José Granados*
SUMMARY: What are the basic forms of Christian dwelling? The article
responds to this question starting from the mystery of the Incarnation, where
“becoming flesh” is equivalent to “dwelling amongst us”. The connection in-
vites us to focus on the biblical conception of the body as the original dwelling
of man on earth (a conception also explored by contemporary philosophy and
theology) to describe the logic of dwelling inaugurated by Christ. It is proper of
this dwelling that it is, at the same time, a continuous building-up, and that
it is constituted as a space of conversation traversed by the word. This logic is
offered to Christians in the place opened up by the sacraments which, in their
turn, sustain the building of the Church, the house of God. On this horizon,
the role that marriage plays is explored, in order to see how the creaturely logic
of dwelling is included in the Christian habitat inaugurated by Jesus. The
study of the Christian environment helps to explore how the Church vivifies
social spaces that today, in a society of “non-places”, tend to close in on them-
selves, becoming uninhabitable.
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2 Cfr. G. Marcel, “Le mystère familial”, in Id., Homo viator: prolégomènes à une
métaphysique de l’espérance, Aubier, Paris 1963, 87-124: “entre le mystère de l’union de
l’âme et du corps et le mystère familial, il y a une unité profonde qu’on a peut-être
trop peu soulignée: ici et là nous sommes en présence d’un même fait, ou plutôt de
quelque chose qui est bien plus qu’un fait, puisque c’est la condition même de tous les
faits quels qu’ils soient: l’incarnation” (91).
3 Cfr. M. Heidegger, “Bauen, Wohnen, Denken”, in Vorträge und Aufsätze, Neske,
Pfullingen 1994, 139-156.
4 Cfr. Cirillo di Gerusalemme, Catequesis Mystag. IV 3 (SCh 126 bis,136).
5 Cfr. B. Studer, “Consubstantialis Patri, consubstantialis Matri: une antithèse
christologique chez Léon le Grand” in REAug 18 (1972) 87-115.
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famiglia umana e nella storia del cosmo. Partendo dalla visione del corpo
come istallazione nel mondo, possiamo applicare a Cristo la ben nota
frase di José Ortega y Gasset: poiché ogni uomo può affermare “Io sono
io e la mia circostanza”6, allora “Cristo è Cristo e la sua circostanza” e
a questa circostanza apparteniamo noi e appartiene la Chiesa. Di conse-
guenza, il cristianesimo non consiste nell’azione di un individuo (Cristo)
su altri individui (i cristiani), ma piuttosto nella fondazione, a partire
da Gesù, di una nuova forma di abitare che ricostruisce e ridimensiona
l’istallazione umana nel mondo e, a partire da questo nuovo ambiente,
rigenera l’identità della persona.
Che il “farsi carne” del Verbo sia equiparato all’“abitare” del Verbo
tra noi, è qualcosa che conferma Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni
quando chiama Tempio (dimora di Dio con gli uomini) il suo stesso
corpo (Gv 2,21). La teologia del Tempio, di fatto, è già l’elemento chia-
ve necessario per capire che “il Verbo si è fatto carne”: abitare significa
piantare la tenda (skenóo) come a suo tempo la piantò Dio tra il Popolo
e per questo si associa alla gloria manifestata da Dio (shekinah), che noi
abbiamo contemplato (cfr. Gv 1,14). La tradizione profetica aveva già
insistito, da un lato, sull’equivalenza tra il corpo del profeta e la città elet-
ta, e dall’altro su quella tra il corpo del profeta e la presenza rivelatrice di
Dio nel Tempio: mediante il corpo del suo inviato, il Signore abita già
in mezzo ai suoi7.
Lo stesso Evangelista ci offre altri due elementi che completano il
legame tra l’Incarnazione e l’abitare:
In primo luogo, san Giovanni precisa che la dedicazione definiti-
va del Tempio passa attraverso la morte e resurrezione di Cristo (cfr.
Gv 2,21): l’incarnazione-inabitazione è, pertanto, una realtà dinamica
che si concluderà soltanto con l’arrivo della Pasqua. Alla luce di questa
considerazione, possiamo affermare che abitare presuppone edificare (e
riedificare) giacché la dimora si costruisce nel tempo. I due estremi abi-
tare-edificare ci permettono di riassumere tutta la storia della salvezza
come un’espansione, a partire da Dio stesso, dell’ambiente relazionale
dell’uomo: la Bibbia narra la storia di un luogo in costruzione. Poiché il
6 Cfr. J. Ortega y Gasset, Meditaciones del Quijote, in Obras completas, vol. I, Taurus,
Madrid 2004, 757: “Yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella, no me salvo yo”.
