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Piero Coda

Recensione a Lubomir Zak, Verità come ethos. La


teodicea trinitaria di P.A. Florenskij

Lubomir Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, prefazione di B. Petrà, «Collana
di Teologia», Città Nuova, Roma 1998.

Già più di ottant'anni fa, Sergej Bulgakov, il maggiore, forse, tra i teologi ortodossi del nostro
secolo, così si esprimeva a proposito di colui che fu suo grande amico e sotto alcuni aspetti
anche maestro, nonostante la sua più giovane età, Pavel Florenskij: «è un uomo assolutamente
unico nel suo genere, così che non so persino quale sentimento nutro per lui: amore, o
piuttosto una stima che sconfina nell'incredulità. Egli va senz'altro annoverato tra gli uomini di
cui si occuperà la storia» (p. 35).[1] Bulgakov vedeva giusto. Mano mano che il tempo passa, la
figura e il pensiero di Florenskij assumono il rilievo che loro spetta, un rilievo a tutto tondo, e
per tanti versi profetico. La poliedricità del suo genio -- fu matematico e fisico, filologo e
storico delle religioni, poeta ed esperto d'arte, in particolare d'iconografia, filosofo e teologo --
l'hanno fatto paragonare a Leonardo da Vinci e a Pascal. Ma egli offre qualcosa in più, rispetto
ad entrambi: un progetto, pensato e vissuto, di cultura integrale e innovativa, capace
d'intercettare i segni dei tempi perchè illuminato dal mistero antico e sempre nuovo dell'Agape
trinitaria.
La ricerca filosofica e teologica in lingua italiana è stata tra le prime a intuire la decisività della
lezione di Florenskij e a riservarle un crescente spazio d'approfondimento. Ne è testimonianza
di primo livello la recente monografia di un giovane teologo slovacco, Lubomir Zak, dal titolo
Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, che si concentra sul «primo
Florenskij» (1900-1917). Su di essa vorrei in questa sede soffermarmi, non tanto per
illustrarne e discuterne in dettaglio i molteplici e stimolanti contenuti, quanto piuttosto per
evidenziarne l'intuizione di fondo e il contributo nella direzione di una nuova esperienza del
pensare a partire dall'originalità dell'evento di Gesù Cristo. Ma a tal fine val forse la pena
iniziare tratteggiando il contesto entro il quale l'opera di Zak prende rilievo e significato.
Essa, intanto, tien dietro, a distanza di circa un anno, a quella, di taglio più squisitamente
filosofico, di Natalino Valentini: La Sapienza dell'amore. Teologia della bellezza e linguaggio
della verità,[2] che affronta il pensiero del grande genio russo sotto l'angolatura della
religioznaja filosofija, creazione tipica e originale della cosiddetta «età d'argento» del pensiero
russo. Un'opera, quella di Valentini, anch'essa di gran pregio. Il lavoro di Zak, inoltre, è stato
seguito a ruota dal saggio di un altro giovane filosofo, Graziano Lingua: Oltre l'illusione
dell'Occidente. P.A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa,[3] che privilegia l'approccio
epistemologico e s'addentra, in particolare, con pertinenza e originalità, nel «secondo
Florenskij». A ciò si aggiunga il buon numero di testi florenskijani pubblicati o in via di
pubblicazione in lingua italiana,[4] di cui danno conto le accurate bibliografie di e sul nostro
Autore contenute in ciascuna di queste opere. Tanto che viene da chiedersi quali possano
essere i motivi di questo cospicuo contributo che la teologia e la filosofia in Italia sta offrendo
alla Florenskij-Renaissance: di recente, il teologo rumeno Ioan I. Ica, discepolo di uno dei più
eminenti teologi ortodossi del secondo dopoguerra, D. Staniloae, mi faceva notare che i tre
saggi prima citati debbono considerarsi senz'altro all'avanguardia, in Europa, negli studi su
Florenskij. Una renaissance, in ogni caso, che mostra di avere tutte le caratteristiche di un
evento culturale e spirituale di rilievo, alle soglie del terzo millennio. Non è di poco conto, ad
esempio, che Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio (n. 74), indichi esplicitamente anche Pavel
Florenskij tra quei pensatori che hanno condotto una «ricerca coraggiosa» indirizzata a un
fecondo incontro tra filosofia e Parola di Dio, addittandolo a modello ed esempio di un
pensare che attinge con fiducia e coerenza alle sorgenti della fede cristiana.
Tra i motivi di cui sopra, c'è senza dubbio da segnalare il fatto che la prima lingua in cui è stata
tradotta l'opera maggiore del geniale pensatore russo, La colonna e il fondamento della verità, è
stata l'italiano, nell'edizione che vide la luce nel 1974 (e che recentemente è stata ristampata)
curata da E. Zolla;[5] il quale, nel 1977, curò in aggiunta l'edizione di un altro significativo saggio
di Florenskij, vera pietra miliare nello studio teologico dell'icona: Le porte regali.[6] Così che
già nel 1988 si poteva svolgere a Bergamo il primo Convegno Internazionale di studi
florenskijani ideato e organizzato da Nina Kauschtschiscwili,[7] che con appassionata
determinazione in tutti questi anni ha diffuso e interpretato, soprattutto sotto il profilo estetico,
l'opera di Florenskji in Italia. Ma bisogna anche ricordare l'impegno pionieristico profuso da T.
