Indice
Prefazione
Capitolo 6
Circuiti funzionanti in condizioni variabili nel tempo
Capitolo 7
Reti in regime sinusoidale
Capitolo 8
Applicazioni del regime sinusoidale
Capitolo 9
Sistemi trifasi
4 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
5 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Prefazione
Questo volume contiene sostanzialmente lo studio delle reti lineari di bipoli e
doppi bipoli in regime sinusoidale (cioè in ‘corrente alternata’), includendo,
naturalmente, anche i circuiti trifasi.
Lo studio dei circuiti lineari in condizioni ‘transitorie’ viene effettuato per mezzo
del simulatore circuitale Spice, e il testo mette l’allievo in condizione di far uso
di questo simulatore. Ciò farà sì che, oltre ad apprendere ad usare uno strumento
che gli sarà indispensabile nel corso della sua vita professionale, lo studente potrà
anche agevolmente familiarizzarsi con le dinamiche dei transitori più comuni, le
quali gli verranno proposte dal simulatore in forma di grafici chiari e completi.
Infine, grande risalto viene dato alla parte applicativa per consentire all’allievo di
rendersi conto fino in fondo se le idee esposte nel testo siano state ben assimilate.
Pertanto, con la certezza che ‘solo chi fa, sa’, questo volume, come d’altra parte
quello sui circuiti in regime stazionario, è corredato di molti esempi
completamente risolti e commentati.
S.B. - L.V.
Gennaio 2000
Grande ricercatore ed amato didatta, ha dedicato gran parte della sua vita alla
comprensione dei fondamenti dell’Elettromagnetismo e dell’interazione del campo
con la materia.
Ha dato due grossi contributi nella sua attività di ricerca scientifica: uno
riguardante lo studio e la progettazione di macchine Tokamak per realizzare la
Fusione Termonucleare Controllata; l’altro riguardante l’interazione dei campi
elettrici e magnetici con i mezzi materiali.
È stato autore di più di cento pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali e
di vari testi didattici e scientifici, tra i quali ricorderemo:
Luigi Verolino.
8 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
9 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Capitolo 6
6.1 Introduzione
Sommario
Questo capitolo fornisce una introduzione allo studio dei circuiti che
funzionano in condizioni variabili nel tempo. Particolare attenzione
verrà posta all’introduzione di nuovi elementi ‘a memoria’, induttore,
condensatore e mutuo induttore, che, a differenza del resistore, sono
capaci di immagazzinare l’energia elettrica. Non poteva mancare un
cenno ai transitori di circuiti in cui sono presenti generatori controllati.
11 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
6.1 Introduzione
Questa distinzione è importante sia sul piano concettuale, sia su quello pratico,
perché, tra l’altro, ci aiuta anche a cominciare a capir meglio alcune importanti
differenze che esistono fra quei circuiti che finora abbiamo considerato
indifferentemente elettrici oppure elettronici. Va detto, dunque, che i circuiti che
svolgono nelle nostre case funzioni che possiamo considerare ‘ripetitive’, come
l’illuminazione, il condizionamento ambientale, i lavori domestici (lavatrice,
aspirapolvere, lavastoviglie, frigorifero, forno) funzionano di regola in regime
sinusoidale (fatta eccezione, ovviamente, per i pochissimi attimi in cui vengono
12 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
accesi o spenti, oppure ancora ‘regolati’ per far fronte a mutate esigenze). In
genere, questi dispositivi assorbono potenze elettriche (e quindi anche energie) di
un qualche rilievo: ad esempio, alcuni chilowatt di potenza (e quindi parecchi
chilowattora giornalieri di energia).
I circuiti che, invece, svolgono funzioni tipicamente non ripetitive, come il
telefono, la TV, gli impianti hi-fi, i personal computers, funzionano in condizioni
non periodiche, e quindi variabili nel tempo in modo del tutto generale. Di regola,
questi altri dispositivi, contrariamente ai precedenti (stufe, frigoriferi, ... )
assorbono livelli di potenza elettrica (e quindi anche energia) molto minori: ad
esempio, dell’ordine dei watt, delle decine o al massimo delle centinaia di watt.
Riassumendo, possiamo dire che, in gergo, vanno spesso sotto il nome di circuiti
elettrici quelli che hanno funzionamento tipicamente ripetitivo e assorbono valori
significativi di potenza ed energia elettrica (si dice che lavorano a livello di
potenza); vanno, invece, sotto l’indicazione di circuiti elettronici quelli che hanno
funzionamento tipicamente non ripetitivo, e assorbono potenze ed energie
elettriche notevolmente minori (si dice che lavorano a livello di segnale). La
distinzione non è comunque sempre così netta, e qualche ambiguità spesso rimane.
A questo punto, non ci resta che avviarci a fare il ‘grande salto’ dai circuiti in
regime stazionario a quelli funzionanti in condizioni qualsiasi. Lo faremo nei
prossimi paragrafi, ma, come al solito, con la massima gradualità, in modo da
portarvi alla meta ... senza scossoni. Nel prossimo paragrafo, perciò, ci
limiteremo a considerare una particolare classe di circuiti (quelli soltanto
resistivi), in cui il passaggio dal regime stazionario a quello non stazionario non
comporterà concettualmente alcuna novità: sarà soltanto questione di ... pazienza
(e Spice, vedrete, ci verrà in aiuto ancora una volta per risparmiare fatica).
Nei paragrafi successivi, invece, entreremo davvero nel vivo delle questioni,
affrontando i veri ‘fatti nuovi’ che nascono nel funzionamento non stazionario, e
che - come vedremo - traggono origine dal fatto che dovremo prendere in
considerazione componenti nuovi (diversi da quelli finora considerati), e che si
comportano in modo concettualmente e praticamente diverso dai resistori.
Ma ... andiamo per gradi ed esaminiamo una cosa alla volta.
bipolo la cui tensione ai morsetti è assegnata come funzione del tempo, che
indicheremo solitamente con e(t), indipendentemente dai circuiti nei quali il
generatore stesso può essere inserito. Fra un attimo, faremo degli esempi, e
mostreremo pure come sia possibile realizzare, almeno in linea di principio, simili
oggetti. Per ora, comunque, quel che ci preme sottolineare è che l’unica differenza
esistente fra un generatore indipendente di tensione stazionaria e uno tempo
variante è che, nel primo caso, la tensione ai morsetti è rappresentata da un
numero assegnato (e quindi costante nel tempo), mentre, nel secondo caso, è
rappresentata da un’assegnata funzione del tempo e(t). In entrambi i casi,
comunque, il generatore è in grado di erogare qualsiasi valore di corrente
(anch’essa, in generale, funzione del tempo) a seconda dei circuiti nei quali esso è
inserito. Per non lasciare le cose troppo nel vago, mostriamo subito come sia
possibile concepire generatori tempo varianti, purché si disponga di un
semplicissimo bipolo, il cosiddetto interruttore ideale. Naturalmente, i veri
generatori tempo varianti sono fatti diversamente, e ce ne occuperemo
diffusamente in altri volumi di questa collana, specie quello dedicato alle
‘Macchine Elettriche’; per il momento, quel che ci accingiamo a dire è più che
sufficiente per i nostri scopi. Cos’è, dunque, un interruttore ideale?
A
+ +
E2
−
e(t)
I1 I2
+
E1
− −
B
A
+ +
E2
−
e(t) = E 1
I1 I2
+
E1
− −
B
È facile rendersi conto che la tensione che si presenta ai morsetti del bipolo
equivalente A-B dipende dagli stati dei due interruttori ideali. Se, infatti, teniamo
aperto I1 e chiuso I2, come in Figura 6.3, la tensione ai morsetti A-B è pari alla
f.e.m. E 1. Per convincersene, basta applicare la LKT alla maglia
A - I2 - E 1 - B - A. Se, invece, chiudiamo I1 e apriamo I2, come in Figura 6.4, la
tensione tra A e B diventa pari alla somma E 1 + E 2. Possiamo quindi concludere
che, manovrando a piacere i due interruttori ideali, siamo facilmente in grado di
concepire un generatore di tensione tempo variante, la cui tensione ai morsetti A e
B cambi nel tempo in maniera largamente arbitraria (pur essendo, in questo caso,
costante a tratti).
A
+ +
E2
−
e(t) = E 1 + E 2
I1 I2
+
E1
− −
B
e(t)
E1 + E2
E1
0 t1 t2 t3 t4 t5 t6 t
Sapreste dire cosa accade quando entrambi gli interruttori sono chiusi?
È ovvio, inoltre, che, se invece di disporre di due soli generatori stazionari e
altrettanti interruttori, si dispone di quanti si vuole generatori stazionari di f.e.m.
qualsiasi e interruttori, è possibile costruire molto facilmente generatori tempo
varianti la cui tensione ai morsetti possa essere assegnata praticamente a piacere
come funzione del tempo e(t), come, ad esempio, quella mostrata in Figura 6.6.
e(t)
0 t
i R
+ i1 i2
e(t) R1 R2
−
e(t)
E1
E2
0 t1 t2 t3 t
E3
Dopo aver compiuto le operazioni di rito (scelta delle correnti sui diversi rami),
ci proponiamo di determinare innanzitutto le correnti i(t), i1(t) e i2(t) circolanti nel
circuito.
A questo scopo, basterà considerare i tre intervalli di tempo, distinti fra loro, in
cui la e(t) assume separatamente i tre valori costanti, E 1, E 2 e E 3, e risolvere il
circuito in ciascuno dei tre casi come se fosse, di per sé, in regime stazionario (e
cioè dimenticandosi temporaneamente degli altri due). Si tratterà, insomma, di
risolvere per tre volte, consecutivamente, lo stesso circuito, cambiando soltanto la
f.e.m. del generatore presente.
i R
+
e(t) R0
−
i = 100 A = 4 A , i1 = i2 = i = 2 A ;
25 2
i = 50 A = 2 A , i1 = i2 = i = 1 A ;
25 2
i = - 100 A = - 4 A , i1 = i2 = i = - 2 A .
25 2
Si vede che, ovviamente, le tre correnti i i1 e i2 variano anch’esse nel tempo come
la e(t). In Figura 6.9 è riportato l’andamento della sola i(t), per semplicità.
i(t)
4
2
0 t1 t2 t3 t
-4
Figura 6.9: andamento temporale della corrente i(t).
Esempio 1
* Esempio di circuito in continua
R1 1 3 2
R2 1 2 4
R3 3 0 10
R4 2 0 4
VE 1 0 100
IJ 2 3 4
.END
1 I2
I1
I
R1 J R2 E = 100 V
+ J=4A
R1 = 2 Ω
3 2
E R2 = 4 Ω
− R3 R4 R3 = 10 Ω
R4 = 4 Ω
I3
0 I4
Figura 6.10: un esempio per illustrare l’uso dell’istruzione ‘.DC’.
20 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
.DC VE 90 110 1
VE 1 0 100 ,
in quanto esso sarà sostituito dal valore di volta in volta imposto dall’istruzione
‘.DC’. Tale valore, di solito, viene posto a zero proprio per ricordare che il
generatore è incluso in un istruzione ‘.DC’.
L’istruzione ‘.DC’ permette anche di far variare due generatori indipendenti
contemporaneamente; questa possibilità è particolarmente utile per ricavare le
caratteristiche di uscita dei doppi bipoli (per esempio, del transistore)
Se tutti i circuiti funzionanti in condizioni variabili nel tempo fossero del tipo che
abbiamo trattato nel paragrafo precedente, potremmo dire di avere praticamente
concluso il nostro studio dell’intera Teoria dei circuiti, e di poter terminare qui
questo libro. Ma, per fortuna, le cose non stanno così.
Per ... sfortuna, altro che per fortuna, penserete voi: sarebbe bello poter smettere
di studiare tutta questa roba, sapendo di aver già imparato tutto quello che c’è da
imparare. E, invece, sarebbe proprio un gran male, se le cose stessero così, perché
l’utilizzazione dell’energia elettrica si ridurrebbe, in ultima analisi,
all’illuminazione, al riscaldamento e a poco più. Non disporremmo, invece, delle
sconfinate possibilità che sono offerte dai fenomeni fondamentali
dell’Elettromagnetismo e delle sue bellissime leggi. Non disporremmo, ad
esempio, delle onde elettromagnetiche, e quindi di radio, TV, telefoni satellitari,
radar, né delle infinite opportunità offerte dall’Informatica e dalla Telematica, con
i loro computers, le loro reti (Internet in testa alle altre), né delle insostituibili
apparecchiature biomediche che consentono oggi di curarci (TAC, NMR, PET).
In ultima analisi, converrete facilmente anche voi che, senza tutte queste cose, il
mondo sarebbe incomparabilmente più ‘povero’ di opportunità di ogni tipo.
Ma, per fortuna, dicevamo, le cose non stanno così.
E, a guardare bene, la ragione ultima per cui i circuiti funzionanti in condizioni
variabili nel tempo offrono le sconfinate possibilità che offrono è che, oltre ai
generatori tempo varianti e ai bipoli e doppi bipoli resistivi, esistono altri tipi di
componenti, che si comportano in modo completamente diverso, e che
indicheremo genericamente come componenti dotati di memoria (in opposizione ai
resistori che, come vedremo subito, ne sono invece privi).