7 Cfr. M. Cucca, Il corpo e la città: studio del rapporto di significazione paradigmatica tra la
vicenda di Geremia e il destino di Gerusalemme, Cittadella, Assisi 2010.
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Tempio che si edifica è una realtà vivente, allora possiamo usare anche il
binomio “abitare-coltivare”8.
Nel suo Commento al Vangelo di Giovanni, Sant’Agostino identifi-
ca perfettamente questo nesso tra l’Incarnazione e l’“abitare-edificare”.
Secondo l’Ipponate, Gesù parla del Tempio che si iniziò a costruire in
Adamo9. Cristo, assumendo la carne, assume questo Tempio dell’u-
manità, che sarà distrutto con la sua passione e nuovamente ricostituito
con la risurrezione. Il tempio di Adamo racchiude in sé tutti gli uomini,
poiché le lettere del suo nome indicano, in greco, il nord e il sud, l’o-
riente e l’occidente. Inoltre, la somma dei numeri associati ad ognuna
delle lettere della parola “Adamo” fa esattamente quarantasei, ossia gli
anni che furono necessari per la costruzione del Tempio (cfr. Gv 2,20):
pertanto, il Tempio assume in sé il trascorrere delle generazioni, a partire
da Adamo fino a Gesù, per prolungare la sua storia nella Chiesa.
In questa luce si possono capire le affermazioni del Vangelo che
presentano Gesù senza abitazione fissa, nel senso che egli è sempre in
cammino. Gesù non ha dimora sulla terra in quanto la sua dimora è
solo una, il Padre. Si spiega così che tutto il creato, in tutte le situazio-
ni, possa essere dimora per lui. Dopo aver detto, infatti, che il Figlio
dell’uomo “non ha dove posare il capo” (Mt 8,18-22), lo vediamo ben
presto addormentato nella tormenta, “posando il capo” sulla volontà del
Padre suo (Mt 8,23-27). In conclusione, l’abitare con noi è un abitare in
cammino verso la patria, che si inaugurerà solo quando il risorto, nella
sua carne, si siederà alla destra del Padre.
In secondo luogo, dimorare con Cristo significa anche accettare le
sue parole e rimanere in esse, come si evince chiaramente dal discorso di
commiato di Gesù: chi osserva la parola diventa dimora del Padre e del
Figlio (Gv 14,23; cfr. Gv 15,3-4.10). Ancora una volta, stiamo toccando
un elemento chiave di ogni esperienza umana che il Verbo ha assunto
nella sua totalità. La dimora specifica dell’uomo, infatti, a differenza di
quanto accade con gli animali, è una dimora del linguaggio. Ogni bam-
bino che nasce nella carne, avvolto dal ventre materno e dall’amore dei
suoi genitori, nasce anche nell’atmosfera di una conversazione, a partire
8 Cfr. C.G. Bartholomew, Where Mortals Dwell: A Christian View of Place for Today,
Eerdmans, Grand Rapids 2011, 26-28.
9 Cfr. Agostino, In Ioh. X, 12 (CCL 36, lin. 1).
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10 Sul rapporto tra dimora e linguaggio, cfr. Ch. Taylor, The language animal: the full
shape of the human linguistic capacity, Harvard University Press, Cambridge, MA -
London 2016, 55.
11 Cfr. Ch. Taylor, The language animal, cit., 67: “This [Hölderlin’s dictum] not only
points to the beginnings of speech in communion, but also to the ‘we’ of communion,
which needs recurrently to be recovered out of alienation and division by such
restorative exchanges”.
12 Cfr. L. Irigaray, Éthique de la différence sexuelle, Minuit, Paris 1984, 123: “Deuil jamais
accompli de la nidation intra-utérine que l’homme va tenter, en une fondamentale
nostalgie, de colmater par ses œuvres de bâtisseur de mondes, de choses, et de cette
demeure qui le ferait essentiellement homme: le langage”.
13 Cfr. L.F. Ladaria, La cristología de Hilario de Poitiers, Editrice Pontificia Università
Gregoriana, Roma 1989.
14 Cfr. Ilario di Poitiers, In Psal XIV, 5 (CCL 61, 83).
15 Cfr. Ilario di Poitiers, In Mt IV 12 (SCh 254, 130): “Ciuitatem carnem quam
adsumpserat nuncupat, quia, ut ciuitas ex uarietate ac multitudine consistit habitantium,
ita in eo per naturam suscepti corporis quaedam uniuersi generis humani congregatio
continetur”.