Spidlik al Pontificio Istituto Orientale di Roma, un impegno che ha ricevuto un significativo
riconoscimento, nel dicembre scorso, in occasione degli ottant'anni dell'illustre studioso,[8] e
la cui preziosa eredità è raccolta, ormai da un decennio, dal Centro Aletti e dall'Editrice Lipa,
animati da M. Rupnik; così come gli studi sulla filosofia religiosa russa promossi, tra i primi,
nella Facoltà di Filosofia dell'Università di Torino, già a partire dagli anni '70, da N. Bosco: è in
questo contesto, ad esempio, che s'inserisce il ricordato saggio di G. Lingua; e, presso l'Istituto
di scienze religiose dell'Università di Urbino, da I. Mancini, alla cui memoria non a caso è
dedicato il volume di N. Valentini. Anche le pubblicazioni di autori russi presso le editrici Jaca
Book e La Casa di Matriona, per impulso dell'instancabile R. Scalfi di Russia cristiana, hanno
validamente tenuto vivo e alimentato questo interesse. Né bisogna infine dimenticare
l'interesse mostrato per Florenskij da M. Cacciari a partire dal suo Icone della legge.[9]
L'opera di Zak, che senza dubbio beneficia di tale vivace humus culturale e filosofico, ha la
peculiarità di muoversi entro un orizzonte teologico, anche se finemente attento alle
implicazioni metafisiche dell'esperienza di fede. Ha visto la luce, infatti, come tesi di dottorato
sotto la guida di B. Petrà (il maggiore esperto, in Italia, di etica ortodossa),[10] presentata
all'Istituto Superiore di Teologia morale Accademia Alfonsiana di Roma, incorporata
nell'Università Lateranense, testimoniando ancora una volta della qualità di una scuola
teologica che, secondo la lezione di S. Alfonso Maria de' Liguori, è caratterizzata da un'integrale
immersione nell'originalità dell'evento cristiano e, proprio per questo, da una ricca apertura
all'orizzonte intero dell'uomo e alla novità dei segni dei tempi. E ha trovato la sua collocazione
nella collana di Teologia dell'Editrice Città Nuova, che da circa un ventennio privilegia la
pubblicazione di opere di singoli autori e collettanee che, in dialogo col pensiero moderno e
contemporaneo e con un convinto respiro ecumenico, s'impegnano a focalizzare, a partire dalla
centralità dell'evento pasquale di Gesù Cristo, quella Luce trinitaria che, dischiudendo il mistero
di Dio, s'irradia sulla persona umana, sulla vita sociale, sul destino del cosmo. La ricerca di Zak,
infatti, è nata e si è sviluppata precisamente in questo ambiente spirituale e culturale, ad esso
offrendo al tempo spesso un prezioso stimolo e un ulteriore orizzonte di incontro e di verifica.
Vorrei in proposito ricordare come fu proprio nel cenacolo che, a partire dalla fine degli anni
'70, si venne a costituire attorno alla rivista Nuova Umanità, che, grazie in particolare alle
intuizioni e alla curiosità intellettuale di G.M. Zanghì, si evidenziarono le suggestioni preziose
del pensiero di Florenskij in ordine a un rinnovamento dell'ontologia in prospettiva
trinitaria:[11] le note tesi programmatiche di K. Hemmerle -- non bisogna dimenticarlo --
erano apparse in Germania nel 1976 [12] ed erano state tradotte in Italia dieci anni dopo, nel
1986, inaugurando così la nuova collana «Contributi di teologia».[13] Tanto che per un po',
spinto in ciò sia da G.M. Zanghì sia da K. Skalicky della Lateranense, accarezzai il progetto di un
saggio di confronto teoretico tra la dialettica hegeliana e il pensare trinitario di Florenskij, che
invece si concretizzò nella sola analisi dell'ermeneutica hegeliana della Trinità per poi
invece si concretizzò nella sola analisi dell'ermeneutica hegeliana della Trinità per poi
concentrarsi sulla teologia trinitaria e sulla sofiologia di S. Bulgakov.
È con la più viva soddisfazione, dunque, che viene spontaneo salutare il volume di Zak, anche
perchè testimonia della presenza sempre più viva e qualificata, nei centri accademici romani, di
una giovane e assai promettente leva di studenti e studiosi che, provenendo numerosi dalle
Chiese dell'Europa centro-orientale, dopo il crollo dei muri dell'89, stanno offrendo -- e, ne
sono convinto, sempre più offriranno -- un insostituibile contributo al rinnovamento della
teologia e della vita ecclesiale nella direzione di quel respirare coi e dai «due polmoni», di cui
tante volte, sin dagl'inizi del suo pontificato, s'è fatto interprete e propugnatore Giovanni Paolo
II.
