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Vincenzo Cortese

ANUIR
Il Tesoro dei druidi

Il prequel del romanzo “Anuir – Il segreto di Halamon”


di Vincenzo Cortese edito da Giraldi (Bologna)
Dedicato ai membri del gruppo Facebook ANUIR

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Le Naiadi del Brasios.

Un vento leggero sibilava tra le fronde dei salici lungo


l’argine orientale del Grande Fiume. Il Dinuarius scorreva
placido come sempre nel suo largo letto, la superficie solo
dolcemente increspata dalle carezze dello zefiro.
La caccia aveva spinto Antir un po’ troppo a nord rispetto ai
soliti sentieri e ormai il sole era alto. L’uomo decise di fer-
marsi all’ombra per una sosta, avrebbe ripreso la battuta al
sopraggiungere del vespero.
Il lungo cammino sulle tracce di un cervo che era riuscito a
sfuggirgli, nonostante l’avesse raggiunto con una delle sue
frecce, lo aveva affaticato.
Del resto il vigore non era più quello della prima gioventù.
L’ombra del Picco del Grifone gli rammentò che era prossi-
mo ai confini del Dinuar, ancora più a nord e sarebbe entra-
to nei territori di Lirnaeus.
Già aveva avuto a che fare con i suoi guardiacaccia e l’idea
di rischiare di incontrarli non lo allettava di certo. Meglio
rinunciare a qualche preda piuttosto che imbattersi in un
gruppo di sgherri che di certo lo avrebbero derubato in no-
me del loro signore.

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- I cervi, loro non hanno di queste preoccupazioni, non
si curano dei confini né delle leggi di Lirnaeus.
Pensò, mentre il brusio dei pioppi del bosco alle sue spalle
accompagnò il suo assopirsi.

- Sveglia, dinuariano!
Una pedata, accompagnata da una voce roca e scomposta,
lo fece sobbalzare nel sonno.
Ancora sonnolento, Antir si voltò cercando di mettersi in
piedi.
La sagoma di un uomo si frapponeva ai raggi del sole che i-
niziavano a indorare i crinali a occidente.
- Hai trasgredito l’ordinanza, dobbiamo sequestrarti il
cavallo e l’arco.
Aggiunse l’uomo. Antir corse con la mano alla spada,
l’aveva appoggiata al tronco dell’albero che gli aveva fatto
ombra.
- Non t’incomodare, dinuariano, cercavi forse questa?
Un altro guardiacaccia si fece avanti e gli mostrò la sua spa-
da libera dal fodero.
- Questi sono i territori del Dinuar, non sono certo io nel
torto.
Precisò Antir.

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- Dici? Tuttavia, il cervo che abbiamo trovato morto nei
boschi del nostro signore Lirnaeus, era stato trafitto
da una delle tue frecce…
Antir sbottò in un accenno di riso.
- Cosa cercate da me? Avete il vostro colpevole. Il cer-
vo, è lui che ha sconfinato.
Lo sgherro di Lirnaeus puntò la spada alla gola di Antir.
- Sei spassoso, uomo del Dinuar, ma ciò non ti affranca
dal tuo debito.
Antir si guardò attorno, erano in tre. Uno aveva già sciolto
le briglie di Baio e si accingeva a legarle alla sua sella.
- Ma… se mi lasciate senza cavallo… manca poco al tra-
monto.
Controbatté il cacciatore, cercando di tenere i nervi saldi.
- Non è affar nostro. Obbediamo solo all’ordinanza.
Vorrà dire che ciò ti servirà da monito per il futuro.
Andiamo.
Disse il capo della pattuglia, allontanandosi verso il suo ca-
vallo. Intanto, quello che teneva sotto minaccia Antir, fece
per voltarsi verso gli altri due.
Fu un attimo.

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Antir con un calcio gli fece volar via dalle mani la spada,
con un rapido riflesso scivolò di lato e, raggiunta l’arma, la
brandì.
Le altre due guardie gli furono subito addosso e lo attacca-
rono. Antir si difese dagli affondi come meglio poté, paran-
do e contrattaccando riusciva a tenerli a bada.
- Ora basta! Non muovere un solo passo!
Il terzo sgherro lo stava tenendo sotto tiro con l’arco.
- Getta la spada se non vuoi seguire la stessa sorte del
cervo!
Gli intimò il capo. Antir digrignò i denti ma dovette obbedi-
re.
- Come osi incrociare le armi con dei soldati del Feudo?
Vorrà dire che ci seguirai a nord. Un po’ di lavoro alla
torre meridionale non ti farà male. Legatelo.
Aggiunse, al che le due guardie lo bloccarono, gli presero
anche il coltello e iniziarono a legargli i polsi con un laccio
di cuoio.
Questa volta l’aveva fatta davvero grossa e non gli sarebbe
più bastato far buon viso a cattivo gioco. L’avrebbero con-
dotto nel Feudo e schiavizzato.
- Sei uno stupido. Come pensavi di poter avere la me-
glio…

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Le parole della guardia furono interrotte da un’improvvisa
folata di vento proveniente dalla riva occidentale del Dinua-
rius, sollevando un’ondata che lambì la sponda.
- Cosa diamine…
Un roboante ruggito echeggiò tra i tronchi nodosi di Silve-
stris Nexus, la selva che copriva le pendici dei leggendari
Monti d’Ombra.
Gli uomini, atterriti, raggiunsero di corsa i loro cavalli e ga-
lopparono verso nord, il verso li seguì ed essi fuggirono co-
me se avessero avuto alle calcagna un esercito di demoni.
Antir trovò riparo dietro un gruppo di faggi, cercando un
modo per liberarsi dai lacci.
Un lungo silenzio seguì quell’agghiacciante fragore, poi il
cacciatore iniziò ad avvertire una sorta di flebile canto che
si accompagnava al gorgheggiare delle acque del fiume.
Il suono divenne sempre più nitido e gli parve di udire il suo
nome pronunciato da voce femminile.
Un canto soave, un coro silvestre lo avvolse e, mentre gli
ultimi barlumi del tramonto svanivano oltre le creste a o-
vest, una luce proveniente da Silvestris Nexus iniziò ad ap-
prossimarsi valicando il fiume.
Ben presto Antir si rese conto che nel mezzo di quei riflessi
c’era qualcosa, troppo piccola per essere una barca, ma

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galleggiava sull’acqua spinta dal bagliore dal quale era av-
volta.
Un senso di pace s’impadronì del cacciatore che, con fiducia
e senza timore si avvicinò all’argine.
Una cesta di felci, ancora avviluppata da quella strana lu-
minescenza prese riva. Al suo tocco l’argine fiorì in una
schiera di narcisi dorati.
- Avvicinati Antir.
La voce rassicurante parlò con un accento a lui sconosciuto.
- Chi siete?
Domandò incredulo e attratto.
- Siamo le Naiadi del Brasios e non hai nulla da temere
da noi.
Si chinò sulla cesta e, quando la sfiorò, la luce si attenuò la-
sciando intravedere ciò che essa conteneva.
Gli occhi di Antir si soffermarono, per un tempo che sembrò
prolungarsi all’infinito, nella tenerezza degli occhi verdi di
un infante.
- Uomo dell’est, prenditi cura di questa creatura, sot-
tratta alla grave minaccia che metterebbe a rischio la
sua vita, oltre le montagne dell’Ombra da cui provie-
ne. Questo è il solo tributo che ti chiediamo in cambio
del tuo scampo. Oltre quella radura ritroverai la tua

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cavalcatura. Non temere, non correrai altro pericolo.
Ora va e dai a quest’anima innocente un nome per il
quale sarà ricordata.
Antir raccolse il neonato e, scoprendolo dal panno che lo
avvolgeva, vide che era un maschio.
Sorrise quando il piccolo gli afferrò un dito e lo strinse for-
te.
- Anuir, ti chiamerò. Mio figlio Anuir.
Disse con orgoglio e con l’amore che già lo legava a quella
piccola vita.
La luce si affievolì sino a scomparire del tutto, allontanan-
dosi verso il folto della foresta oltre l’argine occidentale del
Dinuarius.
L’uomo avvolse il piccolo nel panno e si avviò guardingo
verso la zona indicatagli dalla Naiade.
Lungo la strada ritrovò per primo il suo arco, la faretra era
abbandonata poco distante.
Il nitrito di Baio attirò la sua attenzione verso una radura
più a nord.
Raccolse le armi e posizionò con cura Anuir nel suo zaino,
legandoselo sul petto affinché potesse tenerlo più al sicuro,
poi raggiunse il cavallo. La sua spada era nel fodero attac-
cato al pomo della sella.

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- Per Opi!
Esclamò tra se. Montò in groppa e rivolse la cavalcatura ver-
so sud, galoppando di buona lena.
Cavalcarono tutta la notte. Alle prime luci dell’alba si fer-
marono sul limitare di un boschetto di querce alla cui om-
bra, nel flebile chiarore del primo mattino, si poteva scor-
gere la sagoma di una stamberga, dal tetto spiovente e dal
cui comignolo si levava un sottile filo di fumo e un barlume
rossastro traspariva attraverso le tende di una finestra.
- Il Druido è uomo saggio e accorto, Anuir. Lui saprà
consigliarmi…
Così dicendo, Antir smontò da cavallo e si diresse deciso
verso la porta della baracca.
- Meriagol!
Disse senza alzare troppo la voce, battendo più volte il pu-
gno sul legno dell’uscio. Nessuna risposta. A un battere più
deciso, però, la porta si aprì.
- La porta è aperta. Meriagol! Pazzo stregone, ci sei?
Antir entrò senza esitare. Una volta dentro si guardò attor-
no, tenendo la mano destra sull’impugnatura della spada,
pronto a brandirla.

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Tutto sembrava tranquillo e nulla era fuori posto. La brace
nel camino riscaldava una marmitta il cui contenuto sobbol-
liva pigramente, emanando un odore terroso.
- Non deve essere lontano…
Disse, aggiustando lo zaino mentre Anuir sbadigliò placida-
mente, riscaldato dal petto del cacciatore.
- Infatti! Se qualcosa bolle in pentola…
La voce lo fece trasalire e voltare di scatto verso la sua ori-
gine.
- … il druido non può essere andato lontano. Meriagol,
mi hai spaventato lo sai?
Aggiunse, ridacchiando, Antir
- Chi dovrebbe essere più spaventato tu o io che, en-
trando in casa, mi ritrovo di fronte un ramingo per di
più armato di spada?
Chiese lo sciamano agitandogli davanti al naso un mazzetto
di verbena.
- Come se non conoscessi il mio cavallo.
Ribatté Antir.
- Beh… i cavalli possono anche cambiare cavaliere, tal-
volta. Spesso non c’è molto da fidarsi del nuovo pro-
prietario.

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Aggiunse l’augure con tono serio, guardando di sottecchi il
cacciatore, mentre si avvicinava al calderone per aggiun-
gervi le erbe.
- Combini un altro dei tuoi intrugli?
Disse Antir cambiando discorso.
- In verità stavo preparando la colazione, solo che non
mi ero accorto di aver terminato la mia scorta di ver-
bena, ultimamente ho avuto un po’ di debolezza alle
reni oltre che di memoria... hai poi catturato il tuo
cervo?
Il druido mescolò con la dovuta calma la zuppa, una volta
accomodatosi sullo sgabello di fronte al camino.
- Macché! L’ho colpito ma è andato a morire oltre i con-
fini settentrionali…
Rispose Antir ma fu interrotto da Meriagol.
- Proprio non vuoi deciderti a riprender moglie vero? La
pelle di quel cervo era indispensabile per completare
il rituale.
Antir restò in silenzio, poi, d’un tratto si avvicinò al druido
accovacciandosi.
- Meriagol, mi è accaduto un fatto incredibile. Al mar-
gine della foresta d’oltre colle.

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Dalla luce verdastra di un braciere alle spalle del druido si
levò un’improvvisa nuvola di fumo.
- Interessante.
Disse Meriagol voltandosi verso il caldano e senza scomporsi
più di tanto.
- Guarda.
Aggiunse Antir, scoprendo il panno che copriva il bambino,
assopitosi serenamente all’interno del suo zaino.
Con calma il cacciatore raccontò al druido, per filo e per
segno, tutto quanto accadutogli sulla riva del Grande Fiu-
me. Egli lo ascoltò senza interromperlo, meditabondo.
- Per le corna di Cernunnos!
Commentò Meriagol, quindi estrasse la pentola dal caldero-
ne e la poggiò su una pietra ai piedi del camino, raccolse
una vecchia pipa, la caricò e la accese. Aspirate alcune
boccate di fumo si lasciò cadere su una robusta poltrona di
legno di quercia.
- Hai detto dalla riva di ponente?
Chiese al cacciatore.
- Sì, la foresta sembrò per un attimo illuminata a gior-
no...
Il druido lo interruppe.
- Le hai vedute?

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Chiese insistente.
- Chi?
Domandò Antir soprapensiero.
- Queste Naiadi del Brasios. Le hai viste?
Antir sospirò, posando lo sguardo su Anuir.
- No ma ne ho percepita la presenza, la voce sembrava
librarsi nell’aria direttamente dai gorghi del Dinua-
rius.
Il druido continuò a fumare, apparentemente quieto. I suoi
pensieri tuttavia sembravano prendere forma nelle nuvole
di fumo che si liberavano dal fornello della pipa.
- Ti hanno chiamato per nome. Il tuo wyrd ti voleva in
quel preciso luogo e in quell’istante.
Disse a un certo punto alzandosi e avvicinandosi al piccolo.
- C’è tuttavia qualcosa che sfugge alla mia divinazione.
Come se questa creatura fosse avvolta da un’aura pro-
tettiva. Stai attento Antir…
Antir scoppiò a ridere.
- Cosa avrei da temere da una creatura tanto piccola,
druido?
Replicò.
- Non da lui, sciocco! Da ciò da cui proviene devi guar-
darti. Dai pericoli da cui questo stesso piccolo è stato

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tratto in salvo. Forze sconosciute e ancestrali aleggia-
no nell’antica selva, al di là del fiume. Forze che si
sottraggono anche alla mia comprensione.
Rispose Meriagol. Antir si alzò dallo scanno per cullare A-
nuir, innervosito dal tono dell’augure.
- Beh, le Naiadi, o chiunque fossero, mi hanno sottratto
da un imprevisto ben peggiore di una vecchia foresta
stregata. Quei farabutti mi avrebbero condotto a nord
e chissà che fine avrei fatto alla torre meridionale di
Lirnaeus.
Il druido appariva pensieroso.
- Consulterò le pietre. Voglio vederci chiaro.
Si alzò dalla sedia e andò verso uno scaffale. Ne trasse un
vecchio vaso di terracotta scolpito in foggia di testa femmi-
nile, la particolarità di quell’oggetto stava nel fatto che a-
veva tre lati e a ognuno corrispondeva un volto diverso.
Ad Antir sembrò la stessa donna ma in età diverse della vi-
ta.
Lo sciamano lo fece roteare sul fumo verde del braciere, i
cui tizzoni emanarono dei riverberi più luminosi.
Poi si avvicinò al tavolo, sotto lo sguardo attento del caccia-
tore, e vi riversò il contenuto del recipiente.

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Dei sassi piatti rotolarono sulle assi di legno, alcuni
s’incastrarono nelle crepe, altri finirono più lontano. Ogni
pietra aveva una forma e un colore diverso dalle altre. Su
ciascuna era incisa una runa ben precisa.
Il mago restò a lungo a guardare il risultato della sua divina-
zione, sposandosi intorno al desco come per essere sicuro di
ciò che leggeva in quelle sacre pietre.
- Cosa ti dicono le tue pietre veggenti, Meriagol?
Gli chiese impaziente e curioso Antir. Lo sciamano aspettò
ancora un poco per rispondere.
- Gli spiriti della natura sono inquieti. Le rune predico-
no per lui un fato lontano da queste terre ma, nello
stesso tempo, sembrano ammonirci sui pericoli che
questo piccolo correrebbe non solo nei territori oscuri.
La sua presenza ha interrotto un equilibrio, egli scate-
nerà forze che fino ad ora ignoravamo…
La fronte aggrottata di Meriagol s’imperlò improvvisamente
con una moltitudine di goccioline di sudore.
- D’ora in poi condividerete un destino comune, almeno
fino a quando le vie tracciate dalle tre sorelle non vi
separeranno affinché possa compiersi ciò che è scritto.

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Continuò lo stregone. Poi il suo sguardo si soffermò su una
delle rune. Allungò la mano per sfiorare il sasso sul quale
era inciso un simbolo che parve turbare l’animo del druido.
- Non capisco.
Disse.
- Cosa indica quel segno?
Gli chiese Antir.
- Non pronuncerò questa runa, nemmeno la sussurrerò.
Il suo potere è troppo grande perché sia evocato.
Antir strinse a se il bambino. Meriagol sfiorò il volto rubi-
condo del piccolo.
- Alleva Anuir secondo le credenze del Dinuar. Ciò lo
terrà lontano dalla foresta ma dovrà crescere forte e
saggio… riguardo a ciò avrai il mio soccorso.
Concluse, ironico, il druido. Antir sorrise sotto i baffi. Poi
sollevò Anuir davanti a se.
- Hai sentito, Anuir? Meriagol teme che non sia abba-
stanza assennato da trasmetterti la saggezza.
Anuir iniziò a piangere. Il druido squadrò Antir di sottecchi.
- Che ti prende adesso, piccolo?
Chiese tra se il cacciatore.
- Hai pensato a come saziare la sua fame?

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Gli domandò Meriagol, raccogliendo i sassi dal tavolo per ri-
porli nel vaso.
- Beh… veramente…
Tentennò Antir. Meriagol sbottò in una grassa risata.
- I miei timori hanno fondamento, dunque. Sarà il caso
di mungere la capra, che ne pensi?
Gli occhi di Antir divennero due strette fessure.

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I Briganti del Dinuar.

- In guardia canaglia! Tu e i tuoi servi non mi fate pau-


ra… prendi questo! Difenditi, vigliacco!
Passava da un nemico all’altro con una velocità incredibile.
L’arma che brandiva fischiava minacciosa prima di abbat-
tersi sulla vittima designata. Una parata, un affondo ed an-
che il capo dell’orda di briganti fu atterrato.
- Fuggite ora e non fatevi più vedere nella mia te…

- Anuir! Svelto che la carne si fredda. Smettila di tor-


mentare quei poveri alberi.
Il fanciullo, interrotto nella fase più importante del combat-
timento, fece roteare il bastone che impugnava sopra la te-
sta prima di scagliarlo oltre il limitare del boschetto di lari-
ci.
- Arrivo, padre, arrivo!
Urlò in direzione della capanna, dalla quale proveniva un
forte aroma di cinghiale alla brace.
- Uff! Mai che si possa terminare in pace un combatti-
mento…
Borbottò tra se e se Anuir.

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- Presto imparerai a combattere come un uomo.
Disse Antir, addentando un pezzo di carne attaccata
all’osso.
- Quando?
Chiese con ansia il ragazzo.
- Presto, ho detto.
Rispose il cacciatore.
- Davvero m’insegnerai?
Chiese entusiasta il fanciullo, saltando in piedi sullo sgabel-
lo.
- Già, ma prima dovrai imparare le buone maniere.
Aggiunse il cacciatore sculacciandolo e costringendolo a se-
dere.
- Ora mangia, altrimenti non avrai la forza per appren-
dere.
Anuir addentò la sua carne con un sorriso che era tutto un
programma. Non vedeva l’ora di cominciare. Antir si era
sempre rifiutato di fargli anche solo toccare la spada, nono-
stante ciò, il piccolo passava ore a osservare suo padre
mentre si allenava con quell’arma poderosa che, solo a sol-
levarla ci voleva una gran forza.
Dopo aver consumato la cena, Antir prese in braccio suo fi-
glio e andarono verso il poggio, dal quale si poteva domina-

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re tutta la vallata. Il sole tramontava e il cacciatore mostrò
al piccolo l’estremità opposta della forra. In lontananza si
potevano ancora scorgere i luccichii del Dinuarius.
- Prima di iniziarti ai segreti della spada, figlio mio, do-
vrai conoscere una persona. È un uomo sapiente,
t’insegnerà ciò su cui io non posso ammaestrarti. Do-
mani ci metteremo in marcia verso sud.
Lo sguardo di Antir si fece serio quando, rientrato in casa e
rimboccata la coperta di Anuir, gli sussurrò dolcemente.
- Ora riposa. Domani ci attenderà una lunga marcia.

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Il cerchio del Druido.

Era appena l’alba quando Anuir si accomiatò dai suoi sogni


di fanciullo per aprire gli occhi su un nuovo giorno.
Saltò sul letto di Antir che si svegliò di soprassalto.
- Per le corna di Cernunnos! Anuir…
Esclamò suo padre, ancora immerso nel sopore del dormive-
glia.
- È giorno, padre, svegliati… dobbiamo partire!
Antir spalancò la bocca in un largo sbadiglio. Si stropicciò
gli occhi con il dorso della mano e focalizzò il faccione di
Anuir a un palmo dal suo naso, con occhi che rilucevano
come una verde brace.
- Sta bene. Va al ruscello e riempi le borracce. Preparo
la colazione.
Disse, al ché Anuir balzò giù dal letto come un fulmine, fi-
lando poi verso il rivo dopo aver raccolto, in corsa, le due
borracce sullo scaffale accanto alla porta.
Quando fu di ritorno, il cacciatore aveva preparato due
piatti con spesse fette di pane su cui era adagiato del for-
maggio stagionato, il tutto accompagnato da bacche di mir-
tilli.

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Anuir addentò con avidità prima il pane e poi il cacio, cer-
cando di finire la colazione prima possibile.
- Calma ragazzo, strozzandoti di certo non anticiperai la
partenza.
Disse, ridacchiando, Antir mentre Anuir masticava con fati-
ca un boccone talmente grande da gonfiargli le guance co-
me quelle di uno scoiattolo.
Poi il piccolo sorrise, rischiando di restituire al piatto parte
dell’enorme bolo.
Terminata la colazione, Antir gli sistemò la tunica e il man-
tello, e gli porse un piccolo zaino che conteneva qualche
gioco di legno assieme alla merenda e la sua borraccia.
L’insieme di tutto ciò conferiva al ragazzo un aspetto tene-
ramente goffo.
I due si diressero verso la capanna nella quale il vecchio Ba-
io li accolse con un sonoro nitrito.
Durante la cavalcata fecero due soste, nel corso delle quali
si rifocillarono. Ogni tanto smontavano da sella, per condi-
videre con Baio parte del lungo cammino che li portò fino
all’estremità meridionale della valle del Dinuar, quasi a ri-
dosso delle rive del grande fiume che Anuir, salvo nel corso
del suo primo incontro con Antir, non aveva mai più visto
così da vicino.

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- Tra poco dovremmo avvistare la radura del druido,
Anuir. Meriagol sarà contento di incontrarti. Del resto
sei anche il suo figlioccio nonostante non ti veda da
quasi dieci anni.
Anuir osservò suo padre, perplesso.
- È questo Meriagol l’uomo di cui mi hai parlato ieri?
Gli chiese, dopodiché sorseggiò un poco d’acqua dalla bor-
raccia.
- Certo, figliolo. Egli è uno stregone molto potente e
conosce tutto, o quasi, sugli spiriti della natura. Ve-
drai, ti piacerà. È un tipetto anche piuttosto simpati-
co, se lo prendi dal giusto verso.
Spiegò il cacciatore.
- Sarà.
Commentò Anuir, tappando la fiasca e riponendola a tracol-
la.
Una poiana li sorvolò, facendosi precedere dal suo stridulo
richiamo.
- Siamo quasi arrivati.
Commentò Antir con il naso all’insù, dopodiché spronò baio
e galoppò verso sud ovest.

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Nell’aria si udiva un tintinnio lieve, il suono prodotto dalla
brezza che agitava decine di pezzetti di cannucce, conchi-
glie, anelli di rame e quant’altro il vecchio Meriagol era uso
legare ad una cordicella per adornare la veranda della sua
capanna.
Il sentiero boschivo lasciò spazio a un fitto intrico di arbusti,
attraverso cui si accedeva a un’ampia radura al centro della
quale sorgeva la stamberga del druido.
Il cavallo attraversò un passaggio tra le siepi e Anuir osservò
un cerchio di enormi pietre chiare, squadrate grossolana-
mente, ma tutte della stessa altezza e forma allungata, e-
rano piantate tutt’intorno allo spiazzo erboso.
Su ogni menir erano incisi profondi e precisi solchi a forma-
re una sorta di forcone a tre punte.
La poiana ora sorvolava la radura. A un certo punto si gettò
in picchiata e scomparve dietro la casa.
- Non spaventarti, Anuir. Al druido piace, a volte, sor-
prendere i suoi ospiti, aspettiamoci qualche burla del-
le sue da un momento all’altro.
Disse Antir, notando che il piccolo si guardava attorno stra-
lunato. Le rocce, le piante, la casa, tutto in quel luogo
sembrava emanare una forza quasi tangibile. Come se una
rete invisibile avvolgesse l’intera radura.