22 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Tra questi ‘nuovi’ tipi di componenti che ci accingiamo a introdurre subito, i più
semplici e senza dubbio più importanti sono:
• l’induttore ideale;
• il condensatore ideale.
In questo paragrafo, cominceremo col definire che cosa essi siano; li esamineremo
uno alla volta, e ne spiegheremo più chiaramente possibile il funzionamento dal
punto di vista circuitale. Ci sforzeremo inoltre di spiegare bene i motivi per cui
essi si comportano in modo totalmente diverso dai resistori, e offrono quindi
opportunità che i resistori stessi neppure si sognano.
Quel che, invece, non potremo fare (perché non ne abbiamo ancora gli strumenti
concettuali), è spiegarvi cosa c’è davvero dentro ciascuno di questi bipoli, né come
funzionano dal punto di vista fisico. Ma questo sarà compito del volume in cui
tratteremo le leggi dell’Elettromagnetismo. Per ora, andiamo come al solito per
gradi, e facciamo una cosa alla volta: impariamo a usarli nei circuiti.
L’induttore ideale
Abbiamo più volte detto che, in regime stazionario, definire un bipolo dal punto
di vista circuitale vuol dire, in ultima analisi, assegnarne la caratteristica statica, e
cioè la funzione che consente di determinare il valore della tensione V da
applicare ai morsetti del bipolo quando si vuole che la corrente che in esso circoli
valga I [oppure, viceversa, determinare I quando sia nota V].
Ricordiamo, ad esempio, che la caratteristica statica di un resistore è esprimibile
come
V = ± R I , con R ≥ 0 , (6.1)
Con ciò, la variabile t è presente, questa volta, e la (6.2) potrebbe essere vista non
più come una caratteristica statica, bensì dinamica. In realtà, però, quello di cui
stiamo parlando è un fatto di forma, più che di sostanza, perché la (6.2) non dice
nulla di più di quanto dica la (6.1), e cioè che, in ogni istante t, per ottenere v(t) a
quell’istante, basta moltiplicare per R (a parte il segno ‘±’) il valore della i(t) nello
stesso istante. E tutto questo era già contenuto anche nella (6.1), pur senza
esplicitare la variabile t.
Le cose stanno, invece, in modo completamente diverso per l’induttore ideale,
perché, come vedremo fra un attimo la sua caratteristica è davvero dinamica, e
cioè contiene la variabile t in maniera sostanziale e non soltanto formale.
i(t) L
+ v(t) −
Resistore
A) Caratteristica:
B) In ogni istante t, per un fissato valore di i, resta determinato (per una data R)
il valore di v nello stesso istante. Ad esempio sia R = 10 Ω e t = 2 s; per
i(2) = 5 A, si ha v(2) = 10 ⋅ 5 = 50 V.
Se, poi, si prova a variare bruscamente (cioè di ‘scatto’) il valore della tensione
applicata, portandolo istantaneamente, che so, a 100 V, la corrente cambia
anch’essa istantaneamente, portandosi, in questo esempio, a 10 A. La stessa cosa si
verifica, ovviamente, se, invece che aumentare la tensione applicata, la riduciamo:
la corrente si riduce anch’essa istantaneamente nella misura imposta dalla
caratteristica del resistore. In altre parole, la corrente nel resistore ‘risponde’
istantaneamente alle variazioni di tensione applicata senza alcuna ‘esitazione’. È
come una automobile che abbia una ‘ripresa’ fortissima: è sufficiente schiacciare
l’acceleratore perché l’auto acceleri istantaneamente. In questo senso, è come se il
resistore non avesse alcuna memoria della situazione in cui si trovava a funzionare
prima che facessimo variare la tensione ad esso applicata.
C) La caratteristica statica può essere rappresentata con un grafico.
D) La tensione v è sempre dello stesso segno di i, perché R è positiva. Ne deriva
che le cariche positive, in un resistore, ‘cadono’ sempre dai punti a potenziale più
alto a quelli a potenziale più basso.
25 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Induttore
A) Caratteristica:
nei quali i(2) ha lo stesso valore (5A). Calcoliamo, ora, nei due casi, le
corrispondenti tensioni, ottenendo:
•• d i 2(t) = d 10 = - 10 .
dt dt t t2
Quindi:
• v1(2) = 2 ⋅ 2.5 = 5 V ;
•• v2(2) = - 2 ⋅ 10 = - 5 V ≠ v 1(2) !
4
i1(t)
I0 i2(t)
0 t0 t
UL = 1 L i(t) 2
. (6.4)
2
27 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Essa dipende, quindi, soltanto dal valore della corrente che circola nell’induttore
in quell’istante (e non dalla tensione applicata ai suoi morsetti).
In regime stazionario, l’induttore si riduce a un semplice corto circuito, poiché i è
costante nel tempo, e la sua derivata è quindi nulla. Si ha, dunque:
v(t) = L d i(t) = L ⋅ 0 = 0 !
dt
Il condensatore ideale
C
i(t)
+ −
v(t)
Come si vede, anche in questo caso (come per l’induttore), la (6.5) rappresenta
una caratteristica dinamica ‘vera’, poiché la variabile t vi figura in maniera
sostanziale attraverso l’operazione di derivazione proprio rispetto alla variabile t!
28 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Dal punto di vista circuitale, il condensatore si comporta in maniera per così dire
‘simmetrica’ (in gergo, si dice duale), rispetto all’induttore. In parole povere, ciò
significa che tutto quello che abbiamo detto a proposito dell’induttore, possiamo
ripeterlo a proposito anche del condensatore, a patto di scambiare sempre tra loro
le parole tensione e corrente. Così, ad esempio, potremo dire che, in ogni istante,
il valore della corrente circolante nel condensatore è indipendente dal valore della
tensione applicata in quello stesso istante al condensatore, ma è invece
proporzionale alla derivata nel tempo di questa tensione.
Similmente, le cariche positive possono, nel condensatore, tanto ‘cadere’ dai punti
a potenziale più alto a quelli a potenziale più basso, quanto ‘risalire’ in senso
inverso, a seconda del segno della derivata nel tempo della tensione. Continuando
nelle analogie con l’induttore, anche il condensatore è come un’auto con ‘scarsa
ripresa’ (tanto peggiore, quanto maggiore è la capacità): un brusco aumento della
corrente non determina un altrettanto brusco aumento della tensione.
In regime stazionario, il condensatore si riduce a un semplice circuito aperto, dato
che
i(t) = ± C d v(t) = 0 !
dt
UC = 1 C v(t) 2
. (6.6)
2
Per motivi del tutto analoghi a quelli validi per l’induttore, anche il condensatore
ideale è considerato, evidentemente, bipolo ‘dotato di memoria’.
Prima di concludere questo paragrafo, va detto che, naturalmente, i componenti
che, nella pratica, vanno sotto i nomi di induttore e condensatore (‘reali’, non
‘ideali’) si comportano in maniera simile a quelli ideali, ma non identica. La
principale differenza è che anch’essi sono, nella realtà, soggetti sia a pur piccole
‘perdite’ di energia: ciò significa che, inevitabilmente, durante il funzionamento di
un induttore o di un condensatore reale, una frazione sia pur modesta (di solito,
non superiore a qualche percento), della potenza elettrica assorbita si trasforma in
calore, ed è quindi trasmessa all’ambiente esterno (come una piccola stufetta, in
fondo). Come i resistori e tutti gli altri componenti, anche gli induttori e i
condensatori reali hanno, infine, una targa che serve a individuarne le effettive
29 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
v(t) = 6 t .
70
60 C=2F
i(t)
50 v(t)
+ −
40
v(t)
30
20
i(t)
10
t
0
0 2 4 6 8 10
30 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
UC(t) = 1 C v(t) 2 = 36 t2 .
2
Queste due grandezze sono rappresentate nella figura che segue (i valori della
potenza sono espressi, come al solito, in watt, quelli dell’energia in joule). Vale la
pena notare che, come già sappiamo, tra esse sussiste la relazione generale:
p(t) = d UC(t) .
dt
4000
3500
3000 UC(t)
2500
2000
1500
1000 p(t)
500
t
0
0 2 4 6 8 10
31 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
2t, per 0 ≤ t ≤ 2 ;
i(t) = 8 - 2 t , per 2 ≤ t ≤ 4 ;
0 altrove .
v(t) = L d i(t) .
dt
5
4
3
2 i(t)
1
0 t
i(t) L = 1 H
-1
+ − v(t)
-2 v(t)
-3
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4
2, per 0 ≤ t ≤ 2 ;
v(t) = - 2 , per 2 ≤ t ≤ 4 ;
0 altrove .
Comunque, tutto ciò che vi serve per verificare questo risultato è rappresentato
dalle formule
d t=1, d K=0,
dt dt
4t, per 0 ≤ t ≤ 2 ,
p(t) = + v(t) i(t) = 4 t - 16 , per 2 ≤ t ≤ 4 ,
0, altrove ,
2 t2 , per 0 ≤ t ≤ 2 ,
UL(t) = 1 L i(t) 2 = 32 + 2 t2 - 16 t , per 2 ≤ t ≤ 4 ,
2
0, altrove .
C1 2 0 1e-3 ,
in cui C1 è il nome scelto. La prima lettera del nome deve essere sempre una C.
In maniera analoga per un induttore di valore, ad esempio 7 mH, connesso tra i
nodi 3 e 4, la sintassi è:
33 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
L23 3 4 7e-3 ,
in cui il nome scelto è L23. Notate che per individuare un induttore la prima
lettera è sempre una L.
20
15 p(t)
10
5 UL(t)
0 t
-5
-10
-15
-20
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4
Più avanti vedremo come utilizzare le condizioni iniziali per tali elementi a
memoria.
Oltre agli induttori e ai condensatori, molti altri componenti (sia bipoli che doppi
bipoli) sono dotati di caratteristiche dinamiche (e non statiche), e sono molto
diffusi nelle applicazioni pratiche, sia di tipo elettrico che elettronico.
Basti pensare ai cosiddetti induttori e condensatori variabili che sono componenti
nei quali l’induttanza L e la capacità C possono essere fatte variare da noi (almeno
entro certi limiti) a piacere. In fondo, quando sintonizziamo la radio oppure la TV
su un dato canale, quel che facciamo è proprio far variare l’induttanza oppure la
capacità di uno di questi componenti (ma di questo, parleremo altrove, più
dettagliatamente).
Per il momento, non occorre specificare meglio quali siano le caratteristiche di
questi bipoli, né quelle di altri, come gli induttori e i condensatori non lineari. È
invece importante introdurre subito due particolari doppi bipoli, che useremo
34 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
v2(t) = 1 v 1(t) ,
a
(6.7)
i2(t) = - a i1(t) .
i1(t) i2(t)
a:1
+ +
v1(t) v2(t)
− −
Una delle proprietà più importanti del trasformatore ideale può essere illustrata
dal circuito di Figura 6.15, in cui la porta secondaria è connessa a un resistore
lineare, di resistenza R. In questo caso, si ha:
i1(t) i2(t)
a:1
+ +
v1(t) v2(t) R
− −
Ne segue che il bipolo equivalente ‘visto’ dai morsetti della porta primaria è un
resistore di resistenza a2R.
i1(t) i2(t)
+ + +
v1(t) a v2(t) a i1(t) v2(t)
− − −
Fate attenzione al piccolo dettaglio che differenzia la Figura 6.17a dalla 6.17b: si
tratta del ‘pallino’ della porta secondaria che è posto, rispettivamente, in alto
oppure in basso. Questa piccola differenza nella rappresentazione grafica ci
informa sul segno di M: se usiamo il simbolo di Figura 6.17a, stiamo dicendo che
M è positivo; viceversa, se usiamo il simbolo di Figura 6.17b, M è da ritenersi
negativo. Un piccolo dettaglio che, però, fa ... una grande differenza!
M2 ≤ L 1 L 2 . (6.10)
Un trasformatore per il quale valga nella (6.10) il segno di uguale, e cioè sia
M2 = L 1 L 2, viene detto ad accoppiamento perfetto. Per motivi che chiariremo
altrove, è conveniente pure introdurre la quantità adimensionale
k= M ,
L1 L2
37 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
UM(t) = 1 L 1 i1(t) 2
+ 1 L 2 i2(t) 2
+ M i1(t) i2(t) . (6.11)
2 2
i1(t) i2(t)
M
+ +
v1(t) L1 L2 v2(t) (a)
− −
i1(t) i2(t)
M
+ +
v1(t) L1 L2 v2(t) (b)
− −
Quel che resta certo, però, è che la somma dei tre termini, e cioè l’intera energia
magnetica UM(t), espressa dalla (6.11), non può essere mai negativa: è positiva, o
al minimo nulla, poiché il mutuo induttore è un componente passivo.
È appena il caso di dire, infine, che anche nei mutui induttori ‘reali’, un po’ di
perdite ci sono, e quindi, un po’ della potenza elettrica assorbita si trasforma in
calore.