Ma veniamo alla nostra opera. Anche da un primo esame risulta evidente che si tratta di un
contributo scientifico di primissimo ordine, non solo per ciò che concerne la ricerca
florenskiana, ma anche per il dialogo tra teologia orientale e teologia occidentale, tra teologia e
filosofia e, più in generale ancora, come già accennato, per la delineazione di quel «nuovo
pensare» o, meglio ancora, di quella «nuova Weltanschaung integrale», cui Florenskij ha
consacrato tutte le sue energie, sigillando la sua intensa avventura umana col dono della vita.
Egli, infatti, come noto, è morto martire della verità cristiana nel 1937, nei pressi di San
Pietroburgo, dopo dieci anni di reclusione in vari lager. In questa stessa direzione d'interesse e
approfondimento, vanno visti e letti anche due precedenti saggi del nostro giovane teologo:
P.A. Florenskij: progetto e testimonianza di una gnoseologia trinitaria[14] e Verso un'ontologia
trinitaria.[15]
Dal punto di vista metodologico, sottolineerei in quest'ultima ampia ricerca, in primo luogo,
l'accurata e pressoché esaustiva documentazione di prima mano, attraverso cui Zak
contestualizza e ricostruisce la genesi, le tappe e la configurazione del percorso di Florenskij,
mettendo a frutto le consultazioni da lui effettuate presso l'Archivio Florenskij e i contatti i
dialoghi, a Mosca e a Sergiev Posad (dove si trova la casa di Florenskij), con A. Trubacev,
nipote di Florenskij, con la prof.ssa E.V. Ivanova, storica della letteratura russa ed esperta
conoscitrice del pensiero florenskijano, e il matematico e filosofo S.M. Polovinkin. Ne dà
prova, in special modo, la prima parte del lavoro, Introduzione allo studio di P.A. Florenskij, che
dopo aver premesso alcune note di metodo, insieme a un'accurata storia della contrastata
recezione del pensiero florenskijano e al resoconto delle riflessione offerte dallo stesso
Florenskij a proposito della sua opera (pp. 29-65), procede a delineare, nei primi due capitoli
(rispettivamente, pp. 67-131 e 132-202), le grandi tappe del suo itinerario esistenziale e
intellettuale (peraltro inestricabilmente intrecciati): la Weltanschauung dell'infanzia, la crisi
nell'incontro con la visione scientifica del reale e soprattutto con la sua interpretazione
ideologica nella prospettiva del positivismo di fine '800 inizio '900, il ritorno alla «mistica»
dell'infanzia con la ricerca di «nuove categorie del pensiero e della vita», che matura
progressivamente nell'incontro coi maestri della matematica moderna (Bugaev e Cantor), con
quelli -- tra loro contrapposti -- della filosofia occidentale (Platone e Kant), e infine con A.
Belyj e l'avanguardia artistica dei simbolisti, per approdare infine alla gioiosa «scoperta della
Chiesa» quale «spazio vitale di una Weltanschaung trinitaria». In ciò, Zak non fa che seguire con
perizia le indicazioni offerte da Florenskij stesso che, negli anni della crescente aggressione
nei confronti della sua opera e della sua persona da parte del regime sovietico, decise di
stendere il ricordo dei suoi anni d'infanzia e giovinezza, per consegnare ai propri figli e a chi
avesse voluto proseguire la sua ricerca, intuendo ormai vicino il tragico epilogo della sua
vicenda, le chiavi che aprono la comprensione della sua vita e del suo pensiero. Già solo questa
aderente e godibilissima ricostruzione, colloca il nostro lavoro tra le cose più importanti, e
d'ora innannzi addirittura indispensabili, per l'accesso e il prosieguo della ricerca florenskiana.
Non si può poi non rilevare, in secondo luogo, la finezza ermeneutica con cui l'affascinante e
straordinariamente ricca vicenda di Florenskij ci è presentata -- direi -- quasi dal vivo.
Obiettivo prioritario di Zak, infatti, è quello di offrire «gli elementi necessari per una
comprensione dell'opera di Florenskij coerente con le intenzioni che ne alimentarono il fuoco
creativo». Un obiettivo che, perseguito con tenacia e intuito, è senz'altro coronato di successo.
In particolare, l'intenzione espressa nel prologo -- «far nostra la logica che anima il pensiero
di Florenskij» per «ascoltare il brusio di quella fonte originale da cui è stata plasmata, gestita e
penetrata ogni idea e l'intera struttura del suo pensiero» (p. 25) -- è pienamente realizzata.
Florenskij ha trovato un interprete secondo il suo cuore e secondo la sua mente.
«Comprendere l'anima altrui -- egli diceva -- significa incarnarsi in lui» (p. 26).
