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SOCIETÀ CATTOLICA ITALIANA PER GLI STUDI SCIENTIFICI

sì E2IO NIE III,

RIVISTA
DI FISICA, MATEMATICA
E

SCIENZE NATURALI

- TecA

Sarrostº º Vol. I.

GENNAIO - GIUGNO - 1900.

DIREZIONE ED AMMINISTRAZIONE

presso il Can. Prof. PIETRO MAFFI, PAvIA.

PAVIA

PREMIATA TIPOGRAFIA FRATELLI FUSI

1900.
Èlmno l. ſI)aggio 1900. il)um. 5.

CASCATA DEL NIAGARA


i pcriccici che riprocucono articoli
Scita trivista sono pregati a citarla.

Der quanto riguaròa Eire3ione cò Èlmministragione


3 peòire al Can. Drof. Dietro ſbaffi, Davia.
ESCE IL 20 Dl ocnva Mese.

per l' Italia: Anno L. 12 - Semestre L. 7. IN a v ia


Premiata Cipografia fratcIIi fugi
per l' Estero : Anno L. 14 - Semestre L. 8.
19OC.
ANNo I. Maggio 1900. Num. 5.

PlºSICA/IN )illA SOCIEIA CATTOllA ITALIANA PER Gli Sll) SCIENTIFICI (Sºl. |).

ARTICOLI E MEMORIE

LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

Studio Storico - Scientifico.

La Luna, considerata astronomicamente per rispetto alla


Terra, non è soltanto il corpo celeste più appariscente dopo il
Sole, ma è altresì il più interessante; testimoni i poeti, che
tanto spesso la rammentano, traendone imagini a dovizia. E
benchè la Luna stia fuori dal nostro guscio aereo, e quel
grande intervallo di spazio privo d'aria ce la renda inaccessi
bile (1), pure siamo soliti dire la nostra Luna, perchè qual
satellite della nostra Terra, quasi tacito confidente, amichevol
mente ci sorride. Il tranquillo suo lume rischiara i paesaggi
terrestri d'un mite e pallido albore, che dopo la vivida e pe.
netrante luce del giornò, rende l' occhio e l'animo più aperti
alle delicate ed intime sensazioni, che la luce del giorno attu
tisce. Dei due grandi luminari, che fece Iddio da principio,
quel maggiore, che presiede al giorno, è quale face accesa ; il
minore, che presiede alla notte, è come specchio che riflette in
parte la luce da quello ricevuta.
La varietà poi delle sue fasi, le sue ecclissi, la rapidità,
con cui cangia di posto rispetto alle stelle fisse, attirarono
l'attenzione dei primi osservatori, e i più recenti studi intorno
al suo movimento, raffermarono le nuove teorie astronomiche.

(1) L'impossibilità di giungere dalla Terra alla Luna non istà pro
priamente nella distanza, che è di circa 384446 chilometri. In vero molti
marinai nella loro vita hanno fatto un cammino più lungo, ed i treni ve
locissimi percorrono in un anno sulla nostra superficie terrestre quanto
e più ancora è la distanza fra la Terra e la Luna.
23
366 ARTICOI, I F MEMORIE

Mediante la Luna, potè un Newton rannodare la gravitazione


dei corpi celesti fra di loro colla gravità della Terra, e giun
gere alla grande idea della gravitazione universale. Fu la Luna,
che colla bizzarria dei suoi andamenti e coll'ineguaglianza delle
sue corse nel cielo, provocò la creazione di quei nuovi metodi
analitici, capaci d' affrontare il problema si complesso delle
perturbazioni, e stabilire sopra sì solido fondamento la sua so
luzione, da poter divenire la base della meccanica celeste e il
punto di partenza di tutti gli ulteriori progressi dell'Astronomia
teorica. Cosa mirabile ! Il Laplace, senza uscire dal suo gabi
netto e fuori d'ogni misura geodetica, potè, col seguire soltanto
nelle sue formole il moto della Luna, tracciare la forma ge
nerale del globo terrestre.
Questo grande astronomo e geometra, studiando il feno
meno delle maree, il cui fattor principale è l'azione della Luna
-
sulle parti fluide del nostro pianeta, potè accertare il valore
del progressivo, sebbene tenuissimo, rallentamento del moto di
rotazione della terra. Che più ? Grazie al fenomeno delle sue
ecclissi, la storia ha domandato alla Luna la determinazione
di molte importantissime date. E alla Luna i marinai vanno
pur debitori di quei preziosi dati, che loro permettono di fis
sare la posizione che occupano sul globo. Sì certamente, l'ap
plicazione della teoria dei movimenti lunari alla navigazione il
ed alla determinazione delle longitudini terrestri, ha dato allo
studio del nostro satellite un'alta importanza tra le questioni
che fanno l'oggetto dell'Astronomia. Torna qui opportuno ri
cordare il detto sintetico dell'illustre Delaunay, nel discorso
pronunciato all'Accademia delle Scienze in Parigi, l'11 Marzo
1867 (1): On ne peut sempécher de reconnaitre que la Lune est
de beaucoup le plus important de tous les astres, tant au point
de vue de l'établissement des théories de l'astronomie, que sous
le rapport des applications de cette belle science. Se tanti van
taggi per l'astronomia, teorica e pratica, si ricavarono dallo
studio della Luna nel suo movimento, perchè non se n'avranno,
sia pure per qualunque ramo di scienza, fisica o geologica, dal

(l) Questo discorso « La Lune, son importance en Astronomie »


fu inserito nell'Annuaire di Bureau des Longitudes 1868.
d
ARTICOI,I F MEMORIE 367

conoscere meglio il suo aspetto, dal determinare con sempre


maggior precisione la struttura di sua superficie, e dal giudi
care sopra solido fondamento l'intima sua fisica costituzione e
insieme, con qualche probabilità almeno, il modo e l'origine di
sua formazione, e le maggiori vicissitudini a cui, nel correre
dei secoli, potè andar soggetta ? (1) Vedremo in questo nostro
qualunque studio, ciò che si è ottenuto, sotto questi varii ri
spetti, fin qui: ed in prima, che cosa si pensasse della Luna
osservata ad occhio nudo; secondamente, come si presentasse e
come fosse rappresentata dopo l'invenzione del telescopio; in
terzo luogo, come dopo gli equatoriali a servizio fotografico.

I.

1. Che cosa videro o che cosa s'immaginavano di vedere


gli antichi osservando la Luna? Quanto al vedere, appariva loro
naturalmente nella Luna, quello che vi scorgiamo noi pure coi
nostri propri occhi, cioè tanto nel plenilunio quanto nelle sue
fasi, certe parti o regioni più chiare e più illuminate, e certe
altre più oscure, dette macchie. Giacchè, prescindendo dalla
questione che attualmente si agita dai selenologi, se cioè lo
stato della superficie lunare abbia subito delle effettive varia
zioni, sotto l'azione di forze fisiche, bastevoli a produrre come
una persistente evoluzione, è indubitato, che l'aspetto della Luna
non era diverso per gli osservatori antichi, da quello che è per
noi. E gli astronomi, Caldei od Egiziani, Greci od Ebrei, In
diani o Chinesi, favoriti di buona vista, osservando attentamente

(l) C'è anzi speranza per un prossimo avvenire che un tale studio
dia occasione di portare progressi notevoli nel problema così vasto e così
importante dell'origine dei pianeti e dei satelliti. Pare cosa ben naturale
che prima di pretendere di scrutare lo stato fisico degli astri lontani con
venga domandare al più vicino a noi, tutti gl'indizii o informazioni, per
così dire, che tiene in deposito. « La Lume, dicono i sigg. Loewy e Pui
seux, riche en formes, précise en détails susceptibles d'ètre sùrement iden
tifiés, nous offre les traces d'une activité si générale et si intense, que
l'espoir d'y voir s'accomplir des changements nouveaux, soit permanents,
soit périodiques, ne saurait ètre considéré comme téméraire ». (Bull. de
la Société Belge d'Astronomie. Trois. Annèe. pag. 238).
368 A RTICOLI E MEMORIE

la Luna, vi scorgevano dei punti più illuminati ed altri meno,


i quali, nella loro disposizione d'aspetto, presentavano all'ima
ginazione dei più, come il grossolano disegno d'una faccia
umana. Di qui il titolo dato da Plutarco, scrittore del I sec. d.
C., ad un suo opuscolo: Tegì roi uq avouévov agooooztov tg5
xixhop tis apà ſvils, ovvero, secondo la versione latina: De facie
in orbe Lunae apparente. In questo celebre scritto, Plutarco
mette in bocca ad IIilandra, a essere quelli di corta vista, a
cui la Luna apparisce senza una forma di disegno: n hebetes et
imbecilles oculi, nullam differentiam formae in Luna vident, sed
levis et plenus, iis, eius orbis refulget: a laddove quelli che
l'hanno acuta, distinguono le forme d'una faccia, meglio rile
vando la distinzione delle parti »; a qui vero acute vident, magis
subtiliter discernunt faciei formas, et discrimen liquidius ºtt)-

tant . (1). Che che ne dicesse quel filosofo, egli è certo che,
in questo giudizio, alla vista va congiunto molto lavoro d'imma
ginazione, non vedendosi propriamente una forma decisa; quindi
anche gli antichi molto variavano nelle loro opinioni su questo
soggetto. Clearco, per es. ed Argesinace credettero scorgervi
l'imagine dell'oceano e della terra, quasi come per riflesso
d'uno specchio:

Aut maris immensi, apposita sub parte frementis,


ln speculo ardenti, repraesentatur imago (2

2. Nè diverso è il modo di giudicare dei moderni. Il Flam


marion sta ora raccogliendo e va pubblicando nel Bulletin de la
Société Astronomique de France vari disegni, fatti da diversi
astronomi, della Luna, osservata ad occhio nudo. Descrivendo
il suo, dice: a ces taches se traduisent en se résumant en deux
yeux et une esquisse de mez: résultat: une vague figure hu
maine ». Per l'astronomo M. Aquilino, G. Barba, a Las Palmas,
quelle macchie costituiscono la figura d'una matrona che guarda
in alto; per Filippo Zamboni a Vienna sono i due teste »; per

(l) Plutarchi Op. Mor. Interprete Hermanno Cruserio. Venetiis 572


pag. 446.
(2) Platare. Op. et loc. cit.
ARTICOLI E MEMORIE 369

M. Camille Saint-Saens, l'aspetto della luna, ora è la figura d'un


Kanguro, ed ora, quella d'una falciuola, secondo la posizione;
per M. E. Gilles, a Mesnil-d'Argences (Calvados) ora è un per
sonaggio assiso in un canto del disco, ed ora un animale fan
tastico dal collo lungo, sottile e osseo, ed ora uno stendardo;
a M. Quenisset, a Parigi, par di vedere a un bonhomme déca
pité º M. G. Fournier, a Parigi, vi vede, come lo Zamboni, le
a baiser dans la Lune » ossia le due teste.
Il sig. Allan Allander, a Malmoe (Svezia) trova nell'aspetto
della Luna un uccello antidiluviano, quasi come una specie di
pterodattilo; e M. Gaston Hauet, a Parigi, la testa d'un cane
di Terra Nuova; e basta questo, riportato a curiosa ricreazione
per il cortese lettore, che già sa, come tanti vi veggono Caino e
Abele, o Caino che porta un fardello di spine, secondo l'antica
leggenda (1).
3. Ma qualunque sia la figura o disegno che ciascuno può
formarsi colla sua fantasia nell'aspetto della Luna, l'importante
a sapersi è, che cosa ci significhino quelle macchie, quelle parti
chiare e quelle parti oscure, quale ne sia la cagione. Al presente
nessuno più l'ignora. Ma proseguiamo la storia di tali cognizioni
selenografiche. Ora i potenti telescopi hanno bene posta in sodo
la cosa, e Galileo ha avuto il merito pel primo, come più
distesamente vedremo innanzi, di mostrarci nell' anno 1610,
pubblicando il suo Sidereus Nuncius, che cosa ci annunci anche
un modesto telescopio nelle macchie lunari. Prima, le opinioni
o erano strane, oppure un miscuglio di vero e di falso, di
giusto e di favoloso, o se anche, ciò che allor si diceva, era

(l) Bull. cit. Janvier, Février, Mars, Avril, ecc. 1900. Nel Bollettino di
Gennaio pag. 50 conclude il Flammarion : « La diversité de ces images
lunaires est considerable et non depourvue d'interèt. Nous allons comparer
toutes ces représentations aussi rapidement que possible, en laissant scru
puleusement à chacun sa conception personnelle ». In quello di Febbraio
pag. 98 : Chacun voit à sa facon au physique comme au moral - Pur
troppo! E nel fascicolo di Marzo pag. 144 : « Toutes ces images de la
Lune vue à l'oeil nu sont des plus variées.... L'imagination joue un grand
ròle dans les appréciations visuelles ». E in quello d'Aprile pag. 188:
« décidément, que ne voit pas dans la Lune ? » La leggenda di Caino è
riferita più innanzi in nota al N. 4.
37() ARTICOI,I E MEMORIE

esatto, non usciva dallo stato di mera opinione, nè era cogni


zione scientifica. Da Plutarco, per mo' d'esempio, si ricava,
come Pitagora, il quale avea attinto sue cognizioni dagli Egi
ziani, ed in generale i filosofi della sua celebre scuola, rite
nevano che la Luna avesse non solo monti, ma città, piante,
animali e uomini, al tutto come la terra (1).
Anassagora, nel sec. V. av. Cr., sempre secondo Plutarco,
assegna come causa dell'ineguaglianza, il condensamento di
materie fredde e terrestri, cioè un miscuglio di parti luminose
ed oscure, onde la Luna si dice apparire con un falso volto (2).
Il medesimo Anassagora e così pure Democrito, riputavano
la Luna a firmamentum ignitum quod in se contineat planities,
montes, convalles n (3). -

Lasciando a quei due filosofi, quel loro a firmamento in fuo


cato º essi parlavano d'un soggetto che in sè contiene pianure,
monti e valli, per le quali cose, ci par udire discorrere, mon
dotti dell'antichità, di 500 anni circa av. Cr., ma i nostri
moderni selenografi. Un passo assai notevole l'abbiamo pure
presso Stobeo, dove espone l'opinione dello stesso Democrito
sopra la natura della Luna e la causa delle macchie, che vediamo
sul disco di questo satellite: a 21euóxgiros à tooxiaogua a Tſor
ippidov è, dvri uegdov dirayze yao avrip gen zai viaas n,
cioè, secondo la versione latina: Democritus umbram sublimiorum
ejus partium, quandoquidem valles et montes habeat (4).
Di Senofane riferisce Cicerone nelle sue Accademiche al
libro secondo, che riputava la Luna quale terra abitata, in cui
fossero monti e città. Soggiunge poi il celebre romano Oratore,

(1) Plutarchus, De Placitis Philos. Lib. II. cap. 25, 30. Il Busch,
autore dell'Handbuch der Erfindungen. Eisenach. 1817. dice a pag. 343
della nona Parte. « Pythagoras hatte seine Kenntniss von den Aegyptiem,
und die Pythagoreer behaupteten schon, dass der Mond, Berge, Städte,
Pflanzen, Thiere und Menschen habe ».
(2) Anaxagoras causam inaequalitatis arcessita concretione frigidorum
et terrestrium ; admixtas enim esse igneis partes caliginosas, itaque
lunam dici falso vultu apparentem. Plut. loc. cit. Cap. 30.
(3) Plut. De Placitis Phyl. loc. cit.
(4) Stoboeus, Eclog. Phys. lib. 1, pag. 60, lin. 46.
ARTICOI,I E MEMORIE 371

che erano cose prodigiose da non poterne far certa fede (1).
Opina meglio di tutti Plutarco, affermando nel citato opuscolo
De facie in Orbe Lunae, non essere la Luna tersa e pulita, come
uno specchio, ma distinta d'inegualità e di asprezze, come
di monti e di valli ; la variazione poi delle macchie essere
dovuta alle ombre più o meno lunghe proiettate dai monti,
secondo la diversa posizione del Sole che li illumina. E a come,
la nostra terra, così quel filosofo, ha alcuni grandi seni, così
stimiamo che la luna sia aperta di vaste profondità e rotture,
piene d'acqua e d'aria caliginosa, nelle quali il sole con il suo
lume non penetri (2).
Non si potrebbe, se non in tutto, certo in gran parte, dire
cose più giuste a nostri giorni (3). Qualche cosa di simile
indovinarono pure altri filosofi antichi. Ad es. Proclo, nel suo
Commentario sopra Timeo, riferisce tre versi attribuiti ad Orfeo,
nei quali si dice:
Struxit autern aliam terram immensam, quam selenem
Immortales vocant : Homines autem, lunam,
Quae multos montes habet, multas urbes, multas domos (4).

Ecco anche un altro esempio di miscuglio di cose vere e


false. La verità schietta, non poteva uscir fuori, i dubbi non
- -

(l) Habitari, ait Xenophanes, in luna, eamque esse terram multarum


urbium et montium. – Portenta videntur, sed tamen ne ſue ille qui dixit
jurare posset, ita rem se habere, neque ego. (M. Tull. Cic. Lucullus sive
Acad. lI. 39). - -

(2) Quod ad faciem attinet in Luna apparentem : sicut nostra terra


sinus habet quosdam magnos, ita censemus Lunam quoque profunditatibus
et rupturis magnis esse apertam, aquam aut aerem caliginosum conti
nentibus; in quas Sol, suo lumine non penetret, sed eam deserens refle
xionem dissipatam faciat. – Plut. De, facie, quae in Orbe Lunae apparet.
Commentarius. pag. 452. Ed. Cruserio.
(3) Ammetteremo con Plutarco le vaste profondità e le rotture, non
però che sieno piene d'aria e d'acqua.
(4) Proclus de Orpheo, lib. 4, in Timaeum, p. 154. Il testo greco di
questi versi sarebbe:
Mifooto )'ià Amp yaia, di reigarov, ſv re aediſvip'
'Ai)avarot xhi/Sovon, è txi)óvuol )é re ſui vip
H' ad 'oio èxet, toh).'àorea, Tokia puélai)ga.
372 ARTICOLI E MEMORIE

potevano risolversi che con la visione, rafforzata da strumenti


ottici. Onde non sempre in tempi posteriori prevalse l'opinione
espressa in antico da Talete, da Anassagora e da Plutarco, e
s'inventarono strane ipotesi per ispiegare le macchie della Luna.
Fra le altre ebbe maggior grido quella del trovarsi nella Luna
parti rare e dense.
4. Tale era la spiegazione che Dante medesimo ne avea
dato nel Convito, ma nel Paradiso ne sostituì un' altra, tutta
opposta alla prima e, al par di quella, mancante di valore reale
e scientifico. Nel Convito avea detto: « L'ombra che è in essa
(Luna), non è altro che rarità del suo corpo, alla quale non
possono terminare i raggi del Sole e ripercuotersi così come
nelle altre parti » (1). Nel Paradiso poi propone a Beatrice il
dubbio sulle macchie lunari con queste parole:

Ma ditemi: che son li segni bui


Di questo corpo, che laggiuso in terra
Fan di Cain (2) favoleggiare altrui? (lI. 49-5!).

(l) Convito – Trattato I, cap. 14. Non sarà forse cosa sgradevole
al lettore che quest'anno, in cui tanto si vuol parlare del divino poeta,
si esponga qui con qualche diffusione la sua opinione sulle macchie lunari,
(2) La leggenda di Caino e delle spine, a proposito delle macchie
lunari è svolta in una novella toscana, che si legge nel libro « Caino e
le spine secondo Dante e la tradizione popolare di St. Prato », ove narrasi
ciò che avvenne dopo l'uccisione di Abele, in questo modo: « Caino cercò
di scusarsi, ma allora ladio li rispose: Abele sarà con me in Paradiso, e
tu in pena della tu' colpa sarai confinato nella Luna, e condannato a por
tare eternamente adosso un fascio di spine. Appena dette queste parole
da Dio, si levò un fortissimo vento e trasportò Caino in corpo e anima
nella Luna, e d'allora in poi si vede sempre la su faccia maledetta e il
fardello di spine che è obbligato a reggere insino alla fine del mondo, in
dizio della vita disperata che li tocca trascinare ».
Non sarà forse senza qualche interesse intendere, quanto scrive al
Flammarion in proposito di questa leggenda M. A. Pierot, professore al
l'Istituto Superiore commerciale e consolare, dell'Hainaut, à Mons (Belgio).
Anch'egli fra tanti altri, di cui fu fatto cenno al n. 2 mandò al mede
simo astronomo il suo disegno della Luna vista ad occhio nudo, dicen
dogli: « J'ai dessiné ce que je vois dans la Lune è l'oeil nu. Ce dessin
représente l'image que la présence fréquente de la Lune devant nos yeux a
ARTICOLI E MEMORIE 373

Prima di rispondergli, la sua celeste Guida vuol sentire ciò


che ne pensa egli stesso: onde il poeta ripiglia:

. . . . Ciò che n'appar quassù diverso


Credo che 'l fanno i corpi rari e i densi. (II. 59-60).

Ma Beatrice rifiuta questa ragione, notando che da principii


formali diversi, non da raro e denso, deve ripetersi la diversità
delle stelle per la qualità e la quantità della luce che mandano,
come specialmente apparisce nei lumi dell'ottavo cielo:

Se raro e denso ciò facesser tanto


Una sola virtù sarebbe in tutti,
Più e men distributa ed altrettanto.
- Virtù diverse esser convengon frutti
Di principii formali; e quei, fuor ch'uno,
Seguiteriano, a tua ragion, distrutti. (II. 67-72).

In altre parole, lo spiegare la varia luce degli astri come


effetto dell'esser questi più o meno densi, contraddice alla dot
trina delle loro influenze fisiche, le quali, essendo specificata
mente diverse, richiedono diversità di principii formali o sostan
ziali, non di mero accidente, qual sarebbe la densità maggiore
o minore. In particolare poi, le macchie della Luna non si spie

fini par graver dans mon esprit. C'est ce que j'y ai toujours vu. Je me
suis gardé de me laisser influencer par les dessins déjà parus jusqu'ici.
Ce croquis traduit la vieille legende, si connue de nos bons villageois
ardennais: C'est Cain qui, après son crime, fatigué d'ètre ce que la Ge
nése nomme: Vagus in orbe terrarum (esattamente: vagus et profugus
in terra IV, l 4), alla cacher sa honte dans la Lune. ll a le bras étendu
occupè à obstruer à l'aide d'un buisson d'épines, l'ouverture qui lui a
donné passage. – ll me souvient que c'est à cet homme que les mamans
avaient recours jadis, pour ramener le calme chez les enfants pétulants
et querelleurs ; aussi était-on toujours bien sage à l'époque de la pleine
Lune! ll y a là pour moi un petit souvenir de jeunesse auquel je tiens;
d'autant plus que cet homme mystérieux m'a déjà, de là-haut, rendu bien
des services. Et, c'est sous cette forme que mes bambins la représenteront,
car il connaissent « l'homme au fagot » et son histoire. (Bulletin de la
Societé Astron. de France. Avril 1900, p. 184-185).
374 ARTICOLI E MEMORIE

gano col raro e col denso, cioè col dire che in essa son macchie
ov'è minor densità. E qui Beatrice fa un dilemma:

Ancor, se 'l raro fosse di quel bruno


Cagion, che tu domandi: od oltre in parte
Fòra di sua materia si digiuno
listo pianeta, o, sì come comparte
Lo grasso e 'l magro un corpo, così questo
Nel suo volume cangerebbe carte. (II. 73-78).

E vuol dire: O coteste parti rare (il bruno) si profondano


tanto quanto è lo spessore della Luna, e allora, nell'ecclisse
solare, attraverso a quelle parti penetreranno i raggi del Sole,
il che non si vede accadere: o le porzioni rare non si stendono
da banda a banda, e allora lo spazio occupato da quelle potrà
bensì riflettere luce meno viva, ma non darà macchie opache
come quelle che osservansi nella Luna. In questa seconda ipo
tesi del dilemma, il globo lunare somiglierebbe a un volume, in
cui le carte non fossero uniformi nella grossezza, ma alcune,
per esempio le prime, avessero certi tratti più sottili e a questi
farebbero poi riscontro quelle parti degli strati anteriori della
Luna, nelle quali si nota l'oscurità.
Ora Beatrice, dopo aver esclusa come falsa la prima ipotesi,
passa a confutare la seconda con l'esperienza dei tre specchi:

Tre specchi prenderai: e due rimuovi


Da te d' un modo; e l'altro, più rimosso,
Tra ambo i primi gli occhi tuoi ritruovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo 'l dosso
Ti stea un lume, che i tre specchi accenda,
E torni a te da tutti ripercosso.
Benchè, nel quanto, tanto non si stenda
La vista più lontana : li vedrai
Come convien ch'egualmente risplenda. (II. 97-105).

Tale esperienza si può dichiarare così: Se tu hai davanti


tre specchi, che rendano al tempo stesso l'imagine d'una can
dela posta alle tue spalle, e li disponi in modo che i due
estremi siano equidistanti dall'occhio, e quello di mezzo rimanga
ARTICOLI E MEMORIE 375

un po' più discosto, l'imagine sarà luminosa in tutti tre, benchè


ti venga meno vivace dallo specchio più lontano.
E così, dagli strati rari della Luna i raggi del Sole ritor
neranno più languidi che dalle altre parti dell'astro agli occhi
nostri, sì per assorbimento di parte della luce, sì perchè adden
trandosi quei raggi più degli altri sullo spessore della Luna
per la rarità che vi trovano, debbono poi percorrere un cam
mino più lungo per giungere alle nostre pupille ; ma non
perderanno tutta la loro forza in modo da lasciar macchie
opache. Dunque l'ammettere parti rare e dense negli strati
anteriori del globo lunare, non basta a spiegare le opacità di
quell'astro. Ciò posto, ecco il nuovo concetto di tal fenomeno,
secondo Beatrice e secondo Dante. I cieli, ovvero i santi giri
come li dice il poeta, hanno moto e virtù dagli Angeli, a cui
egli dà i nomi di menti profonde, di intelligenze, di nature liete. La
virtù attiva o influenza fisica di ciascun astro procede pertanto
dal concorso di due principii : l'astro e l'angelo che lo muove.
Quest'angelo è poi motore di tutto quel cielo a cui l'astro
appartiene, e ne è per così dire, l'anima.
Lo moto e la virtù dei santi giri,
Come dal fabbro l'arte del martello,
Dai beati motor convien che spiri. (II. 127-129).

E ciascun cielo, colle stelle che lo adornano, diventa come


imagine sensibile dell'angelo che lo muove, diviene come uno
strumento in sua mano per operare, su altre parti o altri esseri
dell'universo.

- E' l ciel cui tanti lumi fanno bello,


Dalla mente profonda che lui volve
Prende l'image e fassene suggello.
E come l'alma dentro a vostra polve
Per differenti membra, e conformate
A diverse potenzie, si risolve ;
Così l'intelligenzia sua bontate
Multiplicata, per le stelle spiega,
Girando sè sovra sua unitate. (II. 130-138).
E come quei beati motori hanno perfezione e beatitudine
diversa, così unendosi su di loro, come vita o anima ad un
376 AltTICOLI E MEMORIE

astro (che Dante chiama corpo prezioso) me risulta una lega o


una virtù mista, una particolare attività o influenza fisica, che
sarà di quell'astro e non d'altri, anche perchè sarà conforme
alla sua natura specifica, che Dante suppone diversa da quella
degli altri astri. L'angelo poi manifesterà quivi la sua natura
lieta, ossia il grado della sua beatitudine mediante la luce di
quel corpo celeste, come l'uomo palesa l'interna allegrezza col
lampo delle pupille.

Virtù diversa fa diversa lega


Col prezioso corpo ch'ella avviva,
Nel qual, sì come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
La virtù mista per lo corpo luce,
Come letizia per pupilla viva (II. 139-144).

Perciò, se paragonando una stella con l'altra, si vede


differenza nella loro luce, se nella Luna si vede un misto di
opaco e di lucido, (il turbo o il chiaro), egli è perchè sono in
diverso grado beati gli spiriti che presiedono alle varie stelle,
e quell'intelligenza a cui è affidato da Dio il moto della Luna
e del cielo lunare, è meno perfetto e men beato degli altri. E
appunto riferendosi alla condizione di questa intelligenza mo
trice, il poeta conchiude:

Da essa vien ciò che da luce a luce


Par differente, non da denso e raro :
Essa è formal principio, che produce,
Conforme a sua bontà, lo turbo e l chiaro. (ll. 145-148).
-

II.

5. Così dunque, se l'immortale astronomo di Pisa non


veniva a drizzare al cielo il suo piccolo si ed imperfetto stru
mento ottico, ma pur sempre capolavoro della diottrica nella
sua infanzia, che ad un tratto tante sconosciute meraviglie ci
rivelò, come le fasi di Venere e i Satelliti di Giove; l'affasci
nante problema della superficie lunare non avvrebbe ottenuta
un soluzione decisiva.
ARTICOLI E Mt MORIE 377

Con quel suo cannocchiale, da lui medesimo inventato e


colle sue stesse mani costruito, egli inaugurava la serie delle
sue scoperte astronomiche, con osservazioni sulla superficie
della Luna; e quantunque quell'istrumento non producesse che
un ingrandimento di trenta volte, pur vide non solo quelle
macchie oscure, che a vum omne conspecit, come dice nel suo
Nuncius Sidereus, ma altre più piccole e splendenti, le quali,
soggiunge, a nemine ante nos observata fuerunt. Di più osser
vando la Luna al quarto o quinto giorno dopo la congiunzione o
neomenia, notò dentellature al margine, frastagliamento al ter
minatore, e poi sommità illuminate emergenti dall'ombre, lucidar
cuspides . . . Da ciò venne Galileo nell'intima persuasione, che
la Luna aveva una superficie, non liscia e per tutto eguale
quale una palla, come moltissimi degli antichi filosofi opinarono,
ma per contrario ineguale, aspra, piena di cavità e rialzamenti, al
modo stesso della terra, la quale qua e colà si differenzia per
monti, valli, e profondità (1).
Dall'affermare Galileo che la grande schiera dei filosofi,
magma Philosophorum cohors, opinava la superficie della Luna
essere liscia ed eguale, si deduce che, l'opinione di Plutarco,
era abbandonata, od era fino al suo tempo rimasta come un'opi
nione al tutto singolare e quasi eccezionale, giacchè il parlare
di Plutarco è molto chiaro ed esplicito in proposito, come
vedemmo nel più volte citato opuscolo : De facie ecc. . .
Ricordiamo le sue parole a censemus Lunam profunditatibus
et rupturis magnis esse apertam º le quali poco si differenziano
da quelle di Galileo a cavitatibus, tumoribusque confertam . . .
profunditatibus hinc inde distinguitur. – Ma i pensamenti degli
antichi furono piuttosto intuizioni poetiche, che giudizi scienti
fici, fondati cioè sopra un'osservazione efficace, per la quale
mancavano gli istrumenti ottici.

(l) Ex ipsorum autem stepius iteratis inspectionibus, in eam deducti


sumus sententiam ut certo intelligamus, Lunae superficien, non per politam,
aequabilem exactissimaeque splaericitatis existere, ut magna Philosophorum
cohors de ipsa, deque reliquis corporibus coelestibus opinata est, sed contra
inaequalem, asperam, cavitatibus, tumoribusque confertain, non secus, ac
ipsiusmet Telluris facies, quae montium jugis, valliumque profunditatibus
hine inde distinguitur. – Opere di Galileo Galilei. Vol. IV, Milano 1810.
Sidereus Nuncius; p. 309.
378 ARTICOLI E MEMORIE

Galileo non asseri soltanto, ma scientificamente dimostrò


il suo asserto, sciogliendo difficoltà, ribattendo trionfalmente
obbiezioni, quale ad es. che essendo la Luna un dilue aspera
dovrebbe presentarsi al nostro aspetto quasi dentata rot. r. Non

è che semplice effetto di prospettiva, risponde in sentenza


Galileo nel citato opuscolo, come se un osservatore posto ad
ugual altezza guardasse da lontano un panorama di montagne,
od osservasse da lungi le onde dell'oceano agitato; la distanza
appianerebbe tutte quelle ineguaglianze (1).
6. Galileo accoppiando all'osservazione del senso il razio
cinio mette in sodo l'asserzione delle montuosità nella Luna.
- La linea od arco, egli dice, che distingue la parte oscura della
a Luna dall'illuminata, si vede crestata, sinuosa, merlata, ed
- insomma inegualissima Adunque ella non può essere termine
- dell'illuminazione d'una superficie sferica, tersa, ed uguale, ma
- sibbene di una montuosa ed ineguale. Di più vedonsi nella
a parte illuminata della Luna moltissime macchiette negre ed
- assai maggiori, più frequenti e più oscure, vicino al confine
e della luce, che più lontano; vedonsi inoltre tutte le dette
a macchie oscure distendersi verso la parte opposta all'irradia
a zione del Sole e circondate verso la parte del Sole da alcuni
dintorni più chiari che le parti circonvicine e da altri simili
e dintorni ancora dall' altra parte opposta, dopo i quali segui
a tano alcune proiezioni oscure; e tali macchie si vanno dimi
- nuendo secondo che il confine dell'illuminazione va procedendo
a avanti, cioè secondo che il Sole più se gli eleva, sicchè
- finalmente si perdono del tutto e si annichilano restando nel
- plenilunio lucida ogni parte. Ed all'incontro nel voltar del
- Sole e nel decrescer la Luna, tornano a vedersi vicino al
- confine della luce altre simili macchie negrissime, le quali

(l) Sic in terra multorum ac frequentium montium juga secundum


planam superficiem disposita apparent, si prospiciens procul fuerit et in
pari altitudine constitutus. Sic aestuosi pelagi sublimes undarum vertices
secundum idem planum videntur extensi, quam vis inter fluctus maxima
voraginum et lacunarum sit frequentia, adeoque profundarum, ut subli
mium navigiorum non modo carinae, verun etiam puppes, mali, ac vela
inter illas abscondantur – I vi pag. 318.
ARTICOLI 1 M RMORIE 379

a nell' abbassarsegli il sole vanno allungandosi, mostrandosi pa


a rimenti circondate da alcuni dintorni molto lucidi. E fi
a nalmente dentro alla parte non illuminata di essa Luna,
a alquanto lontano dal termine della luce, appariscono a guisa
a di stelle, alcune particelle illustrate, le quali crescendo a
a poco a poco si vanno congiungere col termine della luce che
a parimenti cammina verso di quelle, quando però la Luna è
a crescente, e per l'opposito nella decrescente simili stellette
« si separano più e più e finalmente si estinguono e si perdono:
a Ma tali accidenti ed apparenze in niun modo possono accadere
« in una superficie sferica che sia liscia ed uguale, che ben
a rispondono ad unguen in una ineguale e montuosa. Dunque
« con necessaria dimostrazione si conclude, la superficie lunare
a essere piena di eminenze e bassure º (1).
7. Così con una rigorosa, sillogistica argomentazione pose
Galileo fuori di ogni controversia la natura della superficie del
nostro satellite. Alle varie difficoltà mossegli qua e colà da vari
illustri e dotti personaggi, rispose Galileo in modo irrefragabile,
trionfalmente confutando e ribattendo ogni obbiezione, come fu
già accennato. Tutta la sua dottrina in difesa della montuosità
della Luna si può così riassumere.
È indubitato che i punti brillanti che si vedono nella Luna
sono cime di monti, e che le parti oscure sono o le ombre pro
iettate da questi stessi monti, o valli profonde alle quali non
arriva la luce diretta del sole. Infatti, queste macchie hanno
sempre la situazione e la lunghezza che devono avere rispetto
alla posizione del sole. Al momento dell'opposizione, quando cioè
le longitudini dei due astri differiscono di 180”, ossia nel per
fetto plenilunio, quasi completamente spariscono, come dev'es
sere, vedendo noi allora la Luna nella direzione stessa in cui
è rischiarata. Di più, a tutte le altre epoche della lunazione, i
due margini del disco hanno contorni o termini ben differenti
di forma: quello che è rivolto verso il Sole, è circolare e quasi
unito, laddove l'altro ha non solamente incavature e frastaglia
menti o dentellature, ma anche sporgenze e punti prominenti. Ap

(1) Lettera al P. Cristoforo Grienberger d. C. d. G. – Opere di Gal.