Siamo arrivati così al punto centrale di tutto questo libro, e cioè al momento in cui
stiamo per presentarvi la Teoria dei Circuiti nella sua forma più generale, valida
non soltanto in regime stazionario, bensì in qualsiasi condizione di funzionamento,
variabile comunque nel tempo.
Ricordate il quadro che vi presentammo nel paragrafo 2.5 dicendovi, allora, che
quella era la ... Bibbia del circuitista, almeno per ciò che riguardava il regime
stazionario?
Bene. Vi sorprenderà forse (ma sarà certamente una ... gradita sorpresa)
apprendere che quello stesso quadro continua a valere anche in condizioni variabili
nel tempo, con la sola differenza che, in aggiunta ai componenti considerati in
regime stazionario (tutti dotati di caratteristiche statiche e privi di memoria),
dobbiamo aggiungere anche i seguenti nuovi tipi di componenti:
LKC
in ogni istante, la somma algebrica delle correnti che circolano nei terminali
tagliati da una qualunque superficie Gaussiana è nulla;
LKT
in ogni istante, quale che sia la maglia considerata, la somma algebrica delle
tensioni è nulla.
• darvi, con un semplice esempio, un’idea delle difficoltà connesse con la soluzione
di un’equazione differenziale, non fosse altro che per farvi capire almeno le
difficoltà che Spice vi consentirà di scansare;
• distinguere i diversi possibili tipi di funzionamento in condizioni variabili nel
tempo, con lo scopo di capire bene quali siano i casi in cui davvero non potremo
fare altro che ricorrere a Spice, da quelli in cui, invece, come vedremo subito,
potremo disporre di un semplice ‘trucco matematico’ (inventato, o meglio,
riscoperto alla fine del secolo XIX) che ci consentirà di arrivare alla risoluzione
dei circuiti in regime sinusoidale (o, in gergo, in corrente alternata), maniera
semplicissima, e cioè, ‘a mano’, con carta e penna, senza ricorrere all’aiuto di
Spice (non fosse altro che per controllare l’esattezza dei nostri risultati).
Per questi motivi prenderemo in esame in maniera semi-quantitativa un semplice
esempio di circuito che richiede la soluzione di una semplice equazione
differenziale. Poi, classificheremo i diversi tipi possibili di funzionamento in
condizioni variabili nel tempo, e sottolineeremo quelli per i quali il ‘trucco
41 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I R
+ − + − +
vI vR
+
E L vL
−
−
i=0
Per quel che riguarda, poi, le tensioni, la LKT, applicata all’unica maglia esistente,
è rappresentata dalla seguente equazione (nella quale inseriamo subito la
caratteristica del generatore):
E = vI + vR + vL . (6.12)
vR = 0 , vL = 0 , vI = E .
Ciò significa che tutta la tensione del generatore di tensione si ritrova applicata ai
morsetti aperti dell’interruttore ideale, e che, inoltre, questa situazione può
continuare per tempo indeterminato (e cioè stazionario), fino a quando
l’interruttore I non verrà chiuso.
Ammettiamo ora che, a un certo istante, che per comodità indicheremo con t = 0
(l’istante in cui facciamo scattare il nostro cronometro), chiudiamo bruscamente
l’interruttore I.
vI = 0 R
+ I − + − +
vR
+
E L vL
−
−
Per comprendere cosa succede, cominciamo col rappresentare il circuito nella sua
‘nuova’ condizione, mostrata in Figura 6.19. Questa volta, come si vede,
l’interruttore I è in posizione ‘chiuso’, ed equivale dunque a un corto circuito; ne
deriva che la tensione vI applicata ai suoi morsetti non può che essere zero!
Inoltre, essendo l’interruttore chiuso, una corrente i diversa da zero può ora
circolare nell’intero circuito.
Rispetto alla situazione precedente, è cambiato, per la verità, quasi tutto, e noi ora
ci proponiamo di esaminare proprio come cambia la condizione di funzionamento
del circuito dall’istante t = 0 in poi, e cioè per t ≥ 0. Proveremo a farlo ‘passo-
passo’, e cioè seguendo i cambiamenti che via via intervengono dalla chiusura
dell’interruttore in poi.
Per fissare le idee anche da un punto di vista quantitativo, e non soltanto
qualitativo, assegniamo dei valori numerici (i primi che ci capitano) ai diversi
parametri E, R e L. Scegliamo, ad esempio: E = 100 V, R = 10 Ω, L = 2 H .
Cominciamo ora a scrivere tutte le equazioni che governano il funzionamento del
circuito, e cioè le LK nonché le caratteristiche dei bipoli che compongono il
circuito stesso.
La LKC ci dice semplicemente (come già più volte sottolineato) che la stessa
corrente i (da determinare istante per istante) circola in tutti i bipoli, poiché questi
sono in serie fra loro. La LKT, applicata all’unica maglia esistente, è rappresentata
ora (per t ≥ 0) dalla seguente equazione (si noti l’assenza del termine vI, che è ora
nullo):
d i(t) = 50 - 10 i(0) = 50 ,
dt t=0
45 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
d i(t)
dt t=0
purché i due istanti di tempo t1 e t2 siano abbastanza vicini l’uno all’altro (quanto
più lo sono, tanto più preciso è il valore che si ottiene per la derivata: ricordate?).
Notate che, nella (6.18), non abbiamo usato il simbolo di uguaglianza ma quello
(≅) di approssimativamente uguale. L’espressione (6.18) può allora essere riscritta
in modo da poter calcolare il valore di i(t2), quando si sia già calcolato il valore
della derivata all’istante t1:
a) si ricava dalla (6.17) il valore della derivata prima all’istante t = t1, cioè
d i(t) ;
dt t = t1
t1 = 0 e t2 = 0.001 ,
46 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
t1 = 0.001 e t2 = 0.002 ,
e ancora
t1 = 0.002 e t2 = 0.003 ,
Ma, per farlo, abbiamo bisogno del valore della derivata di i(t) calcolata non più a
t1 = 0, bensì a t1 = 0.001. Come facciamo? Semplice: ritorniamo all’equazione di
partenza (6.17), proprio quella, cioè, che dobbiamo risolvere, e applichiamola al
‘nuovo’ istante t1 = 0.001, ottenendo:
Ottenuto così il nuovo valore della derivata, ricaviamo il valore di i(0.002) dalla
(6.20):
d i(t)
dt t = 0.002
47 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
t i(t)
0 0
0.001 0.05000000000000
0.002 0.09975000000000
0.003 0.14925125000000
0.004 0.19850499375000
0.005 0.24751246878125
0.006 0.29627490643734
i(t)
12
10
0 t
0 1 2 3 4 5
Vale la pena di osservare, infine, che l’equazione differenziale (6.16), una volta
stabilito che i(0) = 0, cioè che la corrente parte dal valore iniziale zero, ammette
una soluzione analitica (che imparerete a trovare nel prosieguo dei vostri studi),
che vale:
τ=L . (6.23)
R
1 R 2
+ − +
vR(t)
+
vL(t) t>0
E L
−
−
0 i(t)
Ciò vuol dire che, dopo questo tempo, l’induttanza si comporta come un corto
circuito e, pertanto, vale la (6.24). Alle stesse conclusioni si può giungere
adoperando Spice. Vediamo, allora, di capire come si simuli una rete le cui
grandezze variano nel tempo, partendo da questo semplice esempio. Nei paragrafi
successivi discuteremo altri esempi.
Come al solito, numeriamo (0, 1, 2) i tre nodi della rete, ridisegnata in Figura
6.21 per t > 0, dopo che l’interruttore ha chiuso la maglia e, pertanto, il
generatore eroga la tensione continua E. Il listato che segue può essere utilizzato
per simulare la rete.
Esempio 2
*Carica del circuito RL
VE 1 0 100
R0 1 2 10
L0 2 0 2 IC=0
.TRAN 0.02 2 UIC
.PROBE
.END
50 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
L0 2 0 2
IC=0
τ = L = 2 s = 0.2 s .
R 10
in cui TSTEP è il passo con cui vengono visualizzati i dati calcolati, TSTOP
l’istante di arresto in cui va terminato il calcolo, TSTART è l’istante iniziale che,
se non esplicitamente indicato, viene assunto pari a zero, TMAX è il più grande
passo di elaborazione dei risultati che, se non indicato, è assunto pari a TSTEP,
UIC impone al simulatore di usare le condizioni iniziali riportate nel file (Utilize
Initial Conditions).
La penultima riga contiene il comando ‘.PROBE’ che richiede a Spice di creare, in
uscita, un nuovo file, individuato con l’estensione ‘.DAT’, che contiene tutti i dati
delle elaborazioni effettuate. Questo nuovo file può essere letto dal post-processore
grafico PROBE che è in grado di produrre grafici di alta qualità sulla base dei dati
51 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
forniti. Solo un po’ di pratica vi aiuterà a rendervi conto di quanto sia più ...
semplice usare questo processore grafico, piuttosto che descrivere come si
adoperi.
In definitiva, come avete potuto constatare, l’analisi di una rete che lavori in
condizioni dinamiche non è molto più complicata di quella di una rete che operi in
regime stazionario; basta ricordare il comando ‘.TRAN’ e imparare ad usare il
post-processore PROBE.
Siamo ora pronti a introdurre i concetti fondamentali che sono alla base del
funzionamento di qualsiasi circuito in condizioni comunque variabili nel tempo,
per elencare i diversi tipi di funzionamento che si incontrano nella pratica, e che
saranno studiati nei prossimi capitoli, e per spiegarvi, almeno per sommi capi, in
che cosa consistono, dandovi quindi un’idea di ... ciò che vi aspetta.
I tipi principali di funzionamento in condizioni variabili nel tempo sono quattro, e
possono essere indicati così:
0 t
Dato che un disegno vale più di mille parole, tentiamo di mostrare graficamente
ciò che andiamo dicendo. La Figura 6.22 mostra due funzioni del tempo, una più
pendente (tratteggiata) dell’altra (a tratto continuo) attorno all’origine. Di queste
due funzioni abbiamo fatto la derivata che è mostrata in Figura 6.23.
Ebbene, cosa si può concludere osservando la Figura 6.23? Semplicemente questo:
che la funzione più ripida presenta una derivata più alta in prossimità dell’origine.
0 t
Detto ciò, ci siamo convinti che, non potendo essere discontinua l’energia in un
induttore, la corrente non può presentare brusche variazioni, cioè deve variare
con continuità.
Se esaminiamo il caso di un condensatore, con ragionamenti del tutto analoghi a
quelli fatti per il caso dell’induttore, pur di sostituire la tensione alla corrente, si
ottiene l’impossibilità di ammettere discontinuità nella tensione.
È giunto il momento di applicare le cose imparate per studiare la scarica dei due
principali bipoli a memoria: il condensatore e l’induttore.
τ = RC = 10 ms = 0.01 s ,
+ t=0 v(0) = 2 V
C v(t) R R=5Ω
− C = 2 mF
0
i(t)
Da ciò segue che la corrente è pari a (si noti che sul condensatore è stata fatta la
convenzione del generatore)
Quanto detto può essere verificato con Spice per mezzo delle istruzioni seguenti.
Esempio 3
*Scarica del condensatore
C0 1 0 2m IC=2
R0 1 0 5
.TRAN 1m 0.1 UIC
.PROBE
.END
56 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Si noti che il condensatore è carico ‘IC=2’ e che l’analisi del transitorio viene
sviluppata dal simulatore con passo di 1 ms, fino a 0.1 s.
2.5
2 Tensione
Corrente
1.5
0.5
t
0
0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1
In Figura 6.25 abbiamo riportato sullo stesso grafico l’andamento temporale della
tensione e della corrente dopo la chiusura dell’interruttore. Si noti, però, che
prima che l’interruttore colleghi il condensatore al resistore, la tensione è costante
e pari a 2 V, mentre la corrente è nulla. Ciò vuol dire che nell’istante di
commutazione la tensione si mantiene continua, mentre la corrente è discontinua.
Ancora un’osservazione: se provate a disegnare la corrente con Spice, non
troverete esattamente il grafico riportato in Figura 6.25. Ciò dipende dal fatto che,
su ogni bipolo, anche in regime dinamico, Spice considera sempre la convenzione
dell’utilizzatore.
Scarica dell’induttore
Anche in questo caso non sarebbe difficile mostrare, grazie alla teoria delle
equazioni differenziali, che
57 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
τ = L = 1 ms .
R
+ t=0 i(0) = 1 A
L v(t) R R=2Ω
L = 2 mH
−
0
i(t)
Esempio 4
*Scarica dell’induttore
L0 1 0 2m IC=1
R0 1 0 2
.TRAN 0.1m 10m UIC
.PROBE
.END
Potete verificare le cose dette per mezzo di Spice che vi mostrerà pure gli
andamenti di tensione e corrente riportati nella Figura 6.27.
2.5
2 Tensione
Corrente
1.5
0.5
t
0
0 0.002 0.004 0.006 0.008 0.01
vR(t)
1 + − 2
+ e(t) = E u(t)
+ R
e(t) L vL(t) E
− C
−
0 t
0 − + i(t) 3
vC(t)
E , per t > 0 ,
e(t) = E u(t) = (6.25)
0 , per t < 0 .
