1 La remunerazione del capitale, o profitto normale, è pari al saggio d'interesse. Considerando la remunerazione normale del capitale
alla stregua di un costo, si parla di profitti pari a zero, ma in realtà sono i profitti sopra il saggio di interesse -gli extra-profitti- che in
equilibrio sono nulli. Il saggio di profitto normale costituisce il costo-opportunità del capitale investito.
2 Friedrich August von Hayek (Vienna 1899 - Friburgo 1992), Premio Nobel per l'economia nel 1974, è stato uno dei più grandi
esponenti del liberalismo del secolo XX. Von Hayek appartiene alla quarta generazione di esponenti della “Scuola austriaca”,
tradizione di ricerca fondata da Carl Menger (1840-1921).
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Ciò su cui essi portano l’attenzione è il fatto che, fuori dall’equilibrio, sul mercato non c’è un
unico prezzo che funziona come segnale della relazione tra domanda e offerta (scarsità o meno di
un prodotto), ma prezzi differenti fissati dai diversi produttori (che quindi saranno price maker).
Essi propongono quindi un'immagine del sistema dei prezzi di mercato, come meccanismo di
comunicazione di informazione e di interazione nel quale emergono le tecnologie, i
comportamenti, le forme organizzative migliori, che non sono note a priori, ma che gli agenti
devono scoprire e apprendere. Gli individui e le imprese hanno limiti conoscitivi e sviluppano
competenze, abilità e esperienze che sono specifiche e personali ("idiosincratiche"). Dato questo
assunto, il mercato offre segnali attraverso i prezzi, che evidenziano l'esistenza di diversità nel
modo di produrre i beni 3. Quindi gli attori hanno indicazioni su quali siano le conoscenze rilevanti
(senza svolgere indagini a tappeto). Il ruolo del mercato è quindi quello di rendere possibile
l'interazione tra le diverse competenze e conoscenze.
Si supponga che il sistema economico si trovi in una configurazione di equilibrio e di
costanza dei prezzi, delle tecnologie e dei gusti; se ad un tratto nel mercato di un determinato bene
compaiono dei venditori che lo offrono ad un prezzo più basso del normale, poiché sono in grado
di produrre quel bene in modo più efficiente, i compratori tenderanno a rivolgersi a loro. I
produttori che non hanno scoperto il nuovo modo di produrre vedranno ridurre i propri profitti, o
addirittura conseguiranno delle perdite. Ciò costituisce per loro un segnale molto preciso ed
esercita una forte pressione ad adeguarsi rapidamente ai nuovi modi di produrre.
In altri termini, l'accento è posto sul processo di aggiustamento che implica l'applicazione di
conoscenze nuove, piuttosto che sull'equilibrio Pareto-ottimale.
L’economista Joseph Schumpeter (1883-1950) espande ulteriormente questo punto di
vista. Secondo Schumpeter la virtù del sistema di mercato non è l'efficienza statica (allocativa e
produttiva), ma l'innovazione, ovvero l'efficienza dinamica. Egli afferma che:
"Nella realtà del sistema capitalista non è la concorrenza di prezzo che conta, ma la
concorrenza da parte di nuovi beni, nuove tecnologie, nuove fonti di offerta, nuovi tipi di
organizzazione. Si tratta di una concorrenza che comporta vantaggi di costo o di qualità decisivi,
che non colpiscono al margine dei profitti e degli output delle imprese esistenti, ma alle fondamenta
delle loro possibilità di vita".
Il capitalismo non è mosso da consumatori che scelgono al margine tra prodotti preesistenti in
modo da uguagliare i rapporti tra le utilità marginali ai rapporti tra prezzi parametrici o da
imprenditori coordinatori di fattori omogenei, ma dalle pressioni della "distruzione creatrice": un
"processo di mutamento industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica
dall'interno, incessantemente distruggendo quella vecchia e creandone una nuova. Il processo di
distruzione creatrice è il fatto essenziale del capitalismo".
L'innovazione secondo S. implica la costruzione di nuovi impianti, da parte per lo più di
nuove imprese ed è associata alla leadership di uomini nuovi. I nuovi prodotti possono dar vita
anche a nuovi settori industriali.
E' quindi molto più importante il processo di creazione del nuovo rispetto all'amministrazione
dell'esistente, di cui si occupa la teoria economica tradizionale.
Per capire come il capitalismo crea nuove strutture industriali l'impresa deve essere vista
come un agente del cambiamento e l'imprenditore come la fonte di nuove idee.