Vol. VII. pag. 128-129.
380 ARTICO I,I E MEMORIE

parisce tal differenza, perchè il primo contorno appartiene a


quella parte della superficie lunare sulla quale i raggi solari ca
dono quasi perpendicolarmente; l'altro contorno invece è la linea
di separazione tra la parte rischiarata e la parte oscura della
Luna: esso ha il sole che si leva o tramonta. Se la superficie
lunare fosse tutta unita e liscia, questa linea sarebbe veduta
secondo un arco di perfetta elisse. Ma se la Luna è coperta di
alte montagne, quelle che saranno vicine alla parte oscura pro
ietteranno lunghe ombre, più o meno accidentate, sulle bassure
circostanti. I punti prominenti poi si spiegano ancor più facil
mente. Tutti sanno che il Sole continua a rischiarare la cima
delle montagne anche quando le valli sono già immerse nel
l' oscurità.

Un maggior perfezionamento dato poi al cannocchiale con


fermò sempre più la tesi galileiana della montuosità della Luna.
Sicchè quella parte almeno della superficie lunare che guarda
verso la Terra (1) che sia montuosa ed ineguale, divenne una co

(l) È noto che già da tempi più remoti, le macchie di cui si è par
lato, sono state sempre le stesse ed hanno sempre avuto la medesima di
sposizione; da ciò si deduce che l'emisfero lunare ora rivolto verso di
noi è stato sempre il medesimo. Dalla qual cosa evidentemente ne conse
guita che la Luna mentre compie la sua rivoluzione siderale attorno alla
Terra, eseguisce pure una rotazione sopra se stessa. Se esistesse una diffe
renza qualunque, aggiungendosi questa a se stessa in ciascuna lunazione,
produrrebbe a lungo andare un certo numero di giorni ; e contrariamente
ai fatti già accennati e per quello che vedremo delle carte lunari, le nuove
carte non assomiglierebbero più alle antiche, nè solamente in alcune acci
dentalità ma nella sostanza medesima, il che contraddice al fatto. La teoria
della gravitazione universale rende conto di questo curioso fenomeno; di
più essa prova che sarà perpetuo: mai, nè noi, nè i nostri posteri vedranno
il secondo emisfero lunare. « Je démontre, dice Laplace nella sua Mecca
nica celeste, que l'attraction de la Terre sur le sphéroide lunaire donne
au mouvement de ce spheroide les inògalités séculaires de son mouvement
de révolution, et rend invisible à jamais l'hemisphere opposé di celui qu'elle
nous prèsente». V'è però ogni probabilità a supporre che, anche l'altro emi
sfero che rimane occulto, non sia di differente natura da quello a noi vi
sibile, non ostante la contraria opinione di Hansen, distrutta dal Delaunay
e dal Newcomb. Di più, quantunque sia vero che la Luna incessantemente
ci presenta lo stesso emisfero, tuttavia l'osservazione attenta delle mac
A RTICOLI E MEMORIE 381

gnizione certa ed inconcussa, acquistata alla scienza astrono


mica (1).

III.

8. Quelle grandi regioni oscure, tondeggianti, circondate


da quelle chiare, ossia quelle estesissime bassure o profondità
vennero chiamate da Galileo medesimo, oceani o mari. Ma il
nome diede occasione, anche a scienziati, di riguardarle per un
tempo, come veri mari ondeggianti, circondati da coste rocciose.
Lo stesso Keplero pare le credesse tali, asserendo: a do ma

chie situate verso il termine del suo disco, sembra provare ch' essa oscilli
periodicamente, attorno ad una posizione media, poichè periodicamente ap
punto ora ce le mostra ed ora ce le occulta. Si sa che questo apparente
oscillamento è conosciuto sotto il nome di Librazione, il qual fenomeno fa
sì che un osservatore terrestre arrivi a vedere più che la metà cioè i "/too
(Annuaire du Bureau 1900) della superficie totale del nostro satellite, i
"/oo in più dovendosi alla Librazione. Il fenomeno della Librazione o meglio
delle Librazioni, poichè v ha la Librasione in latitudine, la Librasione
in longitudine, e la Librazione diurna, che è l' accennata di sopra,
viene spiegato in qualunque trattato di astronomia o cosmografla; spie
gazione che qui sarebbe fuor di luogo. Si può vedere in proposito la Mo
nografia fisica della Luna di Giovanni Celoria. Milano, 1872, p. 19-20.
Galileo coll'aiuto del suo istrumento osservò le Librazioni della Luna,
ma lo stato della scienza d'allora, non gli permise di dare la vera spie
gazione di questo fenomeno.
(1) Così poi potè il Lafontaine esprimere la nota verità, nei seguenti
lepidi versi:

Une tète de femme est au corps de la Lune ;


Y peut-elle ètre? – Non. – D'où vient donc cet objet?
Quelques lieux inògaux font de loin cet effet.
La Lune nulle part n'a de surface unie:
Montueuse en des lieux, eu d'autres aplanie,
L'ombre avec la lumière y peut tracer souvent
Un homme, un boeuf, un éléphant.
Naguère l'Angleterre y vit chose pareille. (Fables, l. VII, f. 18).

L'inglese Butler, contemporaneo del Lafontaine, avea pubblicato una


epopea burlesca sotto il titolo: « l' Eléphant dans la Lune ».
24
382 ARTICOLI E MEMORIE

culas esse maria, do lucidas esse terras ». Ma le osservazioni


posteriori eseguite con più potenti telescopi hanno sempre più
chiarito, che la Luna non contiene punto di bacini acquatici.
Nella Selenografia si volle tuttavia conservato, per quelle grandi
macchie, il nome di mari, come pure si diede quello di paludi,
laghi, seni alle più piccole. Nel loro insieme, occupano questi
così detti mari, i due quinti della superficie visibile della Luna.
Qualcuno appena di questi mari è isolato, cioè tutto chiuso al
l'intorno; gli altri sono per lo più uniti fra loro, al modo stesso
degli oceani terrestri. Se le ombre sono i così detti mari, le
parti luminose sono i veri monti.
9. Le montagne della Luna hanno in generale un aspetto
e forma, che impressiona la vista, per la singolarità ed uniformità
loro. Anzichè essere disposte in catene, quasi rettilinee, come
ordinariamente sono quelle del nostro globo, hanno la forma
circolare. I monti lunari sono caratterizzati da un immenso
bastione od argine circolare, nel cui interno trovasi un piano
molto profondo e depresso, al disotto della superficie media
della Luna. La profondità interna è sovente il doppio od anche
il triplo dell'altezza esteriore. Molte di queste formazioni cir
colari hanno nel mezzo un monte assai rilevato, altre non hanno
simile rilievo staccato, e sono quelle che Galileo chiamava le
maggiori piasse. Questo grande astronomo, per farci capire
l'ampiezza e la forma generale di queste immense circonvalla
zioni o pianure circonvallate, le paragonava al grande bacino
della Boemia (1). Il numero delle minori è grandissimo, e se ne
incontrano in tutte le regioni della superficie lunare, ma la parte
meridionale ne è quasi tutta ricoperta. Attualmente queste
piazze, grandi o piccole, sono dette generalmente circhi o crateri
lunari.

Però più particolarmente, sono chiamati bastioni delle pia


nure i maggiori di quei recinti, di un diametro assai conside
revole, che va dai 100 ai 200 Km. circa, la cui forma non è
molto regolare. Sono detti circhi quelle formazioni circolari di
un diametro inferiore a 100 Km., regolarmente costituite e
chiuse da un bastione circolare, più scosceso all'interno che

(l) « Regio consimilis Bohemiae. »


ARTICOLI E MEMORIE 383

all'esterno, aventi per lo più un altro ripido monte in mezzo,


che non giunge tuttavia all'altezza del bastione. Questi circhi
son pur chiamati anelli di montagne. È notevole che in non
pochi casi se ne trovano due accoppiati, i quali s'accordano per
fettamente nella forma e grandezza. Crateri poi in particolare
sono comunemente denominati quei monti circolari, il cui dia
metro è minore di 40 Km., di mediocre altezza, e nell'interno
cadono in modo assai ripido (1). Si riferiscono ad essi quei
punti più luminosi che si scorgono sulla superficie lunare, il
loro numero è straordinariamente grande. Specialmente i piccoli
crateri, da 1 ad 8 Km. di diametro, sono sparsi dappertutto in
numero quasi incalcolabile, tanto alle pendici dei circhi, quanto
nei bastioni delle pianure o come altri dicono nelle pianure di
circonvallasione. Se chiamiamo crateri anche i circhi, la Carta
delle montagne della Luna dello Schmidt non mostra meno di 32856
crateri, e non contiene certamente tutte le cosifatte conforma
zioni esistenti sulla Luna. Lo Schmidt stesso dichiara che, con
un ingrandimento di 600 volte, vi si potrebbero noverare ben 100
mila crateri. In base a questo, si può con certezza ritenere, che
nella Luna esistono parecchie migliaia di crateri i quali, a ca
gione della loro piccolezza, non possono venire accertati (2).
(1) Cfr. Dr. Heinrich Gretschel. Lexicon der Astronomie. Leipzig. 1882
pag. 344-345. Questa distinzione non si deve tuttavia prendere in modo
rigoroso, perchè, come si disse, quelle formazioni lunari vengono spesso
indifferentemente chiamate ora circhi ed ora crateri, di qualunque di
mensione sia il loro diametro. Secondo alcuni, i circhi o crateri lunari
dovrebbero più propriamente chiamarsi possi a margine sollevato.
(2) « Universo stellato » del Dr. G. Meyer, tradotto dall'Ing. O.
Zanotti Bianco. Dispensa 3º pag. 104-105.
L'appellativo di cratere, dato ai monti lunari, dee prendersi in senso
analogico, suggerito dalla loro forma, alquanto simile ai nostri crateri
vulcanici, anzi che dalla loro attività vulcanica, quasi quelle grandi
aperture sieno originate da eruzione, già comprovata, e quei monti si
possano o debbano dire assolutamente veri vulcani. Ciò non ostante
l'analogia della forma, se pur questa si vuol riconoscere, fe dedurre ad
alcuni scienziati la identità dell'origine. Ad es. il Sig. Poulett-Scrope
dice: « L' analogie est telle, qu' il est impossible de douter un seul
instant du caractère volcanique de la croite lunaire ». E Sir J. Herschel
dice pure a sua volta : « Ils (les cratères lunaires) présentent dans sa
3S4 A RTICOLI E MEMORIE

Sono poi chiamate semplici cavità o cavità crateriche, quei


minori crateri in cui non si scorge argine rilevato.
10. È da notarsi che queste varie configurazioni non sono
distribuite uniformemente sulla superficie del nostro satellite,
così che in certe regioni si riscontra una maggior quantità di
crateri, che non comporterebbe quella media. La carta della
Luna ci mostra alla prima occhiata, che la metà settentrionale
della superficie a noi visibile, e che nello stesso tempo contiene
i più grandi mari, è molto meno fornita di cavità e crateri,
della meridionale. Nella parte Nord-Est gli anelli di montagna
sono sparsi con grande, diremo così, parsimonia, mentre ne
formicola tutto il campo del polo Sud. Le piccole e grandi
cavità che si riscontrano nel terreno, specialmente nei pressi
dei grandi, circhi montagnosi, fanno una particolare impressione,
quasi che gigantesche goccie di pioggie, cadendo sopra un suolo
di melma, impartissero ad esso l'aspetto curioso di quella
cavità che ci presenta.

plus haute perfection le vrai type volcanique, comme on peut le voir


dans le cratère du Vésuve, ou dans une carte de la region volcanique
des champs Phlègréens ou du Puy de-Dòme ». Ma a queste affermazioni
risponde in contrario il Faye: « Ce sont là de bien grandes autorités,
mais que valent les autorités scientifiques vis-à-vis d'un syllogisme basé
sur de bonnes prémisses, tel que celui-ci : Il n'y a pas de volcans sans
l'intervention des vapeurs ou des gaz. Or la Lune n'a ni eau, ni gaz :
donc les cirques lunaires ne sont pas des volcans ». (Annuaire du
Bureau des Longitudes, 1881 pag. 712).
Quivi il Faye arreca le prove della maggiore e minore del suo
sillogismo. Più avanti in questo stesso lavoro esporremo l'opinione del
l'assenza dell'aria e dell'acqua nella Luna. Ora soggiungiamo che lo
stesso Faye contesta un poco anche circa la forma di questi medesimi circhi
e crateri lunari, per non doversi chiamare crateri e molto meno crateri
vulcanici, come quelli della Terra. Si trova, dice, in essi un carattere
geometrico, essenziale, decisivo, proprio a tutti i pretesi vulcani lunari,
che è affatto l'opposto dei vulcani terrestri. Così formula la sua opposizione,
« Les volcans terrestres sont des montagnes coniques de quelques milliers
de mètres d'altitude, portant au sommet un cratère de quelques centaines
de mètres de profondeur, tandis que les cirques lunaires sont de puits,
dont le rebord a quelques centaines de mètres d'altitude et le fond
quelques milliers de mètres de profondeur » Ivi pag. 713.
ARTICOLI E MEMORIE 385

11. Formazioni lunari importanti sono pure i così detti


solchi, scoperti la prima volta dallo Schröler. Sino 348 ne furono
numerati dallo Schmidt, e al presente se ne conosce un migliaio,
che vanno per lo più in linea retta fino a 500 Km. di lunghezza,
ed hanno la larghezza di uno o più Km. Presentano talora delle
diramazioni ed incurvamenti, da renderli non dissimili dai letti
dei fiumi. Hanno l'aspetto di vere spaccature nella superficie
lunare; però la vera loro natura, non è ancora ben definita e
raffermata. Si possono paragonare a quelle screpolature, che si
generano nelle argille o nelle masse disseccate. Essi non sono
valli, ma aprono il loro crepaccio, che cade per lo più a per
pendicolo, bruscamente, ossia senza alcun risvolto, al margine,
nella pianura. Vi fu chi affermò che, anche i solchi a forma di
crepacci, hanno il loro riscontro sulla Terra, cioè nei Canons
americani, specialmente del Colorado.
12. Si notano finalmente nella Luna, dei così detti sistemi
di raggi, o vene di luce, che non possono in modo alcuno para
gonarsi colle condizioni topografiche terrestri. Neppur essi sono
stati ben definiti. Non sono, nè sollevamenti nè depressioni,
poichè non gettano ombra; quindi non sono percettibili colle
basse posizioni del sole, laddove nel plenilunio, quando per noi
scompaiono quasi tutte le altre particolarità della superficie lu
nare, essi divengono oggetti importanti, affermando il Midler
che, in circostanze favorevoli, si possono vedere ad occhio nudo,
od almeno con un binoccolo da campagna o da teatro. Da certi
punti della superficie lunare, si dipartono come delle lunghe
striscie, chiare, irradianti in tutte le direzioni, sia pei monti, come
per le valli o pei piani. Senza intoppo alcuno corrono sopra dif
ferenze di elevazione, e talvolta raggi di diversi sistemi s'incon
trano, s'incrociano senza confusione. -

Nel loro centro, senza eccezione, si trova un circo od un


cratere. La disposizione di questi raggi intorno al loro centro, si
può in genere paragonare alle fessure di una sfera di vetro, fatta
scoppiare per una pressione dall'interno (1) o più semplicemente

(l) L'esperienza fu eseguita da Nasmyth e Carpenter, due selenografi


inglesi. Riempirono d'acqua la sfera di vetro, che poi chiusero ermetica
mente, immergendola in seguito in un bagno caldo. Dappoichè l'acqua
386 ARTICOLI E MEMORIE

anche alla rottura d'un vetro, contro cui si è lanciato un sasso.


Tali fessure hanno orli taglienti, come i solchi sulla Luna, ma
i raggi non mostrano mai una benchè minima differenza di ri
lievo della superficie, essi vengono distinti solamente per mezzo
di una più lucente colorazione del terreno; onde si vede che i
grandi solchi, prodottisi primieramente, vennero in seguito riem
piti di materia fusa. Il Màdler contò sulla Luna sette sistemi
di raggi di questa specie, laddove lo Schmidt dimostrò che, certi
crateri lucenti ed anche certi punti brillanti isolati della super
ficie lunare, si debbono considerare, per lo meno, come formazioni
connesse a sistemi di raggi, con che il loro numero si eleva a
cento circa.
I circhi di montagne, dai quali si dipartono i principali si
stemi di raggi, appartengono già di per sè ai più lucidi punti
della superficie lunare; i crateri risplendenti formano una con
figurazione intermedia, in quanto che le loro aureole si risol
vono in linee molto fine, i cui singoli elementi, solo in causa
dei difetti del così detto ponte ottico, che ci congiunge alla
Luna ingrandimento troppo debole, agitazione dell'aria), si rac
colgono insieme in una sola apparenza lucente. Analogamente
conchiude lo Schmidt, che anche i punti lucenti separati, che
non sappiamo risolvere in tali raggi uscenti da un punto, ap
partengono pur tuttavia alla medesima categoria (1).
13. Nella Luna, priva d'acqua, manca naturalmente una
superficie generale di livello, alla quale, come si fa sulla terra
coll'oceano, si abbiano a riferire le ineguaglianze della superficie.
L'insieme però dei suoi piani, al di sopra dei quali si distac
cano le eminenze dei suoi circhi, forma una specie di superficie,
da servire di piano di paragone, nella misura delle altezze asso
lute, mediante le ombre proiettate assai obbliquamente. Ad ogni
modo, le altezze delle montagne lunari, si potranno almeno rife
rire alla regione sottoposta o circostante. Galileo, che dimostrò
con rigore scientifico trovarsi monti nella Luna, insegnò pure
rinchiusa si dilata più fortemente dell'involucro del pallone, essa esercita
contro di esso una pressione, e rompe la sfera al punto dove questa oppone
la resistenza minima, secondo un gran numero di fessure divergenti da
quel punto.
(l) Univ. Stell. Ivi pag. ll 1-1 12.
s
ARTICOLI E MEMORIE 387

il modo di misurarne l'altezza, come si ha nel suo Nuncius Si


dereus (1) e nella lettera che indirizzò al p. Grienberger sulle
Montuosità della Luna. Egli si servì del metodo dei raggi tan
genti (2) determinando la distanza delle cime illuminate nella
(1) Vol IV, pag. 321 – Ediz. Milano.
(2) Il metodo sarebbe questo. Nel primo ed ultimo quarto di Luna,
allorchè oltre il terminatore della luce si presentano dei punti lucenti,
questi sono manifestamente vette di monti, i quali vengono colpiti dai
raggi del Sole, quando si leva e quando tramonta.
Si può ora misurare la distanza di questo punto lucido dal lembo
illuminato della Luna che si trova sulle pianure circostanti, come si mi
sura il diametro o raggio dell'astro. Galileo dice essersi accertato che
tale distanza giungeva talora al ventesimo. Sia questa ad es. il cateto
A G = a del triangolo rettangolo, di cui l'altro cateto A B è il raggio
(r) lunare, che deve esser misurato colla stessa unità di misura, nell'imagine
lunare, essendo l'ipotenusa BC lo stesso raggio rpiù l'altezza h = D C del
monte. Dal teorema di Pitagora si ha
(r-i- h)” = rº + aº

"

che dà h in funzione di a e di r.
Trascurando hº, come molto piccolo, si ha, con una approssimazione
abbastanza grande,

Naturalmente questa equazione si applica soltanto pei punti che sono


nello stesso piano col centro del Sole, della Luna e della Terra.
Se per es. a fosse 96 Chilometri e si prende il raggio lunare eguale
a l74l Chilom., si avrebbe :
(96) = 2, 646.
'F2 7ai
Ponendo a -96 km, la distanza AC viene ad essere circa /s del
raggio lunare A B.
388 ARTICOLI E MEMORIE

parte ombrosa della Luna dal limite della luce e dell' ombra:
Venne a questa conclusione a lunares eminentias terrestribus
esse sublimiores » (1).
Più tardi lo Schröter e poi il Midler e lo Schmidt, a mi
surare l'altezza dei punti delle scabrosità della Luna, si servi
rono del metodo, che fa determinare la lunghezza dell'ombra
proiettata, in relazione all'altezza del Sole, sopra quella regione
lunare in cui s'alza il monte. La lunghezza dell'ombra e la de
terminazione dell'angolo d'inclinazione del Sole, per un punto
dato della Luna, danno l'altezza di quel punto (2).
Il Beer el il Midler hanno dato una lista di 1093 altezze,
alcune delle quali raggiungono i 7600" cioè 2800 metri più del
monte Bianco. Secondo le misure del Neison, i monti Leibnitz
sono alti 8230", Newton 7250" , Curzio 6760", Tycho o Ticone
5210", Pitagora 5160" (3). Le eseguite misure mostrano in modo

(l) Almeno relativamente alla grandezza della Luna. Però ponendo


Salileo la distanza dei punti brillanti dal limite della faccia luminosa un
ventesimo del diametro della Luna-Piena, questa distanza darebbe circa
8800 metri di altezza, alla quale appena alcuno dei monti della Terra
arriva, onde il Galilei poteva intendere di esprimersi in senso anche asso
luto. L' Evelio segnando quella distanza ad un ventiseiesimo del diametro
lunare, riduceva l'altezza delle montagne lunari a 5200 m. ll P. Riccioli
al contrario, invece di diminuire, aumentò le determinazioni di Galileo. Se
le sue osservazioni fossero state esatte, avrebbero dato 14000 metri per
le montagne più alte.
(2) Le misure che hanno a base le ombre proiettate su pendio di
sconosciuta inclinazione, devono essere fallaci.
(3) Chi bramasse altezze di altri monti lunari, vegga l'Annuaire du
Bureau pour l'an. 1900 p. 169. Se ne trovano anche nell'Astronomia
Popolare del Flammarion a pag. 158, con qualche variante: ad es. a
Ticone è data un'altezza di 615l m. cioè 941 metri di più di quelli as
segnati dal Neison. Dal Flammarion, ai monti Leibnitz sono dati 7610 m.
per loro maggiore altezza, cioè 620 metri meno del Neison. Perciò in
generale queste misure di altezza come di larghezza dei crateri, date da
vari selenografi, non si devono prendere in modo assoluto.
Nella descrizione particolare di alcuni circhi, che daremo più innanzi,
si troveranno altre misure di loro altezza. Se i monti Leibnitz sono i più
alti della Luna, cioè della parte a noi visibile, assolutamente parlando, la
Luna non ha eminenze più sollevate di quelle della Terra, perchè il Gua
ARTICOLI E MEMORIE 389

indiscutibile che le montagne della Luna in rapporto alla gran


dezza del raggio lunare si spingono ad altezze ben maggiori che
non quelle della Terra. Se ricordiamo che il raggio della Luna
è soltanto i º del raggio terrestre, si riconoscerà che, le pro
i 1

minenze della superficie del nostro satellite, possono essere rese

sensibilissime sopra un modello in rilievo, laddove quasi insen


sibili rimarrebbero quelle della terra. In un globo infatti, avente
per raggio un metro, la cima più alta dell'Himalaia sarebbe
raffigurata da una piccola sporgenza di un millimetro e mezzo.
Si noti però che questo confronto è giusto, soltanto nella sup
posizione, che la superficie lunare si trovasse in simile condi
zione di quella della Terra, e le sue montagne si elevassero a
quell'altezza da un piano comune; ma la loro altezza è calcolata
compresa la profondità interna, sicchè il loro rilievo sopra quel
modello, sarebbe tre volte più sensibile di quello del nostro
globo, qualora però quelle pendenze non rientrassero nell'interno
del globo lunare.

IV.

14. È come innato nell'uomo l'impulso a rappresentare


con arte di pittura, scultura, o grafico disegno, gli oggetti da
lui nella natura osservati. In proposito della Luna, stando ad
un passo notevolissimo di Plutarco nella vita di Nicia, cap. 42,
Anassagora stesso, che disse esser la montuosa Luna un'altra
Terra, avea tracciato un disegno dell'orbe lunare (1). La prima

risankar od Everest nell'Himalaia è alto 8840 m. e Kantsciusunga pure


nell'Himalaia 8600 m. Si afferma tuttavia che più di 20 montagne lunari
superano in altezza l' Himalaia. Ma per essere esatti, bisognerebbe egual
mente far notare, che i crateri lunari hanno una profondità che supera la
elevazione delle nostre più alte montagne. E se noi supponessimo che
tutta l'acqua del nostro globo fosse scomparsa, e prendessimo il rilievo
dei terreni, partendo dal fondo dei mari, l'altezza delle Alpi sul fondo
del Mediterraneo o quella dei Pirenei sull'Oceano Atlantico, aumente
rebbe per tal guisa, in modo ben notevole. Ciò che sta sempre è che, le
montagne lunari sono relativamente più alte delle terrestri.
(l) Cfr. Origen., Philosophumena, cap. 8, ed. Miller, 1851, pag. 14.
– Peschel « Dissertazioni di geografia ed Etnografia » (trad.) Berlino, 1878.
390 ARTICOLI E MEMORIE

carta tuttavia che si conosca, rappresentante in grafica figura


l'aspetto lunare, è quella sbozzata da Galileo medesimo, dopo
che l'avea osservato col suo cannocchiale. Certamente quei
disegni erano ancor molto imperfetti. Meno difettosa è la carta
lunare del nobile giurista napoletano, Francesco Fontana (1).
Dilettante d'astronomia si occupò in costruirsi un cannocchiale
per fare, in compagnia del suo amico gesuita p. Zupe, varie
osservazioni astronomiche. Pubblicò in Napoli nel 1646 un
opera scritta in latino col titolo a Novae coelestium terre
striumque rerum observationes ». In quest'opera trovasi la
carta lunare da lui eseguita nel 1630, secondo le sue proprie
osservazioni. Ma questo lavoro del Fontana, come altri lavori
selenografici del secolo decimo settimo, furono quasi oscurati
dalla Selenographia, sire Lunae descriptio di Giovanni Erelio (2),
uscita alla luce in Danzica nel 1647, per la quale si meritò il
titolo di principe dei selenografi del suo tempo. Alla descrizione
degli oggetti lunari, va congiunta una carta generale e 40 carte
speciali.
Nell'occasione d'osservare un'ecclissi di Sole, il 1 giugno
del 1631, provò viva l'idea di dedicarsi particolarmente allo
studio della Luna e di allestire le prime carte selenografiche.
Aveva perciò tutte le qualità richieste: vista acuta, occhio si
curo, mano abilissima al disegno ed all'incisione, pazienza
a tutta prova, ed una grande destrezza a lavorare il vetro. La
sua abilità di ottico lo mise in caso di fabbricarsi da sè, per
suo uso, due cannocchiali, uno di sei e l'altro di dodici
piedi di lunghezza, ossia di m. 1,95 e m. 3,90. Per altra via,
gli era impossibile allora, di venire, a proprie spese, in pos
sesso d'un buon istrumento.
Stava poi per rinunziare alla bella impresa, di rappresentare
graficamente la faccia della Luna, se opportunamente non lo
avesse incoraggiato a proseguire, il celebre matematico ed
astronomo di Parigi, Pietro Gassendi (3). Si era questi proposto
(l) Nato nel 1585, morto nella peste del lo56.
(2) Nato in Danzica il 28 Gennaio 16ll, morto nella stessa città il
28 Gennaio l 687.
(3) Nato a Camptercier presso Digne nel 1592 ove fu Canonico e
Prevosto, e morto a Parigi nel 1655, ove dal 1642 fu professore di ma
tematica.
ARTICOLI E MEMORIE 391

un simil intento, di ritrarre cioè la faccia della Luna, in col


laborazione d'un abile disegnatore ed incisore in rame, ma tosto
che vide alcune prove dell'Evelio, sospese il lavoro, forte strin
gendo l'astronomo di Danzica a continuare e compire il suo.
Allora egli aggrandi il suo piano ; in luogo di limitarsi alla
Luna Piena, designò tutte le fasi lunari, giorno per giorno, lavoro
che l'occupava di e notte: le osservazioni che avea fatte durante
la notte, le riproduceva di giorno col bulino sul rame; così
dopo cinque anni di laboriose e pazienti veglie, pubblicò l'im
portante suaccennato lavoro. Le incisioni, che si osservano nella
carta lunare dell'Evelio, sono nitidissime ; l'incisione ad acqua
forte, più speditiva, non avrebbe dato lo stesso risultato. Le
tavole lunari dell'Evelio riproducono quindi l'aspetto della Luna,
in ogni giorno della sua età, donde ne deriva formata un'imagine
ideale di tutta la Luna a noi visibile (1). La selenografia del
l'Evelio fu per quel tempo una pubblicazione di grido, che fece
epoca, come un vero capolavoro di scienza ed arte. Si narra che
lo stesso Sommo Pontefice Innocenzo X siasi così espresso col
P. Zucchi « L'opera dell'Evelio è impareggiabile, peccato che
il suo autore sia eretico ». I posteri hanno giustificato il tri
butatogli elogio; giacchè l'opera dell'Evelio, non ostante qualche
inesattezza in certi punti del disegno, fino al tempo del Lohr
mann, cioè fino al 1820, da altri non venne superata.
15. Era cosa naturalissima che allo studio selenografico
dovesse esser guida un'accurata nomenclatura, che permettesse
di identificare, senza ambiguità, ogni elemento della superficie
lunare. A ciò infatti pensò l'Evelio, e da lui provengono alcune
delle denominazioni di monti, che tuttora s'incontrano nelle
carti lunari. Dapprincipio eragli sorta l'idea di servirsi per
l'indicazione dei vari oggetti, del nome di uomini celebri, ma
per evitare la gelosia dei dotti contemporanei, preferì applicare
alla Luna i nomi geografici di paesi, mari e monti della Terra.
Così nella Carta dell'Evelio, leggiamo: Italia, Sicilia, Igitto,
Persia, Palestina ecc. Mare Adriaticum, Mare Mediterraneum,
Pontus Euxinus ecc. Le Alpi, gli Appennini, i Carpazi, il Cau

(l) Una delle placche di rame, che rappresentano la Luna-Piena, si con


serva ancor oggi qual vassoio da caffè.
392 ARTICOLI E MEMORIE

caso, ecc. Ma rimasero soltanto i nomi di questi pochi monti,


e quelli dei paesi e mari furono abbandonati.
Un contemporaneo dell'Evelio, il gesuita von Lamgren, nella
sua Selemographia, che pubblicò a Bruxelles nel 1645, introdusse
denominazioni al tutto differenti. Si rileva da quest'opera, che
rimase tuttavia imperfetta, ch'egli coprì la superficie della Luna
di nomi di Santi, i quali però non furouo mai adottati. Lo stesso
P. Riccioli (1), pur gesuita, nel suo Nuovo Almagesto, in cui in
seri una carta lunare del suo confratello e collaboratore P. Gri
maldi (2), non usò la nomenclatura Langriana, ma in conformità
della prima idea dell'Evelio, che, come vedemmo, non effettuò,
d'accordo pienamente col P. Grimaldi, diede ai monti, ai circhi
e crateri lunari nomi di illustri scienziati, dell'antichità, del
medio Evo e dei contemporanei. Così sostituì Galileo a S. Ge
noveffa, Platone a S. Atanasio ecc. Archimede, Aristarco, Aristo
tile, Tolomeo, Copernico, Keplero, Ticone, Gassendi, sono i nomi
dei più cospicui fra i circhi e crateri. Pei mari, abbiamo il
Mare Crisium, Mare Imbrium, Mare Serenitatis, Oceanus Pro
cellarum, fra i più importanti. Le denominazioni proposte dal
Riccioli, chiamato l'infaticabile nomenclatore di Bologna, entra
rono nell'uso comune e ci persistettero col sistema stesso di
nomenclatura, per nuove appellazioni da applicarsi a nuovi ele
menti, che si andassero scoprendo. -

Così dunque si venne a descrivere e rappresentare la su


perficie visibile della Luna in tutti i suoi particolari, per quanto
lo comportava e attualmente lo comporta la potenza dei nostri
telescopi.
16. Più tardi avremo occasione di conoscere l'ampiezza
e posizione di questi così detti mari, come di studiare le par