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17 Cfr. De civ. Dei XIV, 6, 2: “civitates duas diversas inter se atque contrarias […] quod
alii secundum hominem, alii secundum Deum vivant”; ibid. XIV, 5, 1: “deserto
Creatore bono, vivere secundum creatum bonum, non est bonum”.
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delle società e non solo dei modi individuali di vivere; anche la “città
dell’uomo” lavora per una certa pace e concordia ed edifica un certo
focolare terreno18. La differenza è che la città dell’uomo ha già qui la sua
dimora, nella quale si cerca la pienezza dell’umano, ma dell’umano senza
Dio (che è la perdita dell’umano)19. La città di Dio, invece, è una città di
pellegrini, i cui abitanti non hanno qui la loro patria, poiché vivono in
cammino verso di essa20. Di conseguenza, la forma cristiana dell’abitare
è sempre in cammino; non è una modalità già insediata, ma in attesa
della sua pienezza ancora da venire e che arriverà soltanto con la fine
della storia. Per capire chi è la Chiesa si devono mettere insieme, come
abbiamo visto accadere nella vita di Gesù, la dimensione della dimora e
la dimensione del “cammino” verso il Padre, verso la patria21.
Naturalmente, questo non significa che i cristiani non abbiano qui
sulla terra un modo comune di vivere, che dà forma alle loro relazioni
e alle loro azioni nella società. Di fatto, il fondatore di questa società è
Cristo, colui che pose le fondamenta con la sua vita nella carne. È ad
essa che appartengono i cristiani mediante il battesimo, porta d’ingresso,
che contiene specifiche modalità di entrare in relazione, a immagine
della vita di Gesù. Seguendo Agostino, la piantina della città può essere
definita a partire dall’Eucaristia. Con essa culmina la prima parte de La
città di Dio (libro X), dove si parla del culto retto a Dio, ossia dell’ordine
ultimo dell’abitare umano. Mentre la città terrena è caratterizzata da un
politeismo che, in fondo, altro non è che esaltazione delle diverse attività
terrene che i molteplici dei proteggono, la città di Dio risulta ordina-
ta intorno all’amore fondante del Creatore, a cui si riferiscono gli altri
amori. È proprio in questo voler ordinare tutti gli amori all’amore di Dio
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22 Cfr. De civ. Dei X, 6: “Hoc est sacrificium Christianorum: multi unum corpus in
Christo. Quod etiam sacramento altaris fidelibus noto frequentat Ecclesia, ubi ei
demonstratur, quod in ea re quam offert, ipsa offeratur”.
23 Cfr. Agostino, Confessioni VIII 2 (CCL 27,115).
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24 Concetto formulato con grande lungimiranza dal pagano Celso: cfr. Origene, Contra
Celsum VIII, 2 (SCh 150, 182).
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nasce un’altra città, che Sant’Agostino chiama ‘la città dell’uomo’ e che
ha cancellato Dio dal proprio orizzonte: si tratta di una città il cui ritmo
temporale è l’hexameron, una settimana senza sabato, poiché imperniata
sulla glorificazione dell’uomo. E poi, c’è la Chiesa, la città di Dio, che ha
assunto in sé l’hebdomada completandola però a partire dalla domenica,
primo e ottavo giorno. Si tratta di una città che supera il tempo di questo
mondo e che vive verso una pienezza ancora da venire ma, nello stesso
tempo, è una città già posta sulle fondamenta della risurrezione di Cristo
e sui sacramenti istituiti da Lui.
A questo proposito, occorre osservare il ruolo rilevante di cui gode
il matrimonio nell’edificazione della città di Dio. Giacché il matrimonio
è, per Agostino, principio sociale originario per il quale tutti gli uomini
possono essere ricondotti ad uno solo e il cui fine è l’amicizia tra gli uo-
mini, questo sacramento si colloca al cuore di ogni società25. Inoltre, se-
condo il disegno del Creatore, la città di Dio avrebbe dovuto estendersi
a partire dal matrimonio. Il rifiuto opposto da Adamo ed Eva al progetto
divino farà sì che nel matrimonio si diffonda una città chiusa in se stes-
sa, guidata dalla concupiscenza. Tuttavia, è in questo stesso matrimonio
che si prepara anche la venuta di Gesù, fondatore della città Dio. Nel
matrimonio si incrociano, pertanto, gli spazi e i racconti delle due città.
b) Questa differenza di tempi tra l’abitare e l’edificare, consentirà
ad Agostino di spiegare un’altra caratteristica della Chiesa. Questa, non
essendo ancora giunta in patria, non costituisce una forma perfetta di
abitare sulla terra. Infatti, non tutti coloro che vivono tra le sue mura
accettano il modo di vivere di Gesù. Taluni si oppongono ad esso nel
privato, altri alla luce del sole. La Chiesa, come la rete colma di pesci
di cui parla Gesù, racchiude in sé una pesca buona ma anche una pesca
cattiva, che potrà essere separata soltanto all’arrivo in porto26.