Nella prospettiva di S., l'imprenditore è una figura cruciale - l'originatore e il realizzatore di
nuove idee -. La sua funzione non è quella di massimizzare i profitti sostituendo al margine tra
3 Ciò naturalmente non esclude che i prezzi siano anche segnali dei 'bisogni' dei consumatori e quindi (come vuole la visione
neoclassica) regolino il coordinamento spontaneo e non pianificato delle attività economiche.
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fattori di produzione omogenei nell'ambito della produzione di prodotti dati e noti. La sua funzione
è quella di rivoluzionare i metodi produttivi e le forme organizzative esistenti e di introdurre nuovi
prodotti con la creazione di nuove imprese. L’introduzione di prodotti veramente nuovi comporta
anche la nascita di nuovi mercati.
4 Dall’economista Ricardo, uno dei padri dell’economia politica, il quale studiava le rendite che potevano essere
ricavate dai terreni di fertilità maggiore: è come se le imprese che basano il vantaggio competitivo su risorse e
competenze superiori, fossero più “fertili” delle altre.
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Naturalmente esiste il problema di impedire che il meccanismo concorrenziale venga inceppato
dall'esistenza di posizioni dominanti o di comportamenti collusivi tra imprese finalizzati ad ottenere
profitti elevati attraverso gli accordi e il potere di mercato, invece che attraverso la dimostrazione da
parte di ogni impresa delle proprie capacità specifiche. Per questa ragione in ogni paese e a livello di
Unione Europea esistono leggi antitrust e autorità demandate alla loro applicazione.
Poniamoci ora questa domanda: se le barriere all'entrata e all'uscita sono significative e i
rendimenti crescenti (dovuti a economie di scala o a esternalità positive) portano alla presenza di
pochi produttori (oligopolio), ne consegue che i meccanismi di mercato non funzionano più?
La risposta è: dipende. In molti mercati, soprattutto se sono aperti alla concorrenza
internazionale, la competizione – intesa come processo in cui le imprese “combattono” le une contro
le altre per conquistare quote di mercato - continua a manifestarsi, pur in un contesto oligopolistico.
La concorrenza in tal senso viene vista non come una struttura di mercato (una situazione in cui si
confrontano numerosissimi attori atomistici) ma come comportamento delle imprese che, sentendosi
in una situazione di rivalità, si fanno concorrenza. Gli oligopolisti possono farsi una concorrenza
perfino spietata, percependo la propria sopravvivenza come alternativa a quella delle imprese rivali. In
effetti oggi in molti settori, caratterizzati da strutture di oligopolio più o meno allargato, la
concorrenza è asprissima. L’innovazione è fondamentale per vincere nel processo competitivo.
In altri casi il numero ristretto di attori può condurre a fenomeni di collusione.
Nella storia è successo che, con le imprese, anche i mercati sono cresciuti. Si è passati dai
mercati locali a quelli nazionali (grazie all'introduzione della ferrovia, del telefono e del telegrafo alla
fine dell'Ottocento, epoca della seconda rivoluzione industriale) e oggi sempre più la competizione si
svolge a livello di mercati mondiali (unificati anche dai nuovi sistemi di telecomunicazione e da
Internet). Fino ad ora il processo di integrazione dei mercati a livello globale ha più che compensato
l’aumento delle dimensioni delle imprese, soprattutto dovuto a fusioni e acquisizioni (si pensi al
settore dell’auto, con la fusione nel 1998 di Daimler e Chrysler). La concentrazione a livello globale
non è aumentata e non sempre sono le imprese di maggiore dimensione quelle più profittevoli.
5 D.Teece e G.Pisano, 1994, “The dynamic capabilities of firms: an introduction”, Industrial and Corporate Change, N.3, pp.537-
556.
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4. La base di conoscenza delle imprese e l’importanza della coerenza
L’economia è sempre più basata sulla conoscenza e la competitività delle imprese è sempre più
basata su asset intangibili piuttosto che su capitali fissi tangibili.
Ponendo l’accento sull’importanza delle conoscenze tecnologiche specifiche che caratterizzano i
diversi settori manifatturieri e le imprese che vi operano, un'industria (settore) può essere definita
come un insieme di gruppi di imprese che condividono la stessa base di conoscenza idiosincratica.
La comune base di conoscenza si fonda soprattutto:
• sulla comune base scientifica e tecnologica e quindi sulla familiarità con la soluzione di
problemi di un certo tipo;
• sulla familiarità con un certo tipo di fornitori;
• sulla familiarità con un certo tipo di mercati.