(l) Giovanni Battista Riccioli nacque a Ferrara nel 1598 e morì a


Bologna nel 1671, ove lungamente avea vissuto nella casa dell'Ordine in
quella città. Divenne celebre pel suo « Almagestum novum » l65l, e per
l' « Astronomia reformata » l065.
(2) Francesco Grimaldi, nato a Bologna, morto nel 1663, che scoperse
il fenomeno della diffrazione della luce, ebbe una gran parte ai lavori
del P. Riccioli. Non si deve confondere col Card. Grimaldi, a cui il Riccioli
ha dedicato il suo Almegesto.
ARTICOLI E MEMORIE 393

ticolarità più interessanti, che si riferiscono ai principali monti


lunari, ricordando eziandio il monte Cassini, il quale, non
ostante la considerevole sua estensione, non fu avvertito, nè
dall' Evelio, nè dal Riccioli. Quel cratere lunare ebbe il nome
di Cassini Giovanni Domenico (1), professore d'astronomia
all'Università di Bologna nel 1650, membro dell'Accademia e
Direttore della nuova Specola di Parigi dal 1669.
Egli è uno degli astronomi che, dopo il Galilei, l'Evelio, e
il Riccioli, hanno più contribuito ai progressi della selenografia
nel secolo decimo settimo. Questo celebre Direttore dell'Osserva
torio parigino, fece disegnare da un abilissimo artista, chiamato
Patigny, tutte le fasi della Luna, segnate giorno per giorno. A
tale scopo quel disegnatore si serviva di un telescopio di 34
piedi ossia 11 m. circa (2). In seguito a tali disegni, (3) e con
forme alle sue proprie osservazioni, Cassini, nel 1662, pubblicò
una carta della Luna-Piena, di grandissime dimensioni. Pec
cato che soltanto un numero piccolissimo di esemplari ne
fosse tirato ! (4).
La Hire (5), ch'era egli stesso eccellente disegnatore, volle
fare una simile carta. Fece eziandio costruire un globo lu
nare, tal quale l'Evelio l'avea proposto. Il globo e la carta del
La-Hire, che aveva 12 piedi (m. 3,90) di diametro, cangiarono
più volte di proprietario (6). -

17. Un merito singolare s'acquistò in selenografia, il pra

(l) Nato a Perinaldo presso Nizza nel 1625, morto nel 1712 a Parigi.
(2) Questo cannocchiale si conserva ancora nell'osservatorio di Parigi.
(3) Sventuratamente tali disegni, fatti colla matita, sono rimasti ine
diti. Il Lalande all'epoca della Rivoluzione li vide tra le mani del conte
Cassini, figlio di Cassini di Thury.
(4) Questa carta si trova ridotta in piccola scala ed accompagnata
da un testo dichiarativo nelle Memoires « de l'Academie des sciences, º
année 1792.
(5) Filippo di Lahire o La-Hire nacque il 18 Marzo 1640 a Parigi,
mori il 21 Aprile 1718. -

(6) Quanto alla carta, « Elle est à S. Geneviève, scriveva Delambre


nel 1819, vis-à-vis de la porte de la Bibliothéque ».
394 ARTICOLI E MEMORIE

tico astronomo, Tobia Mayer, (1) celebre professore di Economia


e Matematica in Gottinga. A quattro anni, disegnava macchine
con pari destrezza ed aggiustatezza, e all'età di soli 16 anni, volle
calcolare i momenti dell'ingresso ed uscita delle singole macchie
in un'ecclisse lunare. Rilevò che la posizione di esse, non era
stata eseguita con sufficiente esattezza. Nè ciò dee far punto
meraviglia, giacchè tutti i disegni di carte lunari, fino a questo
momento pubblicati, si eseguirono a sola misura d'occhio. Il Mayer
fu dunque il primo, che applicasse le coordinate dei singoli og
getti sul disco lunare, con vere misure, ed in ispecialità deter
minò la longitudine e latitudine selenografica di 27 macchie, in
rapporto alla librazione media, il perchè il Mayer è riguardato
come il fondatore della Selenografia scientifica.
Dando egli la soluzione del famoso problema delle longitu
dini, il parlamento d'Inghilterra decretò una gratificazione ai
suoi eredi. Sgraziatamente, delle 12 sezioni, in cui il Mayer vo
leva eseguire il suo lavoro, fondandosi sulle sue proprie misure
ed osservazioni, e secondo l'ordinario sistema dei mappamondi
terrestri, quattro soltanto ne potè compiere, lasciandone alcune
appena incominciate, perchè da immatura morte rapito (2).
G. E. Lambert (3) eseguì con cura, secondo sue proprie
osservazioni, e pubblicò nelle Effemeridi di Berlino per l'anno
1775, una carta della Luna-Piena. Essa, come quella del Mayer,
non presenta che lo stato delle librazioni medie.
18. Mancavano ancora carte speciali, abbastanza partico
lareggiate, per dare un'idea della costituzione fisica del globo
lunare, allorchè questa lacuna veniva, in parte, ad essere ricol

(1) Nato a Marbach nel Wirtemberg nel 1723, morto a Gottinger


nel l 762.
(2) Nell'età di soli 39 anni. – Il volume delle opere inedite di Tobia
Mayer, pubblicate dal suo amico Lichtenberg nel 1755, contiene una carta
della Luna-Piena di circa 8 pollici (22 cm. circa) di diametro. Tutte le
macchie vi sono riferite ai meridiani ed ai paralleli della Luna, secondo
le loro posizioni, colle librazioni medie, con un catalogo di 89 macchie
denominate secondo l'Evelio ed il Riccioli. È la carta lunare più esatta che
fosse allora pubblicata. Duole che fosse disegnata in una così piccola scala.
(3) Giovanni-Enrico Lambert nacque a Mulhausen nell'Alsazia Sup.
nel 1729 e morì a Berlino nel 1777.
- A RTICOLI E MEMORIE 395

mata dallo Schröter, (1) nei disegni, che accompagnano i suoi


Seleno topographischen Fragmente.
A Lilienthal, nell'arciducato di Brema, si eresse lo Schröter
una privata specola, nella quale, con molta diligenza, e coll'aiuto
di potenti telescopi a riflessione, da 4 a 7 piedi, e più grandi,
da 13 ed eziandio da 27 piedi di ampiezza focale, esegui delle
osservazioni sulla superficie della Luna in tutti i suoi parti
colari. Egli non si servi delle determinazioni dei punti lunari,
fatte dal suo antecessore Mayer, ma si appoggiò sulle sue spe
ciali e proprie osservazioni, instituite nei vari cambiamenti
dell'illuminazione del satellite; e per certo, relativamente al
suo tempo, contribuì assai al progresso della selenografia. Nella
sua opera a Selenotopographische Fragmente º apparsa in luce
in due volumi, a Gottinga, l'uno nel 1799 e l'altro nel 1801,
riuscì così bene nell'intento di rappresentare le singole re
gioni lunari, e con tale espressione e fedeltà, che poterono i
posteri, servendosi dei suoi disegni, credere che alcune modi
ficazioni fossero avvenute nella superficie della Luna. Però i
servigi dallo Schröter prestati alla selenografia, dapprincipio
cotanto esaltati, caddero, in seguito ad una deprimente critica
del Midler, in un immeritato disprezzo. Quantunque i suoi te
lescopi a riflessione, come quelli dell' Herschel, non indicassero
parecchie particolarità, che assai languidamente splendevano
nella Luna, ha tuttavia lo Schröter la gloria, d'aver tentato per
il primo, come fu sopra accennato, una rappresentazione par
ticolareggiata della superficie lunare. – Le osservazioni lunari
si continuarono dal Gruithuisem (2) Astronomo dell'Università
di Monaco. Ma per lui, la selenografia rimase al medesimo
grado di perfezione in cui fu lasciata dallo Schröter.

(l) Giovanni-Girolamo Schröter nacque ad Erfurt nel 1745 ove morì


nel l8 l6.
2) Nato nel 1774 ad Haltemberg, morto in Monaco nel 1852. E cu
rioso, come questo fantasioso Astronomo, investigando al principio del nostro
secolo con zelo appassionato, la Luna, per scoprirvi indizi della vita, credesse
scorgervi una quantità di configurazioni, tali da doversi riguardare quali
città e potenti opere di fortificazione, grandi strade ed altro di simile, che
poi si accertò dover essere cose tutte naturali – Gruithuisen, Natur
geschichte des gestirnten Himmels, pag. 188.
396 ARTICOLI E MEMORIE

19. Un gran passo invece le fece fare il Lohrmann (1).


Nel 1820 iniziò, in Dresda sua patria, delle accurate osser
vazioni sulla Luna, in base alle quali, voleva dare una rappre
sentazione della Luna, in 25 grandi fogli, da formare un cerchio
di un metro circa di diametro. Ma purtroppo un tal lavoro di
sorprendente accuratezza, per lungo tempo rimase solo inco
minciato. Il Lohrmann pubblicò nel 1824 il primo fascicolo
soltanto della sua opera (2), contenente quattro tavole d'inci
sione, e nel 1839 una piccola carta generale della Luna. I
disegni lunari, eseguiti di sua propria mano, fino dal 1836,
passarono dopo la sua morte, avvenuta nel 1840, all'astronomo
Giulio Schmidt (3). Sfavorevoli circostanze ne differirono la
pubblicazione; soltanto nel 1878 apparve in Lipsia l'opera
della carta lunare del Lohrmann, in tutte le sue 25 sezioni
con due tavole illustrative, in magnifica incisione e con testo
esplicativo (4). L'Oppelt, che si occupò della revisione di que
sta carta lunare, nel 1879, diede alla luce una carta lunare
più piccola.
20. Intanto a Berlino, il banchiere Guglielmo Beer (5) e
Giovanni Enrico Maidler, Direttore della Specola di Dorpat,
s'occupavano con successo ad osservare la Luna, affine di pro
iettare una Carta lunare, sul piano stesso del Lohrmann, ma
secondo le loro proprie osservazioni. Dopo un materiale raccolto
per circa 600 notti, pubblicarono finalmente nel 1834 in Berlino
la loro a Mappa selemographica º la quale mostra in quattro
sezioni la Luna, quale un disco di tre piedi di diametro, pari
a m. 0,975. Tre anni dopo, apparve il testo esplicativo, molto
particolarreggiato a Der Mond mach seinen kosmischen und
individuelen Verhältnissen -. I lavori del Beer e del Madler
servirono di base ad altri simili, pubblicati di poi.
(1) Guglielmo Lohrmann nacque a Dresda il 1796 ove mori nel 1840.
(2) Ha per titolo « Topographie der Sichtbaren Mondoberfläche ».
(3) Giovanni Federico Giulio Schmidt nato nel 1825 ad Amburgo,
è fino dal 1858 Direttore della Specola in Atene.
(4) L'edizione dello Schmidt ha per titolo «Mondkarte in 25 Sectionen
und 2 Erläuterungstafeln ». -

(5) Il Beer nacque a Berlino nel 1797, ivi morto nel 1850; ed il
Mädler nacque pure a Berlino nel 1794, e mori a Bonn nel 1874.
ARTICOLI E MEMORIE 397

21. Chi si acquistò in selenografia una notevole celebrità,


fu lo Schmidt, colla sua Carta delle Montagne della Luna (1)
eseguita anch'essa secondo proprie sue osservazioni. Non è co
stata al suo autore meno di 35 anni. È giudicata la migliore e la
più grande, che attualmente si abbia in puro disegno. Si trova
distribuita in 25 fogli con testo dichiarativo. Trilustre appena,
ne delineava i primi schizzi ad Eutin nell'Holstein. Bonn,
Olmitz ed Atene, furono le sue principali stazioni di osserva
zione. Circa duemila disegni originali, proiettati per lo più
secondo il rifrattore della Specola Ateniese, somministrarono il
materiale a questa carta, la quale dà la Luna in una scala
di 1: 1783200. I singoli fogli furono fotografati a Berlino e poi
moltiplicati per fototipia, sostenendone le spese il Ministero
della pubblica Istruzione.
22. L'Alemagna vedeva appunto uscire in luce, nella prima
metà di questo secolo, i principali lavori selenografici. Anche in
Inghilterra si andava tuttavia sviluppando una viva attività in
proposito.
Dopo il Birt, la cui gran carta lunare rimase inedita, si se
gnalarono due indagatori delle cose lunari, il Nasnyth e il Car
penter, coll' opera pubblicata nell'originale inglese nel 1874 e
tradotta in tedesco nel 1876, col titolo: « Der Mond betrachtet
als Planet, Welt und Trabant, mit Zusitzen von I. H. Klein.
Mit viel Holzschn. u. Tfln. Leipzig 1876. – Il Neison pure
pubblicò, nel 1876, un lavoro inglese assai stimato, col titolo:
The Moon and the condition und configurations of its surface ».
Illust. by maps and plates. London 1876. Anche di quest'opera
venne, due anni dopo, pubblicata una versione tedesca: « Der
Mond und Beschaffenheit und Gestaltung seiner Oberfläche ».
Leipzig 1878.
L'opera del Nasmyth e del Carpenter si distingue singolar
mente, per le sue imagini fotografiche, al tutto plastiche, delle
singole regioni lunari; quelle imagini, non furono tuttavia rile
vate direttamente dalla Luna, ma da modelli appositamente ese
guiti e opportunamente illuminati. L'opera del Neison si può

(l) Karte der Gebirge des Mondes, nach eignen Beobachtungen, in den
Jahren l840-74.
25
3!)S Alù l'ICO I, I E MI EMIO RIE

riguardare come quella, che discute, in un modo compendioso,


le quistioni tutte che si riferiscono alla Luna.
Se della dotta nazion francese, non potemmo fin qui, se
gnalare lavori selenografici, che pur da lungi, gareggiar potes
sero, colle carte lunari dei più illustri selenografi della Ger
mania, quali l'Evelio, il Mayer, lo Scròter, il Lohrmann, lo
Schmidt; o, colle opere si pregiate di selenografia degli inglesi,
Nasmyth, Carpenter e Neison, troveremo tuttavia sufficiente
compenso, in far rilevare i primi onori, da essa meritatisi, nella
selenografia fotografica, colla pubblicazione dell' « Atlas Lu
naire º dei sigg. Loewy e Puiseux, astronomi della Specola
di Parigi.
(Continua) -

BELLINo CARRARA S. J.
Prof. al Collegio M. G. Vida in Cremona.
W NQTI VTI
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Elllllo l. (5illgno 19OO. il)lllll. 6.

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l - º io o ries con i -
SKJEGGEDALSFOS. ODDE. (Norvegia)
Ncl e vi fa oro mi tv a cita

l l e il tanto riguarò a Direzione ci i ministra e


5peòire al Can. Drof. Dietro (Daffi, pavia.
l ESCE IL 20 o oc N Mese.

per l'Italia: Anno L. 12 - Semestre L. 7. IN a v ia


premiata Cipografia fratelli fusi
per l'Estero : Anno L. 14 - Semestre L. S.
19QO.
LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

Studio Storico - Scientifico.

V.

23. Lo studio della superficie lunare, pur dopo i grandi


lavori del Midler e dello Schmidt, offriva un vasto campo alle
ricerche ed alle congetture. Se in qualche tempo venne come
trascurato, si fu, perchè le rappresentazioni a mano inspiravano
giustamente qualche diffidenza. Le divergenze rilevate dal pa
ragonare i vari disegni fra loro, troppo presto si aggiudicavano
a cambiamenti reali. Le discussioni sollevate su questo punto
sembravano non poter essere schiarite, che da un piccolo nu
mero d'astronomi di professione, armati di potenti telescopi, e
favoriti da un serenissimo cielo. Ma neppure a queste condizioni
si venne a stabilire l'accordo. Ne risultò una specie di scorag
giamento, molto vivamente sentito, che ebbe a stornare parecchi
osservatori dall'uno dei rami più attraenti della scienza degli
astri.

I progressi della fotografia vennero a cambiare questo stato


di cose, permettendo di porre in disputa dei documenti fedeli
e completi (1). Nello stesso tempo divenne possibile pronunciare
delle opinioni più sicure in proposito dello stato attuale della
crosta lunare e delle metamorfosi, di cui essa ha custodito le
traccie. Ponendo a riscontro le fotografie attuali coi documenti
passati o futuri, si potranno probabilmente rilevare delle nuove
condizioni nelle vicissitudini del nostro satellite. La fotografia
applicata agli astri, forma oggidì un nuovo e prezioso sussidio
alle ricerche astronomiche, non solamente per il rispetto fisico,
ma eziandio per matematiche determinazioni. « L'importance

(1) Per conoscere bene la Luna, diceva Faye, prendete delle foto
grafie: « pour rappeller les effets dus à une illumination donnée et pour
è viter la désastreuse infidelitè des dessins purement géometriques ou des
descriptions » (Ann. du Bureau, l881, p. 708).
484 ARTICOLI E MEMORIE

de la photographie, dice il Sig. E. Barnard, astronomo dell'os


servatorio di Yerkes, s'est affirmée par la determination de la
parallaxe stellaire, petit-être prendra-t-elle sous ce rapport la
place du micromètre » (1).
E Faye dinanzi all'Accademia francese proclamava a che
la fotografia ha creato nel sistema delle osservazioni moderne,
un progresso quasi comparabile a quello realizzato due secoli
or sono, quando vennero applicati i cannocchiali agli strumenti
di misura m. Serve ancora a riscontrare le osservazioni, aiuta a
scoprir nuovi astri, ed è attualmente adoperata alla costruzione
d'una carta del cielo contenente le stelle fino alla 14º grandezza
ed in numero da 10 a 12 millioni (2). Sorgeva poi opportuna,
utilissima per il nostro satellite in particolare; essa pur tra
forti difficoltà veniva a gareggiare coi più abili disegnatori, e
per l'osservazione diretta sarebbe stata sempre appoggio, non
una rivale.

24. La fotografica rappresentazione degli oggetti celesti


non è differente, nella sua base o principio, da quella ordinaria
degli oggetti terreni. In ciò soltanto si discosta da questa, in
quanto l'ordinario obbiettivo fotografico viene sostituito dal
l'obbiettivo di un cannocchiale, nel cui fondo oculare viene

(l) Ciel et Terre N. 9. l luillet 1899, p. 208.


(2) P. STRooBANT. – Bull. de la Soc. Belg. d'Astron. – Troisième
Ann. p. 378. Questa carta fotografica del Cielo è cominciata a Parigi da
dodici anni, per opera del contro ammiraglio Mouchez.
È un lavoro internazionale, a cui partecipano diciotto Osservatori dei
due emisferi. Questa vasta esplorazione dello spazio, dice il Loewy, « a
pour objet deux études d'une nature distincte:
l" De dresser une Carte à l'aide de clichés à longues poses; on se
propose ainsi d'obtenir, de l'état actuel du ciel, une représentation fidéle
comprenant tous les astres jusqu'à la 14° grandeur, dont le nombre est
évalué à trente millions ; (qui è più che raddoppiato il numero dei milioni
asserito dallo Stroobant).
2° De faire une série de photographie à poses plus courtes, repro
duisant les images stellaires jusqu'à la llº grandeur. Cette seconde re
cherche est destinée à la construction d'un Catalogue, qui devra renfermer
le coordonnées précises d'environ trois millionls d'étoites ». Bull. de la
Soc. Astron. de France. Avril 1900 p. 171.
ARTICOLl E MEMORIE 485

collocata la camera oscura colla sua sensibile piastra. Questa


viene inserita nel foco dei raggi chimicamente efficaci, vale a
dire, dei violetti ed ultravioletti (1).
Perciò negli strumenti appositamente costruiti a scopo
fotografico, l'obbiettivo non è fatto acromatico pei raggi più
brillanti dello spettro, ma per i chimici, che sono più rifran
gibili, e corrispondono ad una lunghezza di onda più piccola,
e danno conseguentemente un'imagine più fine e più particola
reggiata, quando si facciano convergere per una conveniente
scelta di curvature (2).
Il Daguerre applicava pel primo nel 1839 le sue prove
fotografiche alla riproduzione dei corpi celesti. Ma se vogliamo
sapere a che approdasse rispetto alla Luna, udiamolo dall'Arago,
che ce ne ha conservata la memoria. « Iamais, dice egli, les
rayons de la lune m'avaient produit d'effet physique perceptible;
les lames de plaqué préparées par M. Daguerre blanchissent au
contraire a tel point, sous l'action de ces mêmes rayons et des
operations qui lui succedent, qu'il est permis d'espérer qu'on
pourra faire des cartes photographiques de notre satellite n (3).
È cosa mirabile, che il celebre astronomo, da risultati si poco
favorevoli, cioè da qualche pallida e confusa macchia, ottenuta
anche con pose eccessivamente lunghe, avesse a dedurre sì belle
speranze e ardisse fare sì lusinghiere promesse. Le piastre del
Daguerre restavano dunque molto al di sotto dei grossolani
disegni di Galileo, eseguiti da lui stesso, dopo la scoperta del
suo cannocchiale. Sicchè certamente per ogni altro spirito meno
perspicace di quello d'un Arago, il nuovo strumento della foto
grafia, sarebbe stato ritenuto meno adatto ad un lavoro sì delicato,
quale è quello di ritrarre fedelmente la superficie del nostro
satellite. Eppure nella realtà non v'era niente di più fino e di
più proprio ; ma prima di ottenere consolanti successi, faceva
(l) Fu rilevato che il massimo dell'azione attinica dello spettro solare,
in luogo di coincidere col massimo d'intensità luminosa, come parea do
versi aspettare, se ne allontana per contrario, verso la regione del violetto.
Ne risulta da ciò che, in una lente, il foco attinico non coincide col foco
luminoso, ma cade al di là di questo.
(2) Cf. Annuaire du Bureau des Longitudes, 1898. Notice A.
(3) ARAGo. – CEuvres, tom. VII, pag. 478.
486 ARTICOLI E MEMORIE

d'uopo che la scoperta del Galilei e quella del Daguerre sog


giacessero a modificazioni profonde, tali da potersi poi dare la
mano e prestarsi vicendevole aiuto. Il cannocchiale e la foto
grafia, prima allo stato d'infanzia, l'uno presso Galileo, l'altra
presso il Daguerre, doveano poi unirsi quasi a connubio nel
l'Equatoriale a gomito, creazione di M. M. Loewy (1) che forma
da solo un apparecchio completo dei nostri grandi Osservatori,
e somministra i processi immensamente delicati della fotografia
contemporanea.
- 25. Alcun che di meglio del Daguerre, sebbene nulla an
cora di singolarmente buono, ottenne il D." Iohn W. Draper nel
marzo del 1840 a New-York, con una posa di venti minuti, al
foco d'un telescopio di Newton di 13º d'apertura. La sua
fotografia daguerrotipa della Luna, lasciava meglio intravvedere
la possibilità della fotografia lunare. Cinque anni dopo, cioè
nel 1850, l'astronomo William C. Bond (2) all'Osservatorio di
Harvard, coadiuvato dai Sigg. Whipple e Black di Boston,
iniziava la sua carriera fotografica celeste, ottenendo con un
riflettore di 15 pollici (38") delle fotografie lunari, che per
quei principii erano relativamente buone. A lui anzi si vuole
attribuire la prima vera fotografia daguerrotipa della Luna.
Nel Luglio del 1851 in Ipsivich potè presentare ai membri
della Società Brittanica delle Scienze, una fotografia della Luna,
che riscosse l'universale approvazione e meritati applausi da
tutti quegli scienziati. In questo stesso anno 1851, Legay ima
ginò di sostituire, allo strato sensibile di cloruro d'argento,
uno strato sottile di collodio, applicato ad una lastra di vetro.
Da questo punto, grazie alla sensibilità del nuovo processo, i

l) Maurizio Loewy, attuale Direttore della Specola nazionale di


Parigi, nacque a Vienna nel 1833, ove fu assistente della specola di quella
Capitale dal 1853 al 1860. Abbandonò questa per passare nel 1861
all'Osservatorio di Parigi, in qualità di assistente del celebre astronomo
Leverrier. Nel 1896 succedette a Tisserand nella carica di Direttore. Altre
notizie biografiche e bibliografiche di questo rinomato astronomo, si possono
vedere nell' « Astronomische Rundschau º della Specola di Lussinpiccolo
in Istria, pubblicata da Leo Brenner. Band I”, l899, Heft. 8, pag. 260
e segg.
(2) Nato a Portland (Maina-Nord-America) nel 1789, morì nel 1859.
ARTICOLI E MEMORIE 487

saggi di fotografia astronomica si moltiplicarono, e prove assai


eccellenti furono ottenute per la Luna. Felici risultati in pro
posito s'attribuiscono agli inglesi Dancer e Warren de la Rue,
nel 1854. Si può dire anzi che quest'ultimo col suo riflettore
di 13 pollici (32"), senza congegno d'orologeria, superò tutti,
almeno per quel tempo e riguardo alle fotografie della Luna.
Nell'anno 1860 in America il Dott. Henry Draper si accinse
alla medesima impresa e con un riflettore di sua propria pro
duzione di 15 pollici e mezzo (39") gli venne fatto di raggiun
gere le migliori fotografie fin qui ottenute. Ma anch'esso alla
sua volta fu nel 1865 superato da Lewis M. Rutherfurd. Questi
adoperò un rifrattore di 11 pollici (27º), che fu lavorato e
compito sotto la sua ispezione e direzione. Fu questo proprio
il primo istrumento che si potesse dire adattato a ricevere i
raggi fotografici. Dapprima adoperò egli un equatoriale, in cui
il foco dei raggi chimici differiva di 18" dal foco dei raggi
luminosi; poi un obbiettivo composto d'un croucn combinato con
un flint d'una distanza focale minore d'un decimo di quella che
produrebbe l'acromatismo ottico. Rutherfurd dimostrò dal canto
suo che si può acromatizzare, per i raggi chimici, un obbiettivo
ordinario, ponendo innanzi alla lente biconvessa, un menisco di
ſtint concavo-convesso. In un periodo dunque di venti anni circa,
che si può dire essere stato un periodo di vera lotta, il passo
fatto verso la perfezione della fotografia lunare, sebbene ancor non
raggiunta, fu veramente gigantesco; tanto che nel 1872 il Faye,
potè dire . . . . Basta un colpo d'occhio su queste magnifiche
imagini per fare apprezzare il servizio che esse potranno ren
dere allo studio della geologia (1) lunare. Le grandi linee
luminose, specie di fessure che disegnano grandi archi di circolo
incrocicchiandosi, formano angoli possibili ad essere misurati
(l) Stando all'etimologia del greco vocabolo geologia, pare che alla
espressione complessa geologia lunare, meglio e con più proprietà, si
potrebbe sostituire l'unico vocabolo selenologia, come già da alcuni si è
cominciato ad usare, intendendo con esso applicare alla Luna quell'obbietto
formale di studio e di cognizioni, che comunemente s'intendono per la
Terra col vocabolo geologia. Così vi viene ad evitare il rimpasto di Terra
e di Luna, come si fa coll'espressione geologia della Luna o geologia
lunare.
488 ARTICOLI E MEMORIE

con qualche esattezza. I circhi, i crateri, e fino le più piccole


fosse circolari, che la superficie della Luna ci presenta in si
gran numero, tutto vi è rappresentato con una fedeltà sorpren
dente, che nessuna carta topografica saprebbe riprodurre r (1).
26. La riproduzione quasi istantanea, a cui oggi siamo
giunti, di una frazione considerevole della superficie lunare,
costituisce un progresso inestimabile e nessun'altra via è aperta
per arrivare ad una rappresentazione veramente omogenea,
paragonabile a sè stessa in ogni sua parte e relativa ad un'epoca
nettamente definita. Ma prima d'arrivare a tal punto, quanti
tentativi si sperimentarono ? quante difficoltà, quanti ostacoli
occorreva sormontare? La costanza sola, che si può dire sta a
base d'ogni buon successo, potea far trionfare di tutto ; nè si
può apprezzare abbastanza quale esercizio di pazienza essa
imponesse agli astronomi.
A Parigi per es. dopo quattro anni in cui erasi approfittato
di tutte le circostanze che parevano favorevoli alla fotografia
lunare, appena dieci sere hanno date prove veramente soddi
sfacenti, da poter sostenere un forte ingrandimento (2). Fra
venti notti, osserva l'autor dell'Articolo a Atlas Lunaire de
MM. Loewy et Puiseux m (3) fra venti notti in cui la Luna si
mostra sul nostro orizzonte, non ve ne sono dieci in cui rag
giunga l'altezza di quaranta gradi, altezza pur indispensabile
per ottenere delle buone imagini. Arrogi i capricci, diremo così,
dell'atmosfera la quale, per lo scopo, vuol essere non pur lim
pida, ma eziandio calma. Ora supponiamo la luna giunta a
bell'altezza, ed il vivo luccicar delle stelle faccia presagire un
cielo perfettamente puro; certamente queste sono condizioni
favorevolissime, sì senza dubbio, purchè alla limpidezza del
l'atmosfera vada congiunta la calma.
È rimasto celebre il fatto avvenuto all'Abbate Lacaille.
Faceva egli al Capo osservazioni sulla Luna per conto dei

(I) Questo passo del Faye vidi così riportato dal Sac. Pietro Maffi
nella sua Carta del Cielo per mezzo della fotografia pag. 17.
(2) Annuaire du Bureau des Longitudes. l898; Notice A.
(3) Revue des questions scientifiques. II Sèrie. Tom, XV. 20 Ian
vier 1899, pag. 138.
ARTICOLI E MEMORIE - 489

Signori dell'Accademia francese. Animoso, fornito di buoni istru


menti, aveva un cielo purissimo, ma che ? per una persistente
ostinata, maligna brezza è costretto a scrivere: a Le vent rend
impossible toute observation précise. Voir couler tant de nuits d'un
ciel si beau et n'en pouvoir profiter ! ». La felicità del successo
è subordinata in buona parte alla calma delle imagini, ed è
chiaro che l'assoluto fissamento è tanto più difficile a conse
guirsi, quanto più potenti sono i sistemi ottici di cui si fa uso.
Ma le difficoltà estrinseche, superabili colla longanimità, che
dispone ad aspettare le propizie condizioni, le quali già una
volta o l'altra giungeranno, non erano le maggiori; ostacoli ben
più forti ed intrinseci, superar si doveano, quali l'insufficiente
sensibilità della lastra fotografica, il mantenere un accordo
perfetto fra lo spostamento del cannocchiale e quello dell'ima
gine focale, ed altri di simil natura.
27. Di leggieri si riconoscerà la complessità del problema
quando si ponga attenzione all'andamento abbastanza indipen
dente del nostro satellite. Per quanto perfetto s'imagini il
movimento d'orologeria d'un equatoriale, nessun osservatore se
ne starà tranquillo, allorchè si tratterà di seguire rigorosamente
nei suoi variabili sbalzi, l'astro eminentemente vagabondo, che
ha formato sempre la disperazione degli astronomi.
D'altro canto l'accordo era tanto più difficile ad ottenersi
quanto più si prolungava la posa. Si comprese quindi che
bisognava anzitutto ridur questa. Già ben presto fu abbandonata
la piastra di Daguerre, che richiedeva una posa troppo prolun
gata; altri processi entrarono in campo, come l'uso dell'albu
mina per la negativa.
Ancor prima che Rutherfurd avesse ottenuto l'acromatismo
chimico degli obbiettivi, come vedemmo, Legay aveva introdotto il
collodio. Questo nelle mani di Scott Archer segnava un progresso
nella selenografia, ottenendo prove più delicate e precise. Altro
passo più innanzi lo promosse il collodio istantaneo e il collodio
secco al tannino, scoperti dal Russel. Si andò ancor più là,
quando il collodio cedette il posto alla gelatina, che poi divenne
gelatina-bromuro, impressionabile sopra la gelatina-cloruro ;
questa però fornisce emulsioni d'una grana, che in finezza
sorpassa quella del bromuro. D'allora, e propriamente da quel
490 - ARTICOI,I E MEMORIE

tempo soltanto, cioè dal 1882, quando la lastra fotografica co


minciò a godere di quella mirabile e squisita sensibilità, che
attualmente si possiede, la selenografia fotografica ottenne rapidi
progressi. Non solo centesimi di secondo, ma in certi casi anche
alcuni millesimi di secondo bastano oggi ad impressionare una
lastra.
28. Però eccoci ad una nuova difficoltà per la Luna.
Simili istantanei apparecchi suppongono, nell'oggetto che si ha
a riprodurre, una intensità di luce considerevole, quale è il
caso per il sole, per fuochi intensi, per oggetti pure che riflet
tono da vicino una luce assai viva. Ma purtroppo, non è questo
il caso, per quel gran riflettore, che è la Luna. La sua dolce
e pallida chiarezza, tanto cara ai poeti, si ricusa alle violente
azioni che pretendono gli astronomi. -

Non esiste dunque istantaneo lunare, e perciò la posa deve


avere una durata apprezzabile, per lo meno di qualche secondo.
Or bene per quanto piccolo sembri tale intervallo, è sufficiente
nondimeno a spostare d'una quantità non trascurabile, l'imagine
focale, formata da un equatoriale di medie dimensioni. La lastra
segua dunque questo stesso spostamento. Sì, ma come? Un
espediente, che chiameremo primitivo, (correva il 1852) lo trovò
l'illustre Warren de la Rue, il cui nome, come abbiamo veduto,
assieme a quelli del Draper, del Rutherfurd, (1) e dei fratelli
Henry e di altri domina il primo periodo della storia della
fotografia lunare. Ecco come lo descrive egli stesso. « J'agis à
la main sur les vis tangentes de mon équatorial, dépourvu
d'ailleurs de tout mouvement d'horlogerie, et je m'efforce de
maintenir dans le chercheur sur la croisée des fils, quelque
point remarquable d'un cratere lunaire n (2). I suoi risultati
furono eccellenti, e dimostrano con quale esattezza possa la
mano d'un abile astronomo, obbedire al suo occhio. Ma l'atti
tudine speciale d'un individuo, non è la soluzione generale d'un

(1) Della fotografia della Luna di Rutherfurd, attesta Faye nel 1881 :
Elle (la Lune) a eté splendidement photografièe par M. Rutherfurd.
(Ann. du Bur. 1891).
(2) RAYET, Notes sur l'histoire de la phot. astron. Bull. Astron.
t. IV.
ARTICOLI E MEMORIE - 491

problema. Migliori e varie soluzioni furono quindi proposte.