Si giunge così alla seconda parte, teoreticamente più impegnativa e originale, dell'indagine, la
quale, pur corposa e densa, si presenta anch'essa cristallina nel dettato e avvincente nel
pensiero: Verità dell'ethos. Il profilo etico della teodicea. È qui che si delinea l'opus
florenskijano nel suo inimitabile slancio costruttivo. Dopo aver richiamato l'ispirazione sorgiva
del progetto di Weltanschaung integrale che Florenskij ha faticosamente cercato e felicemente
intuito nella giovinezza e che ora, nella maturità spirituale e intellettuale, si dà a realizzare, Zak
rinviene e mostra acutamente l'articolazione che, secondo l'espressa volontà del nostro
Autore, deve strutturare e interiormente ritmare il suo nuovo pensare: la «teodicea» o salita
dell'uomo a Dio o metafisica dell'amore trinitario; e l'«antropodicea» o discesa di Dio all'uomo
o metafisica concreta dell'agire (cf pp. 195-202). Si tratta, come facilmente si può arguire, di
un'articolazione epistemologica tra teologia e filosofia, ortodossia e ortoprassi di grande
interesse e perdurante attualità e che, proprio per questo, resta ancora in gran parte da sondare
nelle sue riposte virtualità. Anche perché essa è volta programmaticamente a superare in
positivo, a partire dal centro della rivelazione cristologica, la "scissione" tutta moderna tra
trascendente e immanente, intelligibile ed empirico: in una parola, tra scienza e filosofia
moderna, da un lato, e fede cristiana, dall'altro.
Di qui, si snoda il contenuto dei capitoli terzo e quarto della ricerca di Zak: La Verità come
Trinità (pp. 224-297) e L'ethos della Verità (pp. 298-466). Leggendo queste pagine, per la
genialità propria del nostro Autore ma allo stesso tempo per l'intelligenza d'amore di chi gli dà
parola, si fa un'esperienza autentica di Luce e di Vita, di Verità e di Amore, che lascia
un'impronta duratura. Il vigore speculativo e la fedeltà analitica ai testi e alle questioni via via
esaminati si coniugano, con naturalezza, con una sincera vena di contemplazione spirituale,
secondo la più genuina tradizione della teologia orientale. «La vita -- costatava nel 1906
Florenskij -- scorre fuori della nostra dottrina di fede e i nostri dogmi sono fuori della vita...
Nella nostra dogmatica non vi è Dio» (p. 474). In queste pagine, si ascolta invece -- proprio
come agognava Florenskij -- la vita che scorre nell'intelligenza della fede e il pensare che
accade, sempre nuovo, vera dimora dell'Essere, come rivelazione di Dio Trinità.
Di tutto ciò è conseguenza e testimonianza, a un tempo, in un retrospettivo sguardo d'insieme,
la lineare e convincente struttura del lavoro, che si modella sull'articolazione profonda --
anche se talvolta implicita o appena abbozzata -- del progetto di pensiero di Florenskij: col
passaggio dalla necessaria e geniale premessa epistemologica costituita dalla «gnoseologia
trinitaria», allo schizzo antropologico ed etico, illuminati dal fuoco incrociato di contemplazione
(theologhía) trinitaria e di incarnazione e verifica ecclesiologica. Emerge chiaramente,
dall'insieme di queste pagine, che il contributo di Florenskij a un «nuovo pensare» che attualizzi
oggi, dopo aver attraversato i drammi e le chances della modernità, l'originalità dell'evento
cristiano è, per molti versi, decisivo. Le incomprensioni e le letture parziali o fuorvianti cui è
andata soggetta la sua eredità intellettuale e spirituale vengono drasticamente ridimensionate
dalla completezza e perspicacia dell'interpretazione. La quale non solo coglie il genio ispirativo,
il cuore pulsante di questo pensiero, ma ne disegna con maestria e ne ritesse con paziente
aderenza il filo d'oro d'esecuzione, ricostruendolo anche là dov'è stato interrotto, e sa allo
stesso tempo delineare i singoli apporti originali, e non di rado imprevisti, offerti da
Florenskij a non pochi e non piccoli temi della filosofia e della teologia. Molte sezioni della
ricerca, che affrontano con attenta precisione e con lucida passione talune di queste importanti
tematiche, costituiscono in effetti delle vere e proprie piccole monografie, che già da sé sole
meritano tutta la nostra attenzione e il nostro plauso. Penso -- per non fare che qualche
esempio -- alle pagine d'interesse epistemologico dedicate, in dialogo con la matematica, alla
«teoria dell'infinito» e alle sue ripercussioni sulla logica del pensare umano qua talis, chiamato
a com-prendere l'infinito nelle condizioni della finitezza (pp. 150-161), o al tema tipicamente
ortodosso, ma anche originalmente florenskijano, dell'antinomia come struttura onto-logica
del reale e del pensare nella loro intima e dinamica connessione trinitaria (pp. 224-250); o a
quelle dedicate, nella specifica prospettiva dell'ontologia trinitaria, a uno dei vertici più
innovativi e fecondi del pensiero di Florenskij, quand'egli affronta il tema decisivo -- dal punto
di vista della fedeltà/fecondità alla e della rivelazione cristiana -- della «Verità come Unità tri-
ipostatica» (pp. 251-297), o alla non facile, ma in ogni caso affascinante e promettente, visione
della «Sofia», dove Florenskij riprende l'ispirazione visionaria e speculativa di V. Solov'ëv e
prepara il terreno alla teologia più sistematica di S. Bulgakov (pp. 299-310); o ancora a quelle,
antropologicamente dense di significato, consacrate in ambito più teologico alla «Chiesa come
luogo della divinizzazione» (pp. 391-417), e al rapporto intenso e ricco di misticismo tra «agápe
e philía» (pp. 417-437).