Le industrie sono in generale suddivise in numerosi segmenti, sulla base di:
i) differenti tipologie di prodotto, a cui corrispondono differenti mercati (come nel caso
dei segmenti B o C nell’industria dell’auto);
ii) differenti filiere tecnologiche (come nel caso dell’acciaio prodotto al forno elettrico a
partire dal rottame oppure al ciclo integrato a partire dal minerale di ferro).
I vari segmenti in cui è suddivisa l’industria sono caratterizzati da particolari pezzi della comune
base di conoscenza. In un dato segmento di industria in genere opera un certo gruppo di imprese, i
cui membri per lo più operano anche in altri segmenti vicini in quanto a base di conoscenza.
Segmenti vicini vengono chiamati correlati, e le imprese diversificate in settori correlati possono
godere di sinergie grazie a spillover di conoscenza. La coerenza della base di conoscenza di un
impresa è considerata molto importante. Possedere una solida e coerente base di conoscenza
costituisce un asset intangibile che consente all’impresa di migliorare la propria valutazione sul
mercato azionario. La presenza in settori non correlati, al contrario, non aumenta il valore
dell’impresa mentre ne rende più complesso il controllo.
La padronanza di una certa base di conoscenza per un’impresa costituisce:
I) un prerequisito per entrare in un certo settore, la cui rilevanza può essere identificata quando le
altre più tradizionali barriere all’entrata sono basse;
II) un capitale immateriale specifico, la cui irreversibilità determina alte barriere all'uscita.
Abbiamo quindi una nuova categoria di barriere all'entrata e all'uscita 6, molto importante nella
knowledge-based economy.
6 Ricordiamo che le barriere all’entrata tradizionali sono costituite da i) varie forme di sunk costs, quali alti costi del
capitale investito o alte spese in pubblicità o di ricerca; ii) significative economie di scala (entrare con grandi capacità
produttive, necessarie per ottenere bassi costi medi, in genere scatena guerre dei prezzi; quindi c’è un’asimmetria tra chi
c’è già e chi valuta se entrare); iii) la necessità di far ricorso a risorse naturali inferiori rispetto a quelle di cui
dispongono i produttori esistenti o di pagare licenze per ottenere le tecnologie.
*** Sunk costs sono costi fissi che risultano da investimenti irreversibili. Un investimento è irreversibile allorché non
può essere trasferito economicamente ad un altro utilizzo rispetto a quello corrente. Investimenti di tale natura sono
quelli in attrezzature fisse specifiche o in asset intangibili pure di elevata specificità come le spese di avviamento, di
pubblicità o di ricerca. I costi sunk sono recuperati, nel corso dell'attività dell'impresa, attraverso il processo di
ammortamento. Ma se l’impresa smette l’attività si traducono in perdite patrimoniali. Per questa ragione rappresentano
una barriera all’uscita oltre che all’entrata.
5. Effetti del progresso tecnico: fondamentali fatti stilizzati emergenti dagli studi empirici
Aumento della produttività oraria negli Stati Uniti in campo non agricolo nel periodo 1909-49
dell’1,8% all’anno. L’aumento dell’intensità di capitale spiega il 13% (successivamente il dato è
stato corretto al 19%): il resto è da attribuire al progresso tecnologico (mutamento delle attrezzature
e pratiche produttive) e alla maggiore qualificazione del lavoro
Denison studia il periodo dal 1929 al 1985. Cause dell’ aumento di produttività per lavoratore:
34% maggiore qualificazione del lavoro
22% economie di scala
13% aumento della intensità di capitale
68% maggiore conoscenza scientifica e tecnologica
Un’influenza negativa è stata invece determinata da altri fattori, quali:
-25% diminuzione ore lavorate p.c.- 4% effetto delle regolamentazioni governative
3. Le differenti capacità di innovare dei paesi influiscono sulla divisione internazionale del lavoro e
sui flussi di commercio internazionale
I fattori tecnologici sono importanti nel determinare i flussi di commercio internazionale e quindi
una gerarchia tra i paesi. Ci sono paesi specializzati nella produzione ed esportazione di prodotti ad
alto valore aggiunto (aerei, farmaci, macchine utensili) e altri specializzati nei prodotti a più alto
contenuto di manodopera scarsamente qualificata (abbigliamento, calzature) o paesi che realizzano
al proprio interno le fasi a più alto valore aggiunto (ricerca, sviluppo, componenti qualificati) e
paesi che realizzano le fasi meno nobili (assemblaggio). Queste specializzazioni in generale sono
stabili nel tempo (con varie recenti eccezioni).
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4. Effetti sulla struttura dei mercati nel lungo periodo