Una d'esse consiste nell'approfittare del movimento d'orologeria,
che tira seco il cannocchiale, componendo questo movimento in
ascension retta, con un movimento in declinazione impresso
colla mano. In tal modo si viene ad ottenere e l'immobilizzazione
dell'imagine rispetto all'equatoriale e quindi ancora rispetto
alla lastra sensibile, che con esso viene trasportata. Tal fu il
metodo usato all'Osservatorio di Parigi fino al 1896. Era già
esso adottato da Grubb fino dal 1857, ma modificato, compien
dolo con una disposizione tutta sua, abbastanza originale.
Fissava egli la camera oscura sopra una scanalatura perpen
dicolare all'asse del cannocchiale convenientemente orientato;
un movimento d'orologeria, distinto da quello delle equatoriale,
produceva lo scorrimento della camera lungo la scanalatura, in
modo da produrre il movimento in declinazione.
29. Così adunque, almeno in un modo qualunque, si
ottenne il bramato accordo fra l'istrumento e l'imagine focale
e con ciò delle buone fotografie della Luna, nei grandi Osser
vatori, come di Parigi e di Lick sul monte Hamilton in Cali
fornia, che non rimaneva indietro a quello della Capitale della
Repubblica francese. Con un gigantesco telescopio furono fatte
delle splendide prove nell'agosto del 1888. All'ingrandimento
di queste fotografie si posero W. Prinz a Bruxelles ed il barone
Rothschild a Vienna. Ma chi si guadagnò maggior celebrità è
il valente astronomo di Praga Weinek. Egli si applicò con
intelligente studio e rara abilità ad eseguire degli ingrandimenti
delle fotografie di Lick. Ma eziandio per gl'ingrandimenti non
mancavano difficoltà, fra le quali principale è quella che ingran
dendosi la fotografia, anche la grana naturalmente veniva ad
ingrandirsi, e così l'imagine risultava più grossolana nel disegno
dei particolari. Ma qui appunto si mostrò e si mostra tuttavia
la perizia e l'ingegno del celebre professore, in riparare a
quell'inconveniente. Egli copre l'imagine negativa con una lastra
di vetro sulla quale sono tracciate delicatamente col diamante
delle rette perpendicolari fra loro, poi guardando attraverso ad
una lente, che ingrandisce venti o quaranta volte, disegna
minutamente quadrato per quadrato. Tale procedimento sembra
dare considerevoli risultati. Così oggidì si possono ottenere
492 ARTICOLI E MEMORIE

fotografie della Luna ingrandite fino a 40 volte il loro diametro


originale. Però sarà sempre vero che per quanto il disegnatore
si sforzi di attenersi strettamente all'originale, l'imagine tuttavia
di seconda mano, porterà alcun che di soggettivo, sopratutto
quando si tratti di minute particolarità, appena appena distin
guibili. Non meraviglia quindi se maggior grido delle fotografie
di Lick, ingrandite dal Weinek, acquistarono gl'ingrandimenti
di quelle di Parigi dei Sigg. Loewy et Puiseux eseguiti da loro
stessi, ma solo mediante raggi luminosi.
30. I due eminenti Astronomi hanno cominciato dal 1896
un'opera grandiosa, un Atlante lunare destinato a delineare
la fisionomia, così tormentata, per modo di dire, del nostro
satellite, con tutta la perfezione che comportano le osservazioni
moderne. L'Atlante stellare, che fisserà l'aspetto attuale della
volta celeste, e l'Atlante lunare fotografico chiuderanno il pre
sente secolo, detto il secolo dell'astronomia siderale e dei grandi
studi selenologici, in una maniera degna di lui. Questo atlante
raggiunge tutta la perfezione a cui possa aspirare la fotografia
selenografica contemporanea. Al primo suo apparire fu accolto
con unanime suffragio dagli uomini della scienza e l'ammira
zione di tutti quelli che s'interessano delle cose della natura.
L'opera dei Sigg. Loewy e Puiseux, chiamata da M. W. Prinz
del reale osservatorio del Belgio, une veritable oevre d'art non
è soltanto bella e sommamente utile, ma piena altresì d'attrat
tiva per tutti coloro che, senza essere astronomi di professione,
sono curiosi delle cose del cielo.
Gli astronomi di Parigi per i loro studi lunari si servirono
del potente equatoriale a gomito, di cui quell'osservatorio si
trova già in possesso dal 1889. Cosa lunga sarebbe il descrivere
minutamente i caratteri che differenziano tale equatoriale dai
suoi congeneri (1). Ne faremo un rapido cenno. Il cannocchiale
è come spezzato ad angolo retto sul suo mezzo. Al vertice di
quest'angolo, uno specchio od un prisma a riflessione totale,
dirige verso l'oculare il cono di raggi rifratti dall'obbiettivo.

(l) Nel volume XXXV pag. 668 della Revue des questions scienti
fiques se ne può leggere una estesa descrizione fatta dal P. I. D. Lucas
d. C. d. G. – Grands telescopes.
AltTICOLI E MEMORIE 493

La metà del tubo che porta l'oculare serve d'asse polare. Quando
quest'asse gira, trasportando nel suo movimento l'obbiettivo che
termina l'altra metà del tubo, secondo lato dell' angolo retto,
l'osservatore passa in rivista gli astri situati sull'equatore
celeste o nelle vicinanze. Si consideri ora l'equatoriale a gomito
in un azimuto qualunque, il suo asse ottico coincide con un
piano orario determinato, ed a permettere l'osservazione degli
astri situati alle diverse declinazioni, in questo piano orario,
basta un secondo specchio, collocato avanti dell'obbiettivo e
mobile attorno ad un asse perpendicolare al piano, definito
dall'asse ottico del cannocchiale spezzato. Tal è l'equatoriale
dell'osservatorio di Parigi il quale anche coi suoi 60 centimetri
d'apertura e la sua focale distanza (1), per la quale è superiore
ai grandi telescopi americani, la cede tuttavia a questi suoi
potenti rivali d'oltremare, in esteriore fornimento, non avendo
nè palchi ascensori, nè servomotori idraulici e simili, tutte cose
accessorie, di cui non si sa che fare, onde l'equatoriale di Parigi
è l'unico al mondo.
31. Al foco dunque di questo grande equatoriale a gomito,
ottenuti i clichés originali, doveano questi essere ampliati per
fornire alla scienza tutti i documenti che nascondevano. Sopra
queste dirette imagini, mirabili per finezza e frutto d'un pro
digioso lavoro (2), il diametro lunare arriva a diciotto centimetri
circa: bisognava portarsi al decuplo e più là ancora. Laonde
le primitive lastre, furono sottoposte per regioni ad ingrandi
menti considerevoli: di qui quelle grandi diapositive che l'he
liogravure Fillon ha riprodotte con rara fedeltà. Sono queste le
tavole dell'Atlante. Non vi sono nè correzioni, nè ritoccamenti.
I capilavori che ci presentano sono dovuti ai raggi luminosi
soltanto riflessi dal sole una prima volta sulla corteccia lunare,
poi una seconda volta sullo specchio esteriore dell'equatoriale
a gomito, concentrati dal suo potente sistema ottico, spezzati
una terza volta alla base del suo asse polare, finiscono per
raggiungere la lastra sensibile e tracciarvi una prima imagine.

(1) La lunghezza di tutto l'equatoriale è di 18m.


(2) Non perdettero quei Signori una favorevole notte senza ritrarre
fotografata la faccia del nostro satellite.
31
494 ARTICOLI E MEMORIE

Filtrando quindi attraverso alla piastra immersa nel vivo irrag


giamento di una lampada di Cance vengono a divergere in tutti
i sensi, per formare sopra un nuovo strato sensibile l'imagine
ingrandita del clichè primitivo. Qui vengono come spenti. Nuovi
agenti occorrono non meno attivi ed abili per un terzo stadio
d'operazioni, affine d'imprimere sul metallo in modo definitivo,
quello che i primi non avevano fatto che modellare in fretta
nello spessore degli strati gelatinosi.
32. L'opera dei Sigg. Loewy e Puiseux si presenta sotto
forma di una serie di memorie, ciascuna accompagnata da tavole,
tirate in heliogravure. Le tavole si dividono in carte generali
e regionali; quelle generali presentano le imagini focali, senza
verun ingrandimento, ed hanno per iscopo principale di faci
litare gli studi comparativi: carattere variabile del rilievo,
tendenza dei crateri agli allineamenti, distribuzione ineguale
delle tinte. La utilità loro si manifesta sopratutto, sotto questo
ultimo aspetto. La fotografia che presta tanto servigio agli
astronomi, viene qui come a superare sè stessa; per sè non le
si domanda altro se non che registri puramente tali quali sono
le tinte del suolo lunare, ma essa va più lontano, giacchè
esagerandole leggermente, rende i contrasti più spiccati e pro
duce il clichè più parlante (2).
Ciascuno dei fascicoli dell'atlante s'apre con una delle
imagini generali, produzioni ammirabili che il Loewy, con
appellazione paterna chiama le sue piccole lune a mes petites
Lunes n. Frattanto tre di esse hanno già veduto la luce. Par
lando col linguaggio dell'Evelio sarebbe la prima luna dimidiata,
la seconda luna in orbem insinuata, la terza può chiamarsi
falcata, la falciuola d'oro dei poeti. Una graziosa dentellatura
dei crateri illuminati ne abbellisce il terminatore, ed i suoi
scintillanti corni albicantia cornua, sono un vero semenzaio di

(2) Le imagini parigine corrispondono ad un disco di Luna di 2º 50,


laddove le americane di Lick appartengono ad un disco di 0"97. Di quelle
dice Leo Brenner « Auf eigene Schritte Entfernung betrachtet vermeint
man den Mond im Fernerohre zu sehen ! » cioè : « osservate ad alcuni
passi di distanza, si crede di vedere la Luna nel cannocchiale » (Astro
nomische Rundschau. Band I, 1899. Heſt. l).
A RTICOLI E MEMO riE 495

punti brillanti. Il Loewy e il Puiseux non tarderanno a com


pletare il ciclo e ci conduranno così dolcemente fino alla luna
sene e, senza dimenticarsi in corso di ruota la gibba, la gibbosa,
e il plenilunium.
33. Le carte sono mute senza le notizie, e i sig. Loewy
e Puiseux somministrano tutte quelle che possono dichiarare le
tavole, ne fanno bene intendere il significato, mettono i vari
elementi nelle vicendevoli loro relazioni, ne studiano le cause
per quanto sia possibile determinarle nello stato presente della
scienza selenografica, ammettono o scartano ipotesi, pronunciano
poi quella opinione che sembra loro più fondata sulle tante os
servazioni fatte.

L'atlante di Parigi è piuttosto costoso, e le sue tavole non


sono abbastanza comode nè maneggevoli (1) per un osservatore
che, armato d'un cannocchiale, voglia paragonare direttamente
la Luna colle carte, perciò la Società Belga d'Astronomia, ha
intrapreso, con permesso, anzi volonteroso concorso degli illustri
Autori, una riduzione di esse, venendo così a compiere i servigi
tanto importanti, che l'edizione originale renderà agli osserva
tori. Essa è destinata tanto ai dilettanti, che vi troveranno in
dicazioni precise, quanto agli astronomi di professione, che ne
faranno il vade mecum delle loro osservazioni lunari. Queste
fotografie, che sono la riduzione di quelle di Parigi, si trovano
inserite nel Bulletin de la Societé Belge d'Astronomie, années 1898
1900 – Bruxelles.

34. Prima di chiudere la rassegna dei lavori selemografici


compiti in questi ultimi anni mediante la fotografia, vogliamo
ricordare ancor quelli eseguiti dalla Specola Vaticana, che,
sebbene non pretendano porsi a paro con queili di Lick e di
Parigi, hanno tuttora il merito che se ne faccia onorevole
menzione.

Terminata in sul finire di Luglio del 1891 la rettifica del


l'equatoriale fotografico, anche dalla Specola Vaticana, che,
grazie alla munificenza di quel grande mecenate delle scienze,
che è Sua Santità Leone XIII, gareggia colle migliori Specole

(l) Ogni fascicolo costa L.30, e le tavole hanno un formato di 60 X 76


centimetri con imagini di 48X 58.
496 A R'l'ICO I.I E MEMORIE

del mondo, si presero molteplici fotografie delle varie fasi lu


mari, tutte le volte che le condizioni dell'atmosfera e l'altezza
del nostro satellite dall'orizzonte, il permisero; per tali fotografie
fu fatto uso della camera d'ingrandimento. Nel novembre poi
dello stesso anno furono fotografate due regioni lunari, le quali
corrispondono alla parte centrale, illuminata dalla luce rasente
del sole da quegli orizzonti, ed offrono il doppio contrasto della
fase luminosa con l'ombra generale e con l'assorbimento pro
dotto dalla luce riflessa dai così detti mari.
Si sono così formate due fotografie, che si possono vedere
alla tavola settima del fascicolo primo delle pubblicazioni della
Specola Vaticana. La prima fotografia appartiene al settimo
giorno di lunazione ed abbraccia 45 gradi di latitudine, parte
australe e parte boreale, e 30 in complesso di longitudine (1)
parte orientale e parte occidentale. Nella regione sud-est della
carta, vediamo sorgere la grandiosa serie dei grandi circhi:
Arzachel, Alfonso e Tolomeo, che si termina verso l'alto in
Herschel. Poi in su verso il centro altri considerevoli circhi,
come Albategnio ed Ipparco, a Nord-Ovest Agrippa e Godin, a
Nord il Mare Nubium.
La seconda fotografia della Specola Vaticana, comprende
una delle più attraenti regioni dell'emisfero lunare, a noi rivolto.
Dall'equatore lunare essa si estende sino a 40 gradi di latitu
dime boreale, ed abbraccia in longitudine 30 gradi, divisa quasi
per metà dal meridiano centrale, e comprende il mare Tran
quillitatis, il mare Serenitatis e il mare Nubium, non che le
così dette catene del Caucaso ed Appennini. Fra i circhi sono
notevoli, Aristillo ed Autolico, appresso gli Appennini; Archi
mede e Manilio presso il mare Nubium, e il piccolo ma celebre
cratere Linneo nel mare Serenitatis.

VI.

35. Dicevamo che le carte sono mute senza le notizie.


Ne darò dunque ancor io qui alcune delle principali, che pos

(l) La longitudine nella Luna si conta dal meridiano centrale che


passa per il Sinus medii.
Polo Sud,

Soº V, ecºoºº Curzio


Newton Mo,ti Doe,
N - Voy

c\º - Clavio
sº Cuvier
sº Schiller
Sº - Magino
Clairaut Liceto

Fabricio -
Schikard
Muzio Maurolico Stöfler Ticone Hainzel

- S.

l sº Zagut
VValfer Campano

| Piccolomini Regionontano
Vieta
º, purbach M Mare
Petavio 2 Fermat Pontano 01 e Hummorum dish
2 Thebit Nubium Cavendis

º,
Mersenio

Catarina Arzachel Gaſsendi


- Sendl
Mare Alpetragio
Nectaris
Cirillo
Alfonso Davy

More Teofilo Albategio -

Foecunditatis Tolomeo
ss S . -

Grimaldi
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Ovest. Messier Riccioli
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l Cassini Capo Eraclide

- - Capo ans
Eudossio sº, a
Atlante Ercole sº º -

Laplace º
Lanes o sº Sinus
a Mortis Aristotile sº Platone Roris

a
e

Mare Frigoris

Polo Nord.
ARTICOLI E MEMORIE 497

sano servir in qualche modo di guida a chi dei nostri lettori


amasse osservare la Luna con qualche forte istrumento, ovvero
esaminare alcune carte o fotografie della medesima.
Per osservare la Luna e studiare bene le carte conviene
anzitutto orientarsi. Supponiamo di guardare la Luna ad occhio
nudo all'epoca del plenilunio, a mezzanotte, cioè al momento in
cui, passando per il meridiano, campeggia in cielo proprio al
sud. I punti estremi del diametro verticale del disco, segnano
i punti nord e sud della luna; il nord sta in alto e il sud in
basso. A sinistra trovasi il punto est, e a destra il punto ovest.
Vi sono delle carte lunari ad es. quella del Beer e del Midler (1)
che presentano la Luna-Piena con la stessa orientazione con
cui si osserva ad occhio nudo, ed è chiamata orientazione geo
centrica. Ma se si osserva con un cannocchiale astronomico,
l'imagine riesce capovolta, il sud trovasi in alto e l'ovest a si
nistra. Quest'orientazione è l'ordinaria delle carte lunari e dicesi
selenocentrica (2).
36. Avendo dinanzi una di queste ultime carte, come il no
stro clichè, la disposizione generale dei mari lunari è la seguente:
quella grande superficie grigia, non ben limitata, che si estende dal
margine nord-est, in una direzione sud-ovest, fino presso il meridia
no centrale, è l'oceanus Procellarum, col suo prolungamento australe
che è il mare Nubium. Fra questi, un vasto emiciclo di bacini,
riuniti per stretti, forma una serie continua. Essi sono, comin
ciando da nord-est il mare Imbruum, mare Serenitatis, mare
Tranquillitatis. A quest'ultimo bacino si trova una biforcazione,
la cui branca più occidentale è il mare Foecunditatis, e l'altra
è il mare Nectaris. Due superficie dello stesso carattere sono il
mare /Tumorum ed il mare Crisium, il primo si vede a sud-est
dell'oceanus Procellarum, ed il secondo a nord-ovest del mare

(l) Die sichtbare Seite der Mond-Oberfläche bei voller Beleuchtung


nach beer und Madlers Karte. – Gotha : lustus Perthes, l885.
(2) Il nostro cliché della Luna riportato nel fascicolo precedente
presenta l'orientazione geocentrica; si capovolga, si avrà il sud in
alto e l'ovest a sinistra, cioè l'orientazione selenocentrica, che è quella se
guita nella descrizione dei particolari che seguono, in conformità del clichè
del presente fascicolo.
498 A RTICOLI E MEMORIE

- -

Tranquillitatis. In gran vicinanza del polo nord vi è il mare


Frigoris. Nelle alte latitudini meridionali manca affatto ogni
macchia di color oscuro, cioè non vi è mare alcuno, se non
all'estremo lembo, al 50° di latitudine, ove è notato il mare
Australe, che forse si estenderà nell'emisfero a noi invisibile.
Il mare Nubium emette due prolungamenti, che raggiungono
quasi il meridiano centrale; essi sono il simus Aestreum ed il
sinus Medii. Bellissimo è il sinus Iridum. È un piano semicir
colare, largo 215 Km. che si presenta sotto l'aspetto d'una
semi-elisse, perchè in prossimità del margine della Luna. Esso
è circondato da una estensione luminosa, molto ben limitata e
definita, e fa così un bel contrasto che colpisce, coll'asprezza
delle masse montagnose, che s'innalzano immediatamente al di
sopra di lui e lo dominano di 4000 a 6000 metri.
Palus Putredinis, nome in verità poco attraente, è quella
larga apertura, che mette in comunicazione il mare Serenitatis
col mare Imbrium. La più parte delle depressioni lunari non
sono nè circolari, nè elittiche, nè totalmente chiuse. Fanno ec
cezione il mare Crisium (1) ed il mare Humorum. Il mare Se
renitatis è quasi interamente chiuso. Si vuol riconoscere invece
una unità manifesta ed una forma nettamente circolare nel
mare delle Pioggie ossia mare Imbrium. Sotto questo rispetto è
il più vasto dei suoi consimili, essendo sei volte circa più esteso
del mare Crisium, e quattro volte maggiore del mare Serenitatis.
Infatti il diametro medio del mare Imbrium (2) è 1200 Km.
circa, ed il mare Serenitatis ha 600 Km. di diametro. La lar
ghezza del mare Tranquillitatis supera di poco quella del pre
cedente bacino. Il suo contorno molto regolare non manca di
golfi costituiti da circhi aperti verso la depressione marina. Il
mare Foecunditatis, non presenta per lo studio della selenografia
meno importanza del mare Nectaris, quantunque sia più piccolo,
anzi una delle piccole depressioni marine avendo soltanto 300

(l) Il mare Crisium, che dicesi isolato, e si prende come la forma


tipica dei mari lunari uniti, ha tuttavia uno stretto davanti al circo
Proclo, con due capi acuti, separati da alcuni Km. soltanto.
(2) Questo mare occupa per una metà la tavola XI dell'Atlas di
Parigi.
ARTIcoli E MEMoRIE 499

Km. di diametro. Ma il suo studio è importante, poichè, secondo


il parere dei Selenologi, rivela gli stadi successivi per i quali
sono passati altri simili accidenti della corteccia del nostro sa
tellite. Il mare Humorum è specialmente definito dai suoi bei
solchi, curvi e paralleli, molto visibili dalla parte di est, i
quali, avendo tre o quattro chilometri di larghezza, si possono
vedere facilmente sulle fotografie. È da osservarsi per ultimo,
in proposito dei mari che l'Oceanus Procellarum si estende in
più parti senza forma, con limiti perciò difficili a tracciarsi, ed
è assolutamente il più vasto di tutti i così detti mari lunari.
37. Presso al limite del Mare Nubium e a quello del Sinus
Medii si vede sorgere la grandiosa serie dei grandi circhi:
Arzachel, Alfonso e Tolomeo che va poi a terminarsi con Her
schel (1). Sono del noto tipo, che diremo classico, e costituiscono
la così detta cauda pavonis di Galileo.
Arzachel è uno dei tipi più completi e più regolari, che si
possano vedere sulla Luna. Grazie ai suoi 4000 metri di pro
fondità, alle sue cento leghe di circuito, alla maestosa sua
sponda, ha un aspetto al tutto mirabile. Oltre che alla sua
perfetta regolarità, deve la sua fama, a quel picco centrale che
netto e spiccato giace nel suo piano interno, ed allo sdoppia
mento della sua linea di cresta ed a quella sua specie di corona
di terrazzi concentrici. Alfonso è un po' più grande di Arzachel,
ma meno cavo o profondo ed anche meno ben formato. La sua
montagna centrale non è cosa elevata; quanto quella di Arzachel,
si sviluppa nella stessa direzione e si prolunga per una vena
sporgente che attraversa tutto il circo. – Tolomeo giace sulla
Luna all'incirca nella linea che nel primo ed ultimo quarto è
rasentata dai raggi solari. Esso è quasi esattamente circolare
con una sensibil tendenza alla forma poligona-esagonale, non
misura meno di 180 Km. di larghezza ed una elevazione soltanto
di 2640 m. Il fondo, più unito che non nei due precedenti
circhi, è meno depresso e non discende al di sotto del livello
medio della regione che si estende verso est. La curvatura del
globo lunare è tale che, un osservatore collocato al centro di

(l) Nelle carte dell'Atlas lunaire di Parigi questi circhi si trovano


alla Pl. III, come nelle tavole di riduzione della Soc. Belg. d'Astronomie.
500 ARTICOI,I E MEMORIE

questo vastissimo circo, potrebbe credersi in una pianura inde


finita. Tutt'al più scorgerebbe all'orizzonte alcuni punti isolati
del circuito. Siamo dunque nel caso d'una delle maggiori piazze
di Galileo. Davvero, che in tali spianate ci possono stare pa
recchie delle nostre provincie. Non lungi da Tolomeo si trova
il circo Albategnio, notevole per la precisione e l'isolamento
della sua montagna centrale. Nel suo piano interno presso
l'estremità nord s'apre una fossa allungata più profonda (1)
dell'Albategnio A, che è un circo secondario, notevolmente
depresso rispetto al circo principale. Ipparco, che nella carta
è un po' più sotto di Albategnio, è una gran cinta affatto
rovinata ed irregolare. Essa è solcata nel senso del meridiano
da due larghe vallate a dolce pendenza. Qui compaiono profonde
solcature e crepacce che solcano in vario senso la superficie
dell'astro, l'incrociano senza interrompersi ; si allargano talora
in piccoli circhi, come quello caratteristico di Igino. Il grandioso
solco d'Igino, che si trova all'incirca nel mezzo del disco lunare
appare come una notevole spaccatura della superficie, che salti
attraverso il cratere di mezzo, attraversando poi nel suo cam
mino ulteriore un numero di piccoli crateri, laddove il solco
che si diparte da Erodoto appartiene al tipo molto più raro
delle depressioni contorte, che nel caso precedente fa l'impres
sione della valle di un fiume, la quale sbocchi in uno dei laghi
racchiusi dal bastione di Erodoto.
38. La regione vicina gode d'un che di pittoresco. Ecco
il picco centrale di Walter: è così allungato, che a luce rasente
la sua ombra assomiglia alla lamina affilata d'un pugnale.
Thebif, un poco più alto, mostra nettamente una formazione
impiantata nel suo riparo. In ridiscendere c'incontriamo non
lungi da Godin, in uno spianato circolare elevato come un co
perchio di scatola sui piani circostanti senza sponda sporgente,
non approfondito; forma insolita, di cui il cratere Vargentin
che sta presso Schickard, è un esemplare. A giudizio del
prof. Suess presenta un'importanza selenologica eccezionale. Vi
sarebbe qui come l'invasione completa d'un circo fatta da lave
fuse, che si sarebbero innalzate fino alla cresta del bastione, e
si sarebbero solidificate in questa posizione (2).
(1) Ciò si arguisce dalle ombre.
(2) Bull. de la Soc. Belg. Trois. An. pag. 327.
ARTICOLI E MEMORIE 501

Di qui seguendo le celebri spaccature di Triesnecker e


d'Igino, non vi è che una buona passeggiata fino alla regione
delle grandi catene lunari (1).
In alto, si veggono gli Appennini; al centro, i selvaggi
picchi del Caucaso; verso il basso, piegando fino all'angolo di
destra, i massicci delle grandi Alpi (2).
Tutte queste formazioni sono spiccate, decise, mette, tanto
più sporgenti, quanto sono più vicine alle pianure unite ed
oscure, cioè ai così detti mari. L'Appennino ad es. cade per
pendicolarmente nel mare Imbrium. Questo immenso oceano,
ove nuotano, a guisa di isolotti, delle miriadi di ammassi e di
crateri, e ove Archimede, il più grande fra di essi, colla circo
lare sua cintura e fondo unito, richiama vagamente l'atollo
vulcanico dell'Arcipelago polinesio.
Le Alpi, il Caucaso e gli Apennini formano la regione
delle grandi catene lunari, perchè questi gruppi montagnosi
sarebbero, in apparenza, molto simili alle nostre catene ter
restri (3). Però, fra la catena montagnosa terrestre e la catena
lunare, havvi una notevole differenza, anzi una differenza sì
profonda che, tutto considerato, il nome stesso, che si vuol
usare, pare inesatto. Infatti in generale i massicci montagnosi
della Luna, ed eziandio quelli in particolare di cui attualmente
ci occupiamo, non hanno punto, come quelli della terra, una
linea dorsale continua, nè ammettono diramazioni di valli. Nè
le alte loro vette costituiscono quell'addentellato, così caratte
ristico, di quelle della Terra, con denti, guglie, corni, ma hanno
per lo più una forma rotondata a cupola. Sono invece cumuli
di vette, scogliere interrotte, ammassi di picchi sminuzzati, tutto
è rotto, i contorni sono duri e salienti, procedono a salti, in
somma nulla che possa giustificare il nome di catena (4). Mai
(l) Così si dice osservando la Tav. V dell'Atlas.
(2) In una carta generale della Luna si parta dal meridiano centrale
a 10' di latitudine boreale e si proceda verso il polo Nord, si troveranno
ordinatamente, gli Appennini, il Caucaso, e le Alpi presso al mare Frigoris.
(3) Dal Loewy e dal Puiseux sono stati ripetuti nella tavola X in
condizioni più favorevoli, per farne in qualche modo risaltare la somiglianza
con una catena di montagne terrestri,
(4) Dice Faye: Il n'y a pas de chaines de montagnes. Les obiets
qu'on nomme ainsi, les Appennins, les Alpes, les Carpathes lunaires, sont
502 AIRTICOLI E MEMORIE

una linea armoniosa, che da lontano apparisca ondeggiante,


come nei nostri orizzonti, che ci vengono idealizzati ancora
dall'aerea prospettiva.
Osserviamo il Caucaso, per non citare che questo. In qual
cosa richiama esso l'ossatura possente e continua dei nostri
Imalaia, e delle nostre Cordigliere?
Dai dintorni d'Aristotile, dove nasce, fino al monte Hadley
che ne segna l'estremo limite, venti aperture lo interrompono,
lo stracciano, lo fendono così da far ricordare le Termopili. Se
nei due suddetti mari, che lo avvicinano, cioè il mare Sereni
tatis ed il mare Imbrium, invece dei flutti di lava congelata,
se così vogliamo chiamare il solido terreno di quei così detti
mari, poniamo delle fluide onde dei nostri mediterranei;
venti volte si saranno mescolate prima di raggiungere quello
stretto, vero Gibilterra lunare, ove le ultime roccie del Cau
caso, emulano da secoli i primi contrafforti dell'Appennino. Tut
tavia non si vuol disconoscere, che quella regione non pre
senti un carattere orografico pittoresco, avente le sue attrattive.
Se le manca quel bell'azzurro, che da lontano ci presentano
all'occhio le nostre vette, o quel verdeggiante che ne addolcisce
l'aspetto, si vantaggia tuttavia su questo, per la varietà degli
spaccati, per l'altezza e moltitudine delle cime (1) onde presenta
un aspetto insolitamente gradevole all'epoca del primo e del
l'ultimo quarto, allorchè si trova sul limite d'ombra.
Notevoli negli Appennini sono quelle lunghe, sinuose fessure
che si veggono scorrere alla loro base. Se ne dà la spiegazione

des suites de pics isolés, surgissants au sein, ou plutòt aux bords d'une
plaine; ils n'ont pas plus de rapport avec leurs homonymes terrestres,
que la mare Serenitatis, la mare Somnium, la mare Putredinis n'en ont
avec la Mediterranée on avec la Caspienne » (Ann. du Bureau 188I
pag. 709). Forse l'illustre geologo spinge qui un po' troppo le cose, dacchè
si sa che i mari della Luna, sono semplici pianure senz'acqua, sicché di
vero mare, non hanno nulla ; laddove le Alpi, gli Appennini lunari sono
almeno veri monti, se non sono vere catene di monti.
(1) Nella carta del Midler sono riportate ben 500 vette di questa
così detta catena. Ma lo stesso selenografo pensa che quella giogaia consti
in realtà di due o tre mila vette separate. La più eccelsa vetta dell'Ap
pennino è Huyghens, che s'eleva sulla pianura circa 5600 m.
ARTICOLI E MEMORI t. 503

in ciò che, la materia della corteccia lunare non fosse abba


stanza plastica per cedere senza squarci o rotture. Queste fes
sure si mostrano in generale doppie o triple. Presso al monte
Radley corrono parallelamente, e sono separate da strisce strette,
particolarità che è loro comune con le scanalature di Trie
snecker.
Sui punti elevati del massiccio degli Appennini si osser
vano parecchi crateri, in generale attorniati da posizioni bril
lanti, carattere notato specialmente in Arato. Conone è pur un
altro cratere degno di menzione, appartenente al gruppo degli
Appennini.
39. I tre bei circhi visibili che s'innalzano nella parte
occidentale del mare Imbrium sono: Archimede, Autolico ed Ari
stillo. Archimede si trova sulla regione lunare degli Appennini
ed è il più grande cratere che si scorga rappresentato nel mare.
È notevole per l'aspetto unito del piano interiore e l'assenza
della montagna centrale. L'ultimo, profondo di 3000 m. incirca
possiede al contrario una sommità interna importante, e mostrasi
attorniato d'una reticella di vene divergenti. Secondo il Loewy
una tale apparenza può attribuirsi a certe erosioni esercitate
sui pendii ovvero con più verosimiglianza a colate di lava che
li avrebbero ricoperti (1). La stessa apparenza s'incontra intorno
ad Aristotile. Anzi queste piccole vene flessuose, da altri dette
colline (collines), non si mostrano in così gran numero, quanto
in Aristotile e nel medesimo tempo così rettilinee e parallele.
Si vuol riguardare la regione attorno Aristotile qual modello, in
piccolo, per la spiegazione del tutto insieme. Il centro delle forze
attive è Aristotile, dice il Midler (2). Sembra ch'esse non sieno
esercitate che nelle date direzioni a guisa d'una cristallizzazione.
Qui avremmo un vasto campo di ricerche, e se l'interpretazione
di questi geroglifici selenogenetici dovesse un giorno riuscire, si
sarebbe fatto fare un importante progresso alla fisica dei corpi
celesti.
40. Uno dei tratti più curiosi di questa regione del mare
Imbrium è l'enorme spaccatura o gran valle trasversale, che si

(1) Bull. cit. Nov. 1898 pag. 3.


(2) Ciel et Terre. Vingtieme Année N. 16. Esquisses sélénologiques,
pag. 285.
504 ARTICOLI E MIGMORIE

osserva nel massiccio delle Alpi. Questa valle o solco, è larga


circa 4 Km. e lunga 150. Corre attraverso il gruppo delle Alpi
lunari in direzione rettilinea, quasi, per modo di dire, non
curante di quella catena di alture. Pare ci stia dinanzi una
enorme breccia, proveniente da un proiettile della grossezza di
un corpo cosmico, che abbia colpito colà la superficie della
Luna. Sembra null'altro di simile esistere nella Luna, onde è
stata l'oggetto di profonde discussioni selenologiche da parte
del Prof. Edoardo Suess dell'Università di Vienna (1), non che
dei dotti dell'Accademia di Scienze di Parigi (2).
Dalle considerazioni sviluppate dal Prof. Suess e dagli
scienziati di Francia, risulta che la formazione di questa valle
deve rimontare all'epoca in cui la crosta lunare possedeva una
certa mobilità, e dove gl'isolotti delle scorie formati alla sua
superficie potevano ancora spostarsi gli uni rispetto agli altri
con mutuo sfregamento. L'esistenza di sfregamenti energici è
confermata dal raddrizzamento dei margini della valle delle
Alpi.
Nelle depressioni del massiccio delle Alpi si ritrovano
Eudossio ed Egedo. Il primo è un importante cratere, in cui uno
speciale rischiaramento faceva scoprire, dodici anni fa, un muro
diritto, come un binario di rigido acciaio, specie di smisurato
viadotto, di cui menerebbe vanto più d'un ingegnere: il secondo
ha per contorno una losanga quasi regolare.
L'ispezione dell' ombra indica, che i piccoli crateri che
sorgono qua e là isolati dal mar delle Pioggie, hanno una
sporgenza paragonabile alla loro depressione interna. L'eleva
zione del bastione è relativamente debole per i grandi circhi,
il cui fondo s' abbassa, a 2000 m. o più, dal livello medio del
piano. Un'eccezione si dee fare per Cassini (3), il cui bacino
interno, appena depresso e interrotto da due grandi crateri,
sembra essere stato ricolmo da un versamento di lava (4).
(l) Sitzungsberichte der K. K. Akademie der Wissenschaften in Wien.
l Februar l895.
(2) Comptes rendus de l'Academie des Sciences, 8 Juillet l895.
(3) Cassini che come vedemmo fu trascurato non solo dall' Evelio,
ma anche dal Riccioli, ha ciò nonostante un'arena di 60 Km. di larghezza.
(4) Così opinano il Loewy e il Puiseux. Vedi Bull. de la Soc. Belge
d'Astr. Quatrieme Ann. N. l pag. 4.
ARTICOLI E MEMORIE 505

41. Chiunque dà uno sguardo, anche solo superficiale, ad


una carta dell'emisfero lunare visibile, rileva subito una note
vole differenza fra la parte che sta al polo nord e quella che
giace al polo sud. Dintorno a questo polo brillano vette elevate,
che per intere lunazioni splendono di perpetuo fulgore; vere
isole di luce, che ponno vedersi anche mediante debole ingran
dimento. Questa regione è tutta coperta di circhi incastrati
l'uno nell'altro, di piccoli imbuti, di configurazioni arruffate. i.
quella parte della Luna che ha sempre presentato ai selenografi,
difficoltà quasi insormontabili, a cagione dell'eccessiva molti
plicità degli oggetti che pone dinanzi, in confronto a quanto
si può osservare nelle regioni boreali od equatoriali. Quelle
intorno al polo australe, sono rappresentate nelle Tavole VI"
e VIIº dell'atlante parigino, che sono le carte fotografiche più
singolari. Naturalmente l'angolo sfavorevole sotto cui si pre
senta un gran numero di formazioni come compresse in uno
stretto spazio, o proiettate le une sulle altre, doveva rendere
più difficile la rappresentazione in disegno. Solo la fotografia
poteva permettere d'affrontare con successo la rappresentazione
simultanea d'una così gran massa di accidenti particolareggiati.
In mezzo a tal moltitudine di circhi è naturale di fissarsi solo
sui più importanti quali Clavio, Ticone, ed Esiodo, che è il
gruppo predominante nella regione, rappresentata dalla Tavola
settima.