Senz'entrare qui nel merito delle implicazioni del pensiero di Florenskij per quanto concerne
la riflessione teologico-morale -- un campo sul quale si sofferma con cura l'attenzione di Zak in
questa seconda parte --, mi limito a osservare che da questo lavoro s'intuiscono con fondatezza,
e s'intravedono già decisamente abbozzate, alcune linee che mostrano come l'uscita da molte
impasses in cui versa la teologia morale oggi -- si pensi a quanto espresso in proposito dalla
Veritatis splendor di Giovanni Paolo II --, non possa che venire da una rinnovata immersione
del pensiero e dell'esistenza nel ritmo dell'ontologia trinitaria, che Florenskij profeticamente
dischiude.[16] D'altra parte, come abbiamo anticipato, la ricerca di Zak concerne soltanto il
primo movimento previsto da Florenskij nel tracciare lo sviluppo del suo progetto: la teodicea.
Questo lavoro, pertanto, ne promette e direi quasi ne esige -- ce l'auguriamo vivamente -- un
altro che, tematizzando il secondo movimento dell'opus florenskijano, l'antropodicea, completi
il dittico e affronti expressis verbis i temi antropologico-etici in chiave simbolica, abbozzati nella
seconda parte del presente saggio.
In definitiva, come Zak giustamente nota in sede di conclusione generale, «Florenskij è uno dei
primi ad aver intuito l'importanza di concepire la teologia in corrispondenza con il contenuto
centrale della rivelazione -- il mistero della SS.ma Trinità [...] --, ma anche con la dinamica del
dispiegarsi della Verità nella storia. Una dinamica che, come tale, richiama il contenuto della
rivelazione, lo svela, lo illumina e lo testimonia, e che trova la sua concretizzazione escatologica
in Gesù crocifisso, nella cui persona il contenuto della Verità e il modo del Suo rivelarsi
(l'evento della Sua autocomunicazione) -- che consiste nel rinnegamento di sé, nel dare la vita
per gli altri -- sono tutt'uno» (p. 475). È da quest'originale approccio che scaturisce l'apporto
specifico che -- a parere di Zak -- il primo Florenskij offre all'elaborazione di un'ontologia
trinitaria: partire dalla domanda sull'Essere trinitario del Soggetto della Verità per fondare, in
chiave ontologica, una nuova formulazione della legge d'identità. Con le parole di Florenskij:
«invece di un A="A" vuoto, morto e formalmente auto-identico, per cui A dovrebbe essere se
stesso, in quanto si afferma, egoisticamente, escludendo ogni non-A, abbiamo un A pieno di
contenuto e di vita, un'auto-identità reale che eternamente rigetta se stessa e in questo auto-
rigettarsi eternamente trova se stessa» (pp. 247s). In termini trinitari (son sempre parole di
Florenskij): «la Verità è la contemplazione di Sé attraverso l'Altro nel Terzo: Padre, Figlio,
Spirito. [...] Il Soggetto della Verità è la Relazione di Tre, ma relazione che è sostanza [...] l'ousìa
della Verità è l'Atto infinito di Tre nell'Unità» (p. 249). Un'intuizione, commenta Zak, che se è
poco sviluppata da Florenskij in riferimento a Dio Trinità, diventa invece intensamente
luminosa in prospettiva antropologica, non solo dove egli illustra come costitutivo del rapporto
tra le persone create il dinamismo della donazione-kenosi reciproca, con una ripresa «in
forma rispettosa della rivelazione trinitaria del concetto hegeliano di negativo (il non-essere
compreso come condizione di possibilità dell'immanente struttura trinitaria dell'essere),
mettendo in evidenza che si tratta non di un termine allegorico o di importanza periferica, ma
di una categoria sulla quale si fonda l'ontologia trinitaria» (p. 478); ma anche e soprattutto là
dove tale dinamismo viene descritto come partecipazione all'Evento stesso dell'Amore
trinitario. Come avviene in questo magistrale testo de La colonna: «L'amore dell'amante
trasporta il proprio Io nell'amato, nel Tu, e dà all'amato Tu la forza di conoscere in Dio l'Io
amante e di amarlo in Dio. L'amato diventa amante, si eleva al di sopra della legge dell'identità
e in Dio identifica se stesso con l'oggetto del proprio amore, trasferisce il proprio Io nell'Io
del primo mediante il terzo, e così via . [...] In realtà, quando si eleva al di sopra della sua natura,
del primo mediante il terzo, e così via . [...] In realtà, quando si eleva al di sopra della sua natura,
l'Io esce dalla limitatezza spazio-temporale ed entra nell'Eternità, dove tutto il processo dei
reciproci rapporti degli amanti è un atto unico nel quale si sintetizza la serie indefinita dei
singoli momenti dell'amore. Quest'atto uno, eterno e infinito è l'uni-sostanzialità di quelli che
si amano in Dio, dove l'Io è la stessa cosa con l'altro Io e allo stesso tempo ne è distinto» (p.