Sant’Agostino si colloca dunque tra le due posizioni estreme: quel-
la che vuole la perfezione già fin d’ora (rappresentata dal donatismo) e
quella che dilata ogni perfezione al tempo futuro (coloro che l’Ipponate
descrive come mossi da una commiserazione indiscreta)27. Per rispon-
dere ad entrambe, Agostino ricorre all’esempio dell’arca di Noè, che è
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28 Cfr. De fide et operibus XXVII, 49: “Non enim quaecumque libuit intraverunt
immunda animalia arcae compage confracta, sed ea integra per unum atque idem
ostium, quod artifex fecerat”; la porta in questione è il costato di Cristo, dal quale
sgorgano i sacramenti: cfr. De civ. Dei XV, 26, 1.
29 Cfr. De fide et operibus XXII, 40.
30 Con questo modo di procedere, approvano qualcosa di peggio di quanto operato
dalla moglie di Lot: “nec exeuntes de Sodomis more uxoris Loth, in praeterita iterum
attendunt, sed omnino de Sodomis dedignantur exire; imo ad Christum cum Sodomis
conantur intrare” (De fide et operibus XXV, 47).
31 Cfr. E. Voegelin, The New Science of Politics: An Introduction, The University Press,
Chicago 1952.
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32 Queste due distinzioni sono necessarie per la catechesi: “instruenda et animanda est
infirmitas hominis adversus tentationes et scandala, sive foris sive in ipsa intus ecclesia:
foris adversus gentiles vel Iudaeos vel haereticos, intus autem adversus areae dominicae
paleam” (Agostino, De cat. rud. VII 11).
33 San Cipriano, ad esempio, applica il testo all’Incarnazione: Ad Quirinum II, cap. 2: CCL
3, linea 40; così come fa San Cromazio d’Aquileia, In Matt. II: CCL 9A, linea 131:
“Hoc et salomon ostendit cum dicit: sapientia aedificauit sibi domum, quia christus
qui dei sapientia est corpus sibi in utero uirginis figurauit”; anche San Geronimo
aderisce all’esegesi cristologica in In Isaiam III, 7, 14 (CCL 73, lin 8). Sant’Agostino, dal
canto suo, conosce l’esegesi cristologica (Sermo 225: PL 38, c.1097, lin. 13) insieme
a quella ecclesiale (Ad Galatas XIII: CSEL 84, p. 68, lin. 4), ed articola entrambe
in De civ. Dei XVII, 20 (CCL 48, linea 69): “hic certe agnoscimus dei sapientiam,
hoc est uerbum patri coaeternum, in utero uirginali domum sibi aedificasse corpus
humanum et huic, tamquam capiti membra, ecclesiam subiunxisse, martyrum uictimas
immolasse, mensam in uino et panibus praeparasse, ubi apparet etiam sacerdotium
secundum ordinem melchisedech, insipientes et inopes sensu uocasse, quia, sicut dicit
apostolus, infirma huius mundi elegit, ut confunderet fortia”; combina entrambe le4
esegesi, sebbene non cn tanta unità, anche Gregorio Magno, Moralia in Job XXXIII
16 (CCL 143B, lin 10).
34 Cfr. San Bonaventura, Sermones de diversis XI, 6, ed. Bougerol, Parigi 1993, vol I,
209.
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nel corpo che Gesù visse e che ci insegnò a vivere. L’unico tempio che
il cristianesimo necessita per sussistere è, pertanto, il tempio del corpo,
come luogo primigenio delle relazioni, come luogo in cui la persona
si apre al mondo, agli altri, a Dio. Fintanto che la Chiesa continuerà a
nascere dall’Eucaristia, e fintanto che potrà contare sul sacramento del
matrimonio, Essa avrà sempre uno spazio sociale nel quale abitare: “Dio
li [i cristiani] ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbando-
nare” (Lettera a Diogneto VI 10). È soltanto da questo spazio originario
dei sacramenti che si potranno plasmare altri spazi più ampi di presenza
della Chiesa nella società.
