurrectione Per quanto concerne la Gran­
de Catechesi l’influsso è ravvisabile in contatti e affi­
nità che in altre opere appaiono più dirette e specifiche.
a) Nel prologo, 3, ragionando sul metodo da adot­
tare nella discussione, Gregorio afferma che bisogna
tener conto dei « pregiudizi » degli interlocutori. Il ter­
mine usato (prolépseis) è tipicamente stoico, indican­
do qui una concezione legata all’esperienza ma priva
di elaborazione razionale (Srawley, p. 3).
b) Al c. I li, 1 (sull’unità nella Trinità) to hypo-
kèimenon è inteso nel significato di essenza (altrove
equivale a materia) con accezione quindi stoica76.
c) In alcuni passi della Grande Catechesi il concet­
to di esenzione dalle passioni ( apàtheia) è applicato al­
l’uomo in quanto partecipe della vita di Dio, la cui
essenza è di rimanere sempre nella apàtheia o impassi­
bilità (V, 9; XV, 4; XXXV, 14). Si tratta di un’eredità
dello spirito greco, espressa singolarmente nella for­
mulazione stoica21.
d) In vari momenti Gregorio discorre sulla debo­
lezza e sulle infermità proprie della natura umana: tal­

25 K. Gronau, Poseidonios und die jildisch-christliche Ge-


nesisexegese, Leipzig-Berlin 1914, pp. 112-281. Pochi riferimenti
alla Grande Catechesi a pp. 241 s., η. 1; 171, η. 1; 186, 188.
Ma la dipendenza non è sempre riferibile al solo Posidonio.
26 Vedi von Amim, op. cit., II, pp. 214, 230; cf. Srawley,
p. 16, nota.
27 M. Pohlenz, La Stoa, I, Firenze 1967, p. 339.
26 Introduzione

volta si tratta di vere e proprie malattie fisiche (VII,


3; XXIII, 2) o in generale (XVI, 2-3). In analogia con
le malattie del corpo convenientemente curate, al c.
V ili, 10 il Nisseno parla delle « malattie dell’anima »
( ta tés psychés arrostèm ata) che saranno soggette ad
un trattamento di purificazione dopo la morte. In que­
sto senso non è improbabile il riferimento all’analoga
concezione stoicaM.
e) L’onnipresenza di Dio che abbraccia e penetra
l’universo (XXV, 1) è idea biblica e contenuta in ger­
me, oltre che nel Timeo di Platone, nella concezione
stoica della divinità come anima m undi29.
f) Sulla base detta « simpatia » esistente fra le
membra del corpo (V ili, 12) Gregorio considera la
corrispettiva connessione in tutte le parti dell’uni­
verso per spiegare il valore cosmico della risurrezio­
ne, che attraverso l’uomo si comunica all’intera natura
( XXXI I , 4). Oltre all’elemento platonico qui sopra ri­
levato, il tema della « simpatia » nell’uomo e nell’uni­
verso rimanda all’analoga concezione teorizzata spe­
cificamente da Posidonio30.
g) L ’uso di akolouthia e affini (v. sopra) da parte
di Gregorio per indicare lo spiegamento del disegno
di Dio nella natura e nella storia, « è una trasposizione
de/fakolouthia stoica » 31. Per la Catechesi si veda V ili,
19; XXIV, 5; XXVII , 1, 5; XXXI I , 10. È una nozione
chiave nella teologia del Nisseno, « preoccupata soprat­
tutto di m ettere in risalto i legami in tu tti i domini del-
28 Vedi von Arnim, op. cit., I li, pp. 103 s., 121; cf. Pohlenz,
op. cit., I, p. 298.
29 Vedi Srawley, p. 95. Un altro punto di contatto con lo
stoicismo è stato visto dal Pohlenz (op. cit., II, pp. 329 s., nota)
nel prologo (4) della Grande Catechesi, dove Gregorio accenna
alla prova dell’esistenza di Dio desunta dal finalismo del mondo.
30 Vedi Pohlenz, op. cit., I, pp. 441-444; II, pp. 173 s.,
242-244.
31 J. Daniélou, Akolouthia, cit., p. 247; cf. L’ètre et le temps,
cit., p. 50.
Introduzione 27

la realtà e che rappresenta da questo punto di vista


uno dei tentativi più importanti che siano mai stati
fatti di una sistemazione teologica », perché, pur ri­
sentendo dell’analoga concezione origeniana, il Nis-
seno « resta più vicino ai fatti » n.

4) Fonti neoplatoniche
Anche per quanto riguarda l'influsso neoplatonico
nella Grande Catechesi i contatti si avvertono in deter­
minate idee e soprattutto nel loro sviluppo e nella loro
applicazione al pensiero cristiano, come la concezione
più spirituale di Dio e l’indivisibilità dell’Essere divino,
in un clima culturale in cui molte concezioni religiose
correnti erano state fortemente influenzate dal neopla­
tonismo (cf. Srawley, p. XI).
La stessa concezione del male definito dal Nisseno
nella prospettiva platonica come « assenza di bene »
risale anche a Plotino, Enn., I li, 2, 5, ed era penetrata
nell’area cristiana per l’influsso di Origene (De princ.,
II, 9, 2).
Al rapporto pensiero-materia nell’uomo, Gregorio
dedica un rapido esame in Catechesi, VI, 3 (cf. X, 1;
più specificamente De hom. opif., 12), insistendo su
quella che egli chiama « commistione » o « combinazio­
ne » del sensibile con l’intelligibile: nozioni che trova­
no sintomatico riscontro in Plotino, Enn., IV, 3, 20 s.
La presenza della metafisica neoplatonica nella teo­
logia del Nisseno è stata puntualizzata anche recente­
mente da H. Dorrie, Gregors Theologie auf dem Hin-
tergrunde d er neuplatonischen Metaphysik, in « Zweite
internationales Colloquium uber Gregor von Nyssa »,
Gregor von Nyssa und die Philosophie, a cura di H.
Dorrie, M. Altenburger, Uta Schramm, Leiden 1976,
pp. 21-42.

32 Daniélou, L’ètre et le tem ps, cit., pp. 49 s.


28 Introduzione

5) Fonti patristiche
Gli influssi di autori cristiani che in vario modo
si riscontrano nella Grande Catechesi sono dovuti in
particolare a Origene, a Metodio di Olimpo e ad Ata­
nasio. Molti sono comuni ovviamente ad altre opere
del N isseno33.
a) Origene
La cospicua dipendenza da Origene può essere fis­
sata in tre punti, come spiega Srawley:
1. L ’intento esplicito e costante del Nisseno, sulla
scia del maestro alessandrino seguito anche dagli altri
due Cappadoci, dì esporre e di spiegare le verità rive­
late con l’utilizzazione accorta della filosofia greca vi­
sta come propedeutica ad una « filosofia più alta ».
2. Il metodo allegorico nell’esegesi scritturistica
del Nisseno deriva da Origene (v. qui sopra), ed era
già diffuso e comune nel IV secolo.
3. La concezione della divina Provvidenza e della
storia. Causa della creazione è la bontà di Dio (Grande
Catechesi, V; Origene, De prine., II, 9, 6), che dirige la
storia del mondo dall’inizio alla fine, verso un'unità
finale in cui Dio « sarà tutto in tutti » (1 Cor. 15, 28).
La libera volontà dell'uomo, l’origine e la natura
negativa del male in quanto assenza di bene e di virtù,
sono temi comuni a Gregorio e a Origene (Grande Ca­
techesi, V; De princ., I li ) , rispettivamente impegnati
contro il predestinazionismo gnostico e il fatalismo
manicheo.
Il male, dunque, estraneo a Dio che si identifica
col bene e quindi con l’essere, non esiste che nella li­
bera volontà dell’uomo, alla quale si presenta sotto
forma di bene. Applicando la nozione della volontà

33 Per il De anima et resurrectione vedi in particolare


le annotazioni di S. Lilla in Gregorio di Nissa, L’anima e la
risurrezione, Città Nuova, Roma 1981, pp. 28-33.
Introduzione 29

libera e del carattere negativo e non eterno del male


al problema più vasto della Provvidenza, Gregorio in­
dividua l’approdo finale del piano salvifico di Dio, che
sarà « tutto in tutti » quando la natura umana verrà
ristabilita nel suo stato originario di bene ( apokatà­
stasis J, e « da tutta quanta la creazione si leverà un
canto unanime di ringraziamento » (XXVI, 8; cf. XXXV,
3). È l’insegnamento paolino rielaborato tenendo l’oc­
chio « al tema platonico del ritorno dell’anima caduta
alla sua condizione originale », e superando lo stesso
concetto origenista dell apokatàstasis concepita come
« ritorno di tutti gli spiriti alla condizione originale di
spiriti puri » Perché l’attaccamento al maestro ales­
sandrino non impedisce un’originale indipendenza in
Gregorio, che si distacca in questo e in vari altri punti
dalle analoghe posizioni origeniane:
1. Al c. I della Catechesi Gregorio espone somma­
riamente la dottrina del Verbo, trattata altrove (v. C.
Eunomium e C. Apollinarem,) piti ampiamente. Il Ver­
bo è della stessa natura di Dio e ne possiede tutti gli
attributi: è eterno, sostanziale, dotato di potenza e di
libertà e creatore del mondo. La dottrina, evidente­
mente avvantaggiata dal lavoro teologico e conciliare
di mezzo secolo (325-383), è ben lontana dalle posizioni
origeniane, in cui il Verbo in definitiva veniva a tro­
varsi sullo stesso piano degli angeli e dell’anima
umana
2. Alla platonica e origeniana ripartizione dell’esi­
stenza in natura intelligibile e mondo sensibile, Gre­
gorio aggiunge la divisione profonda d ’ispirazione bi­

34 J. Daniélou, L’ètre et le temps, cit., pp. 223-225. L'intero


capitolo (pp. 205-226) è dedicato all'esame del complesso con­
cetto di apokatàstasis in Gregorio Nisseno. Cf. dello stesso
Daniélou, L'apocatastase chez Saint Grégoire de Nysse, in
« Recherches de Science Religieuse », 30 (1940), pp. 328-347.
35 Srawley, p. XXIX; cf. Prine., IV; C. Ceis., V, 37.
30 Introduzione

blica fra increato e creato (XXVIII), che pone in più


forte risalto la trascendenza divina e la potenza del­
l’amore di Dio che scende nell’uomo mediante l'in­
carnazione.
3. È nota la concezione origeniana della preesi­
stenza delle anime, procreate dal Verbo nell’eternità,
come tutto ciò che partecipa alla natura spirituale: il
corpo è stato dato all'uomo dopo la caduta e come pu­
nizione della colpa. L'opposizione di Gregorio a queste
tesi è netta: l'anima è creata nel tempo al momento
della sua unione col corpo, e le vesti di pelle ricevute
dall’uomo dopo la colpa non significano il corpo ma
la condizione mortale (Grande Catechesi, V I e V ili;
cf. De anima et resurrectione, 6).
4. Sulla tricotomia paolina (anima-spirito-corpo:
1 Tess. 5, 23) adottata da Origene, Gregorio mostra
qualche diffidenza, ritenendola un possibile e rischioso
punto di avvio per l’eresia apollinarista; e insistendo
sulla distinzione fra sensibile e intelligibile (V I e V ili)
spiega come grazie alla compenetrazione delle due na­
ture nell'uomo, anche la natura sensibile può parteci­
pare agli attributi divini36.
5. Quanto alla risurrezione Origene si era espres­
so non chiaramente e con qualche incoerenza: il corpo
risuscitato sarà del tutto differente da quello di cui
l'anima si è rivestita nella vita terrestre (De prine., II,
10, 3), forse soltanto una « apparenza ». Secondo Gre­
gorio invece l'anima riprenderà nella risurrezione il
corpo già decomposto ma ora purificato dalle sue in­
fermità (Grande Catechesi, V ili; cf. De anima et re­
surrectione, 9).
6. Nel piano provvidenziale della creazione e della
salvezza l'uomo occupa, secondo Gregorio, il posto
centrale: egli è causa e fine della creazione e costituisce

“ Srawley, p. XXXIII.
Introduzione 31

il punto d'incontro del mondo sensibile e del mondo


intelligibile (V e VI). Nel contesto origeniano invece
l’uomo appare piuttosto « un fattore nel mondo degli
spiriti » (Srawley).
b) Metodio di Olimpo
L ’indipendenza del Nisseno da Origene ha dalla
sua parte anche la libera utilizzazione di mezzi espres­
sivi e di concetti desunti da avversari decisi dello stes­
so Origene, come Metodio di Olimpo.
1. Istituzione temporanea della morte spiegata
col ricorso alla similitudine del vaso riempito di piom­
bo fuso da mano nemica, distrutto e ricostruito di
nuovo dal vasaio ("Grande Catechesi, V ili, 6; Metodio,
De resurr. mort., I, 42).
2. L’azione redentrice di Cristo: l’assunzione del­
l’umanità da parte del Verbo ricongiunge strettamente
e inseparabilmente l’anima e il corpo, e suscita di nuovo
la grazia originaria di cui la natura umana era stata in
possesso ('Grande Catechesi, X V I; cf. Metodio, Sym­
posium, 111, 6).
3. Nel contesto della creazione già pervasa dalla
morte e riscattata dall’azione di Cristo, la natura uma­
na sarà ricostituita e rinnovata dalla risurrezione di
Cristo col dono dell’incorruttibilità (Grande Cateche­
si, X X X I I e X X X V ; cf. Metodio, De resurr. mort., Ili,
16).
c) Atanasio
Molti tratti inerenti alla dottrina dell’incarnazione
formulata da Gregorio presentano forti analogie cól
pensiero di Atanasio; m a si tratta m olto spesso di
concezioni che risalgono a Metodio.
Sui p u nti di contatto della Grande Catechesi con
scritti di Atanasio rimandiamo alle indicazioni di
Srawley (pp. X X V I I I s.), e riportiamo qui alcune affi­
nità che ci sembrano più rilevanti.
32 Introduzione

1. Sulla questione perché Dio non abbia redento


l’uomo con un semplice atto della volontà: Grande Ca­
techesi, X V e XVII; Atanasio, De incarn., 44; Or. c. Ar.,
II, 68.
2. Immanenza di Dio nella creazione come pre­
messa nel giustificare l’idea d'incarnazione: Grande
Catechesi, XXV; Atanasio, De incam., 41, 42.
3. Necessità della morte di Cristo asserita da ambe­
due, ma più decisamente da Gregorio, nel valutare l’as­
sunzione completa della natura umana da parte di
Cristo: Grande Catechesi, XXXI I ; cf. Atanasio, De
incarn., 23-25.
4. In certi punti comuni ai due pensatori Gregorio
inserisce talvolta una sua aggiunta, come quando, in
risposta al quesito circa il differimento nel tempo
dell’incarnazione, ricorre all’analogia del medico che
attende la maturazione del male per intervenire effica­
cemente: Grande Catechesi, X X I X; cf. Atanasio, Or.
c. Ar., I, 29; II, 68.

Ultimamente è stata richiamata una maggiore at­


tenzione sui contatti di Gregorio con Ireneo37.
Deriva ad esempio da Ireneo, Esposizione della
predicazione apostolica, 32-34, e Contro le eresie, 5, 17,
4, la simbologia cosmica della croce di Grande Cate­
chesi, XXXI I , 4-9, dove il Nisseno si appella esplicita­
mente all’insegnamento della tradizione, che per il
concetto fondamentale del simbolo risale a Giustino,
I Apoi., 55-60.

37 Vedi D.L. Balàs, An Introductory Examination and Inter-


pretation of « De infantibus » 16, 4 - 21, 5, in Colloquii Grego­
riani III Leidensis 18-23. IX. 1714 Acta, ed. J.C.M. van Winden
A. van Heck, Leidae 1976 (prò manuscripto), pp. 48, 52.
Introduzione 33

6. Originalità e attualità della « Grande Catechesi »

Si è già accennato ai tratti originali che distaccano


Gregorio nella sua dipendenza da Origene. Possiamo
ora segnalare, con riferimento alle annotazioni di
Srawley (pp. X X X I ss.) e del Méridier (pp. L-LV),
alcuni aspetti che costituiscono la caratteristica pro­
pria della Grande Catechesi: si tratta di peculiarità
concernenti il mistero dell’incarnazione e i Sacramenti.
a) Alla domanda, che già si poneva ad Atanasio,
perché Dio non abbia salvato l’uomo con un puro atto
di volontà, Gregorio dà una risposta nuova formulata
con « eleganza dialettica » sulla base degli attributi
divini: la bontà che muove Dio a « visitare » l’uomo
caduto, la sapienza per la quale Dio assume la natura
umana, e la giustizia che determina il modo più appro­
priato nell’attuazione del piano di salvezza. Su questo
punto, in cui s’intrecciano acutezza espositiva e ardi­
mento teologico, Gregorio ricorre al tema del riscatto
da pagare al demonio dopoché l’uomo si è a lui sotto­
messo liberamente. Quando satana decide di mettere
le mani su Cristo, che egli immagina uomo superiore
e incomparabile, l’inganno ricade su lui stesso facen­
dogli sfuggire dalle mani l’umanità che era la sua vera
preda. La teoria del riscatto era già nella tradizione,
ma il modo con cui Gregorio la collega con gli attributi
divini è frutto particolare della sua inventiva teologica.
b) La maggiore originalità si riscontra nella parte
dedicata ai Sacram entiM.

38 Per una buona relazione sulla catechesi sacramentale


del Nisseno si veda Gregorio Celada, La catequesis sacramentai
y bautismal de Gregorio de Nisa, in « Sciencia Tomista », 101
(1974), pp. 565-665; in particolare le pp. 580-591 (il discorso
sacramentale inserito in un contesto antropologico), 598-615
(il mistero di Cristo nel culto della Chiesa), 621-624 (il Batte­
simo atto fondamentale della vita cristiana).
34 Introduzione

È intuizione singolare del Nisseno l’aver posto in


luce il legame profondo fra il mistero dell’incarnazio­
ne e i Sacramenti, in particolare il Battesimo e l’Euca­
ristia: essi rendono perennemente attiva nell'uomo
l’opera dell'incarnazione.
Quanto al Battesimo Gregorio ne precisa e ne
definisce il valore, presentandolo come decisiva rottura
col male e insieme « principio indispensabile » del rin­
novamento spirituale e della risurrezione.
La dottrina dell’Eucaristia soprattutto presenta
elementi di novità e di notevole importanza: il loro in­
flusso nella storia della teologia orientale, direttamente
e per la mediazione di Giovanni Damasceno, fu vasto
e determinante.
La tesi di fondo secondo la quale l’Eucaristia è
rivolta al corpo (il Battesimo più direttamente all’ani­
ma) può disorientare se valutata fuori contesto. Di
fronte alle conseguenze che potevano derivare da posi­
zioni radicalmente spiritualistiche e dalle stesse pro­
spettive origeniane, Gregorio s’impegna a coinvolgere
l’intera natura umana nelV'azione divinizzatrice del
Verbo, e nello stesso tempo afferma il valore profon­
damente spirituale di ogni sacramento la cui efficacia
è proporzionata alla « disposizione interiore » suscitata
dalla fede ( XXXI X, 4). Caratteristica del tutto nisse-
niana è la teoria « fisiologica » con cui Gregorio illustra
la natura del cambiamento del pane e del vino nel corpo
e nel sangue del Signore, e spiega come mai il corpo di
Cristo può essere distribuito a migliaia di fedeli senza
dividersi (XXXVII) .
Il processo assimilativo fa si che il nutrimento si
trasformi nella « forma » del corpo: il pane e il vino
sono corpo in potenza, finché il cambiamento di forma
conferisce loro in atto le nuove qualità. Nella vita di
Cristo ha operato naturalmente la stessa legge, e per
essa il Signore, volendo penetrare come la forza nutrì-
Introduzione 35

tiva nella vita dell’uomo, ha disposto che il pane e il


vino si trasformino nella « forma » del suo corpo e
questo diventi cosi nutrimento dei fedeli.
È evidente l’importanza attribuita da Gregorio alla
parola « form a » (èidos) che nel medesimo contesto
trova corrispondenza nel termine « natura » ( physis;
c. XX XVI I , 7, 9). La conclusione del Nisseno è chiara:
« con ragione noi crediamo che il pane santificato dal
Verbo di Dio si trasforma nel corpo del Verbo divino »
( XXXVI I , 9).
Gregorio, come osserva Srawley, resta al di fuori
delle discussioni che sorgeranno in Occidente relative
a questo problema e modellate poi sulla distinzione
scolastica di « sostanza » e « accidenti ».
Accenniamo rapidamente ad alcuni dati che illu­
strano la fortuna del trattato di Gregorio Nisseno.
Nei migliori manoscritti, in Fozio (Bibi., Cod. 233),
in Massimo il Confessore (Scoli al De Eccles. Hier.,
III, 11 dello Pseudo-Dionigi), nella Panoplia dogma­
tica di Eutim io Zigabeno e nella Disputatio Theriani
cum Nersete del X I I secolo, lo scritto del Nisseno è
denominato Discorso catechetico o Catechesi. La Gran­
de Catechesi è il titolo che si legge in manoscritti mi­
nori più tardi e nelle edizioni parigine.
Nella teologia bizantina la Catechesi del Nisseno
ha avuto un posto di primaria importanza, utilizzata
all’inizio nei dialoghi attribuiti a Teodoreto di Ciro
( f 456), presente in Massimo il Confessore, come si
è accennato, e nei lib r i tres adversus Nestorianos et
Eutychianos di Leonzio di Bisanzio ( t 542). Nella
prima metà del sec. V i l i la Grande Catechesi è ampia­
m ente utilizzata da Giovanni Damasceno nel De fide
orthodoxa, che influì notevolmente sulla teologia medie­
vale; e se ne trovano ampi estratti nella già menzionata
Panoplia dogmatica del X I I secolo.
36 Introduzione

Indubbiamente la Grande Catechesi del Nisseno


presenta un interesse rilevante anche per il nostro
tempo. I punti caratteristici e salienti del trattato si
proiettano nelle principali prospettive e nelle istanze
della catechesi moderna
a) Il discorso teologico sistematico ed essenziale,
che dà risalto alla storia della salvezza e al dato biblico.
b) La centralità antropologica e cosmica del Cri­
sto e della sua redenzione.
c) L ’antropologia orientata e specificata dall’inte­
riorità dell’immagine-somiglianza divina nell’uomo.
d) Presentazione dialogica e insieme sistematica
delle fondamentali verità di fede, esaminate nel vivo
contesto della problematica religiosa contemporanea.
Nella Grande Catechesi si esprime e si traduce
in atto una esigenza che ancor oggi sollecita e urge la
coscienza delle comunità e della Chiesa, l’esigenza cioè
di formare adeguatamente i catechisti e i maestri della
dottrina cristiana, con attenzione ai contenuti e alle
forme espressive delle culture moderne. Si tratta co­
munque di una sapiente mediazione culturale, in cui
Gregorio Nisseno, sensibile ad istanze che oggi riemer­
gono, ha conservato « al metodo e al linguaggio » il
ruolo di strumenti, superando cosi i lim iti e le riduzioni

39 Cf. Catechesi tradendae, « Esortazione apostolica di Gio­


vanni Paolo II circa la catechesi nel nostro tem po», nn. 17,
21, 25, 31, 53, 59.

Nota: Il testo della Grande Catechesi del Nisseno che


abbiamo seguito è quello dell'edizione di J.H. Srawley, Cam­
bridge 1903 (ristampata nel 1956). La divisione in capitoli
e paragrafi è ripresa dall’edizione di L. Méridier, Parigi 1908,
che riproduce sostanzialmente quella di Srawley.
Per una nuova edizione, che comparirà nella nota collana
delle opere di Gregorio Nisseno intrapresa da W. Jaeger, sta
lavorando, per quanto sappiamo, H. Polak. Oltre a qualche
Introduzione 37

di una forte attitudine speculativa ed evitando, per


quanto possiamo giudicare, una soverchiante raziona­
lizzazione e quasi vanificazione del messaggio evan­
gelico.

mio lim itato intervento, ho tenuto conto delle correzioni pro­


poste da J. Draeseke al testo di Srawley. Quanto alla tradu­
zione m i sono proposto di rendere con la maggiore chiarezza
possibile un contenuto cosi impegnato, senza troppo allonta­
narmi dalla complessa struttura del testo, alla cui lettura
saranno di qualche aiuto sia le pagine introduttive sia le
brevi ed essenziali note di commento.
Della Grande Catechesi si conoscono traduzioni in inglese,
in tedesco, in romeno, in francese e in olandese. La nostra
è la prima, per quanto ci risulta, in lingua italiana.
Gregorio di Nissa

LA GRANDE CATECHESI
PROLOGO *

1. Per coloro che sono preposti al mistero d


fed e1 la catechesi è indispensabile, perché la Chiesa
cresca con l’aumento dei redenti2, proponendo all'ascol­
to dei non credenti la parola dell’insegnamento degna
di fe d e 3.

Metodo dell’insegnamento

D’altra parte, a tutti quelli che si accostano alla


parola non si adatta il medesimo metodo d’insegna­
mento, m a conviene sintonizzare la catechesi con i
diversi tipi di religiosità, mirando a quello che è l’unico
scopo dell’insegnamento, e usando nel contempo per
ognuno argomenti diversi. 2. Difatti le idee di chi ade­
risce al giudaism o4 sono diverse da quelle di chi si è

* Per le brevi ed essenziali annotazioni al testo ho tenuto


conto dell’ampio commentario di J. Barbel, Gregor von Nyssa,
Die grosse katechetische Rede. Oratio Catechetica Magna,
Stuttgart 1971, pp. 95-213.

1 Cf. 1 Tim. 3, 16.


2 Cf. Atti, 2, 47.
3 Cf. Tit. 1, 9.
4 Tendenze giudaizzanti, legate sia ad aspetti rituali sia
ad esigenze dottrinali del giudaismo, si erano infiltrate nell’area
cristiana, come è noto, già al tempo di S. Paolo.
Nel II secolo è caratteristico il Dialogo con Trifone di
42 Gregorio di Nissa

formato nel paganesimo; e lo stesso si dica dell’ano-


m eo 5, del m anicheo6, dei seguaci di M arcione7, di
Valentino e di Basilide8, e di tutta la rimanente serie
di coloro che brancolano nell'eresia: per il fatto che
ognuno ha le sue particolari concezioni si rende neces­
saria la lotta contro le loro specifiche credenze; perché
il tipo della cura va adattato alla natura della malattia.
3. Non si potrà curare con gli stessi trattam en
politeismo del pagano e l'incredulità del giudeo che

Giustino. Suirinsieme della questione cf. M. Simon, Verus


Israel, Parigi 1948; e Recherches d ’histoire Judéo-chrétienne,
Parigi 1962.
5 La dottrina dell'anomeismo è attribuita ad Aezio, antini-
ceno radicale (350 circa), che identificò l’essenza divina con
la nozione di ingenerato, tipica del Padre: il Figlio perciò risul­
tava diverso, dissimile (anòmoios) dal Padre. Su questo tema
Gregorio discusse e polemizzò con Eunomio, vescovo di Cizico
e seguace di Aezio.
6 II manicheismo, fondato da Mani, oriundo della Babilo­
nia del Nord, intorno alla metà del III secolo, ebbe larga diffu­
sione fino al Medioevo. Basato su un dualismo (due principi o
essenze divine presiedono rispettivamente al bene e al male)
gnostico sincretistico d’ispirazione cristiano-siriaca, giunse nelle
sue estreme conseguenze alla condanna del mondo materiale
e alla proibizione del matrimonio e di determinati alimenti.
Cf. H. Ch. Puech, Le Manichéisme, son fondateur, sa doctrine,
Parigi 1949.
7 Marcione, un armatore del Ponto nel II secolo, condi­
vise il dualismo gnostico e con atteggiamento antigiudaico
contrappose al Dio creatore e vendicativo dell’A.T. il Dio
sconosciuto dell'amore neotestamentario.
8 Valentino, gnostico originario di Alessandria e vissuto
a Roma (135-160), formulò un complicato sistema di « sizigie »
o coppie di eoni emananti da Dio, e insegnò un dualismo miti­
gato daH’influsso del medio platonismo. Il cosiddetto Vangelo
della verità scoperto ultimamente fu scritto forse da lui o
comunque sotto il suo influsso.
Basilide, anch'egli alessandrino, attinse allo gnosticismo
siriano e intese porsi come intermediario fra giudei e cristiani,
ma con tendenza ad una totale liberazione dalla Legge. Scrisse
un Vangelo con commento, Salmi e Odi.
Prologo 43

rifiuta il Dio Figlio unigenito9, né con le stesse armi


si potrà demolire, in coloro che sono implicati negli
errori delle eresie, le aberranti invenzioni circa le
verità della fede. Gli argomenti con cui si potrà ricon­
durre sulla retta via il sabelliano10, non gioveranno
all’anomeo, né gioverà al giudeo il modo di contendere
adottato nei confronti del manicheo, ma è necessario
tener conto, come si è detto, dei pregiudizi delle per­
sone e congegnare i nostri argomenti adattati all'errore
proprio di ciascuno, premettendo in ogni discussione
certi principi ed enunziati verisimili, di modo che sulla
base di quei punti su cui ambedue le parti concordano
sia possibile la scoperta della verità con logica argo­
mentazione.
4. Perciò, qualora si discuta con imo di ambie
pagano, sarebbe bene dare questo avvio al discorso:
chiedergli cioè se ammette l’esistenza di Dio oppure
aderisce alla tesi degli atei. Se pertanto nega l’esisten­
za di Dio, lo si potrà indurre, partendo dall'economia
ordinata e sapiente del cosmo, a riconoscervi presente
una potenza che si manifesta nell'economia stessa e
che tutto trascende; se invece non mette in dubbio
l'esistenza di Dio, ma si lascia indurre a credere all'esi­
stenza di una moltitudine di dèi, dovremo usare nei
suoi confronti un'argomentazione di questo tipo, 5.
chiedendogli cioè se a suo parere la divinità sia per­
fetta o imperfetta. Se, come è probabile, ammette la
perfezione della natura divina, dovremo fargli ricono­
scere questa perfezione in tutti gli aspetti propri della
divinità, sicché non abbia a vedere nel divino alcuna
mescolanza di contrari, il perfetto mescolato all'im­
perfetto. Ma, si tratti della potenza o dell'idea del bene
» Cf. Gv. 1, 18.
10 Sabellio, originario probabilmente della Libia all’inizio
del III secolo, sostenne che le tre Persone della Trinità sono
semplicemente i modi (modalismo) nei quali Dio si mani­
festa (v. Introduzione, pp. 8s.).
44 Gregorio di Nissa

o della saggezza, dell’incorruttibilità, dell'eternità o


di qualsiasi altro concetto proprio della divinità, costui
per la logica di questo ragionamento converrà nel rico­
noscere la perfezione in ogni aspetto della natura divina.
6. Una volta d’accordo su questo punto, non sarà
più tanto difficile indurre la mente finora dispersa in
una folla di dèi a riconoscere l’esistenza di una sola
divinità. Se l'interlocutore accetta di riconoscere la
perfezione assoluta nella divinità di cui parliamo, ma
dicesse che vi sono molti esseri perfetti caratterizzati
dalle stesse peculiarità, è assolutamente necessario che
in queste nature non distinte da alcuna differenza e
nelle quali anzi si ravvisano gli stessi attributi, si
m ostri ciò che è loro proprio oppure, se nulla di pecu­
liare può essere percepito in quelle entità indifferen­
ziate, non si supponga la distinzione.
7. Perché, se non si arriva a trovarvi la differenza
fra il più e il meno, dato che l'idea di perfezione non
consente alcuna diminuzione, né la differenza tra l'infe­
riore e il superiore — poiché il concetto di divinità non
sarebbe più possibile là dove sussiste la qualifica d'in­
feriorità —, né la differenza fra antico e nuovo — per­
ché l'essere temporale è estraneo al concetto relativo
alla divinità —, se, invece, l’idea di divinità resta unica
e identica a se stessa e la ragione non vi riscontra affat­
to alcuna peculiarità, allora è assolutamente necessario
che chi ha immaginato erroneam ente una folla di dèi
sia costretto a riconoscere una sola divinità.
8. Difatti, se la bontà e la giustizia, la saggezza e
la potenza sono attribuite alla divinità in maniera iden­
tica, e se l’immortalità, l’eternità e ogni altro concetto
proprio della sfera religiosa sono riconosciuti alla divi­
nità nello stesso modo, scomparendo del tutto ogni
distinzione, svanirà necessariamente la credenza nella
pluralità degli dèi, per il fatto che l’identità assoluta
induce a riconoscere l’unità.
DIO UNO E TRINO

1. 1. Ma poiché la dottrina della nostra vera fede


sa anche riconoscere una certa distinzione delle Per­
sone nell unità della natura \ perché il nostro ragiona­
mento in contesa con i pagani non si lasci trascinare
al giudaismo, converrà perciò correggere, mediante
un’appropriata distinzione, l'errore che si riscontra
su questo punto.