273). Difficile esprimere in maniera più intensa e limpida la legge ontologica della
«trinitizzazione» partecipata da Dio alla creazione!
La ricca e stimolante ricerca di Zak, per il suo stesso robusto impegno teoretico e per
l'innovativo sguardo che sa trarre dalla memoria dell'evento Cristo la promessa del nuovo che
ci attende, invita, in conclusione, a una valutazione globale del progetto florenskijano. Lungi dal
voler qui tentare una simile, e forse quasi impossibile, impresa: mi limito piuttosto a ipotizzare
semplicemente un'ulteriore pista di ricerca suggerita dall'appassionante lettura di queste
pagine. Una pista -- mi sembra -- che può mostrarsi utile per proseguire il cammino nella
fedeltà all'intenzione più profonda di Florenskij stesso, perchè in qualche modo tocca un punto
cruciale dell'intero percorso e dell'intera struttura del suo pensiero, permettendo una sorta di
rilettura trasversale delle articolazioni più vitali della sua riflessione. Si tratta del tema
cristologico. Non mi riferisco tanto alle critiche piuttosto banali, cui certi interpreti di Florenskij
-- antichi e recenti -- hanno fatto ricorso, accusando il nostro Autore di un certo oblio o
disinteresse per la centralità dell'evento di Gesù Cristo. Di tali critiche Zak dà conto con la
consueta competenza e perspicacia e vi sa rispondere in modo convincente, dicendo in
proposito una parola che si può considerare conclusiva (si veda, in tal senso, la seconda
sezione del quarto capitolo, a ragion veduta intitolata: La centralità di Cristo nell'antropologia e
nell'etica di Florenskij, pp. 341-363). È indubitabile, infatti, che Gesù Cristo è centrale
nell'esperienza e nel pensiero di Florenskij. E come potrebbe essere altrimenti? Direi anzi che
i luoghi trinitario ed ecclesiale nei quali e, per così dire, attraverso i quali Florenskij incontra
nel qui e nell'ora dell'esistere e del pensare la figura di Gesù Cristo, non sminuiscono la sua
centralità, ma permettono piuttosto di collocarla in quell'unico orizzonte ermeneutico, entro il
quale essa diventa esistenzialmente e ontologicamente significativa e feconda.
E tuttavia c'è un punto -- nodale -- che mi pare poco presente in Florenskij. Si tratta, ripeto, di
un'impressione che traggo dall'oggettiva ricostruzione e interpretazione che Zak ci propone.
Com'egli con sicura competenza viene a dimostrare, Florenskij, al fine di superare in modo
definitivo la «scissione» tra Dio e il mondo, l'intelleggibile e l'empirico di cui sono prigionieri
tanto lo scientismo positivistico quanto il razionalismo metafisico del suo tempo, s'immerge
nell'esperienza-tradizione ecclesiale e insieme, alla ricerca di nuove categorie del vivere e del
pensare, nella grande tradizione del pensiero platonico, che peraltro da sempre rivive,
originalmente transustanziata, nella teologia dell'Oriente cristiano. La questione diventa allora
quella della congruenza e della virtualità del pensiero platonico in rapporto all'espressione
della novità e originalità della rivelazione cristiana. Bene fa Zak a tematizzare, in proposito, i
tratti distintivi del «platonismo» di Florenskij, di cui A.F. Losev ha giustamente sottolineato la
pregnante originalità (cf pp. 170-177). Il fatto è che l'evento cristologico (secondo l'icastica e
folgorante descrizione giovannea: «kaì ho Logos sarx eghéneto», cf. Gv 1, 14) e il suo impatto
ontologico nella comprensione dell'essere creato -- sia nella sua costitutiva relazione a Dio, sia
nel suo intrinseco «ritmo» trinitario a immagine e somiglianza e per partecipazione di grazia al
Dio Uno e Trino -- sono formidabili. Il «peso» e la «luce» (kabód, in ebraico, dóxa, in greco,
claritas, in latino) di Dio, nel Verbo incarnato e per il dono dello Spirito Santo, vengono
comunicati dal Cielo alla terra. Certo, i «due mondi» -- per dirla con le parole di Florenskij --
rimangono: ma sono anche ipostaticamente uniti, restando distinti, nel Verbo incarnato e, per
mezzo di Lui, lo sono anche, per lo Spirito Santo, in coloro che diventano «heis en Christo»
(uno in Cristo, cf. Gal 3, 28).