In questa situazione di fragilità degli spazi nei quali l’uomo vive, ac-
quisisce particolare rilevanza un sacramento, quello della penitenza, che
si riferisce alla necessità di riedificare continuamente la dimora cristiana
nel mondo. La penitenza, in quanto si interessa del peccato del battezza-
to, tiene conto dell’esistenza di divisioni in seno alla città di Dio, talvolta
visibili (come lo scisma, l’eresia, i peccati manifesti), altre volte celate46.
Questo sacramento consente, da un lato, di evitare l’idealizzazione della
Chiesa, giacché i penitenti continuano ad appartenere ad essa. D’altro
canto, la penitenza mantiene la concreta visibilità del fatto cristiano, poi-
ché i penitenti continuano ad essere tali fino al momento in cui saran-
no pronti ad assumere la forma cristiana dell’abitare. Ricordiamo che il
penitente è inserito nella struttura sacramentale, in quanto il potere di
vincolare che ha la Chiesa, e che si esercita quando il penitente si mani-
festa come tale, ha una valenza salvifica e tende alla manifestazione del
peccato, affinché sia possibile curarlo.
Un aspetto caratteristico della penitenza è quello di preservare una
forma concreta dell’abitare, ed è qui che sta la differenza tra il foro pe-
nitenziale, il foro divino (che giudica la colpevolezza del peccatore) o il
foro della coscienza morale (che indica alla persona la bontà o meno di
un’azione). Ciò che garantisce il sacramento è un modo di abitare che sia
concorde con il fatto cristiano. Il sacerdote, quando dice “io ti assolvo”,
dice: “io ti separo da un habitat relazionale contrario a Cristo e ti vincolo
all’habitat della città di Dio, ossia, al modo di abitare che Cristo praticò e
ci insegnò a vivere”. La assoluzione, quindi, non si rivolge direttamente
46 A tal proposito, cfr. G. Moioli, Il quarto sacramento: note introduttive, Glossa, Milano
1996.
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Gli elementi chiave che abbiamo raccolto, partendo dal fatto cristiano
dell’Incarnazione, ci riportano alla triade abitare-coltivare-conversare,
come punto di partenza per definire gli spazi sacramentali che la Chiesa
è chiamata ad edificare al giorno d’oggi e che descriviamo brevemente,
sottolineando la loro incidenza sulla vita della famiglia.
Da quanto indicato, si evince che il tema del nostro tempo, tanto per
comprendere chi sia la Chiesa, quanto per esplorare il suo rapporto con il
mondo, può essere descritto come una questione “ambientale”. Non mi
riferisco, quanto meno non direttamente, alla crisi ecologica, ma piutto-
sto al suo fondamento ultimo, ossia la crisi dell’ambiente relazionale e la
crisi del significato del corpo, sostrato del nostro stabilirsi relazionale nel
mondo (cfr. Papa Francesco, Laudato Sì 155).
Il compito consiste nel prestare attenzione, non già agli individui
isolati, ma alle forme dell’abitare insieme, alimentate dalle buone prati-
che e che richiedono virtù relazionali. La base di questa promozione sta
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nei sacramenti, nella loro sostanza istituita da Cristo, che offre un nuovo
linguaggio del corpo e un nuovo modo di ritmare il racconto della vita.
Preservare l’armonia sacramentale e la sua corrispondenza con la forma
dell’abitare di coloro che li ricevono risulta, quindi, imprescindibile.
Ed ecco che appare chiaramente l’importanza di coltivare gli spazi
familiari, nei quali si preserva la forma originaria dell’abitare. Si tratta di
nutrire il desiderio di amore vero che c’è nel cuore delle persone (punto
di partenza per attirarle verso il Vangelo: cfr. Amoris laetitia 294) allonta-
nandole con pazienza da quelle forme dell’abitare contrarie al sacramento
del matrimonio e che contaminano l’ambiente ecclesiale e sociale. Alla
luce di questo, occorre continuare ad approfondire la teologia del corpo
e delle relazioni familiari, nonché la connessione tra Chiesa e famiglia.
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47 Cfr. R. Williams, The Edge of Words: God and the Habits of Language, A&C Black,
London 2014.
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48 Cfr. Papa Francesco, Discorso al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su
Matrimonio e Famiglia, 27 Ottobre 2016.
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