Dato che la rete è a riposo per t < 0, possiamo assumere che sia la corrente
dell’induttore i(t), sia la tensione sul condensatore vC(t) siano nulle, e, quindi, le
due condizioni iniziali sono:
i(0) = 0 , vC(t) = 0 .
Notate che, invece della funzione e(t) definita dalla (6.25), abbiamo messo già il
valore che questa tensione assume dopo la commutazione, cioè E. Inoltre, essendo
la corrente legata alla tensione sul condensatore dalla relazione
i(t) = C d vC(t) ,
dt
2
vR(t) = R i(t) = RC d v C(t) , vL(t) = L d i(t) = LC d v C(t) , (6.27)
dt dt dt2
in cui il simbolo ‘d2/dt2’ indica la derivata seconda, cioè la derivata della derivata
della funzione. Sostituendo le (6.27) nella (6.26), è
2
LC d vC(t) + RC d vC(t) + vC(t) = E ,
dt2 dt
R = 4 Ω , L = 1 mH , C = 1 mF , E = 2 V .
Esempio 5
*Circuito RLC
R0 1 2 4
L0 2 3 1m IC=0
C0 3 0 1m IC=0
VE 1 0 2
.TRAN 0.01m 20m UIC
.PROBE
.END
Il risultato della simulazione è riportato in Figura 6.29. Notate subito due cose: la
scala dei tempi è in millisecondi e la tensione, dolcemente, si avvicina, al crescere
del tempo, al valore di regime di 2 V.
vC(t)
2
1.5
0.5 R≥2 L
C
t (ms)
0
0 5 10 15 20
Come abbiamo indicato nella stessa figura, questo è un comportamento tipico ogni
qual volta si verifica la disuguaglianza
R≥2 L .
C
Come poi questo fatto si giustifichi esula dalla trattazione elementare dei transitori
che stiamo facendo. Ciò che a noi interessa è che riteniate che per certi valori dei
parametri della rete l’andamento della tensione può essere non oscillante.
R = 1 Ω , L = 1 mH , C = 1 mF , E = 2 V ,
vC(t)
2.5
1.5
0.5 R<2 L
C
t (ms)
0
0 5 10 15 20
R<2 L ,
C
R
1 + − 2
e(t)
+ +
E
e(t) C vC(t)
− − t
0 T 2T 3T
0 i(t)
vC(t)
3
2.5
1.5
0.5
t
0
0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1
Esempio 6
*Circuito RC con forzamento a onda quadra
R0 1 2 2k
C0 2 0 1u
VE 1 0 PULSE(0 2.5 0 1n 1n 10m 20m)
.TRAN 0.1m 100m
.PROBE
.END
in cui, tenendo sottocchio la Figura 6.33, il primo valore dopo la parola chiave
‘PULSE’ è 0 e rappresenta il valore iniziale ‘V1’, 2.5 quello di picco ‘V2’, il terzo
valore impone che ‘TD = 0’; il terzo e quarto campo scelgono, rispettivamente, i
valori di ‘TR = 1n’, il tempo di salita, e di ‘TF = 1n’, il tempo di discesa. Infine,
‘PW = 10m’ rappresenta il tempo in cui la tensione si mantiene costante al valore
V2, e ‘T = 40m’ è il periodo totale.
e(t)
PW
V2
V1 TR TF
0 TD T t
Notate (Figura 6.32) che mettendo 1n per il tempo di salita e 1n per quello di
discesa praticamente abbiamo un’onda quadra ‘perfetta’.
Nel caso riportato in Figura 6.34, per il quale T = 0.4 ms < RC = 2 ms, in ciascun
periodo la tensione sul condensatore non ‘ha il tempo’ per caricarsi o scaricarsi e,
pertanto, abbozza solo un debole salita verso ‘E’ oppure una incerta discesa verso
‘0’. Il risultato è che l’andamento temporale risulta completamente diverso da
quello mostrato in precedenza e, dopo un certo tempo, la tensione sembra
‘oscillare’, in maniera più o meno lineare, tra due valori intermedi compresi tra
‘0’ e ‘E’.
Esempio 7
*Circuito RC con generatore a onda quadra
R0 1 2 2k
C0 2 0 1u
VE 1 0 PULSE(0 2.5 0 1n 1n 0.4m 0.8m)
.TRAN 0.01m 10m
.PROBE
.END
65 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
vC(t)
3
2.5
1.5
0.5
t
0
0 0.002 0.004 0.006 0.008 0.01
Non possiamo qui riportare tutti i tipi di forme d’onda che Spice consente di
trattare. Tuttavia, se avete ben compreso i semplici esempi riportati, avete tutti gli
elementi per risolvere qualsiasi transitorio vi si presenterà nella pratica
professionale.
E = 6 V , L 1 = 3 mH , L 2 = 0.2 H , M = 20 mH , R1 = 1 Ω , R2 = 200 Ω .
1 i1(t) i2(t) 2
M
+ + +
t=0
E v1(t) L1 L2 v2(t) R2
− R1 − −
0 3
Figura 6.35: transitorio con un doppio bipolo accoppiamento mutuo (M > 0).
66 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Notate subito che, per ragioni legate al simulatore Spice, abbiamo collegato tra
loro i due bipoli scegliendo il nodo ‘3’ comune alle due maglie, quella di ingresso
e quella di uscita.
k= M = 0.816496581 .
L1 L2
Esempio 8
*Circuito con un mutuo induttore (M > 0)
VE 1 0 DC 6
L1 1 3 3m IC=0
L2 2 3 0.2 IC=0
KC L1 L2 0.8165
R1 3 0 1
R2 2 3 200
.TRAN 0.01m 20m UIC
.PROBE
.END
Notate che, se non altrimenti specificato, gli elementi a memoria vengono supposti
scarichi in Spice e, pertanto, non è nemmeno necessario usare ‘UIC’ nel comando
‘.TRAN’.
i2(t)
0
t (ms)
-0,05
-0,1
-0,15
0 5 10 15 20
E = 6 V , L1 = 3 mH , L2 = 0.2 H , M = - 20 mH , R1 = 1 Ω , R2 = 200 Ω .
1 i1(t) i2(t) 2
M
+ + +
t=0
E v1(t) L1 L2 v2(t) R2
− R1 − −
0 3
Figura 6.37: transitorio con un doppio bipolo accoppiamento mutuo (M < 0).
questo risultato usando il listato Spice che cambia come di seguito riportato, in cui
la sola differenza è rappresentata dalla riga
KC L1 L2 -0.8165
Esempio 9
*Circuito con un mutuo induttore (M < 0)
VE 1 0 DC 6
L1 1 3 3m IC=0
L2 2 3 0.2 IC=0
KC L1 L2 -0.8165
R1 3 0 1
R2 2 3 200
.TRAN 0.01m 20m UIC
.PROBE
.END
Quanto detto può bastare sui transitori: è tempo, ora, di passare all’esame del
regime sinusoidale.
69 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
α i1(t)
1 + − 2 i2(t)
+ t=0
v(t) C R1 R2
− i(t) i1(t)
d v(t) + v(t) = 0 ,
dt τ
τ = CR2 R1 - α .
R1 + R2
Basta una rapida occhiata a questa costante di tempo per convincersi che essa è
positiva per R1 > α, ed è negativa per R1 < α. Il fatto che la costante di tempo
possa diventare negativa comporta, come vedremo in dettaglio tra un momento,
che la corrente in esame, al trascorrere del tempo, aumenti. Tutti i transitori
finora sviluppati ci hanno abituato a dinamiche convergenti (o a zero, o a un certo
valore) e dinamiche ‘esplosive’ ci spaventano un poco. La realtà è che nessun
circuito può produrre indefinitamente tali dinamiche dato che, prima o poi,
interverranno dei fenomeni di saturazione, tipici di ciascun componente: quando le
70 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
La soluzione del problema differenziale (la cui dimostrazione esula dagli scopi
della nostra trattazione) vale
Più che delle formule ci preme mostrarvi la Figura A.2 in cui alcune dinamiche
della tensione v(t) per valori, positivi e negativi, della costante di tempo vengono
presentate.
3
v(t)
v0 2.5
2 τ=-2
1.5
0.5 τ=1
τ = 0.1 τ = 0.2
0 t
-1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2
Osservate dalla Figura A.2 come, per t < 0, la tensione si mantenga costante al
valore v0 e che, non appena l’interruttore collega il condensatore al resto del
71 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Provate a convincervi fino in fondo delle dinamiche fornitevi usando Spice per i
due seguenti casi:
a) v0 = 10 V, R1 = R2 = 1 Ω, C = 4 mF, α = 0.5 Ω;
b) v0 = 10 V, R1 = R2 = 1 Ω, C = 4 mF, α = 1.5 Ω.
Per il caso a) troverete una costante di tempo positiva e pari a τ = 1 ms; per il caso
b) la costante di tempo è negativa e vale τ = - 1 ms.
Capitolo 7
7.1 Introduzione
7.9 Esempi
Sommario
7.1 Introduzione
oppure anche
e di cui avevamo riportato i grafici, nonché i modi per calcolarle per ciascun
valore di t, sia facendo uso di una comunissima ‘macchinetta calcolatrice’, sia ‘a
mano’. Ora, per chiarire bene in cosa consista il funzionamento di un circuito in
regime sinusoidale conviene introdurre una funzione un po’ più generale, sia di
sen(t) che di cos(t), che va sotto il nome generico di funzione sinusoidale, e che è
rappresentata dalla seguente espressione:
nella quale
• α è un terzo numero, questa volta di segno qualsiasi, che prende il nome di fase
della funzione considerata.
e così via. Le ampiezze di a1(t), a2(t) e a3(t) valgono, rispettivamente, 100, 300 e
10 2 ; le pulsazioni delle tre funzioni sono rispettivamente 100, 314 e 1000,
mentre, infine, le rispettive fasi sono 1.5, - π/4 e + π/3.
L’intera quantità contenuta all’interno della parentesi nella (7.1), e cioè
l’espressione
76 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
β = ωt + α (7.2)
Come vedremo subito, già la semplice definizione che abbiamo appena dato di una
generica funzione sinusoidale della variabile tempo richiederà parecchie
precisazioni e qualche approfondimento, per essere compresa fino in fondo.
Cominciamo quindi col chiarire subito come si calcola il valore di una funzione
del tipo (7.1) per un qualsiasi, assegnato, valore della variabile indipendente t. La
cosa è ovvia: si comincia col calcolare, per il valore assegnato di t, il valore
dell’argomento β, dato dalla (7.2). Ad esempio, con riferimento alla funzione
Dopo di ciò, basta pigiare sulla calcolatrice il tastino ‘SIN’, per ottenere subito:
sen β = - 0.386866046 .
Ci accorgiamo così che il valore della funzione a(t), calcolato per t = 3 coincide
esattamente col valore calcolato per t = 3 ± n ⋅ 0.125664, essendo n un numero
intero qualsiasi (1, 2, , 100, ).
La stessa cosa si ripete per qualsiasi altro valore della variabile indipendente t;
accade, cioè, che ad esempio:
e così via. Si intuisce allora che, per la funzione a(t) assegnata, il numero fisso
0.125664 svolge il ruolo di quello che avevamo chiamato periodo della funzione.
Sorge spontanea allora la domanda: come abbiamo fatto a saperlo? E, inoltre,
come si fa a calcolare il periodo per un’altra, qualsiasi funzione sinusoidale?
La risposta è semplicissima: data una qualsiasi funzione sinusoidale scritta nella
forma (7.1), il periodo, che indicheremo con la lettera maiuscola T, è dato dalla
semplicissima formula:
T = 2π , (7.4)
ω
ω = 2π . (7.5)
T
f=1 = ω . (7.6)
T 2π
La frequenza si misura in ‘hertz’ (Hz) e suoi multipli (kHz, MHz, GHz, che si
leggono rispettivamente chilohertz, megahertz, gigahertz; a volte, si usano, in
gergo, anche termini come chilocicli, megacicli, e così via).
In conclusione, conoscere uno qualsiasi dei tre numeri ω, T, f consente di
calcolare subito, mediante le (7.4), (7.5) e (7.6), gli altri due.
Per chiarire ulteriormente il significato di questi numeri, facciamo riferimento al
grafico tipico di una funzione sinusoidale, riportato in Figura 7.1.
Come si vede, esso è ‘periodico’ anche dal punto di vista ‘visivo’: nel senso che si
ripete continuamente lungo l’asse orizzontale.
a(t) = AM sen(ωt + α)
AM
T
t
0
T - AM
Il valore del periodo T può essere misurato, su un grafico di questo tipo, con
estrema facilità: basta prendere una ‘oscillazione completa’ della funzione, come
mostrato in figura e misurare l’intervallo di tempo corrispondente (indicato con T
e i suoi estremi, in due posizioni diverse del grafico).
La frequenza f corrisponde, in questo modo, al numero di periodi (e, quindi, di
oscillazioni complete) contenuti in un secondo.
La pulsazione ω, infine, altro non è se non la frequenza moltiplicata per il numero
‘fisso’ 2π, come prescritto dalla relazione (7.6).
Data l’importanza fondamentale di questi concetti nello studio dei circuiti (e non
soltanto in regime sinusoidale), non deve sorprendere se insistiamo ancora a
metterne in evidenza i diversi significati.