Dio come parola

2. Infatti, anche le persone estranee alla nostra


fede non riescono a concepire la divinità senza Verbo;
e questa loro concordanza servirà a chiarire la nostra
dottrina. Chi è d'accordo che Dio non è pensabile
senza Verbo dovrà chiaramente ammettere che Dio
possiede il Verbo dal momento che non può esserne
privo. Ma con lo stesso termine si designa anche la
parola umana. Se pertanto (il nostro interlocutore)
dirà d'intendere il Verbo di Dio secondo l'analogia della
nostra parola, in tal modo potrà essere guidato verso
la concezione più alta.
3. È assolutamente necessario ammettere che la

1 « Persona » è indicata qui da Gregorio con hypòstasis (al­


trove con pròsoporì) e «natura» con physis equivalente a
essenza (ousia).
46 Gregorio di Nissa

parola, come ogni altra facoltà, è in sintonia con la


natura. Ora, nell'uomo si scorge una certa potenza,
una vita e una sapienza; non si potrebbe concepire
però anche in Dio la vita o la potenza o la sapienza
alla stessa maniera, ma i significati di tali parole si
commisurano alla nostra natura. Siccome la nostra
natura è corruttibile e debole, di conseguenza la nostra
vita è effimera, la nostra potenza inconsistente e insta­
bile la nostra parola. 4. Nella natura trascendente
invece ogni suo attributo si adatta alla grandezza del
soggetto. Se dunque si parla del Verbo di Dio, non si
potrà pensare che abbia la consistenza nel movimento
della parola per ricadere nell'inconsistenza a somi­
glianza della nostra parola; m a come la nostra natura
che è destinata a perire ha la parola anch'essa corrut­
tibile, cosi la natura incorruttibile ed eterna ha il
Verbo eterno e sostanziale.

Il Verbo è la vita

5. Se in conseguenza di questo ragionamento


arriverà a riconoscere l’eterna sussistenza del Verbo
divino, bisognerà necessariamente riconoscere che la
sostanza del Verbo è dotata di vita. Sarebbe, infatti,
cosa empia pensare ad una sostanza inanimata del
Verbo alla stregua delle pietre. Se, dunque, il Verbo
consiste in un’essenza pensante e incorporea, è asso­
lutamente vivente2; e se è privo della vita, allora non
ha assolutamente sostanza. Ma si è dim ostrata proprio
empia la concezione del Verbo di Dio privo di sostanza.
Ed è cosi dim ostrato logicamente nello stesso tempo
che questo Verbo può essere percepito come vivente.
6. Se poi si è convinti che la natura del Verbo, se­
condo verisimiglianza, è semplice né m ostra in sé alcuna

2 Cf. Ebr. 4, 12.


La Grande Catechesi, I, 6-8 47

doppiezza o composizione, non si potrà im m a g in a re il


Verbo vivente per partecipazione alla vita; perché una
tale concezione, secondo la quale l'uno sarebbe conte­
nuto nell'altro, comporterebbe composizione; ma, una
volta che se ne riconosca la semplicità, è assolutamente
necessario ritenere che il Verbo ha la vita in sé e non
per partecipazione.

Potenza del Verbo

7. Se pertanto il Verbo è vivente in quanto egli


è la vita, necessariamente ha anche la facoltà volitiva;
poiché nessuno degli esseri viventi è privo di volontà.
E questa volontà deve essere ritenuta di conseguenza,
come richiesto dalla pietà, anche potente. Se, infatti,
non gli si riconoscesse la potenza, gli si attribuirebbe
necessariamente l'impotenza.
8. Ma proprio l'impotenza è estranea al concetto
della divinità. Perché nessuna dissonanza rientra nella
concezione della natura divina, ed è assolutamente
necessario riconoscere che la potenza del Verbo è tale
quale è anche la sua volontà; per cui in quella unità
non si potrà ravvisare alcuna mescolanza e conver­
genza di opposti, m entre nella stessa volontà si riscon­
trerebbe impotenza e potenza, qualora essa si mostras­
se ora potente ora impotente; m a è necessario che la
volontà del Verbo, essendo onnipotente, non si volga
verso alcun male: poiché l'inclinazione al male è estra­
nea alla natura divina; ma tutto ciò che è buono essa
deve volerlo, e volendolo ne deve avere assolutamente
anche il potere, e questo potere non deve restare ineffi­
cace, m a deve condurre ogni proposito di bene alla
sua realizzazione.
48 Gregorio di Nissa

Il Verbo creatore

9. Ora, il mondo è ima cosa buona e tu tto è in


esso visibilmente ordinato con sapienza ed arte. Tutto,
dunque, è opera del Verbo vivente e sostanziale, perché
è il Verbo di Dio: è dotato di libera volontà perché è
vivente; ha il potere di fare tu tto ciò che sceglie di fare,
e immancabilmente sceglie ciò che è buono e saggio e
tutto ciò che porta il segno della perfezione.
10. Si riconosce, dunque, che il mondo è un'opera
buona, e si è dim ostrato qui sopra che esso è opera
del Verbo, del Verbo che sceglie il bene e può realiz­
zarlo; ma questo Verbo è distinto da colui del quale
egli è Verbo: in certo senso anche questo fa parte delle
nozioni « relative », perché col Verbo si deve senz'altro
intendere insieme anche il Padre del Verbo: non esi­
sterebbe infatti il Verbo, se non fosse Verbo di qual­
cuno. Se pertanto la mente di coloro che ascoltano
distingue mediante un termine di relazione il Verbo
stesso da colui dal quale egli procede, non ci sarà il
pericolo che questo nostro mistero, opponendosi alle
concezioni dei pagani, venga ad accordarsi con i se­
guaci delle dottrine giudaiche; eviterà invece l'assur­
dità e degli uni e degli altri, riconoscendo che il Verbo
di Dio è vivente, attivo e creatore, ciò che non è
ammesso dal giudeo, e che riguardo alla natura il
Verbo non differisce da colui dal quale procede.

Il Verbo crea l’uomo

11. Noi diciamo che la nostra parola procede dalla


mente, e non si identifica con la mente né se ne distacca
completamente, perché in quanto essa procede da quel­
la se ne distingue e non è la stessa cosa; in quanto poi
costituisce la manifestazione dell'intelligenza, non la
si potrebbe pensare come del tutto staccata da essa,
La Grande Catechesi, II, 1 49

m a p ur essendo una cosa sola con essa quanto alla


natura se ne distingue in quanto soggetto. Cosi anche
il Verbo di Dio: in quanto ha un'esistenza sua propria
è distinto da colui dal quale la riceve, m a in quanto
egli manifesta in se stesso i caratteri che si riconoscono
in Dio, è unito pienamente riguardo alla natura a colui
che si dà a conoscere per mezzo degli stessi caratteri.
O si tra tti della bontà, della potenza, della sapienza,
dell’etem ità, dell’essere esente dal male e dalla morte
e dalla corruzione, o della perfezione assoluta, o in
genere di ogni altro attributo distintivo dell’idea del
Padre, dalle stesse note distintive si riconoscerà il
Verbo che trae la sua sussistenza dal Padre.
Lo Spirito di Dio
II. 1. Come noi giungiamo a conoscere il Verb
innalzandoci dal nostro mondo verso la natura supre­
ma, allo stesso modo arriviamo alla concezione dello
Spirito, considerando nella nostra natura certe tracce
e analogie dell'ineffabile potenza. Ma in noi il soffio
è l'aspirazione dell'aria, elemento estraneo inspirato
ed espirato necessariamente per la costituzione del cor­
po, che nel momento in cui la parola si esprime diven­
ta voce in cui si manifesta la potenza della p aro la3.
3 Cf. la parafrasi di questo testo in Teodoreto di Ciro,
De Triti., 6; e in Giovanni Damasceno, De fide orthod., 1, 7.
Il Nisseno usa l’analogia per descrivere con esattezza la rela­
zione interna delle tre Persone divine, attribuendo al Padre
l ’essere come principio, al Figlio e allo Spirito l’essere ricevuto
dal Padre-principio, con la precisazione che il Figlio ha l’essere
direttamente dal Padre, mentre lo Spirito lo riceve dal Padre
attraverso il Figlio. La distinzione porta a riconoscere nel Padre
l’iniziativa, nel Figlio la potenza del Padre, e nello Spirito il
compimento. Lo spiritualismo latente nella religione giudaico-
cristiana trova un’espressione più chiara ed esplicita mediante
l’utilizzazione del platonismo. Cf. G. Verbeke, L’évolution de
la doctrine du Pneuma du Stoicism e à S. Angustiti, Lovanio
1945.
50 Gregorio di Nissa

2. La pietà ci ha fatto riconoscere nella nat


divina l'esistenza di uno Spirito di Dio, proprio come
si è riconosciuta anche l’esistenza del Verbo di Dio
per la ragione che il Verbo di Dio non deve essere
inferiore alla nostra parola; il che avverrebbe, se di
fronte alla nostra parola accompagnata, come si è
visto, da un alito, quello (il Verbo di Dio) venisse rite­
nuto privo di Spirito. Non sarebbe tuttavia degno del­
la divinità pensare che qualcosa di estraneo, a somi­
glianza del nostro alito, dal di fuori penetrasse in Dio
e in Lui divenisse Spirito. Ma riconoscendo il Verbo
di Dio non lo abbiamo pensato come qualcosa d'incon­
sistente o come risultato di pura conoscenza, o co­
me qualcosa che si esprime con la voce o una vol­
ta espresso si dissolve, neppure lo abbiamo pensato
soggetto a qualche incidenza del tipo di quelle che
si osservano nella nostra parola, ma lo abbiamo ri­
conosciuto come essenzialmente sussistente, in pos­
sesso di libera volontà, di attività, di onnipotenza.
3. Cosi anche quando abbiamo riconosciuto l’esistenza
dello Spirito di Dio che accompagna il Verbo, e ne
manifesta l’attività, non abbiamo pensato al soffio di
un respiro; perché si abbasserebbe veramente la gran­
dezza della divina potenza, qualora si pensasse lo Spi­
rito che è in Dio a somiglianza del nostro respiro; ab­
biamo invece pensato ad una potenza sussistente che vi­
ve in se stessa di esistenza propria, non separabile da
Dio in cui essa risiede, né dal Verbo di Dio col quale si
accompagna, né riassorbita nell’inesistenza, ma fornita
di esistenza sostanziale come il Verbo di Dio, di volontà,
di movimento proprio, di attività, una potenza che
sceglie sempre il bene e che per realizzare ogni suo
desiderio possiede un potere corrispondente alla sua
volontà.
La Grande Catechesi, III, 1-2 51

Unità e persone distinte

III. 1. Cosi, chi scruta attentam ente le profon


del m istero può raggiungere nel suo spirito, in modo
inesprimibile, una proporzionata comprensione della
dottrina relativa alla conoscenza di Dio, senza tuttavia
poter chiarire con le parole questa ineffabile profondità
del mistero: in che modo cioè lo stesso oggetto si possa
num erare e sfugga insieme alla numerazione, perché
si possa considerare come distinto nelle sue parti e
nel contempo lo si comprenda come unità, e come una
volta sottoposto a distinzione mediante il concetto di
persona non risulti diviso nella sostanza.

Che cos’è una persona?

2. Per il concetto di persona lo Spirito è re


distinta dal Verbo, ed è distinto anche Colui che pos­
siede il Verbo e lo Spirito; ma quando si sia compreso
ciò che li distingue, si vede anche come l’unità della
natura non am m etta divisione: sicché il potere della
sovranità unica non si scinde diviso in differenti divi­
nità, né la dottrina si confonde con la credenza giudai­
ca, ma la verità procede nel giusto mezzo fra le due
concezioni, eliminando l'errore di ambedue le scuole
e assumendo dall'ima e dall'altra quanto le giova4.
Il credo giudaico si raddrizza e con l'ammissione del
Verbo e con la fede nello Spirito; l’errore pagano del
politeismo si elimina mediante il dogma dell'unità di
natura che distrugge l'idea fantasiosa di una pluralità.

4 II concetto dell'* utile » (chrèsim on) come misura delle


scelte e delle valutazioni sul piano filosofico-letterario è di
stampo plutarcheo, ma già in Origene e in Basilio Magno si
era caratterizzato per le motivazioni biblico-teologiche: da
ogni cultura si assumano quegli elementi che giovano alla
comprensione e alla formulazione della verità rivelata.
52 Gregorio di Nissa

3. Della concezione giudaica pertanto si conse


l'unità della natura, e da quella pagana si tragga sol­
tanto la distinzione delle persone, correggendo nell'una
e nell’altra concezione l'empietà con rimedi propor­
zionati: il numero della Trinità è come un rimedio per
coloro che errano circa l’unità, m entre per chi si
disperde nell'errore della pluralità è medicina la dot­
trina dell'unità.

L a T r in ità n e lla S c r ittu r a

IV. 1. Se poi il giudeo prende la parola con


queste dottrine, non ci sarà difficile controbatterlo
sulla stessa base dei suoi principi. Gli insegnamenti ai
quali egli si è form ato faranno m ettere in luce la
verità. L'esistenza di un Verbo di Dio e di imo Spirito
di Dio, come potenze sostanziali in s é 5, creatrici di
tutti gli esseri, che abbracciano tu tta la realtà, risulta
con chiara evidenza nelle Scritture ispirate. Basta ri­
cordare una sola testimonianza lasciando ai più zelanti
il compito di ritrovare più ampie attestazioni.
2. « Dal Verbo del Signore — dice la Scrittura —
furono creati i cieli e dallo Spirito della sua bocca
tutto il loro apparato » 6. Quale verbo e quale spirito?
Verbo qui non significa semplicemente parola, né spi­
rito vuol dire soffio. Perché la divinità sarebbe abbas­
sata al livello umano, a somiglianza della nostra natura,
qualora s'insegnasse che il creatore dell’universo di­
spone di un tale verbo e di un tale spirito.
3. Come potrebbe derivare dalla parola e dagli
aliti tale forza capace di costituire i cieli e le loro

5 II termine « potenze » (dynàm eis), riferito volta a volta


ai vari soggetti, è qui accuratamente specificato e differenziato
dall'espressione « aventi in sé esistenza sostanziale », in quanto
riferito al Verbo e allo Spirito.
« Sai. 33, 6. Cf. Sap. 1, 7.
La Grande Catechesi, IV, 3-4 53

potenze? Perché se il Verbo di Dio è uguale alla nostra


parola e il suo Spirito uguale al nostro, la forza deri­
vante da principi uguali è identica, e la potenza del
Verbo di Dio sarebbe uguale alla nostra. Ma le nostre
parole sono inefficaci e senza consistenza e cosi anche
l'alito che con esse si espira. 4. Coloro che abbassano
la divinità al livello della nostra parola assegneranno
anche al Verbo e allo Spirito di Dio identica inefficacia
ed inconsistenza. Ora se, come dice David, i cieli furono
creati dalla Parola del Signore e le loro potenze ebbero
consistenza per opera dello Spirito di Dio, viene stabi­
lito cosi il m istero della verità per il quale noi ricono­
sciamo al Verbo e allo Spirito un'esistenza sostanziale7.

7 I due t e rm ini usati qui da Gregorio per indicare l'esisten­


za sostanziale (ousia e hypòstasis), altrove differenziati, si
equivalgono, come nel simbolo niceno, dove sono riferiti al
Verbo.
L’UOMO

L’increato e il creato

V. 1. Ma l'esistenza di im Verbo e di uno Spi


di Dio non potrà forse essere contestata né dal pagano
per le nozioni comuni né dal giudeo sulla base delle
Scritture. Tuttavia, il piano di salvezza dell’u o m o 1 da
parte del Verbo-Dio incarnato sarà rifiutato ugual­
mente da ambedue come teoria incredibile e sconve­
niente alla divinità. Partendo dunque da un diverso
principio vedremo di indurre alla fede anche su questo
punto i nostri avversari.
2. Essi ritengono che tutte le cose sono s
create dalla « ragione » (logos) e dalla sapienza di
colui che ha ordinato l’universo, oppure hanno qualche
difficoltà circa questa convinzione. Ma se non accorda­
no che né ragione né sapienza hanno presieduto l'orga­
nizzazione dell’universo, assegneranno insipienza e ina­
bilità al principio dell'esistenza. E se ciò viene ammes­

1 L’uso della parola « economia » ha una lunga storia pas­


sando dal campo profano (riferito sostanzialmente alla vita
della casa o del cittadino nello stato) all'area cristiana, dove si
specializza a significare sostanzialmente il piano di salvezza
da parte di Dio. Nella Grande Catechesi di Gregorio il termine
« economia » richiama a questo fondamentale significato anche
nei casi in cui è riferito ad aspetti più o meno direttamente
collegati con la storia della salvezza dell'uomo.
La Grande Catechesi, V, 2-3 55

so come assurdo ed empio, riconosceranno in pieno


che ragione e sapienza presiedono airorgani77.a7.ione
degli esseri. Ora, poco sopra si è dimostrato che il
Verbo di Dio non significa semplicemente « parola » o
possesso di una conoscenza o di una sapienza, ma una
potenza sostanziale nella sua esistenza, che sceglie
sempre il bene ed è capace di eseguire quanto ha
scelto; ma poiché l'universo è buono, ne è causa quella
potenza che largisce e crea tutto il bene. E se la costi­
tuzione di tutto l’universo dipende dalla potenza del
Verbo, come ha dim ostrato la nostra argomentazione,
si deve necessariamente pensare ad ima sola causa del­
l'organizzazione delle parti dell'universo, e cioè al Ver­
bo stesso, per il quale tutte le cose hanno avuto l'esi­
stenza.
Creazione mediante il Verbo

3. 0 lo si voglia chiamare Verbo, oppure sapie


o potenza, o con altro attributo sublime e augusto, su
questo non faremo difficoltà. In realtà qualunque parola
o nome si trovi per indicare il soggetto, le parole signi­
ficano una sola e medesima cosa, vale a dire l'eterna
potenza di Dio che crea tutti gli esseri, pensa quelli non
ancora esistenti, abbraccia gli esseri creati, e prevede
quelli che saranno.
Questo Verbo di Dio, che è sapienza e potenza,
come è dim ostrato dalla logica del nostro ragiona­
mento, è creatore della natura umana, non indotto alla
formazione dell'uomo da una qualche necessità, ma
spinto alla creazione di una tale creatura dalla sovrab­
bondanza dell'amore. Perché la sua luce non doveva
restare invisibile, né la sua gloria senza testimone, né
la sua bontà senza chi ne godesse, né tutte le altre
virtù che si contemplano nella natura divina dovevano
rimanere inattive, [come sarebbe avvenuto] qualora
nessuno vi fosse stato per parteciparne e gioirne.
56 Gregorio di Nissa

Natura dell’uomo

4. Se dunque l'uomo viene alla luce per aver parte


ai beni divini, deve avere una costituzione che lo renda
capace di partecipare a quei beni. Come l'occhio è
partecipe della luce grazie all'elemento luminoso insito
in lui per natura traendo a sé ciò che gli è connatu­
rale in virtù di quella forza innata, cosi era necessario
che una qualche affinità col divino fosse innestata nella
natura um ana perché mediante questa corrispondenza
avesse in sé la forza che la muove verso ciò che le
è affine.
5. In realtà anche nella natura degli esseri privi
di ragione, di quanti vivono nell'acqua e nell’aria, ognu­
no è stato organizzato in relazione al suo modo di vita,
perché grazie alla particolare conformazione del corpo
abbiano l'elemento appropriato e naturale per ciascuno,
gli imi l'aria, gli altri l'acqua. Cosi dunque anche
l’uomo, creato per il godimento dei beni divini, doveva
avere qualche affinità di natura con l'essere al quale
partecipa. 6. Per questo fu dotato della vita, della ra­
gione, della sapienza e di tutte le qualità proprie di
Dio, affinché ognuna di esse generasse in lui il desiderio
di tendere verso chi gli è affine. E poiché una delle
qualità della natura divina è anche l'eternità, si richie­
deva necessariamente che la costituzione della nostra
natura non fosse privata neppure di questo bene, ma
avesse in sé e per sé il principio deH’etem ità, affinché
in virtù di questa potenza innata potesse conoscere il
trascendente e avesse il desiderio dell'etem ità divina.

Creato ad immagine e somiglianza

7. Questo è chiaramente espresso in modo con


con una sola parola nel racconto della creazione del
mondo, quando dice che l'uomo è stato creato ad
La Grande Catechesi, V, 7-8 57

immagine di D io2. Nella somiglianza dell'immagine


si trova l'insieme delle caratteristiche che distinguono
la divinità, e quanto intorno a ciò Mosè ci racconta
piuttosto da storico presentandoci degli insegnamenti
sotto form a di un racconto, fa parte del medesimo
insegnamento. Perché il paradiso (della Genesi) e la
peculiarità dei suoi frutti, che a quanti ne gustano
procurano non la soddisfazione dello stomaco m a cono­
scenza ed eternità di vita, tutto questo si accorda con
le nostre precedenti considerazioni circa l'uomo, che
cioè la nostra natura originariamente era buona e vi­
veva nel bene.

Grandezze e miseria

8. Ma può darsi che a queste tesi si opponga c


che considera la situazione presente, e pensi di pro­
vare la falsità del nostro discorso per il fatto di costa­
tare che l'uomo attuale non vive in possesso di questi
beni, bensì in una situazione quasi del tutto opposta.
Dov'è in realtà questo carattere divino dell'anima?
E dov e la libertà fisica dal dolore? Dove questa immor­
talità? Fugacità della nostra vita, sofferenza, mortalità,
disposizione ad ogni sorta di m alattia corporale e psi­
chica, sono questi e di tal genere gli argomenti con i
quali il nostro avversario, prendendo di mira la natura,
penserà di confutare il precedente nostro discorso sul­
l'uomo. Ma perché non risulti in alcun modo disturbato

2 Gen. 1, 26. Il tema dell'uomo creato « ad immagine e


somiglianza » di Dio è fondamentale, come è noto, nella
teologia patristica. Per quanto riguarda l’area greco-cristiana
e l’elaborazione del Nisseno in particolare sono di fondamen­
tale consultazione H. Merki, H omòidsis Thed. Von der plato-
nischen Angleichung G ottes zur Gottàhnlickeit bei Gregor von
Nyssa, « Paradosis » 7, Fribourg 1952; D.L. Balàs, Metousìa
Theoù.. Man's Participation in God's Perfectioris according to
Saint Gregory of Nyssa, Roma 1966.
58 Gregorio di Nissa

il filo conduttore del nostro discorso, ci fermeremo


brevemente anche su questi punti.
9. Il fatto che la vita umana si svolga attualmente
in condizioni distorte non è una ragione sufficiente
per presumere che l’uomo non sia mai vissuto in pos­
sesso di quei beni: poiché l'uomo è opera di Dio, che
ha tratto questo essere all'esistenza mosso dalla sua
bontà, nessuno potrà immaginare, se ragiona bene,
che l'uomo, la cui esistenza è frutto della bontà, sia
stato costituito nel male da parte del suo creatore:
esiste invece un’altra causa che ha determinato la
nostra condizione attuale e ci ha privati di ima dignità
maggiore.
Ancora una volta al punto di partenza del nostro
ragionamento non mancherà l’adesione concorde dei
nostri avversari. Difatti, colui che ha creato l’uomo
per farlo partecipe dei suoi beni e ha inserito nella
sua natura i principi di tutti i beni, perché mediante
ognuno di essi il desiderio si portasse verso il corri­
spondente attributo divino, non avrebbe potuto pri­
varlo del migliore e più prezioso di quei beni, voglio
dire del dono deH'indipendenza e della libertà.
10. Perché se una qualche necessità reggesse la
vita dell'uomo, l'immagine su questo punto sarebbe
falsata risultando alterata da un elemento diverso dal
modello. Come si potrebbe chiamare immagine della
natura suprema quella che fosse soggetta e asservita
a delle necessità? Dunque ciò che è stato fatto per
ogni aspetto simile alla divinità doveva senza dubbio
possedere nella sua natura una volontà libera e indi-
pendente, di modo che la partecipazione ai beni divini
fosse premiò dèlia virtù.
La Grande Catechesi, V, 11-12 59

Origine del male

11. Ma qual è, si dirà, la causa per cui la creatura


una volta onorata dei doni migliori in ogni senso, ha
ricevuto in cambio di questi beni una condizione
inferiore?
Anche questo punto si spiega facilmente. Nessuna
genesi del male ha avuto il suo principio nella volontà
divina: perché il vizio sfuggirebbe alla condanna, qua­
lora reclamasse Dio come suo creatore e padre; m a il
male nasce di dentro, formandosi per l'azione della
volontà, allorché l'anima si allontana dal bene. Come
la vista è u n’attività di natura e la cecità è la priva­
zione di quell'attività fisica, cosi la stessa opposizione
intercorre tra la virtù e il vizio. Non è infatti possibile
concepire l'esistenza del male se non come assenza
della v irtù 3.
12. E come alla sparizione della luce subentra l’os
rità, che non esiste finché c'è la luce, cosi, finché il
bene è presente nella nostra natura, il male è privo in
sé di esistenza: è la sparizione deH’elemento supe­
riore che segna la genesi del contrario. Poiché, dunque,
il carattere proprio della libertà è di scegliere libera­
mente l'oggetto desiderato, la causa dei tuoi mali non
è Dio, che ha form ato la tua natura indipendente e
libera, m a la volontà distorta che ha scelto il peggio
invece del meglio.