Di tutto ciò, ovviamente, Florenskij è consapevole. E -- come mostra il lavoro di Zak -- suo
intento precipuo è proprio quello di superare nella prospettiva della omousía cristologica il
dualismo «kantiano» che dilacera la coscienza moderna della realtà. Ma -- mi chiedo --
l'impianto platonico che egli sposa con entusiasmo e senza riserve sin dalla giovinezza, è
sufficiente a esprimere, e addirittura è del tutto conciliabile -- come Florenskij sembra pensare
-- con il novum rappresentato dall'evento dell'incarnazione? Si può ancora parlare in quel
modo, in modo platonico appunto, di «due mondi»? E c'è ancora necessità di trovare un
«confine» tra di essi?
Non è un caso, ad esempio, che Florenskij individui proprio nella nozione di «Sofia», ereditata
da Solov'ëv e originalmente ripensata, precisamente il «confine» dei «due mondi», collegando
quest'asserto alla tradizionale dottrina delle «idee divine» di chiara ascendenza platonica. Una
concezione non a caso obliata dalla modernità, anche in teologia, ma che assolveva un
indispensabile ruolo nel pensiero dei Padri e degli Scolastici e che, dunque, può e forse anche
deve essere ripresa in forma nuova -- come tentano di fare, ad esempio, A. Rosmini e S.
Bulgakov: ma non semplicemente in chiave platonica, bensì più radicalmente cristologica e
trinitaria. Pertanto, non in dialettica con la prospettiva che ci è indicata da Florenskij, ma come
contributo a un approfondimento e a un prolungamento della stessa, non occorrerebbe forse
rimettere al centro della riflessione teologica l'evento dell'incarnazione, inteso a partire dalla
sua originalità cristologica, e cioè inquadrato in una sicura e profonda visione unitaria e
trinitaria insieme del mystérion creativo-salvifico?
Il collegamento -- tipico della visione teologica cristiana -- tra l'evento Gesù Cristo e la
preesistenza del Lógos, così come la libera intenzionalità ontologica del Lógos all'incarnazione,
possono e debbono far recuperare la realtà della «preesistenza» così com'è intesa ed evoluta
dalla testimonianza neotestamentaria nella sua originale novità. Ciò significa, per usare un
linguaggio ben conosciuto dalla mistica cristiana e perfettamente in sintonia con la semantica
più profonda dell'evento dell'incarnazione, anche se troppo poco ascoltato dalla teologia, che
Dio Padre ha -- allo stesso tempo e, per dirla con Calcedonia, «senza confusione, senza
mutamento, senza divisione, senza separazione» -- un'espressione di Sé «dentro» di Sé (che è
il Lógos) e una «fuori» di Sé che è la creazione o, meglio, Gesù Cristo nel suo «pléroma»
panumano e pancosmico. Perché, in Lui, nel Verbo fatto carne, crocifisso e risorto, il creato
attinge, gratuitamente e liberamente, la sua vocazione a diventare ciò che è da sempre nel
progetto di Dio -- un «secondo» Dio, un Dio creato, veramente Dio e veramente creato, come
il dogma di Calcedonia afferma di Gesù Cristo. Penso che la serietà e intensità del pensiero di
Florenskij e di questo bellissimo lavoro di Zak ci spingono a proporre questioni come questa,
che qui è appena balbettata ma che la rivelazione e il kairòs dei tempi che viviamo ci spingono,
con umiltà e coraggio, a pensare. Con ciò, forse, si può offrire un contributo all'avvento di
quell'epoca nuova della civiltà umana, in quest'alba del terzo millennio, che nel pensiero e
nell'esistenza di Florenskij ha trovato un grembo fecondo da cui poter germogliare.
Debbo dire, concludendo, che ho imparato molte cose dalla lettura di questo saggio e dalla
lezione di Florenskij ch'esso ci ripropone in forma così trasparente. Ma me n'è rimasta
soprattutto una: il progetto di quella «terza via» della conoscenza, al di là dell'oggettivismo e del
soggettivismo, della classicità e della modernità, della disintegrazione conflittuale dei saperi e
della totalizzazione ideologica, che, conservando i semi e le istanze di verità presenti nei
precedenti approcci, si propone come via della trasfigurazione del conoscere e del vivere delle
persone fuse in uno nell'interiorità di Dio Trinità. Qui -- mi pare --, a livello epistemologico e
come intuizione, Florenskij probabilmente s'è spinto più avanti di tutti nel nostro secolo,
nell'Oriente e nell'Occidente cristiani: più avanti di Bulgakov, di Rahner e di Balthasar, di
Jüngel. Egli ha intuito -- lo esprimo quasi con uno slogan -- che la svolta del pensiero (e del
vivere) attuale è quella dal pensare la Trinità al vivere/pensare trinitaramente nella Trinità. Il
che -- come scrive Zak, mostrandolo limpidamente in atto nella forma di pensiero che la sua
stessa ricerca testimonia -- rende «l'altro» insostituibile al mio pensare e al mio vivere in Dio
Trinità.