A questo scopo, facciamo ora riferimento a un esempio ‘meccanico’ certamente
familiare a tutti: quello di un pendolo (fatto semplicemente di un filo appeso al
soffitto e terminante con una pallina di acciaio o con qualunque altro oggetto,
piccolo ma abbastanza pesante).
Per quel che riguarda AM, la cosa è semplicissima, poiché basta ricordare che la
funzione sen(ωt + α) ha come valore massimo + 1 e come valore minimo - 1, per
concludere che AM rappresenta il valore massimo assunto dalla funzione (come
indicato nella Figura 7.1), e che, analogamente, il suo opposto, - AM, ne
rappresenta il minimo.
È importante osservare qui che, per motivi che saranno chiariti più avanti, è
molto diffuso scrivere l’ampiezza AM nella seguente forma:
AM = A 2 , (7.7)
dove la quantità A prende il nome di valore efficace della a(t). Nell’esempio del
pendolo, AM rappresenta l’angolo formato dal filo con la verticale, quando il
pendolo, raggiunto uno degli estremi della sua ‘corsa’, si trova proprio nel
momento in cui sta per ritornare indietro.
Più delicato è chiarire, invece, il significato del terzo numero che caratterizza la
funzione sinusoidale, e cioè la fase α. Data, però, l’importanza assunta da questo
parametro nello studio del regime sinusoidale, ci soffermeremo anche su esso, col
dovuto dettaglio per metterne in piena luce i diversi aspetti.
Cominciamo coll’osservare che se, nell’espressione (7.1) di una generica funzione
sinusoidale a(t), calcoliamo il valore all’istante t = 0, otteniamo:
a(t) = AM sen(ωt)
α=0
AM
t
0
- AM
Se, invece, la fase α è, ad esempio, pari a π/2, si ha: a(0) = AM sen(π/2) = AM, e il
grafico corrispondente è del tipo riportato in Figura 7.4, in cui si vede che a(t)
raggiunge addirittura il suo valore massimo AM proprio nell’istante t = 0.
t
0
- AM
Più in generale, non sarebbe difficile far vedere che α può essere facilmente
misurato sul grafico della generica funzione a(t), nel modo indicato in Figura 7.5:
si considera il primo punto (indicato con P in Figura 7.5) a sinistra dell’origine
nel quale il grafico assume valore nullo, e cioè ‘taglia’ l’asse orizzontale, mentre
cresce; il punto P', quindi, non va bene, perché il grafico ‘taglia’, sì, l’asse
orizzontale, ma mentre decresce.
Una volta trovato il punto P, basta misurare la durata P0 sull’asse t, e
moltiplicarla per la pulsazione ω. Si ha, cioè:
α = ω P0 , (7.9)
a(t) = AM sen(ωt + α)
AM
t
P' P 0
- AM
Ora, tornando, per chiarire ulteriormente la cosa, all’esempio del pendolo, è facile
capire che, mentre il pendolo sta oscillando per conto suo (e cioè liberamente,
senza alcun intervento da parte nostra), noi possiamo decidere di far partire in
qualsiasi momento il nostro orologio. Con ciò, la fase della funzione sinusoidale
che descrive il moto del pendolo rimane praticamente decisa da noi stessi, nel
momento in cui azioniamo il cronometro.
In conclusione, mentre la pulsazione ω (e quindi anche la frequenza f, e il periodo
T) di una data funzione sinusoidale è univocamente fissata, la fase α è arbitraria,
poiché dipende, come già detto, dall’istante in cui facciamo partire il nostro
orologio.
Ciò detto, va però chiarita subito un’altra cosa, altrettanto importante, che
riguarda le differenze di fase fra funzioni sinusoidali diverse. Se, infatti,
consideriamo le due seguenti funzioni sinusoidali
che hanno la stessa pulsazione ω, è chiaro, in base a ciò che abbiamo detto prima,
che, facendo scattare il nostro cronometro in un determinato istante (scelto
arbitrariamente da noi), possiamo decidere il valore della fase di una delle due
funzioni, ma non di tutte e due insieme. Per chiarire ulteriormente, se di pendoli
che oscillano ciascuno per conto proprio ce ne sono due (e non uno soltanto),
possiamo fare scattare l’orologio nell’istante in cui, ad esempio, il primo pendolo
sta passando proprio per la verticale, ma, in quello stesso istante l’altro pendolo si
troverà in generale in una posizione diversa. Ne dobbiamo concludere quindi che,
‘giocando sull’istante t = 0‘, possiamo decidere ad arbitrio il valore di α, oppure
quello di β, ma non il valore della differenza
ϕ=α-β, (7.11)
a(t) = AM sen(ωt + α) ,
b(t) = BM sen(ωt + β) ,
c(t) = CM sen(ωt + γ) , (7.12)
s(t) = S M sen(ωt + σ) .
ϕ1 = α - β , ϕ2 = α - γ , . (7.13)
In gergo, quando lo sfasamento ϕ dato dalla relazione (7.11) è positivo, si dice che
a(t) è in ‘anticipo di ϕ‘ sulla b(t); oppure, il che è equivalente, che b(t) è ‘in
ritardo di ϕ‘ sulla a(t). Ad esempio, per
lo sfasamento ϕ è
ϕ = π - π = π = 9° ,
4 5 20
risulta che
ϕ = π - - π = 5π = 150° ,
2 3 6
Al termine di questa lunga parentesi dedicata a chiarire bene cosa sia una generica
funzione sinusoidale del tempo, e a metterne in luce i diversi aspetti e i diversi
parametri, è ora il caso di applicare quello che abbiamo detto al caso pratico che ci
interessa più da vicino, e che ciascuno di noi ha sottocchio tutti i giorni, in casa e
sui posti di lavoro: quello delle cosiddette ‘prese’ (alle quali accennavamo già
all’inizio di questo libro). Siamo ora, finalmente, nelle condizioni di spiegare in
dettaglio cosa rappresenti una ‘presa’ dal punto di vista circuitale.
Con riferimento a una tipica presa a tre fori, del tipo rappresentato in Figura 7.6
(come se ne trovano normalmente nelle nostre case), diciamo subito che,
malauguratamente (per motivi che saranno chiariti nel libro dedicato agli impianti
elettrici), molto spesso, per non dire quasi sempre, il foro centrale della presa è
inutile, e può essere quindi ignorato, perché elettricamente inattivo.
Quando non è così, esso è invece molto importante ai fini della sicurezza degli
utenti!
Per semplicità, facciamo riferimento quindi a una presa a due soli fori (Figura
7.7), come, pure, se ne trovano ancora tante nelle nostre case.
+
e(t)
−
Bene: da un punto di vista circuitale, possiamo pensare che una presa di questo
genere sia equivalente, con buona approssimazione (pari a ± 5%) a un generatore
indipendente di tensione, la cui d.d.p. sia la seguente funzione sinusoidale del
tempo:
• è più corretto considerarla come ‘presa di tensione’, che non ‘di corrente’ (non
trattandosi di un generatore di corrente, bensì - semmai - di tensione);
• che la frequenza di questa tensione è 50 Hz (e cioè 50 oscillazioni complete in un
secondo); il periodo è quindi di 20 ms (millisecondi), mentre la pulsazione è circa
314 radianti/secondo;
• che il valore efficace di questa d.d.p. è pari a 220 V, mentre l’ampiezza (e cioè il
valore massimo) è circa 311 V.
Siamo ora giunti al punto di poter dare piena e completa risposta alla prima
domanda che ci eravamo posti nella premessa, e cioè cosa debba intendersi
esattamente per regime sinusoidale quando ciascuna delle grandezze fondamentali
della rete, e cioè ciascuna corrente e ciascuna tensione varia nel tempo come una
funzione sinusoidale la cui pulsazione sia assegnata una volta per tutte nell’intera
rete. Così, in Italia (e nel resto della Comunità europea), il regime sinusoidale, per
i comuni impianti domestici e industriali, ha la frequenza di 50 Hz. Ciò vuol dire -
lo ripetiamo - che ogni corrente e ogni tensione, in Italia, in Francia, e così via,
variano nel tempo sinusoidalmente alla frequenza di 50 Hz (negli USA, invece, il
regime sinusoidale ha una frequenza di 60 Hz).
Si osservi, infine, che, nel definire il regime sinusoidale di una rete, si è fatta
attenzione a specificare che le grandezze che variano sinusoidalmente sono soltanto
quelle fondamentali, e cioè le correnti e le tensioni: non così per le grandezze
derivate. Vedremo, infatti, che, in particolare, le potenze elettriche assorbite (ed
erogate) dai diversi componenti non variano, in generale, con legge sinusoidale,
bensì in modi diversi (che a suo tempo specificheremo caso per caso).
Come anticipato al termine della premessa a questo capitolo, vogliamo ora fare
almeno un cenno alle ragioni e alle circostanze principali che, in passato, hanno
87 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Le enormi possibilità offerte dal nuovo dispositivo (che ormai è indicato come
trasformatore, e non più generatore secondario) si delineano rapidamente: specie
nei confronti della possibilità di riuscire a innalzare la tensione delle linee di
distribuzione dell’energia elettrica, in modo da poterne ridurre i costi di
realizzazione.
Nasce, così, di qua e di là dell’Atlantico, una grande disputa fra le aziende che,
all’epoca, dominavano l’allora nascente mercato elettrico, come la Westhinghouse,
la General Electric, la Siemens e poche altre, circa l’opportunità di prevedere per
il futuro lo sviluppo dell’energia elettrica nel quadro di una generale distribuzione
della stessa in regime stazionario, oppure in regime sinusoidale. A favore
dell’alternata, oltre alla possibilità di impiego del trasformatore, ci sono anche
altre opportunità alle quali faremo cenno fra un attimo. Per contro, a vantaggio
della ‘continua’ non va sottovalutata la facilità di risoluzione delle reti in regime
stazionario che, in ultima analisi, si traduce in semplicità di progettazione e quindi
anche di realizzazione. Non dimentichiamo, infatti, che la risoluzione di una rete
in condizioni variabili nel tempo richiede quegli strumenti matematici, le
equazioni differenziali di cui si è parlato al temine del Capitolo 6, e che, all’epoca
di cui stiamo parlando, non potevano essere considerate patrimonio comune dei
tecnici che progettavano e realizzavano apparati elettrici.
La disputa ebbe toni accesi, e durò più di un decennio, con alti e bassi da una parte
e dall’altra.
Come sempre accade in casi simili, alla fine la scelta non fu presa in un solo, ben
preciso momento, né per una sola e precisa ragione: avvenne, invece,
gradualmente, e per l’effetto concomitante di molte cause.
Molto influirono certamente due fatti, che videro la luce grosso modo
contemporaneamente:
La conclusione fu, per farla breve, che già ai primi del Novecento, il regime
sinusoidale l’aveva avuta vinta, sia al di qua che al di là dell’Atlantico, e che, sia
pure a malincuore, occorreva adattarsi ai problemi che nascevano dalla difficoltà
89 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
(+ 1)2 = + 1 e (- 1)2 = + 1 .
Nessuno può però impedirci di immaginare che esista un altro oggetto matematico
(che non può essere un semplice numero, evidentemente), di tipo completamente
diverso (immaginario, appunto), che goda della proprietà che il suo quadrato sia
pari proprio a (- 1).
Come potremo indicarlo? Il modo più semplice di indicarlo è con il simbolo
-1 , (7.15)
2
-1 =-1. (7.16)
Con ciò, diciamo la verità, ci siamo semplicemente presi in giro, poiché il simbolo
che abbiamo introdotto, e cioè - 1 , non è un numero, e non può essere, quindi,
né elevato al quadrato, né sommato, né sottratto, né diviso per altri numeri
secondo le normali regole delle quattro operazioni.
Eppure ... vedrete che questa ‘stranezza’ che abbiamo fatto, quando sarà stata
sfruttata nel modo adatto, ci consentirà di risolvere problemi che altrimenti non
avremmo saputo neppure affrontare.
Si tratta, però, come dicevamo, di sapere sfruttare bene questa ‘strana’ idea di
partenza, ‘inventandoci’ opportune ‘regole del gioco’ che ci consentano di fare le
quattro operazioni anche su oggetti come questa immaginaria - 1 .
Cominciamo allora col dire subito che sappiamo attribuire un significato
(immaginario anche questo, ovviamente) a un ‘oggetto’ del tipo - 4 , oppure
- 10 , o che so - 5.21 , e così via. Basta, infatti, scrivere con le solite regole
dell’Algebra:
- 4 = ( 4 ) (- 1) = 4 -1 =2 -1 ,
- 10 = 10 -1 , - 5.21 = 5.21 -1 , e così via .
91 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
-a = +a -1 . (7.17)
2
-a = - a , (con a > 0) , (7.18)
-a =±j +a , (7.19)
essendo ‘a’ un qualsiasi numero reale positivo. In altre parole, nella (7.19), il
simbolo ‘j’ sta al posto di - 1 , e si è implicitamente posto:
92 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
2
(+ j)2 = -1 =-1. (7.20)
(± j)2 = - 1 , (7.22)
j a , oppure a j (7.23)
j= -1 . (7.24)
Una volta introdotti questi strani numeri immaginari, occorre saper fare le quattro
operazioni aritmetiche: altrimenti, davvero non sappiamo cosa farci.