3 Sul problema del male e sull'influsso platonico v. Intro­


duzione, p. 22. La soluzione di Gregorio, secondo il quale il
m ale è privazione di bene, era già di Origene e sarà anche di
sant'Agostìno.
60 Gregorio di Nissa

La causa del male: l’intelligibile e il sensibile

VI. 1. Ma si chiederà anche quale mai po


essere la causa del grave difetto nella volontà: a questo
interrogativo conduce il filo logico del discorso. Anche
qui pertanto si troverà un principio di ragione che
chiarirà il nostro quesito.
È u n insegnamento tradizionale che abbiamo ri­
cevuto dai Padri: non è un racconto di carattere mitico,
ma un ragionamento che trae la sua forza persuasiva
dalla stessa nostra n a tu ra 4.
2. Due sono i piani che il pensiero scorge nella
realtà, dove la speculazione distingue il mondo intelli­
gibile e il mondo sensibile. E nulla si potrebbe conce­
pire al di fuori di questa divisione nella natura degli
esseri esistenti. Questi due piani sono distinti profon­
damente fra loro, sicché né la realtà sensibile è pre­
sente nelle note dell’intelligibile, né l’intelligibile in
quelle del sensibile, ma ognuna di esse è caratteriz­
zata dalle qualità opposte. Infatti, la natura intelligibile
è una realtà incorporea, inafferrabile e senza forma,
la natura sensibile invece, come è indicato dal nome
stesso, è soggetta alla percezione dei sensi.
3. Ma come nello stesso mondo sensibile, dove
l’opposizione fra gli elementi è profonda, un certo
accordo di equilibrio fra i contrari è stato escogitato
dalla sapienza che dirige l'universo, e cosi l’intera
creazione ne risulta internamente armonizzata, senza
che alcuna dissonanza naturale interrom pa la conti­
nuità dell’accordo; allo stesso modo si effettua per
opera della sapienza divina ima mescolanza e una
combinazione del sensibile con l’intelligibile, perché
tutto possa partecipare in egual modo al bene e nulla

4 Gregorio specifica il suo richiamo alla tradizione (per


cui cf. Atanasio, Contr. Gent., 3), affermando recisamente che
il racconto della caduta dell’uomo non è un mito.
La Grande Catechesi, VI, 3-5 61

di quanto esiste sia privato della partecipazione alla


natura superiore. Cosi la sfera adatta alla natura intel­
ligibile è in realtà l'essenza sottile e mobile, che per
lo spazio occupato al di sopra del cosmo ottiene dalla
peculiarità della sua natura una grande affinità con
l'intelligibile; m a l’azione di una provvidenza più alta
effettua una mescolanza dell'intelligibile con il mondo
sensibile5, affinché nulla di quanto è nel creato possa
essere rifiutato, come dice l'Apostolo6, né escluso dalla
partecipazione al divino.
4. Per questo si manifesta nell'uomo la mesco­
lanza di intelligibile e di sensibile, che è opera della
divina natura, come insegna il racconto della creazione
del mondo. Dice, infatti, ohe « Dio, preso del fango
dalla terra, formò l'uomo e col proprio soffio infuse
la vita nella sua creatura » 7, perché in tal modo l'ele­
mento terrestre si elevasse insieme al divino e ima
sola e identica grazia si espandesse per l'intera creazio­
ne mediante la mescolanza della natura inferiore con
la natura sovrumana.

Gelosia di satana, angelo della terra

5. Data, dunque, la preesistenza del mondo intelli­


gibile, ed essendo stata distribuita a ciascuna delle
potenze angeliche, da parte dell'autorità che governa
l'universo, una certa attività diretta alla costituzione
deH'universo, esisteva perciò ima potenza investita dal
supremo ordinatore del compito e del potere di conser­
vare e di governare la sfera terrestre. Allora fu formato
5 Pur riconoscendo una certa dipendenza dell'intelligibile
dal sensibile e quindi anche dell'anima dal corpo, Gregorio
afferma che lo spirito non può essere localizzato, contraria­
mente alle teorie platonica e stoica, che ponevano come sede
deU'intelletto rispettivamente il cervello e il cuore.
« Cf. 1 Tim. 4, 4.
7 Gen. 2, 7.
62 Gregorio di Nissa

quell’essere terrestre quale immagine della potenza ce­


leste: e quest’essere era l’uomo. E in lui c’era la divina
bellezza della natura intelligibile, mescolata ad una
ineffabile potenza. Per tutto questo colui che ottenne
di governare sulla terra ritiene indegno e insopporta­
bile che dalla natura a lui soggetta sia tratto alla luce
un essere fatto a somiglianza della dignità suprema.

Ciò che è creato è soggetto al cambiamento

6. Quanto poi a spiegare come mai potè cadere


nel vizio dell’invidia colui che non era stato creato
per alcuno scopo malvagio da colui che ha ordinato
secondo bontà l’universo, non rientra nella presente
opera trattarne dettagliatamente, m a sarà possibile
esporne l’insegnamento se pure in breve a chi è un po'
più disponibile.
L’opposizione, infatti, tra virtù e vizio non s’intende
come opposizione di due cose che appaiono quali so­
stanze realmente esistenti, ma, come il non essere si
oppone all’essere e non si può dire che tale opposizio­
ne sia sostanziale — perché invece diciamo che la non
esistenza si oppone all'esistenza —, allo stesso modo
il vizio si oppone al concetto della virtù, non in quanto
esistente in se stesso, ma in quanto è concepito risul­
tante dall'essere del bene; e come noi diciamo che la
cecità si oppone alla vista, non perché la cecità esista
per natura in se stessa, ma come privazione di un bene
precedente, cosi affermiamo che anche il male s'inten­
de come privazione del bene, alla maniera di un’ombra
che subentra al ritiro della luce.
7. Ora, la natura increata non è suscettibile del
movimento nel senso di cambiamento, di trasform a­
zione o di alterazione, e tutto ciò che esiste per crea­
zione è legato naturalmente al cambiamento, giacché
l’esistenza stessa del creato ha la sua radice nel cam­
La Grande Catechesi, VI, 7-9 63

biamento, essendo il non essere passato all'essere grazie


alla divina potenza. Vi era tuttavia la già menzionata
potenza creata, che sceglie ciò che ritiene [buono]
col movimento della sua libera volontà: e quando quel­
la creatura chiuse l'occhio al bene e a ciò che non è
affetto dall'invidia, come colui che chiudendo gli occhi
dinanzi al sole vede la tenebra, cosi anch'essa proprio
per non volere indirizzare il pensiero al bene, ha conce­
pito il contrario del bene. Ed è questa l’invidia.

L’angelo caduto s i fa tentatore

8. Si riconosce da tutti che il punto d’inizio di ogni


fatto costituisce la causa delle conseguenze che ne
derivano, come ad esempio alla salute segue la vigoria,
l’attività, la vita piacevole, mentre alla m alattia tiene
dietro la debolezza, l'inattività e la nausea della vita.
Cosi anche tu tte le altre cose fanno seguito conseguen­
temente alle cause che sono loro proprie. Come, dun­
que, l’assenza di passioni® costituisce il principio e
il fondamento della vita virtuosa, cosi la tendenza al
vizio causata dall’invidia apre la via a tutti i mali che
con essa si manifestano.
9. Non appena colui che ha fatto nascere in sé l'in­
vidia allontanandosi dalla bontà è divenuto incline al
vizio, come una pietra staccata dalla cima di un monte
viene trascinata in basso dal proprio peso, cosi anch’egli
strappato dalla naturale affinità col bene e spinto al
vizio, si è visto condurre via trascinato, per cosi dire,
dal proprio peso fino all’ultim o gradino della malvagità,
e rendendo sua complice nella ricerca dei malvagi di­
segni quella capacità intellettiva concessa a lui dal
creatore perché collaborasse alla comunicazione del

8 Su apàtheia (libertà dalle passioni) v. Introduzione,


p. 25. Nell'uomo essa diventa segno della somiglianza divina
(cf. VI, 10).
64 Gregorio di Nissa

bene, circuisce l'uomo con abilità fraudolenta, persua­


dendolo a darsi lui stesso la m orte e a divenire suicida.
10. In realtà l'uomo, corroborato dalla benevolenza
divina, era stato elevato ad alto grado di dignità: gli
era stato assegnato, infatti, il compito di regnare sulla
terra e su quanto è in e ssa 9. Era bello d'aspetto, per­
ché era stato fatto come immagine della bellezza esem­
plare; esente per natura dalle passioni in quanto era
imitazione di colui che non conosce passioni; piena­
mente dotato d'interiore sicurezza, perché si saziava di
vedere Dio faccia a faccia: erano questi gl'incentivi
che alimentavano nel nemico la passione dell’invidia.

Caduta dell’uomo

11. Ma egli non era capace di eseguire il suo dise­


gno usando la forza e la violenza del suo potere, perché
la potenza del dono divino prevaleva sulla forza di
costui; per questo si diede a tram are inganni per strap­
pare l'uomo dalla potenza che lo rendeva forte, e ren­
derlo facilmente disponibile alla sua insidia. Proprio
come avviene in una lucerna: quando il fuoco ha preso
tutto il lucignolo, se non è possibile spegnere la fiamma
soffiando, all'olio si mescola dell'acqua per estinguere
con questo accorgimento la fiamma; allo stesso modo,
avendo il nemico mescolato con inganno il vizio alla
libera volontà dell'uomo, ha ottenuto di spegnere in
certo modo e di affievolire il dono divino, e venendo
questo a mancare gli subentra di necessità il suo con­
trario. Ora, alla vita si oppone la morte, alla forza la
debolezza, alla benedizione l'imprecazione, alla sere­
nità della sicurezza la vergogna, e a tutti i beni (si
oppongono) i mali che la mente considera contrari.

9 Cf. Gen. 1, 28-30.


La Grande Catechesi, VII, 1 65

È per questo che l'um anità si trova immersa nei


mali presenti, dopo che quel prim o passo ha fornito
l'avvio a questo risu lta to 10.

Sarebbe malvagio il Creatore?

VII. 1. Nessuno poi domandi se Dio abbia prev


la sciagura in cui è incorsa l’umanità per falso giudi­
zio, quando decise di creare l’uomo, per il quale era
forse più vantaggioso non esistere che trovarsi in
preda del male. Questi sono in realtà gli argomenti che
tiran fuori coloro che si son lasciati trascinare per
inganno alle dottrine m anichee11, allo scopo di dimo­
strare con ciò che il creatore dell’umana natura era
malvagio. Se Dio nulla ignora di ciò che esiste e l’uomo
d’altra parte si trova nel male, non uscirebbe salva la
dottrina della bontà di Dio, qualora egli avesse chia­
m ato alla vita l'uomo destinato a vivere nel male.
Perché se l'attività nel bene, dicono, è assoluta carat­
teristica di una natura buona, questa vita miserabile
e m ortale non potrebbe affatto essere riferita all'atti­
vità di un essere buono, ma per ima vita di tal genere
si deve pensare ad ima causa diversa, incline per
natura al male.

10 L’espressione fa pensare al concetto di peccato originale


in Gregorio Nisseno (cf. XXVI, 9), secondo il quale la pena
per il peccato di Adamo si trasmette a tutti gli uomini e la
natura umana è caduta per la disobbedienza del primo uomo
(cf. Catech. XVI e XVII; In Cani. Cant. Hom., 12). In queste
ed altre testimonianze è implicita la tesi del Nisseno circa il
peccato di Adamo come peccato originale, come origine di un
certo stato di miseria che coincide con la perdita della
Grazia (Barbel); si tratta in definitiva di una certa colpa
morale dell'intero genere umano (De orat. dom., 5).
11 Sul manicheismo v. nota 6 del Prologo.
66 Gregorio di Nissa

Dove risiede il male?

2. In effetti tutti questi e simili argomenti per la


loro speciosa credibilità presentano una certa forza
suggestiva per coloro che si sono lasciati penetrare a
fondo dall'inganno ereticale come da una tinta inde­
lebile; chi penetra pili a fondo la verità potrà inten­
dere chiaramente quanto quegli argomenti siano fal­
laci e come essi stessi forniscano la prova del (loro)
inganno. E mi sembra bene proporre in questo caso
l’Apostolo a sostegno dell'accusa contro di loro. Nel
suo discorso ai Corinti egli distingue le condizioni delle
anime in carnali e spirituali, mostrando con le sue pa­
role, a mio parere, che non si può giudicare il bene
o il male mediante la sensazione, ma distaccando la
mente dai fenomeni corporali si può distinguere nei
suoi propri caratteri la natura del bene e la natura
del male. Perché « l’uomo spirituale, come egli dice,
giudica tutto » n.
3. È questa, a mio giudizio, la ragione che ha pro­
dotto in coloro che adducono siffatti motivi le fanta­
sie di quelle dottrine: riducendo la definizione del bene
al piacere del godimento corporale, per il fatto che
la natura del corpo è soggetta necessariamente a mi­
serie e a m alattie essendo composta e portata verso
la dissoluzione, e poiché a tali infermità si accom­
pagna una sensazione dolorosa, (per tutto questo)
essi ritengono opera di un dio malvagio la creazione
dell'uomo. Ma se la loro mente avesse guardato più
in alto e se distaccando il loro spirito dalla disposi­
zione legata ai piaceri avessero diretto lo sguardo libe­
ro da passioni alla natura degli esseri, avrebbero pen­
sato che il male non ha alcuna esistenza al di fuori del
vizio. La natura specifica di tutto il male consiste

12 1 Cor. 2, 14-15.
La Grande Catechesi, Vili, 1 67

nell’assenza del bene, non avendo esso un’esistenza


propria, né potendo essere considerato sostanziale;
perché nessun male esiste in se stesso fuori della
volontà, ma prende questo suo nome dall'assenza del
bene u. Ora, ciò che non esiste non è una realtà, e ciò
che non è realtà non può essere stato l'opera di colui
che ha creato la realtà.

Chi è responsabile del male?

4. Alla causa responsabile del male, dunque,


è estraneo, essendo creatore di ciò che esiste e non
di ciò che non esiste: egli ha creato la vista non la
cecità; ha suscitato la virtù non la privazione di essa;
ha elargito come premio della buona volontà il dono
dei suoi beni a chi regola virtuosamente la propria
vita, senza soggiogare al proprio volere la natura uma­
na con violenta necessità trascinandola forzatamente
al bene come un oggetto inanimato. Se dinanzi alla
luce, che pura si espande dal cielo sereno, ci si chiude
la vista abbassando le palpebre, non può il sole esser
tirato in causa da colui che non ci vede.

Il male supremo: la morte

V ili. 1. Ma chi guarda al disfacimento del corpo


prova un profondo turbam ento e accetta con difficoltà
che la nostra vita si dissolva con la morte, e ritiene
come il peggiore dei mali lo spegnersi della nostra
vita nella tomba. Consideri allora attraverso questa

13 L'unico vero male è il male morale, la cui radice risiede


nella volontà perversa della creatura, che nella sua conna­
turale mutabilità può scegliere il male. È un’idea dominante
di Gregorio, in cui si riscontra la traccia di postulati neopla­
tonici, come l’asserzione che ogni essere effimero e perituro
è il riflesso difettoso dell'Essere divino immutabile.
68 Gregorio di Nissa

triste sorte la sovrabbondanza del beneficio divino:


potrà forse essere attratto cosi piuttosto ad ammirare
la benevolenza della sollecitudine di Dio per l'uomo.
2. Chi partecipa alla vita vi si attacca mediante il
godimento dei piaceri. Per chi infatti si trovi a tra­
scorrere la vita nelle sofferenze vale molto più, in
tale condizione, non esistere in mezzo al dolore. Esa­
miniamo dunque se il datore della vita abbia un in­
tento diverso da quello di farci vivere nelle condizioni
migliori.

Morte e risurrezione

3. Quando con un libero movimento della nostra


volontà ci siamo assunti la partecipazione al male,
facendo penetrare per un certo diletto il male nella
nostra natura come un veleno mescolato al miele,
decadendo perciò dalla felicità intesa come assenza
di passioni abbiamo subito ima trasformazione verso
il male: per tutto questo l'uomo si decompone e tom a
alla terra come un vaso di creta, allo scopo però, una
volta gettata via l'im purità che porta con sé, di essere
ricostituito mediante la risurrezione nella sua forma
originaria.
4. È questa la dottrina che ci presenta Mosè come
verità storica e insieme sotto il velo dell'allegoria.
Del resto le stesse allegorie contengono un insegna­
mento chiarissimo. Dopoché, come è d e tto 14, i prim i
uomini s'implicarono in ciò che era proibito e furono
privati della loro felicità, il Signore impose loro delle
tuniche di pelle13; m a il vero senso del racconto non
M Cf. Gen. 3, 21.
15 È un motivo comune, fra gli altri, a Clemente Alessan­
drino, Strom., 3, 14; a Origene, Contr. Cels., 4, 40; a Tertulliano,
Resurr. cam ., 7. E possibile che si tratti di ima derivazione
rabbinica (Barbel). In Gregorio le vesti di pelle d'animale
significano la caduta mortale dell’uomo peccatore.
La Grande Catechesi, Vili, 4-6 69

mi sem bra riferirsi a pelli comunemente intese: di che


specie infatti erano gli animali uccisi e scorticati dai
quali si pensa fosse ricavato quell'indumento? Ma
poiché ogni pelle separata dall’animale è cosa morta,
sono pienamente convinto che la condizione m ortale16,
prim a riservata alla natura irrazionale, sia stata poi
inflitta agli uomini da colui che è il medico della nostra
malvagità, ma non perché rimanesse per sempre: in
realtà l'indum ento fa parte delle cose che ci vengono
applicate dall'esterno, e all’occasione fornisce al corpo
la sua utilità, senza appartenere alla natura.

Dalla morte all’immortalità

5. La condizione mortale, pertanto, per analogia


con la natura degli esseri irrazionali, fu conferita se­
condo il piano della provvidenza alla natura creata
per l'im m ortalità: essa ne involge la parte esterna non
l'interiore, afferra la parte sensibile dell’uomo senza
però toccare l'immagine divina. Ma la parte sensibile
si dissolve, non è distrutta. Perché mentre la distru­
zione è il passaggio al nulla, la dissoluzione è il ritorno
agli elementi del cosmo dai quali fu costituita. Ma
ciò che viene ad essere in questo stato non perisce
anche se sfugge alla nostra percezione sensibile.
6. La causa della dissoluzione risulta chiara dal­
l'esempio che abbiamo proposto. Poiché la percezione
sensibile è strettam ente legata all'elemento solido e
terrestre, e la natura intellettiva è superiore ai movi­
menti della sensazione, per questo il giudizio circa il
bene fu sviato nella prova dei sensi, e tale errore circa
il bene provocò il costituirsi dello stato contrario: e
cosi la p arte di noi guastata per aver accolto l'elemento
contrario è soggetta alla dissoluzione. Ed ecco quid è il

“ Cf. Sap. 7, 1.
70 Gregorio di Nissa

senso dell’esempio. 7. Supponiamo di avere un vaso


di argilla e che imo con insidia lo abbia riempito di
piombo fuso e che il piombo versato si sia solidificato
e resti cosi senza che si possa versare dal vaso: il
proprietario del vaso reclama, e conoscendo l'arte del
vasaio spezza l'involucro intorno al piombo; quindi
costruisce di nuovo un vaso di egual forma per l’uso
che vuole, ora vuoto di quella m ateria che vi era stata
immessa. Proprio cosi procede anche il plasmatore
del nostro vaso: una volta che il male è stato mesco­
lato alla parte sensibile, voglio dire all'elemento cor­
poreo, Egli dopo aver scomposta la m ateria ricetta­
colo del male e plasmato di nuovo il vaso purificato
dell'elemento contrario mediante la risurrezione, attra­
verso la ricostruzione dei suoi elementi lo riporterà
alla bontà originaria.

Corpo e anima

8. E poiché fra l'anima e il corpo vi è una certa


unione e una compartecipazione ai mali inerenti alla
colpa, anche la morte del corpo presenta una qualche
analogia con la morte dell’anima. Come, infatti, per
la carne la separazione dalla vita sensibile noi la chia­
miamo morte, cosi anche riguardo all’anima chiamiamo
morte la sua separazione dalla vera vita. Poiché dun­
que una sola è la partecipazione al male, come si è
detto, considerata nell'anima e nel corpo, dato che
ambedue contribuiscono alla realizzazione del male,
per questo la morte come dissoluzione derivante dal
rivestimento delle pelli morte non tocca l’anima. Di­
fatti, come potrebbe dissolversi ciò che non è composto?
9. E siccome c'è bisogno che anche l'anima sia
liberata con una cura dalle macchie contratte per le
colpe, ecco che nella vita presente le è stato proposto
il rimedio della virtù come medicina per cotali ferite.
La Grande Catechesi, Vili, 9-11 71

E qualora essa resti incurabile, è nella vita futura che


è messo in serbo il trattam ento curativo.

Malattia del corpo

10. Ma come per il corpo vi sono differenti malat­


tie, di cui alcune si prestano pili facilmente alla cura,
altre con più difficoltà, e per queste ultime si ricorre
ad incisioni, a cauterizzazioni e ad amare pozioni
per estirpare il male che ha colpito il corpo, qualcosa
del genere è anche il giudizio dell'aldilà che ci viene
preannunziato per curare le malattie dell'anima: per
chi è maggiormente affetto dalla vanità questo costi­
tuisce un ammonimento e una dura minaccia, sicché
per timore della medicina dolorosa possiamo essere
indotti a fuggire il male; m a per coloro che sono più
saggi la fede vi scorge ima cura e un trattam ento salu­
tare da parte di Dio che vuol ricondurre la sua creatura
alla grazia originaria17.
11. Come eliminando con incisioni o mediante
cauterizzazione le escrescenze e le verruche formatesi
sul corpo contro la natura non si arriva a guarire senza
dolore chi ne è curato, e del resto l’incisione non si
pratica a danno del paziente, cosi anche le callosità
formatesi nelle nostre anime divenute carnali per la
partecipazione alle passioni, nel tempo di quel giudizio
vengono tagliate ed eliminate da quella ineffabile sa­
pienza e dalla potenza di colui che secondo il Vangelo
è il medico dei cattivi: « non sono infatti i sani, dice
il Vangelo, che hanno bisogno del medico, ma i ma­
lati »

17 Nell’espressione si avverte l'influsso di Origene, Contr.


Cels., 5, 15.
18 Le. 5, 31.
72 Gregorio di Nissa

L ’anima e il male

12. Il forte legame esistente fra l'anima e il ma­


le porta a questa conseguenza: l'incisione della ver­
ruca causa tuia sensazione dolorosa sulla pelle, per­
ché ciò che si è inserito nella natura contro la na­
tura stessa aderisce alla sostanza per una sorta di
simpatia, e si produce tuia mescolanza inattesa del­
l’elemento estraneo col nostro proprio essere, sicché la
separazione dell'elemento innaturale comporta un'acu­
ta sensazione di dolore. Parimenti, quando l'anima
s'illanguidisce e si consuma per gli addebiti a causa
della colpa, come si esprime un passo della profezia19,
per l'unione profonda che la lega al male l'accompa­
gnano necessariamente sofferenze indicibili e inespri­
mibili, impossibili a descriversi proprio come la natura
dei beni da noi sperati. Né gli uni né gli altri di fatto
si prestano ai mezzi espressivi del linguaggio o alla
congettura del pensiero.

Dio è alieno dal male

13. Se, dunque, si considera lo scopo che si è


proposta la sapienza di colui che governa l'universo,
se ben si ragiona, non si può più designare con gret­
tezza d'animo il creatore dell’uomo come responsabile
dei mali, dicendo che egli o non conosce il futuro o
conoscendolo non è estraneo all’impulso verso il male;
perché egli conosceva l’avvenire e non ha impedito
il movimento che ne prepara l'evento; che, infatti,
l’uomo avrebbe deviato dal bene non lo ignorava colui
che tutto abbraccia con la potenza conoscitiva e vede
il futuro cosi bene come il passato.
14. Ma, come egli ha visto il traviamento dell’uo­
mo, cosi ne ha anche visto nel pensiero il richiamo per
19 Cf. Sai. 39, 12.
La Grande Catechesi, Vili, 14-17 73

il ritorno al bene. Che cosa dunque era meglio, non


trarre affatto la nostra natura alla vita giacché preve­
deva che la creatura avrebbe prevaricato dalla via
del bene, oppure dopo aver creato l'uomo chiamarlo di
nuovo, una volta divenuto infermo, alla grazia origina­
ria mediante la conversione?
15. Richiamarsi alle sofferenze del corpo, che so­
pravvengono al carattere mutevole della natura, per
designare Dio come autore dei mali o per non rico­
noscerlo affatto creatore dell’uomo allo scopo di non
im putare a lui la causa dei nostri dolori, questo è il
colmo della grettezza di spirito di coloro che giudicano
il bene e il male in base alla sensazione, e non sanno
che è buono per natura soltanto ciò che non è in con­
tatto con la sensazione, e che il solo male è l'allonta­
namento dal vero bene.
16. Ma giudicare il bene e l’assenza del bene in
base ai dolori e ai piaceri è proprio della natura
irrazionale, di quegli esseri cioè che essendo privi di
pensiero e d ’intelligenza non hanno la concezione del
vero bene. Ma che l’uomo è opera di Dio, buona e de­
stinata ai più grandi beni, risulta chiaro non soltanto
da quanto si è detto, m a anche da infinite altre ra­
gioni, che per essere troppe lasceremo da parte.

Il risollevamento della creatura caduta


17. Ora, nominando Dio come creatore dell'uomo
non abbiamo dim enticato quei punti che nel pream­
bolo abbiamo stabilito con cura nei confronti dei
pagani: là si è m ostrato che il Verbo di Dio, avendo
una sua sostanza e un’esistenza reale, è lui stesso Dio
e insieme Verbo: egli abbraccia ogni potenza creata,
anzi è lui stesso potenza in sé, con l'impulso verso
tutto ciò che è bene, capace di effettuare tutto quanto
è nel suo volere perché la potenza è associata alla stia
volontà, il suo volere e la sua opera sono la vita degli
74 Gregorio di Nissa

esseri esistenti, e da lui anche l’uomo fu chiamato


alla vita, dopo essere stato adornato dei beni più gran­
di ad immagine di Dio.
18. E poiché è immutabile per natura soltanto
ciò che non ha l’esistenza per via di creazione, gli
esseri invece giunti all’esistenza dal non essere per
opera della natura increata, avendo cominciato ad
esistere con quella trasformazione, procedono sempre
per via di cambiamento: ed è un cambiamento peren­
ne per il meglio quando essi seguono la natura, mentre
subentra il movimento all'opposto, se deviano dal retto
cammino.
19. Ora, anche l’uomo si trovava in queste con­
dizioni, lui che il carattere mutevole della sua natura
aveva fatto scivolare nello stato opposto, mentre poi
l’abbandono dei beni, tuia volta consumato, introduce
conseguentemente ogni forma di mali, sicché con l’al­
lontanamento della vita subentrò la morte, per la pri­
vazione della luce venne la tenebra, l’assenza della
virtù fece subentrare il male, e ogni forma dei beni
si rimpiazzò con la serie dei contrari: l’uomo dunque
caduto per sconsideratezza in questi mali e in altri
del genere — poiché non era capace di restare nella
saggezza colui che l’aveva avversata, né poteva pren­
dere qualche decisione saggia chi si era allontanato
dalla sapienza — costui, dico, da chi doveva essere
riportato alla grazia originaria?
20. A chi importava il risollevamento della crea­
tura caduta, il richiamo alla vita di chi era caduto
nella morte, la guida sicura dell'uomo smarrito? A
chi altro se non al Signore assoluto della natura? A
lui solo, infatti, donatore della vita fin dall'origine
era possibile e insieme conveniente rianimare la vita
anche se estinta. È questo l'insegnamento propostoci
dal mistero della verità, che cioè Dio ha creato l'uomo
all'origine e lo ha salvato dopo la sua caduta.
IL CRISTO

Sua condizione mortale

IX. 1. Fin qui sarà forse d’accordo col nos


ragionamento chi guarda alla logica del ragionamento
stesso, per il fatto che nulla di quanto si è detto gli
apparirà estraneo al concetto che si deve avere di Dio;
ma non avrà lo stesso atteggiamento dinanzi alle real­
tà che seguono e che costituiscono la principale con­
ferm a del m istero della verità: la nascita umana (del
Cristo), la sua crescita dall'infanzia fino alla m aturità,
il mangiare e il bere, la sua fatica, il sonno, la soffe­
renza e le lacrime, la falsa accusa e il processo, la
croce, la morte, la deposizione nel sepolcro; queste
realtà comprese nel mistero della religione indeboli­
scono in qualche modo la fede dei più pusillanimi,
tanto che le dottrine prim a esposte non permettono
loro di accettare neanche il seguito del ragionamento.
Ciò che è veramente degno di Dio, cioè la risurrezione,
essi non l’ammettono a causa del carattere sconvenien­
te che riveste la morte.
2. Prima di tutto ritengo che distaccando un
la ragione dalla m aterialità carnale, si debba inten­
dere il bene in se stesso e ciò che ne differisce, chie­
dendoci per quali note distintive si comprende l'uno
e l'altro. Perché nessuno, io penso, di quanti hanno
buon senso contesterà che l'unica cosa obbrobriosa
76 Gregorio di Nissa

fra tutte per natura sia l'inferm ità legata al male, e


che quanta è fuori del male è estraneo ad ogni
bruttezza; quanto poi è esente da ogni bruttura, viene
inteso come interamente partecipe del bene, e ciò
che è veramente bene non ha alcuna mescolanza col
suo contrario. Ma tu tto quanto si può percepire nel­
l’ambito del bene conviene a Dio.
3. Dimostriamo, dunque, che è un male la nasc
l’educazione, la crescita, il progresso verso la m aturità
naturale, la prova della morte e la risurrezione dai
morti; altrimenti, se si conviene che le realtà men­
zionate sono fuori del male, dovranno riconoscere
che ciò che è estraneo al male non ha niente di obbro­
brioso. E una volta riconosciuto perfettamente buono
ciò che è esente da ogni sconvenienza e da ogni male,
come non compiangere la stoltezza di chi sostiene che
il bene non conviene a Dio?
Unione delle due nature
X. 1. Ma, si dirà, la natura umana è piccola c
e ben circoscritta, m entre la divinità è infinita, e in
che modo l'infinito potrebbe essere circoscritto nel­
l'individuo umano? E chi dice che l’infinità divina sia
stata contenuta nei limiti della carne come in un reci­
piente? Perché neppure nella nostra vita la natura
intellettiva è racchiusa dentro i limiti della carne.
2. Mentre però il volume del corpo è circoscr
dalle proprie parti, l’anima mediante i movimenti del
pensiero a suo piacere si estende a tutto il creato,
si eleva fino ai cieli, penetra negli abissi, percorre tu tta
l’estensione della terra, scende con la sua attività fino
nelle regioni sotterranee, e cosi giunge spesso a com­
prendere anche le meraviglie dei cieli per nulla appe­
santita dal bagaglio del corpo ‘.
1 II motivo risale a Plotino, Enn., 4, 3, 20. Cf. anche Gre­
gorio Nazianzeno, Or., 32, 27.
La Grande Catechesi, XI, 1 77

3. Se l’anima umana, unita per legge naturale al


corpo, si trova dovunque a suo piacimento, perché si
dovrà dire che la divinità è rinchiusa nella natura
carnale anziché attraverso gli esempi a noi compren­
sibili farci un'idea degna dell’economia divina? Nella
lampada, infatti, si vede la fiamma aderire alla m ateria
che l'alimenta, e mentre la ragione distingue il fuoco
unito alla m ateria dalla m ateria che accende il fuoco,
di fatto poi è impossibile separare l’uno dall’altra per
m ostrare la fiamma in se stessa disgiunta dalla mate­
ria, ma costituiscono ambedue insieme una cosa sola:
cosi è del soggetto che noi trattiamo.
4. E non si coinvolga nella valutazione dell'esem­
pio addotto l’aspetto distruttivo del fuoco, ma si ri­
tenga nell'immagine solo quanto conviene e si escluda
ciò che è incongruente; nel modo stesso in cui vediamo
anche la fiamma aderire alla m ateria senza essere
racchiusa, che cosa c'impedisce, nel considerare l ’unio­
ne e il contatto di una natura divina con l'umano,
di conservare la giusta concezione di Dio anche in
questo contatto, convinti come siamo che la divinità,
anche se è nell’uomo, sfugge ad ogni limitazione?2.