42. Il circo Clavio, visibile alla parte superiore del foglio,


è sotto tutti i riguardi uno dei più notevoli della Luna. Le sue
grandi dimensioni vi rendono manifesti certi tratti generali, che
l'osservatore, quando ne sia prevenuto, può trovare sopra una
scala ridotta in minori individui. Il diametro di Clavio, di 228 Km.
è paragonabile a quello di talune formazioni chiamate con il
nome di mari, ad es. del Mare Crisium o mare Humorum. Certo
di poco differisce dal Golfo degl'Iridi, onde fino a un certo punto
si può riguardare Clavio, quale tipo intermediario fra i circhi
ed i mari. Prevalse tuttavia il primo, e si considerò quale circo,
certamente in ragione dell'elevazione del bastione, molto uni
forme e assai considerevole. La porzione occidentale, quella di
cui si vede l'ombra intensa proiettata sul piano interno, si
eleva su questo ben 5200 metri. Il fondo del circo Clavio è
506 ARTICOLI E MEMORIE

depresso per rispetto a questo di 2000 m. circa, ciò che dà una


differenza totale del livello di 7000 m. Così la cresta può essere
tutta intiera illuminata dal sole levante, mentre che il piano è
ancora nell'ombra.
Parecchi circhi secondari si sono formati sulla catena che
cinge Clavio; nel loro interno si scorgono sollevamenti a cocuz
zoli multipli.
43. Ticone, occupa il centro di un gruppo di circhi, il
cui insieme forma attorno a lui una vasta regione depressa,
poligonale, grigiastra, da cui parte uno dei massimi sistemi di
raggi, che si estende sopra un quarto di tutta la superficie
lunare visibile. Questi innumerevoli raggi corrono tangenti ad
una gran quantità di crateri notevoli per il loro aspetto bril
lante, e la loro relativa piccolezza. È cosa sorprendente vedere
come la doppia striscia, che sparisce verso nord-ovest, si possa
prolungare sull'emisfero nord per abbracciare i crateri gemelli
di Aristarco ed Esiodo.
Ora ecco ciò che ne pensano il Loewy e il Puiseux di
quella depressione che sta attorno al circo Ticone. . Il est
possible que cet affaissement soit une consequence de l'activité
volcanique intense dont Tycho a ètè le theatre, et qui est
accusée par le systéme si connu et si grandiose des trainées
divergentes. L'énergie de ces actions éruptives est encore atte
stée par le relief plus qu'ordinaire du rempart de Tycho, qui
offre une pente très marquèe vers le dehors et qui les comu
nique une physionomie spéciale » (1). Ha dunque Ticone una
importanza speciale nella storia della superficie lunare, che non
parrebbe doversi supporre dal suo aspetto relativamente modesto,
però sempre abbagliante. Ad occhio nudo lo si discerne nella
parte inferiore della Luna, cioè nella regione australe, come un
punto bianco assai splendente, da cui partono i suddetti raggi.
Un semplice binoccolo lo scopre benissimo. Col mezzo di un
cannocchiale astronomico di mediocre potenza lo si rileva qual
cratere spalancato in forma di circo, con un diametro di 92 chi
lometri. All'istante del plenilunio, Ticone è circondato da una
aureola luminosa di un irraggiamento così vivido da abbarbagliare,
ciò che impedisce di osservare le curiosità selenologiche del
cratere.

(l) Bull. de la Soc. Belg. d'Astron. Ianvier 1899. p. 59.


A RTICOI,I E MEMORIE 507

Esiodo si distingue per la presenza d'un cratere centrale:


a dont la vraie nature, dicono il Loewy e il Puiseux, a été
méconnue sur la carte de Mädler » (1).
44. Copernico è uno dei più sorprendenti oggetti che ci
si presenta verso il nono giorno della lunazione sopra il disco
lunare, cresciuto fin oltre il primo quarto.
È il più bello dell'emisfero boreale, è largo 70 Km. pro
fondo 3400 m. Questo circo spicca nella Tavola nona dell'Atlante
di Parigi. Il suo isolamento, l'estensione per la quale si pro
lungano liberamente i suoi declivi esteriori e le proporzioni gran
diose delle frequenti linee, ma difficili a riconoscersi nella
maggior parte di circhi somiglianti, lo rendono, sotto molti ri
spetti, tipico e importante per lo studio. Come si vede a primo
aspetto, tanto il rilievo, quanto la tinta di tutta la regione cir
costante, fino a 100 Km. di distanza od anche più, manifestano
per una disposizione radiale o concentrica l'influenza dei feno
meni verso il centro. Qui si mostra in quale condizione infe
riore si trovassero i disegnatori rispetto alla fotografia, quando
erano costretti ad abbracciare molto in una volta in un'area ri
stretta. Di Copernico meritano essere segnalati, come tratti più
visibili, quando il Sole non l'illumina di faccia, la composizione
complessa della montagna centrale formata di tre principali
circhi, di cui il più importante è quello di Est; il carattere
accidentato della depressione interna, specialmente nella sua
parte meridionale; lo scaglionato sul pendio interno d'un certo
numero di terrazzi o piuttosto di distinti sollevamenti; le ine
guaglianze della cresta del bastione, che al levar del sole si
mostra come una fila di perle brillanti (2).

(1) Ivi p. 60.


(2) Copernico, dice il P. Secchi in una nota « sur la profondeur des
cratères lunaires » (Comptes rendus XLVIll pag. 89, 1859) » le cratère que
j'ai tant etudié, m'a montrè que la cavità interieure a son fond au moins
1000 mètres au-dessus de la plaine plus éloigné. Si le contraire a paru
aux autres observateurs, c'est qu'ils n'ont pas fait attention au grand
soulèvement qui environne ces grands cratères; celui de Copernic s'étend
à deux on trois fois son diametre, et il est sensible qu'il donne à la li
mite de l'ombre génèrale de la Lune une protuberance très sensible ».
I. Philipps esaminando un disegno del cratere Copernico eseguito dal
;508 ARTICOLI E MEMORIE

Il pendio esteriore, meno rapido dell'altro, possiede pure


una serie di terrazzi scaglionati, ed alla sua base si vede di
stribuirsi concentricamente una serie di depressioni, riconosci
bili alla loro tinta oscura. I pendii estremi di Copernico sono
una delle parti della Luna, in cui l'inclinazione del suolo si
prolunga di più nello stesso senso, e dove per conseguenza l'a-
zione della gravità ha potuto spiegarsi col massimo d'intensità.
Ad essa si devono attribuire senza dubbio quei numerosi solchi,
d'una mediocre sporgenza, ma d'una disposizione al tutto rag
giante, che si vedono estendersi in tutte le direzioni, partico
larmente a nord-ovest fino a 50 o 70 Km. di distanza dal ba
stione. Secondo il Loewy e il Puiseux a on peut interpreter ces
sillons, comme des vallées d'erosion ou comme de coulées de
lave » (1).
45. Alla destra del mare Imbrium (2) sovrincombono masse
sorprendenti di montagne, le quali verso il mezzo della carta,
s'inarcano a racchiudere il vasto golfo semicircolare denominato
Sinus Iridum, che si estende per 215 Km. di larghezza fra il
Capo Eraclide a sud e il Capo Laplace a nord. Il vasto circo
visibile in basso a destra, porta il nome celebre di Platone. È
largo 96 Km., possiede un bastione d'una elevazione sufficiente
mente uniforme, che raggiunge dalla parte di ovest 2300 metri
al di sopra del piano interno. Questo bastione è mediocremente
accidentato. Il piano interiore è notevole per il suo aspetto
unito e il suo colore, relativamente tanto più oscuro, quanto più
normale è il rischiaramento. Un poco al sud di Platone, dalla
superficie del mare Imbrium si vede Pico, cono montuoso che
si slancia fino a più di 2000 metri.
Una veduta complessiva del corno australe, si ha nella
tavola dodicesima, in cui Petavio è il più bello e più completo
circo di questa parte della Luna. Il solco così spiccato che
parte dal gruppo centrale delle montagne, si dirige al sud-ovest,
ne attraversa la prima cinta almeno, comunicandogli una fisio
nomia tutta affatto speciale.
P. Secchi, nota che questo circo « n'est pas représenté par un simple
circle mais par un contour sept-angulaire « Notices of some parts of the
Moon » (Phil. Trans. Roy. Soc. London, t. CLVIII pag. 333, 1869).
(l) Bull. cit. N. 5, pag. 128,
(2) Tav. XI dell'Atlante parigino.
Sud.
-- - - - --- -- - - - - - - -- - - - - - -- - - - - - - --


Cassini Pitone
Calippo
º Monte Bianco

Massiccio -

delle Alpi Pico

Egedo Monti di
Teneriffa
Ovest. Egedo A Ne\º Est.

|| sosº
cº”, Platone
svº Nº Platone I
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Nord.
Platone all' ultima illuminazione.
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ARTICOI,I E MEMORIE 509

Wrotesley, satellite di Petavio, gli rassomiglia per la esat


tezza della cinta e della montagna centrale. Come quello pre
senta un cratere impiantato sulla parte più meridionale del
bastione. Qui di notevole presso Thebit è il Muro diritto (Straight
Wall degli Inglesi) che attraversa da Nord a Sud il mare
Nubium per una lunghezza di circa 100 Km. Pare dalla foto
grafia, che questo muro segni un dislivello brusco verso l'ovest;
il salto sarebbe circa di 250 metri.

46. I circhi Lalande, Euclide, Keplero e Timocharis (1)


sono notevoli per le aureole che li circondano, di un bel color
chiaro, mal terminate alla loro periferia esteriore, ove spesso
si dividono in strisce divergenti, fenomeno che acquista uno
straordinario sviluppo attorno a Copernico, il cui raggiamento
può essere facilmente conosciuto fino a 300 o 400 Km. di di
stanza. Lalande è come il centro d'una aureola sommamente

(1) Nell'Atlante di Parigi sono nelle Tavole XV e XVI. Nella XV


vi è riprodotto Copernico sotto altro aspetto. 32
510 ARTICOLI E MEMORIE

intensa, che ricopre, senza interruzione di continuità, il circo


stesso e i suoi pendii esteriori.
Per vedere apparire qualche macchia oscura bisogna andare
a 30 o 40 Km. di distanza. Già si sa che queste macchie cor
rispondono a bacini depressi. L'aureola passa sopra quasi a
tutta la regione montagnosa e si estende sul piano che fa parte
del mare Nubium. Si divide in strisce, ordinariamente molto
orientate sul circo centrale, e queste vanno indebolendosi fino
a sparizione completa. Il fenomeno delle aureole e delle strisce
presenta un andamento alquanto differente in Euclide. Anch'esso
è circondato d'una viva aureola. Questa macchia bianca, molto
uniformemente degradata ai margini e non emettente punto di
strisce, pare ai sigg. Loewy e Puiseux essere il risultato d'una
eruzione attiva, ma di poca durata, ove la ripartizione delle
ceneri non è stata punto turbata dalle correnti atmosferiche (1).
47. Con Keplero siamo in presenza d'un sistema di strisce
dei più completi e più decisi che si trovino nella Luna. La sua
aureola continua sui primi pendii e fino a 40 Km. di distanza.
A tal punto comincia a dividersi ed a lasciare apparire delle
macchie oscure formanti attorno al circo una doppia corona.
Passata questa zona, le strisce non si trovano più così metta
mente separate. L'assenza di macchie oscure nelle immediate
vicinanze del circo, il difetto di precisione nei contorni di quelle
che s'incontrano più lungi, fanno supporre, secondo il Loewy
e il Puiseux, che le cadute di cenere, siensi prolungate, durante
un certo tempo, ancora dopo la formazione d'una cintura di
laghi (2). -

Le strisce di Copernico s'incrociano, s'amalgamano, diremo


così, con quelle di Lalande, Keplero ed Aristarco. Sarebbe d'un
alto interesse, in tale incrociamento discernere quale delle due
strisce conservi la sua primitiva tinta, e debba per conseguenza
essere riguardata come sovrapposta all'altra. È certo una di
stinzione difficile. Gli stessi insigni selenografi Loewy e Puiseux
attestano non potersi ciò fare con qualche probabilità.
Si considera Aristarco come il punto più luminoso della

(l) Bull. Soc. Belg. Janvier l900, pag. 2-3.


(2) Ibid. pag. 5.
ARTICOLI E MEMORIE 511

Luna. Questa grande luminosità, che rende Aristarco facilmente


riconoscibile, anche quando la regione cui appartiene è in ombra
per fase, per eclisse, o quando vi è per la Luna luce cinerea,
ha dato occasione a credere, che esso rappresenti l'unico cratere
visibile, la cui attività non sia ancora estinta. Ma tale ipotesi
non si regge ai fatti assodati.

VII.

48. Chiuderemo questa, ormai lunga e forse tediosa ras


segna dei principali elementi, che coprono la superficie lunare,
con alcune osservazioni che faremo a proposito della luce cinerea,
che ci occorse ora di ricordare.
E a tutti noto, come alcuni giorni avanti e dopo la con
giunzione, e quando la Luna ci apparisce sotto la forma d'una
falce molto sottile, la parte del suo disco, non direttamente
rischiarata dal sole, sia pure a noi visibile; sembrando debol
mente illuminata da una luce biancastra o cinerea. Le prime
nozioni esatte sulla natura della luce cinerea della Luna, ven
gono attribuite dal Keplero al suo veneratissimo istitutore, il
Maestlin, che le espose nelle tesi pubblicamente sostenute a
Tubinga nel 1596 (1). Il Galilei nel Nuncio sidereo (2), parla di
questa riverberata luce terrestre, quasi di cosa da sè scoperta
più anni addietro; ma ben un secolo prima del Keplero e del
Galilei, la spiegazione della luce terrestre rimbalzata dalla Luna,
non era sfuggita al versatile ingegno di Leonardo da Vinci
(m. 1520). Lo attestano i suoi manoscritti, che sì gran tempo
giacquero dimenticati (3). Fortunato Liceti (4), contrariamente
alle opinioni di Leonardo da Vinci, del Maestlin e del Galilei,

(l) KEPLER. Paralipomeni, lº04, w. Kepleri Astron. Opt. Il p. 254.


(2) « Lubet hoc loco alterius cujusdam lunaris apparitionis admiratione
dignae causam assignare, quae licet a nobis non recens, sed multis ab
hinc annis observata sit ». Op. cit. p. 322 e segg.
(3) VENTURI. Essai sur les ouvrages physico-math. de Leonardo da
Vinci. Paris, 1797, p. ll.
(4) Nato a Genova nel 1577, morto nel 1656.
512 ARTICOLI E MEMORIE

non ammetteva che la luce cinerea della Luna fosse prodotta


dalla luce riflessa dalla Terra; a perchè, dice egli, la Terra non
è adatta a riflettere la luce. Ma nel suo lavoro a l)e Lunae su
bobscura luce n (1) non diede nessuna ragione plausibile di tal
fenomeno (2), essendo pur sì chiara la contraria. Infatti quando
noi abbiamo Luna-Nuova, un osservatore posto alla superficie
del nostro satellite avrebbe Terra- Piena. D' altronde il disco
della Terra per un tale osservatore sarebbe 13 volte circa più
grande del disco della Luna veduto dalla Terra. Si sa infatti
che due cerchi stanno fra loro come i quadrati dei raggi. Ora
11
il rapporto del raggio terrestre al raggio lunare è 3 i ebbene

(") i 18 , In
11 \º
-
121
re conseguenza la quantità di luce,
riflettuta dal nostro globo al momento della Terra Piena, è
uguale a 13 volte quella che noi riceviamo dal nostro satellite,
all'epoca del Plenilunio. i. dunque da ammettersi che sia tanto
intensa da rendere visibile a nostri occhi il disco lunare non
direttamente illuminato dal sole.
49. Ciò conferma il fatto, che questa luce cenerina cambia
la sua tinta è la sua chiarezza, a seconda della costituzione
della regione terrestre, che in quel momento è rivolta alla
Luna. A questo riguardo si distinguono variazioni regolari ed
accidentali. D'ordinario la luce terrestre sulla Luna è più
debole, quando noi le rivolgiamo le nostre grandi superficie
marine, più chiara quando le rivolgiamo regioni chiare, come i
deserti africani ed asiatici, o quando alla sua parte in notte
stanno di fronte le pianure nevose della Siberia. Quest'ultimo
caso si verifica segnatamente nelle ore mattutine dell'autunno
a Luna-Nuova (veduta da un punto dell'Europa), così a quel
tempo per noi, la luce cinerea è particolarmente notevole. Per
contrario nelle ore della sera in primavera stanno principalmente
in faccia alla Luna, delle zone terrestri oscure; ed a quell'epoca
ben di rado si riuscirà a vedere direttamente la parte non
illuminata vicino alla falce sottile.

(l) Udine, 1642.


2) Asserisce per mo'd'esempio la Luna essere una gran pietra bolo
gnese lucida.
ARTICOLI E MEMORIE 513

Insieme a variazioni casuali e straordinarie della chiarezza


di questa luce terrestre, si sono avvertiti anche dei cambiamenti
nella tinta della sua colorazione. Essa apparisce spesso cangiante
dal grigio, osservato d' ordinario, all'azzurro, ed altre volte al
giallognolo, ed in qualche caso rarissimo, la parte del disco
lunare, non illuminata direttamente, si dimostrò identica alla
Luna ecclissata. A quell'epoca la Terra rivolge alla Luna la
sua parte oscura, ma contemporaneamente il Sole, che sta dietro
la Terra, manda alla Luna i suoi raggi attraverso all'atmosfera,
fatta rossa dal colore dell'aurora e dal tramonto. Anche questa
luce si presenta variamente intensa a seconda delle condizioni
dell'atmosfera che, come si è detto, sono tali da poter produrre
le più svariate apparenze crepuscolari.
50. La Terra adunque, come abbiam detto di sopra, veduta
dalla Luna apparirebbe un disco tredici volte più grande del
disco lunare. Quindi le notti lunari sono assai più chiare delle
nostre. Ciò fece dire ad un illustre matematico, che sgraziatamente
come tanti altri, aveva la scienza, non diretta dal lume superiore
della fede: « autrefois on croyait la Lune destinée à éclairer
la Terre, on pourrait dire avec plus d'apparence de raison: la
Terre a eté creee pour éclairer la Lune n (1). Ma non solamente
in passato, ma eziandio tuttora si ritiene per fede e il costante
fatto lo dimostra, che la Luna fu creata a presiedere cioè ad
illuminare la Terra di notte, sempre s'intende in quella misura,
ordine e legge, che dal suo Creatore le fu stabilita: a fecit
Deus luminare minus . . . . ut praeesset nocti » (Gen. I, 16).
Ora la Terra, pianeta primario e quarantanove volte più
grande del suo satellite, fatta ad abitazione degli uomini, doveva
naturalmente ricevere dalla comune sorgente luminosa del Sole,
maggior luce della Luna, e quindi per necessità riverberarne
essa più sulla Luna che non questa sulla Terra. Ma la neces
saria conseguenza d'un fatto, principalmente inteso, non si può
dire il fine. Perchè la Luna riceve per riflessione maggior luce
dalla Terra, non si può logicamente inferire, che tale sia il fine.
Il fine può essere ancora per la Terra stessa, cioè per i suoi
abitatori, creature razionali, le quali dalla cognizione di tutti i

(l) E. CATALAN. – Cosmographie. Paris, Delalain Freres p. l 45.


514 ARTICOLI E MEMORIE

mirabili fenomeni celesti, non escluso pur quello della luce


cinerea, debbono innalzarsi sempre più alla cognizione del
Creatore e di sue grandezze. -

51. Non avendo presente questo, e mancando pur esso


del lume più sicuro ed infallibile della fede, l'illustre Laplace,
ebbe a scrivere: a Quelques partisans des causes finales ont
imaginé que la Lune avait été donnée à la Terre pour l'éclairer
pendant les nuits. Dans ce cas, la nature n'aurait pas atteint
le but qu'elle se serait proposé, puisque souvent nous sommes
privés à la fois de la lumiére du soleil et de celle de la Lune.
Pour y parvenir il eiùt suffi de mettre, à l'origine, la Lune en
opposition avec le Soleil, dans le plan mème de l'écliptique, à
une distance de la Terre ègale à la centième partie de la di
stance de la Terre au Soleil, et de donner à la Lune et à la
Terre des vitesses parallèles proportionelles à leur distance à
cet astre. Alors la Lune, sans cesse en opposition au Soleil,
eùt décrit autour de lui, une ellipse semblable à celle de la
Terre; ces deux astres se seraient succedé l'un a l'autre sur
l'horizon; et comme à cette distance la Lune n'eſt point été
éclipsée, sa lumiére aurait constamment remplacé celle du
Soleil n (1).
E cosa dolorosa che questo grande scienziato, il quale pur
nei suoi ultimi istanti confessava a ce que nous connaissons
est peu de chose, ce que nous ignorons est immense r (2) pre
tendesse tuttavia farla quasi da correttore a Chi, « in principio
creavit coelum et Terram » nell'ipotesi che a la Lune avait été
donnée à la Terre pour l'éclairer pendant les nuits ». Ma questa
non è un'ipotesi a des partisans des causes finales » è una
vera credenza dei fedeli appoggiati alla divina scrittura a ut
preesset nocti ». Ma per opporre scienziato a scienziato, le
considerazioni del Laplace (non diremo già le sue proposizioni)
sopra un perpetuo lume di luna, furono combattute dal Liou
ville, il quale pensa invece: a que si la Lune avait occupé a
l' origine la position particuliere, que l'illustre auteur de la
Mécanique céleste lui assigne, elle n' aurait pu s y maintenir

(l) Exposition du système du Monde, 1824, pag. 232.


(2) F. HoEFFE. – Histoire des Mathématiques. Paris. 1899. pag. 577.
ARTICOLI E MEMORIE 515

que pendant un temps très court » (1). Ora Iddio fece la Luna
per tutti i secoli dei secoli, e non per un tempo brevissimo.
52. Di più quei due luminari furono sì fatti, perchè uno
illuminasse la Terra di giorno, e l'altro la rischiarasse di notte,
ma anche perchè fossero in signa, et tempora et dies, et annos.
(Gen. I, 14).
I Calendari degli Ebrei, dei Greci e dei Romani ne sommi
nistrano una splendidissima prova. Non furono essi sempre
formati e regolati, non solo dal corso del Sole, ma e da quello
pur della Luna? Le Olimpiadi, istituite da Ifito, cominciavano
colla luna nuova. In oggi ancora i Turchi, gli Arabi, i Mori,
parecchie tribù d'America e molte altre Nazioni conformano il
loro calendario colla neomenia e colle altre diverse fasi della -

Luna. Et Luna in omnibus in tempore suo, ostensio temporis et


signum aevi. (Eccli. XLIV, 6). Essa ha dato origine e nome al
mese, Mensis secundum nomen eius est. (Ivi v. 7). Alla Luna,
che compie il suo rivolgimento intorno a noi, nello spazio di
ventinove giorni (2) e cambia costantemente di figura ai quattro
diversi quarti del suo corso, era serbato di regolare gli ordini
civili e gli affari comuni della società. Essa col presentare ai
popoli un fanale, che cangia forme di sette in sette giorni, –
luminare crescens mirabiliter in consummattone... quod minuitur
in consummatione (Ivi 8,9) – offre loro per tal guisa comode
divisioni, durate di tempo regolari e certe, e sommamente
proprie a determinare il principio e la fine delle famigliari
operazioni. Essa quindi colle sue neomenie e plenilunii, coi
suoi aumenti e diminuzioni di luce a nostro riguardo, cioè colle
sue fasi, senza perdere il primo scopo, ne raggiunge un altro,
pure importantissimo, di segnare i tempi e le feste. « A Luna
signum diei fecisti ». (Ivi. v. 7). Le feste della Luna-Nuova

(l) Mem. sur un cas particulier du problème des trois corps.


(2) Rigorosamente il mese lunare, ossia la rivoluzione sinodica della
Luna, che è l'intervallo da un movilunio al seguente, è di 298, 12ºr, 44º,
2° -- 0°,0l cioè giorni 29,53059. La rivoluzione siderale invece, ossia il
tempo che impiega in passare da una stella per ritornare alla medesima,
è di 27g, 7or, 43m, I lº. 545 + 0°. 01 ovvero giorni 27,32166. (Ch. A.
Young. A. Text-Book of. General Astronomy. London 1891. p. 145).
516 ARTICOLI E MEMORIE

erano pur celebrate presso gli Etiopi, i Sabei dell'Arabia Felice,


presso i Persiani ed i Greci. I Romani avevano pur questa festa.
Il plenilunio segnava la Pasqua per gli Ebrei, e dal plenilunio
si desume la Pasqua per i Cristiani, festa la più solenne per
gli uni e per gli altri e dalla quale tante altre ne dipendono.
Ma se il plenilunio fosse stato perpetuo, quest'altro vantaggio
d'essere la Luna segnale dei tempi e feste non si potrebbe
conseguire.
I partigiani delle cause finali, come il Laplace ed altri
chiamano i credenti, non ne pigliano una separata ed a quella
soltanto si fermano, ma le abbracciano tutte insieme, e tutte
spiegano armonicamente, e fanno vedere che il sapientissimo
Ordinatore di tutte cose conseguisce mirabilmente tutti i suoi
fini, a servizio pur della stessa scienza. E per non dipartirci dal
nostro argomento selenografico, certamente la Luna, rispetto alla
sua montuosità, non fu meglio conosciuta che nelle sue fasi
all'infuori del plenilunio, come fu per noi veduto. Senza le fasi
poco o nulla avremmo chiaramente conosciuto della vera natura
di sua superficie. Nè si può dire, che manchi il lume alla notte,
perchè non v'è plenilunio perpetuo; e dall'essere talora a privès,
per usare le stesse parole del Laplace, à la fois de la lumière
du Soleil et de celle de la Lune º non ne viene che la a nature
(diciamo il Creatore), n'ait point atteint le but qu'elle s'est
proposé, m ma soltanto che, senza perder l'uno, ne consegue
degli altri. Il benefico e sapientissimo Iddio concilia insieme,
quasi per tutto, diverse utilità, e col variare dei servigi, ag
giunge nuovo pregio all'eccellenza dei suoi doni.
53. E per la stessa scienza, sia astronomica, sia fisica,
quali vantaggi non si hanno dalle osservazioni delle ecclissi
vuoi di Sole, vuoi di Luna, che rispettivamente non avvengono
se non nella neomenia e plenilunio? Oltre che esse sono sempre
dei più attraenti spettacoli che accadano in natura, i notevoli
fenomeni che abitualmente le accompagnano sono propri a get
tare la più gran luce sopra la costituzione fisica del Sole e della
Luna, massime cogli istrumenti, metodi e diligenze che attual
mente si praticano. Nell'ecclissi di Sole, ad es. si analizzano le
sue aureole o corone, in cui nuotano le attraenti protuberanze
della sua fotosfera. Onde non meraviglia se all'aspettazione,
ARTICOLI E MEMORIE 517

massime d'un'ecclissi totale di Sole, vediamo un accorrere degli


Astronomi ai luoghi privilegiati, senza badare talora a lunghi
e disastrosi, e dispendiosissimi viaggi (1). Or chi dirà mai
per tali fenomeni singolari, il Sole e la Luna non conseguire
il suo fine, d'illuminare cioè uno il giorno e l'altra la notte ?
Certamente che un tal fine non è da quei luminari raggiunto
se non in quel modo, misura ed eccezioni che dall'infinita
sapienza di Dio fu loro assegnato. Ma non si potrà mai dire
a qu'elle n'ait point atteint le but qu'elle s'est proposé m. Anzi
non solo questo, ma e quello altresì d'indicare i tempi, e chi
sa quanti altri ancora a noi ignoti, poichè dobbiamo sempre
esclamare: « O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei... »
(Rom. XI 33). Soltanto questo si potrà asserire, che il fine
assegnato alla Luna d'illuminare la notte, non si deve prendere
in un senso così rigoroso ed assoluto, quale se lo vogliono
imaginare i nostri increduli avversari.
54. Tra questi anche il Flammarion volle in tale propo
sito dire la sua. « I partigiani delle cause finali (dice questo
fantasioso astronomo, nella sua Astr. Pop. p. 296) hanno molto
maggior diritto di sostenere che la Terra è fatta a beneficio
ed uso della Luna, che di affermare il contrario. La Luna,
aggiunge, sostiene malissimo (!!) la sua parte a nostro riguardo, e
mercè la complicità delle nubi, ci lascia per tre quarti del
tempo nell'oscurità. La Terra invece splende tutte le notti nel
cielo lunare sempre puro, e la Terra piena coincide sempre
colla mezzanotte ».
Per costoro non è il satellite fatto per il pianeta primario,

(l) Basta leggere in proposito la relazione: Die Sonnenfinsterniss


von 8 August 1896, von General-Lient. Baron Nikolaus Kaulbars in
Helsinffors », pubblicata nell' « Astronomisce Rundschau - nei fascicoli 4,
5, e 6 del 1899, oppure la relazione: « Die Sonnenfinsterniss in Indien 1898.
Von E. Walter Mamider » pubblicata nello stesso Periodico, fasc. 7, del
medesimo anno l899. Da tale lettura, si rileverà l'importanza scientifica
che si attribuisce a tali straordinari fenomeni, ed a quali spese, disagi, e
pericoli ancora, si espongano tali osservatori. Ciò che si è fatto per l'ul
timo ecclissi solare del 28 Maggio di quest'anno dagli astronomi, coadiu
vati dai rispettivi Governi, è già noto per i Giornali e Bollettini astronomici.
518 ARTICOI,I E MEMORIE

ma l'astro primario per il satellite, per la sola ragione che


questo riceve dalla maggior abbondanza di luce che quello
possiede dal Sole. Tale è la logica degli scienziati che non
hanno riguardo alla divina rivelazione. Gli astronomi poi di
tutti i secoli, gli scrittori, i poeti tutti, hanno esaltato i servigi
della Luna alla Terra; eppure, secondo il Flammarion, essa
« sostiene malissimo la parte sua a nostro riguardo n. E perchè?
perchè è impedita dalle nubi della nostra atmosfera di rischia
rarci come vorrebbe. Dio ci guardi di avere in qualche causa
per giudice il Flammarion ; saremmo colpevoli per ciò solo,
perchè altri c'impedisce di fare il bene che pur vorremmo fare.
(Continua)

BELLINo CARRARA S. J.
Prof. nel Collegio M. G. Vida in Cremona.
IN DI CE

ARTICOLI E MEMORIE

Introduzione . - - - - - - . Pag. 3
AMADUzzi L. – La teoria elettromagnetica della
luce e le recenti scoperte sperimentali ad
essa relative . - - - - - . 222-334
AMIGHETTI A. – Il fenomeno carsico sul lago d'Iseo 472
BALLERINI P. – Dinamo ed alternatori . - . . 215
BEurELLI T. – Sopra una nuova lettera inedita di
Alessandro Volta. . - - - - . 5 5
BRAMBILLA G. – Le ore di sole a Roma . . - , 121
BUFFA M. – Ultime ricerche sull'illuminazione elet
trica . - - - - - - - . . 91
CARRARA B. – La selenografia antica e moderna . 365-483
CATTANI G. – La tubercolosi considerata dal lato -

dell'igiene sociale. Parte I - Patologia della


tubercolosi - - - - - - . . 173
Parte II – Cura della tubercolosi . . . 274
CERRI A. – Problemi geodetici dipendenti dalla ri
frazione atmosferica - - - - . n 399
CosTANzo G. – Discussione delle osservazioni micro
sismiche fatte al Collegio Bianchi in Napoli
nell'anno 1899 . - - - . . : 26
55 – Di un nuovo pendolo sismico protografico n 478
DEL GAizo. – Il risorgimento della medicina ippo
cratica nei primordi del secolo XVI . . , 85
DE ToNI G. – Osservazioni di Leonardo da Vinci in
torno ai fenomeni di capillarità . - . n 20
FABANI C. – La malaria . - . - - - . 99
FERRINI R. – L'evoluzione della fisica nel secolo XIX n 17
:: – Macedonio Melloni . - - - . :: 461

GRIBAUDI P. – La Geografia nel secolo XIX special


mente in Italia - - - - - 47-133-325
LAIs G. – Atmosfera coronale del sole . - n 269
MAFFI P. – Osservazioni di Bielidi nel 1899 . . . 40

MAGGI P. – Ore di sole a Volpeglino e Tortona . n 419


SOCIETÀ CATTOLICA ITALIANA PER GLI STUDI SCIENTIFICI
sE2IO NIE III»

RIVISTA
DI FISICA, MATEMATICA
E

SCIENZE NATURALI
a N.
-
s' -

- r O NA A -e
Vol. II. Sigis "sº
LUGLIO - DICEMBRE - 1900.

DIREZIONE ED AMMINISTRAZIONE

presso il Can. Prof. PIETRO MAFFI, PAv1A.

PAVIA

PREMIATA TIPOGRAFIA FRATELLI FUSI

1900.
- -

illmno l. - luglio 1900. Hi)llm. 7.

AXENSTRASSE (Svizzera). oTECA N.