La cosa è molto semplice, se ci serviamo delle stesse regole che usiamo per i
numeri reali. Basta, infatti, stabilire che le operazioni fra numeri immaginari si
fanno così:
• addizione: j a + j b = j (a + b);
ad esempio, 3 j + 2 j = 5 j; 2 j + (- 3) j = (- 1) j = - j;
• sottrazione: j a - j b = j (a - b);
ad esempio, 2 j - 3 j = (2 - 3) j = (- 1) j = - j; - 3 j - 4 j = - 7 j;
• divisione: (j a) : (j b) = a : b ;
ad esempio, (3 j) : (2 j) = 3 : 2 = 1.5; (3 j) : (- 2 j) = - 1.5 .
Per completare il quadro dei numeri immaginari, non resta a questo punto che
stabilire un’ultima cosa importante: come si fanno le quattro operazioni fra
numeri reali e numeri immaginari.
5+3j,
stabilendo che essa non può essere eseguita: deve semplicemente essere lasciata così
com’è. Anzi: per non correre alcun rischio di confusione, possiamo fare una cosa
ancora più ‘simpatica’, e cioè stabilire una volta per tutte di introdurre un terzo
tipo di ‘oggetti’ matematici (oltre ai numeri reali e ai numeri immaginari), che
chiameremo numeri complessi, per distinguerli dagli altri.
a+jb, (7.29)
94 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
essendo sia ‘a’ che ‘b’ due qualsiasi numeri reali, e ‘j’ l’unità immaginaria. Spesso,
i numeri complessi vengono indicati con lettere soprassegnate, oppure con un
puntino sovrapposto, scrivendo quindi:
c = a + j b , oppure c = a + j b . (7.30)
A questo punto, ancora una volta, per completare il quadro dei numeri complessi e
del loro uso, non ci resta che stabilire come vanno fatte le quattro operazioni.
Siamo così giunti al punto centrale della questione, che è alla base dei ‘trucchi’
inventati da Steinmetz e Kennelly per risolvere i circuiti in regime sinusoidale:
avrete già intuito, infatti, che questi trucchi si basano proprio sull’uso di questi
strani numeri complessi. Quindi, occorre imparare a usarli in modo corretto e
rapido, a partire, ovviamente, dalle quattro operazioni fra numeri complessi.
La cosa, dal punto di vista concettuale, è meno banale di quanto possa apparire a
prima vista: infatti, i matematici ‘rigorosi’ presentano le cose in maniera
abbastanza diversa da come faremo noi di qui a poco. A noi, però, come tante
volte abbiamo ripetuto, quel che davvero interessa è che voi impariate a risolvere i
circuiti in modo rapido e corretto, e rinunzieremo, quindi, a un po’ di rigore, a
patto che ciò serva a rendere le cose più semplici e chiare.
Diciamo subito, dunque, che piuttosto che darvi le definizioni delle quattro
operazioni fra numeri complessi nella loro forma più generale e astratta (come
fanno appunto i matematici), noi preferiamo spiegarvi subito come conviene farle,
in modo da risparmiare fatica. Tanto, per quel che ci serve, il risultato sarà lo
stesso: ... non preoccupatevi.
Per fare quel che abbiamo appena detto, conviene però fare un passo indietro, e
ritornare a un argomento che certamente sapete usare con disinvoltura: le frazioni.
Vi ricordiamo ancora una volta che le frazioni coincidono con quei numeri che
abbiamo chiamato razionali, per distinguerli dagli irrazionali. Vedrete, infatti, che
ci sono ... strane somiglianze fra un argomento facile come le frazioni e uno
complicato come i numeri complessi (almeno per ciò che riguarda i modi in cui
conviene fare le quattro operazioni).
essendo M e N due qualsiasi numeri interi (ad esempio, 3/4, 11/3, - 4/5, e così
via), può essere espresso anche in una forma diversa, ma equivalente, e cioè in
forma cosiddetta decimale. Possiamo scrivere quindi:
3⋅4=3,
4 5 5
Bene: entrambe le affermazioni contenute nei due punti precedenti valgono anche
per i numeri complessi. Ciò che, quindi, ci accingiamo a fare ora è proprio
mostrarvi innanzitutto le due forme (diverse, ma equivalenti) in cui i numeri
complessi possono essere presentati, mostrandovi come si passa dall’una all’altra (e
viceversa), e poi insegnarvi a fare le quattro operazioni fra numeri complessi,
ricorrendo a una forma oppure all’altra, a seconda della convenienza.
a) Forma algebrica
c=a+jb, (7.32)
‘a’ e ‘b’ essendo due numeri reali qualsiasi, e ‘j’ l’unità immaginaria j = - 1 .
Ad esempio:
Il numero reale ‘a’ è detto parte reale del numero complesso c, ed è anche indicato
come
a=ℜ c ; (7.33)
97 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
b=ℑ c . (7.34)
c=ℜ c +jℑ c ,
Un’operazione che ci tornerà utile nel seguito, e che nel campo dei numeri reali
non viene definita, è l’operazione di coniugazione. Diremo coniugato del
numero complesso (7.32), il numero
c* = a - j b ,
se c = 4 - 5 j → c * = 4 + 5 j .
b) Forma polare
L’altra forma, detta polare, con cui può essere rappresentato un numero
complesso, richiede una semplice costruzione grafica. A questo scopo, cominciamo
col tracciare una coppia di assi cartesiani x e y, come in Figura 7.8, e conveniamo
di indicare l’asse x come asse reale, e l’asse y come asse immaginario. Ciò
fatto, conveniamo di rappresentare il generico numero complesso (7.32) come un
raggio-vettore ‘spiccato’ dall’origine degli assi, come mostrato in Figura 7.8. I
raggi-vettori come c vengono detti comunemente fasori; si parla, quindi,
indifferentemente di ‘numeri complessi in forma polare’, oppure di ‘fasori’, senza
alcuna distinzione di significato.
È chiaro che, in questo modo, la parte reale ‘a’ del numero complesso c
rappresenta la componente lungo l’asse x del vettore c, mentre il numero reale ‘b’
rappresenta l’altra componente del vettore c. Si ha, così:
cx = a , cy = b . (7.35)
98 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
y≡ℑ
b c
α
x≡ℜ
0 a
270°
- 90°
c= c,α ,
99 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
c=3+4j.
Per passare in forma polare, costruiamo il grafico seguente, partendo col segnare
l’ascissa 3 e l’ordinata 4. Si ha subito (misurando α con un goniometro)
c = 32 + 42 = 25 = 5 , α ≅ 53° .
Alcuni autori, quando esprimono gli angoli in gradi, sono soliti indicare questa
scelta chiaramente anche nel simbolo, per cui si scrivono, ad esempio, α° ≅ 53°.
Useremo questa distinzione nei simboli solo nei casi in cui si possa dar adito a
qualche confusione.
y≡ℑ
4
c
3
2
1
α
0 1 2 3 x≡ℜ
y≡ℑ
c = 10
45°
0 x≡ℜ
c* = c , - α .
arctan b , se a > 0 ,
a
se c = a + j b → c = a2 + b , α = 2
(7.36b)
180° + arctan b , se a < 0 ,
a
Ad esempio:
c = 3 + 4 j → c = 32 + 42 = 5 , α = arctan 4 ≅ 53.1° ;
3
Insomma, ogni volta che state per calcolare la fase di un numero complesso,
dovete valutare con attenzione se sommare, o meno, l’angolo di 180° = π rad alla
funzione arcotangente.
Ad esempio:
A) Operazioni di addizione/sottrazione.
c1 ± c2 ,
c1 = a1 + j b1 , c2 = a2 + j b2 ,
c = c1 + c2 = a 1 + j b1 + a 2 + j b2 = a 1 + a 2 + j b1 + b2 ; (7.38)
c = c1 - c2 = a 1 + j b1 - a2 + j b2 = a 1 - a2 + j b1 - b2 . (7.39)
c1 + c2 = 3 + 4 j + 2 - 3 j = 5 + j ; c1 - c2 = 3 + 4 j - (2 - 3 j) = 1 + 7 j .
B) Operazioni di moltiplicazione/divisione.
c1 ⋅ c2 , oppure c1 : c2 ,
c1 = c1 ∠α1 , c2 = c2 ∠α2 ,
c1 ⋅ c2 = 50 ∠75° , c1 : c2 = 2 ∠15° .
Vale la pena osservare che, dovendo sommare (oppure sottrarre) due numeri
complessi dati in forma polare, ad esempio
c1 + c2 = 10 ∠45° + 5 ∠30° ,
L’idea centrale del metodo è molto semplice, e prende spunto dalla definizione
stessa di regime sinusoidale. Ricordando, infatti, che una rete è in regime
sinusoidale, quando tutte le correnti e tensioni della rete sono funzioni sinusoidali
del tempo dotate della stessa pulsazione ω, ciascuna corrente e ciascuna tensione
può essere scritta nella forma generica
nella quale ω è la pulsazione, fissata una volta per tutte (in Italia è
ω = 2π 50 ≅ 314 rad/s), mentre il valore efficace A, oppure l’ampiezza
AM = A 2 , e la fase α sono ovviamente diverse per le diverse correnti e tensioni.
D’altra parte, è vera anche la proprietà inversa: e cioè, se di una data corrente (o
tensione) conosciamo il valore efficace, diciamo ad esempio 10 A, nonché la fase,
ad esempio π/4, è semplicissimo scrivere l’espressione della grandezza considerata:
105 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
y≡ℑ
A
α
0 x≡ℜ
In ultima analisi, è proprio questo il primo dei trucchi da usare (in particolare,
quello dovuto essenzialmente a Steinmetz): sostituire alle incognite funzioni
sinusoidali del tempo i(t) e v(t) incognite indipendenti dal tempo, e costituite da
fasori, cioè numeri complessi espressi in forma polare.
Il vantaggio di un simile ‘trucco’ è evidente poiché riporta le cose, in qualche
modo, a una situazione simile a quella che c’era in regime stazionario (in cui le
incognite erano, appunto, indipendenti dal tempo), con la sola differenza che, in
regime stazionario, le incognite sono rappresentate da numeri reali, mentre, in
regime sinusoidale, le incognite debbono essere rappresentate da fasori, e cioè,
ripetiamolo ancora una volta, da numeri complessi.
106 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V=±ZI , (7.42)
• per il resistore
Z=R, (7.43)
Z=jωL, (7.44)
j
Z=- , (7.45)
ωC
107 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
XL = ω L , (7.46)
XL = ω L
α
0 ω
XC = 1 , (7.47)
ωC
XC = 1
ωC
0 ω
Per completare la nostra analisi, non ci resta che esaminare separatamente come i
tre bipoli fondamentali, resistore, induttore e condensatore, si comportino quando
funzionano in corrente alternata. Ciò vuol dire che, se immaginiamo che su
109 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
i(t) = I0 2 sen(ωt) ,
che può essere rappresentata, secondo la (7.41), dal numero complesso a fase nulla
I = I0 .
V = R I = R I0 ,
e i due fasori, quello che rappresenta la tensione e quello della corrente, hanno
entrambi fase nulla, e sono due vettori paralleli diretti nella stessa direzione
(quella dell’asse reale positivo), come suggerisce la Figura 7.13.
ℑ
V= R I I R
+ −
I
ℜ V
0 V
v(t) = R I0 2 sen(ωt) .
intersechino l’asse dei tempi, proprio negli stessi istanti: è questo il significato
dell’espressione in fase, che abbiamo in precedenza introdotto. Le due sinusoidi
evolvono nel tempo (qualche volta si dice pure oscillano, ricordando il pendolo) in
maniera sincrona. Tuttavia dovete convenire con noi nel dire che è più semplice
accorgersi che due fasori siano in fase dal diagramma di Figura 7.13, piuttosto che
riconoscerlo dall’andamento temporale delle corrispondenti sinusoidi di Figura
7.14.
Corrente
Tensione
1.5
0.5
0 ωt
-0.5 I0 = 1 A
2
-1 R= Ω 1
2
-1.5
-8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8
V = j ω L I = j XL I0 ,
e, assumendo che il fasore della corrente sia diretto come l’asse reale positivo, il
fasore che rappresenta la tensione punta nella direzione dell’asse immaginario
positivo.
I due fasori formano un angolo mutuo di 90° e sono, pertanto, in quadratura. Più
precisamente, usando, come abbiamo già fatto per la misura degli angoli, quale
verso di riferimento quello antiorario, cioè il verso di rotazione opposto a quello
delle lancette dell’orologio, diciamo pure che la tensione è in anticipo di 90°
rispetto alla corrente (o, se preferite, che la corrente è in ritardo di 90° rispetto
111 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
v(t) = ω L I0 2 sen ωt + π .
2
ℑ
V = j XL I XL = ωL
V I
I + −
ℜ
0 V
Corrente
Tensione
1.5
0.5
0 ωt
-0.5
I0 = 1 A
-1 2
ωL = Ω1
2
-1.5
-8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8
Notate come la tensione assuma il suo valore massimo all’istante zero, mentre la
corrente raggiunge il massimo solo qualche tempo dopo (nel grafico per
ωt = π/2 = 1.57 ): la tensione, allora, è in anticipo rispetto alla corrente.