Mistero dell’incarnazione

XI. 1. Se ti domandi in che modo la divinità


congiunge all’umanità, vedi prim a di cercare in che
consiste l'unione dell'anima con la cam e 3. E se tu

2 La similitudine circa il rapporto delle due nature in


Cristo, se male intesa, potrebbe portare ad una concezione
monofisita; ma Gregorio, affermando l'indivisibile legame delle
due nature, intende anche confermare l'esenzione della natura
divina da ogni limitazione circoscrittiva.
3 L'analogia dell'unione anima-corpo esprime l'unione pro­
fonda e ineffabile delle due nature in Cristo e insieme la loro
distinzione, tanto che l'una e l'altra conservano intatti gli
attributi e le loro proprietà.
78 Gregorio di Nissa

ignori il modo con cui l'anima si unisce al corpo, non


credere che l’altro quesito debba essere da te compreso.
Ma come nel prim o caso abbiamo ritenuto che l'anima
è diversa dal corpo per la ragione che la carne una
volta separata dall'anima è m orta e senza attività, e
noi non conosciamo il modo di quell'unione; cosi an­
che nel secondo caso riconosciamo che la natura
divina differisce sul piano di una più eminente gran­
dezza dalla natura mortale e peritura, senza però riusci­
re a comprendere il modo dell'unione fra Dio e l'uomo.
2. Ma che Dio è realmente nato in una nat
umana non abbiamo dubbi in base ai miracoli narrati;
quanto poi a comprendere il modo vi rinunciamo, per­
ché è superiore alla capacità dei nostri ragionamenti.
In realtà, quando noi crediamo che tutta la creazione
corporale e intelligibile è stata l'opera della natura in­
corporea ed increata, non intendiamo coinvolgere con
la fede relativa a questi punti la ricerca del perché
e del come. Certo, noi ammettiamo la realtà della
creazione, ma senza preoccupazione indiscreta lascia­
mo da parte la ricerca sul modo in cui l'universo è
stato organizzato, trattandosi di una questione del
tutto misteriosa e inesplicabile.

La potenza di Dio nel Cristo

XII. 1. Che Dio si è manifestato a noi nella car


chi ne cerca le prove ne consideri gli effetti reali. Per­
ché dell'esistenza di Dio nella sua pienezza non si può
avere altra prova che la testimonianza delle opere
stesse. Come pertanto guardando all'universo e consi­
derando i vari aspetti dell’economia del mondo e i
benefici operati nella nostra vita dall'azione divina,
veniamo a comprendere l'esistenza di ima potenza
superiore creatrice di tutto ciò che viene alla vita e
4 Cf. 1 Tim. 3, 16.
La Grande Catechesi, XIII, 1 79

conservatrice di quanto esiste, cosi riguardo al Dio


che si m anifesta a noi nella carne, riteniamo prova
sufficiente della manifestazione di Dio i miracoli nei
loro effetti, considerando nelle azioni narrate tutti
quegli aspetti che sono caratteristici della natura divina.
2. È prerogativa di Dio dare la vita agli uom
è di Dio conservare con la provvidenza gli esseri esi­
stenti, è di Dio donare il cibo e la bevanda a chi è
partecipe della vita carnale, è di Dio beneficare chi è
nel bisogno, è di Dio ristabilire con la salute la natura
alterata dalla malattia, è di Dio regnare in egual modo
su tu tta la creazione, sulla terra, sul mare, sull’aria
e sulle regioni al di sopra dell’aria, è di Dio avere
una potenza adeguata a tu tto e prim a di tutto essere
al di sopra della m orte e della corruzione. 3. Se dunque
nella rassegna relativa alle prerogative di Dio non
trovasse posto una di queste o simili caratteristiche,
coloro che sono estranei alla fede potrebbero opporre
eccezione a buon diritto al mistero della nostra reli­
gione; ma se le prerogative che rientrano nella con­
cezione di Dio si riscontrano tutte nelle trattazioni che
a Lui si riferiscono, dov’è l’impedimento per la fede?

Nascita e morte del Cristo

X III. 1. Ma, si dice, la nascita e la morte s


proprie della natura carnale. Io ne convengo. Ma la
condizione che ne precede la nascita e quella che ne
segue la m orte sono estranee alle rispettive condizioni
della nostra natura. Se, infatti, consideriamo i due
estremi della vita umana, sappiamo qual è il nostro
principio e la nostra fine: l’uomo deve la sua origine
all'infermità della passione e ad uno stato d’infermità
è legata la sua fine5. Qui (nel caso di Cristo), invece,

5 Gregorio usa qui il termine pathos (la cui ambiguità è


spiegata al c. XVI) in due sensi: riferito alla generazione per
80 Gregorio di Nissa

né la nascita ha avuto origine da tuia debolezza, né


la m orte è finita in uno stato d'infermità: infatti, né
il piacere ha procurato la nascita, né alla m orte è
subentrata la corruzione6.
2. Non credi a questo miracolo? Mi rallegro per
questa tua incredulità; perché tu riconosci pienamen­
te che quei prodigi superano la natura, mosso dagli
stessi motivi per i quali ritieni che quanto si è detto
supera la fede. La .dimostrazione, dunque, della divi­
nità di colui che si è manifestato (nella carne), la ri­
scontrerai proprio nel fatto che il messaggio evange­
lico procede al di fuori dei consueti schemi della na­
tura. Se le narrazioni concernenti il Cristo rientras­
sero nei limiti della natura, dove starebbe il divino?
Ma se l'annunzio sorpassa la natura, nei motivi stessi
della tua incredulità c'è la prova che è Dio colui che
noi predichiamo.
3. L'uomo nasce dall'unione di due elementi e
dopo la m orte si trova in uno stato di decomposi­
zione. Se questi aspetti fossero contenuti nel mes­
saggio evangelico, rifiuteresti decisamente di ricono­
scere come Dio colui che dalla nostra predicazione
risultasse soggetto alle condizioni proprie della nostra
natura. E siccome tu senti ripetere che egli (Cristo)
ha avuto si una nascita, m a non ha conservato la
comunione con la nostra natura sia per il modo della
nascita e sia per non essere suscettibile di cambiamento
che porta alla corruzione, sarebbe del tutto logico ri­
volgere la tua incredulità nell'altro senso, non am­
m ettere cioè che egli sia un uomo come quelli che si
vedono conformi alla natura.
4. Perché chi non crede che egli possiede una sif-

opera dei genitori denota la « passione »; applicato alla morte


è legato allo stato di dissoluzione e implica imperfezione,
debolezza.
« Cf. Sai. 15, 10; Atti, 2, 10.
La Grande Catechesi, XIV, 1 - XV, 1 81

fatta natura umana sarà indotto necessariamente a


riconoscerne la divinità. Di fatto, chi ci narra la sua
nascita ci descrive anche la Sua nascita da una ver­
gine7. Se si deve credere, dunque, alla sua nascita
in base a quanto è stato riferito, su questa stessa
base si esclude di dubitare che la sua nascita sia avve­
nuta in quel modo.
5. Chi ha parlato della sua nascita ha anche
giunto che la nascita fu da una vergine; e nel racconto
della morte, al ricordo della morte ha congiunto la
testimonianza della risurrezione. Se, dunque, il rac­
conto udito ti fa riconoscere che egli (Cristo) è stato
soggetto alla m orte e alla nascita, in forza dello stesso
racconto dovrai riconoscere che tanto la sua nascita
che la sua m orte sono esenti da infermità. Ma queste
sono cose che superano appunto la natura. Non rientra,
perciò, in alcun modo nel dominio della natura colui
la cui nascita è dim ostrata avvenuta in condizioni che
superano la natura.

Motivo dell’incarnazione

XIV. 1. Ma per quale motivo dunque — si contro­


batte — la divinità è discesa in ima condizione cosi
bassa? Ciò rende perplessi nel credere che Dio, l'esse­
re infinito, incomprensibile e inesprimibile, superiore
ad ogni concezione e ad ogni grandezza, si mescola
alla corruzione della natura umana, tanto che le sue
stesse sovrumane attività sono svilite nel congiungi­
mento con lo stato di bassezza.
XV. 1. Non abbiamo difficoltà a dare a questa
obbiezione una risposta adeguata alla grandezza divi­
na. 2. Vuoi sapere il motivo della nascita di Dio fra gli
uomini? Se escludi dalla vita i benefici operati da Dio,

i Cf. Mt. 1; Le. 2.


82 Gregorio di Nissa

non potrai dire quali aspetti ti consentano di ricono­


scere la divinità. Perché sono i benefici che riceviamo
a farci conoscere il benefattore: considerando quanto
avviene intorno a noi, giungiamo a raffigurarci per ana­
logia la natura del benefattore. Se dunque l'amore per
l'um anità è una caratteristica propria della natura
divina, ecco la ragione che tu cercavi, il motivo della
presenza di Dio nell'umanità®.

L'uomo « visitato »

3. La nostra natura prostrata aveva bisogno del


medico, l'uomo caduto abbisognava di chi lo risolle­
vasse, colui che aveva perduto la vita abbisognava
dell’autore della vita, colui che si era staccato dalla
partecipazione del bene aveva bisogno di colui che ri­
conduce al bene, si richiedeva la presenza della luce
per colui che era racchiuso nella tenebra, lo schiavo
cercava il liberatore, il prigioniero il difensore, l'uomo
tenuto sotto il giogo della schiavitù il redentore.
E questi erano motivi piccoli e da poco capaci
di far esitare Dio a discendere fino a noi per visitare
la natura umana, che giaceva in una condizione cosi
miserabile e infelice?

Non poteva Dio salvare l’uomo con la sola potenza?

4. Ma, si dice, Dio poteva beneficare l'uomo e rima­


nere esente da ogni debolezza. Colui che ha organizzato
l'universo con un atto di volontà e al non essere ha
dato l ’esistenza col solo slancio del suo volere, perché
non ha anche sottratto l'uomo al potere nemico con
una potenza autorevole e divina per ricondurlo alla

8 II paragrafo riflette esperienze e insegnamenti biblici,


come Es. 3, 8; 4, 31; Tit. 3, 4.
La Grande Catechesi, XV, 4-5 83

condizione originaria, se ciò gli era gradito?9. Invece


egli ripercorre un cammino lungo e complesso, rive­
stendo la natura corporale, entrando nella vita median­
te la nascita, percorrendo successivamente tutte le tap­
pe della vita, facendo poi l’esperienza della m o rte 10, e
portando cosi a termine il suo scopo mediante la risur­
rezione del proprio corpo, come se a lui non fosse pos­
sibile, rimanendo nell'altezza della sua gloria, salvare
l'uomo con un decreto e rinunciare a un itinerario cosi
complicato. È necessario, dunque, stabilire da parte
nostra la verità di fronte ad obbiezioni di tal genere,
allo scopo di togliere ogni impedimento alla fede di
coloro che cercano con cura la spiegazione razionale
del mistero.
5. Innanzi tu tto esaminiamo ora, come in qua
modo abbiamo fatto precedentemente, che cosa si
oppone propriam ente alla virtù. Come la tenebra alla
luce e la morte alla vita, cosi il vizio e non altro si
oppone chiaramente alla virtù. Fra i tanti elementi
che osserviamo nella natura nessuno si oppone alla
luce o alla vita — né la pietra, né il legno, né l’acqua,
né l'uomo né alcun'altra delle cose esistenti — se non
ciò che rientra nell'idea di opposizione diretta e spe­
cifica, come la tenebra e la morte; lo stesso avviene
per la virtù: nessuno direbbe che si possa concepire
qualcosa del mondo creato come opposto ad essa se
non l'idea del vizio.

9 L’obbiezione, su cui Gregorio tom a di frequente, era


m olto diffusa fra gli oppositori del cristianesimo e fra le
persone perplesse in cerca di giustificazioni razionali circa il
mistero dell’incarnazione. Cf. Clemente Aless., Strom., 1, 7;
Origene, Contr. Cels., 4, 3.
w Cf. Ebr. 2, 9.
84 Gregorio di Nissa

L ’incarnazione non ha abbassato la natura divina

6. Se avessimo sostenuto nel nostro insegnamen­


to che la divinità si è incarnata nel vizio, il nostro
contraddittore attaccherebbe con ragione la nostra
fede, in quanto che la nostra dottrina conterrebbe ri­
guardo alla divinità aspetti sconvenienti e assurdi:
perché sarebbe davvero iniquo dire che la sapienza
in persona, la bontà e l'incorruttibilità e ogni possibi­
le nozione e denominazione sublime, si siano trasfor­
m ate nel loro contrario.
7. Se, dunque, Dio è la virtù vera, e d’altra parte
nessuna realtà naturale si oppone alla virtù se non
il vizio, e Dio non nasce nel vizio ma nella natura
dell’uomo ed è indegna di Dio e avvilente soltanto la
debolezza del vizio, nella quale Dio non è nato né per
natura sua poteva nascervi, perché hanno vergogna
di riconoscere che Dio si è congiunto con la natura
umana, dal momento che nessuna opposizione col
concetto di virtù si può scorgere nella costituzione
dell'uomo? Difatti, né la facoltà razionale, né l'intel­
lettiva, né quella conoscitiva, né altra facoltà del
genere propria dell'essenza umana, si trova in oppo­
sizione alla virtù.

Che cos’è la debolezza?

XVI. 1. Ma la stessa trasformazione cui va sogg


il nostro corpo, si dice, è Un'infermità. E colui che
nasce in questo corpo viene a trovarsi nell'infermità:
ma Dio è esente da ogni infermità. Si ha dunque una
concezione errata di Dio, se si presume che colui che
è impassibile per natura venga a condividere uno
stato di passibilità. Ma a queste obbiezioni risponde­
remo ancora con lo stesso argomento: il termine « in­
ferm ità » si usa in senso proprio e in senso improprio.
La Grande Catechesi, XVI, 1-3 85

Ciò che implicando la volontà conduce dalla virtù al


vizio, questo è ima vera infermità, mentre quanto si
scorge nella natura in tutta l’estensione del suo evol­
versi progressivo, si direbbe più propriamente un’atti­
vità anziché un’infermità; cosi la nascita, la crescita,
la permanenza del soggetto mediante l’apporto e la
eliminazione del nutrimento, la combinazione degli
elementi per la formazione del corpo, e inversamente
la dissoluzione del composto e il ritorno agli elementi
connaturali.
2. Con chi, dunque, si è unita la divinità, secondo
il mistero della nostra fede? Con l’infermità propria­
mente detta, cioè col vizio, oppure con la mutabilità
propria della nostra natura? Perché se il nostro inse­
gnamento sostenesse che la divinità è discesa in quelle
realtà inaccettabili, si dovrebbe fuggire l’assurdo di
questa dottrina, perché non espone nulla di sensato
circa la natura divina; se, invece, l’insegnamento della
fede afferma che Dio si è unito alla nostra natura, la
cui origine e il cui principio dell’esistenza ebbe inizio
da lui, dov’è l’errore del messaggio cristiano circa la
debita nozione di Dio, dato che nelle nostre idee su
Dio alla fede non si accompagna alcuna condizione
d’infermità? Né, infatti, diciamo che il medico si trova
affetto dall’infermità, quando appresta le sue cure a
chi ne è colpito; ma se pure viene a contatto con la
m alattia, il medico rimane esente dall'infermità.

La nascita, la vita, sono dei beni

3. Se la nascita in se stessa non è un'infermità,


neppure si potrà chiamare la vita un’infermità; ma
la debolezza voluttuosa che guida la generazione uma­
na, e l’impulso degli esseri viventi verso il vizio, questi
costituiscono la m alattia della nostra natura; Dio,
invece, come insegna la fede, è esente dall’uno e dal­
86 Gregorio di Nissa

l’altra. Se, dunque, la nascita è stata estranea alla


voluttà e la vita esente dal vizio, quale infermità sussi­
ste cui abbia partecipato Dio, secondo il mistero della
fede?
4. E qualora si volesse chiamare infermità la disso­
ciazione dell'anima dal corpo, sarebbe molto più giusto
denominare cosi l'incontro dei due elementi. Perché
se la separazione degli elementi già congiunti è un’in­
ferm ità, lo sarà ugualmente l’unione degli elementi che
erano separati; difatti, vi è un certo cambiamento tanto
nell’aggregazione di ciò che è disgiunto, quanto nella
dissociazione degli elementi congiunti o associati in
unità.

Dalla morte alla vita

5. La denominazione che si applica al cambiamento


finale è la stessa che conviene riferire al movimento
iniziale. Ora, se il primo cambiamento, che noi chia­
miamo nascita, non è ima infermità, neppure il se­
condo che noi chiamiamo m orte e nel quale si dissolve
l’unione del corpo e deH'anima, di conseguenza si po­
trebbe chiamare infermità.
6. Dio, noi sosteniamo, ha sperimentato i due mo­
vimenti della nostra natura, per cui l'anima si unisce
al corpo e il corpo si disgiunge dall’anima; e affer­
miamo che Dio una volta congiunto a questi due ele­
menti, voglio dire all'elemento sensibile e a quello
intelligibile del composto umano, mediante questa
ineffabile e inesprimibile unione ha dato compimento
al suo piano: l'unione degli elementi una volta congiun­
ti, cioè dell'anima e del coipo, rimane per sempre.
La Grande Catechesi, XVI, 7-9 87

La risurrezione del Cristo

7. Siccome la nostra natura, in realtà, per effetto


dell’ordine naturale suo proprio, è soggetta alla disso­
ciazione del corpo e dell'anima anche nella persona di
Dio, egli (Dio) ha di nuovo riunito le parti separate
come con tuia specie di glutine e cioè con la potenza
divina, armonizzando insieme nell'unità indistruttibile
ciò che era stato dissociato. E questo è la risurrezione,
il ritorno, cioè, dopo la dissociazione degli elementi
già congiunti ad una inscindibile unione, strettamente
legati fra loro, sicché la grazia originaria che rivestiva
l'um anità potesse essere ripristinata, e noi potessimo
di nuovo tornare alla vita eterna, dopo che il vizio
inerente alla natura fosse scomparso attraverso la de­
composizione, come avviene per il liquido che si spande
e svanisce, quando si rompe il vaso che lo contiene
senza che vi sia qualcosa che lo raccolga.

Verso la risurrezione universale

8. Ora, come il principio della morte prodottosi


nel prim o uomo penetrò insieme nell'intera natura
u m an a11, allo stesso modo anche il principio della
risurrezione si estende in grazia di uno solo all'intera
umanità. Colui infatti che ha riunito al proprio corpo
l’anima da lui già assunta mediante la sua stessa po­
tenza comunicata all'una e all’altro nella loro origina-·
ria condizione, ha congiunto insieme, su una base ben
più vasta, la sostanza intelligibile con quella sensibile,
cosicché l'impulso iniziale prosegue logicamente senza
difficoltà il suo cammino fino al termine.
9. Il fatto che nell'uomo da lui già assunto l’anima

» Cf. Rom. 5, 15; 1 Cor. 15, 21.


88 Gregorio di Nissa

si ricongiunge al corpo dopo la decomposizione12, co­


stituisce come un punto di partenza di un movimento
che per la potenza di Lui porta ugualmente a tutta
l'um anità l'unione di ciò che era stato separato. Ed
è questo il m istero del disegno di Dio circa la morte
e la risurrezione dai morti: se pure non ha impedito
che con la m orte l'anim a fosse separata dal corpo
secondo l'ordine necessario della natura, li ha ritmiti
di nuovo insieme mediante la risurrezione, in modo
che egli stesso divenisse punto d'incontro della morte
e della vita u, arrestando in se stesso la disgregazione
della natura causata dalla morte, e insieme divenendo
lui stesso principio di riunificazione degli elementi
separati.

n L'espressione, in cui Gregorio in tutta buona fede usa


il termine « uomo » anziché « natura umana », poteva suonare
in senso nestoriano dopo il concilio calcedonese; m a il senso
ortodosso dell'affermazione di Gregorio appare già chiaro da
passi paralleli come in Antirrh., 2.
13 La concezione del m ethòrion o « punto d'incontro » è
rilevante nella teologia del Nisseno (vedi J. Daniélou, La notion
de confins chez Grégoire de Nysse, in « Recherches de Science
Religieuse » 49, 1961, pp. 161-197). La natura della creatura
intelligente è posta come nel punto di confine fra il male e il
bene, il vizio e la virtù, e può scegliere di partecipare all'uno
o all’altra. Cristo assumendo la natura umana diventa punto
d'incontro della vita e della morte, e vincendo la morte offre
all’uomo il mezzo e la via di superare la sua drammatica
ambiguità.
IL MISTERO DI DIO

Oscurità nella condotta di Dio


XVII. 1. Ma l'obbiezione che ci è stata solleva
si dirà, non è ancora risolta, e l’argomento proposto
dagli increduli è reso ancor più valido da quanto si
è detto. Difatti, se in Dio risiede tanto potere quanto
è stato dim ostrato nel nostro discorso, per cui sta a
Lui distruggere la m orte e far entrare nella vita, per­
ché non esegue il suo progetto con un semplice atto
della volontà, m a effettua la nostra salvezza con un
cammino complicato, nascendo sulla terra e divenendo
adulto e salvando l’uomo mediante l'esperienza della
morte, quando gli era possibile salvarci anche senza
tutto questo?
2. Di fronte a tale obbiezione basterebbe far rile­
vare alle persone di giudizio che non sono i malati a
stabilire ai medici come condurre la cura, né essi con­
testano ai loro benefattori la form a del trattam ento
terapeutico, chiedendo per quale ragione colui che li
cura si sia accostato a toccare la parte m alata e perché
abbia escogitato quel tale rimedio del male piuttosto
che un altro, ma guardando al risultato finale della
proficua prestazione accolgono con riconoscenza il be­
nefico servizio.
3. Ma poiché, come dice la profezia1, la grandezza
i Cf. Sai. 31, 20.
90 Gregorio di Nissa

della divina bontà avvolge nel mistero la sua opera di


salvezza e non è possibile riconoscerla chiaramente in
questa vita — perché altrim enti ogni obbiezione degli
increduli cadrebbe se il contenuto della nostra speran­
za fosse aperto ai nostri occhi; ora, invece, Egli atten­
de i secoli futuri, perché allora siano svelati i misteri
che ora conosciamo soltanto attraverso la fede —
per tutto ciò sarebbe necessario ricercare in quanto è
possibile, con motivazioni adatte, la soluzione ai nostri
quesiti in accordo con i punti precedenti.

Sparizione dell'idolatria

XVIII. 1. Ed è forse superfluo, se si crede che


è disceso fra noi in questa vita, m ettere in discussione
la sua presenza, col pretesto che essa sia avvenuta
senza seguire un disegno di sapienza e una dispo­
sizione superiore. Per coloro che non hanno troppa
avversione nei confronti della verità vi è ima prova
non trascurabile della venuta di Dio sulla terra, prova
resa manifesta nella vita presente ancor prim a della
vita futura, voglio dire la testimonianza resa dai fatti
stessi. 2. Chi non sa come l’inganno dei demoni si
sia compiuto in ogni parte della terra col dominio di
costoro sulla vita degli uomini mediante l’insensato
culto degli idoli? E come questo fosse usuale presso
tutti i popoli del mondo, rendere onore cioè ai demoni
attraverso gli idoli facendo sacrifici di animali e con­
taminando di sozzure gli altari? 3. Ma da quando,
come dice l'Apostolo2, si è manifestata la grazia di
Dio per la salvezza di tu tti gli uomini, venendo Egli
stesso ad abitare fra noi nella natura umana, tutto
è scomparso nel nulla come fumo: sono cessate le
insensatezze degli oracoli e delle predizioni, abolite

2 Cf. Tit. 2, 11.


La Grande Catechesi, XVIII, 3-4 91

le processioni annuali e le contaminazioni col sangue


delle ecatombi, e nella gran parte dei popoli sono scom­
parsi completamente altari, propilei, santuari, simu­
lacri e ogni altra pratica seguita dai servitori dei
demoni con inganno di se stessi e di quanti incontrano,
sicché in molte parti neppure ci si ricorda se queste
cose siano mai esistite, mentre dovunque si sono innal­
zati nel nome del Cristo templi e altari ed è sorto il
sacerdozio augusto e non contaminato dal sangue, e
la sapienza3 sublime che si regola sulle opere più
che sulle parole, e il disprezzo della vita corporale e
della morte. Di questo disprezzo dettero chiara testi­
monianza quanti subirono violenza da parte dei ti­
ranni per tradire la fede, accogliendo con indifferenza
gli oltraggi del corpo e la condanna a morte; e certa­
mente non avrebbero sostenuto queste prove se non
avessero avuto l'attestazione certa e incontestabile
della venuta di Dio sulla terra.

Distruzione del tempio di Gerusalemme

4. Quello che ora diremo è in se stesso prova


ficiente anche per i giudei della venuta sulla terra di
colui al quale essi non vogliono credere. Fino alla
manifestazione divina del Cristo splendido appariva
il loro palazzo reale in Gerusalemme, quel loro celebre
tempio, i sacrifici annuali prescritti dalla legge, tutto
quanto era legalmente stabilito in forma velata per
coloro che erano capaci d ’intendere il mistero, tutto

3 La parola philosophia usata nel testo è frequentissima


negli scritti patristici in vari significati e con diverse sfumature
(v. A.M. Malingray, Philosophia, Parigi 1961). Più che la
« vita ascetica e monastica » propriamente detta (Krabinger) ci
sembra qui esprimere l'esperienza della vita cristiana, supe­
riore nei suoi principi e nella sua pratica ad ogni « filosofia »
profana.
92 Gregorio di Nissa

fino a quel tempo procedeva senza ostacoli secondo il


rito religioso prescritto a loro fin dall’inizio. 5. Ma
quando essi videro colui che era atteso, di cui aveva
loro parlato l'insegnamento dei profeti e della legge,
e quando alla fede nella sua rivelazione preferirono
quella pratica superstiziosa del resto piena di errori,
che da loro male intesa li portava a conservare la let­
tera della legge, divenendo cosi servi più della con­
suetudine che dello spirito, allora non accolsero la
grazia che si era manifestata, e gli aspetti venerandi
del loro culto restano ora relegati nei soli racconti:
il tempio non è più riconoscibile neppure dai resti,
di quella splendida città non restano che ruderi, e
delle antiche prescrizioni nulla resta ai giudei, ma
perfino l'accesso al luogo santo in Gerusalemme è
ora interdetto con decreto im periale4.

La natura di Dio

XIX. 1. Tuttavia, giacché né i pagani né i fau


delle dottrine giudaiche ritengono che questi fatti costi­
tuiscano delle prove della presenza divina fra noi,
sarebbe bene che riguardo alle obbiezioni presentateci
la nostra argomentazione definisse in particolare per
quale ragione la natura divina si è imita alla nostra,
salvando l'um anità con un suo diretto intervento an­
ziché realizzare il suo disegno con un decreto. Come
dunque si potrebbe cominciare per condurre logica­
mente il nostro discorso allo scopo prefisso? Come
iniziare se non esponendo per sommi capi le idee che
la pietà si è fatta intorno a Dio?