"v, rO NA A - i pcriccici che riproNucono articoli
gero cºesº Sclla ſivieta sono pregati a citarla,

per quanto riguaròa Direzione cò fimministrazione


gpcòire al Can. Drof. Dietro ſiſ)affi, Davia.
Esce il 2o or ocn 1 MESE. IN a W i ºl
per l' Italia : Anno I.. 12 - Semestre I. 7. premiata Cipogratia fratcIti ſfusi
per l' Estero: Anno L. 14 - Semestre I.. 8. 19 OO.
ANNo I. Luglio 1900. Num. 7.

PUBRIA/INE DELLA SOCIETÀ CATTOLICA ITALIANA PER GLI STUDI SCIENTIFICI (SE/ III).

ARTICOLI E MEMORIE

LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

Studio Storico – Scientifico.

VIII.

55. Siamo ora giunti all'ultima parte del nostro lavoro, ed


il cortese lettore, sarà di leggieri bramoso intendere quali sieno,
non diremo già le ultime conclusioni della scienza, perchè la
Selenologia è ancor troppo bambina da poter dare cognizioni
certe e sicure, ma dei vari selenologi, sui diversi punti che si
sono disputati e si stanno tuttavia disputando sulla costituzione
fisica della Luna e sull'origine di sua formazione.
Descritta e rappresentata la superficie lunare per noi vi
sibile in tutti i suoi particolari, per quanto comporta la potenza
dei nostri equatoriali fotografici, si fa la questione se la con
formazione topografica della Luna, ci stia ora dinanzi come qual
che cosa di finito, ovvero se la sua superficie, al par di quella
della Terra, sia ancor sottoposta a mutazioni costanti. Stando
al puro aspetto, noi dovremmo ammettere che, questo corpo ce
leste si trovi in uno stato di rigidità perfetta, e non sia più un
astro vivo, cioè soggetto ancora a continue e profonde trasfor
mazioni, ma un corpo spento, che soltanto nella sua superficie
tutta crivellata, porti le tracce d' un'attività spiegatasi in
epoche trascorse e remote.
Tutte le particolarità, di cui abbonda la carta dell'emisfero
lunare a noi noto, e sotto certo rispetto in un modo anche più
largo e pieno di quello della Terra, rimangono, per quanto al
4 ARTICOLI E MEMORIE

meno noi possiamo discernere, invariate, sempre astrazione fatta


da pochi insignificanti, ed ancor dubbiosi accenni di mutazioni,
dei quali, il più notevole e famoso è quello che si riferisce, al
cratere Linneo.
56. Noi già sappiamo che, coll'acuta ed accurata osserva
zione dei fatti, caddero i vulcani ardenti, che al grande astronomo
Herschel pareva di vedere nell'aprile del 1787. Non erano essi
altro nella realtà che le splendide cime d'Aristarco, di Coper
nico e di Keplero, le quali potè egli scoprire nella parte tene
brosa della Luna, e che ognuno pure può vedere con un suffi
ciente telescopio, ogni qual volta la Luna si avvicina al suo
primo quarto.
Anche l'Evelio, prima dell'Herschel, credeva vedere nello
splendido Aristarco un vulcano attivo. Così i lampi intermittenti
osservati dal Louville il 3 di Maggio del 1715 sulla superficie
lunare, non erano che fenomeni della nostra atmosfera. Ma a
quell'astronomo sembrava di assistere ad un temporale della
Luna. Parimenti le luminose scintille animate da movimenti
rapidissimi, osservate dal grande selenografo Schröter il 15 di
Ottobre del 1789, non erano che un fenomeno di stelle cadenti
otticamente proiettantesi sul disco lunare. Egli poi afferma di
più in modo assoluto, avere, il 27 di Agosto del 1788, scoperto
nelle vicinanze del cratere Evelio, un altro cratere, che prima
colà non esisteva. Ma altri illustri selenografi, quali il Lohrmann,
il Beer ed il Midler, lo impugnano, attestando non aver essi
mai notato una reale mutazione nella superficie lunare.
57. Da ciò tuttavia non si deve conchiudere non avve
nirne alcuna in modo assoluto. Come ad un osservatore, che
stesse nella Luna, usando dei medesimi nostri strumenti, sfug
girebbero le eruzioni vulcaniche dell'isola ad es. di Santorino,
così a noi possono sfuggire simili fenomeni che avvenissero
sulla Luna. Sta sempre però il detto dei logici che: a posse ad
esse non valet illatio. Vi sono nulladimeno dei fatti dei quali
non s'è ancora data una spiegazione piena e completa contro
la realtà loro.
58. Uno è quello, (come fu sopra accennato) che si rife
risce al piccolo cratere Linneo, il quale trovasi nel mare Se
renitatis, presso al suo congiungimento col mare Imbrium, al
ARTICOLI E MEMORIE 5

piede settentrionale delle Alpi. Lo Schmidt, il descrive quale un


piccolo coperchio bianco, che ad una posizione del Sole molto
obliqua ed in cannocchiali molto potenti, mostra un piccolissimo
punto nero, il quale però si presenta anche in altri piccoli
crateri. Qui pure sembra avere dinanzi come l'imagine d'un
vulcano terrestre; il piccolo punto nero sarebbe la bocca di
emissione, il contorno chiaro, uno straripamento di lava. Or bene
allo stesso Schmidt il cratere Linneo non appare più coll'antica
forma, nè quale egli stesso lo avea disegnato negli anni 1841
e 1843, nè quale venne disegnato dal Lohrmann e dal Madler,
che l'avrebbero adoperato come un punto fisso di primo or
dine, perciò, in quanto tale, doveva essere stato da loro molto
spesso e molto accuratamente osservato.
Da ciò lo Schmidt venne nella persuasione che intorno alla
metà del nostro secolo, sia avvenuta un'eruzione, la quale ha
riempiuto la cavità del cratere, di materia chiara, che scorrendo
ad un tempo sopra gli orli del cratere ha appianato i declivi
esterni, sicchè non getta quasi più ombre; come invece do
veva proiettarne prima, e di lunghe, quando dal Midler veniva
scelto come punto di partenza di misure esatte (1). Ma il Midler
che avea osservato Linneo nel 1830, osservandolo poi il 10 di
Maggio del 1867, dice: « Io lo trovai della medesima forma e
con la stessa ombra, tale e quale mi ricordo di averlo veduto,
sono già 37 anni. La modificazione di qualsivoglia natura che
abbia potuto subire, dovrebbe dunque essere avvenuta, senza
lasciare stabili tracce, che avessi potuto scorgere n (2).
La stessa sera del medesimo giorno 10 di Maggio e del
medesimo anno 1867, fra altri astronomi, che studiarono l'aspetto
di Linneo, lo osservò anche lo Schmidt, e dice nel suo lavoro
pubblicato nel 1878, riportandosi a quella data diosservazione:
a Linneo sembra essersi modificato.... Secondo tutti i fatti si
riconosce chiaramente che anche al presente vi sono nel cratere
Linneo delle forze in azione, le quali sono forse la causa che
in poco tempo la voragine od il bastione ritorneranno in tutto
o in parte visibili n (3).

(l) Universo stellato – Disp. 3, pag. ll3.


(2) Ciel et Terre – Quatorzième Annèe pag. 122.
(3) Ivi p. 122-123.
6 ARTICOLI E MEMORIE

Paragonando questa attestazione dello Schmidt con la su


periore del Midler, si deve dire che il Midler commetteva an
cora nel 1867 l' errore in cui era caduto 37 anni avanti, attri
buendo a Linneo la forma di un cratere nettamente definito.
Per conseguenza l'argomentazione dello Schmidt, che si fondava
sull'osservazione del Midler, resta priva del suo sostegno. Bene
quindi conchiude il Prinz: (1) e tutto il fondamento su cui ri
posa questo combattimento, che ha fatto versare tanto inchio
stro 2), non consiste che in osservazioni incomplete od in una

(l) Ivi pag. 124.


(2) Sarebbe cosa troppo lunga fare la rassegna dei lavori apparsi in
luce sulla questione del cratere Linneo. Una enumerazione completa di
quelli, pubblicati soltanto fino al 1880, si trova nella « Bibliographie général
de l'Astronomie, de Houzeau et Lancaster, t. lI, col. 1238 e l 283. » Ne
citeremo alcuni soltanto, per comodo di qualche lettore appassionato che
bramasse consultarne uno od altro.
FLAMMARION. – Changement arrivé sur la Lune. Le cratère Linnè.
(Comptes rendus, t. LXIV, p. 1020).
SEccHI. – Sur la disparition récénte d' un cratère lunaire. – Sur le
cratère Linnè. (Comptes rendus t. LXV. pag. 345 e l 123).
WoLF. – Observation du cratère Linnè. (Ivi, pag. 1240).
MADLER. – Lettre à Birt, datèe 6 Juin 1867 (Monthly Not., t. XXVIl
pag. 303).
» – Lettre à Secchi, datèe l Mars l868 (Boll. met. dell'Oss. del
Coll. Rom. t. VII, p. 18).
» – Lettre à Tacchini, 5 ottob. 1868 (Ivi t. IV, p. 144).
RESPIGHI. – Osservazioni sul cratere lunare Linneo. (Ivi t. VI, pag. 37).
» – Lettre à Secchi, (ivi t. VII, pag. 33).
» – Le cratère Linnè, (ivi t. XV, p. 235).
» – Sul cratere lunare Linneo (Atti, Acc. Nuovi Lincei, t. XX,
p. 333, e t. XXI, pag. 155).
SCHMIDr. – Ueber die gegenwärtige Verinderung des Mondkraters Linnè,
(Sitzemsb, der K. K. Akad. zu Wien, t. LV, p. 263).
TAccaiN1. – Il Linneo, (Boll. met, Oss. di Palermo, t. IV p. 129).
» – Lettre à Secchi (Boll. met. Oss. Coll. Rom. t. VII. p. 67).
NEIsoN. – The Moon, 876, p. 185,
KLEIN. – Ueber Schroeters Beobachtung des Mondltraters Linnè. (Sirius,
t. X, 1877, p. 174).
BIRT. – On the obscuration of the Lunar craters. (Marthly Notices of
the R. Astron. Soc. t. XXVII, pag. 93).
ARTICOLI E MEMORIE 7

cieca ostinazione, des observations incomplètes et une aventgle obsti


nation » e perciò: « il n'y a pas de preuve d'un changement
dans le cratère Limné ».
59. – Altro esempio di mutamento sopra la superficie
lunare, che trovasi recato in mezzo, è quello del doppio cra
tere Messier. Secondo il Beer ed il Midler, questi due crateri
sono e sotto tutti i rispetti completamente uguali. Diametro,
altezza e profondità, colore dell'arena come del recinto, identica
la posizione di alcune colline sui bastioni di cinta, tutto infine
siffattamente concorda, che pare come uno strano gioco del
caso, o una legge di natura che ancora ci è ignota. Questa ge
minata formazione è ancor più notevole a cagione di due strisce
luminose, pure eguali, rettilinee, dirette verso oriente » (1).
Partendo da una tale descrizione, quanto precisa altrettanto
categorica, il Webb nel 1895 si credeva autorizzato ad accertare
la realtà d'un cangiamento avvenuto nei due crateri gemelli,
perchè le sue osservazioni gli mostravano che uno di essi, l'o-
rientale, era maggiore del suo vicino.
L'argomentazione del selenografo inglese s'appoggiava pure
sul gran numero d'osservazioni, concernenti questa regione,
fatta dal Beer e dal Midler, in maniera che una discrepanza
così sorprendente, quale era quella che egli rilevava, non do
veva esser sfuggita loro. È lo stesso ragionamento usato nel
caso di Linneo. Ma non è logico che in apparenza, poichè spesse
volte, specialmente nelle osservazioni molto delicate, si rivedono
gli oggetti sotto il medesimo aspetto col quale si presentarono
la prima volta che si osservarono. Ordinariamente solo mediante
l'altrui aiuto noi giungiamo a rettificare o a rendere compiuti i
nostri primi risultati. Ma la rettificazione dell'osservazione di un
obbietto, non è certamente un suo reale mutamento. Laonde lo
Schmidt, che si ostinatamente difese la modificazione del cratere
Linneo, sopra la natura invece delle modificazioni che si vo
gliono subite dal doppio cratere Messier, in una comunicazione
al Klein esprime il parere che « il cangiamento di Messier,
creduto già comprovato, è puramente illusorio » (2).

(l) Der Mond, 1837, p. 365.


(2) Wochenschrift für Astr. Met. und Geogr., 1882 p. l 17.
8 ARTICOI,I E MEMORIE

60. Molto probabilmente, illusoria eziandio è la mutazione


attribuita al bel cratere di Posidonio, che giace all' orlo Nord
Ovest del mare Serenitatis e che chiude il monte Tauro. Quasi
in mezzo del circo si eleva un piccolo cratere, che nelle circo
stanze ordinarie appare come un vero pozzo, il quale getta ombra
nel mezzo; quest'ombra era, come osservarono lo Schröter e più
tardi lo Schmidt, scomparsa a certa epoca, ciò che sembra
potersi solamente spiegare coll'ammettere che allora l'interno
del cratere fosse stato riempito da materia. Pare quindi, che in
questo cratere una qualche materia fluida talvolta s'innalzi,
per abbassarsi poi di nuovo al suo livello ordinario (1).
Altro esempio è quello scoperto il 19 Maggio 1877 da
Hermann I. Klein, e consiste in un nuovo cratere presso ad
Igino. Quantunque questa regione, che trovasi nel mezzo del
disco lunare visibile, sia stata da tutti quelli che osservano la
Luna, notata le centinaia di volte e disegnata con cura, tut
tavia in nessuno di questi disegni, fino al 1899, si scorge
traccia di quel cratere, sebbene di poi sia sempre facile vederlo,
sotto date condizioni d'illuminazione, anche con deboli stru
menti ottici. Lo stesso avviene per una depressione in forma
di valle, nei pressi di questo nuovo cratere, la quale prima
non era stata avvertita.
61. Per ultimo accenniamo che il Veinek fece notare un
piccolo cratere, da lui veduto per la prima volta il 14 di Ottobre
del 1891, e che a quanto sembra non esisteva prima (2). Ma
non si potrebbe forse anche dire, che prima non era stato
notato ? Quanti altri oggetti prima non furono avvertiti, nè per
ciò si conchiuse che prima non esistevano ! Non abbiamo noi
visto che i selenografi Evelio e Riccioli non avvertirono Cas
sini, con tutti i suoi 60 Km. di arena; come al contrario non si
annunziarono sui Bollettini delle Società Astronomiche, scoperte
di crateri, che poi si smentirono, quali pure ottiche illusioni? (3).

(1) Universo stellato. 3° Disp. p. ll 3.


(2) Ivi p. ll4.
(3) Come si possano facilmente nelle osservazioni della superficie
lunare subire delle illusioni ottiche, credo pregio dell'opera riportare qui
per intero la sincera e leale confessione che fa di ciò che è avvenuto a
sè stesso l'astronomo C. M. Gaudibert, a Vaison (Vaucluses), da lui
ARTICOLI E MEMORIE 9

Meritamente perciò gli astronomi conservano ancora dei dubbi


sul valore della testimonianza dei dati raccolti. Poichè non
essendo possibile liberarsi da quella incomoda e perturbante
diversità d'illuminazione, neppure osservando ripetutamente la
stessa regione, nella medesima e precisa età della Luna, nulla
di certo se ne può conchiudere. Troppo spesso le variazioni
d'illuminazione hanno dato luogo a disillusioni ; le rasenti
incidenze hanno, come si suol dire, in substracta materia, una

pubblicata nel Bulletin de la Société Astronomique de France. Iuin 1900.


p. 269.
« Le Bulletin d'adut 1899 contient une lettre signalant à la Société la
découverte que je croyais avoir faite, d'un double cratère, sur le sommet
de la principale montagne de Maurolycus, le lo mai l899. J'ai maintenant
la preuve qu'il y avait là une illusion optique.
Observant cette mème montagne et avec le mème instrument, le 8 mars
1900, alors que le terminateur passait par le còté Est de Stoefler, je ne vis
point de cratère, mais seulement deux très petites montagnes, tout prés
l'une de l'autre, quoique distinctes. Je compris alors que ce que j'avais
pris pour un double cratère n'était autrechose que l'ombre projetée par
ces deux montagnes. – Pour plus de certitude, j'ai attendu la lunaison
d'avril, et le 6 courant, alors que le terminateur passait entre Mauro
lycus et Stöfler et que le plus haut sommet de la montagne centrale de
Maurolycus jetait encore une faible ombre vers l'Est, je ne pus aperce
voir aucune trace de cratère à côté, mais je vis encore et très distinctc
ment les deux petites montagnes comme dans mon observation précedente.
Il n'y a donc plus de doute possible sur cette question : il n'y a point
là de double cratère, mais seulement deux cònes minuscules qui, dans
certaines conditions, projettent deux ombres qui donnent l'illusion d'un
double cratère. -

Qu'il me soit permis d'ajouter que la visibilité de ces deux petites


montagnes est plus facile que la visibilité de leurs ombres et je me
demande pourquoi elles n'ont pas attiré mon attention au moment de
mon observation.
Je ne puis voir aucune trace de ces petites montagnes sur les
agrandissements photographiques que je posséde, ce qui prouve que,
malgré les magnifiques résultats obtenus par les agrandissements photo
graphiques de la Lune, il nous reste encore bien de découvertes à faire
sur sa surface. Mais elles deviennent d'autant plus difficiles qu'elles sont
plus minuscules et que les occasions favorables pour faire de telles
observations, semblent devenir de plus en plus rares ».
10 ARTICOI,I E MEMORIE

potenza magica, la quale trasforma l'aspetto delle prospettive che


illuminano, e il fenomeno della Librazione le viene a modificare
all'infinito. Questa produce, là in alto, delle prospettive perpe
tuamente variabili, altera cioè la posizione stessa della sua
superficie rispetto al Sole, ed arreca perciò diversa illuminazione
colla stessa altezza del Sole, in grazia del diverso orientamento
rispetto alle regioni del cielo. Ma al Prof. Pickering sembra
poco probabile che tanti cangiamenti si possano attribuire alla
stessa causa, e principalmente all'azione della luce solare. Nel
numero di Giugno 1892 dell'Observatory egli rimette in quistione
l'attività vulcanica della Luna, secondo osservazioni recenti da
lui fatte, con un cannocchiale di 13 pollici (35 cm.) e con
ingrandimenti che variavano da 800 a 1200. Esaminando dap
prima il Mare Serenitatis, trovò che sopra 67 crateri, 32 erano
stati registrati nella carta del Neison ed anche nella sua, poi 24
su quella del Neison, che non erano sulla sua, e finalmente ne
furono da lui osservati 11, che non erano stati disegnati dal
Neison. Con un più forte ingrandimento, tutti i crateri, ad ecce
zione di due, designati dal Neison furono trovati identici; ed
altri più piccoli furono scoperti. Al di sopra della regione di
Bessel, sembra essersi prodotto, dal tempo in cui il Neison ha
costruito la sua carta, un cangiamento; poichè in uno o due
casi, i crateri presi come punti di confronto, ora non sono più
tanto appariscenti, laddove altri che loro sono vicini, sono molto
più visibili. Il fondo del gran circo Platone è stato pure molto
attentamente esaminato, e presenta certe differenze con le osser
vazioni precedenti. Non si può decidere se questi cangiamenti
sieno reali, o se le osservazioni di prima sieno state insuffi
cienti. Il Sig. Pickering inclina a credere esservi qualche cosa
di reale dicendo: e ora che noi possiamo studiare con vantaggio
i più piccoli crateri e che tanti cangiamenti sono registrati, non
pare che la stessa causa (principalmente l'azione della luce
solare) possa applicarsi a tanti crateri nella stessa maniera, e
che tutte queste diverse apparenze si debbano attribuire a di
segni inesatti º (1).
62. Conchiudiamo adunque, che solamente una lunga serie
di rilievi lunari, ripetuti indipendentemente dalla percezione

(1) Ciel et Terre 1892-93, p. 315.


ARTICOLI E MEMORIE 11

individuale dell'osservatore, e durante le più svariate condizioni


d'illuminazione, potrà forse non dopo poche decine d'anni
portarci a conoscere un pochino di più, se e come, oggi ancora,
le forze della natura lavorino alla conformazione della superficie
lunare.

Speriamo altresì con W. Prinz, che delle osservazioni molto


favorevoli ci dicano, se sulla Luna si possano accertare delle
tracce di scoscendimenti cagionati da variazioni di temperatura.
a Actuellement, dice questo selenologo, l'astre semble mort, et
pourtant sa surface est toujours soumise à cet agent d'alté
ration, associé à la pesanteur » (1). Il Faye pure non ha
omesso di tener conto di questa causa modificatrice, nella sua
dissertazione: a Comparaison de la Lune et de la Terre au point
de vue géologique » ove assale i sostenitori del vulcanismo
nella Luna. Come vedemmo, secondo questo geologo non vi
sono vulcani senza l'intervento di vapori o di gas; e nella
Luna, afferma egli, non vi è nè acqua nè aria, nè liquido, nè
vapore, nè gas di sorta alcuna (2).

IX.

63. Quanto all'atmosfera, quello in cui tutti generalmente


convengono, si è, non trovarsi la Luna inviluppata in un'atmo
sfera sensibile o percettibile simile alla nostra.
Da un luogo di Plutarco nel suo, più volte citato opuscolo,
pare che già fin dal suo tempo si agitasse la grande questione
dell'atmosfera e delle acque lunari, che si agita pur oggidì.
Quell'insigne filosofo si dichiara per coloro che sostenevano la
negativa, pensando che la Luna dovesse essere talmente riscal
data dal costante dardeggiare dei raggi solari sulla sua superficie,
che non era possibile che un'umidità qualunque non si fosse
disseccata, e che potesse ancor fornire materia a novelli vapori;
e perciò non essere nella Luna nè nubi, nè pioggie, nè venti.
– L'aria della Luna, essere per sè stessa così rarefatta e
mobile, in ragione della sua grande leggerezza, che ognuna
delle sue molecole sfugge all'aggregazione, e che nulla può

(l) Ivi – 16 Février 1900 p. 609.


(2, Annuaire du Bureau l881.
12 ARTICOLI E MEMORIE

condensarla in nuvole (1). – Così quel filosofo, affermando che là


nella Luna l'aria è molto tenue e trasparente a isthic autem
tenuis est aer et pellucidus º pare emettesse, tanti secoli avanti,
l'opinione moderna prevalente, che se nella Luna v'ha atmosfera,
questa è assai rara, e quasi impercettibile. La questione con
tinuò ad agitarsi da Galileo in poi. Dall'Almagesto del Riccioli
(l. 4. c. 2. n. 3 si rileva che il Keplero, il Galilei, il Wolf e
altri parecchi astronomi riconoscevano nella Luna un'atmosfera
sensibile, ciò che negavano il La-Hire, il D'Isle, il Mayer, il
Dechales, il Keill, il Regnault ed altri. Il Cassini, l'Eulero, il
Bianchini, il Boscovich, il Duséjours, l'Haller, lo Schroeter
credevano ad un' atmosfera lunare, confinata nelle cavità e
burroni, dai quali è come solcata la Luna, e che non s'alzava
al di sopra del livello superiore delle montagne lunari (2).
Ora molti argomeuti forti stanno a favore della negazione
d'una atmosfera, almeno sensibile.
64. Un argomento si ha dal modo con cui apparisce co
stantemente al telescopio. Se vi fosse una qualche atmosfera,
le parti della luna vicine al margine del disco, sarebbero vedute
attraverso la maggiore possibile profondità di quella, quindi
si vedrebbero con qualche distorsione o alterazione, ciò che non
succede mai. Tutte poi le ombre appariscono nettamente oscure.
Non si ha indizio nessuno di crepuscolo nella parte ombrosa
della mezzaluna ; non vi è vapor acqueo, non vi sono nubi o
temporali od altro simile fenomeno atmosferico.
In secondo luogo, l'assenza di rifrazione, quando la Luna
s'interpone fra noi ed un qualche oggetto più distante, è un
nuovo argomento dell'assenza di atmosfera sensibile. Per
esempio, in un' ecclisse di Sole non vi è distorsione nessuna
del lembo del Sole dove la Luna lo taglia, nè alcun anello di
luce che corra fuori del margine della Luna, come avviene
invece intorno al disco di Venere al tempo d'un passaggio,
perchè questa ha un'atmosfera (3).

(l) Op. cit. Ediz. cit. p. 453-454.


(2) F. HoEFFER. – Histoire de l'Astronomie. p. 523.
(3) Negli ecclissi di Sole sia parziali, sia totali, se la Luna avesse
un'atmosfera mediocremente densa, fotografando il Sole, quando è par
zialmente coperto dalla Luna, si potrebbe assicurare se esista qualche
ARTICOLI E MEMORIE 13

Di più, quando la Luna ci occulta una stella, se ciò accade


al margine oscuro della Luna, il fenomeno è al tutto sorpren
dente e conferma mirabilmente la tesi. Poichè la stella mantiene
tutto il suo splendore nel campo del telescopio, fino a che
tutto d'un tratto sparisce. La sparizione è assolutamente istan
tanea. Alla stessa guisa si effettua il suo riapparire. Ora se la
Luna possedesse una qualche percettibile atmosfera, la stella
cangerebbe colore, soffrirebbe distorsione, riapparirebbe o
scomparirebbe sempre, più o meno gradatamente.
65. Il calcolo poi s'accorda coll' osservazione. La durata
dell'occultazione è facile a calcolarsi a priori: essa dipende dal
diametro della Luna, dal suo movimento molto ben conosciuto,
e dalla situazione della stella. Se la Luna avesse un'atmosfera
di gas o di vapori, l' ecclissarsi della stella non coinciderebbe
più coll'istante del calcolo; sarebbe ritardato dalla rifrazione;
il suo riapparire sarebbe d'altrettanto anticipato; la durata
dell'occultazione sarebbe dunque diminuita per l'interposizione
di quest'atmosfera per una quantità considerevole. Trattandosi
cioè d'un' atmosfera quale la nostra, dovrebbe esservi una dif
ferenza uguale a due volte la rifrazione orizzontale che si
avrebbe alla superficie della Luna. Ora l'osservazione così pre
cisa di tali fenomeni, non ha mai rivelato differenza apprezzabile
tra il fenomeno osservato e la sua predizione matematica.
La differenza di due secondi di tempo circa, notata dal
l'osservatorio di Greenwich, può attribuirsi, in parte ad una
atmosfera eccessivamente rara, ed in parte ad un piccolo errore
occorso nella misurazione del diametro lunare dovuto all' irra
diazione; giacchè un oggetto splendente appare sempre un poco
più grande di quello che è realmente. L'errore di due secondi
circa, sarebbe di questa guisa spiegato, senza bisogno di ricor
rere ad un'atmosfera (1).

deformazione nella delineazione dei particolari che si presentano sul disco


solare. Per giungervi si dovranno prendere fotografie ad una scala piut
tosto grande.
(l) Così il Young. « An error of about 2" of this sort would
explain the whole discrepancy, without any need of help from an atmo
sphere ». Gen. Astronomy p. 160.
14 ARTICOLI E MEMORIE

È vero altresì, che un tal genere di calcolo può andar


soggetto a qualche incertezza, potendo la stella essere occultata,
sia dal corpo stesso della Luna, sia da una di quelle prominenze,
per cui è ineguale nella sua superficie. Tenendosi conto di tale
incertezza non siamo autorizzati ad affermare che l'atmosfera
della Luna sia assolutamente nulla, ma si bene ch'essa, se pur
esiste, è molto più rara del vuoto che si forma nelle nostre
migliori macchine pneumatiche.
66. Ciò conferma l'analisi spettrale. La minima traccia
d'aria o d'un gas qualunque o di vapore acqueo non mancherebbe
d'alterare lo spettro della stella, al momento dell'occultazione.
Ora si è rilevato che questo spettro resta fino alla fine affatto
invariabile.
Parimenti la luce del Sole, che la Luna c'invia, sarebbe
modificata nella sua intima composizione, se la Luna avesse
un'atmosfera qualunque apprezzabile. Ora non si è mai notata
la menoma alterazione; le righe proprie alla luce del Sole e
quelle che vengono dall'interposizione della nostra atmosfera, si
ritrovano dappertutto nello spettro della Luna; non se ne
osserva verun' altra. Dunque la Luna non ha atmosfera, cioè
atmosfera sensibile.
67. Da lungo tempo, gli astronomi hanno cercato di spie
gare l'assenza d'atmosfera attorno alla Luna. La maggior parte
dei globi del sistema planetario sono inviluppati d'atmosfere
più o meno dense; perchè la Luna ha da fare eccezione? Poichè
la Terra, Venere, Marte, e Giove sono investiti d'uno strato
gasoso, perchè la sola Luna ne è privata? Le profonde masse ga
sose, di cui il Sole ed altri astri sono muniti, rendono al tutto
enigmatico il difetto (assoluto?) di questi gas, per cui si rende
tanto singolare la Luna.
Si è infin posta innanzi una teoria esplicativa, che è per
fettamente d'accordo con le nostre conoscenze fisiche attuali,
asserendo che l'assenza d'aria attorno alla Luna è una neces
saria conseguenza della teoria cinetica dei gas.
Secondo i principii di questa teoria, che i fisici general
mente ammettono, ogni gas, ossigeno od idrogeno, è composto
di molecole che si muovono con una straordinaria rapidità.
Quelle dell'idrogeno, ad es. che sono le più agili di tutte nei
ARTICOLI E MEMORIE 15

loro movimenti, fanno in media, a temperature ordinarie, 1800


metri per secondo. I movimenti dell'ossigeno e dell'azoto sono
in generale, molto meno rapidi di quelle dell'idrogeno. Ma si
vuol notare che nel corso dei loro movimenti, certe molecole
raggiungono individualmente velocità, che sorpassano di molto
le medie. Questo punto è importante, poichè serve di base
alla spiegazione dei fenomeni che stiamo per esporre.
Si può dimostrare che la massa (1) e le dimensioni della
Luna sono tali, che se un corpo fosse lanciato dalla sua superficie,
– supponiamo colla velocità di 800 metri per secondo, – sali
rebbe ad un'altezza considerevole. Tuttavia, l'attrazione della
Luna dominerebbe la sua ascendente corsa, e finirebbe per rica
dere. Se avvenisse pertanto che il movimento iniziale fosse del
doppio cioè 1600 metri al secondo, il proiettile, secondo le leggi
del moto, salirebbe sempre, e la Luna non potrebbe mettere
in esercizio alcuna forza d'attrazione abbastanza potente per
attirarlo nuovamente.

Imaginiamo per un poco, che si formasse attualmente attorno


della Luna un'atmosfera d'ossigeno o d'azoto. Le molecole di
questi gas si slanceranno con la velocità inerente alla loro na
tura; ma nella somma, le velocità, di cui esse saranno animate,
non sorpasseranno i limiti, sui quali la potenza della Luna eser
cita un'azione. Ma queste sono velocità medie, ed avverrà
spesso che delle molecole individuali saranno animate d'una
rapidità eguale o maggiore di 1600 metri per secondo; se ciò si
fa negli strati superiori dell'atmosfera, le piccole molecole ab
bandoneranno affatto la Luna. Altre particelle seguiranno allo
stesso modo, e perciò un'atmosfera, almeno composta dei gas
da noi conosciuti, mon potrà inviluppare la Luna, in modo
permanente.
La Terra possiede e conserva un'atmosfera abbastanza densa,

(1) È noto che il globo lunare è 81 volte meno pesante del globo
terrestre, perciò un metro cubo di Luna non pesa che i sei decimi d'un
metro cubo di terra. La gravità alla superficie di quel mondo è dunque
sei volte più debole che alla superficie del nostro; quindi un kilogramma
colà trasportato e pesato ad un dinamometro, non peserebbe che lei 4
grammi.
16 ARTICOLI E MEMORIE

perchè ha una massa sufficiente a ritenere qualunque pro


iettile che abbia una velocità minore di 8 Km. in un secondo (1).
Le molecole d'ossigeno e d'azoto, non conseguiscono mai, a
quanto pare, tale velocità. Donde viene che la Terra può con
servare l'atmosfera che la circonda, e che la Luna non è do
tata di questo potere (2).
68. Il Loewy ed il Puiseux con ogni asseveranza affer
mano essere rimasto nella Luna un residuo d'atmosfera (3) in
conseguenza delle eruzioni vulcaniche di cui, secondo la loro opi
nione, la Luna stessa è stata teatro in un periodo dai mede
simi chiamato recente. Se dunque con questi illustri selenologi
volessimo ammettere tale residuo d'atmosfera, bisognerà sempre
supporre ch'essa non solo sia molto rara, ma composta eziandio
di tutt'altri gas. I sullodati selenografi sono pur di parere, che
quel residuo potrà essere calcolato, e se stiamo ai calcoli di
Bessel questo residuo sarebbe "looo di quella della Terra.
Il sig. Charles A. Young dice. « L'atmosfera della Luna,
se pur ve n'ha alcuna, è estremamente rara, da non produrre
1
una pressione barometrica eccedente 25 di un pollice (mm. 1,08

circa) di mercurio, ovvero º so della pressione alla superficie


della Terra (4) ».
Secondo il Dizionario francese ed Enciclopedia Universale
di B. Dupiney de Vorepierre (1881), a l'atmosphère lunaire, à
supposer qu'elle existe, n'a pas une densité suffisante pour
produire une réfraction d'une seule seconde, c'est-à-dire que
sa densitè est au plus la 1980 partie de celle de l'atmosphère
terreStre m.

(1) Vedi Felice Marco, – Elementi di Fisica. Vol. I, p. l 17.