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Nonostante gli ammonimenti di Antir, quella volta Meriagol
non usò uno dei suoi soliti trucchi. La porta della stamberga
si aprì e sulla soglia comparve lo sciamano, con i suoi lunghi
capelli e la barba bruna.
- Antir! È la pista di un cervo quella che stai seguendo?
O posso illudermi che sei venuto apposta per ritrovare
un vecchio amico?
Antir smontò da cavallo e aiutò Anuir a scendere.
- Anch’io sono contento di vederti, pazzo d’un druido.
Rispose il cacciatore. Meriagol, intanto, concentrò la sua at-
tenzione su Anuir.
- Questo cucciolo? Devo ammettere che Anuir è proprio
un bel bambino, nonostante abbia un aspetto piuttosto
gracile.
Antir sorrise mentre il piccolo, intimorito dalla presenza di
Meriagol, cercò rifugio dietro le braghe del cacciatore.
- Anuir? È forte e coraggioso, un padre non può sperare
di avere figlio migliore.
Aggiunse il cacciatore, stringendo con vigore il braccio de-
stro del druido. Poi prese in braccio Anuir e lo avvicinò allo
stregone.
- Suvvia Anuir, Meriagol, nonostante l’aspetto truculen-
to, non è poi tanto malvagio… invero qualcuno giura

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che, nelle notti di plenilunio, si tramuti in uno strano
animale… o era un fungo? Ah, non ricordo.
Disse poi, scoppiando a ridere e coinvolgendo nell’ilarità
anche Anuir che si aprì in un largo sorriso dopo che lo stre-
gone fece una buffa smorfia.
- Comunque non mordo se è questo che temi, ragazzo.

Meriagol invitò i suoi ospiti a consumare un pasto a base di


uova ed erbe. Anuir ricevette un benvenuto extra sottofor-
ma di dolcetti di fichi e noci, ed ebbe modo di pensare che
quell’uomo, dall’aspetto così inconsueto e bizzarro, non
fosse poi tanto male.
- Sei un mago?
Chiese timidamente, ad un certo punto, addentando un al-
tro di quei deliziosi dolcetti.
- Oh no, Anuir. I maghi, vedi, non esistono. La magia,
invece, quella sì ed è tutta intorno a noi. In ogni cosa
essa fluisce, spesso invisibile alla maggior parte degli
uomini. Beh si potrebbe dire che io so come vederla…
ecco sono un uomo che scorge la magia e sa sfruttare
la sua potenza.
Anuir per un attimo smise di masticare. Poi qualcosa gli ba-
lenò in mente e la curiosità fu più forte della sua prudenza.

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- Quei simboli sul cerchio di pietra… hanno a che fare
con la magia?
Chiese. Antir restò in silenzio, sorridendo sotto i baffi e
scrutando sardonico Meriagol.
- Sei acuto, ragazzo. Beh sì. Bada, però, che le rune non
sono da prendere alla leggera. Chiunque può inciderle.
Non che questo sia difficile, intendo, ma controllare il
potere che esse rappresentano, interpretarne i mes-
saggi… sono pochi ad essere in grado di dominarle e
alcune possono essere assai pericolose. Ricordalo.
Rispose Meriagol. Dopodiché strizzò l’occhio ad Antir, il
quale fu orgoglioso di Anuir e del suo “acume”.
- Un giorno, se vorrai, t’insegnerò ad interpretare que-
sti segni, così potrai inciderli sul tuo destriero.
Disse il druido rivolgendosi ad Anuir e scompigliandogli i ca-
pelli con fare scherzoso.
- Non ho un destriero, signore, Antir dice che sono anco-
ra troppo piccolo ma qualche volta ho montato Baio
tutto da solo.
Rispose Anuir.
- Beh… anche a ciò potremmo presto porre rimedio.
Concluse Meriagol.

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Un dono prezioso.

Man mano che trascorrevano i giorni, Anuir apprezzò sempre


di più la compagnia di Meriagol. Era un uomo davvero diver-
tente e conosceva tante di quelle storie e trucchetti spasso-
si. Capitava spesso che il piccolo Anuir restasse ad ascoltar-
lo a bocca aperta, soprattutto quando il druido gli descrive-
va, con una dovizia incredibile di particolari strabilianti,
qualcuna delle sue mirabolanti avventure nel mondo degli
spiriti.
Talvolta, anche se di rado, rinunciava persino ad andare a
caccia con Antir pur di restare con lui, magari per esplora-
re, in cerca di erbe magiche, la sponda opposta del Dinua-
rius, luogo che neanche il coraggioso cacciatore osava pro-
fanare.
Sebbene Meriagol non mancasse di ammonirlo circa i perico-
li che quella selva poteva celare, specie per chi non cono-
scesse a pieno i segreti del mondo degli spiriti, Anuir mo-
strava di avere un innato interesse per quella foresta, nono-
stante essa rappresentasse un tabù per la totalità della gen-
te del Dinuar. Solo il druido conosceva i guadi più sicuri,
contrassegnati, su entrambi i versanti, da particolari rune
sulla corteccia degli alberi più prossimi alla riva.

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- Guardati da Silvestris Nexus, Anuir, in essa si cela un
potere cupo e misterioso. Persino io preferisco non av-
venturarmi oltre la macchia, nonostante la qualità di
alcune di queste erbe selvatiche è di gran lunga supe-
riore a quelle che posso reperire nel Dinuar.
Disse Meriagol durante una di quelle che lui definiva “cacce
alle essenze” nella quale, ad accompagnarlo, c’era anche
Anuir.
- A me sembrano piante come tante altre, Meriagol, non
sono differenti da quelle della nostra sponda.
Notò il bambino.
- In effetti, è quello che può apparire a un occhio disat-
tento. Tuttavia queste che ti sembrano innocue pianti-
celle non esiterebbero a uccidere chiunque osasse ten-
tare di profanarle, senza conoscerne i segreti. Vedi,
Anuir, questa foresta è molto antica e le sue origini ri-
salgono a tempi in cui l’uomo era solo una pallida idea
nella mente degli dei.
Anuir osservò con più attenzione Silvestris Nexus. Il suo
sguardo si perse oltre le cime di un’intricata linea di querce
millenarie. Neanche il vento gli parve osasse violare quella
barriera.

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- Il mio maestro, Certarius, un giorno mi disse: Meria-
gol, Silvestris Nexus in realtà è il nome di un'unica
pianta, una sola entità che da vita a tutta la foresta
da qui fino alle estremità settentrionali della grande
dorsale dei Monti d’Ombra. Le sue radici si uniscono
nel sottosuolo dando origine a una rete in cui i canali
del wyrd sono assai potenti e in essa risiedono segreti
inviolabili. Ciò da anche alle piante del sottobosco fa-
coltà superiori a qualsiasi altra erba che affondi le ra-
dici oltre la sponda orientale. Il Dinuarius è un fiume
sacro. Esso impedisce a Silvestris Nexus di prendere
possesso della valle del Dinuar così come l’acqua arre-
sta un fuoco che divampa.
Aggiunse lo sciamano raccogliendo con il palmo una mancia-
ta d’acqua dal fiume. Anuir sospirò e rabbrividì al cospetto
di qualcosa che gli sembrò impensabile. Guardando verso
nord la macchia di quella selva si perdeva all’orizzonte.
- E ora di ritornare, ragazzo.
Concluse Meriagol sciogliendo la cima della barca.
Approdati alla sponda opposta, sistemarono la piroga in cor-
rispondenza di un’insenatura del fiume, dove un folto can-
neto dava modo di nasconderla alla vista.

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Attraversarono una faggeta oltre la quale imboccarono un
sentiero che li condusse alla radura.
Antir li stava aspettando. Sembrava ansioso, anche se, alla
vista di Anuir, parve tentare di nascondere la sua agitazio-
ne.
Quando i due lo raggiunsero il cacciatore si schiarì la voce
e, con tono serio e perentorio si rivolse ad Anuir.
- Ti sei perso una grande caccia, figliolo. Ora va nel ca-
panno, poiché c’è un cavallo che necessita di una bella
strigliata.
Disse al che il piccolo parve lievemente contrariato.
- Ma… padre, sono appena tornato dalla caccia alle es-
senze…
Aggiunse Anuir, alzando le spalle.
- E la chiami caccia quella? Forza, non discutere e fila
nel capanno.
Insistette Antir, strizzando furtivamente l’occhio a Meriagol
e indirizzando, con uno scappellotto, il figlio nella direzione
giusta.
Anuir si avviò mesto verso la piccola stalla, strascicando
leggermente i passi.
Voltato l’angolo della capanna, tuttavia, la sua espressione
mutò di colpo e portò d’istinto le mani alla bocca.

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Presto lo raggiunsero anche Meriagol e Antir.
Il fanciullo restò per qualche istante immobile senza poter
proferire parola. Accanto a Baio, legato al palo con
un’improvvisata cavezza, c’era un puledro. Il manto era gri-
gio scuro, con sfumature saure sulle cosce e aveva
un’espressione alquanto vivace.
- Che c’è figliolo, hai improvvisamente perso la fave…
Non gli diede il tempo di finire la frase che subito gli saltò
al collo.
- Padre ma è un puledro… un… un cavallo tutto mio,
non… non…
Balbettava dalla gioia.
- Anuir! Così mi strozzi! Piano…
Abbandonata la presa su Antir, Anuir corse verso il puledrino
che si agitò al quanto, spaventato dall’irruenza del ragazzo.
Esaminò ogni minimo particolare di quell’animale, da ogni
possibile angolazione. Passò le dita tra i crini bruni poi ca-
rezzò il collo e la groppa. Il puledro sembrò tranquillizzarsi
al tocco di Anuir.
- Beh, sembra proprio che tu gli vada a genio, ragazzo.
Osservò Meriagol.
- È uno dei cavalli di Frisius, non è vero?
Chiese poi ad Antir.

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- Già, uno dei migliori puledri della razza del Principato
di Taeverius.
Precisò il cacciatore.
- Tuttavia non può ancora essere cavalcato, è troppo
giovane, dovrà irrobustirsi prima che tu lo possa mon-
tare.
Aggiunse, poggiando una mano sulla spalla di Anuir.
- È… è bellissimo.
Disse Anuir, che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
- È già svezzato ma ciò non toglie che dovrai prenderte-
ne cura, procurandogli erba di buon pascolo e acqua di
fonte. È un animale di gran pregio Anuir, più ne avrai
riguardo e più ti servirà con dedizione. Ora però do-
vresti trovargli un nome.
Lo ammonì Antir.
- È vero! Un bel nome… potrei chiamarlo… beh…
Meriagol sorrise.
- Ne hai di tempo per pensarci, Anuir, un così bel pule-
dro merita un nome altrettanto degno.
Disse il druido, scompigliando le onde già caotiche della
chioma del ragazzo.
- Flinio! Lo chiamerò così: Flinio, il cavallo di Anuir!
Suona bene… che ne pensate?

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Intervenne con enfasi Anuir.
- Per il vecchio salice di Ronir! Suona proprio bene.
Aggiunse Meriagol.
- E sia. Un nome altisonante, e breve. Proprio quello
che ci voleva. Flinio, piace anche a me.
Concluse Antir, mentre Meriagol corse in casa per uscirne
subito dopo con qualcosa in mano. Si trattava di uno dei
sassi contenuti nel vaso a forma di testa femminile.
- Non temere, non gli farò del male.
Disse ad Anuir, avvicinandosi al puledro. Dopodiché appog-
giò il sasso sulla groppa del cavallino pronunciando una fra-
se nell’antica lingua dei druidi.
Quando tolse il sasso, sulla schiena di Flinio comparve una
macchia scura, la forma era la stessa della runa incisa sulla
piccola pietra ed era uguale ai segni sulle pietre del cerchio
magico.
- Questa runa lo proteggerà dagli spiriti ostili e lo farà
crescere sano e forte.

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Flinio, il puledro di Anuir.

40
La caccia di Antir.

Quel giovane cavallo dava ad Anuir un gran da fare, ma il


piccolo non se ne fece un cruccio, a lui faceva piacere por-
tarlo al pascolo nelle vaste radure a est del delta del Dinua-
rius.
Trai due subito si stabilì una sintonia rara, di ciò fu lieto An-
tir che vedeva in questo un buon presagio, come se i due
fossero predestinati a condividere le esperienze predette da
Meriagol.
In cuor suo il cacciatore sapeva che non avrebbe potuto ac-
compagnare Anuir nel compimento del proprio destino e ciò
lo colmava di angoscia. Vederlo crescere vigoroso e a vista
d’occhio da un lato lo inorgogliva, dall’altro percepiva in ciò
un appropinquarsi del giorno in cui si sarebbero separati.
- Anuir! Vado a caccia più tardi, vieni con me?
Gli disse il mattino del suo undicesimo compleanno.
- E Flinio? Lo sai che oggi devo portarlo al pascolo
dell’argine.
Rispose Anuir, che già stava avviandosi verso la stalla.
Meriagol si affiancò ad Antir, sorrideva.

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- Rassegnati, vecchio cacciatore. Anuir sta crescendo, ed
è sempre più autonomo. Vedrai che tra un po’ recla-
merà di montare Flinio, se non l’ha già fatto.
Gli disse spintonandolo in tono di scherzo.
- Ha anche smesso di chiedermi di insegnargli a tirar di
spada…
Meriagol gli poggiò una mano sulla spalla.
- Dai tempo al tempo, Antir. Il ragazzo è assennato, l’ho
osservato un giorno al pascolo. Continua a esercitarsi
con i bastoni… ed è più abile di quello che pensi.
Aggiunse il druido, mentre Anuir usciva dalla stalla condu-
cendo Flinio alla cavezza. L’animale era cresciuto parec-
chio, ora il suo manto si era schiarito fino a divenire grigio
chiaro, quasi bianco e la runa sulla groppa era ancor più e-
vidente.
- Percorrerò le piste lungo l’argine. Ci vediamo al fiume
allora?
Urlò Antir a suo figlio.
- D’accordo, padre, ti aspetterò al fiume.
Concluse il ragazzo.

Il bosco di larici era percorso da una brezza leggera che, in-


sinuandosi tra i tronchi ombrosi, rinfrescava le membra ac-

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calorate del cacciatore. Il sottobosco era solcato da diverse
piste. Quelle più evidenti erano state tracciate dai branchi
di cinghiali ma Antir, quel giorno, era in cerca di selvaggina
pregiata. Stava difatti seguendo le tracce di un capriolo.
Rincorse i segni lasciati dall’animale fin sul crinale di un
colle dal quale si poteva intravedere a occidente il luccichio
del fiume e l’ampia radura dove Anuir era solito condurre
Flinio al pascolo.
Si soffermò distrattamente ad osservare quella zona, poi la
sua attenzione fu attirata da un ciuffo di peli chiari tratte-
nuti da un ramo al passaggio del capriolo.
- Non deve essere lontano.
Pensò. A un tratto, con la coda dell’occhio scorse la sago-
ma di Anuir in lontananza.
Era nella radura e stava agitando un’asta di legno come fos-
se una spada. Le movenze lo stupirono poiché erano accura-
te e precise, eseguiva gli stessi esercizi con i quali egli stes-
so si teneva in allenamento con la spada.
- Stai crescendo figlio mio. Meriagol ha ragione, come al
solito.
Mormorò. Poi si concentrò sulle tracce della sua preda.

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- Hai visto, Flinio? Oggi mi è riuscita la doppia rotazio-
ne. La spada, però, è più pesante, devo continuare ad
esercitarmi.
Disse Anuir. Il cavallo, come se avesse compreso, sollevò la
testa dal pascolo, sbruffò sonoramente per poi riprendere a
mangiare in tutta tranquillità.
- Vedrai, presto avrò una lama tutta mia e non sarai più
così spiritoso.
Questa volta Flinio nitrì sonoramente. Poi, però, restò per
un attimo immobile, con le orecchie dritte e il muso rivolto
verso nord. Fiutava accuratamente il vento.
Anuir non si avvide di ciò e continuò ad allenarsi, tuttavia,
dopo un po’ anche lui si voltò spontaneamente verso gli al-
beri a nord della radura. Qualcosa proveniente da quella di-
rezione faceva vibrare il terreno. Non attese troppo prima
di avvertire con chiarezza lo scalpitio di zoccoli.
La sua curiosità fu soddisfatta quando dalla macchia boschi-
va scaturirono le sagome di due cavalieri. Gli uomini caval-
cavano decisi nella sua direzione.
Anuir si appressò istintivamente al suo cavallo nascondendo
dietro di se il bastone.
I due lo raggiunsero presto.

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- Un cavallo di razza Taeverina. Davvero una bella be-
stia, ragazzo.
Disse uno dei due uomini in sella.
- Noi ce ne intendiamo, sai?
Precisò l’altro. Anuir non rispose. L’istinto gli suggeriva di
non fidarsi e restò a scrutarli con aria sospettosa.
- Ma non sei troppo giovane per possedere un cavallo?
Riprese il primo.
- Temo proprio che l’abbia rubato… una così bella bestia
nelle mani di un mocciosetto.
Anuir stavolta si frappose tra gli uomini e Flinio.
- Questo è il mio cavallo! Me l’ho ha regalato mio pa-
dre. Lasciateci in pace…
Puntualizzò con aria infastidita.
- Non sei gentile. Per niente gentile…
Borbottò il più anziano dei due gaglioffi.
- Lo sai cosa facciamo ai ladri nel nostro feudo, ragazzi-
no?
Aggiunse in tono minaccioso l’altro uomo. Guadagnandosi
uno strattone da parte del suo compare.
- Facciamo così. Noi ti lasciamo andare, senza torcerti
un capello… in cambio però dovrai darci il cavallo.

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Fu l’offerta di quest’ultimo. Anuir li fissò con aria truce, poi
alzò il bastone senza fare altri commenti.
- Ah! Allora non vuoi proprio capire…
Disse il più giovane il quale, a un cenno dell’altro, si avvici-
nò ancora di più e provò a strappare dalle mani di Anuir la
cavezza di Flinio. Il ragazzo, tuttavia, con un rapido strat-
tone non glie lo permise, colpendolo in risposta col bastone,
spaventando così il cavallo del malfattore che s’impennò
facendolo quasi cadere dall’arcione.
- Bastardo! te la sei proprio cercata.
Esclamò questi una volta ripreso il controllo dell’animale e
scendendo da cavallo.
Anuir brandì il bastone. Quando l’uomo si avvicinò, provò a
colpirlo sulla testa ma egli riuscì a fermare l’asta e, torcen-
dola, la strappò dalle mani del ragazzo.
- E ora cosa ci fai? Hai capito o no che ora il cavallo è
nostro?
Così dicendo lo colpì col ramo alle gambe facendolo cadere.
Anuir, però, si rialzò con una velocità sorprendente e si get-
tò sull’avversario che fu preso di sorpresa poiché si era i-
navvertitamente voltato per sghignazzare con il suo compli-
ce. Ciò nonostante riuscì a bloccarlo e lo scaraventò di nuo-
vo per terra.

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- Ostinato il marmocchio.
Osservò l’altro che, nel frattempo, se ne stava ancora in
sella. Anuir tentò di rialzarsi ma il farabutto lo abbatté trat-
tenendolo al suolo con un piede piantato sul petto.
- Potresti anche venire a darmi una mano, invece di dire
sciocchezze. Lo prendi tu il cavallo intanto che sistemo
questo moccioso?
Protestò quest’ultimo il quale, mentre il compare smontava
da cavallo per recuperare la lunghina di Flinio, si accovacciò
sul ragazzo dopo aver sguainato una corta lama ricurva.
Il povero Anuir sbiancò in volto e iniziò a battere i denti dal
panico.
- Fai presto con quello lì, abbiamo altro da fare e non
abbiamo molto tempo.
Lo ammonì il compare.
- Ci metto un attimo.
Rispose l’altro addentando la lama rugginosa del coltello
per avere le mani libere affinché potesse meglio immobiliz-
zare la sua vittima. Stava per tagliargli la gola quando, a un
tratto, qualcosa lo scaraventò via, liberando il ragazzo dal
suo fardello.
Anuir si voltò e riconobbe la sagoma di Antir, stava già sol-
levandosi dal cadavere del suo aguzzino per avventarsi

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sull’altro malfattore che ebbe solo il tempo di accorgersi di
avere una lama piantata nella schiena prima di cadere mor-
to.
- Anuir!
Tutto si consumò velocemente. Anuir non ebbe la forza per
parlare ma trasse un profondo sospiro nel momento in cui
Antir lo aiutò a sollevarsi dopo essersi sincerato che stesse
bene.
Anche Antir se ne stette in silenzio. Si guardò attorno furti-
vo. Poi osservò meglio i due cadaveri.
- Aiutami.
Disse, facendo segno ad Anuir in direzione del fiume.
Il ragazzo lo aiutò a caricare i corpi su uno dei cavalli che
Antir condusse fino alla riva. Alla fine li gettò nel Dinuarius
scacciando poi i cavalli che si allontanarono verso nord.
Quando si voltò, si trovò di fronte Anuir, stava montando a
pelo Flinio. Per un attimo ad Anuir parve che Antir stesse
sorridendo.
- Torniamo a casa.
Disse, infine, salendo in groppa dietro di lui e spronando il
cavallo in direzione della radura di Meriagol.

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- Avevi mai ucciso un uomo prima d’ora?
Chiese Anuir, quando riuscì a recuperare la favella. Antir at-
tese un bel po’ di tempo prima di rispondere.
- Non mi avevi detto che già riuscivi a montare Flinio.
Replicò Antir, tentando di cambiare discorso. Il cacciatore
sospirò profondamente.
- Come sei riuscito a domarlo? Come hai fatto se non era
mai stato cavalcato prima.
Aggiunse il cacciatore.
- Non è stato necessario domarlo, padre. Non mi hai ri-
sposto, però.
Ribatté Anuir. Antir appariva ancora piuttosto scosso per
l’accaduto e riusciva a mascherare maldestramente il vano
tentativo dissimularlo.
- Vedi, Anuir, la morte… la morte non è mai una buona
soluzione, anche se in alcuni casi è l’unica scelta che il
destino ti offre. Tutte le volte che ho ucciso è stato
per difendere me stesso o… qualcuno che amavo.
Antir deglutì un groppo che improvvisamente gli strinse la
gola.
- Non è come andare a caccia, figlio mio. L’attimo in cui
ti rendi conto di aver ucciso un tuo simile è qualcosa
di terribile… una sensazione che non provi nel momen-

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to in cui lo fai ma solo un attimo dopo, come se, per
qualche crudele gioco, in quel breve istante la tua a-
nima fosse incapace di vedere e riacquistasse tale fa-
coltà solo quando è troppo tardi.
Anuir volse lo sguardo alle sue spalle. Gli parve cogliere,
nella penombra del bosco, un velo di lacrime negli occhi di
suo padre. Come se stesse ricordando eventi dolorosi.
- Padre, se non uccidevi quegli uomini, sarei morto ora.
Antir strinse a se Anuir.
- È vero, per questo non ho avuto scelta. Credo che si
trattasse di predoni provenienti dal nord. Erano vestiti
nella maniera degli uomini del feudo.
Seguì una lunga pausa in cui i due rimasero in silenzio men-
tre Flinio percorse con calma l’ultimo tratto del sentiero.
Erano quasi a ridosso della radura di Meriagol quando Anuir
si rivolse a suo padre con fare risoluto.
- Devi insegnarmi ad usare la spada.
Antir non rispose ma parve rassegnato all’idea. Strinse forte
la spalla di Anuir, dopodiché entrarono nella confortante
protezione offerta dal cerchio di pietra.

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Anuir e Flinio

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Egylius il sanguinario

Meriagol colse qualcosa di diverso dal solito nello sguardo di


padre e figlio, quando oltrepassarono assieme la soglia del
capanno.
- Parlano gli spettri attraverso i vostri occhi. Cos’è che
vi è accaduto?
Esordì lo sciamano.
- Anuir è stato aggredito da due predoni.
Rispose secco Antir, appoggiando l’arco sul tavolo. Meriagol
annuì come se si aspettasse già la risposta.
- Vestivano abiti del feudo, sebbene non recassero i
simboli di Lirnaeus.
Il druido si grattò la barba bruna, versò del vino da una ca-
raffa d’argilla e la porse al cacciatore.
- Un po’ troppo a sud. Sei sicuro che si trattasse di loro?
Gli chiese. Antir sbottò in una breve risata sardonica.
- Da quel poco che ho udito, anche l’accento era quello
del feudo… non ho avuto il tempo per le presentazio-
ni.
Rispose Antir, stringendo così forte la coppa da sbiancare le
nocche delle dita. Bevve il vino con un unico sorso.

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- Si preparano tempi oscuri se i predoni hanno deciso di
dirigere le loro mire su queste terre. Pensi siano gli
stessi che hanno razziato anche a nord?
Negli occhi di suo padre Anuir notò a un tratto lo stesso
sguardo di quando erano nel bosco.
- Dopo tutti questi anni? Sono troppo stanco per soppor-
tarlo di nuovo.
Antir si alzò dal tavolo e corse nella stalla, Anuir lo sentì
mentre sellava Baio. Montatogli in groppa, galoppò rapido
verso est imprecando nei confronti del fato.
Meriagol guardò Anuir e sorrise dolcemente, consapevole
del motivo per cui l’animo del cacciatore fosse così inquie-
to.
Il ragazzo intuì che qualcosa stava affiorando dal passato di
suo padre, qualcosa che egli desiderava restasse lì dov’era.
- A cosa si riferiva Antir?
Chiese a Meriagol, il quale, come se si aspettasse la doman-
da di Anuir, era già andato a raccogliere la sua pipa e la
borsa di pelle con il tabacco.
- Ti ha mai parlato di tua madre, Anuir?
Gli domandò con un tono stranamente pacato mentre cari-
cava il tabacco nel fornello della pipa.