4 Gerusalemme col suo splendido tempio fu distrutta dal­


l'esercito di Tito nell'aimo 70. Nel 134-135 l'imperatore Adriano
ricostruì la città denominandola Aelia Capitolina.
La Grande Catechesi, XX, 1-3 93

Gli attributi divini

XX. 1. Ora, tutti convengono che nella divin


bisogna riconoscere non soltanto la potenza, ma anche
la giustizia, la bontà, la sapienza e tutto ciò che induce
la mente verso l’essere superiore. Di conseguenza, nel
presente piano di salvezza non può imo degli attributi
propri di Dio manifestarsi nei fatti e un altro no; per­
ché non ce n ’è assolutamente imo di questi semplici
attributi che da solo e separato dagli altri costituisca
la virtù: né la bontà è realmente tale se non accom­
pagnata dalla giustizia, dalla saggezza e dalla potenza,
perché ciò che non è giusto o privo di saggezza o di
potenza non è buono; né la potenza separata dalla
giustizia e dalla saggezza può ritenersi come apparte­
nente alla virtù; una tale forma di potenza è qualcosa
di brutale e di tirannico. 2. E cosi è anche degli altri
attributi: della saggezza, se si presentasse senza la
giustizia, della giustizia se considerata senza la poten­
za e la bontà: attributi di questa specie si chiamereb­
bero più propriam ente col nome di vizio. Come si
potrebbe annoverare fra i beni ciò a cui fa difetto
l'elemento superiore?

Bontà di Dio

3. E dato che nelle nostre idee intorno a Dio


bono trovarsi ritmiti tutti i relativi attributi, esami­
niamo se al piano di salvezza che ha per oggetto
l’uomo fa difetto qualcuna delle concezioni proprie
di Dio. E quale prova della bontà potrebbe essere più
chiara del fatto che Dio richiama a sé colui che era
passato al nemico, senza che la natura fissa nel bene
e immutabile sia condizionata dalla mutabilità del
volere umano? Perché Egli non sarebbe venuto a
salvarci, come dice David, se non fosse stata la bontà
94 Gregorio di Nissa

l’ispiratrice di questo disegno5. 4. Ma la bontà di questo


piano di salvezza sarebbe stata inutile se la sapienza
non avesse reso operante l’amore verso l’uomo. Di
fronte a coloro che giacciono nell'infermità sono molti
a desiderare che la persona sofferente sia liberata dai
mali, m a portano a compimento la loro buona inten­
zione in favore dei sofferenti soltanto coloro che sono
fom iti di capacità tecnica effettivamente operativa per
la guarigione del malato. Bisogna dunque che la sa­
pienza si sia unita perfettamente alla bontà. 5. E
come si può riscontrare nei fatti la sapienza unita
alla bontà? Perché la bontà dell'intenzione non si può
vedere a sé stante. Come si potrebbe manifestare l’in­
tenzione se non si esprimesse attraverso i fatti? Gli
avvenimenti appunto, seguendo nel loro svolgimento
una linea di coerenza e di ordine, svelano con chiarezza
il disegno di salvezza di Dio.
6. E poiché, come si è detto precedentemente
saggezza è una virtù solo se congiunta con la giustizia,
mentre se ne è separata, presa in sé isolatamente non
è un bene, si richiederebbe che anche riguardo alla
dottrina circa il progetto di salvezza dell'uomo si in­
tendessero congiunti insieme i due attributi, cioè a dire
la sapienza e la giustizia.

La giustizia di Dio

XXI. 1. Che cos'è pertanto la giustizia? Noi ri


diamo bene quanto si è affermato consequenzialmente
agli inizi del nostro discorso, che cioè l’uomo è stato
creato ad immagine della natura divina, e preserva
la sua somiglianza con Dio mediante gli altri beni
ricevuti e con la libertà di scelta, ma è necessariamente
mutevole di n a tu ra 6: non era infatti possibile che

5 Cf. Sai. 106, 4-5; 119, 65-66.68.


6 Presentazione sintetica di un’antropologia espressa altro-
La Grande Catechesi, XXI, 1-3 95

fosse immutabile colui che doveva proprio ad un cam­


biamento il principio della sua esistenza. Perché il
passaggio dal non essere all’essere è un mutamento,
per cui la non esistenza passa all’esistenza in virtù
della potenza divina; e d’altra parte il cambiamento
si riscontra necessariamente nell’uomo, dal momento
che questi era un'immagine della divina natura, e ciò
che è immagine, se non interviene qualcosa che lo
differenzi, sarebbe del tutto identico al soggetto del
quale ha la somiglianza.

Differenza fra l’immagine e il modello

2. Ora, la differenza fra chi è fatto ad immagine


e il suo modello consiste in questo, che l’uno è immu­
tabile per natura, l’altro invece deve la sua esistenza
ad un cambiamento, come si è detto precedentemente,
ed essendo soggetto al mutamento non resta nell’esse­
re in modo assoluto. 3. Il cambiamento è un movimento
che procede senza sosta dallo stato di partenza verso
una condizione differente; e un movimento di tal ge­
nere com porta due forme: una consiste nel movimento
incessante verso il bene, e qui il processo non ha
so sta7, perché non si riscontra alcun termine del cam­
mino percorso; l’altra consiste nel movimento verso
l’opposto (il male), la cui essenza è di non avere esi­
stenza, poiché il contrario del bene, come si è detto
prima, ha valore di contrapposizione affine a quello
per cui diciamo che l’essere si oppone al non essere

ve più estesamente: cf. De opif. hom., 16, dove concetti biblici


sono collegati a idee desunte dal medioplatonismo.
7 Accenno ad un tema suggestivo e tipico del Nisseno:
l'inesauribile movimento dell’anima verso il bene e quindi
verso Dio, in una tensione (epèktasis) eterna che perdura oltre
la vita temporale: v. V ita Mosis, 219 ss.; De opif. homin., 21;
cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie m ystique, Parigi 1944,
pp. 291 ss.
96 Gregorio di Nissa

e l’esistenza alla non esistenza. In una parola, nella


propulsione e nel m oto che comportano variazione e
cambiamento non è possibile alla natura restare im­
mobile in se stessa, m a la nostra volontà tende total­
mente verso uno scopo, spinta com’è per natura dal
desiderio del bene verso l'azione.

Le form e del bene

4. Ma il bene si presenta sotto due aspetti: il b


vero secondo natura, e l’altro diverso da questo ma
sotto i colori di un’apparenza di bene; e la facoltà che
ne opera il discernimento è l’intelligenza, stabilita den­
tro di noi, con la quale si giocano due alternative: o
si raggiunge il vero bene o staccandocene per un in­
ganno dell'apparenza cadiamo nello stato opposto,
come avvenne, secondo la favola pagana, alla cagna,
che vedendo nell’acqua l’ombra di quel che teneva
in bocca, lasciò andare il cibo vero, e volendo afferrare
l’immagine del cibo che teneva rimase con la sua fame.
5. L’intelligenza, dunque, tra tta in inganno proprio
nel suo desiderio del vero bene, fu distolta verso ciò
che non ha esistenza, convinta, per l’arte subdola del­
l’istigatore e inventore del male, che fosse un bene
ciò che era l’opposto del bene; perché l’inganno non
avrebbe avuto alcun effetto, se l’apparenza del bene
non fosse stata impastata, a modo di esca, con l’amo
del vizio. L’uomo perciò venne a trovarsi per sua vo­
lontà in questa condizione disastrosa, quando, a causa
del piacere, si rese schiavo del nemico della vita. Cer­
cate, dunque, con me, gli attributi che convengono ai
concetti riguardanti Dio, come la bontà, la sapienza,
la giustizia, la potenza, l’incorruttibilità e quanti altri
caratterizzano la divinità. 6. In quanto buono Egli è
mosso a pietà per l ’uomo caduto, in quanto sapiente
non ignora il modo per salvarlo. Ma anche il giudizio
La Grande Catechesi, XXII, 1-2 97

di ciò che è giusto è proprio della sapienza, perché


non si potrebbe connettere la vera giustizia con la
stoltezza.

Giustizia e riscatto

XXII. 1. In che consiste, dunque, in questo ca


la giustizia? Nel non aver usato alcun potere tirannico
contro colui che ci dominava, e nel non aver lasciato,
strappandoci a tal padrone con la superiorità della sua
potenza, alcun motivo di difesa giuridica a colui che
mediante il piacere aveva asservito l'uomo®. Coloro,
infatti, che hanno venduto la propria libertà per de­
naro diventano schiavi dei compratori, perché si sono
costituiti venditori di se stessi, e non è consentito né
a loro, né ad alcun altro per loro, reclamare la libertà,
fossero pure di nobile famiglia quelli che si sono impli­
cati in questa m ala sorte; 2. e se per sollecitudine
verso chi si è venduto qualcuno usasse violenza nei
confronti del compratore, apparirebbe ingiusto, libe­
rando in m aniera tirannica chi è stato comprato legal­
mente, m entre se volesse riscattarlo, nessuna legge
glielo impedirebbe. Allo stesso modo, essendoci noi
venduti volontariamente, era necessario che colui il
quale ci riconquistava per bontà alla vita libera escogi­
tasse non un processo di redenzione tirannico m a un
pieino rispondente alla giustizia. Ed è appunto questo
il tipo di procedimento escogitato: concedere al pos-

8 Stilla giustizia del riscatto pagato a satana nella persona


del Cristo v. Introduzione, p. 33. A parte l'apparente stor­
tura del procedimento, in cui satana appare come partner di
Dio (ma l'elemento non è estraneo alla rivelazione biblica,
come nel Prologo al libro di Giobbe), nella spiegazione Gregorio
utilizza dati e aspetti del diritto contemporaneo e s’inserisce
nel contesto di un problema affrontato con varie sfumature
dalla tradizione patristica, da Ireneo a Origene fino ad
Ambrogio, ad Agostino e a Cesario di Arles.
98 Gregorio di Nissa

sessore la scelta del riscatto voluto per colui che era


imprigionato.

Riscatto dell’umanità
XXIII. 1. E qual era il riscatto più convenie
preferito dal padrone? Seguendo la logica del nostro
ragionamento si può arrivare a congetturare il suo
desiderio, se l'evidenza delle premesse è tale da fornirci
le prove dei presenti quesiti. Colui che, secondo l’in­
segnamento esposto all'inizio del trattato, aveva chiuso
gli occhi al bene per invidia verso la felicità dell’uomo,
e aveva generato in se stesso le tenebre del vizio, ed
era malato di ambizione che è principio e fondamento
della perversione e in certo modo madre di ogni altro
vizio, a qual prezzo avrebbe scambiato l'uomo in suo
potere se non dietro un riscatto più alto e più grande,
di modo che potesse meglio soddisfare la passione del
suo orgoglio ricevendo molto più di quanto egli con­
cedeva?
Le meraviglie di Dio nella storia della salvezza
2. Ma in nessuna delle storie dei tempi passati
riscontrava qualcosa di simile a quanto ora vedeva
manifestarsi: un concepimento senza unione carnale,
una nascita non soggetta a corruzione, l’allattam ento
da parte di una vergine, voci discese da regioni invi­
sibili a testimonianza della mirabile nascita, la guari­
gione di m alattie naturali senza fatica e senza medicine,
operata d a Lui (Cristo) con la sola parola e col semplice
movimento della volontà, il ritorno dei m orti alla
vita, il terrore suscitato nei demoni, il potere d’im­
porsi ai fenomeni atm osferici9 e di camminare sul
m a re 10 non perché il m are si fosse aperto mettendo a
9 Cf. Mt. 8, 26-27.
10 Cf. Mt. 14, 20.25-26; Me. 6, 4849; Gv. 6, 49.
La Grande Catechesi, XXIII, 2-3 99

nudo il fondo ai passanti come nel caso miracoloso di


Mosè, m a perché al suo passaggio la superficie del­
l'acqua era divenuta solida e con sicura resistenza
sosteneva il passo; e ancora, l’astensione dal cibo pro­
tra tta a suo piacere, le copiose mense offerte nel deser­
to a molte migliaia di convitati, ai quali né il cielo
faceva scendere la manna né la terra fornendo loro
i suoi prodotti naturali ne soddisfaceva i bisogni, ma
per i quali la generosità della divina potenza interve­
niva con i suoi ineffabili tesori: il pane subito pronto,
come prodotto della terra, nelle mani dei ministri e
moltiplicato per saziare i commensali, e la squisita
provvista dei pesci non somministrati loro dal mare
per il fabbisogno, ma grazie a colui che aveva seminato
nel m are tutte le specie dei pesci.

Il Cristo riscatto
3. E come si potrebbero narrare ad uno ad u
miracoli del Vangelo? Osservando, dunque, tale poten­
za il nemico si rese conto che in quell’affare ciò che
gli veniva proposto era maggiore di quanto era in suo
possesso. È per questo ohe egli scelse che fosse Lui
(Cristo) il riscatto per coloro che erano rinchiusi nella
prigione della morte. Ma non gli era possibile contem­
plare direttam ente l'aspetto di D io11, senza vedere in
Lui una parte di quella carne di cui si era già reso pa­
drone col peccato12. Perciò la divinità si è rivestita
della carne, perché cosi egli con l'occhio rivolto all'ele­
m ento che gli era ben noto e familiare non potesse es­
sere spaventato all'aw icinarsi della potenza superiore,
e considerando la potenza la cui luce cresceva pian
piano attraverso i miracoli, ritenesse questa visione
più desiderabile che temibile.
u Cf. 1 Cor. 2, 8.
12 L’idea della natura umana che nasconde come un velo
la gloria della natura divina agli occhi di satana è presente
100 Gregorio di Nissa

Bontà e giustizia

4. Voi vedete come la bontà si è congiunta


giustizia e come la sapienza non è da queste separata.
La divina potenza ha escogitato di rendersi accessibile
rivestendosi del corpo, affinché il piano della nostra
salvezza non fosse impedito dalla paura dell’appari­
zione divina; ciò dim ostra l’unione dei tre attributi:
la bontà, la sapienza, la giustizia. La decisione di sal­
varci testimonia la sua bontà, l'aver dato un carattere
contrattuale al riscatto per la creatura tenuta in schia­
vitù dimostra la giustizia, il fatto poi di aver reso al
nemico intenzionalmente accessibile l'inaccessibile è la
dimostrazione della sapienza suprema.

Potenza manifestata nell’incarnazione

XXIV. 1. Ma è naturale che chi porge attenzi


alla logica dei nostri ragionamenti cerchi dove si riscon­
tri nei fatti menzionati la potenza della divinità e dove
l’incorruttibilità della potenza divina. Allora, perché
anche queste idee risultino del tutto chiare, esaminia­
mo accuratamente gli aspetti collegati col mistero,
nei quali si m anifesta al massimo la potenza congiunta
all’amore per l’umanità.

La discesa di Dio

2. Prima di tutto, il fatto che la natura onn


tente sia discesa fino alla povertà della natura umana
costituisce ima prova di maggior potenza di quanto non
con maggiori dettagli negli scritti di vari Padri, fra i quali
Gregorio Nazianzeno, Or., 39, 13; e risale probabilmente a
1 Cor. 2, 8, dove Paolo parla della sapienza avvolta nel mistero,
che «nessuno dei principi di questo mondo ha potuto cono­
scere; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il
Signore della gloria».
La Grande Catechesi, XXIV, 2-3 101

lo siano la grandiosità e il carattere soprannaturale dei


miracoli. Che da parte della potenza divina si compia
una azione grande e sublime è cosa logicamente con­
seguente alla sua natura. E non si farebbe ascoltare
nulla di strano se si dicesse che tutta la creazione esi­
stente nell’universo, e tutto quanto è compreso al di
fuori del mondo visibile, si è formato in virtù della
potenza di Dio, essendo la sua volontà divenuta so­
stanza secondo il suo disegno. Ma l’abbassamento di
Dio fino alla debolezza dell'uomo costituisce una sovrab­
bondanza della sua potenza, che non trova alcun impe­
dimento in ciò che è al di fuori della sua natura.
La potenza divina manifestata nella debolezza della
carne
3. Come è proprio della natura del fuoco il m
mento verso l'alto, e nessuno troverebbe da meravi­
gliarsi di ciò che è naturale alla fiamma, mentre se si
vede la fiamma volgersi al basso alla maniera dei corpi
pesanti, si considera sorprendente un fenomeno del
genere, come mai cioè il fuoco continui a rimanere
tale e insieme per il modo del suo movimento deroghi
alla sua natura tendendo verso il basso; cosi avviene
anche per la divina e suprema potenza: non le immen­
sità dei cieli né lo splendore degli astri, né l’ordina­
mento dell'universo o l'ininterrotta economia del mon­
do possono esprimerla tanto quanto la sua « discesa »
nella fragilità della nostra natura riesce a manifestar­
la, m ostrando come la grandezza, divenuta presente
nella debolezza, resta visibile anche nella debolezza
senza perder nulla della sua sublimità, e come la
divinità, congiungendosi alla natura umana, ne assume
l’esistenza rimanendo se stessa13.
13 È qui sintetizzata la dottrina di Gregorio circa l’unione
delle due nature nella persona del Verbo, che assume una
determinata natura umana, restando intatta la trascendenza
della natura divina.
102 Gregorio di Nissa

Il nemico ingannato

4. Poiché, come si è detto prima, la potenza avversa


era neH'impossibilità naturale di aver contatto con la
presenza pura di Dio e di sostenere la sua apparizione
senza velo, perché il riscatto divenisse di più facile
presa da parte di chi lo richiedeva sul nostro conto,
la divinità si nascose sotto il velo della nostra natura,
affinché come nel caso di certi pesci golosi insieme
all’esca della carne venisse tratto via l'amo della divi­
nità, e cosi, essendosi la vita collocata nella m orte ed
essendo scesa la luce a splendere nella tenebra, venis­
se a scomparire ciò che s’intende come opposto alla
luce e alla vita. È naturalm ente impossibile alla tenebra
di rimanere quando sia presente la luce e alla morte
di restare dinanzi alla vita in azione.

Dio si svela nella storia della salvezza

5. Riprendiamo, dunque, per sommi capi, gli aspet­


ti che conseguono al mistero e completiamone la giu­
stificazione in risposta a coloro che accusano l'econo­
mia divina per la ragione che la divinità realizza con
intervento personale la salvezza dell'uomo. Bisogna che
alla divinità siano conservati in tutto gli attributi che
le competono, e non bisogna affermare da una parte
un concetto elevato di essa ed escludere dall’altra un
carattere proprio della dignità che compete a Dio;
ma ogni idea alta e conforme alla pietà deve essere
riconosciuta per fede in modo assoluto in Dio, e l’una
deve collegarsi all'altra per logica conseguenza. 6. Sono
state intanto dimostrate la bontà, la sapienza, la giusti­
zia, la potenza, l'incorruttibilità: tutti attributi che
si manifestano nella valutazione del disegno di sal­
vezza che ci riguarda. La bontà si riconosce nella
La Grande Catechesi, XXV, 1 103

volontà di salvare l'uomo perd u to 14, la sapienza e la


giustizia si sono rivelate nel modo di salvarci, la po­
tenza nel farsi simile all’uomo e nell’assumere una
forma legata alla debolezza della nostra natura, nell'aver
fatto credere che egli a somiglianza degli uomini
poteva essere soggetto alla morte, e infine nel realiz­
zare, una volta divenuto uomo, ciò che gli era proprio
e connaturale. 7. Ma è proprio della luce dissipare la
tenebra, ed è della vita distruggere la morte. E poiché
lasciandoci fuorviare dalla retta via siamo stati distolti
dalla vita fin dall’inizio e gettati nella morte, che cosa
c’è d ’inverosimile nell’insegnamento della nostra fede
quando ci dice che la purezza riveste coloro che si
erano macchiati di peccato, la vita è donata a chi era
morto, e la guida a chi si era smarrito, affinché scom­
paia la bruttura, l’errore sia riparato, e colui che era
m orto ritorni alla vita?

Dio nella sua opera

XXV. 1. Che la divinità assuma la nostra nat


non può presentare nulla di strano in opposizione al
buon senso per coloro che considerano la realtà senza
eccessiva chiusura mentale. Chi sarà cosi piccino di
spirito da non arrivare a credere, considerando l’uni­
verso, che la divinità è in tutto, penetra e abbraccia
tutto e risiede in tutto? 15. Perché tu tto quanto esiste
dipende da Colui che è 16, e nulla può esistere se non ha
l’essere in Colui che è. Se, dunque, tu tto è in Lui ed
Egli è in tutto, perché arrossire di vergogna per l’eco­
nomia salvifica del mistero quando c’insegna che Dio

14 Cf. Le. 19, 10.


>5 Cf. Sai. 104, 1-3; 139, 7-8; Is. 40, 22; Ger. 23, 4; Am. 9, 2-3.
“ Cf. Es. 3, 14.
104 Gregorio di Nissa

è nato nell'uomo, Lui che già ora noi riconosciamo


non essere al di fuori dell’uom o?17.
2. Se, in realtà, la form a con cui Dio è prese
in noi è diversa da quella adottata nell’incarnazione,
tuttavia si riconosce che in ambedue i casi Dio è ugual­
mente presente in noi. Ora, Egli è congiunto a noi
in quanto sostiene la natura nell’essere, allora si è
unito al nostro essere perché questo diventasse divino
mediante il congiungimento col divino, dopo essere
stato sottratto alla m orte e liberato dalla tirannide
deU’avversario; la sua risurrezione dalla morte, infatti,
diventa per il genere umano principio del ritorno alla
vita immortale.

L ’ingannatore è stato ingannato

XXVI. 1. Ma se uno esamina la giustizia e


sapienza visibile in questo piano salvifico può forse
essere indotto a pensare che un tal progetto escogitato
da Dio per la nostra salvezza sia una sorta d’inganno:
Tessersi messo alla mercé del dispotico padrone (il
demonio) senza svelare la divinità, ma celandola sotto
il velo della natura umana all’insaputa del nemico,
costituisce in qualche modo un inganno e un intervento
capzioso, perché è proprio degli ingannatori distornare
altrove le attese di chi è oggetto della frode e fare
cosa diversa da quel che è atteso. Ma chi considera
bene la verità riconoscerà proprio in questo il massi­
mo segno della giustizia e della sapienza. 2. È proprio
di un essere giusto dare a ciascuno quanto è conforme
al merito, e di un essere sapiente non fuorviare la
giustizia e non disgiungere il disegno di bontà per gli

17 L’argomento dell'onnipresenza divina era già nella tradi­


zione: richiama Platone (Timeo) e la dottrina stoica dell'anima
mundi·, ma soprattutto riecheggia dati rivelati, come Sap. 1,
7 e Ef. 4, 6 ((cf. Introduzione, p. 26).
La Grande Catechesi, XXVI, 2-4 105

uomini dalla sua giusta sentenza, ma armonizzare ac­


cortamente ambedue le esigenze fra loro, accordando
secondo la giustizia quanto è dovuto al merito, e non
scostandosi secondo la bontà dall’intento dell'amore
per l'uomo. Vediamo allora se questi due caratteri non
si riscontrano nei fatti avvenuti.

Il demonio riceve ciò che merita

3. Contraccambiare l’ingannatore secondo il


rito, per cui questi viene a sua volta intrappolato, dimo­
stra la giustizia, m entre l’intento di quanto è avvenuto
costituisce una testimonianza della bontà dell'autore.
Difatti, il proprio della giustizia è di assegnare a cia­
scuno quello che costituisce il risultato dei fondamenti
e delle cause che uno ha già posto, come la terra rende
i fru tti rispondenti al genere dei semi che vi sono
stati g e tta ti18; ed è proprio della sapienza non staccar­
si da ciò che è il risultato migliore nel modo di attuare
quel contraccambio. 4. Sia chi tende insidie e sia il
medico che interviene sulla vittima mescolano il far­
maco al cibo; m a l’uno vi introduce il veleno e l’altro
il rimedio per il veleno, e il modo dell'intervento cura­
tivo non altera l'intento di procurare un beneficio;
perché se pure ambedue effettuano la mescolanza del
farmaco nel cibo, tuttavia, guardando alla loro inten­
zione, noi sappiamo lodare l'uno ed esprimere sdegno
per l'altro. Allo stesso modo nel caso nostro l'inganna­
tore: conformemente alla giustizia riceve in cambio quel
che ha seminato con la propria determinata volontà;
perché viene egli stesso ingannato a sua volta dalla
figura dell'uomo, lui che per primo aveva ingannato
l'uomo con l'esca del piacere; ma lo scopo dei fatti
comporta un cambiamento in meglio.

« Cf. Gal. 6, 7.
106 Gregorio di Nissa

Guarigione dell’umanità

5. L'uno aveva operato l'inganno allo scopo di


corrompere la natura, l'altro, invece, giusto e insieme
buono e saggio, ha escogitato l'inganno per salvare
colui che era stato ingannato, beneficando con ciò non
soltanto la creatura perduta ma anche colui che aveva
procurato la nostra rovina. DaH’accostamento della
m orte alla vita, della tenebra alla luce, della corru­
zione all’incorruttibilità, proviene la sparizione e l'an­
nientamento dell'elemento inferiore e insieme il van­
taggio di colui che viene purificato da questi mali.

Il crogiuolo dell’oro

6. Quando si è mescolata all'oro una m ateria meno


preziosa gli orefici, eliminando con l'azione del fuoco
l'elemento estraneo e da scartare, riportano la m ateria
più nobile al suo splendore naturale; la separazione,
tuttavia, non avviene senza pena, richiedendosi del
tempo perché il fuoco distrugga l’im purità con la sua
forza di consunzione, ed è peraltro un trattam ento
applicato all’oro quello di far fondere l’elemento stes­
so che intruso appunto nell’oro ne corrompe la bel­
lezza: 7. alla stessa maniera, siccome la morte, la cor­
ruzione, la tenebra e ogni altro prodotto del male
sono strettam ente uniti all’inventore del male, l’acco­
stamento della divina potenza, facendo scomparire
come il fuoco ciò che è avverso alla natura, procura
un beneficio alla natura purificandola, anche se la
separazione non avviene senza dolore. Neppure l’av­
versario, dunque, potrebbe dubitare che si tratti di
un processo giusto e salutare, qualora potesse giun­
gere a capire il beneficio che ne deriva.
La Grande Catechesi, XXVI, 8-9 107

Il malato e il medico

8. Ora, appunto, come coloro che subiscono la


terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con
i medici per il dolore acuto provato nell'intervento
operativo, ma se tutto questo procura loro la guari­
gione e la sofferenza della cauterizzazione scompare,
allora avranno riconoscenza per chi li ha curati; allo
stesso modo, una volta resa libera la natura nel lungo
scorrere dei tempi dal male che ora è in essa intruso
e congiunto, quando si sarà compiuto il ritorno alla
condizione originaria di coloro che attualmente sono
soggetti al m a le 19, da tu tta quanta la creazione si leverà
un canto unanime di ringraziamento, sia da parte di
coloro che saranno puniti con questa purificazione e
sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di puri­
ficazione.
9. Questi e di tal genere sono gli insegnamenti
che ci offre il grande mistero dell'incarnazione divina.
Mediante il suo congiungimento con l'umanità, assu­
mendo tu tti i caratteri propri della natura umana,
la nascita il nutrim ento e la crescita, fino alla prova
della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra
menzionati, liberando l'uomo dalla malvagità e procu­
rando guarigione allo stesso padre del vizio. È salvezza
da un'inferm ità la liberazione da una malattia, sia
pure a costo di sofferenza.
19 Esplicita affermazione del concetto della apokatàstasis
(cf. Atti, 3, 21) o ritorno di tutti gli esseri allo stato origi­
nario di bontà (v. Introduzione, p. 29): un’idea origeniana libe­
ramente elaborata in vari scritti dal Nisseno. L’affermazione
dell'universale riscatto, compreso il demonio, implica l’ipotesi
della non eternità dell’infem o. Su questo punto la posizione
di Gregorio non è sempre lineare e coerente (al c. XL, per
esempio, c’è il richiamo biblico del « fuoco inestinguibile » e
del « verme imperituro »). La polemica contro il manicheismo
lo porta qui, come altrove, a dar forte risalto all’inconsistenza
del male e alla ricostituzione nel bene di tutte le cose.
108 Gregorio di Nissa

Logica dell’incarnazione

XXVII. 1. Era necessario di conseguenza che c


il quale si congiungeva alla nostra natura, ne assumes­
se tu tti i caratteri propri per realizzare in sé l'unione
con noi. Come coloro che lavando lo sporco dei vestiti
non lo tolgono via solo in parte ma detergono le
macchie completamente dall’intero tessuto, sicché il
vestito sia ugualmente bello in ogni sua parte e splen­
da di eguale candore dopo essere stato lavato, cosi,
essendosi la vita umana macchiata di peccato al suo
inizio, al termine e in ogni suo periodo intermedio,
bisognava che la potenza purificatrice fosse presente
in ogni parte, e non rivolgesse la terapia di purifica­
zione ad un momento lasciando un altro senza cura.
2. Per questo, essendo la nostra vita compresa entro
due limiti estremi, e cioè l'inizio e la fine, in ambedue
le estrem ità si trova la potenza che corregge la nostra
natura, che ha preso contatto con l’inizio, si è estesa
fino al termine e ne ha abbracciato ogni spazio inter­
medio. 3. E siccome per tutti gli uomini vi è un solo
modo per entrare nella vita, qual era il modo richiesto
perché entrasse a vivere con noi colui che veniva a
visitarci? Venendo direttam ente dal cielo, dirà forse
colui che respinge come avvilente e indegna la forma
della nascita u m an a20. Ma l’um anità non era in cielo,
né alcuna m alattia del vizio si era propagata nella vita
ultracosmica. Ora, colui che si congiungeva all'uomo
compiva quella stretta unione avendo di m ira il bene­
ficio che si era proposto. Dove, quindi, non c’era il
vizio né la vita umana organizzata, come ci si può
attendere che ne sia disceso l’uomo per congiungersi
a Dio, mentre si tratterebbe non di un uomo, bensì di

20 La tesi risale allo gnostico Valentino, ma qui Gregorio


ha di mira in special modo Apollinare di Laodicea.
La Grande Catechesi, XXVII, 3-5 109

un simulacro o di una sembianza d’uomo? E quale


sarebbe stata la riabilitazione della nostra natura se,
trovandosi m alata la creatura terrestre, un essere di­
vino scelto fra i celesti avesse ottenuto l’unione con
Dio? Non è possibile che l'infermo venga curato, se
non è la parte m alata a ricevere appropriatamente la
guarigione.