(2) Science (New-York), vol. XXI, n. 525. Nota di R. Ball.
(3) « Nous trouvons dans l' examen du sol lunaire un serieux motif
pour croire qu'il subsiste encore è l'heure actuelle, un residu d'atmo
sphère, dont l'appreciacion, entourée à coup sùr de grandes difficultes, peut
n'ètre pas irréalisable. » (Ciel et Terre I Sept. 1899) oppure (Cosmos 22 Juil
let. 1899).
(4) « The moon's atmosphere if it has any at all, ist extremely rare,
probably not producing a barometric pressure to ecceed / e of an inch
of mercury, or /,so of the pressure at the earth's surface ». (A Text-Book
of General Astronomy-Boston, und London 1891, p. 158, n. 255).
ARTICOLI E MEMORIE 17

69. Se la Luna un tempo formava parte della medesima


massa della terra, essa dovette allora aver avuto un'atmosfera.
In tale supposizione come è scomparsa? Vi sono varie ipotesi
più o meno probabili per ispiegare la sua disparizione. Ne ac
cenneremo due soltanto, delle quali il lettore farà quell'apprez
zamento che crede. È stato supposto che dalle eruzioni vulca
niche entro la massa della Luna fossero lasciate delle grandi
cavità, e che le rocce stesse sieno state trasformate in una
specie di struttura simile alla pietra-pomice, e che l'aria siasi
tirata dentro queste cavità interne.
Altri hanno supposto che l'aria sia stata assorbita dall'in
terne rocce lunari nel loro raffreddamento. Una roccia riscaldata
espelle alcuni gas che può avere assorbiti; ma se poi lentamente
si raffredda, li riassorbe, e ne può riprendere una grandissima
quantità. L'interno della Terra è supposto essere ora, troppo
intensamente riscaldato per assorbire molto gas; ma se andasse
raffreddandosi, lo assorbirebbe più e più, e col tempo toglierebbe
alla superficie della Terra tutta la sua aria (1).

X.

70. L'assenza d'un'atmosfera sensibile trae seco di conse


guenza l'assenza di acqua. Poichè se masse liquide, simili ai
nostri mari, laghi o fiumi ecc. fossero trasportate alla superficie
della Luna, queste istantaneamente si vaporizzerebbero e pro
durrebbero tosto un'atmosfera di vapor acqueo, se non vi esi
stesse aria. E se attualmente acqua non esiste nella Luna, vi
si sarà trovata in epoche remote ? Tutto pare dover respingere
tale ipotesi. La Luna non presenta infatti sulla sua superficie,
profondamente tormentata e crivellata, nessuna di quelle alte
razioni, nessuno di quei torrenti con trasporti di terreno e de
positi di sedimenti, come quelli che hanno contribuito a modi
ficare gradatamente e profondamente la crosta terrestre.
L'aspetto generale di questi singolari paesaggi lunari, ri
sponde molto bene al manco assoluto d'acqua e d'aria, poichè
nulla vi si scorge che rassomigli a sedimenti, ad erosioni, a un

(1) Charles A. Young, ivi p. 160, n. 257.


2
18 ARTICOLI E MEMORIE

trasporto di materiali a grande distanza, in una parola ad una


degradazione qualunque. Gli spigoli sono così netti, le cime
acute, i pendii, all'interno dei circhi, d'una ripidezza sorpren
dente. I soli indizi di degradazione si riducono ad ammassi
sparsi al piede di certe sporgenze, da cui si saranno staccati
per effetto di variazioni considerevoli di temperatura dal giorno
alla notte, ed in conseguenza di qualche difetto d'appoggio, ovvero
per la friabilità possibile di certe rocce: l'acqua e l'aria avreb
bero segnato la loro azione con tratti simili a quelli che sus
sisterebbero dappertutto sopra la terra, se questi due agenti vi
fossero oggi soppressi.
a Ni air mi eau, dice il Faye, par conséquent aucune de ces
grandes fonctions superficielles ou profondes, que l'eau a remplies
et remplit encore sur notre globe. Point de chaines de mon
tagnes, de hauts plateaux, de bassins profondes ». (Annuaire
du Bureau 1881, pag. 732).
Non ostante questo, asseriscono alcuni notarsi nella Luna
varie cose, che sembrano indicare ad una prima esistenza di
mari e di oceani sulla sua superficie, e si escogitarono, per darsi
conto della loro disparizione, le medesime ipotesi che furono
fatte pel caso d'una primitiva atmosfera della Luna (1). Si ag
giunge pure che varie specie di rocce fuse cristallizzandosi
avrebbero preso una grande quantità di acqua di cristallizza
zione, non puramente assorbendola, come la spugna assorbe
l'acqua, ma chimicamente combinandola con altri costituenti
della roccia. -

(l) Young, loc. cit. n. 258 – Sul proposito della sparizione dell'acqua
dicono Loewy e Puiseux: « On est amené à croire que toute l'humidité
libre de la surface a dà disparaìtre, sans doute par pénétration dans l'in
térieur du globe, avant que les régions polaires soient tombées d'une
manière permanente au-dessous du point de congélation. ll semble, d'ail
leurs, aisé de se rendre compte de cette grande capacité d'absorption de
l'écorce lunaire pour les liquides. Le refroidissement de notre satellite,
plus rapide que celui de la Terre, a abrégé la période de condensation
des vapeurs. L'eau s'est infiltrée, au fur et à mesure de sa formation,
dans les inombrables orifices volcaniques qui semblaient préparés pour la
recevoir » (Revue des quest. scient. Janvier 1899, pag. 154-155.
ARTICOLI E MEMORIE 19

71. Che se l'acqua non si trova nella Luna, nè allo stato


liquido e neppur a quello di vapore, vi esisterà almeno allo
stato solido, come di ghiaccio o di neve? Ciò non si dà per im
possibile nella supposizione d'una temperatura abbastanza bassa
da non permettere una sensibile evaporazione. I sigg. Loewy e
Puiseux dall'atmosfera estremamente debole ne deducono la
temperatura bassa, almeno in vicinanza dei poli e quindi si
fanno la domanda, se il nostro satellite possa avere un rivesti
mento di ghiaccio, totale o parziale. Rispondono, che lo studio
del loro Atlante rende improbabilissima la presenza di accumu
lamenti di ghiaccio, tanto per le calotte polari, quanto per la
zona equatoriale (1).
Ma per escludere che quella bianchezza sia indizio di neve
e di ghiaccio non dobbiamo dimenticare, che quella causa la
quale presso di noi copre di neve e ghiaccio le montagne, non
può agire sulla Luna che in misura assai debole, sprovvista
com'è d'aria sensibile, e mancante di vapor acqueo, come fu
detto. Del resto la questione della presenza del ghiaccio sulla
Luna, si potrà forse risolvere un giorno collo studio continuato
dell'irradiazione calorifica di questo corpo celeste a noi vicino.

XI.

72. Se noi consideriamo che il nostro satellite sta, ad un


dipresso, alla medesima distanza di noi dal Sole, e che ha un
giorno solare quasi trenta volte più lungo del nostro, conchiu
deremo subito, che la Luna deve avere un clima molto straor
dinario. Le differenze di temperatura, prodotte da un Sole che
splende durante 15 giorni circa (2) a cui succede una notte

(!) « Quant à l'atmosphère actuelle de la Lune, toutes observations


s'accordent à démontrer que sa densité doit être extrèmement faible. Il
s'ensuit que notre satellite doit ètre aujourd'hui è une temperature basse
au moins dans le voisinage des pòles. ll y a donc lieu de se demander
s'il n'est pas occupè par un revètement de glace totale ou partiel. L'étude
des planches de l'Atlas rend très improbable la présence d'accumulation
de glace, aussi bien pour les calottes polaires que pour la zone équa
torial . (Revue des Quest. Scient. ivi p. 154).
(2) La durata media del giorno e della notte nel nostro satellite im
porta giorni l 4 º/, dei nostri, ossia 354', 22', l''.4.
20 ARTICOLI E MEMORIE

d'ugual durata, devono essere enormi. Stando così le cose,


niente sul nostro globo ci può dare l'idea di tali alternative di
caldo e di freddo.
Però, è cosa molto difficile ad affermare con certezza, quale
sia la temperatura sulla superficie della Luna. Per una parte, le
rocce lunari sono esposte ai raggi del sole in un cielo senza
nubi, per tanti dei nostri giorni continuati, sicchè se quelle
rocce fossero involte da un'atmosfera d'aria, come le mostre
sulla terra, sarebbero di certo molto intensamente riscaldate.
Lord Rosse, alcuni anni fa, da queste osservazioni deduceva
che la temperatura della superficie lunare sale al suo massimo,
tre giorni circa dopo il plenilunio, e molto sopra il grado di
ebollizione dell'acqua.
Ma le sue stesse ultime investigazioni e quelle del pro
fessor Langley, gettano un serio dubbio su quella conclusione.
Alla superficie lunare non vi è aria che la inviluppi, per im
pedire di perdere il calore appena ricevuto. Non è quindi pro
babile un grande accumulamento di calore, per quanto gliene
invii il sole, sfuggendo esso per una perpetua irradiazione. Al
presente, si ritiene piuttosto maggiormente probabile, che la
temperatura della Luna non salga mai sopra il punto di con
gelazione, come è il caso delle nostre più alte montagne, dove
havvi ghiaccio perpetuo, e dove la temperatura è sempre bassa,
anche a mezzogiorno. Così, per quanto possiamo noi giudicare,
la condizione delle cose alla superficie lunare, deve corrispon
dere ad una elevazione di suolo molto superiore a quella delle
montagne terrestri più elevate. Nessuna delle montagne ter
restri è così alta, d'avere alla sua sommità un'aria sì rarefatta
che si possa pur paragonare colla maggior densità supponibile
dell'atmosfera lunare. Questa sarà appunto sempre senza con
fronto più rara. Alla fine della lunga notte lunare, che è di più
che quattordici dei nostri giorni, la temperatura deve cadere
bassa in modo sorprendente, certamente 200° sotto zero (1).
73. Per lungo tempo fu impossibile scoprire il calore

(l) Così almeno afferma il Young nella sua Astronomia, pag. 163:
« At the end of the long lunar night of fourteen days the temperature
must fall appallingly low, certainly 200° below zero ».
ARTICOLI E MEMORIE 21

della luna. Il termometro più sensibile, posto al foco d'uno


specchio parabolico, rivolto alla Luna, non accusava alcun in
nalzamento di temperatura. Nel secolo precedente Tschirnhausen
rivolse appunto alla Luna uno specchio potente, che colla luce
solare avea ridotto in dodici minuti un pezzo di asbesto come
in vetro fuso, laddove il termometro esposto al foco dello
specchio che raccoglieva i raggi lunari, non n'ebbe alcun
effetto percettibile. Si capisce che il calor lunare irradiato sulla
nostra Terra, deve essere troppo debole da potersi scoprire
dai più delicati termometri a mercurio, anche quando i raggi
venissero concentrati da una gran lente. Il primo effetto sen
sibile fu ottenuto dal nostro Macedonio Melloni, nel 1846,
sulla cima del Vesuvio, mediante la delicatissima pila termo
elettrica da lui inventata. D'allora in poi, altri fisici s'adope
rarono per lo stesso intento, con più o meno successo. i pro
babile che il calore riflesso alla superficie della Luna, venga
assorbito nel suo passaggio attraverso gli spazi celesti, e che
non arrivi fino alla Terra. Perciò il Piazzi Smyth (1) per
eliminare, per quanto era possibile, l'azione assorbente dell'at
mosfera terrestre, ripetè nel 1856 l'esperienza stessa di Tschir
nhausen, con istrumenti perfezionati, sulla cima del Picco di
Teneriffa, (m. 3716) e giunse al risultato che, la Luna ci manda
tre volte meno di calore di una candela a cinque metri di
distanza. Ma dopo che colla scoperta del bolometro (2) si per
viene a rendere avvertibili quantità di calore estremamente
piccole, mediante la loro conversione in elettricità, si riuscì
in questi ultimi tempi a dimostrare, che del calore che la Luna
teoricamente ci dovrebbe mandare, e che farebbe salire un
termometro di circa la 5000º parte di un grado centigrado,
giunge a noi soltanto una piccola frazione, il 12 "/, circa; la
rimanente parte viene assorbita dalla Luna, e ritorna poi
alla sua superficie che la irradia nuovamente in seguito.

(l) Il prof. C. Piazzi-Smith dell'Università di Edimburgo è morto


il 21 febbraio di quest'anno (N. 3 di questa Rivista p. 208).
(2) L'Astronomy general di Ch. Young a pag. 217, n. 343 dà una
descrizione di questo strumento, molto più sensitivo di qualunque termo
metro o pila termoelettrica.
22 A RTIC4) I.I E MEMORIE

Secondo il Rosse, il totale di calore inviato dalla Luna-Piena


alla terra, è l' ottantamillesima parte di quella inviata dal
Sole (1).
Ciò che è notevole si è, che l'irradiazione totale di calore
della Luna, cresce nel primo quarto, assai più rapidamente di
quello che diminuisca nell'ultimo quarto. Ciò che fu già con
cordemente dimostrato, prima dal Böddicker col grande specchio
di Lord Rosse, e poi dall'americano Frank Bery col bolometro.
74. Ecco dunque i risultati delle osservazioni fatte fuor
d'ecclissi :
1.º il calore effettivamente ricevuto dalla Luna è pro
porzionale alla quantità di luce, calcolata secondo la fase; 2°.
la proporzione di questo calore trasmissibile attraverso una
lastra di vetro, è molto minore che nei casi del calore solare;
ciò che prova che il calore solare è assorbito dalla Luna, e
che quest'astro c'invia principalmente del calore emesso e non
riflesso. Confrontando questo secondo risultato col primo, ne
segue, che la Luna si riscalda o si raffredda troppo rapidamente,
perchè si possa in un tempo ordinario verificare un ritardo sen
sibile dell'intensità emessa, in rapporto all'intensità incidente. Le
esperienze fatte nel tempo della durata dell' ecclissi mostrano
invece un ritardo debolissimo, pur apprezzabile. Un fatto curioso
viene segnalato in una nota del Periodico Ciel et Terre, che
domanderebbe essere confermato. Nelle osservazioni dell'ecclissi
fatte il 4 Ottobre 1884 ed il 28 Gennaio 1888, si è accertato
un leggero abbassamento della radiazione calorifica lunare avanti
il primo contatto, e che poi alla fine dell'ecclisse, la radiazione
si è mostrata in modo durevole, ridotta all'80 p. "Io circa della
radiazione iniziale (2).

XII.

75. Intanto da ciò che abbiamo detto or ora, cioè della


pochissima quantità di calore che ci riflette la Luna, siamo

(1) Cosi attesta il Voung: « The whole amount of heat sent by the
full moon to the carth is estimated by Rosse as about one eighty-thou
sandth part of that sent by the sun . Gen. Astr. pag. 163.
(2) Ciel et Terre. Année Dix-Septième (1897), p. 307-308.
ARTICOLI E MEMORIE 23

come naturalmente condotti alla questione, che tanto spesso


si agita nelle stesse conversazioni famigliari e sociali a della
influenza º vogliamo dire, che possa avere la Luna sulla Terra
e specialmente nella variazione del tempo. Ma il risultato poco
sopra esposto, dell'inviarci cioè la Luna, e Luna Piena, tre volte
meno di calore di una candela posta a cinque metri di distanza,
s'intende subito qual peso o valore si debba dare a quel detto
popolare e la Luna Piena si mangia le nubi n (1). In virtù di
qual causa ? Del calore forse ? Ma come si può supporre che tal
causa, che si può dir nulla nella sua efficacia, possa aver forza
di dissipare le nubi, quando non ne viene sempre a capo lo
stesso calore del sole? E se non è il calore, molto meno la
luce stessa. Sarà l'attrazione? Per questa, abbiamo sì scienti
ficamente accertata un'influenza. La teoria che spiega le maree
per l'attrazione lunare combinata con quella del Sole, è una
teoria passata già in possesso della vera scienza; come pare
sieno scientificamente accertate le perturbazioni del magnetismo
terrestre indicate dall'ago, connesse col perigeo ed apogeo della
Luna. Si può altresì ammettere una specie di marea, prodotta
dalla medesima azione della Luna sull'oceano aereo. Però questa
è tanto piccolissima cosa, che fra tante altre cause, ed innu
merevoli, che concorrono efficacemente a modificare l'atmosfera,
quella del sollevamento od abbassamento prodotto dall'attrazione
lunare, si deve ritenere come nulla e distrutta. Il Laplace ha
dato già la formola che permette di calcolare le maree della
atmosfera dovute all'azione della Luna, dappoichè coll'osserva
zione furono determinate certe quantità costanti, che entrano
nelle espressioni analitiche. Ora il Bouvard, discutendo così le
altezze barometriche osservate a Parigi durante otto anni con
- - 1 . . .
secutivi, ha trovato 18 di millimetro per la marea lunare.
Dunque l'attrazione che esercita sulla nostra atmosfera, la Luna,
è quasi insensibile. Il calore pertanto della Luna conta poco
per noi, l'attrazione non produce nell'atmosfera che delle oscil
lazioni insignificanti: che cosa quindi le rimane per mutare il
tempo ? Rien, risponde il Faye (2).
(l) Tal proverbio corre almeno in Francia « la pleine lune mange
les nuages » come pure « la nouvelle lune change le temps ».
(2) Annuaire du Bureau des Longitudes, 1878, p. 607-918.
24 - ARTICO I.I E MEMORIE

76. Il celebre astronomo C. A. Young dice, essere asso


lutamente certo, che se vi è qualche influenza di tal sorta, è
estremamente tenue, e sì tenue, che non si può pur con certezza
dimostrare, non ostante le tante investigazioni che sono state
fatte in proposito per iscoprirla. « It is quite certain that if
there is amy influence at all of the sort it is extremely slight
so slight that it cannot be demonstraded with certanity, althoug
numerons investigations have been made expressly for the pur
pose of detecting it » (1). Afferma non essere stato capace di
accertarsi, se al tempo del plenilunio, fosse il cielo più o meno
nuvoloso. Le diverse osservazioni fatte, gli hanno dato con
trari risultamenti. « Different investigations have led to contra
dictory results n (l. c.) La Luna ha mutazioni sì frequenti, che
è sempre facile trovare coincidenze per giustificare le preesi
stenti credenze, ma le osservazioni serie e ripetute con vero
metodo scientifico, ne escludono la causale connessione (2).
77. Eppure i popolari pregiudizi continuano a sostenersi,
e talora persone eziandio istruite ne prendono le difese. Tali
pregiudizi si possono ben comprendere per coloro, per i quali
nulla v'ha al di là del loro stretto orizzonte. Il tempo si cambia
in questo orizzonte, verso l'epoca del novilunio o plenilunio,
poco importa, ed in forza del più volgare sofisma, se ne dà la
cagione alla luna nuova od alla luna piena. Non s'interroga
già se per l'orizzonte degli altri, abbia pure cambiato il tempo.
I sostenitori di tali influenze, ignorano spesso, che il tempo
cambia qui, e ad alcune centinaia di chilometri più là, e spesso
meno ancora, non muta affatto; altrimenti direbbero che la
Luna splende per tutto il mondo nella stessa maniera, e ch'essa
non potrebbe, lo stesso giorno, con una medesima azione, pro
durre simultaneamente bel tempo qui, e là pioggia o neve.

(l) General Astronomy, p. 163.


(2) Se le recenti discussioni dello Schübler, del Gasparin, del De La
Grye, del Doneux possano ingenerare la persuasione che esiste una rela
zione di causalità tra le fasi della Luna e i giorni di pioggia, ne lascio
ad altri il giudizio. Come pure mi rimetto ai più valenti geologi, se si
possa stabilire col Perry, col Falb e Volger un rapporto, almeno indiretto,
tra le posizioni della Luna e le manifestazioni vulcaniche. Il Can. Prof.
Pietro Maffi, Direttore di questa Rivista, nel suo pregevole lavoro « Nei
Cieli. Pagine di Astronomia Popolare » p. 72 inclina ad assentirvi.
ARTICOLI E MEMORIE 25

78. D'un simile sofisma pecca pure il pregiudizio della


così detta Luna rossa, cioè quella che comincia in Aprile, ed
è piena alla fine di questo mese, e più ordinariamente in Maggio.
I fisici hanno perfettamente spiegato il fenomeno attribuito
alla Luna rossa, ma i giardinieri non persisteranno meno ad
accusare la Luna d'Aprile o di Maggio, del repentino congela
mento delle piante. L'assenza delle nubi è la sola causa del
gelarsi improvviso di esse, per il raggiamento che produce la
perdita parziale del calore terrestre, che le stesse nubi impe
discono quando ci sono. Se mancano, la Luna splende, il suolo
perde per raggiamento parte del calore ricevuto durante il
giorno, la temperatura delle piante discende al di sotto di
quella dell'aria ambiente. Le piante congeleranno dunque, se
condo che la Luna sarà visibile o nascosta dietro le nubi. Ma
la Luna splendente, la quale dà solo indizio d'un'atmosfera
serena senza nubi, per i giardinieri diventa la vera causa del
tristo effetto; ed essa non ci entra per nulla.
Le esperienze poi del Duhamel, rettificate dal Rousset,
emerito professor forestale, hanno dimostrato, che è affatto
indifferente, tagliare gli alberi, comprese le stesse querce, per
la conservazione del legname, in questa o quell'epoca della
Luna (1).
Così i riscontri e le osservazioni, per nulla favoriscono i
noti proverbi, che vogliono per la potatura ed innesto, semina
gione e piantagione, la tale o tale lunazione. E chi trasgredisce,
per es. l'antico precetto di potar la vite a luna crescente, non
si trova peggio di chi ancora l'osserva. Così nulla v'è di peren
torio, per dovere seguire il consiglio di seminare e piantare a
luna nuova.
79. Anche la credenza delle influenze della Luna sugli
uomini e loro malattie, ci pare difetti di buona logica.
Tali influenze sono dovute alle illusioni ed ai pregiudizii.
È infatti evidente, che la durata del periodo di alcuni fenomeni
nell'uomo in istato di sanità, non s'accorda che approssima
tivamente colle rivoluzioni lunari, e non mai esattamente, e
che questi fenomeni hanno luogo con tutte le fasi della luna,

(1) Civ. Catt. Serie XVI, Vol. VIII. Ann. 1896 p. 213.
26 ARTICOLI E MEMORIE

non solo in persone della stessa età e della stessa constitu


zione, ma eziandio nello stesso individuo. Questa duplice os
servazione dovrebbe bastare, per togliere alla Luna ogni in
fluenza di questa sorta. Non si devono dunque leggere che con
somma diffidenza, certi autori, del resto commendevoli, che
hanno preteso, che le fasi della luna hanno un'influenza qualunque
sulle malattie e specialmente sulle loro crisi. Dice un illustre
scrittore, che si tratta qui come del caso degli spettri, che non
si veggono se non quando si credono. La sola credenza a queste
influenze può avere delle gravi conseguenze per il malato che
la possiede; poichè allor si esalta la fantasia per la paura e
l'aspettazione degli effetti imaginati, ma per i quali la Luna
non ci ha che fare.
80. Ecco ciò che mi pare di dover asserire come conclu
sione generale sull'influenze lunari nei vitali organismi.
Non si vuol negare la possibilità che l'azione delle radia
zioni lunari, luminose od oscure, possa produrre sulle piante e
sugli animali, delle reazioni vitali, le quali non si commisurano
all'intensità dell'impressione esterna. Ma che si avveri di fatto
e fino a qual punto, le esperienze ed i confronti condotti a
dovere, e non alla buona, come usa il volgo, non lo comprovano.
Bisogna dunque ripigliare da capo la questione, e benvenuto
sarà sempre chiunque somministri fatti ben dimostrati che la
risolvano, se pur è sperabile che a ciò si pervenga; essendovi
forte motivo a dubitare per la difficoltà stessa della cosa, che
non permette di sceverare facilmente e con sicurezza il vero
dal falso.

XIII.

81. Le cose disputate sul calore lunare ci hanno condotto


a trattare, almeno brevemente, la questione dell'influenze della
Luna sui tempi, sulle piante e sugli uomini. Or bene, quelle
dell'aria e dell'acqua, ci portano ad altra questione, pur sempre
agitata, se vi sieno cioè abitatori nella Luna.
Dall'assenza dell'aria e dell' acqua nella Luna è facile
argomentare come nessun ente vegetale od animale, razionale
ed animale insieme, secondo i comuni nostri concetti, possa
ARTICOLI E MEMORIE 27

vivere sulla Luna; poichè l'aria e l'acqua sono due condizioni


essenziali alla vita. La natura vivente e sensitiva è indissolu
bilmente legata alla presenza dell'acqua e dell'aria, e questi
due elementi, indispensabili a tutti gli esseri organici, o mancano,
come vedemmo, in modo assoluto, od in ogni caso vi sono in
così scarsa misura, da poter bastare appena alle più semplici
forme di vita, se pur questo si può concedere. t. Se si chiede,
dice l'astronomo americano Newcomb, quali indizii noi abbiamo
dell'abitabilità dei pianeti, v'è un solo astro, risponde, vicino
a noi, a riguardo del quale, il telescopio soddisfa al quesito, ed
è la Luna. Ora cotesto corpo non ha nè aria nè acqua, e
conseguentemente niun elemento di quelli, sui quali si sorregge
la vita organica º (1).
Intendo far qui mie le parole dell'illustre geologo Faye:
a Je ne crois pas qu'il y ait, dans les sciences d'observation,
de fait plus palpable et plus clairement établi que cette ab
sence d'eau, d'atmosphère et de vie sur notre satellite; et
pourtant il n' en est pas qui ait été discuté, controversé et
retourné de plus de façons, tant cette idée d'un astre sans
habitants contrairie certains esprits (2) ».
Dunque per primo, causa il difetto notato, non vi possono
essere nella Luna abitatori simili a quelli della Terra, come
supponevano tanti dei filosofi ed astronomi antichi. « I Pita
gorici, dice Plutarco, per ciò stimano che la Luna apparisca
qual terra, perchè, come la nostra Terra, si crede abitata dagli
animali superiori e dalle piante più speciose º (3).
82. Prima dell'invenzione del telescopio, i filosofi erano
naturalmente proclivi a vedere nella Luna, una terra analoga
a quella che noi abitiamo. Dopo che il telescopio fe' vedere
montagne, e valli analoghe ai rilievi continentali, e vaste pia
nure grigie, che facilmente potevano scambiarsi per mari, la
rassomiglianza fra il satellite ed il pianeta parve evidente, e lo

(1) Popular Astronomy, New York, 1878.


(2) Annuaire du Bureau des Long. pour l'an 1881 p. 672.
(3) « Oi IIvi)ayógetoi ye do)e paiypoi)a rip aeijrp, btà ró
zteguouxeioilau rairp, xara Teo riv tag luiy yjv puei oot Zobots,
xaì pvrois xah iooo. Plutarch. de placitis. Philos. lib. 2, c. 30.
28 ARTICOLI E MEMORIE

si popolò tosto di animali diversi. Sotto Luigi XIV si pensava


di costruire un cannocchiale di diecimila piedi, che doveva far
discernere gli animali nella Luna (1).
Roberto Hooke (1635-1703) si era lusingato anch'egli nella
speranza di costruire telescopi tali, da giungere non solamente
a conoscere la costituzione fisica della superficie lunare, ma a
distinguervi abitanti della statura di quelli della Terra (2). Ai
mostri giorni fu pubblicato per i giornali che il gigantesco can
nocchiale a siderostato, di 60 m. di lunghezza, or ora costruito
a Parigi da M. Gautier per l'Esposizione, avrebbe fatto vedere
la Luna alla distanza d'un metro (3). Così a Parigi non solo
si sarebbe potuto vedere i Seleniti, passeggiare per alcuna
delle grandi piazze, o starsene sui bastioni di qualche circo,
ma intendersi con loro almeno per cenni.
Fuori di celia, ricondurre la Luna ad un metro di distanza
equivale effettuare un ingrandimento di 380 milioni di volte, per
usare un numero tondo (4). Lasciando la questione del possibile

(l) Flammarion. Astron. Pop. p. 183.


(2) Ferdinand Hoefer. – Hist. de l'Astron. p. 520.
(3) Le 9 juillet (1892), les journaux publiaient la note suivante:
« M. François Deloncle, député des Basses-Alpes, a déclaré à la Société
d'économie industrielle qu'à l'Exposition de lº00 on verrait la lune è la
distance d'un metre ». (Cosmos 12 août 1899, p. 201). Di qui fece il giro
per tutto, il detto leggendario « La Lune à un metre ».
Però l'impossibilità della cosa, o se anche possibile non utile, fe presto
capire, che la notizia, veramente sbalorditiva, non era che un puro reclame
per tirar gente all'esposizione dei fenomeni astronomici in quest'anno 1900.
(4) Propriamente 384 446 000 volte, ponendo la distanza media della
Luna a 384 446 Km. Ma stando anche al numero indicato, poniamoci a
determinare la lunghezza del telescopio e la distanza focale dell'oculare.
Di questi due elementi uno è arbitrario, e quanto più corto sarà il foco
dell'oculare, tanto sarà più piccola la lunghezza che dovremo dare al te
lescopio. Ora fissiamo soltanto la distanza focale dell'oculare ad 1 milli
metro, ciò che dà un ingrandimento abbastanza notevole di 300 volte per
l'imagine focale. Noi troviamo allora, che per il desiderato ingrandimento,
di avere la Luna ad un metro, la lunghezza del telescopio dovrebbe essere
di 380 Km., il diametro dello specchio riflettore avrebbe 30 Km., il suo
spessore sarebbe di 5 Km. e il suo peso in tonnellate sarebbe espresso
dalla cifra 9 seguita da dodici zeri. Ecco numeri ridicoli, che sarebbero
ancor più, se si riducessero alla scala di un centesimo, di un millesimo.
ARTICOLI E MEMORIE 29

o non possibile, si vuole in tale proposito tener presente questo,


come principio fisico che, rafforzando il potere amplificativo
del cannocchiale, come pure del microscopio, si perde, per l'im
debolimento della luce, più di quello che si guadagni per l'in
grandimento degli oggetti ; e per le buone osservazioni occor
rono ingrandimenti moderati. Lo stesso Flammarion afferma, che
la massima vicinanza, a cui si possa portare la Luna nelle con
dizioni migliori, è di 176 Km. Ed a tale distanza, che cosa si
può discernere distintamente? Quello che pare si possa sperare
di positivo dal grande siderostato di Parigi sarà, che le imagini
ottenute al foco dello smisurato obbiettivo, avranno una super
ficie 25 volte maggiore di quella del grande equatoriale a go
mito. Ciò sarà certamente un considerevole vantaggio.
M. W. Fonvielle asserisce poi, che con ulteriori ingrandi
menti si potrà giungere fino a mostrare gli oggetti lunari, tali
quali si vedrebbero alla sponda d'un areostato, che si librasse
sopra la Luna, ad una distanza di 30 o 40 Km. (1). Ma forse
anche questa è un'esagerazione; e quando pur s'avverasse, non
mancheranno cause di nuove incertezze per la visione di quegli
oggetti, giacchè in piena luce, l'occhio abbarbargliato non per
cepisce che un rischiaramento uniforme, ed i paesaggi della
Luna, non si possono studiare, che al mattino od alla sera lu
nare, non potendoli fissare se non quando sono rischiarati dalla
luce obliqua.
Non vi è dunque a far molta fidanza sugli ingrandimenti
dei telescopi, i quali poi, ad summum, per quel qualunque residuo
d'aria e d'acqua, che si volesse credere essere rimasto nella
Luna, non ci potrebbero far vedere che dei vegetali crittogami,
o degli animali, appartenenti alla classe degli articolati o rag
giati.
83. Si dirà che non havvi necessità di sorta a supporre
che tutti gli esseri viventi sieno come quelli della Terra. Sa
rebbe certamente temerario il negare la possibilità di altre
forme di organismi, sparse a popolare altri mondi fuori del
nostro, e adattate alle loro fisiche condizioni. Però considerando
che la scienza moderna professa di non pregiare altri argo

(1) Cosmos 2 septembre 1899, p. 301.


30 ARTICOLI E MEMORIE

menti se non quelli fondati sull'induzione, sui principii della


medesima si può discutere quella stessa possibilità, e così di
scussa, apparisce piuttosto da rigettarsi che da ammettere.
Ma l'argomento dell'induzione, male si applica a conclusioni
negative, e perciò si potrà ammettere la pura possibilità di una
varietà di forme viventi, distribuite in altri mondi diversi dal
mostro, e se si vuole la si ammetta pure per la Luna in parti
colare, e per viventi anche ragionevoli, differenti però sempre
dagli uomini. I sostenitori medesimi degli abitanti della Luna
o di altri mondi, tali abitatori non li reputano uomini. a Jy mets
des habitants, dice Fontanelle, qui ne sont point du tout des
hommes n e molto giustamente ancora in conformità della fede
e della ragione: « la postérité d'Adam n'a pu s'étendre jusqu'à
la Lune, ni envoyer des colonies dans ces pays-là » (1). Anche
il Flammarion confessa che; a gli abitanti della Luna, se esi
stono, debbono essere assolutamente diversi da noi e per orga
mizzazione e per intelletto » (2). Osserviamo tuttavia di pas
saggio, che quando costoro discorrono dei seleniti, sia subvolvi,
sia privolvi, cioè di quelli che suppongono abitare l'emisfero
lunare a noi visibile, o l'altro, attribuiscono loro tutte le pro
prietà come ad uomini quali siamo noi, e le osservazioni, e le
sensazioni e gli affetti non solo, ma e le operazioni stesse degli
uomini, e case ed edifizii e strade e canali e borgate e persin
città popolatissime. E infatti come discorrere altrimenti di
esseri ragionevoli, di natura diversa e del modo di abitare,
dopochè non esistono che nella propria imaginazione?
84. Ammesso pur dunque come possibile, che nella Luna,
e magari anche nel Sole e nel suo fuoco si trovino degli abitanti
invisibili, a i cui corpi, come suppone il Lambert, sieno d'asbesto,
o di qualche altra sostanza impenetrabile alla fiamma (3) º non
ne viene certo di conseguenza che anche vi sieno realmente.
Quante cose non sono mai possibili, e che pure non si effettue
ranno mai! Quando si dice che il numero possibile dei pianeti
si conta a centinaia di milioni, e che parecchi possono essere

(1) Entretiens sur la pluralité des mondes 1686.


(2) Astronomia Popolare, p. 196.
(3) Lambert, Cosmologische Briefe, p. 44.
ARTICOLI E MEMORIE 31

abitati da creature molto più perfette di noi, e allora, dice il


Newcomb, noi possiamo dare libero corso alla nostra fantasia,
colla morale certezza che la scienza non proferirà parola, nè in
approvazione nè in disapprovazione delle nostre finzioni ». Tanto
abbiamo dalla bocca di uno dei più accreditati ed imparziali
astronomi del nostro tempo, da cui si può dedurre, che si debba
pensare dei nostri popolatori di mondi, che vorrebbero innestare
le loro speculazioni, o meglio finzioni, all'albero della scienza
astronomica.