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- Non mi parla spesso di lei ma, quando lo fa, dice sem-
pre che era di una bellezza abbagliante e che il loro
amore era grande, quanto infinite sono le stelle del
cielo d’agosto. Ora lei è una di quelle stelle. Mia ma-
dre è morta quando ero molto piccolo.
Meriagol aspirò un paio di boccate di fumo. Nella penombra
della stamberga la luce rossastra della brace nel fornello il-
luminò la fronte aggrottata del druido.
- Antir mi ha detto che un male oscuro l’ha colta nel
sonno senza che ella soffrisse. Cosa c’entra mia madre
con tutto questo?
Aggiunse Anuir. Per la prima volta notò in Meriagol un certo
imbarazzo.
- Ascolta, Anuir, gli anni in cui… morì tua madre, coin-
cidono con un brutto periodo per il Dinuar. Tutto il
Nord della regione fu oggetto di numerose incursioni
dei predoni provenienti dal feudo. Gli ambasciatori
mandati a nord, per chiedere ragione di ciò a Lirnaeus,
tornavano sempre con la medesima risposta. Si tratta-
va solo di banditi e il feudo non centrava nulla con le
devastazioni e le uccisioni, anche se i proventi dei sac-
cheggi finirono per arricchire le casse di Lirnaeus. A
quei tempi, Antir e… tua madre, abitavano nei pressi

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di un villaggio chiamato Alexus, proprio in quelle re-
gioni settentrionali che furono messe a ferro e fuoco
dall’orda di Egylius, un uomo sanguinario e spietato.
Ora sono luoghi pressoché disabitati, solo i pazzi e ra-
minghi cacciatori trovano asilo tra quelle lande.
Le nuvole di fumo si libravano dalla pipa e dalle narici dello
sciamano, prendendo quasi forma dall’essenza del suo rac-
conto.
- Anche Antir ebbe a che fare con loro, fu uno dei pochi
a opporsi e solo per un benevolo fato riuscì a scampar-
la. Dovette però abbandonare la sua casa, la sua terra
per trovare rifugio qui a sud, dove quei dannati non
hanno mai osato avventurarsi… almeno fino ad ora.

Quando Antir fu di ritorno, era notte fonda, Meriagol russa-


va sonoramente e Anuir era a letto ma non dormiva.
Il volto di suo padre gli apparve stravolto, come se avesse
pianto. Egli non si accorse che Anuir fosse ancora sveglio. Si
sedette accanto al fuoco e se ne restò lì per un po’ prima di
stendersi sulla sua branda.
Il sonno non placò l’inquietudine del cacciatore che si rigirò
sul giaciglio sotto il tormento di spaventosi incubi.

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Anuir fu turbato profondamente dall’angoscia che sembrava
essersi impadronita di suo padre.
Il mattino seguente Antir era già in piedi quando Anuir si
destò. Se ne stava appollaiato sulla veranda con lo sguardo
perso verso nord. Quando il ragazzo gli si approssimò, egli si
sforzò di sorridere come se tutto fosse normale.
- Hai voglia di imparare?
Disse, sfoderando la spada e puntandola sulle assi della ve-
randa.
Anuir fece cenno di sì sorridendo di sottecchi.
- Sai cosa può fare la differenza durante uno scontro in
campo aperto?
Gli chiese poi alzandosi e allontanandosi da lui di tre passi.
Anuir gli disse di no.
- È la portata dell’attacco!
Aggiunse all’improvviso, brandendo l’arma e superando con
la lama il corpo di Anuir lateralmente, mimando un affondo.
- Capisci che ciò che t’insegnerò potrai applicarlo solo
quando avrai acquisito la forza per brandire un’arma
simile? Solo allora la portata del tuo braccio ti consen-
tirà di offendere anche con un gioco largo. Per ora,
tuttavia, apprenderai la difesa, essenziale per soprav-
vivere e riuscire a vincere il tuo avversario.

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Anuir annuì imbarazzato ma soddisfatto. Finalmente Antir
aveva iniziato a impartirgli le prime regole dell’arte della
spada.
- Osserva questa spada.
Continuò Antir, brandendo l’arma verticalmente.
- Ogni sua parte, persino quella che ti sembra più inno-
cua, è stata forgiata per recar danno. Dalla punta al
pomolo, dovrai imparare a sfruttare ogni sua parte per
difenderti innanzitutto e, al momento opportuno, at-
taccare.
Il cacciatore si portò poi nello spiazzo antistante la stam-
berga di Meriagol, invitando Anuir a seguirlo.
- Prendi il tuo bastone e ripeti con me questi movimen-
ti.
Anuir obbedì, raccolse il ramo che aveva intagliato come
una spada e che usava per gioco durante le passeggiate con
Flinio.
Si posero uno di fianco all’altro e iniziarono ad allenarsi in-
sieme. Il volto di Anuir era serio, tuttavia i suoi occhi ride-
vano come mai avrebbero potuto fare le sue labbra.
Trascorsero quasi l’intera mattinata mimando vari tipi di
parata. Anuir riuscì a sorprendere Antir per la padronanza di
alcuni movimenti e per il modo in cui impugnava la sua ver-

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ga di legno. Lo aveva visto fare tante di quelle volte che gli
parve naturale brandirla allo stesso modo di suo padre.
Quando il sole fu a picco sulle loro teste erano esausti. Si
diressero verso l’abbeveratoio e v’immersero entrambi la
testa, arsa dalla calura dell’estate che avanzava.
Poi si sedettero sull’erba e scoppiarono a ridere, sdramma-
tizzando tutte le cupezze del giorno prima.
Seguirono giornate in cui Anuir apprese molti dei segreti
dell’acciaio.
Gli insegnamenti di Antir si completavano con le dottrine di
Meriagol. Apprese la filosofia dei druidi e imparò ogni det-
taglio di un’arma quale la spada, da come prendersene cura
affinché potesse servirlo nel modo migliore a tante di quelle
nozioni che neanche immaginava facessero parte dell’arte
del guerriero.
- L’arma corta, Anuir, può essere anche più micidiale,
talvolta, della lama lunga. Devi essere rapido come la
picchiata di un falco. O muoverti nell’ombra come le
spire di un serpente. Dovrai ogni momento giudicare
quale sia la maniera migliore per avere la meglio sul
tuo avversario.
Gli disse un giorno Antir. Ad Anuir venne in mente di quando
i due briganti tentarono di ucciderlo e come il cacciatore

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fosse riuscito a salvarlo agendo con rapidità e spietata fred-
dezza.
- Meriagol mi ha raccontato di quando vivevate a nord.
Disse a un certo punto Anuir. Antir parve stranito, come se
non avesse inteso bene.
- Tu e la mamma. Abitavate ad Alexus, prima che moris-
se.
Il cacciatore s’impensierì e la sua fronte fu incoronata da
miriadi di fredde goccioline.
- Alexus. Meriagol ti ha detto questo?
Chiese, pensieroso.
- Mi ha raccontato che ti ribellasti ai predoni.
Antir sorrise, ma il suo era un ghigno reso amaro dal riaffio-
rare dei ricordi.
- Ero più giovane e ingenuo, allora. Pensavo che nulla
avrebbe potuto offendermi ed ero tanto presuntuoso
da sopravvalutare le mie forze.
Antir fece una breve pausa. Anuir lo ascoltò con attenzione.
- Gruppi sempre più folti di predoni si aggiravano lungo
tutto il confine con il feudo. Operavano saccheggi e
stragi non più attaccando isolati agglomerati di capan-
ne, le loro sortite si erano fatte più audaci e finirono
per assaltare anche i grandi villaggi. Un giorno

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m’imbattei casualmente in uno dei loro massacri, fu
allora che presi la mia decisione. Assieme ad un grup-
po di cacciatori ci mettemmo sulle loro tracce. Lavinia
cercò di dissuadermi con tutte le sue forze, tuttavia,
il mio immaturo istinto mi rese sordo al suo presagio.
Anuir pendeva letteralmente dalle labbra del padre, aveva
nominato Lavinia, egli non pronunciava quasi mai il suo no-
me.
- Li trovammo accampati lungo una gola a nord est del
Dinuar. Quei pochi che riuscirono a scamparla ricorde-
ranno per sempre i sibili delle nostre frecce. Non tra-
scorse molto tempo che il nome dei raminghi di Antir
iniziò a divenire così noto da destare l’interesse di E-
gylius. Ostacolammo a tal punto la sua sete di ricchez-
za che decise a sua volta di darci la caccia.
Un sorriso appena accennato si dipinse sulle labbra di Antir.
- Pensa, Anuir, una volta riuscimmo a terrorizzare a tal
punto un gruppo dei suoi sciacalli che questi, con
l’intento di sfuggire alle nostre lame, si gettarono nel-
le acque del Dinuarius. Attraversarono a nuoto tutto il
fiume e sparirono nel folto della foresta. Silvestris
Nexus si occupò di loro come non avremmo mai potuto
fare noi altri. Restammo lì accampati fino a quando

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non udimmo le loro urla di terrore provenire da uno
dei pendii silvani un po’ più a nord. Forse stavano cer-
cando di aggirarci per riattraversare indisturbati il Di-
nuarius in corrispondenza di uno dei guadi settentrio-
nali. Preferimmo non scoprire mai cosa accadde loro.
Lo sguardo del cacciatore si fece cupo.
- La vendetta di Egylius non si fece attendere. Qualcuno
ad Alexus ci tradì e quell’assassino riuscì a scoprire i
nostri segreti. Per farci uscire allo scoperto occupò
l’intero villaggio e si fece consegnare alcuni ostaggi
tra cui c’era anche tua madre.
Ora anche Anuir si accigliò, preoccupato dall’evolversi del
racconto di eventi che mai Antir aveva avuto il cuore di ri-
velargli. Sulla loggia comparve anche la sagoma del druido.
Anuir lo scorse con la coda dell’occhio mentre si avvicinava
e si sedeva accanto a lui per cingergli le spalle. Meriagol fis-
sò negli occhi Antir il quale, a un cenno di assenso di questi,
continuò a parlare.
- Condussero i prigionieri a nord, lasciando detto che se
avessimo voluto ritrovarli in vita, avremmo dovuto
raggiungerli nel suo covo oltre il confine con il feudo
per consegnarci a lui di buon grado. Allora, figlio mio,
la rabbia e la sete di vendetta ebbero il sopravvento

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sul nostro senno e ci precipitammo a capofitto
all’inseguimento. Freddammo le sue retroguardie sen-
za preoccuparci di nasconderci nell’ombra. Avanzam-
mo facendo strage di tutti coloro che si frapponevano
tra noi e il luogo dove credevamo tenessero prigionieri
tua madre e gli altri. Quello che trovammo fu solo un
vicolo cieco, una trappola nella quale c’eravamo cac-
ciati come dei lupi dissennati. Lui se ne stava in cima a
quella gola, attorno aveva tutta la sua schiera di ca-
naglie. I prigionieri erano in vita. Non dimenticherò
mai quella risata, ci disse: da bravi, raminghi, ora ri-
prendetevi le vostre donne se ne siete capaci! Il suo
dileggio si unì allo sgomento nell’attimo in cui fui
morto senza che la vita uscisse dal mio corpo. Quelle
bestie… li scaraventarono dal dirupo….
Un singhiozzo soffocato interruppe il racconto di Antir ma
non ci fu bisogno di aggiungere altro. Il mento di Anuir vibrò
condividendo un dolore che Antir si era tenuto dentro per
tanti anni senza coinvolgere il cuore del fanciullo
nell’angoscia che attanagliava il suo.
- Perdonami, figlio mio, per averti tenuto allo scuro di
tutto. Perdona soprattutto il fatto che ora ne sei par-
tecipe.

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Anuir versò un'unica lacrima senza prorompere in un pianto
a dirotto che restò strozzato nel suo giovane petto.
- Li hai uccisi tutti, è vero? Ora sono tutti morti, vero
padre?
Antir non parlava più. Non ne aveva più il coraggio. Fu Me-
riagol a concludere il racconto.
- Anuir, tuo padre è scampato per un mero gioco del fa-
to all’atroce fine di coloro che furono accerchiati in
quella gola. Egylius aveva previsto ogni cosa. Dopo a-
ver ucciso i suoi ostaggi, fece in modo da far franare
l’intera falesia seppellendo sotto una montagna di
roccia uno dei suoi più atroci delitti. Seppur amare,
ragazzo, dovevi conoscere queste vicende. Fanno parte
del passato di Antir e per lui non è facile aprire lo
scrigno dei suoi segreti.
Disse infine lo sciamano, lanciando un’occhiata ad Antir che
Anuir colse ma senza comprenderne a fondo il senso.

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Arrosto di capriolo

Il maestro e l’allievo si fronteggiavano al centro della radu-


ra mentre una fresca brezza proveniente da nord est rinfre-
scò la fronte madida di Anuir e la schiena riarsa di Antir.
Erano trascorsi quattro anni da quando Anuir scampò ai due
predoni sulle rive del Dinuarius.
Il cerchio di pietra era divenuto un forziere in cui il ragazzo,
protetto dall’incantesimo delle rune, assorbiva tutto quello
che poteva sia da Meriagol che da Antir.
- Hai imparato bene a combattere a distanza ravvicina-
ta. Ora però dovrai imparare a servirti del debole del-
la lama.
Disse Antir, asciugandosi il sudore con il dorso
dell’avambraccio e indicando ad Anuir la punta della spada.
- Le tue membra sono slanciate. Quando ti sarai irrobu-
stito, riuscirai a tenere testa ai tuoi avversari anche
con un gioco largo.
Aggiunse, dopodiché, con un rapido movimento del polso,
fece roteare la spada. Eseguì un paio di affondi servendosi
di un vecchio tronco come avversario. Il bersaglio era a una
distanza di un paio di metri ma con un gesto elegante lo

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raggiunse con la punta della lama creando un largo squarcio
sul panno col quale lo aveva rivestito.
Quindi iniziò ad eseguire alcune serie di movimenti, alcuni
d’attacco altri di difesa.
- Osserva bene questa serie, la ripeterai insieme a me e
poi da solo.
Anuir osservò con attenzione i movimenti del padre, li me-
morizzò accuratamente quindi li ripeté assieme a lui, poi da
solo un paio di volte e senza sbagliare.
- Ora fronteggiami e capirai a cosa ti sono serviti i colpi
tirati a vuoto.
Disse Antir. Anuir obbedì e il cacciatore iniziò a portare
stangate complementari rispetto alla serie e, a ogni suo at-
tacco Anuir rispondeva, in base alla sequenza memorizzata,
parando e contrattaccando.
- Bene, Anuir. Ora la ripetiamo ancora una volta poi fa-
remo un’altra serie.
Fu una lezione lunga e faticosa dalla quale, però, il ragazzo
imparò molti attacchi e le relative contromisure di difesa.
Il giorno trascorse piacevolmente anche se, alla fine, Anuir
era esausto. La schiena sembrava tenersi insieme con bran-
delli di stracci, le ossa e i muscoli, che pian piano iniziavano
a tornire la figura longilinea del ragazzo, gli dolevano al

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punto che non riusciva a tenere neanche il braccio alzato.
Ciò, tuttavia, più che svilirlo lo rendeva soddisfatto e orgo-
glioso di se, poiché stava a significare che quello era stato
un giorno proficuo, nel quale molto aveva lavorato ma assai
di più aveva appreso.
Meriagol lo raggiunse sulla loggia della stamberga mentre
Antir si allontanava a cavallo verso il bosco per una caccia
vespertina.
- Ti ha spremuto proprio per bene oggi, eh Anuir?
Esordì il druido. Anuir lo guardò e sorrise, annuendo con a-
ria stanca.
- Da quando conosci Antir?
Gli chiese, rigirando la verga d’allenamento tra le dita.
- La prima volta che lo vidi fu nei boschi a nord. Caval-
cava come un forsennato alla testa di un drappello di
scalmanati. Era il giorno dell’agguato nella gola di E-
gylius.
Anuir, nonostante la stanchezza trasalì e si voltò rapida-
mente verso Meriagol.
- Si, Anuir. Fu quel giorno che lo conobbi. Seguii le trac-
ce dei raminghi sino alle grotte. Assistetti alla sortita.
Quando ci fu il crollo mi allontanai in tutta fretta dal-
la caverna ma, una volta fuori, in tutta quell’aura di

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morte avvertii un sottile filo di speranza, una traccia
di vita che mi portò fino alla frana. I predoni ormai
erano lontani. Iniziai a scavare e, dietro un cumulo di
rocce, scorsi il braccio di tuo padre. Un’enorme lastra
di pietra lo sovrastava ma gli aveva salvato la vita pro-
teggendolo dal resto del crollo. Non sembrò molto
grato quando riprese i sensi. Per mesi non seppi quale
fosse la sua voce ed egli a lungo se ne stava con lo
sguardo fisso verso nord.
Il luccichio negli occhi dello sciamano confermò ad Anuir
quanto profonda fosse l’amicizia che lo legava a suo padre.
- Non che, attualmente, la sua loquacità sia migliorata
più di tanto, devo dire.
Aggiunse, poi, Meriagol in tono scherzoso. Quindi si fece di
nuovo serio e riprese il racconto.
- La morte di Lavinia lo sconvolse al punto da fargli
perdere ogni rispetto per se stesso. Per anni si aggirò
solitario nei boschi lungo l’argine settentrionale del
Dinuarius fino a che…
Meriagol si fermò improvvisamente, Anuir restò un attimo
attonito, come se qualcosa non quadrasse nella narrazione
dello sciamano.
- Fu l’amore per te a salvarlo dalla pazzia, Anuir.

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Aggiunse infine. Anuir sorrise con tenerezza, la sua ammira-
zione per Antir era qualcosa che andava oltre i legami di
sangue, per lui non c’era uomo migliore di suo padre.

Quando fu di ritorno, Antir aveva abbattuto un capriolo. La


carcassa dell’animale era legata dietro la sella.
- Lo arrostiremo fuori. Presto, Anuir, prepara la catasta
per la brace.
Disse Meriagol, scorgendo il cacciatore al centro della radu-
ra. Anuir obbedì lesto e corse alla legnaia.
Antir, frattanto, liberò la carcassa e la pose su una piatta
roccia per scuoiarla ed eviscerarla. I suoi gesti erano rapidi
e sapienti, consegnò le viscere dell’animale a Meriagol, che
le raccolse in un catino. Il druido concentrò la sua attenzio-
ne sul fegato dell’animale, che esaminò con particolare in-
teresse sollevandone un lembo, poi annuì soddisfatto por-
tandosi via il bacile.
Antir si occupò della pelle, dopo una preliminare raschiatu-
ra, la legò ad un ramo orizzontale tendendola con dei sassi
forati, fissati alle estremità con degli spaghi.
Il fuoco già scoppiettava mentre Anuir aggiungeva la legna
affinché ne divampasse un vivace falò.

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Di ritorno, Meriagol aiutò Antir a sistemare il capriolo sullo
schidione aggiungendovi, nel ventre, un fascio composto da
varie erbe tra cui rosmarino, origano, salvia e timo. Un altro
mazzetto simile lo utilizzarono per spennellare la superficie
dell’arrosto man mano che lo ruotavano sullo spiedo.
La carne rosolò lentamente, sprigionando un buon odore
conferitogli anche dalle erbe.
I tre, nel frattempo, si sedettero sui sassi piatti che erano
posti intorno alla brace.
Antir si curava di strofinare, di tanto in tanto, il capriolo
con le spezie.
- Cosa hai sbirciato nel futuro, Meriagol? Svelaci
l’auspice.
Disse Antir, ricordandosi che lo sciamano aveva preso in
consegna ed esaminato i visceri del capriolo.
Meriagol sorrise annuendo, poi riempì la pipa con del tabac-
co che tirò fuori da una borsetta di pelle legata alla cintola.
Con uno stecco raccolse dalla pira la fiamma con cui accese
la pipa.
- Hercle e Laran ci hanno parlato attraverso le viscere
del capriolo.
Disse, dopodiché tracciò con lo stecco dalla punta incande-
scente dei segni nell’aria volgendo lo sguardo al cielo.

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- La grave minaccia che incombe su Anuir si sta sempre
più approssimando. Egli è, tuttavia, ancora troppo
fragile, sia nel braccio sia nella disciplina del senno.
Ma il messaggio mi è chiaro come acqua di fonte.
Quest’aruspice è stato già annunciato, un segno è
giunto da nord e l’avete affrontato insieme.
Aggiunse. Anuir e Antir si guardarono. Meriagol si riferiva ai
due predoni.
- Il fato lo vuole lontano dal Dinuar ma, quando ciò ac-
cadrà, tu non potrai seguirlo. Turms, il messaggero,
mi ha rivelato ciò ma non mi ha mostrato la via. Prima
di allora dovrà recarsi nel luogo deputato alla sua re-
miniscenza, un posto molto lontano da qui. Dovrà
giungervi e là egli riceverà un importante vaticinio con
la benedizione dei suoi numi tutelari.
Antir, che stava condendo l’arrosto con le spezie, a un trat-
to si fermò.
- Come potrei non essere con lui? Inoltre predici un al-
tro lungo viaggio, Meriagol. Tu stesso hai detto, tutta-
via, che il ragazzo non è ancora pronto.
Il druido annuì, aspirando un’ampia boccata di fumo che e-
spulse attraverso le narici.

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- Eppure gli dei si sono pronunciati. Presto dovrà parti-
re, senza indugiare oltre. Antir, Il responso delle rune
ha trovato oggi conferma.
Antir riprese a governare distrattamente la brace ma il suo
pensiero fu rabbuiato delle parole dello sciamano.
Ricordò anche ciò che predisse Meriagol nel giorno in cui gli
fu affidato Anuir, rifletté sul pericolo che incombeva anche
su chi di lui si fosse preso cura.
La carne era cotta. Il cacciatore tagliò dallo spiedo tre belle
porzioni e consegnò uno dei cosciotti ad Anuir, l’altro a Me-
riagol e, per lui, staccò la spalla.
Seduti intorno al fuoco, iniziarono a mangiare, Anuir era
confuso. L’idea di un viaggio lo attraeva alquanto e, in cuor
suo, sentiva che era pronto, tuttavia, leggeva negli occhi
del padre una certa perplessità, come se non volesse fargli
abbandonare la sicurezza offerta dal cerchio di pietra.
Il cacciatore masticava lentamente un piccolo boccone di
carne. Scrutava ora Anuir, ora il druido.
- Vorrà dire che sarà il fato a separarci, Anuir, non par-
tirai da solo, stanne pur certo.
Disse il cacciatore. Meriagol, dal canto suo, meditava osser-
vando le miriadi di minuscole scintille che s’innalzavano
dalla pira.

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- Forse non sono stato chiaro, Antir, Anuir non dovrà
partire da solo, poiché solo io conosco la via. Verrò
con voi.
Disse a un tratto. Il fuoco si riflesse negli occhi di Antir.
- Oggi ho preso coscienza di quanto il mio fato sia in-
trecciato con le fibre del vostro.
Antir sorrise e di rimando anche Meriagol. Il cacciatore ad-
dentò un grosso boccone e masticò soddisfatto mentre una
raffica di vento spazzò la radura, sollevando i lunghi capelli
dello sciamano assieme alle lingue del fuoco di bivacco.
- Laran è compiaciuto.
Disse tra se Meriagol.

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La Partenza

Quando l’alba accarezzò le cime degli alberi della radura,


Anuir e suo padre stavano già preparando i cavalli. A Flinio
fu sistemata una vecchia sella di Baio e Anuir ottenne di
montarlo più comodamente. Il cavallo accettò di buon grado
anche il morso e le briglie, con lo stupore di Antir, il quale
non arrivava ancora a spiegarsi come il ragazzo fosse riusci-
to a domarlo tutto da solo.
- Dove si sarà cacciato Meriagol?
Chiese, a un certo punto, Anuir a suo padre, notando
l’assenza del druido e le sue vesti avvolte in un fagotto si-
stemato sulla sella di baio. Il cacciatore sorrise.
- So per certo, Anuir, che il druido si è già messo in vi-
aggio.
Rispose, serrando il sottopancia di Baio.
- Come può mettersi in viaggio se i cavalli li abbiamo
noi?
Antir scoppiò a ridere.
- Cavalli? No. Lui non ne ha bisogno. A che servono
quattro zoccoli quando si possiedono due grandi ali?
Aggiunse poi, indicando ad Anuir una poiana in volo sopra la
radura. Anuir alzò lo sguardo e avvistò un grosso rapace. Le

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ali larghe e tese si muovevano appena mentre volteggiava
descrivendo un ampio cerchio sulle loro teste.
- Non è possibile.
Sussurrò il ragazzo, restando a bocca aperta. Antir conti-
nuava a ridacchiare.
- Meriagol è un tipo singolare, non è vero? Ha tanti di
quei segreti, non basterebbe una vita intera per non
apprenderne che una piccola parte. La prima volta che
lo vidi mutare nella sua forma selvatica restai con la
tua stessa espressione se non peggio.
Anuir montò in groppa senza perdere di vista la poiana che
emise il suo verso stridulo nel momento in cui entrambi i
cavalieri furono in sella.
- Ci indicherà il cammino e ci avvertirà nel caso avvi-
stasse qualche pericolo.
Anuir e Antir lasciarono così il cerchio di menhir, cavalcan-
do al passo verso nord est, seguendo il volo del rapace.
Attraversarono per un lungo tratto la foresta di Hungarius
fermandosi per una breve sosta lungo gli argini di un ruscel-
lo dove abbeverarono i cavalli. In quel luogo si prepararono
a consumare un pasto veloce con della carne di capriolo a-
vanzata dal giorno prima e del pane nero, che Meriagol ave-
va preparato sotto forma di gallette.