Dio nel cuore del male


4. Se, pertanto, trovandosi la parte inferma sulla
terra, la potenza divina per riguardo alla sua propria
dignità non si fosse congiunta a questa parte malata,
inutile sarebbe stata per l'uomo la prem ura della
divina potenza su problemi a noi estranei. Ci sarebbe
stata uguale indecenza per la divinità, ammesso che
sia del tutto lecito pensare qualcosa di indegno oltre il
vizio. Ma per chi ritiene grettamente che la grandezza
divina consiste in questo, nel non accettare cioè di
unirsi ai caratteri propri della nostra natura, l'inde­
gnità non è per nulla diminuita dal fatto che la divi­
nità si conformi ad un corpo celeste piuttosto che ad
uno terrestre. Tutta la creazione è lontana, in uno
stato di eguale inferiorità, da colui che è altissimo e
inaccessibile per la sublimità della sua natura, e l’uni­
verso intero in egual grado resta al di sotto di lui.
Perché ciò che è assolutamente inaccessibile non è
accessibile ad uno e inaccessibile ad un altro, ma tra­
scende ugualmente tutti gli esseri.

Terra e cielo
5. Né la terra, dunque, è più lontana da quella di­
gnità suprema, né il cielo ne è più vicino, né gli esseri
esistenti in ciascuno dei due elementi differiscono
fra loro su questo punto, sicché gli uni abbiano a
partecipare alla natura inaccessibile, gli altri invece
110 Gregorio di Nissa

ne siano separati; altrim enti potremmo supporre che


la potenza dominatrice dell'universo non penetra ugual­
mente in tutte le realtà, ma che in alcune sovrabbonda
e in altre scarseggia, e sulla base di questa differenza
di grado e di m isura la divinità per logica conseguenza
apparirà composita, non trovandosi in accordo con se
stessa, se mai la si ritenesse lontana da noi in ragione
della sua natura e fosse vicina invece ad un'altra
creatura, e divenisse per questa vicinanza più facilmen­
te raggiungibile. 6. Ma la vera dottrina, trattandosi
della maestà suprema, non guarda né in basso né
in alto per un accostamento comparativo: tutte le
cose stanno in egual m isura sotto la potenza che dirige
l'universo, di modo che, se si riterrà la natura terre­
stre indegna di quella stretta unione con la divinità,
non se ne potrà trovare un’altra che ne sia degna. E
se tu tto resta egualmente distante da questa maestà,
una cosa sola si accorda con la dignità di Dio, bene­
ficare cioè la creatura indigente. Se riconosciamo che
la potenza sanatrice è scesa là dove appunto c'era l'in­
fermità, che cosa vi è in questa nostra fede di estraneo
al giusto concetto di Dio?
OBBIEZIONI DEGLI AVVERSARI

Come Dio può farsi uomo


XXVIII. 1. Ma costoro (gli avversari) gettan
ridicolo sulla nostra natura e tirano in ballo conti­
nuamente il modo con cui avviene la nascita, e pensano
con ciò di ridicolizzare il mistero, in quanto che sareb­
be indegno di Dio entrare in comunione con la vita
um ana p er siffatta via. Ma a questo proposito si è
già detto anche prim a che l’unica cosa sconveniente
per la sua natura è il male e quanto può avere affinità
col vizio. Ora, l'ordine della natura regolato dalla vo­
lontà e dalla legge divina, è esente dall’accusa del male,
altrim enti l'accusa contro la natura si ritorcerebbe con­
tro il Creatore, se qualcosa che alla stessa natura ap­
partiene si potesse accusare di sconvenienza e di inde­
gnità. 2. Se pertanto la divinità è separata soltanto
dal vizio, e la natura non è malvagità, se d’altra parte
il m istero insegna che Dio si è incarnato nell'uomo e
non nel vizio, e se per l'uomo non vi è che una sola
via per entrare nella vita, quella per cui l'essere gene­
rato è introdotto nell'esistenza, quale altro modo sta­
biliscono all’ingresso di Dio nella vita coloro che ri­
tengono si ragionevole che la natura resa inferma per
il peccato sia visitata da parte della potenza divina, ma
disdegnano il modo di questa visita, ignorando che
tutta la stru ttura del corpo ha in se stessa la medesima
dignità, e che nulla in essa di quanto concorre all'orga­
112 Gregorio di Nissa

nizzazione della vita m erita l'accusa di essere indegno


o cattivo? 3. Per un solo scopo è stata disposta la costi­
tuzione organica dei membri; e lo scopo è di conser­
vare nell’esistenza il genere umano. Mentre tutti gli
altri organi sostengono la vita presente, assegnati chi
ad una chi ad un'altra attività, e regolano cosi la facol­
tà percettiva e operativa, gli organi genitali invece
hanno il compito di provvedere al futuro, introducendo
nella natura la continua successione.
4. Se, pertanto, si guarda al lato utilitario, di
quale fra gli organi tenuti in pregio questi potrebbero
essere inferiori? *. Di quale non si potrebbero rite­
nere a buon diritto più importanti? Non è l’occhio,
né l'orecchio, né la lingua, né alcun altro organo senso­
riale ad assicurare la continuità alla nostra specie;
perché questi organi, come si è detto, si utilizzano per
il presente, con quelli, invece, è m antenuta l'indefetti­
bilità alla natura umana, cosicché l’azione della morte
contro di noi viene ad essere in certo modo vana e ineffi­
cace; perché la natura stessa s’introduce senza sosta a
colmare il vuoto mediante la successione dei nuovi
nati. Che cosa c'è d'indegno, dunque, nella nostra fede,
se Dio si è congiunto alla vita umana in quei modi con
cui la natura combatte la morte?

Perché il Salvatore è venuto cosi tardi

XXIX. 1. Ma passando da questa ad altre quest


costoro (gli avversari) cercano ancora di screditare
la nostra dottrina: se quanto è avvenuto, dicono, era
buono e degno di Dio, perché ha rinviato questo bene­
ficio?2. E perché non ha deciso l'ulteriore progresso

1 Forse Gregorio ha in mente 1 Cor. 12, 14-24.


2 L’obbiezione era posta in varia forma da valenti avversari
del cristianesimo, come Celso, filosofo neoplatonico del II se­
colo, e Porfirio, neoplatonico del III-IV secolo.
La Grande Catechesi, XXIX, 1-4 113

del male al suo primo inizio? 2. A questa obbiezione


rispondiamo concisamente: il beneficio a nostro favore
è stato differito dalla sapienza e dalla provvidenza di
colui che per natura è benefattore. Nelle malattie del
corpo, qualora si sia infiltrato un umore letale nelle
vie interne, fin quando l'elemento intruso avverso alla
natura non si manifesti alla superficie, coloro che
curano le m alattie da competenti non trattano il corpo
con preparati astringenti, ma attendono che tutto
il male nascosto nel profondo venga fuori, e allora
applicano la terapia sul male direttamente. Cosi, dopo­
ché il male del vizio penetrò nella natura umana, il
medico dell’universo volle attendere finché nessuna
forma del vizio restasse nascosta nel profondo della
natura stessa. 3. È per questo che egli applica all'uomo
la cura sanatrice non subito dopo l’invidia e il fratri­
cidio di Caino3: non era ancora venuta alla luce la
cattiveria di quelli che perirono al tempo di N oè4, né
si era manifestato il male gravissimo della perversione
sodom itica5, né la lotta degli egiziani contro Dio,
né la tracotanza degli a ssiri6, né la cruenta persecu­
zione dei giudei contro i santi di D io7, né la criminale
strage dei bambini perpetrata da E rode8, né tutte le
altre nefandezze di cui si fa memoria e quante pur
non registrate dalla storia furon commesse nel corso
delle generazioni, allorché la radice del vizio spuntava
in vari modi nelle scelte responsabili degli uomini.
4. Quando cosi il vizio ebbe raggiunto il colmo della
misura e nessuna forma di malvagità mancava ormai

3 Cf. Gen. 4, 1-5.


4 Cf. Gen. 6-7.
5 Cf. Gen. 19, 14.
6 Is. 37, 23-24. Cf. Ab. 2, 4-5 (possibile scambio dei caldei
con gli assiri da parte di Gregorio).
7 Cf. Mt. 23, 34.
8 Cf. Mt. 2, 16-18.
114 Gregorio di Nissa

all'esperienza umana, allora Dio intervenne a curare


il male non al suo inizio ma nella sua piena m aturità,
allo scopo determinato che la cura si applicasse a tutta
quanta l’infermità umana.

Persistenza del peccato

XXX. 1. Se qualcuno pensa di confutare la no


dottrina col dire che anche dopo l’applicazione del
rimedio la vita umana si svolge ancora nelle colpe,
si lasci condurre alla verità da un esempio familiare.
Come in un serpente, qualora riceva il colpo m ortale
sulla testa, non muore subito insieme alla testa anche
la contrazione sinuosa che ne segue, ma mentre quella
è m orta, la coda resta ancora in vita per forza propria
e non perde il movimento vitale; cosi avviene per il
vizio: benché colpito mortalmente, lo si può vedere
ancora sconvolgere la vita con la rimanenza delle sue

Salvezza parziale degli uomini

2. Ma, lasciando da parte le obbiezioni mosse


questo punto aH’insegnamento della nostra fede, essi
(gli avversari) mettono sotto accusa il fatto che la
fede non si estende a tu tti gli uomini. Perché mai, di­
cono, la grazia (del V angelo)9 non è giunta a tutti, ma
accanto a un certo numero di uomini che aderiscono
alla (vostra) dottrina vi è una parte non trascurabile
che ne resta esclusa? Forse Dio non ha voluto elargire
a tutti il beneficio generosamente oppure non ne ha
avuto affatto il potere? Ma nessuno dei due casi sfugge
al biasimo. Perché non s’addice a Dio non volere il
bene né essere incapace di compierlo. Se, dunque,

9 Cf. Atti, 20, 24; 1 Cor. 6, 1; 8, 9; Col. 1, 6.


La Grande Catechesi, XXX, 2-5 115

la fede è un bene, perché, dicono costoro, la grazia non


è arrivata a tutti? 3. In realtà, se anche noi dicessimo
che secondo la nostra dottrina la fede viene distri­
buita per sorteggio agli uomini dalla volontà di Dio,
in modo che ideimi risulterebbero chiamati e gli altri
esclusi dalla chiamata, sarebbe giusto proferire un'ac­
cusa del genere contro la religione; ma se la chiamata
è diretta ugualmente a tutti senza discrizinazioni ba­
sate sul grado, sull'età o sulle differenze razziali — per
questo ai prim i inizi della predicazione i m inistri del
Vangelo parlarono con la lingua di tutti i popoli per
divina ispirazione10, perché nessuno restasse escluso
dai benefici deU'insegnamento — come si potrebbe
con ragione accusare ancora Dio perché la sua dottrina
non ha raggiunto tutti?
4. Colui che ha potere sull'universo ha perme
mosso dalla sua grande considerazione per l’uomo, che
qualcosa sia di pieno nostro dominio, e che ognuno
ne sia l'unico padrone. E questo qualcosa è la nostra
libertà di scelta, una facoltà non soggetta a servitù,
libera, basata sulla libertà della nostra ragione. Sa­
rebbe perciò più giusto che tale accusa si rivolgesse a
coloro che non sono stati attratti alla fede, e non su
colui che ne ha proposto agli uomini l'accettazione.
5. Perché neppure quando Pietro predicò il Vangelo
alla folta assemblea dei giudein, e proprio in quel­
l'occasione trem ila persone accolsero la fede, neppure
allora quelli che non l'accolsero, più numerosi di
quanti credettero, accusarono l'apostolo per il fatto
di non essersi indotti a credere. Non sarebbe stato
ragionevole che, mentre la grazia del Vangelo veniva
proposta a tutti insieme, colui che deliberatamente la
ripudiava accusasse un altro e non se stesso della
cattiva sorte.

i» Cf. Atti, 2, 8-11.


» Cf. Atti, 2, 41.
116 Gregorio di Nissa

La fede deve essere libera

XXXI. 1. Ma neanche di fronte a questi motivi


viene a mancare loro (agli avversari) la puntigliosa
contestazione. Dicono che Dio poteva indurre a forza,
se avesse voluto, anche i riluttanti ad accettare il mes­
saggio evangelico. Ma dove sarebbe in questo caso la
libertà di scelta? Dove la virtù e la lode di coloro che
vivono rettamente? Perché è proprio degli esseri ina­
nimati o privi d'intelligenza essere trascinati al parere
di una volontà esterna. La natura razionale e pensante,
invece, se m ette da parte la libertà, perde all'istante
il dono delTintelligenza. A che cosa le servirà la ragio­
ne, se la facoltà di scegliere secondo il proprio giudizio
dipende da un altro? 2. E qualora la libera volontà
resti inattiva, necessariamente la virtù scompare, im­
pedita dall'inerzia della volontà; e senza la virtù la
vita perde valore, l'elogio per chi vive rettam ente
viene ad essere eliminato, la colpa si commette senza
rischio, ed è impossibile distinguere ogni differenza
nel sistema di vita. Chi potrebbe ancora riprovare
ragionevolmente l'uomo dissoluto o lodare il virtuoso?
Perché ognuno avrebbe già pronta questa risposta:
non è in nostro potere tutto quanto concerne la libera
volontà, ma spetta ad mia potenza superiore attrarre
al giudizio del dominatore le volontà umane. Il fatto,
dunque, che la fede non sia entrata in tu tti gli uomini
non è da imputare alla bontà di Dio, bensì alla dispo­
sizione di chi riceve il messaggio evangelico.

Necessità della morte del Cristo

XXXII. 1. Quale altra critica, oltre queste, oppon­


gono ancora gli avversari? Innanzi tutto che la natura
sovrana non doveva in alcun modo giungere all'espe­
rienza della morte, ma che avrebbe potuto senza questa
La Grande Catechesi, XXXII, 1-4 117

prova realizzare facilmente il suo piano con la sovrab­


bondanza della sua potenza. Che se anche ciò (l’incar­
nazione) doveva avvenire per una ragione misteriosa,
Dio però non doveva anche assoggettarsi all'ingiuria di
una m orte infame. Quale morte infatti poteva essere
più infame, dicono, della morte di croce? 2. Che cosa
rispondiamo a queste obbiezioni? Che la nascita rende
inevitabile la morte. Colui che una volta aveva deciso
di far parte dell'umanità doveva necessariamente pas­
sare attraverso i momenti propri della nostra natura.
Se pertanto, dato che la vita umana è contenuta in
due limiti, entrato Dio nel prim o (la nascita) non
avesse raggiunto il secondo (la m orte), il suo disegno
sarebbe rim asto incompiuto per non aver assunto uno
dei due stati che caratterizzano la nostra natura.
3. Conoscendo con esattezza il mistero si potrebbe
forse dire più giustamente che non è stata la nascita
a causare la morte, bensì il contrario, che cioè a causa
della m orte è stata assunta da Dio la nascita; non
per il bisogno di vivere si è sottoposto alla nascita
corporale colui che è etern o 12, ma per la volontà di
richiamarci dalla m orte alla vita. Poiché dunque biso­
gnava che dell’intera nostra natura avvenisse il ri­
chiamo dalla morte, Dio si è piegato sul nostro cada­
vere tendendo per così dire la mano a colui che
giaceva, e si è accostato alla morte fino ad assumere
lo stato di cadavere e ad offrire alla natura per mezzo
del proprio corpo il principio della risurrezione, risu­
scitando l’uomo intero con la sua potenza. 4. In realtà,
poiché l’uomo in cui Dio si era incarnato, innalzato
poi insieme alla divinità mediante la risurrezione,
altro non era se non uomo della nostra stessa natura,
come nel nostro corpo l’attività di uno solo dei sensi
suscita una sensazione comune a tutto quanto l’orga­
nismo che è unito con quella parte, così, costituendo
« Cf. Es. 3, 14; Sai. 90, 2; Ap. 1, 8.
118 Gregorio di Nissa

tutta la natura come un solo essere vivente, la risurre­


zione di un membro si estende a tutto l’insieme, allar­
gandosi ugualmente da una parte al tutto per la conti­
nuità e l’unione della natura. Che vi è dunque di strano
nella nostra dottrina circa il mistero (dell’mcama-
zione) se colui che sta in alto si piega verso colui che
è caduto allo scopo di risollevarlo?

Mistero della croce

Se poi la croce contiene un altro e più profondo


insegnamento, lo sapranno coloro che sono addentro
all’interpretazione dei sensi nascosti della Scrittura.
Comunque, ecco quello che c ’insegna la tradizione.
5. Nel Vangelo tutto è stato detto e si è adempiuto
secondo un senso più alto e più divino, e del resto
nessun punto vi si trova che sia tale da non rivelarsi
in tutto come una mescolanza del divino con l’umano,
perché la voce e l’azione sono espresse alla maniera
umana mentre il significato nascosto disvela la pre­
senza del divino: sarebbe logico perciò, anche su
questo punto, non considerare un elemento trascuran­
done un altro, m a nella morte riscontrare l’umano e
nel modo in cui è avvenuta ricercare attentam ente il
divino.

Dimensione cosmica della croce

6. È proprio della divinità compenetrare tutte


cose ed estendersi alla natura di ciò che esiste in ogni
sua parte, perché nulla potrebbe rimanere nell’essere
se non restando in colui che è, e la natura divina
d’altra parte esiste in modo proprio e primario, e la
sussistenza degli esseri esige categoricamente che si
creda nella sua presenza in tutti gli esseri13. Tutto
13 Cf. n. 19 della prima sezione.
La Grande Catechesi, XXXII, 6-9 119

questo noi lo apprendiamo dalla croce, la cui figura


è distinta in quattro parti, in maniera che partendo dal
centro, al quale tutto l'insieme converge, si contano
quattro prolungamenti; apprendiamo cioè che colui
il quale fu disteso sulla croce nel momento designato
per il piano di salvezza attraverso la morte, è colui
che stringe e congiunge a sé l'universo riunendo me­
diante la sua persona le diverse nature degli esseri
in una sola concordia e in un’unica armonia. 7. Fra
gli esseri del mondo si pensa qualcosa di esistente o
in alto o in basso, oppure la mente si inoltra nei con­
fini trasversali. Se, dunque, tu consideri la composi­
zione degli esseri celesti o di quelli sotterranei o di
quelli esistenti ai due confini dell'universo, dovunque
la divinità si presenta al tuo pensiero M, perché è la
sola che s'incontra in ogni parte dell'esistenza ed è
l’unica che abbraccia nell'essere tutte le cose. 8. Si
debba chiam are questa natura divinità o ragione o
potenza o saggezza, oppure la si debba designare con
altra denominazione sublime e più atta ad esprimere
l'essere supremo, la nostra dottrina non si cimenta su
questioni di voce o di nome o di forma delle parole.
Poiché dunque tutta la creazione guarda a Lui, gravita
intorno a Lui, e grazie a Lui resta in sé compatta, essen­
do gli elementi in alto connessi con quelli in basso e i
lati fra di loro per opera di Lui, non soltanto noi do­
vremmo essere indotti alla conoscenza di Dio me­
diante l'ascolto, ma anche la vista dovrebbe insegnarci
le concezioni più alte: partendo di qui anche il grande
Paolo inizia ai misteri il popolo di Efeso infondendo
in quei fedeli col suo insegnamento la capacità di cono­
scere che cos'è la profondità e l'altezza, la larghezza e
la lunghezza u. 9. In realtà egli designa con una parola
speciale ogni prolungamento della croce, indicando

« Cf. Sai. 139, 8-10.


« Cf. Ef. 3, 18.
120 Gregorio di Nissa

con altezza la parte superiore, con profondità la parte


inferiore, con larghezza e lunghezza i prolungamenti
laterali. E altrove rende tale idea, a mio parere, più
chiara dicendo ai Filippesi16: « Nel nome di Gesù Cristo
si pieghi ogni ginocchio delle creature celesti, terrestri
e sotterranee ». Qui egli comprende in una sola deno­
minazione l'asse centrale, designando per terrestre tutto
quanto intercorre fra gli esseri celesti e quelli sotter­
ranei. 10. Questo è il mistero a noi insegnato relati­
vamente alla croce. I fatti che ne derivano hanno nel
racconto un legame cosi stretto che gli stessi increduli
non vi riscontrano alcunché di estraneo al debito con­
cetto della divinità. Il fatto che egli (il Signore) non
sia rim asto nella morte e che le ferite inflitte dalla
lancia nel corpo non abbiano impedito l'esistenza17 e
che egli sia apparso liberamente ai discepoli dopo la
risurrezione, quando voleva essere accanto a loro ri­
manendo invisibile e trovarsi in mezzo a loro senza
aver bisogno di entrare per le p o rte 18, il fatto che
abbia fortificato i discepoli infondendo in essi col suo
alito lo S p irito 19, e di aver assicurato di restare con
loro e che nulla lo avrebbe da loro separato M, il fatto
ancora che davanti ai loro occhi ritornasse al cielo
m entre nel pensiero era dovunque presente21, e tutti
gli aspetti di tal genere che la narrazione contiene,
non hanno per nulla bisogno dei ragionamenti per
m ostrare la loro natura divina e la presenza in essi
della potenza sublime e sovrana. 11. Non credo che
tali fatti si debbano esaminare imo per uno, perché
il racconto evangelico ne evidenzia da solo il carat­
tere soprannaturale.
Fil. 2, 10.
v Cf. Mt.27, 50; Gv. 19, 34.
« Cf. Le.24, 36; Gv. 20, 19.
» Cf. Gv.20, 22.
20 Cf. Mt.28, 20.
21 Cf. Le. 24, 50; Atti, 1, 9.
LA VITA SACRAMENTARIA

Ma poiché anche l'economia della salvezza rela­


tiva al lavacro di purificazione fa parte degli insegna-
menti riv elati1 — si voglia chiamare battesimo o illu­
m inazione2 o rigenerazione, noi non discutiamo sul
nome —, anche su questo sarà bene proporre qualche
breve considerazione.

Il Battesimo

L'acqua della nuova nascita

XXXIII. 1. Gli avversari in realtà ascoltano


parte nostra un ragionamento di tal genere: « Nel
passaggio dell'essere mortale alla vita era logico, sic­
come la prim a nascita conduceva alla morte, che fosse
escogitata un'altra nascita non legata ad un inizio di
corruzione né destinata a finire nella corruzione, ma
tale da condurre l'essere nato ad un’esistenza immor­
tale, affinché, come l'essere venuto all’esistenza da una
nascita m ortale si ritrovava necessariamente mortale,
cosi l'essere venuto alla luce da una nascita esente da
corruzione superasse la corruzione della m orte ». Al­

1 Cf. Ef. 5, 26; Tit. 3, 5.


2 Cf. Ebr. 6, 4; 10, 32.
122 Gregorio di Nissa

lorché, dunque, costoro ascoltano questi discorsi e altri


di tal genere e ricevono una prim a istruzione circa la
forma (del Battesimo), quando si dice loro che ima
preghiera a Dio, l'invocazione della grazia celeste, e
l’acqua e la fede, sono i mezzi con i quali si compie
il m istero della rigenerazione, si m ostrano scettici con­
siderando la realtà visibile, perché quanto si compie
in modo materiale non è adeguato alla promessa di­
vina. Come possibile, dicono, che una preghiera e
un’invocazione della potenza divina pronunciata sul­
l’acqua diventino principio e causa di vita per gli
iniziati?

In che modo l’acqua rigenera

2. Per costoro, qualora non insistano eccessiva­


mente nell’obbiezione, basterà una risposta semplice
per indurli ad accettare la dottrina. Opponiamo alla
loro una nostra domanda: dato che il modo della na­
scita carnale è a tutti chiaro, come m ai il seme gettato
per accendere la formazione dell’essere vivente diven­
ta un uomo? Ma è certo che su questo punto non v'è
teoria capace di formulare in qualche modo una spie­
gazione convincente. Che cos’ha in comune la defini­
zione dell’uomo con la qualità che si riscontra in quel
seme? L’uomo è un essere ragionevole e intelligente,
capace di pensare e di conoscere3; quel seme invece
ci appare in qualità di fluido, e il pensiero non vi per­
cepisce nulla di più di quanto è avvertito dai sensi.
3. La risposta che naturalm ente ci viene data alla
domanda di come sia possibile che l’uomo si formi da
quel seme, è la stessa che noi daremo se interrogati
circa la rigenerazione mediante l’acqua. In effetti nel

3 Nella formulazione del concetto di uomo il Nisseno non


adotta la tricotomia origeniana (v. c. XXXVII, 1 e Introdu­
zione, p. 30).
La Grande Catechesi, XXXIV, 1-2 123

prim o caso per ogni persona interrogata è facile rispon­


dere che quel seme diventa uomo in forza della poten­
za divina, senza la quale il seme sarebbe inattivo e
inefficace. Se, dunque, in questo caso non è l’elemento
materiale che forma l'uomo, ma è la potenza divina
che trasform a l’elemento sensibile in natura umana,
sarebbe estremamente stolto riconoscere in un caso si
grande potenza da parte di Dio e nell'altro ritenere
che la divinità perda ogni forza per compiere il suo
volere. 4. Che vi è in comune, essi dicono, tra l'acqua
e la vita? E che cosa c'è in comune, diremo noi, fra
l'elemento fluido e l'immagine di Dio? Ma non vi è
nulla d'incredibile nel fatto che l'elemento umido si
trasform a nell’essere il più elevato per volontà di Dio.
Ugualmente nel caso nostro diciamo che non c’è da
meravigliarsi se la potenza della presenza divina fa
passare ad uno stato d'incorruttibilità l’essere che è
venuto all’esistenza nella natura corruttibile.

Dio invocato nella preghiera

XXXIV. 1. Ma essi cercano la prova della prese


di Dio quando lo si invoca nella celebrazione del rito
di santificazione. Chi è interessato a questa ricerca
rilegga ancora quanto si è esaminato qui sopra. La
dimostrazione del carattere veramente divino della
potenza che si è a noi m anifestata nella carne costi­
tuisce un supporto alla presente questione. 2. Una
volta dim ostrata la divinità di colui che si è manife­
stato nella carne svelando la sua natura mediante i
miracoli compiuti nel corso della sua vita, si è anche
dim ostrato nel contempo che egli era presente nella
realtà ogni qualvolta lo si invocava4. Come ogni essere
ha una sua caratteristica che ne svela la natura, cosi
il proprio della natura divina è la verità. Ora, Egli ha
« Cf. Mt. 7, 7.
124 Gregorio di Nissa

promesso di essere sempre accanto a coloro che lo


avrebbero invocato, e di trovarsi in mezzo ai credenti5,
e di rimanere con tutti e di essere unito a ciascuno6.
Non avremmo più bisogno, dunque, di altra prova
della presenza di Dio nella storia, una volta che di
questa presenza abbiamo sicura fede in virtù dei mira­
coli stessi, e se d’altra parte, sapendo che è proprio
della divinità non avere alcun contatto con la menzo­
gna, basandoci appunto sulla veridicità della promessa,
noi non abbiamo dubbi circa la presenza di quanto è
stato promesso.

Efficacia della preghiera di consacrazione nel Batte­


simo

3. Il fatto che l'invocazione della preghiera pre­


cede la dispensazione della grazia divina costituisce
una sovrabbondante prova che l'azione intrapresa vie­
ne portata a compimento da parte di Dio. Se nella
forma della procreazione umana gl'impulsi germinali
dei genitori, anche senza che questi si rivolgano con
la preghiera alla divinità, giungono a formare l'essere
generato, come si è detto sopra, in virtù della potenza
di Dio, senza la quale il loro sforzo è inefficace e
inutile, quanto più nella form a spirituale della nascita
— dato che Dio ha promesso la sua presenza nella
vita e ha deposto nell'atto umano la sua potenza, come
noi crediamo per fede, e poiché nella nostra volontà
c'è la tensione verso l'oggetto desiderato — quanto più
completo, dicevo, sarà il risultato perseguito, se in
aggiunta si riceve convenientemente il soccorso me­
diante la preghiera!
4. Come, infatti, coloro che pregano Dio di far
risplendere su di essi il sole non indeboliscono affatto

5 Cf. Mt. 18, 20; Gv. 14, 13; 16, 23.


6 Cf. Mt. 28, 20; Gv. 14, 23; 15, 4-8.
La Grande Catechesi, XXXV, 1 125

quel fenomeno che in ogni modo avviene, né d'altra


parte si dirà inutile il loro impegno nella preghiera,
se rivolgono suppliche a Dio per ciò che avverrà in
ogni caso, allo stesso modo gli animi convinti per
fede che la grazia soccorre sicuramente, secondo la
promessa veritiera, i rigenerati attraverso l'economia
sacramentale, o realizzano un qualche alimento della
grazia o comunque non ne distolgono la presenza.
Perché la fede in questa sicura presenza ha con sé la
promessa di Dio; e la testimonianza della divinità ci è
data dai miracoli. In conclusione, nulla può consentirci
di dubitare della presenza divina.