Fuori del campo del possibile, non hanno sodi argomenti


per entrare in quello della probabilità. Non la vantata analogia,
perchè, dice ancora il citato astronomo, a attesa l'immensa di
versità di condizioni sparse probabilmente nell'universo, noi non
potremo, stando all'analogia, sperar di trovare se non pochissimi
punti più fortunati, dove s'incontrasse la vita sotto forme al
quanto interessanti n. La logica poi e la scienza non ammettono
un genere d'induzione, per cui dallo stato di un individuo, per
noi la Terra, si conchiuda senza meno allo stato di un altro
individuo, poniamo la Luna, sopratutto se questo, com'è appunto
il nostro satellite, sia posto in condizioni affatto diverse. Se
la sovrabbondanza di vita, osservata in alcune regioni tropicali
del nostro globo, ci sarebbe un criterio assai fallace ad inferir
una simile sovrabbondanza pei ghiacci del cerchio polare o per
le arene del deserto di Sahara; molto meno varrà l'illazione
dalla vitalità così rigogliosa, in genere, sul nostro pianeta, ad
una somigliante vitalità, non che in tutto l'universo, ma nep
pure negli altri pianeti, e neppure nel nostro satellite.
Nè vale di più dell'analogia, l'argomento della convenienza.
Poichè la mostra piccola mente s'inganna troppo spesso nel giu
dicar delle convenienze o delle sconvenienze nell'assetto della
natura. I molti abbagli presi in altri tempi da coloro che nello
studio dei fatti naturali credeano potersi giovare di siffatti
criteri, hanno mostrato abbastanza quanto ingannevoli essi
sieno.

85. Ma l'argomento più forte, che credono arrecare alcuni,


sta nella causa finale. Ci sono, dice il Faye, molte persone, le
quali si sono fatte l'idea a priori dell'universo, che, per avere
uno scopo od utilità per esistere, debba essere popolato. « A
32 ARTICOI.I E MEMORIE

quoi bon, disent-elles, à quoi bon tous ces astres, s'ils sont
déserts, si la vie en est absente? » (1). Ma se trattasi del Sole
e della Luna, essi sono stati fatti a ut luceant in firmamento
coeli et illuminent terram, .... et dividant diem ae noctem, et sint
in signa et tempora, et dies, et annos. (Gen. I, 14-15).
E il Sole e la Luna hanno sempre fatto così, et factum est
ita, e non lo negheranno pur quelli, che non credono all'ispi
razione divina del Genesi; e continueranno a fare, chi ne
dubita? Dunque al Sole ed alla Luna è già assegnato un fine
che di fatto conseguiscono, apportano già delle utilità e dei
vantaggi, e quali ! senza pur bisogno che sieno abitacoli d'altri
viventi. Può essere che Iddio abbia unito anche questo van
taggio, ma noi non lo sappiamo, nè è necessario ammetterlo per
avere una ragione sufficiente di loro esistenza, nè dover escla
mare a a quoi bon le Soleil et la Lune, s'ils sont déserts, si la
vie en est absente? ». Se trattasi di tutti gli altri astri, pianeti
o stelle fisse che sieno, quello che sappiamo di positivo, di certo,
anzi di certezza di fede si è, che a fecit Deus stellas, et posuit
es Deus in firmamento coeli ut lucerent super terram » (Ivi 16-17).
u affinchè splendessero sopra la Terra » e questo hanno fatto
e continueranno a fare, fin a quel terribil giorno in cui
a stellae cadent de coelo et virtutes coelorum commovebuntur n.
(Matt. 24, 29).
Il fine lo hanno anch'essi. Da quegli innumerevoli mondi,
siano essi visibili ad occhio nudo o solo mediante il telescopio,
o non sieno ancora visibili, ma che diverranno tali, più tardi,
come non erano tanti prima dell'invenzione del cannocchiale,
l'uomo può e dee sollevarsi alla cognizione della grandezza del
suo Creatore, perchè coeli enarrant gloriam Dei (Ps. 18,1) et ele
vata est magnificentia tua super caclos. (Ps. 8,2). Certo lo spirito
umano si perde in considerando la sterminata mole di tali corpi,
la distanza loro immensa e quasi infinita dalla terra, l'inesausta
luce, l'ordine e il concerto di lor movimenti, e domanda a qual
fine mai tanta magnificenza e tanta profusione. Una risposta
c'è, e dovrebbe essere per tutti gli uomini quella, che di fatto
dà il reale salmista, quando l'anima sua, considerando tutte

(l) Annuaire du Bureau, 1881, p. 673.


ARTICOLI E MEMORIE 33

quelle celesti meraviglie, prorompe in quelle affettuose lodi e


benedizioni al suo Facitore, come abbiamo in innumerevoli
luoghi dei suoi salmi. È vero che Dio solo conosce tutti i fini
delle sue opere, e se abbia assegnato agli astri ancor quello
di essere dimora di altre sue creature, noi non sappiamo. Nè
la fede nè la scienza nulla ci dicono, e non rimane, che a il
dilettomi pensare - a cui potrà ognuno abbandonarsi a sua
voglia. Ma diceva l'Huygens a ce qui m'oblige de croire qu'il
y a dans les planètes un animal raisonnable, c'est que sans
cela notre Terre serait extraordinairement priviligièe ; elle
serait trop élevée en dignité par dessus les autres planètes (1).
a Le ciel même, dice poi l'autore della rivista dell' opera del
Flammarion a la pluralité des mondes » (2), le ciel mème
semble solliciter l'homme à ne plus se croir l'alpha et l'omega
de la création ». « Siamo umili, predica il Flammarion, Siamo
umili per comprendere l'insegnamento della natura, però quando
l'abbiamo compreso (cioè quando la penseremo come il Flam
marion) siamo sicuri (cioè ci rideremo della divina Rivelazione,
non ammettendo che l'infallibità della nostra ragione). È sin
golare, osserva qui meritamente l'autore degli Articoli . I cieli
e i loro abitatori n (3) che i moderni maestri d'incredulità si
sentano necessitati così spesso di riconoscere, che la loro pretesa
scienza non approda ad altro che ad avvilire l'umana natura.
Il trasformismo trascina l'uomo nel fango, dichiarandolo speci
ficatamente pari alle bestie, e solo accidentalmente superiore
ad esse. Il materialismo lo converte in una macchina non
superiore per dignità ad una locomotiva. Ed ecco la dottrina
panteisticamente proposta della vita universale viene a con
trapporre al genere umano se non altro infiniti popoli imaginarii
di creature ragionevoli, e pari o superiori a lui ... Vera umiltà
per noi uomini è piuttosto il non presumere di arrivare colla
mostra corta ragione a divisare che assetto convenisse o disdi
cesse all'infinita Sapienza di dare all'universo intero, noi, che

(1) Cosmotheoros, sive de Terris coelestibus earumque ornatu conje


cturae; La Haye, 1698. Cfr. Hoeffer. Hist. Astron. p. 621.
(2) Cosmos. Année 1864.
(3) Civ. Catt. Serie XI. Vol. X. 1882. p. 163.
34 ARTICOLI E MEMORIE

ci smarriamo sì spesso nel trovare le convenienze di ciò che


trovasi nel piccolo globo dove abitiamo n.
Se il Flammarion nel suo razionalismo incredulo, afferma
essere incredibile che il Figliuol di Dio scegliesse questo atomo
del creato per incarnarsi a salute di cotesto minimo genere
umano, noi gli diciamo, che l'infinito abbassamento d'un Dio
nell'incarnazione per salute di sue creature, rimarrebbe sempre
incomprensibile alla ragione, ancorchè si supponga intrapreso
per salute, non della sola piccola famiglia di Adamo, ma d'in
numerevoli mondi. Questa seconda ipotesi appagherà forse la
mostra fantasia, ma davanti alla ragione essa non diminuisce
d'un punto il mistero, che non si chiarisce, se non per la con
siderazione dell'infinita bontà di Dio.
( La fine nel prossimo fascicolo).

BELLINO CARRARA S. J.
Prof. nel Collegio M. G. Vida in Cremona.
illnno l. Èlgosto 19CO. il)llm. 8.

RIVISTA

ST. MORITZ, DORF & BAD. pcriccici che riproucono articoli

scia trivista sono pregati a citarla,

per quanto riguarda piccione co imministrazione


speòire al Can. Drof. Dietro ſiſ)affi, Navia.

esce - 2o - oe- -ese. IN a V) i ºl


per l' Italia Anno L. 12 º". L. 7. -remiata tipografia fratelli fusi
per l' Estero - Anno L. 14 - semestre L. 8. 19OO.
LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

Studio Storico - Scientifico.

XIV.

86. Ci troviamo omai al punto di dare le ultime conclusioni


sulla costituzione fisica della Luna. Una grande autorità su
questo soggetto si sono acquistata a nostri giorni i Sigg. Loewy
e Puiseux, dopo la pubblicazione del loro Atlante lunare. Nella
occasione in cui fu dato in luce il quarto fascicolo di quel
l'ammirabile Atlante fotografico, essi hanno riassunto le prin
cipali nozioni teoriche che in parte hanno loro indicate le
precedenti ricerche, alle quali le conclusioni che discendono
dal nuovo fascicolo credono debbano dare maggiore consi
stenza (1). -

a 1.” Sotto l'aspetto del rilievo, esiste un'analogia ge


nerale fra i mari della Luna e i fondi dei nostri oceani. In
questi fondi le superficie convesse hanno maggiore estensione
dei bacini concavi, che si trovano per lo più verso il limite
dell' area abbassata. Parimenti i mari della Luna presentano,
d'ordinario verso i limiti, delle depressioni assai pronunciate.
Nell'uno come nell'altro caso, osserviamo le deformazioni nor
mali d'un globo, che è in via di ritirarsi e viene tolto all'azione
erosiva delle pioggie, le quali per contrario tendono a far pre
dominare le superficie concave.
2.” Per trovare un'eguale rassomiglianza nelle parti pro
minenti, bisognerebbe poter ristabilire sulla Luna i tratti can
cellati dalle eruzioni vulcaniche, come sulla Terra, quelli che

(l) Queste nove conclusioni si trovano pubblicate nella loro originale


integrità nel fascicolo l Settembre 1899 del Ciel et Terre, e nel Cosmos.
Revue des Sciences. 22 Juillet 1899, al titolo : « Constitution physique
de la Lune ».
LA SELENOG RAFIA ANTICA E MODERNA 117

sono scomparsi per il lavorio delle acque. Noi siamo in caso di


supplirvi in qualche modo, mettendo a parallelo, da una parte
i massicci lunari relativamente poveri di circhi, e dall'altra le
catene terrestri di recente formazione, nelle quali la struttura
iniziale è suscettiva d'essere ricostituita senza troppi sforzi.
Noi osserviamo allora, sulle catene che circondano i mari lunari
come su quelle che incorniciano i bacini mediterranei, il con
trasto d' un versante interno, ripido ed erto, e d'un pendio
esterno dolcemente inclinato. Tale opposizione è così frequen
temente spiccata sulla Luna, che si può attribuirne la causa ad
una rottura degli strati, senza pretendere la conferma strati
grafica, fino ad ora ineffettuabile.
3. Lo sviluppo più considerevole acquistato dai mari nella
parte orientale del disco lunare, mostra che i fenomeni d'abbas
samento dovettero manifestarsi ad un' epoca più antica, che
nella parte occidentale. Se la cosa sta così, si dee prevedere
che la crosta vi ha imprigionati i gas in quantità relativamente
maggiore, ed opposto una resistenza meno efficace alla loro
espansione. In fatti dalla parte di Est gli orifizi isolati si
mostrano in maggior numero alla superficie dei mari, e le forze
vulcaniche hanno prodotto dei sistemi raggianti, estesi per tutte
le direzioni.
Lo sviluppo di questi fenomeni richiedette necessariamente
un tempo considerevole, e si può ammettere, che questi piani,
solidificati innanzi di quelli della parte Ovest della Luna, sono
giunti, dopo lungo tempo, ad una configurazione poco differente
da quella che posseggono al giorno d'oggi.
4.º La formazione dei mari principia dall'affondamento
d'una vasta regione, che isola tosto una spaccatura circolare;
questa frattura non segna in generale il futuro limite del mare.
Possiamo citare dei casi in cui l'area affondata si sottrae tutta
intiera alla sommersione, ed altri in cui la parte centrale è la
sola invasa, ed altri finalmente in cui la primitiva cinta è
sorpassata e dove il mare s'ingrandisce formando delle stri
sce marginali. I più grandi circhi sembrano esser giunti alle
loro attuali dimensioni per una serie di analoghe formazioni.
5.” L'epoca della solidificazione d'un mare non coincide
punto con quella della definitiva fissazione del livello nella
118 LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

parte centrale. Questa può abbassarsi ancora e determinare col


suo ritiramento la formazione d'una nuova crepatura parallela,
come la prima, ai limiti del mare.
6.” I nuovi fogli dell'Atlante, come i primi, ci forniscono
parecchi esempi di grandi circhi in cui la solidificazione, dovuta
al progressivo raffreddamento, si è effettuata a tre od anche a
quattro livelli differenti, separati da più chilometri d'intervallo.
I moderni sprofondamenti, paragonati agli antichi, offrono quasi
sempre un'estensione minore, un pendio interno più ripido, una
forma più regolarmente circolare. I più moderni, come quelli
che s'aprono sul fondo già assai depresso di Longomontano, non
hanno più alcuna traccia di sporgenza periferica, cioè il loro
apparire non sembra essere stato preceduto da un solleva
mento.
7.” Ciò non ostante questo fenomeno d'intumescenza della
crosta lunare, considerato da noi come il solito preliminare
della formazione dei circhi, ha in certi casi eccezionali, ma
molto ben accertati, dato origine a figure convesse la cui parte
centrale non è affondata.
8.” Abbiamo precedentemente indicato come era possibile
in un numero abbastanza grande di casi, di assegnare l'età
relativa dei circhi, secondo lo stato di conservazione del loro
riparo, e lº sommersione più o meno completa della loro ca
vità interiore. Nei luoghi invasi dalle strisce, possiamo giu
dicare da un altro carattere, dell' epoca più o meno remota
della solidificazione interiore dei circhi. Conviene porre in
prima linea, per ordine d'anzianità, quelli che hanno ricevuto
e conservato un rivestimento bianco uniforme; in seguito quelli
che hanno solo tracce di alcune deboli strisce e tardive
sotto forma di liste; infine quelli che sono rimasti al tutto
intatti e si staccano oggi per la loro tinta oscura dalla regione
circostante.
Questo criterio cronologico, più deciso di quello che si
fonda nello stato di conservazione delle sporgenze, c'istruisce
eziandio sopra l'anzianità relativa della solidificazione nelle
diverse parti dei mari. Sgraziatamente fallisce nelle regioni
molto numerose, ove le strisce non sono punto estese.
9.” In generale i grandi sistemi di strisce ricoprono
LA SELENOGBAFIA ANTICA E MODERNA 119

indistintamente tutti gli accidenti del suolo posti sul tragitto


di quelli. Questa circostanza ci ha già permesso di concludere
che le formidabili eruzioni vulcaniche, di cui la Luna è stata
teatro, appartengono a un periodo recente nella storia del nostro
satellite. Esse dovettero essere precedute dalla solidificazione
quasi completa dei mari e del fondo dei circhi. Lo stesso fatto
ci sembra dover esser preso in grande considerazione nel
problema, così spesso discusso, dell'atmosfera della Luna. Non
solamente, in fatti, queste eruzioni hanno messo in libertà delle
quantità importanti di gas o di vapori, ma la diffusione delle
ceneri a grandi distanze, suppone un inviluppo gassoso d'una
certa densità. La debolezza relativa della gravità, aiuta, è vero,
a comprendere la loro ascensione iniziale ad un'altezza consi
derevole. È necessario tuttavia che la resistenza dell'atmosfera
sia stata sufficiente per ritardare la caduta di queste polveri
durante un tragitto che può raggiungere o sorpassare 1000 Km.
Il tempo trascorso dalle grandi eruzioni, è esso stato
bastante per produrre lo sparire totale di questo inviluppo
gassoso? Si è condotti a dubitarne se si esamina il meccanismo
delle due cause principali che hanno potuto agire in questo
senso. La corteccia, più solidificata nel suo insieme, non doveva
assorbire i gas che con lentezza e difficoltà. Lo sperdimento
nello spazio delle molecole, animate da velocità abbastanza
grandi per entrare nella sfera d'attrazione d'un altro corpo,
diveniva necessariamente sempre più lenta, man mano che
la temperatura diveniva più bassa. Troviamo quindi nel
l'esame del suolo lunare un serio motivo per credere che
sussista ancora all'ora attuale, un residuo d'atmosfera, la cui
misura, pur recando seco grandi difficoltà, potrebbe essere cal
colata.

Questa riduzione s'aggiunge a quella che fornisce la di


scussione delle ecclissi e delle occultazioni. La cura che gli
astronomi mettono da alcuni anni nello studio di questi feno
meni, e il gran numero d'occultazioni delle piccole stelle, che
ora si osservano ad ogni ecclissi totale, danno luogo a sperare
che questa discussione potrà ben tosto essere ripresa sopra
nuove basi e farà discendere delle conclusioni più precise ».
87. Quanto all'origine ed ai periodi di formazione della
120 - LA SELEN 06 RAFIA ANTICA E MODERNA

corteccia lunare è impossibile citare in eactenso la Memoria dei


medesimi illustri selenografi a Sur la constitution de l'écorce
lunaire » ove abbondano le considerazioni nuove e le viste
originali. Presenterò la dottrina loro in compendio, e tanto
più fedelmente, quanto più i medesimi autori si sono presi
la cura di sintetizzare qua e colà le loro idee. Premetterò in
nanzi qualche osservazione.
La superficie della Luna non è certamente una copia di
quella della Terra. Ma tutti i tratti che le sono propri si prestano
bene in definitiva, come suol dirsi, ad una classificazione lo
gica se ci proviamo a ricercarvi gli stadii necessari del raf
freddamento d'un globo incandescente. Secondo la comune
spiegazione dei geologi, in generale, i raffreddamenti dei globi
celesti, vengono ad operarsi così. Supposto il globo allo stato
di fluidità ignea, lo strato ultimo esterno emette calore verso
lo spazio infinito che ne rimanda pochissimo; i materiali che
stanno alla superficie si raffreddano rapidamente, divengono
sempre più densi, e cominciano a discendere fino al punto in
cui incontrano uno strato di densità uguale alla loro. In alto
vengono sostituiti da un liquido più caldo. Lo strato seguente,
raffreddato dai materiali, che dalla superficie sono venuti fino
a lui, diventa a sua volta la sede dei movimenti discendenti
ed ascendenti al tutto simili, quantunque d'un'ampiezza minore.
Questo gioco si propaga in tutta la massa, che partecipa così
al raffreddamento in tutte le sue parti, ma si rallenta allorchè
lo strato superficiale perde della sua liquidità.
Il globo divenuto pastoso, più non tarda ad incrostarsi. A
questo punto il fenomeno cangia subitamente d'aspetto. La
prima pellicola sopprime il rapido scambio che dianzi funzionava
tra il calore interno e il freddo dello spazio interplanetario. Il
calore è ormai costretto ad attraversare questa prima crosta per
la lenta via della conducibilità. La temperatura superficiale, non
essendo più alimentata dall'avvicendarsi degli incessanti scambi,
si abbassa rapidamente; l'astro si estingue e diventa opaco; in
poco tempo, in alcuni mesi forse, si potrà camminarvi sopra.
Le lave che rigettano oggi i nostri sfiatatoi vulcanici dànno
un'idea di questi fenomeni. Questa lava, dapprima incandescente,
s'incrosta molto presto, ma al di sotto resta fluida per in
LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA 121

tieri anni, e colà lungo tempo ancora sotto la sua crosta


solidificata e raffreddata,
Or bene, riguardare la storia passata del nostro satellite
secondo questi vari stadii di raffreddamento, e risalire alla
causa fisica degli accidenti che presenta la superficie lunare, è
il metodo che, nella succitata Memoria, hanno seguito e svilup
pato gli astronomi Loewy e Puiseux.
Dopo aver essi combattuto gli argomenti opposti all'ipotesi
dell' origine vulcanica di questi accidenti, vengono a distin
guere la storia della formazione della corteccia lunare, tale
quale noi oggi la vediamo, in cinque periodi.
88. Periodo Primo. – Fenomeni di congiungimento e
di rottura delle scorie fluttuanti alla superficie della Luna.
Prendendo per punto di partenza lo stato di fluidità completa
gli illustri astronomi riconoscono come primo periodo ben deter
minato quello in cui appariscono alla superficie, delle scorie
agglomerate in banchi sempre più estesi, spesso dislogati sotto
l'azione delle correnti e riunentisi sempre a lungo andare sotto
l'influenza del raffreddamento. Le linee di congiungimento e di
rottura sono, in molti casi, rimaste apparenti, e si dispongono se
condo sistemi regolari, che le fotografie mettono in luce. I solchi
rettilinei, trasformati in orli rialzati per una forte pressione
laterale, od al contrario, in larghe spaccature, per una graduale
disgiunzione, si riuniscono alla fine di questo primo periodo,
quando la corteccia possiede un certo grado di mobilità nel
senso orizzontale.
89. Periodo Secondo. – Saldatura delle cortecce e for
mazione delle aperture.
La costituzione d'una continua corteccia sulla Luna, con
trassegna il principio d'un secondo periodo, quello in cui le
lave che s'accumulano in certi punti, sotto l'influenza dell'at
trazione della Terra ovvero di tutt'altra cagione, non incontrando
più libere uscite verso la superficie, sono obbligate a crear
sene di nuove. In un inviluppo ancora mediocremente resistente,
questa tendenza si fisserà colla formazione delle crepature.
Delle lave si spandono per la via così aperta sulla superficie
della Luna. Esse non tardano a solidificarsi, lasciando alle parti
che hanno coperto, l'aspetto di piani uniti. Nello stesso tempo
122 LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

questi sforzi di sollevamento, operando sopra aree estese, li


mitate irregolarmente, cominciano a designare dei massicci
montagnosi. Le regioni elevate, povere di circhi, rese aspre
da scorie, il cui accumulamento si è fatto senza regolarità
alcuna, possono dare un'idea di ciò che dovea essere allora
l'aspetto del nostro satellite. -

90. Periodo Terzo. – Genesi dei circhi. Origine delle


montagne centrali.
Col tempo la corteccia diviene più solida; non si apre più
che sotto l'azione delle interne pressioni assai possenti da
sollevarla, producendo così delle intumescenze coniche, primi
lineamenti dei circhi. Questi acquistarono l'attuale fisionomia
coll'abbassamento progressivo e la sommersione parziale della
loro regione centrale.

9l. Prima di proseguire nell'esposizione degli altri due Periodi, gio


verà fare qualche osservazione che potrà, come credo, gettare qualche
luce su tutto l'argomento, che stiamo trattando.
Se il progressivo raffreddamento è la causa, diremo così, comune
della formazione dei pianeti e loro satelliti, vi debbono pur essere altre
cause speciali, proprie a ciascun globo, in virtù delle quali il raffredda
mento prende sopra ciascuno d'essi un andamento particolare o individuale
che si voglia dire, producendo dei risultati, che, per intenderci, diremo
geologici, assai differenti. Qui secondo il Loewy e il Puiseux, la genesi
dei circhi lunari trova la sua causa speciale nelle pressioni interne
possenti, e l'ultima forma finale, attualmente esistente, nell'abbassa
mento progressivo e nella sommersione parziale della regione centrale.
Secondo la loro opinione, si può supporre che la forza dei gas,
agendo perpendicolarmente agli strati superficiali e secondo le linee di
minima resistenza, dovesse rompere l' inviluppo e produrre dei solleva
menti in forma circolare. Di qui i grandi bastioni delle pianure. Segui
rono poi nuovi sollevamenti, i quali, avendo luogo in epoca in cui la
crosta del globo lunare aveva raggiunto un maggior spessore, od essendo
prodotti da forze elastiche meno energiche, diedero origine a circhi, per
dimensione inferiori alle formazioni primitive. In appresso saranno apparsi
gl'innumerevoli crateri di mezzane dimensioni, i quali ora pullulano,
come abbiamo veduto, su tutto il suolo della Luna a noi visibile. S'in
tende di leggieri la ragione della successiva diminuzione di questi anelli
selenologici. Ciascuno d'essi è dovuto ad un sollevamento in forma di
bolla; ora le dimensioni di siffatte specie d'ampollosità dovettero essere
LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA 123

in rapporto coll'intensità della forza interna, che le produceva, e colla


resistenza della crosta solida o piuttosto pastosa del globo lunare. È
probabile che queste due cause sieno concorse a produrre gli effetti di
sopra notati, di guisa che, in generale, le prime a formarsi sieno state
appunto le suddette maggiori circonvallazioni.
ll fondo dei circhi è liscio. Quando le loro dimensioni sono molto
considerevoli, sembra che seguano la curvatura stessa del globo lunare.
Per conseguenza questi fondi, rimasti allo stato di fluidità ignea lungo
tempo dopo la prima formazione della crosta lunare, hanno dovuto soli
dificarsi molto tranquillamente. La loro enorme depressione ci conduce
ad un'altra conseguenza. Come la somma delle aree dei circhi è una
frazione molto notevole della superficie dell'astro, la massa interna ha
dovuto raffreddarsi per questo e contrarsi un po' più presto, di quello
che se essa fosse stata protetta per tutto contro il raffreddamento da
una crosta continua. Da ciò la depressione finale di tutti questi cra
teri. In fine tali pozzi hanno un margine più o meno sollevato al di
sopra del suolo. Bisogna che il liquido se lo abbia formato, riversandosi
a più riprese al di sopra dell' orifizio, ciò che in verità esige un mo
vimento oscillatorio , per lungo tempo ripetuto nel senso verticale.
Allora la forma circolare di tali formazioni si spiegherebbe col continuo
intervento d'un liquido incandescente, che avrebbe ben presto fatto
sparire, per via di fusione, le irregolarità dell'orifizio primitivo,
92. Secondo il Faye poi, la Luna sempre priva d'acqua, non poteva
presentare la stessa ineguaglianza della Terra nel suo cammino di raf
freddamento, e per conseguenza nella formazione della sua corteccia.
Quindi essa non ha nulla di ciò che caratterizza l'azione dell'acqua nel
raffreddamento della crosta terrestre. Gli accidenti che ci mostra la Luna
vengono da tutt'altra causa. In ciò l'illustre geologo s'accorda coi celebri
selenologi di Parigi il Loewy e il Puiseux. La discrepanza loro sta in
questo, che mentre essi trovano la causa dei sollevamenti lunari nel
l'interno stesso della massa lunare, « per l'azione delle interne pressioni
assai possenti » il Faye la pone ab ectrinseco, cioè nell'attrazione eser
citata sovr” essa dalla Terra.
Rappresentando il globo lunare allo stato liquido, egli considera
appunto l'effetto dell'attrazione esercitata sopra di esso dalla Terra, come
simile, ma assai più notevole di quello prodotto dalla Luna sui nostri
mari, quando attraendone l'acqua vi produce una convessità, donde nasce
il fenomeno dei flussi e dei riflussi. Venne poi formandosi a poco a poco
per raffreddamento sulla superficie di quel mare una scorza solida, da
principio assai fragile e soggetta a franare qua e là, restandone come
bucherellata. Rinnovandosi poi le maree, il liquido interno riboccava per
quei fori ad altezza assai maggiore che se tutta la superficie ne fosse
124 LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

stata aperta, appunto come avviene nelle nostre maree, che nei mari
rinchiusi si levano ad altezze di gran lunga maggiori che nell'oceano.
Così avvenne che la pasta semi-liquida del nocciolo della Luna, river
sandosi per le bocche della corteccia esterna, vi formasse quegli orli
rialzati, che fanno loro corona, finchè raffreddandosi tutta via e restrin
gendosi, venne a consolidarsi e a formare il suolo dei crateri, alla grande
profondità a cui li vediamo. Tale è in succinto la teoria del Faye, esposta
nel lavoro citato : Comparaison de la Lune et de la Terre ecc. pub
blicato nell'Annuaire du Bureau l88 l. Essa è contraria all'opinione più
comune, che ammette essere vulcanica l'origine dei crateri lunari, poi
chè quella l' attribuisce all' attrazione terrestre. Però anch'essa è assai
bene fondata e quanto a forti obbiezioni che contro l'altra solleva, e
quanto alla verisimiglianza della formazione dei crateri lunari da lui
imaginati. Proseguiamo ora nella rassegna dei periodi selenologici secondo
il Loewy e il Puiseux.

93. Periodo Quarto. Abbassamento generale che dà


origine alle depressioni note sotto il nome di mari.
A lungo andare, i sollevamenti devono passare allo stato
d'eccezione e non abbracciare che aree sempre più ridotte. E
per contrario, abbassamenti generali divengono possibili i
quali devono estendersi a superficie tanto più grandi, quanto
la crosta è più capace di mantenersi senza appoggio. Allora
s'apre il periodo più grandioso e il più durevole nei suoi
effetti, quello cioè che tirò seco la distruzione d'una gran parte
del rilievo anteriore, e diede a tutto l'assieme del globo lunare
un aspetto pochissimo differente da quello che noi gli vediamo
oggidì ! Questi abbassamenti provocati dalla contrazione gene
rale del fluido interno, abbracciano insieme le vaste regioni,
che designiamo sotto il nome di mari, e fanno rifluire alla su
perficie, in nappi uniformi, enormi quantità di lava. Degli alti
piani uniformi si costituiscono allo stato di massicci isolati, e,
negli intervalli, una moltitudine di solchi e di circhi dispaiono
per sommersione. Si potrà farsi un'idea dell'importanza del
cangiamento operato, paragonando le regioni polari ed equato
riali, oggi si dissimili, e che senza dubbio prima offrivano lo
stesso aspetto. I primi tratti nuovi che si mostrano nei piani
uniformi, così formati, sono crepacci che ne seguono i margini
e s'ingrandiscono con i progressi dell'abbassamento, fino al
LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA 125

punto in cui un nuovo versamento di lava si apre una via, li


ottura, ovvero li trasforma in cordoni sporgenti. Le fessure più
recenti possono tuttavia restare aperte, ovvero rivelarsi colla
differenza d'altezza, che esiste tra le due rive.
94. Periodo Quinto. – Eruzioni vulcaniche. – Macchie
bianche e strisce divergenti. -

Il quarto periodo ha ricondotto la corteccia lunare ad uno


stato più permanente, di cui attualmente non sembra possibile
prevedere il termine. Tuttavia l'esistenza di macchie e di strisce
che ricoprono indifferentemente i mari, gli altipiani, i bastioni e
il fondo dei circhi, prova senza replica l'esistenza d'una fase
d'attività più recente che la solidificazione della superficie dei
mari. Vi ha dunque luogo a considerare un quinto periodo,
quello in cui, in ragione dello spessore crescente della corteccia,
le forze vulcaniche più intense arrivano sole a manifestarsi
con eruzioni violente, temporanee e limitate ad orifizi di poca
estensione.

Nelle parti montagnose esse creano delle aperture parassite


che degradano e rendono talora disconoscibili le antiche for
mazioni. Nei mari le forze vulcaniche, obbligate a traversare
una crosta più densa e più omogenea, producono l'apparizione
di coni regolari, ordinariamente trasformati in piccoli circhi
per l'abbassamento del loro centro. Alcune grandi formazioni,
come Copernico, poterono apparire in questa maniera.
I circhi così formati in epoche relativamente recenti, nel
loro maggior numero si distinguono per la loro situazione isolata
in mezzo d'un piano, per la regolarità di loro figura, per le
aureole bianche che li circondano, e rendono testimonianza di
eruzioni violente sopravvenute in vicinanza del loro centro.
Nello stesso tempo questi fenomeni fanno cangiare in parte
il colore del suolo, senza cancellare i principali accidenti. Delle
strisce bianche, uscite da determinati centri, irradiano in tutte
le direzioni e s'estendono talora a smisurate distanze. La loro
recente età è dimostrata dal fatto ch' esse lasciano asso
lutamente intatto il rilievo delle regioni che attraversano, e
l'insieme dei loro caratteri apporta in favore dell'esistenza
passata d'un'atmosfera della Luna, una dimostrazione alla quale
sembra difficile sottrarsi.
126 LA SELENOGRAFIA ANTICA E MODERNA

95. Tale è il riassunto delle idee principali che ha sug


gerito ai Sigg. Loewy e Puiseux lo studio dei loro clichés. La
storia delle metamorfosi lunari solleva certamente delle questioni
assai complesse. Alcuni si mostrano meno ritenuti nel fare
deduzioni. Havvi a giorni nostri un'increscevole tendenza ad
esagerare il lato seducente dei notevoli progressi, dovuti ai
perfezionamenti istrumentali ed alle fotografie moderne. Si può
essere ben bramosi di conoscere tali progressi e provare soddi
sfazione a divulgarli, non si deve tuttavia dissimulare ch'essi
non apportano ancora alla Selenologia materiali sufficienti per
conclusioni definitive.
Però i progressi ottenuti, per quanto minimi, segnano un
passo in avanti verso la meta dell' associazione stretta fra
le scienze geologiche e selenologiche. Sotto questo aspetto gli
studi lunari hanno ampliato il nostro orizzonte.

BELLINo CARRARA S. J.
Prof. nel Collegio M. G. Vida in Cremona.
INI) I C E

ARTICOLI E MEMORIE

AMADUzzi L. – Sul fenomeno di Zeeman nel caso ge


nerale di un raggio luminoso comunque in
clinato sulla direzione della forza magnetica
(Sunto di una Memoria del prof. A. Righi) . Pag. 35
BAGNULo A. – Un nuovo a trasmissore, distributore
e collettore meccanico di forza, mercè i fluidi n n. 422
BATTELLI A. STEFANINI A. – Sulla Velocità dei raggi
catodici e sulla conduttività elettrolitica dei
gas (Sunto del Cav. Ing. B. Baroni) -
r 198
BERTELLI P. T. – Alcuni esperimenti ed appunti per
le lezioni di fisica - - - ri 193

BoFFITo P. G. – Se Dante sia stato meteorologo n. 487


BRAMBILLA G. – La galleria del Sempione e la geo
logia - - - - -
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17 127
57 – I soffioni di Toscana e l'acido borico r 407
BUFFA M. – La trasformazione della corrente alter
nata in corrente continua º 43
sº – I raggi Y - - - - - -
n. 396
CARRARA P. B. – La Selenografia antica e moderna » 3-116
CERETTI U. – Sopra alcune formole di matematici
arabi - - - - - - ri 97

DEL GAIzo M. – Michele Troia e le sue esperienze


sulla rigenerazione delle ossa m 385
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GRIBAUDI P. – La Geografia nel secolo XIX special
mente in Italia n. 49-508
MAGGI P. – L'Osservatorio e il clima di Volpeglino 280-369-465
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