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- La prossima sosta la faremo presso il nostro vecchio
capanno. Lì ci raggiungerà anche Meriagol. L’arrosto
basterà anche per stasera. All’alba di domani cacce-
remo qualcosa nei boschi a sud di Amatras.
Disse Antir, mentre Anuir masticava il suo pezzo di carne
con aria distratta e pensosa.
- Tu sapevi che Meriagol potesse mutarsi in falco? Per-
ché non me lo hai mai detto?
Antir, che stava per addentare una fetta di pane, si fermò.
- Pensavo lo sapessi già, visto che trascorri così tanto
tempo con lui e le sue dottrine. Mi pare strano che
non ti abbia proposto di incidere sul tuo viso i suoi se-
gni.
Rispose, dopodiché addentò un tozzo di pane assieme ad un
boccone di carne.
- Avessi visto la tua faccia.
Aggiunse poi, masticando con gusto. Anuir continuò a rimu-
ginare, per lui era qualcosa di stupefacente.
- Può mutarsi in altri animali?
Chiese ancora. Antir non smise di masticare e fece cenno di
no col capo.
- La poiana è Il suo spirito guida. Ogni sciamano ne pos-
siede uno soltanto. Lui lo scoprì durante la sua inizia-

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zione. Un potente druido, proveniente dai territori
sconosciuti a ovest delle grandi montagne, fu il suo
maestro. Non ne rammento il nome, egli dice che gli
ha anche insegnato la lingua dei draghi… semmai esi-
stessero.
Anuir strabuzzò gli occhi.
- I draghi?!
Esclamò il ragazzo. Antir sorrise.
- Beh, nonostante possieda facoltà sorprendenti, Anuir,
credo che Meriagol, talvolta, sia piuttosto uso a esage-
rare con le sue storie riguardanti gli esseri straordinari
che abitano i territori al di là dei crinali delle Monta-
gne d’Ombra.
Terminarono il pasto frugale e si rimisero in sella.
Il sole aveva quasi raggiunto le cime delle colline che deli-
mitavano la valle quando arrivarono presso il vecchio ca-
panno di Antir. Anuir scorse la sagoma di Meriagol chino su
uno dei tanti sassi tondi e bianchi sparsi attorno alla casa.
Quando lo raggiunsero, il druido non li accolse con una delle
sue solite battute scherzose. Aveva un’aria piuttosto grave.
Antir dopo aver incrociato il suo sguardo si rivolse repenti-
namente verso il capanno. Smontò da cavallo e si affrettò

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verso la casa. Anuir, intanto, guardava Meriagol come se
avesse appena visto un fantasma. Lo sciamano sorrise.
- Scusa se non ti ho rivelato questo mio segreto.
Disse. Nello stesso attimo Antir, uscì dal capanno con
un’aria stravolta.
- L’hanno saccheggiato. Non più di un paio di giorni fa,
credo.
Disse il druido rivolgendosi al cacciatore che lo squadrava
con aria interrogativa.
- Le pietre sono scolorite. Molte delle rune non si legge-
vano più e non hanno potuto proteggere la tua casa.
Antir accarezzò la porta della capanna. Era tenuta in piedi
da un solo cardine, l’altro era spezzato, il vento fischiava
attraverso le assi dissestate delle finestre.
- C’era da aspettarselo dopo tutti questi anni.
Aggiunse il cacciatore. Poi si soffermò con lo sguardo sulla
panca sistemata sotto uno degli scuri. Raccolse qualcosa, un
brandello di pelle lacera rinforzato da alcuni elementi me-
tallici. Era un guanto da armigero.
- Predoni.
Ringhiò improvvisamente.
- Anche qui?
Si chiese Anuir.

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- Ora è tutto a posto, ragazzo. Il cerchio è ripristinato,
ci offrirà una buona protezione per la notte.
Gli disse Meriagol che raccolse dalle sue mani le redini dei
cavalli e li portò alle spalle del capanno, dove un graticcio
offrì loro un riparo dalla tenebra che sopraggiungeva.
Antir sistemò alla meglio le finestre e la porta. Mentre Me-
riagol recuperò una vecchia pignatta e, lavatala, vi pose dei
pezzi di carne di lepre.
- La vecchia poiana ha ancora un occhio acuto eh, Me-
riagol?
Gli disse Antir, al ché il druido rispose con un grugnito di
compiacimento, intento com’era ad aggiungere foglioline di
timo e qualche tubero tagliuzzato allo stufato.
Anuir se ne stava sull’uscio a osservare le prime stelle che
illuminavano la sopraggiunta sera. Si voltò per un attimo
verso il fuoco, che scoppiettava sotto la pignatta nel focola-
re posto al centro della capanna. Prima che il suo sguardo
ritornasse a contemplare gli astri notò qualcosa che la luce
della luna illuminò sulla mensola accanto alla porta. Una
vecchia statuetta, raffigurante una divinità la cui testa ave-
va due volti contrapposti, era ancora lì, come quando la-
sciarono la casa tanti anni prima.
Antir lo raggiunse.

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- La statuetta di Culsans.
Disse il ragazzo, indicandola al padre che la raccolse e la ri-
girò tra le mani.
- Il custode delle porte.
Disse il cacciatore, soffiando via la polvere depositatasi sul-
la statuetta, poi la risistemò sul ripiano.
- Terrà lontane le zanzare.
Aggiunse ironicamente.
- Non dileggiare gli dei, Antir. Potrebbero non apprez-
zare il tuo spirito.
Lo rimbeccò Meriagol, rimestando lo stufato di lepre.
- Già, sarebbero capaci di lasciarmi saccheggiare la casa
da un’orda di razziatori.
Controbatté Antir.
La notte trascorse in un silenzio irreale. Anche la brezza
sembrava aver trovato dimora in qualche grotta ai margini
di quella valle. Consumarono il pasto in silenzio, gli stufati
dello sciamano avevano sempre un sapore prelibato.
- Vi racconterò una storia.
Disse a un tratto Meriagol. Anuir, pregustando il racconto, si
sistemò più comodamente possibile, arrotolando la sua co-
perta per frapporla tra la schiena e uno dei pali che soste-
nevano il tetto della capanna, al centro del quale, un foro

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permetteva alle scintille liberatesi dalla fiamma di perdersi
nella luce delle stelle di un cielo terso.
- All’alba dei tempi, quando gli Dei dominavano un
mondo in cui gli uomini ancora non si distinguevano
dagli animali, Chel, la madre terra, generò suo figlio
Chelsclan. Egli era un gigante e crebbe fino a raggiun-
gere dimensioni tali da renderlo potente e indomito.
Riusciva a sollevare intere montagne e a scagliarle nel
mare, molte isole nacquero così. Vinse un numero
spropositato di suoi simili, il suo nome divenne famoso
trai giganti e gli Dei ne ammiravano la forza da cui
traevano diletto. Le sue vittorie fecero si che il gigan-
te non ebbe più timore di nulla e, ben presto, la con-
sapevolezza della sua forza lo rese borioso. Tanto da
indurlo a sfidare, un giorno, un Dio molto potente.
Anuir e Antir lo ascoltavano in silenzio, le parole del druido
erano scandite dal crepitio della fiamma.
- Andò in giro affermando che la sua forza fosse supe-
riore anche a quella dello stesso Laran. La voce si dif-
fuse e finì per giungere all’orecchio del Dio della guer-
ra il quale, senza indugio, volle dimostrare alla corte
celeste quanto prive di fondamento fossero quelle
stolte insinuazioni. Una grande battaglia si svolse sulle

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creste a sud dei territori oscuri, oltre le Sacre Grotte
della Predizione.
A lungo combatterono Laran e il gigante, arduo fu il
loro scontro. Il figlio di Chel scaraventò contro Laran
una miriade di colossali macigni ma senza ottenere al-
tro che lo scherno del Dio. Alla fine Laran precipitò
Chelsclan nel punto più profondo del Mare del Nord, la
dove neanche sua madre riuscì a trarlo in salvo. Ella
pregò a lungo Laran di renderglielo, ma questi era
troppo adirato e il gigante restò in fondo al mare a
meditare per l’eternità sulla vanità della sua super-
bia.
Anuir fantasticò su imprese titaniche e s’immaginò tutta la
battaglia come se vi stesse assistendo di persona. Antir ten-
tennò accennando un commento ironico ma Meriagol lo in-
terruppe ancor prima che potesse aprir bocca afferrandolo
per un braccio.
- Gli Dei sono vendicativi e potenti, non bisogna mai
prendersi gioco di loro anche quando ci sembra che
non ascoltino o non agiscano secondo le nostre attese.
Aggiunse il druido ammonendolo ancora una volta, Antir non
ebbe il cuore di ribattere riguardo a ciò che egli realmente
pensava su Dei e mortali.

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Sulla via per Amatras

Lasciarono la vecchia casa di buon'ora. Anuir osservò Meria-


gol avviarsi verso un’altura per sparire dietro una roccia a-
cuminata. Sentì il druido pronunciare delle parole in una
strana lingua, una sorta di cantilena che aveva la cadenza di
un canto.
Dopo un po’ alla voce dello sciamano seguì un richiamo acu-
to e, dalla roccia, prese quota la poiana, tra le grinfie aveva
le vesti del druido che lasciò cadere in modo che Antir le
potesse afferrare.
Quando li superò in volo, Anuir abbassò il capo poiché per
poco non lo sfiorò con la punta delle ali, anche nel sembian-
te di un rapace, Meriagol aveva sempre voglia di scherzare.
Sorridendo divertito, spronò Flinio per raggiungere il padre
che già stava affrettandosi lungo la via che portava ad Ama-
tras, la città di marmo.
- Hai memoria di Amatras, Anuir?
Disse Antir.
- Ricordo la città ma vagamente.
Rispose il ragazzo.

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- In effetti, eri molto piccolo quando ti ci portai. Là
venderò le pelli e avremo di che sfamarci per il resto
del viaggio senza dover cacciare. Fino ad allora, però,
sarà necessario recuperare un po’ di carne. Oltre quel-
la collina potremo anche raccogliere qualche bacca, se
non ricordo male, deve esserci un folto cespo di more.
Attraversarono una vasta pianura spazzata dalla brezza leg-
gera. Quando giunsero al passo, che s’insinuava tra due colli
rocciosi, lo attraversarono e si ritrovarono sul limitare di un
bosco di lecci. Lungo il bordo di un fossato scorsero il roveto
ricordato da Antir. Si fermarono il tempo necessario per ri-
empire di more due sacchetti di canapa mangiandone, pe-
raltro, una discreta quantità durante la raccolta tanto che
ad Anuir erano spuntati un bel paio di baffi viola. Antir pas-
sò il pollice sulle labbra del ragazzo e sorrise.
- È ora di rimettersi in sella.
Percorsero per un lungo tratto il sentiero che costeggiava il
bosco, sulle loro teste volteggiava Meriagol. Il vento si era
fatto più vivace e soffiava nella loro direzione.
A un tratto Antir arrestò Baio e fece cenno ad Anuir di fare
lo stesso. Quindi il cacciatore avvicinò l’indice alle labbra e,
senza parlare, indicò ad Anuir qualcosa oltre un fitto intrico
di alte felci. Dapprima il ragazzo non focalizzò nulla al di

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fuori dell’usuale paesaggio boschivo poi, osservando con più
attenzione, intravide come due grossi rami che dondolavano
al di sopra degli apici delle felci.
Antir sfilò dalla tracolla l’arco e, con estrema cautela, in-
coccò un dardo seguendo con la punta il movimento di quei
tralci.
Un sospiro profondo di Anuir segnò il momento in cui la te-
sta di un gigantesco cervo si sollevò dal sottobosco per an-
nusare l’aria. Prima che l’animale potesse scorgerli, Antir
scoccò il suo dardo che centrò l’animale tra la base
dell’orecchio e l’occhio sinistro facendolo stramazzare al
suolo all’istante.
- Vieni.
Lo invitò il cacciatore mentre smontava da cavallo e sfode-
rava il suo coltello. Padre e figlio si avvicinarono alla car-
cassa. Si trattava di un animale poderoso, con uno smisura-
to palco di corna. Antir gli tagliò la gola e dallo squarcio fluì
copioso il sangue che inondò il suolo muscoso del bosco.
Scuoiò il cervo e smontò la carcassa con movimenti rapidi e
decisi. Caricarono la carne distribuendola equamente sui
due cavalli e rimontarono in sella.
Consumarono le more continuando a cavalcare e, sul far
della sera, lasciarono il sentiero che terminò in corrispon-

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denza di una larga strada lastricata di piatte rocce chiare, si
trovarono ormai a poche leghe da Amatras.
Si trattava dell’antica Via Sauriana, un lungo serpente dalle
bianche scaglie che da Lumenos, città costiera del Dinuar,
attraversava quasi tutto il regno per congiungersi ad Ama-
tras, la città che sorgeva in prossimità delle cave del rino-
mato marmo rosso, prezioso quasi quanto l’oro delle minie-
re di Teghianum nel confinante Regno di Cupreus.
Gli zoccoli dei cavalli risuonarono sull’acciottolato e l’eco
dei loro passi rimbombò lungo le pareti di una larga gola in
cima alla quale se ne stava appollaiata la poiana, che se-
gnalò loro il luogo in cui sostare per la notte.
Legati i cavalli a un basso ramo di quercia, Antir portò le
vesti di Meriagol in corrispondenza di un gruppo di massi per
adagiarle su una delle rocce. Il rapace si lanciò e planò su di
loro descrivendo una spirale. Atterrato sui sassi, mutò la sua
forma fino a riprendere le sembianze del Druido.
Meriagol si rivestì con calma e li raggiunse mentre Antir a-
veva già allestito un cerchio di pietre per il bivacco.
Il silenzio era rotto solo dal cinguettio frenetico degli uccel-
li, impegnati a contendersi i ripari presso le chiome dei ma-
estosi tigli della gola.

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Prima flebile, poi, via via sempre più riconoscibile si diffuse
nell’aria un suono di flauti proveniente dalla direzione op-
posta alla loro. Presto si avvertì anche il battere lento e co-
stante di zoccoli di cavalli assieme al cigolio prodotto dalle
ruote di diversi carri, il ché annunciò l’approssimarsi di una
carovana.
Antir si diresse verso la strada e sbirciò nella loro direzione.
- Saltimbanchi e giullari.
Disse tra se, intravedendo una lunga fila di carri colorati.
Anuir lo raggiunse e attese con lui l’arrivo della colonna.
Un uomo con grossi mustacchi che si estendevano lungo le
guance per unirsi alle folte basette si affacciò verso di loro
dal primo carro della fila.
- Salve.
Disse Antir.
- Salute a voi, signore.
Rispose l’uomo del carro.
- Che notizie portate da Amatras?
Chiese Antir.
- Siete diretti ad Amatras? Tira una brutta aria, ulti-
mamente, da quelle parti. Specie per un ragazzo.
Disse il capo carovana indicando verso Anuir con la frusta.

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Antir si approssimò ai cavalli del grande carro, sembravano
piuttosto provati, come se avessero fatto un lungo tratto di
strada senza sosta.
- Siamo la compagnia dei Fauni Danzanti, facciamo ogni
anno sosta ad Amatras, in questo periodo, con il no-
stro spettacolo di saltimbanchi, giullari e teatranti
ma, a quanto pare, non c’è più posto neanche per noi
in ciò che resta della città di marmo. Voi siete mer-
canti? Quali affari vi portano li? Se non sono troppo
indiscreto.
Aggiunse l’uomo del carro. Antir grattò il muso di uno dei
due cavalli.
- Ho delle pelli da vendere al mercato di Phylimos. Sia-
mo cacciatori, il mio nome è Antir e questi è Anuir,
mio figlio.
Il capo carovana scoppiò a ridere. Poi aggiunse annuendo.
- Allora è parecchio che mancate da Amatras. Il mercato
non c’è più. Tutte le merci in arrivo e in partenza de-
vono passare il crivello del Daziario del Gubernator
Rubeus. Sono i suoi banditori a fissare i prezzi di ogni
mercanzia, dalle galline alle stoffe… intascando alti
emolumenti su ciascun carico. Financo il teatro è dive-
nuto affar loro. I suoi vigiles gubernari devono visiona-

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re ogni spettacolo prima che sia messo in scena
all’Anfiteatro Grande o in qualsiasi piazza di Amatras.
Solo se a loro aggrada, passa il vaglio altrimenti, ecco,
nella sua infinita bontà Rubeus ci bandisce dalla città
e requisisce la metà dei cavalli della compagnia, la-
sciandoci solo i più vecchi e stanchi, come puoi ben
notare.
Intanto sopraggiunse anche Meriagol. Il bardo lo scrutò con
sorpresa.
- Ah, un druido! Ancora meglio. State a sentire il vec-
chio Mauranius. Restatevene lontani da quella città.
Finireste nei guai ancor prima di varcare la Porta Me-
ridionale.
Antir, già preoccupato dal resoconto precedente, dopo que-
ste sue ultime parole si rabbuiò ulteriormente.
- Che intendi, bardo, riguardo ai druidi?
Intervenne, a quel punto, Meriagol.
- Beh, ultimamente non sono visti di buon occhio, specie
se provengono da sud. Rubeus ora si serve dei consigli
dei Veggenti Neri.
Gli occhi del druido divennero due strette fessure.

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- Fermatevi con noi. Abbiamo da condividere un intero
cervo, siamo accampati all’estremità di questi calan-
chi.
Aggiunse Antir, al che Mauranius sorrise e, senza farselo ri-
petere, segnalò al resto dei carri di uscire dal lastricato per
dirigersi verso il bivacco del cacciatore.
- È sempre un piacere accettare un’offerta generosa. I
Fauni Danzanti vi porgono i loro omaggi.

La compagnia di Mauranius era un’accozzaglia di strani per-


sonaggi, ognuno aveva una particolarità e, invero, ad Anuir
parvero tipi piuttosto interessanti.
Simofonte era uno dei due flautisti e aiutò Antir e Anuir a
preparare l’arrosto. Calimacus, il giocoliere, approfittò del-
la sosta per esercitarsi con tre biglie di panno. Facendole
roteare, sottrasse l’attenzione di Anuir dal suo compito.
Anche se con fatica, il ragazzo riuscì comunque a portare a
termine il lavoro e Antir non lo sgridò quando, più di una
volta, inciampò con la legna perché distratto dagli esercizi
di giocolieri e danzatrici.
L’arrosto, intanto, iniziò a cuocere e la luce del bivacco il-
luminò i volti dei convitati riunitisi attorno al fuoco.

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- Beh, se questo Rubeus non ha voluto che rappresenta-
ste il vostro spettacolo deve, invero, trattarsi di qual-
cosa di singolare.
Disse Meriagol rivolgendosi a Mauranius, intento a versare
del vino da un otre a una brocca, assistito da Simofonte.
- Oh, nulla di che. Era una rappresentazione
dell’Aeuandros di Tertius, modificato qua e la da
qualche facezia piccata rivolta a un non ben precisato
governatore della città di Turania… Iniziava così:
Mauranius si alzò in piedi, schiaritasi la voce e con accento
impostato, iniziò a declamare il prologo del suo Aeuandros,
accompagnato dal flauto di Simofonte che prontamente as-
secondò il suo capocomico.
- Prestate attenzione a un bardo, gente di Amatras, poi-
ché su queste scene assisterete alle vicende che Ter-
tius cantò d’Evandro, lo sventurato principe dei Teve-
rini, ingannato dall’infamia di Arpacos, che il reame
gli sottrasse e il sacro seggio invase, proclamandosi e-
gli stesso Signore delle genti di Taeveriade che, perdu-
to un principe avveduto, acquistarono con gran lutto
un dispotico Tiranno. Accogliete la compagnia dei Fau-
ni Danzanti o brava gente, a voi offro quest’onesta
commedia, da cui trarrete, mi auguro, diletto. Pari-

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menti chiedo, a color che falsità covano e professano
l’inganno, di stirar le reni e allontanarsi di buon grado
da queste facezie onde le loro viscere non ne siano an-
negate da verde bile.
A questo punto Mauranius si fermò e allungato il palmo della
mano all’altezza del collo, fece il gesto del tagliagola, ac-
compagnandolo con buffo verso.
- Tanto è bastato ai vigiles per bandire Mauranius e i
suoi eroi dalla città di marmo…
Aggiunse, infine, il bardo. Anuir restò a guardarlo con piglio
rapito, gli occhi spalancati di chi non ha mai assistito a una
recitazione. Al ragazzo parve che di fronte a lui ci fosse un
altro Mauranius, come se, per qualche istante, lo spirito
della commedia fosse entrato nel vecchio bardo.
- La storia di sire Aeuandros. Ad Amatras hanno smarri-
to il senso del gusto, si sono persi una gran bella com-
media.
Commentò Meriagol. Anuir, intanto, si fece appresso a suo
padre che era ritornato a governare l’arrosto, dopo la breve
interpretazione di Mauranius.
- Chi era Aeuandros?
Chiese. Lui si sedette e gli pose una mano sulla spalla.

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- Tanti anni fa, quando ancora non era nato il padre di
mio padre, nella fertile terra compresa trai due rami
terminali del fiume Bifidus, sorgeva un antico regno, il
Principato di Taeverius, retto da un re saggio e giusto.
Il suo nome era Calandros detto il Magnanimo. Egli era
molto vecchio e la sua giovane regina era riuscita a
dargli un unico figlio, cui fu dato il nome di Aeuan-
dros. Quando Calandros morì, Aeuandros aveva solo
dodici anni e attorno al capezzale del re morente si
era riunito un piccolo covo di serpi tra cui anche il so-
vrintendente di Calandros, Arpacos, cugino del re, un
uomo malvagio, avido di potere e mai sazio di ricchez-
ze.
Questi ordì una trama tanto intricata quanto crudele.
Fece rinchiudere la regina con l’accusa di aver tradito
il re con uno dei suoi più fedeli guerrieri e bandì dal
regno il povero Aeuandros, ritenuto frutto di tale in-
fedeltà. Fu così che Arpacos divenne re egli stesso do-
po aver reclamato il suo diritto a succedere a Calan-
dros sul trono del Principato.
Anuir, a un cenno del padre, corse a prendere altra legna
dalla catasta per aggiungerla al fuoco.
- Cosa accadde ad Aeuandros?

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Domandò curioso quando fece ritorno in un lampo.
- Il giovane e sventurato principe dovette adattarsi a
una vita di stenti. Corse, tuttavia, la notizia che il
piccolo fosse morto, appreso ciò la regina stessa ne
morì di dolore. Invero egli sopravvisse poiché era forte
sia nello spirito sia nel corpo e crebbe vigoroso, raf-
forzato anziché vinto dal crudele destino riservatogli
dall’usurpatore.
Trascorsero anni in cui il popolo del principato ebbe di
che rimpiangere la discendenza di Calandros, ma ai
margini del regno iniziò un moto di ribellione guidato
da un uomo che si faceva chiamare Taeleus. Le sue
scorrerie erano dirette alle scorte dei carri gabellari,
difesi dai mercenari del tiranno. Ben presto a Taeleus
si unirono genti provenienti da tutto il reame e la sua
rivolta giunse sino alle porte della capitale.
L’assedio di Teveriade durò mesi, Arpacos fece giunge-
re dalle terre degli alti laghi due legioni di mercenari.
Lo scontro finale si svolse sulle coste della baia di Ta-
everius, dove Taeleus, coprendosi di gloria, riuscì a
sottrarre il principato dalle mani dell’usurpatore.
Taeleus altri non era che Aeuandros e, alla fine, il
trono fu occupato dal legittimo successore di Calan-

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dros che regnò a lungo, come suo padre. Alla sua mor-
te, Aeuandros fu detto il Grande, la capitale prese il
suo nome e il golfo di Teveriade fu noto, da allora,
come la Baia di Aeuandros.
Anuir ascoltava rapito. Aveva sempre amato le storie che gli
raccontava suo padre su principi e valorosi guerrieri. Restò
a guardarlo con i ciocchi di legna ancora tra le braccia.
- Bisogna che la aggiunga al fuoco quella legna, Anuir.
Non vedi? La fiamma langue.
Aggiunse Antir, sorridendo.
- Ah si certo!
Ribatté il ragazzo che si affrettò ad alimentare il fuoco del
bivacco ma già sognava le gesta di quel coraggioso principe.
Meriagol, nel frattempo, s’intrattenne con Mauranius e a
lungo discusse con lui sulle novità intorno alla città di mar-
mo.
- Hai accennato a dei Veggenti Neri. Quando gli anni non
avevano ancora iniziato a segnarmi con i solchi della
saggezza, ricordo che tra Palemones e il lago Gram
dimoravano un gruppo di aruspici. Anch’essi vestivano
di panno bruno ed erano scuri in volto e nelle carni.
Giungevano con le navi dei mercanti provenienti dalle
terre oltremare, non se ne vedono da decenni, ormai.

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L’ultimo di loro morì quando iniziai ad apprendere la
divinazione dal mio maestro Certarius. Invero mi par
strano che si siano spinti anche nel Dinuar.
Mauranius scosse la testa.
- So di cosa parli, druido. Non si tratta di aruspici scuri
di pelle, il nero si riferisce al buio del loro animo. Alla
corte di Rubeus ci sono dei veri e propri stregoni, pro-
vengono dalle montagne a nord del Feudo. Corre voce
che lo stesso Lirnaeus li abbia mandati dal Guberna-
tor. Vestono con tuniche scure come penne di corvo e
la loro pelle, chiara come l’alabastro, è segnata da
strani simboli che dalla fronte indugiano sulle gote
rendendo il loro aspetto ancor più inquietante.
A causa loro, i druidi sono banditi o perseguitati se in-
sistono a praticare i loro rituali ad Amatras.
Non c’è più posto per i tuoi vaticini, caro Meriagol, la
negromanzia è merce assai più gradita a chi persegue
il potere.
Replicò il bardo. Meriagol assunse un’aria grave.
- La negromanzia. Il prezzo che si paga per apprenderne
i segreti è troppo alto per qualsiasi mortale. Sei sicuro
di quanto affermi?

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Il bardo sorseggiò del vino versatogli in un boccale da Simo-
fonte.
- Certo che son sicuro. Com’è vero che ti sto davanti,
quelli sono stregoni. C’è chi dice che si tratti di spiriti
delle tenebre evocati da Lirnaeus e che essi non pos-
sano morire per mano mortale, ma corrono tante di
quelle voci ad Amatras che è arduo discernere il falso
dal vero.
Il profumo dell’arrosto si fece via via più invitante.
Nell’attesa Anuir si attardò con il giocoliere tentando di im-
parare a far roteare le palle di panno, a quanto pare con ri-
sultati esilaranti, considerata l’ilarità suscitata in Antir che
per poco non rovesciava la caraffa del vino di Simofonte.
Anuir, dal canto suo arrossì in viso quando una delle danza-
trici tentò di consolarlo carezzandogli i capelli. Quando fu
ora, tutti si sistemarono attorno al fuoco mentre Antir por-
zionò accuratamente il cervo. Nessuno restò senza e la mu-
sica e i canti allietarono quella serata senza luna ma con le
stelle che sembrarono ancor più numerose delle altre notti.