Triplice immersione battesimale

XXXV. 1. Ora, l'entrare dell'uomo nell'acqu


la triplice immersione contengono un altro mistero.
Il modo cioè in cui si attua la nostra salvezza risulta
efficace non tanto per la forza direttiva della dottrina,
quanto per gli atti compiuti da colui che ha voluto
condividere la condizione umana, affinché mediante
la carne da lui assunta e deificata trovasse salvezza nel
contempo tu tto quanto è ad essa affine e della mede­
sima n a tu ra 7: per questo era necessario escogitare
una forma in cui le azioni di chi segue e di chi precede
come guida contenessero una qualche affinità e somi­
glianza8. Bisogna allora vedere con quali caratteri è
apparso Colui che si è posto alla guida della nostra vita,
perché, come dice l'Apostolo9, sull'esempio dell'autore

7 II Nisseno afferma in definitiva che l’essenza del Vangelo


non consiste tanto nella conoscenza dottrinale quanto piutto­
sto nell’azione redentrice della vita di Cristo e nella parteci­
pazione ad essa: è vita, non dottrina (Barbel).
8 Gregorio s’ispira probabilmente all’insegnamento paolino
di Rom. 6, 5-11, dove l ’Apostolo afferma la profonda unione del
cristiano con la morte e la risurrezione di Cristo.
9 Cf. Ebr. 2, 10.
126 Gregorio di Nissa

della nostra salvezza l’imitazione da parte di coloro


che seguono abbia buon esito. 2. Come da parte degli
esperti nell'arte militare sono guidate all’esercizio del­
le armi le reclute che vengono istruite mediante esempi
pratici al movimento ritmico del militare in armi, e
quello che non esegue l'esempio proposto resta privo
di tale arte, allo stesso modo coloro che hanno eguale
prem ura per il bene devono seguire da vicino Colui che
è guida alla nostra salvezza, mettendo in atto l’esempio
da Lui offerto. Perché non è possibile raggiungere uri
eguale scopo senza procedere per vie analoghe.

Dalla prigione alla libertà

3. Come nel caso di coloro che non potendo in


alcun modo passare per gli intricati sentieri dei labi­
rinti 10, se poi trovano ima persona che ne sia pratica,
seguendone i passi riescono ad attraversare gli andi­
rivieni complicati e ingannatori deH'edificio, e non
ne potrebbero uscire senza seguire le orme della guida;
cosi devi pensare che anche il labirinto di questa vita
sarebbe senza uscita per la natura umana, se non si
prendesse quella stessa strada attraverso la quale usci
libero dal carcere colui che vi era entrato.

Il terzo giorno

4. Io intendo per labirinto metaforicamente la pri­


gione senza uscita della morte, nella quale era stato
rinchiuso l'infelice genere umano. Che cosa dunque
abbiamo visto nella vita di Colui che è l'autore della
nostra salvezza? Lo stato di morte per tre giorni e
di nuovo la vita. Bisogna allora escogitare anche per

y -1® Sottintesa allusione al noto racconto di Minosse, mi­


tico re - di Greta, che fece costruire a Dedalo un intricato
labirBìto.
La Grande Catechesi, XXXV, 4-8 127

noi una forma di tal genere. E qual è l’idea con cui si


possa im itare pienamente quel che Lui ha compiuto?
5. Ogni essere che muore ha un luogo suo proprio e
conforme alla natura, e cioè la terra nella quale viene
steso e sepolto. Ma la terra e l'acqua hanno fra loro
stretta affinità: essendo i soli elementi pesanti e ten­
denti al basso, permangono l’una nell'altra e si con­
tengono a vicenda. Poiché, dunque, la guida della no­
stra vita è entrata nella terra con la morte secondo
la comune natura, l’imitazione da parte nostra della
sua m orte è simboleggiata nell’elemento che con la
terra è in stretta affinità.
6. E come Lui, uomo disceso dall’alto n, dopoché
ebbe assunto lo stato di m orte e fu deposto nella terra,
nel terzo giorno ritornò alla vita, cosi ogni uomo con­
giunto a lui secondo la natura del corpo, mirando allo
stesso buon esito, voglio dire alla vita come scopo,
mediante l’infusione dell'acqua al posto della terra e
la triplice immersione, riproduce fedelmente in questo
elemento la grazia della risurrezione dopo i tre giorni.
7. Qualcosa di analogo si è detto precedentemente,
che cioè la morte è stata introdotta nella natura umana
secondo un disegno della provvidenza divina, sicché,
dissoltosi il vizio nella separazione dell’anima e del
corpo, l’uomo rinnovato mediante la risurrezione tor­
nasse ad essere intatto, libero dalle passioni, puro ed
esente da ogni mescolanza di male. Ma in Colui che è
guida alla nostra salvezza l’economia relativa alla
m orte si è realizzata in grado perfetto, intieramente
compiuta secondo il proprio particolare scopo.
8. In realtà gli elementi una volta uniti furono
separati con la m orte e poi ricongiunti, cosicché, puri­
ficata la natura nella separazione delle parti fra loro
strettam ente unite, voglio dire l’anima e il corno il

u Cf. Gv. 3, 31; 1 Cor. 15, 47.


128 Gregorio di Nissa

ritorno alla vita di questi elementi separati fosse del


tutto immune dalla mescolanza che ne altera la natura;
in coloro invece che seguono questa nostra guida la
natura non è capace di un’imitazione esatta sotto ogni
aspetto, m a prendendo nel momento quanto rientra
nelle sue possibilità, essa riserva il rimanente per il
tempo futuro. 9. In che consiste allora quella imita­
zione? Nell’attuare la scomparsa del male che è fram ­
misto alla natura nell'imitazione della morte effettuata
mediante l'acqua. Si tra tta invero non di una scom­
parsa completa, ma di ima interruzione nella continuità
del male, alla cui eliminazione concorrono due cause:
il pentimento di chi ha peccato e l'imitazione della
morte, per le quali cause l'uomo è in qualche modo
liberato dalla sua partecipazione al male stesso; con
il pentimento si volge all'odio e al ripudio del vizio,
con la m orte realizza la scomparsa del male.

Imitare il Cristo

10. Ma se con questa imitazione fosse possi


trovarsi nella m orte completa, quel che si attua non
sarebbe un’imitazione, bensì una condizione d'identità,
e il male scomparirebbe radicalmente dalla nostra
natura, si da morire, come dice l'Apostolo, ima volta
per sempre al peccato 12. Ma poiché, come si è detto,
della trascendente potenza noi imitiamo quanto è in
grado di fare la povertà della nostra natura, uscendo
nuovamente dall'acqua dopo la triplice infusione noi
imitiamo la salvifica sepoltura e la risurrezione effet­
tuata nei tre giorni, con la persuasione che, come
l'acqua è a nostra disposizione e possiamo liberamente
immergerci in essa e uscirne di nuovo, alla stessa ma­
niera il sovrano deU'universo aveva il potere di im­

12 Cf. Rom. 6, 10.


La Grande Catechesi, XXXV, 10-13 129

mergersi nella m orte come noi nell'acqua e di nuovo


tornare allo stato di beatitudine che gli è proprio.
11. Se pertanto si considera l’analogia e si giudicano
i fatti in base al grado di potere dell'uria e dell'altra
parte, non vi si troverà alcuna discordanza, perché
ambedue (il Salvatore e l'uomo) effettuano quanto è
in loro potere secondo la capacità della natura. Come
è in potere dell'uomo, se vuole, entrare in contatto
con l'acqua senza pericolo, infinitamente più facile è
per la potenza divina porsi dinanzi alla m orte ed en­
trarvi senza subire un cambiamento che comporti
debolezza.
12. Di qui la necessità da parte nostra di sentire
anticipatamente mediante l'acqua la grazia della ri­
surrezione, cosi da comprendere che è in egual modo
facile essere battezzati con l'acqua ed emergere di
nuovo dalla morte. Ma nei fatti della vita certe cose
sono più im portanti di altre e senza di esse l'evento
non si compirebbe; tuttavia, se facciamo il confronto
tra l'inizio e la fine, paragonato all'esito finale l'inizio
apparirà di nessun conto: quale parità fra l'uomo e
quel seme gettato per la formazione dell’essere vi­
vente? D 'altra parte, se non ci fosse quel seme l’essere
non esisterebbe. Allo stesso modo il dono grande della
risurrezione, sebbene superiore per sua natura, ha le
sue origini e i suoi fondamenti qui (nel Battesimo),
perché non è possibile ohe si compia quell'evento
finale senza che lo preceda questa iniziazione.
13. Io affermo che senza la rinascita battesimale
l’uomo non può ottenere la risurrezione, non inten­
dendo con ciò la rigenerazione e la ricomposizione del
composto umano, perché a questo la natura deve indi­
rizzarsi per necessità sue proprie sotto l'impulso del­
l'economia del Creatore, sia che riceva la grazia del
Battesimo sia che rimanga esclusa dal partecipare a
tale iniziazione; intendo invece il ritorno allo stato
130 Gregorio di Nissa

originario beato, divino ed esente dall’infelicità della


cad u ta13.
14. Infatti tutti quanti gli esseri che ricevono il
dono di tornare nuovamente all’esistenza mediante la
risurrezione non ritornano alla medesima vita, ma una
distanza grande divide coloro che si sono purificati
da coloro che hanno bisogno della purificazione. Per
coloro che in questa vita sono stati guidati dalla puri­
ficazione del Battesimo, il ritorno sarà connaturale
al loro stato; m a alla purezza è strettam ente congiunta
la libertà dalle passioni, e non v’è dubbio che nell'as­
senza di passioni consiste la beatitudine. Quanto in­
vece a coloro che lasciarono incallire le passioni e non
fecero nulla per purificarsi dalle brutture, anch'essi
dovranno sicuramente trovarsi nella situazione che
a loro spetta.

Legge della purificazione

15. Ora, quel che occorre per l’oro adulterato è la


fornace14: cosi, ima volta fuso dopo lunghi secoli il
vizio che si era mescolato in loro, la natura purificata
sarà ricondotta a Dio sana e salva. Poiché, dunque,
nel fuoco e nell’acqua vi è ima forza purificatrice, quel­
li che hanno deterso le brutture del vizio mediante
l’acqua del sacramento non hanno bisogno dell’altra
form a di purificazione; quelli invece che non risultino
iniziati a questa purificazione dovranno essere puri­
ficati dal fuoco.
XXXVI. 1. La ragione comune e l’insegname
delle Scritture m ostrano che è impossibile entrare
nel coro divino senz’essersi purificati completamente

13 Sulla dottrina deìl'apokatàstasis o ritom o dell’uomo


allo stato originario di beatitudine, v. nota 19 della quarta se­
zione e Introduzione, p. 29.
m Cf. Mal. 3, 2.
La Grande Catechesi, XXXVII, 1 131

da tutte le macchie del vizio. Ciò, pur essendo in sé


piccola cosa, diventa inizio e fondamento di grandi
beni. Dico che è piccola cosa per la facilità con cui
si ottiene lo scopo. Che fatica costa in questo caso
credere che Dio è presente dovunque e che essendo in
tutti aiuta anche coloro che invocano la sua potenza
vivificante e realizza con la sua presenza quanto gli
è proprio? 2. Ma il proprio dell'attività divina è di
procurare la salvezza di coloro che ne hanno bisogno.
E questa salvezza si effettua mediante la purificazione
nell’acqua. Colui poi che ha ricevuto la purificazione
parteciperà allo stato di purezza, e la purezza vera è
la divinità. Vedi che si tra tta di ima cosa modesta nel
suo principio e facile a realizzarsi: la fede e l'acqua,
l’una risiedendo nella nostra libera volontà, e l’altra
familiare alla vita dell'uomo. Ma il bene che nasce da
queste premesse è di tale estensione e qualità da essere
in intimo rapporto con la stessa natura divina.

L’Eucaristia15

Il corpo e il sangue di Cristo santificano

XXXVII. 1. Ma poiché l'essere umano è dupl


composto cioè di anima e di corpolé, è necessario che
quanti sono oggetto della salvezza abbiano contatto
mediante l’una e l'altro con Colui che conduce alla
vita. Quando, dunque, l’anima si è congiunta a Lui
con la fede trova in Lui i principi della salvezza; perché
l’unione con la vita com porta la partecipazione alla

15 Sugli elementi aristotelici e su alcune originalità del


Nisseno circa la dottrina dell’Eucaristia, v. Introduzione,
pp. 24, 34 s.
16 Cf. nota 3 di questa sezione.
132 Gregorio di Nissa

vita. Il corpo è in grado di partecipare e di unirsi al


Salvatore in altro modo.
2. Come coloro che, avendo preso un veleno pro­
pinato con insidia, riescono ad estinguerne la forza
esiziale con un altro farmaco, ma anche l'antidoto deve
penetrare come il veleno dentro le viscere dell'uomo
perché da queste la forza del medicamento salutare
sia distribuita a tutto il corpo, cosi noi, dopo aver assa­
porato quel che disgrega la nostra natura, avevamo
di nuovo assoluto bisogno di Colui che riunifica quanto
è diviso, perché tale rimedio introdotto dentro di noi
eliminasse con la sua propria efficacia antitetica il
male pernicioso già penetrato nel nostro co rp o 17.

Rimedio contro la morte

3. E qual è dunque questo rimedio? Non altro che


quel corpo m ostratosi più forte della m orte e dive­
nuto per noi principio della vita. Come poco fermento,
secondo l'espressione dell'Apostolo18, assimila a sé
tu tta quanta la massa di farina, cosi quel corpo reso
immortale da Dio, una volta introdotto nel nostro,
lo trasform a e lo cambia interamente nella propria
sostanza. Perché come a causa di un farmaco esiziale
introdotto nel corpo sano viene ridotto all’impotenza
tutto ciò che ha subito quell'intrusione, cosi anche il
corpo immortale divenuto presente in colui che lo

17 L’immagine del veleno e dell’antidoto, che Hamack rite­


neva con sottile ironia una « spiegazione farmaceutica », rien­
tra nello stile della retorica contemporanea e del Nisseno in
particolare (v. Introduzione, pp. 7-8) ed esprime efficacemente
un insegnamento fondamentale: la caduta ha inserito nell’uma-
nità un germe di morte, ma Cristo assumendo l'umanità stessa
« vi introduce un germe e una forza di vita che trionfa sulla
morte e stabilisce il principio della sua riunificazione e della
sua incorruttibilità» (Hamman).
18 Cf. 1 Cor. 5, 6.
La Grande Catechesi, XXXVII, 3-6 133

riceve trasform a interamente quell'essere nella propria


natura.
4. Ma per entrare dentro il corpo non vi è a
modo che mescolarsi nelle membra mediante il cibo e
la bevanda. È dunque necessario che il corpo riceva
nel modo consentito alla natura la forza che dà la
vita. Ora, questa grazia l’ha ricevuta soltanto quel
corpo in cui Dio si è incarnato, e d’altra parte si è
dim ostrato impossibile per il nostro corpo avere l'im­
m ortalità senza aver parte all'incorruttibilità mediante
l'unione con l'essere immortale: conviene perciò esa­
minare come sia stato possibile che quel corpo da solo
distribuito perennemente su tutta la terra a tante
miriadi di fedeli si unisca tutt'intero a ciascuno pur
nella parte che ognuno riceve e permanga intero in
se stesso. 5. Perché dunque la nostra fede, dinanzi alla
logica coerenza del discorso, non abbia alcuna esita­
zione circa l'idea in oggetto, è bene intrattenerci un
momento sull'aspetto fisiologico del corpo. Chi non
sa che la natura del nostro corpo non possiede la vita
da se stessa fondata su una sua propria essenza, ma
è in sé compatta e permane nell’esistenza mediante la
forza che le affluisce, traendo a sé con movimento
ininterrotto quanto le manca ed eliminando il super­
fluo? 6. Un otre pieno di liquido, se il contenuto spa­
risse dal fondo, non conserverebbe più l’ampiezza del­
la sua forma, a meno che non s’introduca dall’alto
un altro liquido nello spazio rimasto vuoto, sicché
chi guarda alla circonferenza voluminosa di questo
recipiente sa che essa non è propria dell’oggetto os­
servato, ma che il liquido introdottovi ne determina
dall'interno la forma perimetrica; parimenti non ci
risulta che la struttura del nostro corpo abbia un
proprio mezzo per la sua sussistenza, mentre è noto
che essa permane nell'esistenza grazie alla forza che
le viene introdotta.
134 Gregorio di Nissa

Nutrimento eucaristico

7. E questa forza è quello che si chiama nutri­


mento. Questo però non è lo stesso per tutti i corpi
che sono nutriti, m a a ciascuno viene assegnato quello
che gli è appropriato da parte di Colui che dirige la
natura. Degli animali, alcuni si nutrono di radici sca­
vate dalla terra, altri di erbe, altri ancora di carne;
l'uomo si nutre principalmente di pane. E per mante­
nere e conservare l'um idità nel corpo abbiamo come
bevanda non solo l'acqua pura m a spesso aoqua me­
scolata con vino per aiutare il calore interno. Chi
dunque considera questi elementi viene a considerare
potenzialmente il volume del nostro corpo: quegli ele­
menti infatti, una volta dentro di me, diventano mio
sangue e mio corpo per la trasformazione proporzio­
nata del nutrimento nella forma del corpo mediante
la forza di assimilazione.
8. Stabilite in tal modo queste premesse, dobbia­
mo riprendere le questioni già poste. Ci siam chiesti
come quel corpo di Cristo da solo possa vivificare l'in­
tera natura degli uomini credenti, distribuito a tu tti
senza esserne diminuito. Forse ci troviamo ora vicini
alla probabile spiegazione del fatto. Se la sostanza di
ogni corpo dipende dal nutrimento, e questo consiste
nel cibo e nella bevanda, e del cibo fa parte il pane e
della bevanda l'acqua mescolata col vino, il Verbo di
Dio, che è insieme Dio e Verbo, come abbiam detto
sopra, si è congiunto alla natura umana, e divenuto
presente nel nostro corpo non ha realizzato una nuova
diversa consistenza per la natura, m a attraverso i
mezzi consueti e appropriati ha procurato al suo cor­
po la permanenza nell'essere, conservandone la so­
stanza col cibo e con la bevanda; e il cibo era il pane.
La Grande Catechesi, XXXVII, 9-10 135

Il pane di Dio

9. Riguardo a noi, come si è già detto più vo


vedendo il pane si vede in qualche modo il corpo
umano, perché il pane penetrando nel corpo diviene
corpo esso stesso; cosi anche qui il corpo in cui Dio
si è incarnato, ricevendo il nutrimento del pane, s'iden­
tificava in certo senso col pane, poiché il nutrimento
si trasform a, come si è detto, nella natura del corpo:
a quella carne (di Cristo) si è riconosciuta la caratte­
ristica propria di ogni uomo, che cioè anche quel
corpo era sostenuto dal pane. D’altra parte quel corpo
mediante l'inabitazione del Verbo di Dio era stato
innalzato alla dignità divina. Con ragione, dunque, noi
ora crediamo che il pane santificato dal Verbo di Dio
si trasform a nel corpo del Verbo divino19. 10. In realtà
quel corpo era pane in potenza, ed è stato santificato
dalla presenza del Verbo che ha preso dimora nella
carn e20. Come dunque il pane dopo la trasformazione
in quel corpo è stato elevato alla potenza divina, cosi
anche qui abbiamo lo stesso risultato. Là infatti la
grazia del Verbo rendeva santo il corpo che sussisteva
in forza del pane ed era in certo modo pane esso
stesso; ugualmente in questo caso il pane, come dice
l'Apostolo21, viene santificato dal Verbo di Dio e
dalla preghiera, divenendo il corpo del Verbo divino
non per via dell’alimentazione, ma trasformandosi di­
rettam ente nel suo corpo grazie alla potenza del Verbo,
come è stato detto dal Verbo stesso: « Questo è il mio
corpo » 71.

19 L’Eucaristia è il prolungamento dell’incarnazione del


Verbo.
20 Cf. Gv. 1, 14.
zi Cf. 1 Tim. 4, 5.
22 Me. 14, 22.
136 Gregorio di Nissa

Il vino e l’acqua sangue del Cristo

11. Ma ogni carne è alimentata anche dall'elemento


umido, perché senza questa duplice compresenza quel
che in noi vi è di terrestre non rim arrebbe in vita:
per questo, come la parte solida del corpo la sostenia­
mo mediante il nutrim ento solido e consistente, cosi
anche per l’elemento umido noi ne ricaviamo il con­
tributo da una natura equivalente, e una volta che
questo elemento è entrato in noi si fa sangue in virtù
della facoltà di assimilazione, soprattutto se per l’azio­
ne del vino acquista il potere di cambiarsi in calore.
12. Poiché, dunque, quella carne in cui Dio è disce­
so ha accolto anche questo elemento necessario per
la sussistenza, e Dio nel suo manifestarsi si è congiun­
to alla natura mortale perché l'um anità fosse insieme
a lui deificata con la partecipazione alla divinità, per
questo egli si dona come una semente, secondo il piano
salvifico della grazia, a tutti i credenti mediante la
carne, che si compone di vino e di pane, e si unisce al
corpo dei credenti, perché attraverso l'unione con l’im­
m ortale anche l’uomo diventi partecipe dell’incorrut­
tibilità. Questi sono i doni che egli concede trasfor­
mando la natura delle specie in quel corpo immortale
con la potenza della consacrazione.

La fede

XXXVIII. 1. Credo che nel nostro ragioname


non sia stata tralasciata alcuna delle questioni con­
cernenti il mistero, eccettuato l’aspetto teorico della
fede, che ugualmente vogliamo esporre in breve anche
nel presente trattato. Per coloro che cercano un’espo­
sizione più completa l’abbiamo già estesa in altri pre­
cedenti lavori, nei quali abbiamo spiegato minuziosa­
mente la dottrina con la cura che rientrava nelle
La Grande Catechesi, XXXIX, 1-3 137

nostre possibilità, e nei quali polemizzando siamo


venuti alle prese con gli avversari e abbiamo esami­
nato a fondo le singole questioni che ci venivano
proposte.
2. In questo nostro trattato abbiamo creduto che
fosse bene dire solo quanto è contenuto nella parola
del Vangelo, e cioè che colui il quale è generato secon­
do la rigenerazione dello spirito sa da chi è stato
generato e di che natura è la sua v ita 23; perché sol­
tanto questa forma di generazione ha il potere di essere
realmente quel che sceglie di essere.
XXXIX. 1. Mentre gli altri esseri che nascono
bono la loro esistenza all'impulso dei generanti, la na­
scita spirituale invece dipende dalla volontà del gene­
rato. Poiché, dunque, in questo caso, c’è il pericolo
che uno si sbagli circa quel che gli giova, avendo
ognuno la libertà della scelta, è bene, secondo me,
che colui il quale intende realizzare la propria nascita,
riflettendo conosca in precedenza chi gli gioverà di
avere come padre e da chi uscirà costituita la sua na­
tura: si è detto infatti che tal genere di nascita si
sceglie liberamente i suoi genitori.
2. E dato che gli esseri si dividono in due pa
l’elemento creato e l’increato, e mentre la natura in­
creata possiede l’immobilità e l’immutabilità 2\ la crea­
zione invece è soggetta al mutamento, chi vuole sce­
gliere consapevolmente quel che gli giova, di chi
preferirà essere figlio, della natura che vediamo sog­
getta al cambiamento o di quella che possiede l’es­
senza immutabile e fissa e sempre identica nel bene?
3. Ora, nel Vangelo sono rivelate le tre persone e i
tre nomi per i quali i credenti ricevono la nascita, e
chi è generato nella Trinità è generato ugualmente dal
Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo; cosi infatti

23 Cf. Gv. 1, 13; 3, 6-7.


24 Cf. Mal. 3, 6.
138 Gregorio di Nissa

si esprime il Vangelo circa lo Spirito: Ciò che è nato


dallo Spirito è sp irito 25; e: Paolo genera in C risto26;
ancora: Il Padre è padre di tu tti21. Qui, dunque, l'ani­
mo di chi ascolta m ostri la sua saggezza non facendosi
figlio della natura soggetta alla mutevolezza, mentre è
in suo potere di procurarsi come principio della propria
vita la natura stabile e non soggetta al mutamento.
4. L'atto che si compie ripone la sua forza nella dispo­
sizione interiore di chi si avvicina alla grazia del sacra­
mento, di modo che chi riconosce il carattere increato
della santa Trinità entra nella vita stabile e immuta­
bile, m entre colui che per l’errata concezione vede
nella Trinità la natura c re a ta 28, e con tale concezio­
ne riceve quindi il Battesimo, viene di nuovo gene­
rato ad una vita soggetta al mutamento e all’altera­
zione; perché fra l ’essere generato e i generanti vi è
necessariamente omogeneità di natura.
5. Che cosa dunque sarà più utile, entrare n
vita immutabile o essere di nuovo in preda ai flutti di
una vita instabile e soggetta al mutamento? È chiaro
certamente a chiunque abbia un minimo d’intelligenza
che la stabilità vale molto più di ciò che è instabile,
il perfetto dell’imperfetto, ciò che non ha alcun biso­
gno di ciò che ne ha, e a ciò che si eleva per gradi è
superiore quel che non ha bisogno di progresso29, ma
anzi permane im m utato nella perfezione del bene. Per
tali ragioni chi è sensato dovrà in ogni modo scegliere
ima di queste due: o credere che la santa Trinità è
della natura increata e costituirla cosi principio della
propria vita mediante la nascita spirituale, oppure,

25 Cf. Gv. 3, 6.
24 Cf. 1 Cor. 4, 15.
27 Cf. Ef. 4, 6.
28 Allusione agli anomei (v. nota 2).
29 Probabile allusione alla tesi di Paolo di Samosata (v.
Atanasio, De Syti., 4), secondo il quale Cristo dopo l’incarna­
zione sarebbe stato deificato per gradi.
La Grande Catechesi, XXXIX, 5-7 139

se ritiene il Figlio e lo Spirito Santo estranei alla na­


tura di Dio primo, vero e buono30, voglio dire alla
natura del Padre, non assumere queste credenze nel
momento della nascita, perché non gli avvenga di
introdursi inconsapevolmente nella natura imperfetta
e bisognosa di miglioramento, e di ricondursi in qual­
che modo nella sua condizione naturale distaccando la
fede dalla natura trascendente. 6. Ohi si m ette alle
dipendenze di un essere creato ripone inconsapevol­
mente in esso e non nella divinità la speranza della
salvezza. Perché tu tta la creazione per il fatto di pro­
cedere in egual modo dal non essere all’essere si trova
in se stessa strettam ente congiunta; e come nella strut­
tura dei corpi tutte le membra sono armonicamente
unite fra loro, anche se alcune si trovano nella parte
superiore e altre nella parte inferiore, cosi la natura
creata form a una stretta unità secondo il disegno della
creazione, e la differenza che in noi divide ciò che è
superiore da ciò che è inferiore non spezza la coesione
interna della stessa natura: in quelle cose già ideate
ugualmente come prive di esistenza, se pure differi­
scono in altri aspetti, su questo punto non si riscon­
tra alcuna differenza della natura. 7. Se dunque l'uomo
che è mortale ritenesse mortale anche lo Spirito e
il Dio unigenito, stolta sarebbe la sua speranza in un
cambiamento nello stato superiore, quando in defini­
tiva ritorna a se stesso31. Il caso ci riporta ai precon­
cetti di Nicodemo, il quale, avendo appreso dal Signore
della necessità di nascere di nuovo, poiché non capiva
ancora il senso del mistero, si riconduceva con i suoi
ragionamenti nel seno m aterno32. Per cui, se l'uomo si
dirige non verso la natura increata, ma verso la creatu­

30 Gregorio ha di mira posizioni anomee ed eunomiane


(v. nota 5 del Prologo).
31 Cf. Rom. 8, 21.
32 Cf. Gv. 3, 3-4.
140 Gregorio di Nissa

ra partecipe della stessa sua origine e della stessa


condizione di schiavitù, appartiene alla nascita dal
basso, non a quella dall'alto. Il Vangelo invece afferma
che la nascita di chi è salvato avviene dall'alto.

Necessità della conversione interiore

XL. 1. Ma la catechesi non mi sembra svolgere un


insegnamento sufficiente se si limita a quanto si è
detto. Bisogna considerarne, a mio parere, anche le
conseguenze, che molti di quanti si accostano alla
grazia del Battesimo trascurano, traendosi loro stessi
in inganno, partecipi della rigenerazione soltanto ap­
parente, non di quella vera. Difatti la trasformazione
della nostra vita che si compie mediante la rigenera­
zione non sarebbe ima trasformazione se rimanessimo
nella stessa condizione attuale. Perché chi continua
a vivere nel medesimo stato di prim a non riesco a
pensare come la rinascita lo abbia rinnovato, dal mo­
mento che nulla è cambiato nei suoi tra tti caratteri­
stici. Del resto, che il conseguimento della nascita
salutare comporti il rinnovamento e la trasformazione
della nostra vita è a tutti noto. 2. Ma la natura del­
l'uomo presa in se stessa non subisce cambiamento
dopo il Battesimo, né la facoltà razionale né l'intellet­
tiva né la facoltà percettiva, né qualsiasi altra facoltà
strettam ente peculiare della natura umana è soggetta
a trasformazione: perché vi sarebbe trasformazione
in peggio se venisse m utata una di queste caratteri­
stiche proprie della natura. Se dunque la nascita
dall'alto consiste in una trasformazione dell'uomo, e
se queste caratteristiche non comportano mutamento,
bisogna esaminare che cos’è che si trasform a perché
si compia la grazia della rigenerazione. 3. È evidente
che la trasformazione che ci rende migliori avviene
con l'eliminazione degli aspetti perversi della nostra
La Grande Catechesi, XL, 3-4 141

natura. Se pertanto, come dice il P rofeta33, con l’im­


mersione in quest’acqua sacramentale purifichiamo i
nostri propositi cancellando le brutture dell’anima,
noi diventiamo migliori e ci trasformiamo nella dire­
zione di una vita migliore. Se invece il Battesimo è
diretto solo al corpo e l’anima non si asterge dalle
macchie derivanti dalle passioni, e la vita che segue
all’iniziazione battesimale si accorda con la vita da
non battezzati, se pure con parola audace lo dirò senza
poi ritrattarlo: in tale situazione l’acqua è soltanto
acqua, poiché per nulla si rende effettivamente mani­
festo il dono del santo Spirito allorché non soltanto
reca offesa all'immagine divina la turpitudine dell'ani-
no o la passione della cupidigia o la sfrenatezza e
indecenza del pensiero, l’orgoglio, l’invidia e la traco­
tanza, ma persistono ancora inalterati nell'uomo i
comodi acquisti dell’ingiustizia, e la donna ottenuta
con adulterio resta ancora al suo fianco ad assecon­
darne le brame. 4. Se queste ed altre siffatte miserie
restano dopo come prim a nella vita di chi 'ha ricevuto
il Battesimo, non so vedere quale cambiamento vi sia
stato, trovandomi davanti lo stesso uomo di prima.
Quelli che hanno subito ingiustizia, o sono stati vittime
di calunnie o sono stati spogliati dei loro beni, non
vedono, p er quanto li riguarda, nessun cambiamento
in colui che è stato battezzato. Non hanno sentito da
lui la stessa parola di Zaccheo: « Se ho defraudato
qualcuno, restituisco il quadruplo » M. Quel che dice­
vano di lui prim a del Battesimo lo ripetono ancora,
usando gli stessi appellativi lo chiamano avaro, bra­
moso dei beni altrui, uno che vive lautam ente sulle
disgrazie umane. Colui che rimane nelle stesse condi­
zioni di prim a e poi va proclamando dovunque il suo
cambiamento in una vita migliore mediante il Batte-

» Cf. Is. 1, 16.