Copyright © 2000 Piero Coda

Piero Coda. «Recensione a Lubomir Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij»,
Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 2 (2000) [inserito il 21 novembre 2000],
Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 2 (2000) [inserito il 21 novembre 2000],
disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [46 KB], ISSN 1128-5478.

Note
1. Salvo diversa indicazione, il numero delle pagine segnalate tra parentesi si riferisce all'opera di L.
Zak.
2. Edizione Dehoniane, Bologna 1997: «Nuovi Saggi Teologici», 41; prefazione di N. Kauchtschischwili.
Su tematica affine, sempre di Valentini, si veda anche il saggio Memoria e Risurrezione in P.
Florenskij e S. Bulgakov, Pazzini ed., Verucchio 1996.
3. S. Zamorani ed., Torino 1999: «Quaderni del Centro Studi Marcovaldo», 2; prefazione di N. Bosco.
Lingua ha anche curato la raccolta Icona e avanguardie. Percorsi dell'immagine in Russia, S.
Zamorani ed., Torino 1999.
4. Mi limito a segnalare la raccolta curata e introdotta da N. Valentini e L. Zak: Il cuore cherubico.
Scritti teologici e mistici, tr. di R. Zugan, Piemme, Casale Monferrato 1999, «L'Anima del mondo»,
25. Curata da Zak è in corso di pubblicazione un'altra scelta di testi florenskijani nella Collana
«Scrittori di Dio» della San Paolo.
5. Tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, 2ª ed. 1998.
6. Adelphi, Milano 1977.
7. AA.VV., P.A. Florenskij i kult'ura ego vremeni (P.A. Florenskij e la cultura del suo tempo), a cura di
M. Hagemeister e N. Kauchtschiswili, Blaue Hörner Verlag, Marburg 1995. Da ricordare anche
l'introduzione di M.G. Valenziano, Florenskij. La luce della verità, Studium, Roma 1986.
8. Cf. il volume che onora l'anniversario: T. Spidlik ed altri, A due polmoni. Dalla memoria spirituale
d'Europa, Lipa, Roma 1999.
9. Adelphi, Milano 1985, 173ss.
10. Richiamandosi, tra l'altro, ad alcuni suggerimenti proposti da I. Mancini, B. Petrà è stato
probabilmente il primo, in Italia, ad attirare l'attenzione sulla ricchezza e novità del pensiero di
Florenskij in riferimento alla questione etica; cf. ad esempio il suo Etica e vita spirituale
nell'ortodossia. In dialogo con I. Mancini e T. Goffi, in «Rivista di Teologia morale» 1989/83, 61-75.

11. In un articolo a carattere programmatico apparso già nel primo anno di vita della rivista, Identità e
dialogo (n. 4-5 del 1979, 7-22), Zanghì sottolineava «l'estremo interesse» delle riflessioni di
Florenskij «per il superamento di una logica duale in una logica "trinitaria"» (p. 21, nota 5).
12. K. Hemmerle, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Johannes Verlag, Einsiedeln 1976.
13. K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento della filosofia cristiana, Città Nuova,
Roma 1986; la 2ª ed. del 1996 ha opportunamente modificato il sottotitolo in Per un rinnovamento
del pensiero cristiano e contempla, oltre a un'introduzione, anche la traduzione del saggio Das
unterscheidend Eine. Bemerkungen zum christlichen Verständnis der Einheit (1994).
14. Il bel saggio è contenuto in La Trinità e il pensare, P. Coda -- A. Tapken edd., Città Nuova, Roma
1997, 193-228.
15. Si tratta della preziosa introduzione ai saggi contenuti nel volume Abitando la Trinità. Per un
rinnovamento dell'ontologia, P. Coda -- L. Zak edd., Città Nuova 1998, 5-25. Da segnalare tre altri
contributi di Zak che approfondiscono altrettanti temi centrali del pensiero di Florenskij (quello
pneumatologico, quello kenotico e quello concernente la realtà del tempo): Spirito Santo e nuova
creazione nella moderna teologia ortodossa. La testimonianza di P.A. Florenskij, in "Filosofia e
Teologia", 12 (1998), n. 3, 510-526; L'interpretazione di Fil 2, 6-8 e la concezione della kenosis
nell'opera di P.A. Florenskij, in Dummodo Christus annuntietur. Studi in onore del prof. J. Heriban,
A. Strus -- R. Blatnicky edd., LAS, Roma 1998, 349-371; Il mistero del tempo come «quarta
dimensione» in P.A. Florenskij, in «Filosofia e Teologia», 1/2000, 47-62.
16. Si veda, in proposito, il saggio recentemente dedicato da Zak a questo tema: La fede come «atto
trinitario». Alcune riflessioni in prospettiva teologico-morale, in La fede. Evento e promessa, P.
Coda -- C. Hennecke edd., Città Nuova, Roma 2000.
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