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Il dono dei Fauni Danzanti

Una fresca brezza mattutina soffiò trai capelli di Anuir. Dal-


la cima dell’alto tiglio l’accampamento sembrava piccolo.
Anche i cavalli assomigliavano ai giocattoli di legno che Me-
riagol intagliava, per divertirlo, quando vivevano ancora nel
cerchio di menhir. A sud una pianura sconfinata si estende-
va fino al mare, laggiù, da qualche parte, c’erano gli at-
tracchi per le bianche navi di Lumenos. Era da prima che
andassero a vivere con Meriagol che non vedeva il mare. An-
tir una volta lo condusse a visitare la città della luce, la ca-
pitale del reame di Dinuar. Anuir non aveva mai visto tanta
magnificenza, gli abiti dei nobili, le case di pietra e i palaz-
zi, le cui facciate erano un alternarsi di marmo rosso e tra-
vertino, con colonne sormontate da capitelli finemente la-
vorati. Se indugiava con lo sguardo verso occidente, poteva
scorgere le nevi eterne dei Monti d’ombra. Per un po’ vagò
con l’immaginazione sui popoli fantastici che abitavano i
territori celati da quelle vette, perennemente spazzate dai
gelidi venti alpestri. Una brezza più tenace fece ondeggiare
la cima dell’albero e lui si tenne stretto al tronco per non
cadere. Respirò profondamente il vento, che riempì le sue
narici portandogli gli echi di epiche battaglie e di gesta di

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eroi valorosi. A un certo punto avvertì nell’aria un flebile
suono, voci femminili intonavano un canto antico, voci che
sovente riecheggiavano nei suoi sogni, trasportandolo lonta-
no nel tempo e nello spazio.
Guardò in basso, alla base dell’albero intravide e riconobbe
Antir, lo stava cercando.
Spezzò una fronda e la lasciò cadere. Il ramoscello colpì in
testa il cacciatore che si volse verso l’alto.
- Non perdi mai occasione per perder tempo, vero? For-
za, Anuir, scendi da lì che tra poco dovremo riprende-
re il viaggio.
Anuir sorrise soddisfatto.
- Subito, padre. Sarò giù in un lampo!
Si affrettò a rispondere.
- Sta attento!
Gli urlò.
- Sta sempre a fantasticare, benedetto ragazzo. Mi
chiedo se un giorno riuscirà a mettere la testa a posto.
Aggiunse poi, rivolgendosi a Meriagol, che sopraggiungeva
con i panni sottosella di Baio e Flinio.
- Beh, in questo ha di certo avuto un bravo maestro. Al-
la tua età non disdegni errare tra boschi e calanchi in

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cerca d’avventura. E di mettere un po’ di ordine nella
tua di vita, ancora non se ne parla, eh cacciatore?
Antir lo guardò come se non sapesse a cosa il druido si rife-
risse.
- E con questo che vuoi dire?
Chiese. Meriagol si liberò le mani appoggiando ciascun pan-
no sulle groppe dei cavalli.
- Voglio dire… che sarebbe ora che decidessi di prender
moglie. Anuir non può continuare a vivere con un drui-
do strambo e un cacciatore ramingo, ha bisogno anche
di una madre.
Antir bofonchiò qualcosa d’incomprensibile trai denti. Poi
raccolse la sella di Baio e la sistemò sul cavallo.
- Ancora questa storia? Non ho certo bisogno di una
donna per tirar su il ragazzo. Pensi sempre che non
stia facendo un buon lavoro con lui? Come se con Anuir
non avessi abbastanza da tribolare.
Brontolò. Il druido scosse il capo.
- Non è solo per lui che ti dico questo, per quanto potrai
condurre un’esistenza tanto solitaria? Non dico di di-
menticare Lavinia…
Antir lanciò a Meriagol uno sguardo raggelante.

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- Perdona la mia franchezza, Antir, se ti dico certe co-
se, è perché tengo a te e ad Anuir. Le ombre che tor-
mentano il tuo spirito appartengono al passato e tu
meriti di trovare…
- Ti ringrazio per la tua schiettezza, Meriagol, ma ciò
che mi chiedi va oltre ogni mia possibilità.
Antir non sarebbe mai potuto riuscire a liberarsi del suo
tormento interiore. Il ricordo di Lavinia, l’unica che aveva
veramente amato, lo incatenava indissolubilmente al suo
passato e gli impediva di guardare avanti anche solo per
considerare l’idea di un’altra donna. Non era riuscito a pro-
teggerla e il rimorso lo attanagliava in una stretta che non
gli dava modo di slegarsi. Il responsabile di tanto dolore non
aveva conosciuto la sua vendetta e ciò rendeva l’esistenza
di Antir un’eterna agonia, come se egli avesse preferito mo-
rire quello stesso giorno anziché vivere ancora tanti anni
nell’angoscia del ricordo.
Il destino, tuttavia, gli aveva concesso un’altra possibilità
con Anuir. Egli rappresentava il figlio che i due innamorati
avevano sempre desiderato e su cui si ritrovavano spesso a
fantasticare. Il ragazzo era diventato per il cacciatore una
ragione sufficiente per continuare ad andare avanti, nono-

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stante il dolore di quelle memorie che, pur lontane, aveva-
no lasciato profonde cicatrici.
In quell’istante Anuir saltò giù dall’albero.
- Eccomi, padre, e tutto intero per giunta.
Disse. Antir sorrise.
- Bene, allora non avrai difficoltà a sellare il tuo caval-
lo.
Rispose lui, mostrandogli l’arcione di Flinio adagiato sul ra-
mo orizzontale di un albero.
- Lo faccio subito. Poi posso andare a salutare Maura-
nius?
Replicò Anuir.
- Certo che puoi ma non fare alla svelta, come al tuo so-
lito, e assicura bene il sottopancia.
Disse Antir, finendo di assestare la sella di Baio. Anuir si-
stemò con cura il basto di Flinio, senza fretta e badando ai
consigli del padre, dopodiché corse verso il carro del Bardo
il quale era intento a ritoccare una vecchia maschera tea-
trale dalla bocca larga e sorridente.
- Cosa fai?
Gli chiese, sporgendosi all’altezza della cassetta del carroz-
zone.

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Questi saltò giù dal carro e scrutò la maschera alla luce del
sole.
- Bisogna sempre tenere in ordine i propri strumenti,
ragazzo. Una maschera sbrindellata non produce lo
stesso effetto di una in perfetto stato.
Disse, calcandosi la maschera sul volto ed agitando la te-
sta. Anuir ammirò la maschera di legno, le rughe che con-
tornavano i fori per gli occhi, il naso grottesco. Era davvero
bella nella sua stravaganza.
- È proprio una bella maschera, Mauranius.
Il bardo soffiò sulla pittura che stava ancora asciugando,
quindi annuì.
- Eh sì, in effetti, è veramente bella questa. A te piace-
rebbe recitare?
Gli chiese. Anuir arrossì un tantino imbarazzato prima di ri-
spondere al bardo.
- Deve essere davvero bello fare il tuo lavoro, signore,
io però diventerò un guerriero… devo aiutare Antir a
trovare l’assassino di mia madre. Lui ha bisogno del
mio aiuto.
Mauranius restò colpito dalla risposta del ragazzo e indugiò
a guardarlo per qualche istante, poi si soffermò sulla ma-
schera e soffiò ancora sul ritocco, ormai quasi asciutto.

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- Avrete bisogno di parecchia fortuna, allora.
Disse a un certo punto il bardo, quindi si abbassò per guar-
dare dritto negli occhi Anuir.
- Si dà il caso che questa sia proprio una maschera por-
tafortuna. Un talismano che ha sempre fatto il suo do-
vere al momento giusto, quando avevo paura di calca-
re la scena, quando mi sentivo insicuro per una parte
troppo impegnativa. Ora però non mi serve più, ho ac-
quisito abbastanza esperienza da poterne fare a meno,
ragazzo mio, per questo mi farebbe piacere che fossi
tu a conservarla. Ecco, prendila ora è tua, sarà il tuo
talismano nei momenti difficili.
Anuir strabuzzò gli occhi e restò a bocca aperta ad ammira-
re la maschera che Mauranius gli stava porgendo.
- Per i sassi di Chelsclan!
Sussurrò Anuir.
- Gra… grazie signore, la custodirò come un tesoro.
Continuò, rigirandosela tra le mani. Poi la annodò attorno al
collo per appoggiarsela sulla schiena.
- Grazie ancora, Mauranius.
Aggiunse, infine, salutandolo e correndo via, poiché aveva
notato che il padre era già in sella.

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Antir lo aspettava ai piedi del grande tiglio. Meriagol era
sparito e il cacciatore sembrava ansioso di riprendere il vi-
aggio.
- Hai salutato il bardo, figliolo?
Gli chiese, mentre Anuir si arrampicava, agile, su Flinio.
- Sì, padre. Mauranius mi ha regalato questa.
Rispose il ragazzo mostrandogli il prezioso dono.
- Bella. Una maschera comica.
Osservò il cacciatore.
- È magica, sai?
Si affrettò a precisare il ragazzo. Antir sorrise appena.
- Oh sì, certo. Ha proprio tutto l’aspetto di una masche-
ra magica.
Aggiunse cercando di mantenere un contegno serio, poi alzò
la mano in cenno di saluto, Mauranius gli rispose mentre ri-
saliva sul carrozzone.
La carovana riprese la sua rotta a sud mentre i due cavalieri
iniziarono a cavalcare proseguendo verso settentrione.

108
Le mura di Amatras

- Mentre eri sul tuo albero, Meriagol mi ha detto che


sarebbe andato a dare un’occhiata ad Amatras. Prima
di dirigerci lì, vuole assicurarsi che ciò che ha detto
Mauranius corrisponda al vero. Se così fosse, saremmo
costretti a proseguire verso le sponde del Geminus.
Disse Antir. Anuir lo guardò avvertendo nel tono del padre
una certa apprensione.
- Che ragione avrebbe avuto Mauranius per mentirci?
Forse sarebbe meglio abbandonare la strada e prose-
guire attraverso i boschi.
Replicò Anuir. Antir scrutò le nubi aspettandosi di avvistare
il volo di una poiana.
- Riflettendo, non sarebbe una cattiva idea... ma siamo
a corto di denaro e il viaggio è ancora lungo fino alle
Speloncas, è meglio non restare senza. La vendita del-
le pelli ci frutterebbe bene anche con i nuovi editti
commerciali.
Rispose il cacciatore ma Anuir non era convinto.
- Ma Amatras per Meriagol è un posto pericoloso, hai
sentito la storia sui druidi?
Antir si volse verso Anuir con un’espressione meravigliata.

109
- Hai un orecchio acuto, figlio mio. Anche quando sem-
bra che non ascolti i nostri discorsi. È vero, come drui-
do sarebbe un azzardo, ma ora è la poiana che sta sor-
volando la città, non preoccuparti, non correremo inu-
tili rischi.
La strada lastricata proseguiva sinuosa tra filari di pioppi. Il
vento, spirando attraverso le loro fronde, produceva un ru-
more simile al brusio di una folla. Anuir rifletté sul fatto
che quelli dovevano essere di certo gli alberi più rumorosi.
Sembrava quasi come se commentassero tra loro il passag-
gio dei due cavalieri, additandoli con i loro rami luccicanti
di foglie che, mosse dalla brezza, catturavano a tratti i rag-
gi del sole.
Improvviso e sospirato, il verso della poiana coprì il mormo-
rio dei pioppi, zittendo all’unisono anche il cinguettio che
animava le loro fronde.
Meriagol atterrò poco distante e attese che lo raggiungesse-
ro.
Antir gli porse la tunica con la quale lo sciamano si ricoprì
mentre Anuir gli affidò una borraccia con la quale appagò la
gola riarsa.
- Nel suburbio di Amatras viveva Tilciades, un mio vec-
chio amico. La sua casa è ridotta a un cumulo di mace-

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rie annerite dal fuoco. Tremo all’idea di cosa possa es-
sergli capitato. Egli era un druido e aveva anche un
apprendista, Terenzio. Non potrei celare i segni sul
mio volto quindi, se vuoi vendere le tue pelli, dovrai
entrare ad Amatras da solo. Io vi attenderò
sull’altopiano dei tumuli a est della città.
Disse Meriagol, al che Antir assentì.
- Dunque è tutto vero. Mi chiedo se a Lumenos sono al
corrente di tutto ciò.
Aggiunse il cacciatore. Meriagol si strinse nelle spalle e
trangugiò un’altra sorsata dalla borraccia.
- Ho visto molti templi di basalto sparsi un po’ ovunque
sul territorio di Amatras. Il più grande era nelle adia-
cenze del palazzo del Gubernator. Un volto barbuto e
bicorne campeggiava su ognuno degli edifici scuri. I
veggenti neri sono dediti al culto di Selvans.
Puntualizzò il druido.
- Selvans?
Chiese, curioso, Antir che mai aveva sentito pronunciare
quel nome tra le divinità venerate nella valle di Dinuar.
- Il fauno nero. È un culto ancestrale quanto sinistro.
Era diffuso nelle terre oscure, oltre le Alpi Magne, in
tempi assai remoti. Al dio si offrivano anche sacrifici

111
umani, in genere schiave o fanciulle impuberi. Erano
secoli che non se ne sentiva più parlare.
Rispose il druido.
- Ma com’è possibile? I sacrifici umani sono proibiti or-
mai dai tempi di Hungarius.
Aggiunse Antir, Meriagol tentennò.
- Per taluni il prezzo della corruzione della propria a-
nima è una contropartita giustificabile, Selvans dona
ai seguaci del suo culto poteri oscuri e terribili… se
proprio non si può far a meno di recarsi laggiù, fate
attenzione, la città di marmo non è più quella di una
volta. Io vi seguirò fin quando potrò.
Li ammonì lo sciamano.

La via proseguiva attraversando un’ampia pianura, oltre la


quale, l’orizzonte già svelava le mura candide di Amatras.
Due cavalieri si ritrovarono ben presto fagocitati da un lun-
go corteo di carri e viandanti in entrata e in uscita dalla cit-
tà, un via vai incessante di uomini e merci. Lungo la strada,
stuoli di armigeri sorvegliavano gli accessi affinché non si
creassero disordini di sorta.

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Anuir si guardava attorno disorientato da tanto affollamento
e il padre lo esortò affinché non lo perdesse di vista in quel-
la bolgia caotica.
Quando giunsero alla porta meridionale, un gruppo di Vigiles
Gubernari, scortati dai soldati di Rubeus, notarono il cumulo
di pelli sulla groppa di Baio e fecero segno ai guerrieri di
fermare i due cavalieri.
- Cacciatori?
Domandò il vigiles ad Antir.
- Sì. Siamo qui per vendere queste pelli.
Il vigiles li squadrò con calma, girando attorno ai cavalli.
- Siete entrati dal lato sbagliato della città. Non vedete
che questa è la porta che dà sul Foro Boario?
Disse, indicando i carri che trasportavano animali, grano,
frutta e verdura.
- Non dovete essere di queste parti voi due.
Aggiunse osservando i segni sulla natica del cavallo di Anuir.
- In effetti veniamo dalla costa ed è un bel po’ che
manchiamo da Amatras.
Si affrettò a precisare Antir.
- Uhm… Questa merce deve essere vagliata
all’Emporium Maximus, al Daziario. Si trova nei pressi

113
della porta orientale, sotto la Torre di Merilius. Dove-
te fare il giro delle mura o attraversare la città…
Aggiunse con tono sospettoso il Vigiles.
- Ricordo dove si trova la Torre di Merilius, è dopo
l’area del vecchio mercato, se non sbaglio.
Replicò Antir. Il Vigiles fece segno ai soldati di fare spazio e
lasciarli passare.
- Toglietevi dalla strada alla svelta, state bloccando il
passaggio.
Concluse, indicando ai due cavalieri la via attraverso la cit-
tà.
- Bel cavallo, comunque.
Aggiunse, accarezzando con uno sguardo più attento la
groppa di Flinio, mentre padre e figlio già imboccavano
l’ampio arco della porta meridionale. Antir si voltò e assentì
con un cenno di saluto. Quando furono fuori dalla vista del
drappello alla porta, sciolse una delle pelli e la poggiò sulla
groppa del cavallo di Anuir.
- Una disattenzione che poteva costarci cara. Quelli sul
tuo cavallo sono segni druidici. Abbiamo rischiato
grosso con quel Vigiles. Potremo incontrarne di più at-
tenti.

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Percorsero strette viuzze a dorso di mulo, il cui acciottolato
era consunto da secoli d’usura. Strade che s’inerpicavano
tra case di pietra tipiche del lato orientale di Amatras, edi-
fici bassi con al massimo due piani ma molto ben decorati
con motivi architettonici marmorei e strette bifore che si
aprivano sulla strada.
Anche quelle vie erano piuttosto affollate e Anuir non ricor-
dava di aver visto mai tante persone messe insieme. Quel
lato della città, tuttavia, non era che una piccola proiezione
della sontuosità di Amatras.
La Torre di Merilius era un grosso edificio dalla base squa-
drata. Le sue finestre erano strette fessure che si aprivano
come numerose ferite su ciascuno dei suoi lati, le merlature
della sommità del mastio spuntarono oltre il tetto di una
delle abitazioni più alte di quel quartiere.
I passi lenti e ritmati dei cavalli risuonavano sui sassi lisci e
piatti, dalle case effondevano profumi di arrosti, bolliti e
frittelle d’orzo. Un mosaico di aromi che fecero brontolare
lo stomaco di Anuir così rumorosamente da giungere anche
all’orecchio di suo padre che lo guardò con tenerezza.
- Ormai ci siamo, che ne dici se ci fermiamo in quella
locanda? Ho proprio voglia di mangiare un po’ di pane
fresco.

115
Propose Antir. Anuir lo guardò e annuì entusiasta.
- Locanda della torre.
Lesse il ragazzo sulla targa di legno di lato all’entrata del
postribolo, anche questo piuttosto affollato visto che era
quasi mezzodì.
Legarono i cavalli a uno dei numerosi anelli infissi nel muro
perimetrale della taverna ai quali erano alla corda anche un
mulo e altri due cavalli, di cui uno piuttosto anziano.
Superata la porta, furono investiti da un profumo stuzzican-
te ancor più intenso e lo sguardo di Anuir si perse nella mol-
titudine di pietanze sistemate sui banchi. Dolci con miele,
frittelle ripiene di frutti di bosco e una varietà di spiedini di
carne, sformati, salse di pesce oltre a un intero maiale arro-
stito.
- Siediti qui e aspettami, torno subito.
Gli disse Antir, al che si confuse con la folla di avventori
mentre il ragazzo scavalcò la panca e osservò le persone
che erano sedute con lui che già masticavano e bevevano.
Una donna lo guardò e sorrise, Anuir arrossì e distolse lo
sguardo, cercando tra la folla la sagoma di suo padre.
Antir stava raggiungendolo con un largo piatto di legno pie-
no di leccornie e due tocchi di pane scuro.
- Ecco. Serviti pure.

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Disse, scavalcando la panca e appoggiando il piatto sotto il
suo naso. Mangiarono con gusto un’abbondante porzione di
maiale guarnita da una salsa di prugne e fichi e il pane era
fragrante. Alla fine Antir svolse un panno nel quale c’era
avvolto uno dei tortini di miele. Lo divise in due e ne porse
il pezzo più grosso ad Anuir che lo addentò come se fosse
ancora digiuno.
Lasciarono la locanda della torre sazi e soddisfatti. Antir
pagò l’oste anche per custodire i cavalli poiché il Daziario
non era lontano, poi sciolse le pelli dalla groppa di Baio ma
lasciò coperta quella di Flinio.
- Dove si trova il daziario?
Chiese a un passante.
- Sì, il Daziario… si trova dall’altra parte del foro, è
quell’edificio rosso.
L’uomo indicò l’unico fabbricato, nella piazza del vecchio
mercato, costruito con mattoni. Si trattava di un grande
palazzo con una porta sorvegliata che si apriva su un chio-
stro interno.
Quando giunsero al cospetto delle guardie, queste stavano
parlando tra loro del più e del meno, diedero solo uno
sguardo fugace ai due avventori e alle pelli che trasportava-

117
no sulle spalle, poi ripresero a discutere su quale taberna
servisse il vino meno annacquato.
All’interno del chiostro c’erano diverse file di mercanti, in
attesa di passare il vaglio dei Vigiles. Un ufficiale guberna-
rio li fermò poco oltre l’atrio.
- I pellami devono essere vagliati da Gilius, da quella
parte.
Disse l’usciere indicando loro la fila giusta in cui incanalarsi.
Il tutto parve ad Anuir ancor più caotico del via vai
all’entrata della città, in un certo senso quel modo di fare
acquistò una connotazione negativa non solo agli occhi del
ragazzo.
- Quanto è cambiata, Amatras. Prima non era così com-
plicato vendere un mucchio di pelli.
Osservò Antir.
- Mancate da molto, a quanto pare, signore.
Disse l’uomo che li precedeva nella fila. Aveva davanti un
carretto pieno di pelli bovine già conciate. L’odore di urina
che si sprigionava da esse fece arricciare il naso al povero
Anuir che si coprì con le pellicce che aveva in braccio.
- Mi chiamo Ardenius. È già da parecchi anni che è così.
Da quando hanno chiuso il mercato grande. Belle quel-
le pellicce, siete davvero abile con la concia.

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Aggiunse il mercante.
- Il mio nome è Antir e questi è mio figlio Anuir. In ef-
fetti, è da un po’ che manchiamo da Amatras, mi ave-
vano detto che era cambiata ma non pensavo fino a
questo punto. In altri tempi avrei già sistemato queste
pellicce su un banco al mercato.
Rispose il cacciatore.
- Eh già. Vi risparmierei volentieri l’incomodo della fila
comperandole tutte, ma non c’è consentito acquistare
ne vendere prima che le merci siano state vagliate… è
la legge.
Si rammaricò il mercante, alzando le spalle e indicando la
sala in cui veniva fissato il prezzo del pellame. Antir lo rin-
graziò annuendo.
- Con questo sistema, di certo, l’unico vantaggio è per
le casse del Gubernator.
Bisbigliò poi Ardenius, ammiccando in direzione delle guar-
die di scorta alla sala di Gilius.
- A Lumenos assecondano le sue velleità, del resto i tri-
buti ora giungono integri e puntuali, cosa che non si
può dire dei tempi del vecchio Gubernator.
Aggiunse. La fila proseguiva senza intoppi, i vari commer-
cianti transitavano ordinatamente e i Vigiles ispezionavano

119
la merce, solo alla fine Gilius, un uomo corpulento e al-
quanto sgradevole alla vista, stabiliva il valore e
l’ammontare di quanto bisognava versare come tassa.
Quando giunse il turno di Ardenius, Antir si accorse che sa-
rebbe stato costretto ad anticipare parecchio denaro ma
nella sua sacca non restavano che poche monete.
Guardò Anuir e poi di nuovo verso i Vigiles. In qualche modo
avrebbero trovato un accordo, pensò.
- Il prossimo!
Esortò il Vigiles, al ché Antir si appressò appoggiando sul
banco le pelli che aveva in spalla, poi raccolse il resto dalle
braccia di Anuir.
Due Vigiles, sotto l’occhio attento dell’ufficiale gubernario,
passarono in rassegna ogni singolo pezzo, annotando tutto
su un registro.
- Nome?
Chiese ad Antir quando ebbero terminato l’ispezione.
- Antir Glaucius.
Rispose lui.
- Non sei di queste parti se non sbaglio.
Osservò Gilius.
- Siamo di Hungarius.
Aggiunse secco il cacciatore.

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- La tassa commerciale è fissata per venti arconti.
Sentenziò l’ufficiale. Antir tirò fuori dal sacco e soppesò,
incerto, tutto il contenuto. Le monete non assommavano
che a soli tre arconti più qualche spicciolo.
- Allora? Sbrigati che qui non abbiamo tempo da perde-
re.
Dichiarò, piuttosto irritato, Gilius.
- Mi rincresce ma qui ho soltanto tre arconti… signore.
Potreste, tuttavia, trattenere qualche pelliccia per la
somma del mio debito.
Fu l’offerta di Antir. Gilius e i Vigiles si guardarono come se
il cacciatore avesse detto un’assurdità.
- Eccone uno che crede di essere più furbo degli altri.
Disse il gabelliere, ammiccando, ai suoi uomini.
- Se non hai di che saldare la tassa, vorrà dire che trat-
terrai soltanto ciò per cui puoi pagare… procedete.
Aggiunse con aria annoiata, al ché i Vigiles raccolsero la
maggior parte delle pelli lasciandone davanti ad Antir sol-
tanto una decina. Il cacciatore, accortosi della manovra,
non permise a quegli uomini di portarsele via.
- Ma cosa fate? Queste valgono dieci volte l’intero tri-
buto.

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Protestò. Il Vigiles non allentò la stretta e si voltò verso Gi-
lius. Questi, dal canto suo, non si scompose.
- Allora hai proprio deciso di farci perdere del tempo.
Disse sporgendosi verso Antir, il quale non mostrava la ben-
ché minima intenzione di lasciarsi defraudare.
- Accontentati di quello che hai, cacciatore. Non co-
stringermi a far intervenire le guardie.
Alla minaccia di Gilius, Antir tentò dapprima di controbatte-
re ma il fatto che con lui ci fosse anche Anuir, lo fece desi-
stere dall’intento. Stava quasi per mollare la presa quando
alle sue spalle si udì una voce.
- Garantisco io.
Disse un uomo elegante accompagnato da uno schiavo di o-
rigine orientale.
- A patto però che costui mi faccia un prezzo di favore
per ciò che da lui vorrò acquistare.
Aggiunse quell’uomo. Il gabelliere cambiò subito espressio-
ne quando lo riconobbe.
- Lucilius Certius! Sei sempre uso a impietosirti per
questi bifolchi!
Dichiarò Gilius, lasciandosi cadere sulla sedia e facendola
scricchiolare pericolosamente.