* Le. 19, 8.
142 Gregorio di Nissa

simo, ascolti le parole di Paolo35: « Se uno crede di


essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stes­
so ». Perché tu non puoi essere quel che non sei
diventato.
5. A quanti lo hanno accolto, dice il Vangel
proposito degli uomini rigenerati, ha dato il potere di
diventare figli di D io36. Il figlio partecipa necessaria­
mente della natura del padre. Se dunque tu hai
accolto Dio e sei divenuto suo figlio, esprimi in te
stesso Colui che ti ha generato. La stretta unione con
Dio di chi è divenuto suo figlio si deve manifestare
mediante gli stessi tratti caratteristici che ci fanno
riconoscere Dio. Egli apre la sua mano e sazia ogni
vivente di buona volontà37, perdona l'iniquità38, si
pente del m ale39; il Signore è buono con tu tti40, non
esercita la sua ira ogni giorno41; retto è il Signore Dio,
e in lui non vi è ingiustizia42; e cosi tutte le qualità
proprie di tal genere su cui la Scrittura ci istruisce più
volte. 6. Se tu possiedi queste note caratteristiche,
sei divenuto veramente figlio di Dio; se invece rim ani
nelle condizioni proprie del vizio, invano vai proferen­
do di essere nato daH’alto. La voce del Profeta ti dirà:
Tu sei figlio di uom o43, non figlio dell'Altissimo44; tu
ami la vanità, cerchi la menzogna. Tu non sai come
l'uomo è esaltato4S, e che non può esserlo se non diven­
tando santo.

35 Gal. 6, 3.
36 Gv. 1, 12.
Cf. Sai. 145, 16.
38 Cf. Mie. 7, 18.
39 Cf. Gioe. 2, 13.
« Cf. Sai. 145, 9.
« Cf. Sai. 7, 12.
« Cf. Sai. 92, 16.
« Cf. Sai. 4, 3-4.
« Cf. Sai. 82, 6-7.
« Cf. Sai. 4, 4.
FINI ULTIMI

7. Sarebbe necessario aggiungere a questi in


gnamenti quello che ancora rimane: intanto che i beni
promessi a chi conduce ima vita buona non sono tali
da potersi descrivere a parole. Come descrivere infatti
quel che né occhio vide, né orecchio udì, né giunse
nel cuore dell’u o m o 1? Né d'altra parte la vita piena
d'afflizione dei peccatori è paragonabile ad alcuna del­
le sofferenze che quaggiù torm entano i sensi. Ma se
anche si vuol esprimere qualcuno dei castighi dell’al­
dilà con term ini in uso fra noi, grande ne resterebbe
la differenza. Ascoltando la parola fuoco2 tu hai im­
petrato ad intendere una cosa diversa dal nostro fuoco
per la presenza in quel fuoco di qualcosa che invece
manca nel nostro: l’uno infatti non si spegne, mentre
con l’esperienza si son trovati molti mezzi per spe­
gnere l’altro, e tra il fuoco che si spegne e il fuoco
inestinguibile la differenza è grande. Questo fuoco
dunque è tu tt’altra cosa, e non si identifica con quello
di quaggiù. 8. Quando poi si sente parlare di verm e3,
non ci si lasci indurre daH’omonimia ad intendere
l’animaletto di questa terra; l’aggiunta dell'attributo
eterno suggerisce di pensare ad una natura diversa

1 Cf. 1 Cor. 2, 9.
2 Cf. Is. 66, 24; Me. 9, 48; Mt. 3, 10; Le. 3, 9.
3 Cf. Is. 66, 24; Me. 9, 48.
144 Gregorio di Nissa

da quella a noi nota. Queste dunque sono le realtà


che si offrono alla speranza della vita futura, realtà
che si sviluppano nella vita conformemente alla libera
volontà di ciascuno secondo il giusto giudizio di Dio.
Sarà compito perciò degli uomini saggi m irare non
al tempo presente ma a quello avvenire, e gettare in
questa vita breve e fugace le fondamenta della felicità
ineffabile e allontanarsi dall'esperienza del male me­
diante ima scelta di buona volontà, ora durante la vita,
e dopo questa vita nel possesso della ricompensa
eterna.
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

A cqua battesim ale: 122 Apologia (G iustino): 32


Adriano: 92 Ariani e arianesim o: 5, 8
A elia Capitolina: 92 A ristotelico (influsso): 23-
Aezio: 42 24
Agostino: 6, 17-18, 59 A rm onia n ella creazione: 60
A k o lo u tia : 20, 24, 26 Arnim von J.: 24-26
A k risia : 22 Assiri: 113
A lessandria (scuola): 16 A ssistenza divina: 90
A lito um ano (analogia con Atanasio: 21, 28, 31, 33, 138
lo Spirito): 49 A teism o pagano: 43
A llegoria (Scrittura): 19, 68 Attributi divini: 93-95
Am ore m otivo dell'incam a-
zione: 81-82 B alàs D.L.: 32, 57
Analogia: 10 B asilide: 42
— nella conoscen za di Dio:
B asilio Magno: 5, 14, 51
82
B asilio il Vecchio: 5
A ngeli (incaricati di gover­
nare il m ondo): 61 B attesim o: 14-16, 34
A ngelo della terra: 63 — rigenerazione spirituale:
A nim a m u n d i: 26 121
A nim a um ana: — presenza di Dio nel B.:
— m alattie dell'.: 71 123
— non im prigionata: 22-23, — efficacia: 123
76-77 — preghiera di consacrazio­
— unione m isterio sa con la ne: 124
carne: 78 — im m ersione battesim ale:
— anim e carnali e anim e 123-124
spirituali: 66 — liberazione: 126-128
Annesi: 5 — riproduce la m orte e la
A nom ei e anom eism o: 8, 42, risurrezione di Cristo:
138-139 62 s„ 27 s.
Antropologia: 10-11 — im itazione di Cristo: 128-
A p à th eia : 25, 57, 63, 82, 130 130
A p o k a tà sta sis: 29, 107, 129 — sem e e fondam ento del­
A pollinare di Laodicea: 9, la risurrezione: 129
108 — purificazione: 130
146 Indice dei nomi e delle cose notevoli

— inefficacia del b. ariano: C on tro le eresie (Ireneo):


138 32
Baus Κ.: 16 C ontroversie teologiche: 8
Beatitudine eterna: 143 C onversione: 14, 73, 140-142
Bellezza divina nell’uomo: Corpo:
61 s. — risuscitato: 30
Bene: — vaso di terra: 68
— identico all’essere: 22, — risurrezione del c.: 70,
66 129
— forme del b.: 96 — valore di tu tte le sue
— beni divini: 56-58 parti: 111
— beni divini premio della — privo di sostanza prò*·
buona volontà: 17 s., 67 pria: 133 s.
Betz J.: 9 C ostantinopoli (concilio): 6
Bibbia e filosofia: 18 C o stitu zio n i A p o sto lic h e : 7
Bontà divina: 93-94 Creato e increato: 11, 137
— e giustizia: 100 Creazione: 11
— motivo della creazione: — b ontà divina m otivo del­
28, 54 ss. la c.: 28, 54 ss.
— opera del Verbo: 48
Caduta dell’uomo (conse­ — opera del V erbo e dello
guenze): 132 Spirito: 52
Caino: 113 — d ell’uom o: 55
Calcedonia (concilio): 17, — m istero d ella c.: 78
88 Crisi ariana: 8
Cappadocia: 5, 8 Cristo:
Cartagine: 17 — nascita e m orte di C.
Catechesi: 15 ss., 41, 140 esenti da inferm ità: 79,
Catechesi tradendae: 36 85
Catechisti: 7 — divinità di C.: 80, 123 s.
Catecumenato e catecume­ — carattere m iracoloso del­
ni: 15-16 la nascita e della m orte
Celso: 112 di C.: 80 s.
Chiesa: 41 — causa della risurrezione
Clemente Alessandrino: 16, d ell’uom o: 87 s.
68, 83 — il corpo di C. velo alla
Condizione attuale dell’uo­ divinità: 99, 102
mo: 57 s. — riscatto: 12, 23, 33, 99
— c. mortale: 69 s. — con tatto di C. con tutta
Conoscenza di Dio: 51 la vita umana: 108
Consostanzialità divina: — chiam a tu tti gli uom ini:
— del Verbo: 49 s. 115
— del Verbo e dello Spiri­ — n ecessità della m orte di
to: 48 s. C.: 116 s.
Indice dei nomi e delle cose notevoli 147

— il corpo di C. non è di­ — bontà divina nella reden­


sceso dal cielo: 132 zione: 93 s., 102 s.
— punto d’incontro (methò- — sapienza divina nella re­
rion): 88 denzione: 94, 102 s.
Croce: — presenza di Dio nell’uni­
— dimensione cosmica del­ verso e nell’uomo: 103,
la c.: 13, 22, 118 ss., 117 s. 118
— mistero: 118 s. — giustizia e bontà nello
scambio col demonio:
Daniélou J.: 7, 17, 20, 24, 45 s., 105 s.
26, 27, 29, 88, 95 — come un chirurgo: 107
David: 53 — come un istruttore mi­
Debolezza: senso proprio e litare: 126
s. improprio: 84 s. Disputatio Theriani cum
De catechizandis rudibus: Nersete: 35
17 s. Distinzione nell’unità di na­
Dedalo: 126 tura della Trinità: 45
De -fide ortodoxa: 35 Divinità di Cristo: 80, 123
De Margerie B.: 20 Divino afflante Spiritu: 20
Demetrio: 16 Dorrie H.: 27
Demonio: 11, 12, 33 Draeseke J.: 37
— suo inganno: 63 Dynamis: 24
— riscatto offerto al d.:
97, 98 s„ 117 Economia divina: 78 s., 54
— cade nel suo stesso in­ Egiziani: 113
ganno: 104 s. Èidos (« forma »): 24, 35
Deogratias: 17 Èkphrasis: 8
De principiis: 9 Emmelia: 5
Didachè: 16 Enèrgeia («atto»): 24
Didaskaleion: 16 Eoni: 42
Dio: Epèktasis: 95
— manifestato dall'econo­ Epifanio: 7
mia dell'universo: 42 s., Eracla: 16
78 Erode: 113
— attributi: 43 Esegesi biblica: 18-20
Esler M.N.: 19
— trascendenza divina: 46, Esposizione della predicazio­
56, 109 s. ne apostolica (Ireneo):
— non è responsabile del 17, 32
male: 67 Eternità (principio di eter­
— potenza divina: 78 s. nità nell'uomo): 56
— come un medico: 89, 105, Eucaristia: 14, 24, 34 s.,
113 131 ss.
— attributi inseparabili: 93 — diretta al corpo: 24, 34,
— sapienza: 93 132 s.
148 Indice dei nomi e delle cose notevoli

— analogia del p rocesso a s­ Giudaizzanti: 41


sim ilativo n el corpo: 34, Giudei: 41, 48, 52, 91, 93,
134 s. 115
— corpo e sangue di Cristo Giudizio:
causa di santificazione: — fa lso (a k risia ) causa del­
131 s. la colpa: 64, 69, 74
— rim edio contro la m or­ — di Dio: 71
te: 132 s. Giustino: 32
— prolungam ento dell'in­ G iustizia divina: 44, 94
carnazione: 135 — n ella redenzione: 97,
— vino e acqua sangue di 102 s.
Cristo: 136 — e riscatto: 97 s.
E unom io e eunom iano: 42, — e bontà: 100
139 — e sapienza n ell’incarna-
E utim io Zigabeno: 35 zione: 104 s.
G nosticism o: 16
Fatalism o: 28 Grazia:
Fede: 136 ss. — e libertà: 13, 114 s.
— libertà della f.: 116 — originaria: 31, 71, 73, 74
Felicità: — universalità della g:
— com e a p à th eia : 68 114 s.
— eterna: 143 s. Greci: 42, 45, 54, 73,
Filosofia e B ibbia (v. p h ilo ­ G regorio di Nazianzo: 6,
sophia): 18 14, 76, 100
Fini ultim i: 143 G rillm eier A.: 9
Fozio: 35 Gronau Κ.: 25
Fries H.: 9 G uarigione dell'um anità:
F uoco eterno: 14, 143 106 s.
— purificazione col fuoco:
130 H arl M.: 6
H ylè (« m a te r ia » ): 24
Generazione: H yp o k èim en o n
— organi della g.: 112 (« m a te r ia » ): 23, 25
— carattere m isterioso del­ H y p o sta sis e ousia: 53
la g. um ana: 122
— naturale e soprannatura­ Idolatria:
le: 122 s. — sparisce dopo l’incarna­
G erusalem m e: 91 s. zione: 90
Giovanni D am asceno: 14, Im itazione di Cristo: 128 ss.
35, 49 Im m agine:
Giovanni Paolo II: 36 — di D io (l’uom o): 11, 56,
Giudaism o: 42 69, 73
— splendore e tram onto — som iglianza di Dio: 36,
della religione giudaica: 94
91 — divina e m odello: 95 s.
Indice dei nomi e delle cose notevoli 149

Im m anenza divina: 21, 118 Leonzio di Bisanzio: 35


Im m ortalità d ell’uom o: 11, L e tte ra degli A p o sto li: 16
56 L e tte ra d i Barnaba·. 16
Im m utabilità di Dio: 22, 74, Liberazione d ell’uomo:
94 s., 137 125 ss.
Im p assib ilità (v. a pàth eia) Libertà: 11, 28, 58 s„ 115
Incarnazione: 12, 14, 22, 23, — e grazia: 13, 114 s.
32, 34, 82 — um ana riflesso della 1.
— i m iracoli prova d ell’i.: di Dio: 68
78, 90 s. — e fede: 115
— l'am ore di D io m otivo — e virtù: 116
d ell’i.: 81 s. — dalle p assion i (v. apà­
— n e ll’i. D io si u n isce alla theia) :
natura um ana, non al vi­ L ib ri tre s a d versu s N esto-
zio: 85 rianos e t E u tych ia n o s:
— effetti d ell’i.: 87 35
— potenza dell'i.: 100 ss. Lilla S.: 5, 20, 28
— logica dell'i.: 108 ss. Luce e tenebra: 67, 74, 82 s.,
— com e D io pu ò farsi uo­ 102 s.
m o: 111 ss.
— perché l ’i. fu ritardata: Male:
112 s. — problem a del m.: 11, 22,
Increato e creato: 11, 137 27, 28, 54-74
Indipendenza d ell’uom o: 58 — estran eo alla natura di­
Inferm ità d ella natura um a­ vina: 47
n a (v. pathos)·. 25, 57 s., — m ali presenti: 57, 64
84 s. — genesi e causa del m.:
Inferno: 14, 75, 107 59
Infinità di Dio: 76 — nozione negativa del m.
Inganno di satana: 15 s., 64 (assenza di bene): 59 s.,
— e astuzia di Dio: 97, 62, 66
105 s. — legam e d ell’anim a col
Intelligenza criterio del ve­ m.: 72
ro bene: 96 — so lo il m . è degradazio­
In telligib ile (caratteri del ne: 111
m ondo i.): 60 — persistenza del m.: 114
Invidia del dem onio: 61 ss., — il vero m.: 66, 67
98 M alingray A.M.: 91
Ip ostasi (confutazion e del­ Mani: 42
l’errore giudaico): 45 ss. M anicheism o: 42, 65
Ireneo: 17, 32 M anicheo: 42
Ivanka von E.: 21 M arcione: 42
Martirio: 91
Jaeger W.: 36 M assim o il Confessore: 35
Jedin H.: 16 M ateria e pensiero: 27, 60
150 Indice dei nomi e delle cose notevoli

May G.: 6 — bontà dell’intera n. uma­


Mediazione culturale: 8, 17, na: 111 s.
18, 36 — divina: 45, 93 s.
Medico divino: 71 — divina immutabile: 137
Méridier L.: 33, 36 — rapporto delle due natu­
Merki H.: 57 re in Cristo: 76, 77
Methòrion: 88 — divina di Cristo velata
Metodio di Olimpo: 28, 31 dalla n. umana: 99
Metodologia catechetica: 10, Neoplatonismo: 7, 18, 27
4143 Nicea (concilio): 17
Minosse: 126 Nicodemo: 139
Miracoli: Noè: 113
— prove dell’incarnazione: Nozioni generali: 54
78, 90 s., 98 s., 123 Nutrimento (corpo in poten­
— dopo la risurrezione: za): 134
120
Mondo: Onnipresenza divina: 26,103
— è buono e ordinato: 48, Onniscienza divina: 72
54 Opere (manifestano Dio):
— intelligibile e sensibile: 78 s.
60 Organismo (simpatia delle
Morte: parti): 26, 117
— necessità della m. di Cri­ Origene: 8, 9, 16, 19, 21,
sto: 32, 116 s. 28 ss., 33, 51, 59, 68, 71,
— e benevolenza di Dio: 67, 83
134 Ousia - hypòstasis: 53
— come purificazione: 68
— di Cristo: 75, 79 s. Padri (insegnamento dei P.;
— e vita: 102 s. v. tradizione): 60
— unione con la m. di Cri­ Pane eucaristico: 35, 135
sto: 126-128 Panoplia dogmatica: 35
Mosè: 19, 57, 68, 99 Panteno: 16
Mutabilità della creatura: Paolo (san): 13, 66, 119, 138,
62, 67, 73, 74, 94 s. 142
Paolo di Samosata: 138
Nascita: Paradiso: 143
— dell’uomo (infermità): — p. terrestre: 57
79 s. Parola umana e Verbo: 45 s.
— di Cristo: 80 Partecipazione:
— naturale e battesimale: — dell’uomo ai beni divi­
122 s. ni: 58, 60 s.
Natura — del creato al divino: 60 s.
— originaria dell’uomo: 56 Passione e generazione u-
— caratteri della n. umana: mana: 80
46 Passioni: 71
Indice dei nomi e delle cose notevoli 151

P a th o s: 23, 79 s. Puech H.Ch.: 42


Peccato: Purificazione:
— originale: 65, 84-90 — nella vita futura: 71
— persistenza del p.: 114 — dell’um anità: 106 s.
Peccatori (sorte finale): 143 — legge della p.: 130
P ellegrino M.: 15
P ensiero e m ateria: 27, 60 R ealtà (intelligib ile e sensi­
P entim ento: 128 bile): 60
Persona divina: 45, 51 Redenzione:
P hilosophia: 91 — provata dai fatti: 90 s.
P h y sis: 35 — perché fu differita: 113
Piaceri: 68, 73 — dell'um anità: 132
Piano divino nell'incam a- Retorica: 7, 132
zione: 54 ss. R iscatto:
P ietro (san): 115 — pagato a satana: 97 s.
Pio XII: 20 — Cristo r.: 12, 23, 33, 99
P latonism o: 21-33 R isollevam ento della crea­
Plotino: 76 tura: 74
Pohlenz M.: 25-26 Risurrezione: 14, 30-31
Polak H.: 36 — valore universale della
P oliteism o: 42-44, 51 r.: 26, 31, 118
Ponto: 6, 42 — com e ritorno allo stato
Porfirio: 112 originario (v. apokatà-
Potenza: sta sis): 68-70, 75
— divina: 44, 55 — di Cristo: 81, 82, 87
— di D io e del Verbo: 47 — di Cristo principio di ri-
— dello Spirito: 50 generazione per l’um ani­
— n ell’incarnazione: 100 s. tà: 104
P redestinazionism o: 28 — d ell’uom o: 87 s.
Predicazione (m eto d i diver­ — d ell’u om o fondata nel
si): 41 s. B attesim o: 129
Preesistenza: R itorno finale allo stato o-
— delle anim e: 30 riginario (v. apokatàsta-
— del m ond o intelligibile: sis )
61 R itorno agli elem en ti del
Preghiera (potenza della cosm o: 69
p.): 124
Prescienza divina: 72 Sabelliano: 43
Presenza di D io (nell'uni­ Sabellio: 8, 43
verso e nell'uom o): 103 Sacram enti: 14, 34, 121-140
s., 118 s. — e incarnazione: 14, 34,
P rò le p sis: 25 121 ss.
Provvidenza: 28, 30, 61, 69, Salvezza (piano di s.): 93 s.
79 Sapienza divina: 54, 60, 72
152 Indice dei nomi e delle cose notevoli

— e bontà: 93 s. T ricotom ia: 30, 122


— bontà e giustizia: 123 Trinità: 10, 21
— e giustizia nell'incarna­ — m istero: 51
zione: 104 ss. — fra l’errore giudaico e
Satana (v. demonio) l'errore pagano: 51
Semplicità dell'anima: 70 — testim onianze delle
Sensazione (insufficiente nel Scritture: 52
giudizio morale): 66, 73 — relazione delle tre Per­
Senso allegorico (Bibbia): sone: 49
19 T uniche di pelli: 68 s.
— letterale (Bibbia): 19 s.
Simonetti M.: 8-10 Umanità:
Simpatia: 26 — sua condizione a.C.: 82
— neH’organismo: 117 — errori d ell’u. a.C.: 113
Sofferenza: 68 — com e viandanti sm arri­
— come purificazione 23, ti: 126
106 s. Unione:
Sofistica (seconda): 7 — anim a-corpo: 70
Somiglianza (s. e immagi­ — anim a-corpo incom pren­
ne di Dio): 56 s., 94 sibile: 77 s.
Sostanza divina: 51-52 — di D io con la natura u-
Spirito (Santo): 49-53 m ana neH’ineam azione:
— e soffio nell'uomo: 49 s. 77, 81
— suoi attributi: 51 — con Cristo: 14, 131-136
— nei discepoli di Gesù: U niversalità della grazia:
120 114 s.
Srawley J.H.: 37 Uom o:
Stoicismo: 25-27 — al centro della creazio­
Storia della salvezza: 17 s., n e e della redenzione:
20, 26, 28 s., 30, 36, 54, 98, 30, 54-59, 74, 106
102-104 — definizione: 122, 131
Sussistenza del Verbo: 46, — creato dalla bontà di
53 Dio: 58
— dello Spirito: 50, 52 s. — im m agine e som iglianza
d i Dio: 56-57
Tenebra e luce: 67, 74, 82 s., — condizione privilegiata
102 s. dell'u.: 61 s., 64
Teodoreto di Ciro: 35, 49 — m iseria d ell’u. caduto:
Teodosio: 6 58 s„ 64
Teosebia: 5 — n ecessa rio a ll’u. l'aiuto
Tertulliano: 68 del Verbo: 74
Tito: 92 — schiavo volontario di sa­
Tradizione: 32, 118 tana: 97
Trascendenza divina: 46, 56, — caduto co m e p er avvele­
109 s. nam ento: 132
Indice dei nomi e delle cose 153

— u n ion e del m ond o sen­ V erità (propria d ella natu­


sib ile e del m ond o intel­ ra divina): 123 s.
ligibile: 60-61 Verm e (« e te r n o » ): 14, 143
V esti di p elle (v. tu nich e di
Valente: 5 pelle)
V alentino: 42, 108 Virtù:
V angelo (essenza del V.): — identificata con l'essere:
125 62, 83 s.
V angelo d ella v e r ità : 42 Vita:
V erbeke G.: 49 — e m orte: 102 s.
Verbo: — futura: 143
— natura divina del V.: 29, Vizio:
45 ss., 54 s., 73 — privo di essenza propria:
— analogia c o n la parola 62, 83 s.
dell'uom o: 45 s., 48 s. — com e una verruca: 71
— autore del m ondo: 47 s. — unico m ale: 73
— della stessa natura del — solo il v. è avvilim ento:
Padre e distinto: 48 s. 75 s.
— creatore dell'uom o: 55 — op posto alla virtù: 83
— n on im prigionato nel — al su o colm o: 113 s.
corp o assunto: 76 s.
V olontà distorta causa del
— com e la fiam m a di una
m ale: 59
lam pada: 77
— u n ito m isteriosam en te
all'um anità: 77 s. Zaccheo: 141
INDICE SCRITTURISTICO

Antico 39, 12 : 72 A m os
Testamento 82, 6-7 : 142
90, 2 : 117 9, 2-3 : 103
92, 16 : 142
104, 1-2 : 103
Genesi 106, 4-5 : 94 M ichea
119, 65-66.68 : 94
1, 26-27 : 57 139, 7-8 : 103 7, 18 : 142
1, 28-30 : 64 139, 8-10 : 119
2, 7 : 61 145, 9 : 142
3, 21 : 68 145, 16 : 142 G ioele
4, 1-5 : 113
6-7 : 113 2, 13 : 142
19, 1-4 : 113 S apien za

1, 7 : 52, 104 Abacuc


E so d o 7, 1 : 69 2, 4-5 : 113

3, 8 : 82
3, 14 : 103, 117 Isa ia Malachia
4, 31 : 82 3, 2 : 130
1, 16 : 141 3, 6 : 137
37, 23-24 : 113
40, 22 : 103
S a lm i 66, 24 : 143
Nuovo
4, 3-4 : 142 Testamento
7, 12 : 142
15, 10 : 80 G erem ia
M atteo
31, 20 : 89
33, 6 : 52 23, 4 : 103 1 : 81
156 Indice scritturistico

2, 16-18 : 113 16, 23 : 124 E fesin i


3, 10 : 143 19, 34 : 120
7, 7 : 123 20, 19 : 120 3, 18 : 119
8, 26-27 : 98 20, 22 : 120 4, 6 : 104, 138
14, 20 : 98 5, 26 : 121
14, 25-26 : 98
18, 20 : 124 A tti
23, 34 : 113 F ilip p esi
27, 50 : 120
28, 20 : 120, 124 1, 9 : 120 2 , 10 : 120
2, 8-11 : 115
2, 10 : 80
Marco 2, 41 : 115 C o lossesi
2, 47 : 41
3, 21 : 107 1, 6 : 114
6, 4849 : 98 20, 24 : 114
9, 48 : 143
14, 22 : 135
1 T im o teo
R om an i
Luca 3, 16 : 41, 78
5, 15 87 4, 4 : 61
2 : 81 6, 10 128 4, 5 : 135
3, 9 : 143 8, 21 139
5, 31 : 71
19, 8 : 141 T ito
19, 10 : 103 1 C orin ti
24, 36 : 120 1, 9 : 41
24, 50 : 120 2, 11 : 90
2, 8 : 99, 100 3, 4 : 82
2, 9 : 143 3, 5 : 121
2, 14-15 : 66
G iovanni 4, 15 : 138
5, 6 : 132 E b re i
1, 12 : 142 6, 1 : 114
1, 13 : 137 8, 9 : 114
1, 14 : 135 12, 14-24 : 112 2, 9 : 83
1, 18 : 43 15, 21 : 87 2, 10 : 125
3, 34 : 139 15, 47 : 127 4, 12 : 46
3, 6 : 138 6, 4 : 121
3, 6-7 : 137 10, 32 : 121
3, 31 : 127
6, 49 : 98 G alati
14, 13 : 124 A pocalisse
14, 23 : 124 6, 3 : 142
15, 4-8 : 124 6, 7 : 105 1, 8 : 117
INDICE GENERALE

Introduzione . . . . ...................... pag. 5


1. Cenni b io g r a f ic i.......................................... » 5
2. Data di composizione, destinatari e strut­
tura della « Grande Catechesi » . . . » 6
3. La catechesi nella Chiesa antica . . . » 15
4. Esegesi b i b l i c a .......................................... » 18
5. Fonti di cultura filosofica e patristica . » 20
6. Originalità e attualità della «Grande Ca­
techesi » ...................................................... » 33

La Grande C atechesi................................................ » 39

P r o l o g o ............................................................ » 41
Dio uno e trino ( I - I V ) ....................................» 45 “
L’uomo (V -V III)................................................ » 54
Il Cristo (I X - X V I ).......................................... » 75
Il mistero di Dio (XVII-XXVII) . . . . » 89
Obbiezioni degli avversari (XXVIII-XXXII) » 111
La vita sacramentaria(XXXIII-XL) . . » 121
Il Battesimo (XXXIII-XXXVI) . . . » 121
L'Eucaristia (X X X V II)..............................» 131
La fede (XXXVIII-XL)..............................» 136
Fini ultimi (X L )................................................ » 143

Indice dei nomi e delle cose notevoli . . » 145

Indice scrittu ristico ......................................... » 155

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