112 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
j I=-j X I ,
V= - C 0
ωC
e, assumendo, come d’abitudine, che il fasore della corrente sia diretto come l’asse
reale positivo, il fasore che rappresenta la tensione punta nella direzione dell’asse
immaginario negativo. I due fasori formano un angolo mutuo di 90° e sono,
pertanto, in quadratura. Più precisamente, usando, come abbiamo già fatto per la
misura degli angoli, quale verso di riferimento quello antiorario, diciamo pure
che la tensione è in ritardo di 90° rispetto alla corrente (o, se preferite, che la
corrente è in anticipo di 90° rispetto alla tensione).
ℑ V = - j XC I XC = 1/(ωC)
I I
ℜ
0 + −
V V
v(t) = 1 I 0 2 sen ωt - π .
ωC 2
113 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Corrente
Tensione
1.5
0.5
-0.5
I0 = 1 A
-1 2
ωC = 2 S
-1.5
-8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8
Arrivati a questo punto, e cioè, una volta che abbiamo imparato come si opera con
i numeri complessi, e abbiamo inoltre capito i due trucchi fondamentali escogitati
da Steinmetz e Kennelly, siamo finalmente in condizioni di spiegarvi in dettaglio
come si fa a risolvere ‘a mano’ una qualsiasi rete in regime sinusoidale. La cosa è
in realtà molto semplice, perché si tratta, in ultima analisi, di ripercorrere passo
dopo passo le stesse vie che si seguono in regime stazionario, con le sole seguenti
differenze:
114 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V = Z I , in cui si è posto
V=E, (7.51)
I=J , (7.52)
A parte le cose segnate in questa cornice, niente altro cambia rispetto alla
risoluzione di una rete in regime stazionario. Ciò significa, in particolare, che la
risoluzione della rete si riduce alla soluzione di un opportuno sistema di equazioni
algebriche che hanno, come incognite, numeri complessi invece che numeri reali.
Per chiarire questo fondamentale aspetto della questione, facciamo ricorso subito a
un semplice esempio.
Consideriamo la rete rappresentata in Figura 7.19, e proponiamoci di risolverla
quando essa funziona in regime sinusoidale alla frequenza f = 50 Hz (cioè alla
pulsazione ω = 2π ⋅ 50 rad/s), imposta dal generatore sinusoidale di tensione la cui
f.e.m. vale:
+
e(t) L
−
vR(t)
1 + − 2
+ +
R
e(t) L vL(t)
−
i(t) −
0
Applichiamo, ora, la LKC, la quale ci dice, ovviamente, che, essendo tutti i bipoli
collegati in serie, esiste un’unica corrente i(t) circolante nel circuito.
Conformemente alle regole enunciate, consideriamo, come incognita, il numero
complesso (costante nel tempo), che indicheremo, ad esempio, con I, al posto della
funzione sinusoidale
i(t) = I 2 sen(ωt + α) ,
116 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
- E + VR + VL = 0 . (7.53)
Con il simbolo 0 abbiamo indicato un numero complesso che ha sia la parte reale,
sia quella immaginaria, nulle. La caratteristica dei diversi bipoli sono, d’altra
parte:
VR = R I , (7.54)
VL = j ω L I , (7.55)
Con ciò, come si vede, abbiamo terminato la scrittura di tutte le equazioni che
governano il funzionamento della rete, e cioè le LK nonché le caratteristiche di
tutti i bipoli. È bene notare ancora una volta che abbiamo fatto, quindi, le stesse
cose che avremmo fatto in regime stazionario, con la sola differenza di
considerare, come incognite, numeri complessi (costanti nel tempo), piuttosto che
numeri reali.
Sostituendo le (7.54), (7.55) e (7.56) nella (7.53), otteniamo:
117 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Siamo, con ciò, arrivati a un’equazione algebrica lineare nella quale l’unica
incognita presente è il numero complesso I. La soluzione di questa equazione,
utilizzando ancora una volta le usuali regole dell’Algebra elementare, può essere
scritta nella forma:
e cioè come rapporto tra due numeri complessi noti. Osserviamo subito, però, che,
mentre il numeratore è scritto in forma polare (e cioè come fasore), il
denominatore è scritto, invece, in forma algebrica. Per eseguire la divisione,
allora, conviene trasformare i due numeri complessi nella stessa forma: in questo
caso, conviene trasformare il denominatore in forma polare, in modo che
l’incognita I, una volta calcolata, risulti espressa automaticamente anch’essa come
fasore.
Ricordando la regola di trasformazione da forma algebrica a forma polare
rappresentata dalla (7.36), possiamo scrivere:
10 + j π ≅ 10.48 ∠0.30 ,
118 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
100 ∠π/4
I≅ .
10.48 ∠0.30
R = 10 = 10 ∠0 , j ω L = 2π ⋅ 50 ⋅ 0.01 j = j π = π ∠π/2 .
VR
+ − y≡ℑ
+ +
R VL
E
E L VL
− VR
I −
0 x≡ℜ
E = VR + VL
Possiamo anche verificare i risultati trovati sostituendo nella LKT (7.53) i valori
calcolati:
119 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
La somma delle tre tensioni, come c’era da aspettarsi, non è esattamente zero a
causa delle approssimazioni introdotte nel calcolo delle funzioni trigonometriche.
Noi abbiamo sviluppato i calcoli approssimando i diversi numeri con due cifre
decimali dopo la virgola; se provate a ripetere gli stessi calcoli con quattro cifre
decimali dopo la virgola, troverete che la LKT è verificata con maggiore
accuratezza dato che troverete un numero complesso ancora più vicino allo zero.
La Figura 7.21 suggerisce la stessa verifica, appena eseguita sviluppando le
operazioni sui numeri complessi, rappresentando nel piano complesso i fasori
corrispondenti alle tre tensioni E, VR e VL.
e, analogamente, che
Possiamo, a questo punto, verificare la validità della LKT nel dominio del tempo,
cioè controllare che, istante per istante, è:
In Figura 7.22 abbiamo riportato gli andamenti temporali di queste tre tensioni,
per una durata di due periodi (ricordate che T = 20 ms). Notate che l’istante
generico, nella scala temporale scelta, è misurato in millisecondi (ms).
120 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
150
100 e(t)
50 vR(t)
0 t (ms)
-50 vL(t)
-100
-150
-10 -5 0 5 10 15 20 25 30
Figura 7.22: andamento temporale delle tre tensioni e(t), vR(t) e vL(t).
Osservate pure che l’asse dei tempi appare tratteggiato: abbiamo, infatti, disegnato
pure la funzione F(t) = - e(t) + vR(t) + vL(t) che dovrebbe essere esattamente nulla
ma che, per le approssimazioni introdotte nel calcolo dei numeri complessi, non è
rigorosamente nulla. Tuttavia, nella scala delle ordinate scelta per costruire la
Figura 7.22, la funzione F(t) appare schiacciata sull’asse dei tempi. Se ci riflettete
un momento, questa funzione rappresenta proprio una misura dell’errore
numerico commesso: se non commettessimo alcun errore di approssimazione,
questa funzione sarebbe nulla in ogni istante, cioè F(t) = 0.
Provate voi a verificare che la funzione F(t) nei quattro istanti t = - 5 ms,
t = 5 ms, t = 15 ms e t = 25 ms (segnati con delle crocette in figura), vale:
Pertanto, qui di seguito trovate il file di ingresso da dare a Spice per realizzare la
rete di Figura 7.20. Come d’abitudine, la prima riga assegna un nome al file,
mentre la seconda è un commento.
Esempio
* Primo esempio di circuito in alternata
R1 1 2 10
L1 2 0 10m
VE 1 0 AC 141.42 - 45
.AC LIN 1 50 50
.END
e(t) = EM cos(2πf t + α) .
sen x = cos x - π .
2
In tal modo, il generatore assegnato può anche scriversi nella forma equivalente
che, dando come di consueto un nome che inizia con V al generatore, può
codificarsi per mezzo della seguente riga:
VE 1 0 AC 141.42 - 45 .
122 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
La sesta linea del pacchetto di istruzioni ‘.AC’ richiede a Spice di eseguire una
analisi in regime sinusoidale del circuito per un sol valore della frequenza (1 è il
terzo termine nell’istruzione in questione) pari a 50 Hz. Per esaminare
compiutamente l’istruzione, scriviamola in generale:
.AC LIN 5 10 50 .
Essa richiede che l’analisi in regime sinusoidale di un certo circuito vada ripetuta
5 volte, a partire dalla frequenza di 10 Hz, fino alla frequenza di 50 Hz, e cioè per
le cinque frequenze: 10 Hz, 20 Hz, 30 Hz, 40 Hz e 50 Hz.
Se vogliamo esaminare la rete per una sola frequenza (come è nel nostro caso)
basterà porre NP = 1 e far coincidere la frequenza iniziale con quella finale, come
abbiamo fatto noi scrivendo due volte 50 Hz.
La parolina ‘LIN’ informa Spice che vogliamo che, nel caso la rete vada esaminata
per diverse frequenze, esse dovranno variare linearmente dal valore iniziale a
quello finale, secondo una spaziatura costante data dalla formula:
La relazione (7.57) del precedente paragrafo può anche essere riscritta nella
forma:
123 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I= E .
R+jωL
Z=R+jωL.
Z1 Z2 Z = Z1 + Z2
Z = Z1 + Z2 + + ZN . (7.69)
Anche per il parallelo valgono le stesse regole che abbiamo introdotto per le reti
in regime stazionario. Prima però di esaminarle, è bene introdurre la ammettenza,
definita come l’inverso dell’impedenza:
Y= 1 =G+jB. (7.70)
Z
124 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Y = Y1 + Y2 .
Questa relazione, scritta in termini di impedenze, diventa in tutto simile alla regola
del parallelo di due resistori (che ben conoscete!):
Z = 1 = Z1 Z2 . (7.71)
Y Z1 + Z2
Z1
Z = Z1 Z2
Z1 + Z2
Z2
Anche il caso di N impedenze in parallelo è molto simile alle cose che avete
appreso nello studio del regime stazionario, potendosi scrivere che l’ammettenza
equivalente è pari alla somma delle ammettenze che compongono il parallelo:
Y = Y1 + Y2 + + YN . (7.72)
Z1 = 1 + j
Z3 = 2 + 3 j
A B
Z2 = 1 - j
Z AB = Z + Z 3 = 1 + 2 + 3 j = 3 + 3 j .
L 1 = 1 mH
A
C = 1 mF L 2 = 2 mH
B
R=3Ω
126 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
X1 = ω L 1 = 1 Ω , X2 = ω L 2 = 2 Ω , XC = 1 = 1 Ω .
ωC
2
j X 2 - j XC
Z= =- 2jj =-2j =-2j.
j X 2 - j XC 2j-j j
Z AB = R + j X1 + Z = 3 + j - 2 j = 3 - j .
In gergo si dice che l’impedenza Z AB, avendo una parte immaginaria negativa, ha
un ‘carattere’ ohmico-capacitivo.
Abbiamo appena visto che valgono le stesse regole del regime stazionario per il
calcolo delle impedenze in serie e in parallelo. In maniera naturale, le regole del
partitore di tensione e di corrente continuano a valere: l’esempio che segue ha lo
scopo di mostrarvi come si adoperino in regime sinusoidale. Tra l’altro, può
essere utilmente adoperato per fare ulteriore pratica sui numeri complessi.
I R A IC
+
E R XC
− IR
1 ∠- π/2
Z = R || (- j XC) = - j R XC = - j = = 1 ∠- π/4 =
R - j XC 1-j 2 ∠- π/4 2
I R
A
+ +
E Z VAB
− −
B
La tensione VAB può essere calcolata usando la regola del partitore di tensione:
1-j
VAB = E Z = (3 - j) 2 = (3 - j) 1 - j = 1 - j .
1+1-j
R+Z 3-j
2
- E + R I + VAB = 0 → I = E - VAB = 3 - j - (1 - j) = 2 .
R
I A IC
R XC
IR
1, - π/2
IR = I - j XC = 2 - j = 2 =2 1 ,-π = 2 1 - j =1-j;
R - j XC 1-j 2 , - π/4 2 4 2 2 2
=2 1 ,π = 2
R 1, 0 1 + j =1+j.
IC = I =2 1 =2
R - j XC 1-j 2 , - π/4 2 4 2 2 2
IR + IC - I = 0 ,
risulta verificata con i valori calcolati delle correnti. Infine, controllate che
avremmo potuto calcolare le correnti IR e IC per mezzo delle relazioni:
IR = VAB e IC = VAB .
R - j XC
ZA = Z AB Z AC , Z AB = Z A Z B + Z B Z C + Z A Z C ,
Z AB + Z AC + Z BC ZC
ZB = Z AB Z BC , Z BC = Z A Z B + Z B Z C + Z A Z C , (7.73)
Z AB + Z AC + Z BC ZA
ZC = Z AC Z BC , Z AC = Z A Z B + Z B Z C + Z A Z C .