122
- Ringrazia la tua buona stella… ora togliti dai piedi tu e
questo mucchio di cenci.
Aggiunse, infine, rivolto ad Antir da cui accettò i tre arconti
e il resto dalla borsa di Lucilius. Subito dopo, padre e figlio
furono accompagnati fuori dal nobiluomo.
- Devi perdonare i modi bruschi di Gilius, ha dimentica-
to i vecchi usi di Amatras… e poi non potevo certo
permettere che delle così belle pelli andassero spreca-
te.
Puntualizzò Lucilius una volta usciti dal daziario.
- Devo ringraziare la tua generosità, signore. Queste so-
no tue.
Antir gli stava offrendo le tre migliori pellicce che da sole
valevano oltre venti arconti.
- Forse non ci siamo capiti, Antir. Fai il tuo prezzo ho
intenzione di comprarle tutte.
Ribatté Lucilius. Antir restò per un attimo attonito realiz-
zando che non avrebbe potuto sperare in un’opportunità
migliore. Consegnò al servo tutte le pellicce e ottenne un
compenso assai più generoso di quello che avrebbe ricavato
persino vendendole singolarmente.
Dopotutto lo stesso Lucilius era riuscito ad ottenere le mi-
gliori pellicce del mercato a un prezzo più che ragionevole.

123
124
L’ombra nella torre di Merilius.

Accomiatatisi dal nobiluomo, Anuir e Antir fecero ritorno al-


la locanda della torre da dove, recuperati i cavalli, si avvia-
rono verso la porta meridionale.
Il giorno volgeva al vespro e le mura di pietra iniziarono a
tingersi dei colori del tramonto mentre le ombre dei vian-
danti creavano lunghe proiezioni sull’acciottolato.
Antir era alquanto soddisfatto, gratificato dal buon esito
della vendita delle pelli.
A quell’ora alcuni dei viottoli più stretti apparivano già bui,
nonostante fosse ancora giorno, specie quelli che
s’insinuavano tra le case più alte. Sbucarono su una delle
vie principali, ancora piuttosto affollate nonostante l’ora
tarda.
I due cavalieri si tennero al centro della via, superarono al-
cuni pesanti carri trainati da coppie di muli.
Oltre un crocicchio si trovarono di fianco a uno di quei tem-
pli di cui gli aveva parlato Meriagol. Spiccava con le sue mu-
ra picee tra le pietre chiare e i decori di travertino delle ca-
se. Dalla sommità della facciata Il volto grottesco e minac-
cioso di un fauno barbuto scrutò, arcigno, il loro passaggio.
- Sono questi i templi dei veggenti neri.

125
Commentò Antir mentre un brivido percorse la schiena di
Anuir nel momento in cui posò lo sguardo sul bassorilievo
del fauno al centro del timpano.
Lasciatisi alle spalle il tempio, imboccarono la via che con-
duceva verso la Porta Meridionale.
Il foro boario era ormai sgombro dalla moltitudine di bestie
e mercanti che lo avevano affollato nel corso della giornata.
Lo percorsero nella sua lunghezza per ritrovarsi poco distan-
te dalla Porta.
Di fronte a loro un gruppo di soldati stavano marciando di
scorta al convoglio degli ufficiali gabellari che avanzava,
lento, nella loro direzione. Su uno dei carri corazzati, tra gli
altri, Antir riconobbe il volto del Vigiles che li aveva fermati
all’entrata di Amatras, con lui c’erano altri due ufficiali e
un uomo vestito di nero.
Quando il carro li affiancò Antir cercò di non incrociare lo
sguardo del Vigiles, intento a dialogare con il veggente, tut-
tavia, fu questi a riconoscere Flinio e lo indicò agli altri.
- Ecco! È quello il cavallo.
Commentò. In quel preciso istante il panno sulla groppa del
destriero di Anuir scivolò, scoprendo la runa impressagli da
Meriagol. La testa del veggente si voltò lentamente in un
tempo che parve rallentare fin quasi ad arrestarsi. Lo

126
sguardo del sacerdote di Selvans si posò proprio sulla runa e
i suoi occhi si strinsero divenendo due strette fessure.
- Druides!
Esclamò nella sua lingua. La parola sibilò trai denti come il
vento che tenta di sfuggire alla stretta dei calanchi.
Antir si voltò di scatto verso suo figlio e, istintivamente, la
mano corse verso l’elsa della spada.
- Fermi!
Urlò il Vigiles.
- Non siamo Druidi… no!
Urlò Antir stringendosi ad Anuir, frapponendosi tra lui e il
carro.
- Seguite i loro credi, tuttavia. A me le guardie!
Aggiunse il veggente, indicando il simbolo. I soldati li cir-
condarono in un lampo, puntandogli contro le lance.
- Non ci provare. Disarmatelo!
Ordinò il Vigiles. Antir, conscio del frangente, non oppose
resistenza. Troppo rischioso mettere a repentaglio la sua vi-
ta e quella di Anuir.
- Questi non ti serviranno…
Disse il Vigiles, strappandogli la borsa con i soldi dalla cintu-
ra.

127
I soldati gli legarono le mani dietro la schiena dopodiché sa-
rebbero stati condotti via, alla volta della torre di Merilius,
scortati da altri soldati a cavallo che accorsero dal corpo di
guardia della Porta Meridionale.
Si unirono a loro anche il capo dei Vigiles e il Veggente, ap-
prestandosi a seguirli su un carro più piccolo.
- Stai tranquillo, Anuir, andrà tutto bene.
Cercò di dissimulare Antir carpendo, attraverso lo sguardo
del figlio, il cupo terrore che si era impadronito del povero
ragazzo il quale, non potendo afferrare le briglie, serrò le
gambe nelle staffe cercando di restare in sella. I loro cavalli
furono legati a tergo del carro. Dietro di loro la metà dei
soldati, il resto del drappello precedeva la colonna.
La schiera si mosse lungo la via mentre il sole si preparava a
svanire dietro le sagome degli alti palazzi in lontananza, ol-
tre l’area occidentale di Amatras.
Giunsero alla torre sul far della sera, un’ombra alta e mi-
nacciosa che si approssimava sempre di più.
Anuir osservò le luci della taverna della torre, dove solo po-
co tempo prima aveva condiviso col padre dei momenti feli-
ci. Dalla locanda, le risate e il chiacchiericcio degli avvento-
ri parvero quasi farsi beffe di loro ma nessuno si avvide del
triste corteo.

128
Giunti alla torre furono fatti scendere dall’arcione e i loro
cavalli scomparvero oltre le porte delle stalle che portavano
impresso il simbolo della famiglia di Rubeus, due cerchi in-
crociati l’uno nell’altro.
- Lo ripeto noi non siamo druidi ma solo dei cacciatori.
Ribadì Antir ma ora parve che più nessuno li ascoltasse. Il
Vigiles stava confabulando con il veggente circa la ricom-
pensa che gli spettasse per aver fermato i due infedeli ma il
sacerdote proprio non ne voleva sapere.
- Non aver paura, figlio mio. Siamo ancora insieme.
Bisbigliò il cacciatore all’orecchio di Anuir, il quale emise
un profondo sospiro.
I soldati li strattonarono, costringendoli a muoversi verso la
porta della torre la cui grata era sollevata, come le branche
di una fiera pronta a ghermire la sua preda.
Antir se ne stette in silenzio, impietrito dall’angoscia ma,
poco prima di scomparire anch’egli, inghiottito dalle voraci
fauci, il verso stridulo di una poiana gli fece sollevare la te-
sta verso il cielo. Non erano soli.

Il buio della segreta li avvolgeva con un algido abbraccio.


Solo il rumore, raro ma costante, di gocce d’acqua che fil-

129
travano attraverso le pietre dei sotterranei della torre in-
terrompeva il silenzio, riecheggiando tutt’intorno.
Una flebile luce, proveniente da un’unica feritoia in prossi-
mità della volta, proiettava sulle pietre umide del pavimen-
to, il pallido bagliore della luna.
Abituatisi all’oscurità, pian piano i loro occhi iniziarono a
distinguere qualche particolare in più dell’ambiente che li
circondava.
Un tenue riverbero rossastro e traballante, probabilmente
la fiamma di una torcia o una lampada, illuminava le ruggi-
nose sbarre di un’inferriata. Oltre questa, s’intravedeva un
corridoio da cui proveniva l’eco di voci lontane, forse delle
guardie incaricate della custodia dei prigionieri.
Oltre a ciò solo il silenzio, interrotto dal respiro affannato
di Anuir. Antir tentò di raggiungerlo ma erano stati incate-
nati in maniera tale da non riuscire nemmeno a sfiorarsi.
- Anuir sono qui, stai tranquillo, andrà tutto bene.
Continuava a ripetergli, sforzandosi di mantenere un tono
sereno sebbene egli stesso fosse colto dalla medesima in-
quietudine.
Ascoltando la voce del padre il ragazzo parve, almeno per
un po’, rasserenato. Sapere che Antir era con lui rendeva
meno amara la sua condizione.

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Nella segreta ripiombò il silenzio ma, dopo qualche tempo,
riuscirono a percepire, oltre il loro, anche un altro respiro.
Proveniva dall’angolo più oscuro della prigione e, a un certo
punto, il tintinnio di una catena svelò definitivamente che
in quella cella non erano i soli prigionieri.
- C’è qualcuno…
Bisbigliò Anuir. Antir cercò di avvicinarsi a quel respiro e si
sporse fino al limite permessogli dai ceppi.
- Chi sei? Tu laggiù…
Disse a voce alta il cacciatore. Ogni suono anche il più fle-
bile era amplificato dall’aura tetra che circondava quel luo-
go sinistro. Anche l’aria, greve e marcescente, entrava a fa-
tica nei polmoni.
- C’è qualcuno laggiù?
Ripeté. Di nuovo il silenzio. Poi il rumore delle catene lo fe-
ce indietreggiare di un passo. Tutto fu gelato dal nulla. Il
cacciatore allungò il collo in ascolto.
Improvvisamente, di fronte a lui, illuminato dalla luce della
feritoia, comparve un volto macilento.
Antir per poco non cadde all’indietro e sentì il suo cuore
pulsargli quasi in gola.
- Padre!
Urlò Anuir.

131
- È… è tutto a posto, Anuir.
Lo rassicurò il cacciatore. Davanti a lui il viso scavato e ar-
cigno di un vecchio, incorniciato da una barba scarmigliata
e sudicia. Al posto degli occhi, due fuochi spenti solcati da
ferite che segnavano anche le guance e la fronte rendendo-
lo più simile a un’ombra che a cosa viva.
- Chi… chi sei?
Balbettò il cacciatore dopo aver deglutito il groppo che per
un attimo gli impedì di proferir parola.
In quella flebile luce Antir riuscì a distinguere, sul volto im-
polverato del vecchio, alcuni segni sbiaditi simili a quelli
che portava impressi anche Meriagol.
- Sei un druido?
Gli chiese. Il vecchio cadde in ginocchio, sollevò il braccio
come per esaminare con la punta delle dita smunte ciò che
non poteva più percepire con gli occhi.
- Un tempo lo ero…
Disse, con una voce tanto flebile da essere simile a un soffio
capace solo di scuotere la fiamma di una lanterna.
- Turms Aitas…
Sussurrò, nella lingua proibita degli aruspici.
- Sei dunque tu, messaggero del regno sotterraneo? Sei
venuto a reclamare la mia ombra?

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Aggiunse, strisciando verso Antir. Questi, dal canto suo, si
chinò su di lui per sorreggerlo ma non riuscì a toccarlo.
- No, vecchio, io sono Antir e sono stato rinchiuso qui…
come te. Con me c’è anche mio figlio, Anuir.
Le parole del cacciatore delusero l’anziano druido, la cui
speranza di essere liberato dal supplizio s’infranse. Il brac-
cio si abbassò lentamente e la mano si chiuse in un pugno
che il vecchio spinse contro il pavimento.
- Tilciades, il mio nome è Tilciades.
Replicò sconfortato. Anuir, nell’udire quel nome, si alzò in
piedi e tentò di avvicinarsi, per quanto poté, al padre.
- Tilciades! Meriagol ci ha parlato di lui prima che ci se-
parassimo.
Disse.
- Meriagol?
Lo rimbeccò Antir, immemore.
- Meriagol l’ha cercato ma è riuscito a trovare le mace-
rie della sua casa…
Antir a quel punto focalizzò il momento in cui si accomiata-
rono dal druido.
- Certo, ora ricordo… Tilciades… era suo amico.
Ricordò Antir. Nell’udir pronunciare più volte il nome di Me-
riagol, il vecchio druido strisciò verso il cacciatore finché le

133
catene non si tesero, poi sollevò la testa come se volesse
scrutare meglio il volto di colui che gli stava parlando.
- Meriagol? Conoscete Meriagol?
Chiese, strattonando con la rabbia residua le catene che
avevano segnato i suoi polsi.
- Siamo suoi amici. Ci hanno rinchiusi qui perché i nostri
cavalli recavano impresse le sacre rune.
Rispose il cacciatore.
- Meriagol, mio vecchio amico, egli viveva a sud… non ha
subito le persecuzioni dei seguaci di Selvans, vero? Di-
temi che non l’hanno trovato.
Chiese ancora Tilciades.
- No, almeno per ora, è salvo. Da noi a sud non sono
giunte neanche voci riguardo a queste persecuzioni. È
venuto a cercarti ma la tua casa era stata distrutta dal
fuoco.
Rispose Antir. Il druido lasciò cadere le catene, un flebile
sospiro di sollievo esalò dalle sue narici nell’apprendere che
almeno Meriagol si fosse salvato.
- La mia casa… io sono l’ultimo dei druidi di Amatras e
non ho più memoria di quanto tempo ho trascorso in
questo posto maledetto. I veggenti neri mi fecero ac-
cecare ancor prima che le guardie di Rubeus

134
m’incatenassero a questi umidi sassi, tuttavia, se Me-
riagol è sfuggito al loro tramaglio, non tutte le spe-
ranze sono perdute.
Disse il druido.
- Perché vi perseguitano? Che scopo ha Rubeus per porre
fine ai vostri culti?
Gli chiese Antir. Tilciades proiettò in avanti il braccio come
per afferrare nell’aria qualcosa.
- È la pietra della veggenza che cercano. Non Rubeus ma
chi di lui si sta servendo. Sfruttano la sua brama di
ricchezza e potere, promettendogli con la negroman-
zia ciò che egli anela, ma soltanto per ottenere il loro
scopo.
Disse Tilciades.
- I Veggenti Neri?
Chiede Antir. Il druido annuisce.
- Sono in combutta con un uomo spietato, un feroce sac-
cheggiatore che si fa chiamare Egylius…
- Ripeti quel nome!
Lo interruppe Antir.
- Egylius... anche i suoi mercenari si sono messi al servi-
zio di Rubeus, almeno finché questi sarà utile ai loro
intenti.

135
Precisò il druido. Il cacciatore stette in silenzio. Anche A-
nuir conosceva quel nome, fu Meriagol a parlargliene per la
prima volta.
- È ancora vivo.
Pensò Antir, che si voltò verso Anuir continuando a starsene
muto. Le nocche delle sue mani serrate divennero bianche
come ossa disseccate al sole.
- La pietra della veggenza conferisce, a chi la possiede,
non solo il potere della predizione… essa permette di
avere il controllo assoluto sugli uomini. Una facoltà
assai pericolosa se finisse nelle mani sbagliate. La ne-
gromanzia dei seguaci del fauno nero è ben poca cosa
a confronto. Fu creata da una folgore di Tinia per la
Dea Evan che conferì alla pietra anche il dono di dare
l’immortalità a chiunque apponga su di essa le mani.
Continuò il druido.
- Che centrano i druidi con la pietra?
Intervenne Anuir.
- Sono druidi coloro che ne custodiscono il segreto. La
pietra ha la forma di un fegato e reca incisi tutti i mi-
steri degli aruspici. In un tempo assai remoto fu la
stessa Evan a condividere con alcuni di noi il suo pote-
re. Solo i druidi più saggi, tuttavia, sanno trovare

136
l’esatta ubicazione del luogo ove essa è celata… i
Druidi Evani, pochi di noi appartengono alla razza
primigenia, da cui sono scelti gli eletti che saranno re-
si immortali. Immortali ma non invulnerabili tanto che
Certarius, Aeurianus, Ramnix e Meriagol sono i soli su-
perstiti della stirpe, i soli a conoscere il segreto della
veggenza. Arcnos, il sacerdote supremo dei Veggenti
Neri, ha cercato di estorcerci con la tortura il segreto,
ma tale è rimasto poiché nessuno di noi ne era a cono-
scenza… Meriagol è uno degli ultimi druidi a essere
stato messo a parte di ciò che deve restare celato ed è
il solo degli Evani a vivere in questa parte del mondo.
Rispose Tilciades, Anuir e Antir restarono ad ascoltarlo in si-
lenzio finché, a un certo punto, un’eco di passi e ferraglia,
proveniente dal corridoio, ammutolì anche il druido il quale
rabbrividì e si ritirò repentinamente nell’ombra che fino a
poco prima l’aveva protetto.
- È qui per il vecchio?
Chiese una voce grossolana rimbombando nel corridoio.
- No, credo che a lui penseremo noi più tardi… i due
nuovi, Arcnos vuole loro.

137
Rispose l’altro. La luce tremolante di una torcia si fece
sempre più intensa finché le sagome delle due guardie non
si fermarono fuori la loro cella.
Uno dei due raccolse qualcosa dalla parete che tintinnò, poi
Il chiavistello cigolò sinistramente spinto da una grossa
chiave. Quando la porta si aprì, la luce delle loro torce li
abbagliò al punto che dovettero coprirsi gli occhi con le
palme delle mani.
- Prendi prima il ragazzo, torneremo poi per l’altro…
Disse il soldato con la torcia.
- Fermi! Cosa fate? Prendete me per primo…
Ringhiò Antir scaraventandosi verso di loro fermato solo dal-
le catene.
- Silenzio! Verrà anche il tuo turno, non te…
Lo rimbeccò l’uomo che già era chino sui ceppi di Anuir.
- Non osate sfiorarlo! Non avvicinatevi neanche.
Lo zittì Antir. L’altra guardia, senza rispondere, andò verso
di lui e lo colpì sulla faccia con la torcia di metallo, abbat-
tendolo.
- Calmo, Galianus! Arcnos non vuole che gli sia torto un
capello prima di portarli al suo cospetto… forza aiu-
tami con questo, ha nascosto le mani dietro la schiena.

138
Lo ammonì il primo. Antir, ancora frastornato dalla botta,
ritornò all’attacco.
- Vi ucciderò se solo osate fargli del male.
Insistette, ma le due guardie neanche lo ascoltavano, inten-
ti com’erano a cercare di avere la meglio su Anuir, il quale
non aveva la minima intenzione di farsi portar via.
- Si certo, ci ucciderai tutti. Intanto restatene li, sare-
mo presto di ritorno.
Disse la guardia con la torcia quando, finalmente, i due riu-
scirono a togliere le catene ad Anuir e a legargli le mani
dietro la schiena con un laccio di cuoio. Antir ringhiò come
una belva in gabbia quando scomparvero con il figlio
nell’andito.
La grata si serrò vile e inesorabile, lasciando il cacciatore in
un’angoscia tanto profonda da quasi arrestarne il cuore, che
batteva così forte da rimbombargli nelle orecchie.
La prigione ripiombò nella più tetra penombra. Più i passi
delle guardie si allontanavano, più l’animo del cacciatore
affondava in una palude di dolore e rabbia.
Tentò con tutte le sue forze di liberarsi dalle catene, si af-
fannò cercando di estirparle dal muro fino a che le mani,
madide di sudore, scivolarono impedendogli la presa.

139
L’avvilimento di Antir trovò sfogo in un urlo, che lasciò spa-
zio a una disperata rassegnazione. Dopodiché, a rompere il
silenzio, ci fu solo il suo respiro grave.

140
Il Druido Evani

Le guardie lo trascinarono attraverso il corridoio e poi su


una rampa di scalini che correvano lungo la parete interna
della torre. Entrarono in una sala semicircolare sulle cui pa-
reti e su alcuni banchi lungo queste ultime facevano bella
mostra di se ferri adunchi e ogni sorta di strumento che, al-
la sola vista, fecero rabbrividire il povero Anuir.
Un’acre lezzo di sudore, vomito e sangue permeava le mura
di quella sala e le assi del pavimento erano lerce di un inde-
finibile liquame mal ripulito.
I soldati lo spinsero a sedere su uno scomodo blocco di legno
al quale fissarono anche il laccio che teneva immobilizzate
le mani del ragazzo, poi i due aguzzini si disposero a ciascun
lato del ceppo.
Non trascorse molto tempo, la porta di fronte a lui si aprì
cigolando. Sull’arco apparve la figura di un uomo vestito di
una tunica scura, quasi nera, abito che contrastava in ma-
niera netta con la sua pelle, bianca come alabastro. Strani
tatuaggi disegnavano sul volto del Veggente l’ombra grotte-
sca e inquietante di un fauno, Selvans.
Si avvicinò a lui e lo squadrò per qualche istante, poi sollevò
il volto di Anuir con la sua mano, fredda come l’acciaio.

141
- Questi sarebbe uno dei nuovi druidi… un ragazzo?
Disse con una voce che era quasi un sibilo.
- Da dove vieni, giovane cacciatore del Dinuar? Forse da
Sud? O è a Nord che tu e tuo padre vagate per i vostri
sentieri silvani.
Aggiunse, rivolgendosi direttamente ad Anuir con un tono
mellifluamente disgustoso. Anuir non rispose.
- Dimmi, ragazzo, chi ha impresso quei simboli sul tuo
cavallo?
Chiese, ancora, avvicinando il suo volto a quello del giovi-
netto. Questi, dal canto suo, si ostinava a restare in silen-
zio.
- Il druido che cerco riesce a mutare forma… dimmi, un
falcone o una poiana ha segnato con i propri artigli
quel bel cavallo bianco? O vuoi, per caso, farmi crede-
re che sia nato con i simboli druidici della protezione
impressi sulle natiche?
Lo interrogò, strattonandolo per i capelli. Ma Anuir non dis-
se una parola.
- Sei un duro tu.
Aggiunse poi, lasciandolo andare e allontanandosi di qual-
che passo.

142
- Avrai avuto modo di constatare le condizioni del pove-
ro Tilciades… anch’egli era restio a parlare… ma poi…
Arcnos scoppiò a ridere. Un riso malvagio e privo di ogni
barlume di pietà.
- Gli è costato più di un occhio il suo silenzio!
Esclamò, brandendo un ferro affusolato e adunco dal banco
alle sue spalle.
- Quando la posta si è alzata, non ha potuto, quel vec-
chio stolto, fare a meno di assecondare le mie richie-
ste. So che il Druido Evani vive in un bosco a sud, nei
pressi delle rive del Dinuarius. Tempo fa mandai un
paio degli uomini di Egylius a cercarne le tracce ma
non tornarono più indietro… forse assassinati da quel
maledetto…
- Meriagol non è un assassino!
Esclamò Anuir, spezzando le parole calunniose di Arcnos.
- Ah! Meriagol… vedi che sai essere più sveglio di un
vecchio druido? Sì, è questo il suo nome… e dimmi,
giovane allievo, dov’è che si trova, ora, il tuo mae-
stro?
Era caduto nella trappola del Veggente. Anuir ripiombò nel
silenzio, pentendosi della sua ingenuità.

143
I sotterranei della Torre divennero ancor più freddi, il silen-
zio era reso insopportabile dall’attesa. Antir se ne stava se-
duto con le spalle appoggiate alle mura umide della prigio-
ne, la pazzia stava facendosi strada nei meandri della sua
mente.
Provò ancora, ma senza convinzione, a tendere le catene
ma i suoi muscoli si afflosciarono e le mani scivolarono molli
lungo di queste fino a toccare il pavimento.
Nella testa del cacciatore, a un certo punto, iniziò a ripe-
tersi un rumore monotono, uno schiocco ritmico, come una
verga battuta contro il vento ma più lieve, un suono simile a
un palpito.
Aumentava gradualmente d’intensità, come se si stesse av-
vicinando sempre di più.
Poi a un tratto si arrestò, proprio quando parve essere giun-
to all’altezza della grata della loro cella. Un breve trambu-
sto risuonò nel corridoio con un tintinnio di metallo battuto
sul muro e poi lasciato cadere per terra.
Antir a quel punto si voltò verso il cancello. Quel suono non
era uno scherzo del suo senno smarrito.
Attraverso le grate intravide il riflesso del metallo delle
chiavi, le teneva nel becco la poiana.

144
Meriagol attraversò l’apertura nelle sbarre e volò verso di
lui. Lasciò cadere le chiavi ai piedi del cacciatore che non
riusciva a credere ai suoi occhi.
- Meriagol.
Sussurrò. Il rapace si allontanò da lui di qualche passo poi
iniziò a emettere uno strano verso. Gradualmente la figura
longilinea e nerboruta del druido prese forma.
- Non stare lì a guardarmi trova la chiave delle catene e
liberati.
Gli disse lo sciamano. Antir sembrò destarsi da un sogno e
subito iniziò a trafficare con i lucchetti dei ceppi.
- Anuir… l’hanno portato via…
Disse, affannato e impaziente, Antir.
- Non preoccuparti, per ora sta benone. Liberati e resta lì
dove sei. Ho un piano.
Lo interruppe Meriagol, poi un rumore di catene lo fece vol-
tare repentinamente verso l’angolo buio.
- Meriagol… amico mio.
Disse Tilciades, con un filo di voce, avanzando verso la fle-
bile luce della feritoia.
- Tilciades. Sei tu?

145
Lo riconobbe il druido. Poi si voltò di nuovo verso Antir che,
intanto, aveva trovato la chiave giusta. Lo afferrò per le
spalle.
- Ascolta Antir, faremo così…

Arcnos lo fronteggiava attendendo una risposta che non sa-


rebbe mai giunta.
- Parlerai, parlerai… se non tu, ciò che resterà di tuo padre
dopo che ci avrò messo le mani. Ora, però, mi concentrerò
su di te...
Disse il veggente, poi si allontanò verso il tavolo per farne
ritorno con una sorta di tenaglia mezza corrosa.
- Liberategli una mano.
Ordinò alle guardie che, prontamente, obbedirono. Anuir
cercò di sottrarre il braccio alla stretta dei due aguzzini ma
erano più forti di lui e lo immobilizzarono per bene mentre
il Veggente Nero si apprestava a compiere il suo intento.
Il ragazzo non poté trattenere un urlo di dolore nel momen-
to in cui Arcnos, con l’aiuto di quell’arnese rugginoso, gli
strappò di netto l’unghia del pollice della mano destra.
- Legatelo, presto.
Ordinò ancora. Le guardie legarono di nuovo le mani di A-
nuir dietro la schiena. Il sangue gocciolò sul pavimento per-

146
dendosi nelle fessure tra le assi. Il ragazzo squadrò il Veg-
gente con uno sguardo pieno di disprezzo ma questi ricam-
biò con un sorriso cinico.
- Per ora basta così, avrai modo di parlare più tardi. In-
tanto rifletti bene, ho dalla mia tutto il tempo che
voglio, poi tu ne hai di unghie e, semmai avrò finito
con queste, ho tante di quelle risorse…
Disse, posando sul tavolo la tenaglia e sfiorando una delle
tante lame seghettate appese alla parete.
- Portatelo via e trascinatemi qui il padre. Il vecchio…
uccidetelo, ora non mi serve più.

I passi delle guardie risuonavano nel corridoio, accompagna-


ti da quelli strascicati di Anuir.
Il dolore stava pian piano risalendo verso il gomito, un dolo-
re sordo e pulsante.
- Devi starci più attento con queste, Galianus. Non vo-
glio problemi con Arcnos.
Disse il capo delle guardie dopo aver raccolto da terra le
chiavi delle catene.
La porta fu aperta e i due soldati legarono Anuir ai suoi
ceppi.
- Anuir… va tutto bene figlio mio?

147
Chiese Antir con un tono stranamente calmo.
- S… si padre.
Rispose lui nel momento in cui Galianus chiuse l’anello sul
polso del braccio destro.
- Forza, prendi l’altro, uccido io il vecchio.
Ordinò il capo della guardia. Galianus si spostò da Anuir ad
Antir e, credendolo ancora mezzo tramortito dal suo colpo,
si chinò su di lui per aprire i ceppi dei piedi.
Non ebbe il tempo di accorgersi che le branche erano solo
appoggiate. Antir balzò su di lui attorcigliandogli la catena
alla gola. Galianus non emise un solo fiato tanto rapido fu il
guizzo di Antir, che gli spezzò il collo col solo rammarico di
una morte troppo rapida. Nel lato oscuro della cella il fal-
cetto di Meriagol aveva già reciso la gola dell’altro aguzzi-
no, il cui sangue formò un rivolo verso il centro della prigio-
ne, come un nero ruscello alla vana ricerca del suo fiume.
Il cacciatore non si attardò e subito sottrasse a Galianus la
spada con tutto il fodero e le chiavi con le quali liberò A-
nuir, che dimenticò il dolore nel momento in cui Meriagol
apparve alla tremolante luce delle torce.
- Coraggio non c’è tempo da perdere, seguitemi.
Disse il druido, sostenendo il peso di Tilciades.

148
Dopo aver chiuso la cella, percorsero il corridoio nella dire-
zione opposta a quella che portava alla sala delle torture.
Sparirono in una delle segrete che si trovavano in fondo al
corridoio, sulla parete opposta Meriagol scostò dei massi a-
prendo un varco attraverso cui la luce della luna illuminò i
piedi nudi del druido.
- Forza! Una volta fuori raggiungete la casa in fondo alla
strada, quella con due lumi sulla bifora. Io rimetterò a
posto le pietre e uscirò attraverso quella grata.
Così fecero. Una volta fuori si ritrovarono sul lato orientale
della torre, dove l’ombra del mastio si opponeva al lume
della luna piena. Antir aiutò Tilciades a raggiungere il luogo
indicato da Meriagol mentre Anuir, guardingo, scrutò i din-
torni e, portandosi la mano insanguinata sotto l’ascella,
precedette il padre verso la salvezza.

149
Arcnos, il Veggente Nero.

150
Le due poiane.

La porta della casa era aperta, sgattaiolarono dentro come


la volpe furtiva sorpresa dalla luce della Luna. La casa sem-
brava disabitata. Salirono al piano superiore, dove le due
lanterne erano poggiate sul davanzale della bifora. Gli abiti
di Meriagol erano sistemati su uno scanno sotto la finestra.
La poiana non tardò molto a raggiungerli. La sua ombra si
opponeva al volto sornione della luna. Quando la vide pla-
nare, Antir spense i due lumi permettendo a Meriagol di po-
sarsi sul parapetto ed entrare mentre Anuir aiutò Tilciades
ad adagiarsi su un giaciglio sul lato opposto della stanza.
Meriagol trasmutò davanti a loro, non c’era tempo per su-
perflui pudori e, anche se la stanza era buia, Anuir riuscì ad
assistere all’evento che lo lasciò esterrefatto.
Il druido si rivestì rapidamente e fece cenno ad Antir di con-
trollare dalla finestra se era tutto a posto.
- Là fuori non si muove nulla.
Comunicò il cacciatore. Del resto era notte fonda e le vie di
Amatras erano deserte.
- Dobbiamo muoverci alla svelta. Questa è una casa
molto antica, risale a prima che costruissero la torre.

151
Giù troveremo una botola che immette in un corridoio
che porta oltre le mura orientali.
Disse Meriagol mentre indossava i suoi calzari.
- Cosa ne sai?
Gli chiese ingenuamente Antir.
- Era casa mia. Ci abitavo quando ero ragazzo. Non mi
aspettavo di trovarla ancora disabitata… una fortuna
per voi.
Aggiunse il druido. Poi si avvicinò a Tilciades e gli poggiò la
mano sulla fronte.
- Sei in grado di camminare, vecchio mio?
L’anziano druido si voltò verso Meriagol e lo fissò con gli oc-
chi spenti. Annuì.
- Avessimo almeno i cavalli…
Osservò Antir.
- Flinio!
Esclamò Anuir portando entrambe le mani alla bocca e che,
concentrato sulla fuga, ricordò solo allora che i loro cavalli
erano ancora nelle stalle della torre di Merilius.
- Non possiamo rischiare, dobbiamo lasciarceli alle spal-
le, purtroppo.

152
Aggiunse, accarezzando i capelli del figlio, un rassegnato
Antir. Poi, notando la macchia di sangue sulla tunica si chi-
nò su di lui frugandolo in cerca della ferita.
- Cosa ti hanno…
Chiese agitato.
- Nulla, Padre. È solo questo.
Rispose il ragazzo mostrando il pollice su cui il sangue era
già rappreso.
- Maledetti.
Commentò il cacciatore a denti stretti.
- Non c’è tempo, ora. Svelti!
Disse il druido mostrando loro la direzione delle scale, dopo
aver fatto trangugiare a Tilciades un tonico da una piccola
ampollina.
Anuir scese di sotto mentre Antir e Meriagol aiutarono Til-
ciades a percorrere i pochi gradini che li separavano dal
seminterrato.
- Glie la faccio, glie la faccio da solo.
Disse il vecchio appoggiando la mano sulla spalla di Meria-
gol. Antir sollevò la botola poi andò verso la finestra per
dare un’ultima occhiata alla torre. Tutto sembrava tranquil-
lo, ancora non era stato dato l’allarme.
- Giù!

153
Disse Meriagol ad Anuir che ubbidì rapido. Attese che anche
Antir e Tilciades imboccassero il passaggio, dopodiché li se-
guì chiudendo la botola dietro di se.
La luce della lampada a olio rischiarò l’oscurità del corrido-
io sotterraneo che Antir e Meriagol dovettero percorrere
con il capo chino. L’aria era ancor più pesante che nella se-
greta ma ora erano liberi.
Secoli di inutilizzo l’avevano riempito di ragnatele che in
parte si ritiravano grazie alla fiammella, tenuta alta da Me-
riagol. Anuir si rese conto, a un certo punto, che il suolo era
in pendenza.
- Ci siamo.
Disse Meriagol. Una luce tenue filtrava attraverso delle vec-
chie assi di legno, proprio davanti a loro.
Quando Meriagol spalancò la porta, una fresca brezza acca-
rezzò il viso di Anuir che respirò profondamente.
- Sei lercio.
Disse con un sorriso Antir, ripulendo la testa del ragazzo
dalle regnatele che pendevano un po’ ovunque.
- Beh… anche tu non scherzi, padre.
Rispose lui. Osservando lo stato della sua tunica.
Il suono improvviso di un corno riecheggiò dalla torre fin ol-
tre le mura.

154
- Ah bene, ciò mi solleva alquanto. Tra poco avvistere-
mo l’ultimo avamposto abitato. Le mura di Teghianum
sono oltre quel crinale e non abbiamo nulla da scam-
biare per rifornirci di provviste. Tanto vale perdersi
per i passi dei Monti Silenti sperando nella buona sor-
te. Se tu fossi meno misterioso sulla strada che do-
vremo percorrere…
Ribatté Antir, con rammarico.
- Seguiremo la via più breve ed è quella che conduce at-
traverso le montagne. Aggirare il massiccio ci porte-
rebbe via troppo tempo.
Precisò il druido, poi prese da parte Antir.
- So qual è il tuo cruccio, più andiamo avanti più si avvi-
cina il tempo in cui dovrai separarti da Anuir, lo stesso
vale anche per me ma, credimi, è meglio che tenga
per me il percorso da seguire.
Disse ancora.
- Siamo diretti nel luogo in cui è custodita la Pietra, non
è vero?
Chiese, rassegnato, il cacciatore. Meriagol non rispose, si
limitò ad abbassare lo sguardo.
- Arcnos ci bracca e temo che non rinuncerà così facil-
mente al suo intento.

178
Aggiunse poi.
- Tu devi proteggere il segreto dei druidi… ma io devo
proteggere mio figlio.
Ribatté il cacciatore.

Proseguirono fino alle pendici del massiccio, le cui vette


non arrivavano neanche alla metà dei Monti dell’Ombra,
tanto che la neve appariva a tratti solo sui picchi più eleva-
ti.
Calcarono un sassoso sentiero in ascesa al centro di un vasto
altopiano erboso. La via proseguì sul fianco della prima al-
tura. Alla loro sinistra un’ampia vallata, all’estremità della
quale, il fiume Geminus serpeggiava con le sue acque lucci-
canti attraverso la vegetazione. A nord, tra il fiume e le
montagne, una smisurata macchia di un bel verde scuro ap-
parteneva alla foresta di Veives.
I viaggiatori, tuttavia, soffermarono l’attenzione su diversi
fili di fumo che si sollevavano dalla piana a poca distanza
dal massiccio.
- Un bivacco.
Sostenne Antir. Meriagol tentennò perplesso.
- Sono loro.
Puntualizzò il druido.

179
- Se riuscissimo a prendergli almeno due dei cavalli.
Aggiunse il cacciatore, contando una ventina di cavalli alla
corda. I due si fissarono negli occhi come se le loro menti
avessero generato lo stesso pensiero.
- Devono aver varcato il fiume più a nord rispetto al no-
stro guado. Con i cavalli non gli sarà costata molta fa-
tica raggiungere uno dei ponti di pietra a sud della fo-
resta di Veives.
Ipotizzò Meriagol.
- Dovevamo tentare di riprenderci i cavalli la sera alla
torre.
Intervenne Anuir. Antir scosse il capo.
- Estremamente rischioso, ci avrebbero sicuramente
catturato, le stalle erano troppo vicine al corpo di
guardia. Ora, però, non siamo così svantaggiati, potrei
organizzare una sortita al loro campo… stanotte.
Disse il cacciatore.
- A meno che non si muovano prima.
Obiettò Tilciades.
- Non credo, il sole sta tramontando e qualcuno sta an-
cora accendendo il fuoco, si sono fermati da poco. So-
no accampati per la notte.
Disse Meriagol.

180
- Verrò con te, stanotte.
Si offrì Anuir.
- No.
Rispose, secco, il cacciatore.
- Ma posso combattere… ora posso combattere!
Insistette il ragazzo.
- Questo lo so, figliolo, ma…
Esitò Antir.
- Anuir, tu devi restare con Meriagol. Andrò io con tuo
padre. Nel caso ci catturassero potremo contare su di
voi per liberarci.
Aggiunse Tilciades. Antir assentì e Anuir riuscì a rassegnarsi
all’idea. Attesero il sopraggiungere delle tenebre e, dopo
che tutti i mercenari ormai dormivano sicuri di se, Antir e
Tilciades, nel sembiante del cinghiale, raggiunsero il bivac-
co.
C’era un'unica sentinella a sorvegliare le bestie alla corda e
il cinghiale attirò la sua attenzione facendo un po’ di fra-
stuono in un cespuglio.
- Chi va là?
Intimò il mercenario, sguainando la spada. Tilciades a quel
punto fece capolino mostrandosi alla luce della luna calan-
te.

181
- Dannato cinghiale, mi hai fa…
Non ebbe il tempo di accorgersene che Antir lo aveva già
abbrancato e, copertagli la bocca con la mano, fece in mo-
do che quelle fossero state le sue ultime parole.
Il cacciatore si avvicinò cautamente ai cavalli per non spa-
ventarli e svegliare gli altri uomini del campo. La sua at-
tenzione fu catturata da un animale la cui groppa si distin-
gueva tra le altre per il colore chiaro. Si appressò maggior-
mente rendendosi conto della runa impressa sulla natica. Un
sorriso rischiarò il suo volto imbrattato di fango, tanto che
gli occhi spiccavano come due lucerne nella notte.
Sciolse la corda che lo teneva legato e cercò di individuare
anche Baio ma non riconobbe il suo vecchio corsiero.
Non c’era tempo da perdere poiché notò del movimento in-
torno ad uno dei fuochi. Slegò velocemente anche il cavallo
immediatamente alla destra di Flinio. Si apprestava ad al-
lontanarsi con i due animali attraverso il folto della bosca-
glia quando l’istinto lo fece voltare repentinamente verso le
pire.
Si assicurò che tutto fosse tranquillo prima di trascinare via
le due bestie. Una volta inoltratosi nella selva, balzò in
groppa a Flinio e si mosse in direzione del crinale, trainando

182
con sé l’altro cavallo e seguito, a poca distanza, dal cin-
ghiale.
Il silenzio, rotto solo dal crepitare delle braci, avvolgeva il
campo. I movimenti furtivi del cacciatore avevano lasciato
tranquilli gli altri animali.
I pallidi barlumi dell’aurora illuminarono le cupe fattezze
del capo dei predoni che, ridestatosi, notò che dalla corda
mancavano due cavalli. Poi si voltò verso il punto in cui do-
veva esserci la sentinella ma trovò solo le sue spoglie ab-
bandonate all’ombra di un arbusto.
Egylius, a quel punto, sfoderò la spada e diede l’allarme.
- Cani senza cervello! Ai cavalli.
Il volto inquietante di Arcnos apparve improvvisamente, il-
luminato dai lampi dei primi raggi del sole mattutino.
- Fermo.
Sussurrò Arcnos.
- Manda indietro la metà degli uomini, la nostra battuta
di caccia ha dato troppo nell’occhio, a quanto pare.
Aggiunse il Veggente. Egylius annuì senza discutere ma ri-
chiamò, meditabondo, i suoi mercenari. Qualcuno aveva o-
sato beffarlo, non capitava da tanto tempo e l’orgoglio feri-
to fece attecchire nel suo animo il pericoloso tarlo della ri-
valsa.

183
184
Un amico ritrovato

Quando la sagoma di Antir apparve sul sentiero, Anuir gli


corse incontro. Dapprima non si soffermò sui cavalli se non
superficialmente ma, quando intravide lo sguardo furbetto
del padre, l’istinto gli fece osservare il cavallo con più at-
tenzione. A un tratto si piantò in mezzo al sentiero, il suo
cuore fece un sobbalzo.
- Flinio?
Chiese sottovoce a se stesso, incredulo.
- Flinio!
Esclamò riprendendo la sua corsa. Era come se lo vedesse
per la prima volta, come quando Antir decise di fargli la più
fantastica sorpresa della sua vita.
Il cavallo, udendo ripetere il suo nome, emise un nitrito che
risuonò nella valle.
Il ragazzo lo abbracciò forte, mentre un velo di lacrime of-
fuscò per un momento la sua visuale.
- Padre… e Baio?
Il cacciatore si protrasse a guardarlo, appagato dalla sua fe-
licità.
- No.

185
Rispose, continuando a sorridere. Il suo, tuttavia era un
sorriso che quella risposta condì con una vena d’amarezza.
Un vento leggero spazzò il profilo della cresta. Non si pote-
va indugiare oltre, bisognava riprendere il cammino. Tilcia-
des, che di notte e nei boschi si muoveva agile, sicuro, co-
me se i suoi occhi fossero ancora in grado di distinguere la
luce, si avviò innanzi precedendo i due cavalieri che si ap-
prestarono a percorrere con passo lesto il sentiero petroso,
il quale serpeggiava sui fianchi della montagna.
- Proseguite lungo questo sentiero finché non udrete il
mio segnale.
Disse il druido, dopodiché si sfilò le vesti e ne fece un fagot-
to che affidò ad Antir. Si avviò quindi verso il bordo della
china. Pronunciò la sua cantilena prima di lasciarsi cadere
nel vuoto dello strapiombo, ne riapparve subito dopo sotto-
forma di rapace ma quella notte non fu l’unico falcone a
solcare il cielo.
La brezza divenne più tenace man mano che s’inoltravano
nei Monti Silenti, il vento moltiplicava la sua potenza insi-
nuandosi tra alte pareti di roccia.
Il silenzio era rotto solo dagli zoccoli dei cavalli che avanza-
vano di buona lena sui sassi del calle montano.

186
Cavalcarono finché il chiarore dell’aurora non ammansì
l’oscurità che regnava in quel luogo di quiete e ombra.
Poi la strada divenne più larga e i cavalieri si ritrovarono su
un vasto tavolato in cui il sentiero non era più tanto distin-
guibile. Fu Meriagol che, con il suo richiamo, indicò loro la
via. Antir e Anuir spronarono i loro destrieri e iniziarono una
lunga galoppata che li portò fino al Passo di Februus, una
gola tanto stretta da impedire alla luce del sole di illumina-
re le sue pareti, fredde come il ghiaccio dei nevai.
- Questo deve essere il Passo di Februus, Anuir.
Disse Antir.
- In antichi scritti è rappresentato come il luogo ove è
possibile trovare l’ingresso al regno delle ombre. Se-
condo la leggenda fu la spada di Laran a dividere la
montagna perché Februus potesse accogliervi le anime
dei guerrieri caduti in battaglia.
Aggiunse il cacciatore, mentre lo sguardo del figlio cercava
si scrutare la sottile striscia di cielo azzurro che, sulla som-
mità della gola, separava quelle due pareti a picco e imma-
ginando le proporzioni di una spada talmente grande da a-
prire in due cotanta maestà.

187
Superato il passo, si ritrovarono sull’estremità di una pietra-
ia che digradava dolcemente in un’altra valle coperta da
boschi di pini.
Trascorsero due giorni tra le montagne. Sul far della sera
del secondo giorno, quando il sole si preparava a coricarsi
oltre le creste più alte del massiccio, percorsero l’ultimo
passo, quello di Thalnas che li introdusse nella valle del Bi-
fidus, poco prima del punto in cui il suo corso si divide in
due rami, Magnus e Parvum, incorniciando in un fertile tri-
angolo l’antico Principato di Taeverius la cui capitale, Hae-
vandros, porta il nome del più valoroso trai suoi sovrani.
Il richiamo di Meriagol li portò in prossimità di un enorme
albero d’ulivo sulla vetta di una collina. I rami contorti,
modellati dal vento che sferzava sull’altura, diedero appog-
gio alla poiana e riparo ai cavalieri nell’imminenza di una
notte fredda. Le imponenti propaggini si piegavano fin quasi
a toccare il suolo sassoso, creando una parete in cui Anuir e
Antir sistemarono i propri giacigli.

Le prime luci di un’alba purpurea filtrarono attraverso i ra-


mi dell’ulivo, ma furono le voci di Meriagol e Tilciades a ri-
destarli.

188
I due druidi stavano discutendo riguardo ai Veggenti Neri e
il pericolo incombente di una loro diffusione in tutto il Di-
nuar.
- La Pietra deve restare segreta. È la nostra sola spe-
ranza.
Ripeteva Tilciades. Meriagol scrutava il cielo con aria pre-
occupata.
- Anuir ha bisogno della Pietra. I miei vaticini non sono
sufficienti. Il mistero che lo circonda va oltre le mie ca-
pacità di predizione. Egli proviene dalle terre a occiden-
te delle Montagne d’Ombra…
Replicò il druido.
- Forza Anuir è ora di riprendere la marcia!
Disse ad alta voce Antir, assicurandosi d’essere udito anche
da Meriagol il quale, intendendosi col cacciatore, cambiò
subito argomento.
- Vedi, Tilciades, la strada lungo il Geminus è di gran
lunga la più agevole… ci fa evitare di attraversare la
Piana di Chelsclan.
Continuò Meriagol, stringendo la spalla di Tilciades.
- I cavalli sono già sellati, Antir.
Aggiunse poi rivolgendosi al cacciatore che, raggiuntolo, lo
prese da parte.

189
- Ma sei impazzito? Anuir avrebbe potuto sentire…
Lo rimproverò il cacciatore, bisbigliando.
- Hai ragione… ma devi prendere in considerazione
l’idea di dirgli tutta la verità, non impiegheremo mol-
to a raggiungere la nostra meta. Devi dirgli la verità.
Lo ammonì il druido.
- Lo farò… devo solo trovare il momento giusto…
Sospirò il cacciatore.
- Fai in modo di trovarlo, Antir, altrimenti sarà peggio.
Concluse Meriagol.
Attraversarono la vallata verso levante cercando di tenersi il
più possibile al riparo delle siepi e di qualunque macchia of-
frisse loro un nascondiglio.
Meriagol non voleva correre rischi visto che ora aveva la
certezza che Arcnos fosse sulle loro tracce.
- Padre, cosa intendeva dire Meriagol riguardo alle Mon-
tagne d’Ombra?
Se ne uscì a un certo punto Anuir. La schiena e il viso del
cacciatore s’imperlarono istantaneamente di minute goccio-
line di sudore. Meriagol aveva ragione, non c’era più alcun
motivo di tenere nascoste ad Anuir le sue vere origini, tut-
tavia, la faccenda creava in Antir una ritrosia legata al ti-
more di perderlo.

190
- Vedi, Anuir, per me non è facile dirti ciò che sto per
dirti ma… è giusto che tu sappia tutta la verità. Ciò
che tra poco scoprirai, riguarda il tuo passato, un pas-
sato che non sei in grado di ricordare poiché eri troppo
piccolo.
Antir arrestò per un attimo il suo cavallo e attese che Anuir
lo affiancasse.
- Quasi quindici anni fa, mi trovavo a nord del Dinuar a
caccia di cervi…
Continuò il cacciatore ma un groppo alla gola lo interruppe.
- Padre, qualunque cosa sia, non temere, ora sono gran-
de e riuscirò ad affrontarlo.
Lo incoraggiò Anuir. Antir sorrise e, con non poca fatica, ri-
prese a parlare.
- Avevo perso da poco Lavinia e la mia era una vita da
ramingo. Era un tiepido pomeriggio di primavera e de-
cisi di fermarmi a riposare prima di riprendere la cac-
cia…
Antir iniziò a raccontare nei minimi particolari ogni evento
di quel giorno come se non fossero trascorsi tanti anni e A-
nuir lo ascoltava con curiosità e apprensione allo stesso
tempo.

191
- … Quando stavano ormai per condurmi oltre i confini
del Dinuar, accadde un fatto strabiliante. Il verso di
un’enorme bestia proruppe dalla sponda opposta del
fiume, un suono tanto agghiacciante da sgomentare i
guardiacaccia che, in preda al terrore, fuggirono come
se fossero braccati da Tuchulca in persona.
Continuò il cacciatore.
- Perché tu non fuggisti?
Chiese, interrompendolo, Anuir.
- Non so spiegarti cosa mi trattenne eppure, in quel
vento che spazzò il greto del Dinuarius, scoprii un con-
forto tale da abbandonarmi a ciò che poco dopo mi ac-
cadde. Il verso raccapricciante lasciò il posto a rassicu-
ranti voci femminili, il loro canto mi guidò fino
all’argine, dove una donna, una dea forse, mi disse
che quelle erano le voci delle Naiadi e che non avevo
nulla da temere poi, dalla sponda opposta, una luce mi
travolse, una luce che si avvicinò sempre di più… fu in
quel bagliore che trovai un tesoro inimmaginabile… eri
tu, Anuir… così piccolo da riuscire a tenerti sul palmo
di questa mano.
Gli occhi di Antir nel rievocare quei momenti si fecero luci-
di. Anuir restò muto, un brivido percorse la sua schiena e

192
sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Che cosa significava
tutto ciò? Antir non era in realtà suo padre e Lavinia?
- Fosti tu a sottrarmi a quella vita raminga che, prima o
poi, mi avrebbe condotto alla rovina. Ecco, figlio mio,
poiché tale tu sei qualunque cosa accadrà fin d’ora,
non ho più nulla da nasconderti.
Concluse il cacciatore.
- Padre… chi sono io, allora? Mia madre… mio…
Chiese il ragazzo con un filo di voce.
- È quello che vogliamo scoprire. Ho sempre temuto
che, rivelandoti tutto ciò, alla fine mi avresti rifiuta-
to.
Chiarì Antir.
- Ma… come puoi pensare una cosa del genere? Noi re-
steremo sempre insieme non è vero?
Lo incalzò Anuir. Sul volto del cacciatore comparve un sorri-
so amaro.
- Sì, figlio mio. A volte mi comporto proprio da sciocco…
Aggiunse Antir, poi spronò il suo cavallo e ripresero il cam-
mino mentre il vento che li sferzò portò via con se una la-
crima, non permettendogli di indugiare sul volto impolvera-
to dell’uomo. Anuir se ne stette muto e pensoso, il cuore

193
era come sospeso e i suoi rintocchi rimbombavano nella
mente del ragazzo.
Impiegarono tutto il resto della giornata per toccare la riva
occidentale del Bifidus. Il fiume aveva un corso più vivace
rispetto alla tranquillità delle acque del Dinuarius e del
Geminus. Il tratto in cui lo raggiunsero era caratterizzato,
di fatti, da una serie di rapide con cui il fiume superava vari
dislivelli.
Il cielo, intanto, si fece plumbeo e, in lontananza, iniziaro-
no a udirsi i tuoni minacciosi di un temporale imminente.
Continuarono a cavalcare risalendo il corso finché giunsero
in corrispondenza di un’ansa, oltre la quale, una fitta bo-
scaglia riuscì a fornire un provvidenziale riparo quando ini-
ziarono a cadere le prime gocce di pioggia.

194
L’ombra della poiana.

Il piovasco si era già fatto più intenso quando furono rag-


giunti da Meriagol e Tilciades.
Nella penombra di quel riparo, il druido colse nello sguardo
di Anuir una luce diversa, guardò l’amico che abbassò mesto
il capo in segno di assenso. Di ciò, nonostante tutto, si com-
piacque deducendo che Antir aveva fatto ciò che era giusto.
I tuoni divennero presto più frequenti e un tremendo tem-
porale si abbatté su di loro avvolgendoli in un enorme bolla
d’acqua. Gli alberi non offrirono che un riparo relativo poi-
ché, ben presto, le loro chiome iniziarono a grondare una
vera e propria cascata d’acqua.
I cavalli se ne stavano immobili con la testa china, il loro
manto sembrava marmo splendente quando qualche barlu-
me di luce riusciva a trovare spazio attraverso la vegetazio-
ne.
- Tinia ha deciso di fare spreco di folgori, a quanto pa-
re.
Osservò Antir avvolgendosi nel mantello.
- Non durerà molto.

195
Precisò Meriagol. In effetti, dopo un po’, smise e le nubi i-
niziarono a diradarsi facendo filtrare una luce crepuscolare
e insolita.
- Nella regione dei laghi il tempo varia improvvisamen-
te, c’era da aspettarselo.
Aggiunse l’augure, ricordandosi di quando percorreva quegli
stessi territori con il suo maestro Certarius.
Il sole si fece spazio tra scure nubi mentre i cavalli si scrol-
larono di dosso l’acqua, che si liberò in minute gocce iride-
scenti.
Percorsero insieme un lungo tratto giungendo presso una va-
sta distesa d’acqua, qui il corso del fiume rallentava fin
quasi a fermarsi. Si trattava del lago Oculom, al centro del
quale vi era un’isola lussureggiante per la gran parte del
tempo nascosta dalle nebbie che sovente pervadevano
l’ambiente circostante. Quando la bruma si diradò spazzata
via da un tenace vento di tramontana, in lontananza si sta-
gliò il profilo della cordigliera settentrionale delle Montagne
d’Ombra.
Antir le osservava, rapito dalla loro imponenza.
- Desideravi conoscere la nostra destinazione?
Gli domandò Meriagol, indicando le vette all’orizzonte.

196
- Le Montagne d’Ombra? Nessun uomo è mai tornato da
quel massiccio se non come spettro… cosa ti passa per
la testa, druido?
Chiese con meraviglia il cacciatore. Poi guardò con appren-
sione Anuir.
- Le montagne nascondono un potere segreto, tuttavia,
non sono più pericolose dei tabù che le hanno preser-
vate. È lì che troveremo la Pietra della Veggenza, ci
aiuterà forse a vedere anche nel passato più oscuro.
Rispose Meriagol.
- È quello il luogo in cui apprenderò chi sono, Meriagol?
Intervenne il ragazzo. Il druido Annuì.
- Lo spero, Anuir.
Il ragazzo restò un attimo in silenzio, poi fissò negli occhi
sia Meriagol che Antir.
- Non voglio.
Disse. I due lo guardarono sorpresi.
- Non voglio conoscere niente del mio passato… tu sei
mio padre…
Aggiunse Anuir. Antir e Meriagol si scrutarono silenziosi, poi
fu il cacciatore a replicare.
- Anuir, figlio mio, ciò che scopriremo non cambierà
nulla di ciò che siamo… ma…

197
- Questo lo so, padre. Non credo di voler sapere di più
su chi ha avuto il coraggio di abbandonarmi sulle rive
di un fiume.
Lo interruppe Anuir ma Antir lo incalzò.
- No, Anuir. Noi non conosciamo i motivi di tutto ciò…
Il druido, a quel punto si fece avanti.
- Il nostro viaggio ha anche un altro scopo. Conoscere di
più riguardo al pericolo che incombe su di te, Anuir, e,
di conseguenza su chi di te si è preso cura. La consape-
volezza di un’ignota minaccia è ben poca cosa rispetto
a conoscere ciò che bisogna davvero temere.
Disse il druido, guardando prima l’uno e poi l’altro. Anuir
emise un profondo sospiro. Annuì senza aggiungere altro e,
anche se da allora evitò di tornare sull’argomento, il suo
cuore ne restò appesantito.

Nonostante si trovassero nelle prossimità della Piana di


Chelsclan, non ebbero problemi a procurarsi il cibo. La sel-
vaggina abbondava nei fertili territori attraversati dalle ac-
que del Bifidus e i giorni a seguire trascorsero nella tran-
quillità. Furono giorni in cui il rapporto tra Anuir e Antir si
consolidò ulteriormente e l’animo del cacciatore sembrò
sgravato dal peso di un segreto troppo a lungo celato.

198
Il loro cammino non subì intoppi fino alle pendici del mas-
siccio.
Il profumo di resina si spandeva dai pini, permeando l’aria
di una fresca giornata di sole.
Meriagol si era attardato con Anuir e Antir. I tre procedeva-
no appiedati lungo l’argine, un giovane quanto impetuoso
Geminus si faceva strada scrosciando nel suo roccioso letto
montano mentre Tilciades, sottoforma selvatica, li precede-
va attraverso i boschi di aghifoglie che s’infittivano lungo la
china dei primi rilievi.
Una raffica improvvisa spazzò la pietraia. Il druido si arrestò
a un tratto e sollevò lo sguardo come per cercare qualcosa
che non era riuscito a cogliere.
- Cosa c’è, Meriagol?
Chiese Antir. Il druido continuava a scrutare il cielo ma nul-
la sembrava perturbare l’equilibrio apparente, a parte il vo-
lo lento e monotono di un corvo, preceduto dall’eco del suo
verso gracchiante che si confuse con il fischio aspirato del
vento.
- È come se... devo essermi sbagliato.
Disse il druido scuotendo il capo. Continuarono a salire fin-
ché si trovarono sul fondo di una scarpata il cui profilo ac-
compagnava l’ansa del fiume. Decisero di guadarlo.

199
Meriagol li precedette entrando nelle acque cristalline e
cercando i punti più bassi e sicuri per i cavalli.
Erano quasi giunti a metà del guado e procedevano con cau-
tela trai sassi lisci e scivolosi del rivo.
- Vagabondo!
Quella voce risuonò tra le pareti del massiccio ripetendosi
per tre volte. I tre si arrestarono di colpo e si voltarono
all’unisono guardando verso la sommità della falesia.
I riflessi del sole non fecero focalizzare altro che un’ombra,
alla quale si unirono dopo un po’ un'altra mezza dozzina di
sagome scure e indistinte. Una poiana li sorvolò compiendo
ampi cerchi con ali larghe e tese.
- Sei proprio tu, dunque… Antir!
Continuò la voce roca, voce che il cacciatore riconobbe
mentre un brivido percorse la sua schiena.
- Egylius.
Sussurrò stringendo il pugno attorno al pomo della spada.
- Eh si… non volevo credere ai miei occhi quando rico-
nobbi questa spada alla vita di uno dei miei uomini.
Non so come hai fatto a scamparla ma devo dire che
ho piacere nel ritrovarti.
Aggiunse il mercenario, mostrando l’arma che ora era nelle
sue mani.

200
- Certo non può dire lo stesso il vostro amico… si aggira-
va nei boschi come un cinghialetto spaurito. Ce n’è vo-
luto per catturarlo. Arcnos ha dovuto usare tutta la
sua astuzia ma, alla fine, eccolo… pronto per lo spie-
do.
Egylius fece cenno a due dei suoi uomini che si affacciarono
al bordo del precipizio sollevando un lungo palo al quale a-
vevano legato il corpo del druido come fosse stato un ani-
male.
- Sta calmo, Antir. Non fare mosse azzardate.
Bisbigliò Meriagol, indicando al cacciatore, che aveva ac-
cennato a imbracciare l’arco, due balestre puntate su di lo-
ro.
- Ecco bravo. Vogliamo il druido! Meriagol deve conse-
gnarsi, altrimenti morirete qui, tutti, a cominciare dal
vecchio.
Minacciò il predone al ché i suoi sgherri sporsero Tilciades
ancor di più sul precipizio.
- Ho una proposta, Egylius.
Disse Meriagol.
- Non sei nelle condizioni di fare alcuna proposta, Drui-
do. Consegnati, non hai scelta.
Replicò Egylius.

201
- Dovrai uccidere prima me! E non penso che Arcnos sarà
d’accordo… gli servo vivo.
Insistette l’augure, frapponendosi tra Antir e i dardi.
- Beh, se la metti così…
Egylius fece un cenno con la mano e i due che tenevano so-
speso Tilciades arretrarono dal bordo della scarpata.
- Ascolta. Faremo così: vi condurrò alla Pietra della
Veggenza ma, a un minimo cenno, mi taglierò la gola e
potrete dire addio a ciò che vi ha promesso il Veggen-
te.
La proposta di Meriagol suonò come una chiara minaccia
giacché aveva sfoderato il suo falcetto e ne aveva appoggia-
ta la lama sul collo.
- Non fare scherzi, amico… Vi teniamo sotto tiro.
Concluse Egylius.
Completarono lentamente il guado e si avviarono sull’altra
riva mentre i mercenari li seguirono dall’alto finché non li
raggiunsero sullo stesso sentiero, subito si preoccuparono di
disarmare Antir e Meriagol.
La via proseguì su un percorso scosceso, lungo il fianco della
montagna, che li condusse in corrispondenza di un poggio.
Meriagol lo attraversò continuando verso nord fino a perve-
nire in corrispondenza di una serie di fenditure, poco più al-

202
te di un uomo, che si approfondivano nello spessore della
roccia.
- Ci siamo.
Disse Meriagol, indicando l’ingresso di uno degli antri. A
quel punto li raggiunse anche la poiana che lasciò il posto al
supremo sacerdote dei Veggenti di Selvans. Un mercenario
gli porse il mantello, con cui Arcnos si avvolse continuando
ad avanzare verso di loro.
- Le Speloncas... le sacre grotte di Uni.
Pronunciò estasiato.
- Fai strada, figlio di Evan.
Aggiunse rivolto a Meriagol. Uno dopo l’altro gli uomini var-
carono la soglia delle Speloncas e si ritrovarono dopo pochi
passi in uno spazio più ampio di quello che poteva sembrare
dall’esterno. Il rumore di gocce d’acqua si amplificava ri-
suonando in un ambiente costellato da alte colonne di roc-
cia umida e lucida, come se fosse stata scolpita e levigata
da mani esperte in miriadi di forme diverse.
Al centro della grotta il suolo era cosparso di massi tondi,
simili a quelli del greto del fiume.
- Ebbene? Dov’è custodita la Pietra?
Chiese, spazientito, Arcnos.

203
- Non ne avverti neanche il potere? Abbassa lo sguardo e
osserva ai tuoi piedi…
Meriagol stava indicandogli uno dei tanti sassi lisci e piatti
sparsi sul pavimento della grotta.
- Hai coraggio per prenderti gioco di me, Meriagol.
Ribatté il Veggente. Il druido, senza scomporsi, si chinò e
raccolse il sasso. Due soldati sguainarono la spada ma Ar-
cnos li fermò.
Sollevatosi, il druido gli porse la pietra.
- La leggenda dice che è Uni che custodisce il segreto…
Vuoi farmi credere che è questa?
Protestò il Veggente.
- Uni ne è custode, la Dea Madre, la Terra...
Meriagol voltò la pietra sul suo lato piatto, ancora cosparso
di pietrisco. Soffiò via la polvere e quello che ne scaturì fe-
ce strabuzzare gli occhi non solo ad Arcnos.
- Quale migliore nascondiglio se non il cuore stesso della
terra?
Il sasso era percorso da una serie di solchi che delimitavano
aree su cui erano incisi antichi caratteri. Lo sguardo di Ar-
cnos s’illuminò di una folle luce. Si avvicinò ulteriormente a
Meriagol e allungò le mani sulla Pietra, mani tremanti e
frementi.

204
- La Pietra della vita eterna… il potere, la… saggezza. È
mia, finalmente.
La Pietra fu strappata dalle mani di Meriagol. I muscoli di
Arcnos si tesero fino a mostrare ogni loro singola fibra.
- Sento… ora avverto il suo potere.
Aggiunse.
- Hai mai riflettuto sul motivo che spinse Certarius a
impedire che tu mettessi le mani sulla Pietra?
Gli chiese, flemmatico, Meriagol.
- Certarius? Il Maestro mi odiava, continuava a dirmi che
non ero pronto e voleva tenere per se tutto il suo po-
tere…
Rispose il Veggente il cui volto apparve piuttosto teso.
- Ti sbagli Arcnos. Egli amava te quanto me, voleva sol-
tanto proteggerti dalla Pietra.
Aggiunse il druido. Arcnos lo fissò con occhi sbarrati e iniziò
a respirare a fatica mentre una corona di gocce di sudore ne
imperlò la fronte. La Pietra emanò una luminescenza che
attraversò i suoi solchi illuminando le parole incise che si ri-
fletterono sul volto trasfigurato del Veggente.
- Cosa diamine sta succedendo?
Domandò Egylius. Antir scrutò, guardingo, intorno a se
squadrando, uno dopo l'altro, tutti i predoni.

205
La Sacra Pietra della Veggenza

Poi lo sguardo si posò sull’elsa della spada dell’uomo che lo


teneva sottotiro con la balestra.
Arcnos cadde in ginocchio e la pietra gli scivolò via dalle
mani. Fissò Meriagol negli occhi non riuscendo a proferir pa-
rola. Allungò, infine, la mano come per chiedergli aiuto ma
ormai il potere della pietra lo stava consumando veloce-

206
mente. Ben presto il suo volto divenne quello di un vecchio
e le membra si fecero emaciate.
Antir cercò lo sguardo del figlio, i due si scambiarono
un’occhiata complice mentre l’attenzione dei predoni era
stata catturata dal prodigio che stava consumandosi sotto i
loro occhi.
A un impercettibile cenno del cacciatore si mossero con una
velocità sorprendente. Uno strattone improvviso quanto ef-
ficace fece vacillare i balestrieri che scaricarono, ambedue
a vuoto, le loro armi. Nello stesso istante le spade di questi
abbandonarono i foderi.
Egylius si voltò repentinamente verso di loro e sguainò la
spada. Meriagol approfittò anch’egli del momento e balzò
come una fiera su uno dei predoni abbattendolo al suolo con
una forza tale da impedirgli di reagire. Gli sfilò dalla cintola
il suo falcetto e lo affondò nel petto del brigante, mozzan-
dogli il fiato e la vita.
Antir aveva già abbattuto il suo primo nemico ma fu subito
incalzato da altri due predoni che lo affrontarono a lame
sguainate.
Il balestriere disarmato da Anuir tentò di opporsi all’attacco
cercando di imprigionare la lama brandita dal ragazzo con
la sua balestra, ma questi aveva appreso troppo bene l’arte

207
del padre e riuscì a fargli perdere la presa sull’arma. A quel
punto il mercenario si sbilanciò e cadde all’indietro, tentò
un’estrema difesa lanciando un sasso contro Anuir che riuscì
a evitarlo. Indietreggiò strisciando ma finì per cadere preda
di Meriagol che gli tagliò la gola con il falcetto.
- Anuir! Alle tue spalle!
Gridò il druido. Il ragazzo si voltò repentinamente e riuscì a
parare la stoccata di Egylius. Il capo dei predoni si abbatté
su Anuir con tutta la sua destrezza ma il giovane si difende-
va da ogni assalto così come Antir lo aveva ammaestrato.
Il predone che sorvegliava Tilciades si lanciò su Meriagol che
lo fronteggiò sfilando, con un guizzo fulmineo, la spada alla
prima guardia da lui abbattuta.
Antir era ancora impegnato a dividersi tra i suoi due avver-
sari e l’apprensione per Anuir.
- Uccidetelo! Uccidetelo!
Gridava Egylius agli uomini su Antir ma egli era una preda
oltre la loro portata.
Anuir, dal canto suo era riuscito a parare un colpo partico-
larmente violento che Egylius portò dall’alto verso il basso.
Questo lo fece incespicare e il capo dei predoni ne approfit-
tò per allontanarlo con un calcio che lo scaraventò contro
una colonna di roccia.

208
Antir era riuscito ad abbattere uno dei due avversari e si
apprestava a portare il suo affondo ma un’improvvisa fitta
al torace arrestò il suo attacco. Egylius lo aveva colpito alle
spalle.
- Padre!
Urlò Anuir che, riavutosi dal colpo, subito si scagliò su E-
gylius distogliendolo dal suo vile intento.
Ora il cacciatore si difendeva a fatica dagli attacchi del suo
avversario e Meriagol non poteva aiutarlo.
Anuir si avventò con rabbia sul suo nemico ma le sue braccia
non riuscivano più a reggere il peso della spada.
Un colpo inferto con il piatto della lama ed Egylius riuscì a
disarmarlo, con un’altra pedata lo fece cadere a gambe per
aria.
- Sei morto.
Ringhiò, preparandosi a sferrare il colpo mortale.
- Anuir!
Urlò Meriagol che, brandita la spada a due mani, sbalzò di
lato la lama che lo minacciava e, con una staffilata di ritor-
no, squarciò il ventre del suo predone, abbattendolo.
Poi si lanciò sull’avversario di Antir il quale subito si volse
ad Anuir.
- Egylius!

209
Urlò il cacciatore slanciandosi verso l’assassino di Lavinia
che ebbe giusto il tempo di voltarsi per vedere il volto della
morte. La lama lo trafisse da parte a parte restando pianta-
ta nel torace. Crollò in ginocchio, abbandonando la presa
sulla spada che fu di Antir.
Cercò appoggio sulle gambe del cacciatore ma questi si fece
da parte e il volto di Egylius affondò nella polvere.
Antir raccolse la sua spada e raggiunse suo figlio, aiutandolo
a sollevarsi.
- Tutto bene?
Gli chiese.
- Si padre.
Si affrettò a rispondere Anuir. Quando si volse verso Meria-
gol, incontrò lo sguardo rassicurante del druido, anche
l’ultimo scagnozzo di Egylius era morto.
I tre si riunirono intorno a Tilciades e lo liberarono dai lacci.
- Arcnos?
Domandò il vecchio druido. I tre guardarono verso il Veg-
gente, di lui non restava altro che una cariatide rinsecchita,
rischiarata dalla luminescenza profusa dalla Pietra.
- È tutto finito.
Disse Meriagol. Anuir e Tilciades trassero un sospiro di sol-
lievo.

210
- Padre… lui ti ha ferito.
Disse Anuir.
- Non è nulla. Sei stato davvero bravo.
Lo rassicurò lui, grattandogli la chioma scarmigliata.

211
212
L’aruspice.

Meriagol andò verso la Pietra, la raccolse e avvicinatosi ad


Anuir si accovacciò di fronte a lui, sotto lo sguardo attento
di Antir.
- Poggia le mani sulla Pietra Anuir.
Lo invitò l’augure. Il ragazzo dapprima parve esitante e ti-
moroso, guardò suo padre il quale, tuttavia, annuì rassicu-
rante.
La luce si era affievolita ma, quando il ragazzo toccò la Pie-
tra, si fece più intensa.
Meriagol iniziò a pronunciare parole in una lingua che Anuir
non conosceva. Le parole suonavano simili a quelle della
cantilena che il druido intonava prima di mutarsi in falco.
Fu Tilciades a tradurre le sue parole.
- Il vento del nord un giorno ti chiamerà lontano da do-
ve sei cresciuto. Ti recherai la dove nessuno potrà se-
guirti, oltre Silvestris Nexus, oltrepasserai il Varco di
Har, attraverso il cuore delle Montagne da cui ogni
uomo può tornare solo come ombra. Potrai opporti al
pericolo che su di te incombe solo se recupererai me-
moria del tuo passato.

213
Poi Meriagol si fermò e, ruotata la pietra verso sinistra, ri-
tornò a pronunciare l’aruspice.
- Halamon. Questo è il luogo che dovrai raggiungere. So-
lo se cercherai la Sibilla Celtica ti sarà svelato
l’arcano. Solo allora, con l’aiuto d’inattesi alleati,
scoprirai la tua nascita. A essa la tua vita è e sarà in-
dissolubilmente legata.
La luce della pietra si fece sempre più tenue, sinché non si
spense del tutto.
Anuir guardò Antir. Due lacrime rigavano il suo volto ma egli
si sforzò di sorridere, nonostante il dolore lo attanagliasse
più profondamente di quanto potesse immaginare.
Meriagol attese che la pietra ritornasse al suo stato iniziale
poi si alzò e andò al centro della spelonca, dove la adagiò
nella medesima posizione in cui l’aveva trovata.
I compagni lasciarono la Sacra Grotta. Il sole li investì con la
sua luce intensa e calda.
Fuori c’erano i loro cavalli oltre a quelli dei mercenari di
Egylius. Meriagol e Tilciades montarono su due di questi.
Antir, salendo in groppa, emise un lamento camuffandolo
con un colpo di tosse.
Attraversarono a ritroso il poggio e si diressero verso il sen-
tiero.

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A un certo punto Anuir udì un tonfo sordo. Si voltò.
Il cavallo di Antir non aveva più cavaliere, il cacciatore era
scivolato dalla sella.
- Padre mio!
Gridò il giovane balzando giù da Flinio. Lo raggiunsero an-
che i due druidi.
Meriagol cercò di aiutarlo a sollevarsi ma notò che il man-
tello del cacciatore era umido.
- … Antir!
Disse il druido, osservando la sua mano macchiata di san-
gue.
- Padre…
Anuir iniziò a singhiozzare e raccolse nelle sue mani quella
di Antir che strinse forte e gli sorrise teneramente.
- Non aver paura… figlio mio.
Disse. Anuir cercò aiuto negli occhi di Meriagol ma questi
chinò il capo.
- No padreee!
Urlò il ragazzo. I segni sulle gote del druido erano bagnati
dalle lacrime più amare che avesse mai versato. Antir strin-
se ancora più forte le mani del figlio.
- Mi hai reso molto orgoglioso. Tu sei forte, Anuir, e
questo non rappresenterà che un momento…

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Disse, poi guardò Meriagol e sorrise.
- Un giorno questo pazzo mi disse che la morte, così co-
me la vita, non è che l’inizio di un viaggio, nel corso
del quale, pensa, potrei ritrovare anche Lavinia… mi
auguro che non fosse solo una delle sue tante burle,
tuttavia, mi separo felice da questa mia esistenza…
sapendoti forte e saggio. Te la caverai sicuramente,
figlio mio, anche senza di me. Non arrenderti mai di
fronte alle avversità della vita poiché essa ti riserverà
incredibili meraviglie, rammenta solo l’amore profon-
do che mi ha reso parte di te sin dal primo momento
in cui incrociai il tuo sguardo… mio tesoro.
La luce che aveva da sempre illuminato gli occhi del caccia-
tore si spense pian piano, scivolando via in una lacrima che
Anuir asciugò con il suo palmo. Antir chinò lentamente il
capo sul petto di Meriagol che lo avvolse nel suo abbraccio.

Il suo corpo fu sepolto sul poggio delle Speloncas, dove Me-


riagol e Anuir innalzarono un tumulo affinché le sue spoglie
non fossero corrotte dai rapaci.
Le pendici delle Montagne d’Ombra divennero loro rifugio
per molti anni. Anni in cui Anuir apprese quanto poté da
Meriagol e rese onore alla memoria di chi lo aveva raccolto

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dalle acque del Dinuarius, divenendo un giovane uomo forte
e saggio.
Venne poi il tempo in cui dovette andare in contro al suo
destino ma questa, come un giorno disse un bardo, è
un’altra storia.

Anuir

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