Z AB + Z AC + Z BC ZB
A A
ZA
Z AB
B Z AC B O
ZB
Z BC
C C
ZC
Esempio 6 - Calcolare l’impedenza vista dai terminali A-B del bipolo mostrato
in figura, assumendo R = 6 Ω, XL = 4 Ω e XC = 4 Ω.
R XL
R XC
A R B
Per trovare l’impedenza equivalente vista dai terminali A-B si potrebbe procedere
in diversi modi; noi riteniamo che la via più semplice sia quella di trasformare il
130 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
R + j XL R - j XC R2 - j2 XL XC + j R XL - j R XC
Z AB = R + 3 3 =R+ 9 3 3 =
3 2R + j XL - XC 3 2R + j XL - XC
3 3
R2 + X L XC + j R XL - XC
=R+ 9 3 .
3 2R + j XL - XC
3
Avete notato come abbiamo eseguito la moltiplicazione tra due numeri complessi?
Siamo abituati a trasformare i fattori in forma polare e poi eseguire la
moltiplicazione; per sviluppare il calcolo precedente, abbiamo moltiplicato due
numeri complessi usando le regole algebriche cui siete abituati e osservando che,
per definizione, è j2 = - 1, risulta:
(a + j b) (c + j d) = ac + j bc + j ad + j2 bd = ac - bd + j (bc + ad) .
R XL
3
R
A 3 B
R XC
3
R2 + X L XC
Z AB = R + 9 = 2 + 4 + 16 = 7 .
3 2R 4
3
131 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
R
XC
A
C
B
XL
XL XC + j R XL - XC
Z AB = = R 1 - XL + j XL = 5 + 2 j ,
- j XC XC
XL XC + j R XL - XC XL XC
Z BC = = + j XL - XC = 0.8 - 2 j ,
R R
XL XC + j R XL - XC
Z AC = = R 1 - XC - j XC = - 10 - 4 j .
j XL XL
Osservando con attenzione i risultati ottenuti, peraltro evidenziati nella figura che
segue, si nota che l’impedenza Z AC ha una parte reale negativa pari a - 10 Ω.
Questo fatto non deve turbarci più di tanto dato che le trasformazioni imposte ci
dicono che se chiudiamo in una scatola i due elementi a tre morsetti, quello a stella
e quello a triangolo, non sono distinguibili per mezzo di esperimenti eseguiti
dall’esterno di questa scatola. Il secondo ha in un ramo una resistenza negativa che
nei corsi di Elettronica imparerete a realizzare. Ci basti qui sottolineare che una
resistenza negativa, fatta ovviamente su essa la convenzione dell’utilizzatore, si
comporta come un generatore.
132 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
- 10
A
5 4
2
2
0.8
B
vR(t)
1 + − 2
+ +
R
e(t) L vL(t)
− C
−
0 − + i(t) 3
vC(t)
e(t) = EM 2 sen(ωt + α) ,
E = E M ∠α = E M , α .
Dopo avere eseguito le normali operazioni di rito sulle tensioni e correnti relative
a ciascun bipolo, possiamo scrivere la LKT all’unica maglia che costituisce la rete:
Ora, detto I il fasore che rappresenta la corrente che attraversa le tre impedenze,
quest’ultima relazione, introducendo le caratteristiche dei diversi bipoli, diventa:
- E + R I + j XL I - j XC I = 0 → I = E =E, (7.74)
R + j XL - XC Z
Z = R + j XL - XC = R2 + XL - XC 2
,ϕ (7.75)
XL = ω L e XC = 1 .
ωC
ϕ = arctan XL - XC . (7.76)
R
Il diagramma vettoriale del circuito RLC serie è molto semplice: si comincia col
disegnare il vettore rappresentativo della corrente. La somma della caduta di
134 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
VL = j XL I VL = j XL I
VR = R I
E
I
ϕ<0
ϕ>0
I
E
VR = R I
VC = - j XC I VC = - j XC I
(a) (b)
Figura 7.27: diagramma fasoriale del circuito RLC con un carico di tipo
ohmico-induttivo (a) e ohmico-capacitivo (b).
Resta da esaminare l’ultimo caso, quello in cui XL = XC. In tal caso il diagramma
vettoriale assume la caratteristica forma descritta in Figura 7.28. In pratica, le
cadute induttive e capacitive si compensano reciprocamente con il risultato che, al
generatore, il carico appare puramente resistivo. L’impedenza complessiva si
riduce alla sola resistenza e possiede, quindi, soltanto la parte reale.
È questo il fenomeno della risonanza che esamineremo in dettaglio nel prossimo
capitolo.
135 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
VL = j XL I
E = VR = R I
I
ϕ=0
VC = - j XC I
E = EM = 5 V ,
XL = ω L = 2 Ω , XC = 1 = 1 Ω .
ωC
Z = R + j XL - XC = 1 + j (2 - 1) = 1 + j = 2 ,π .
4
= 5 ,-π ,
E 5, 0
I= = 5 =
R + j XL - XC 1 + j 2 , π/4 2 4
Esempio 8
* Circuito RLC serie
R1 1 2 1
L1 2 3 2m
C1 3 0 1m
VE 1 0 AC 7.071 -90
.AC LIN 1 159.15 159.15
.PRINT AC VM(1,2) VP(1,2)
.END
Provate ora a risolvere da soli lo stesso circuito, usando per il condensatore due
diversi valori: C = 1/3 mF e C = 1/2 mF. Troverete i risultati che vi riassumiamo
nella tabella che segue.
C mF XL Ω XC Ω i(t) A
1/3 2 3 5 sen(1000 t - π/4)
1/2 2 2 5 2 sen(1000 t)
Prima di terminare questo paragrafo, vogliamo sottolineare che le stesse cose dette
per il circuito RLC serie si possono adattare per quello parallelo, mostrato in
Figura 7.29.
137 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
j(t) v(t) R L C
Y=G+jB= 1 + 1 - 1 = 1 +j 1 - 1 . (7.77)
R j XL j XC R XC XL
Gli strumenti in corrente alternata si usano come quelli in corrente continua con la
sola differenza che essi misurano non il valore istantaneo della grandezza
sinusoidale, ma il suo valore efficace. Così, un voltmetro che, operando in regime
sinusoidale, deve misurare la tensione
V0 = 8 V .
Per essere quanto più possibile chiari, consideriamo la porzione di rete mostrata in
Figura 7.30: nel nodo N convergono tre rami e le correnti che interessano ciascun
lato soddisfano la LKC al nodo. Ammettiamo che esse valgano:
138 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I1 = 5 , I2 = 5 , π = 5 cos π + 5 j sen π = 5 j , I3 = 10 , - π = 5 - 5 j .
2 2 2 2 4
i2(t) i2(t)
A
N A N
i1(t) i1(t)
A
i3(t) i3(t)
- I1 + I2 + I3 = 0 → I1 = I2 + I3 .
Se, ora, inseriamo tre amperometri come mostrato in Figura 7.30, essi ci
forniranno le indicazioni dei tre valori efficaci
I1 = 5 , I2 = 5 , I3 = 10 = 5 2 ,
2
che non verificano la LKC al nodo, dato che il valore efficace della somma non
coincide con la somma dei valori efficaci
I1 ≠ I2 + I3 .
Allora fate attenzione: le LK non valgono per i valori efficaci, esse valgono per le
grandezze sinusoidali, oppure per i fasori. Sottolineiamo ciò poiché gli strumenti
di misura delle tensioni e delle correnti in regime sinusoidale forniscono soltanto
l’indicazione del valore efficace della grandezza da misurare.
Ancora una osservazione prima di terminare il paragrafo. Guardate con attenzione
la Figura 7.30: l’amperometro (ma la stessa cosa potrebbe dirsi per un voltmetro)
ha perduto, rispetto agli strumenti che abbiamo utilizzato in regime stazionario,
139 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V= V,ϕ , I= I,0 .
V,ϕ
Z=V= = V,ϕ , (7.79)
I I , 0 I
140 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
in cui la fase ϕ coincide pure con la fase dell’impedenza. Come abbiamo già
evidenziato in precedenza, può accadere che questa fase ϕ sia:
p(t)/(VI)
2
1.5
0.5
0 ωt
-0.5 ϕ=π
3
-1
0 1 2 3 4 5 6 7
T = 2π
ω ,
π =T.
T * = 2π = ω
2ω 2
142 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Questo termine oscillante ha valor medio nullo. Per comprendere fino in fondo il
significato di questa affermazione, sempre nel caso particolare ϕ = π/3, facciamo
un grafico della sola parte oscillante.
cos(2ωt + ϕ)
1.5
+
0.5
0 ωt
-0.5
−
-1 ϕ=π
3
-1.5
0 1 2 3 4 5 6 7
cos(2ωt + ϕ) dt = 0 . (7.83)
0
Detta a(t) una qualsiasi grandezza periodica (di periodo T), si definisce valor
medio il seguente integrale:
Il valor medio di una grandezza sinusoidale (che noi abbiamo chiamato alternata) è
pari a zero poiché, in un periodo, le semionde positive descrivono un’area uguale
ed opposta a quella delle semionde negative.
Allora, la potenza media, detta anche potenza attiva, indicata con P, sarà:
T T
Come è lecito attendersi, la potenza attiva si misura in watt, o nei suoi multipli e
sottomultipli. Ci aspettiamo, pure, che per la potenza media valga, così come per
l’energia, un teorema di conservazione: la potenza attiva fornita dai generatori
deve essere eguale a quella utilizzata dagli utilizzatori.
Q = V I sen ϕ . (7.86)
Per la misura della potenze reattiva si usa una nuova unità: il volt-ampere-reattivo
(simbolo VAr). In realtà, nella introduzione di questa nuova unità di misura per la
potenza reattiva, non vi è nulla di magico: si tratta soltanto di un nuovo nome,
adoperato per distinguere le potenze attive da quelle reattive. Badate bene, però,
che, a differenza di quella attiva, la potenza reattiva può essere sia positiva che
negativa poiché il seno, nell’intervallo - π/2 ≤ ϕ ≤ π/2, cambia segno.
Anche la potenza reattiva si conserva. Pertanto, la potenza reattiva erogata dai
generatori presenti nella rete è uguale a quella assorbita dalle diverse impedenze
che costituiscono il circuito. Il fatto che la potenza reattiva sia una grandezza che
144 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
si conservi può essere di grande utilità nella risoluzione delle reti. Si consideri,
per esempio, il caso di due carichi in parallelo di cui siano note le potenze attive e
reattive assorbite da ognuno di essi; si può affermare che il complesso dei due
carichi è equivalente ad un unico carico che assorbe una potenza attiva e reattiva
che sono la somma algebrica (la potenza reattiva può essere negativa!) delle
rispettive potenze dei singoli carichi.
Come vedremo meglio quando studieremo i campi elettrici e magnetici, una
potenza reattiva non nulla in una rete è indubbiamente indice della presenza di
energie immagazzinate associate al campo elettrico o al campo magnetico.
P=P+jQ. (7.87)
*
VI = V,ϕ I,0 = VI,ϕ =A =P+jQ, (7.89)
* *
P = V I = Z I I = Z I2 , (7.90a)
cioè la potenza complessa è pari al prodotto del numero reale I2, per la quantità
complessa Z. In maniera simile possiamo scrivere che
* * * 2
P=V I =V V =VV = V . (7.90b)
* *
Z Z Z
P = R I 2 e Q = ± X I2 .
Dato che, come sottolineato in precedenza, sia la potenza attiva, sia quella reattiva
si conservano, allora anche la potenza complessa si conserva: le potenze complesse
erogate dai generatori sono, pertanto, pari a quelle assorbite dai carichi.
Le formule (7.90) mostrano che, anche nel calcolo delle potenze, tra corrente
continua e corrente alternata esiste uno stretto legame. E sarà proprio questo
legame a fornirci una maniera per interpretare in termini fisici il valore efficace
di una grandezza sinusoidale. Consideriamo un resistore R che, in corrente
continua, sia attraversato da una corrente di valore I. Come sappiamo, la potenza
P = R I2 assorbita dal resistore si trasforma in calore per effetto Joule. Se, invece,
lo stesso resistore funziona in regime sinusoidale, valendo formalmente la stessa
relazione in cui, però, I rappresenta il valore efficace, possiamo concludere che il
valore efficace rappresenta il valore che ha una corrente continua che, circolando
nello stesso resistore, genera, per effetto Joule, la stessa quantità di calore.
146 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
|P| = P2 + Q 2 .
|P| = P2 + Q2
Q
ϕ
C
1 2
+ iG(t) +
e(t) R v0(t) j(t)
− i(t) −
0
147 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
XC = 1 = 1 = 5 kΩ ,
ω C 200 10-6
e(t) = E 2 sen(ωt) → E = E ;
I - J - IG = 0 nodo 2 ,
- E - j XC IG + R I = 0 maglia E - XC - R .
I = E - j XC J = 0 , IG = E - R J = 0.002 j .
R - j XC R - j XC
PE = E IG* = - 0.02 j , PJ = V0 J * = 0 .
PC = - j XC I2G = - 0.02 j , PR = R I2 = 0 .
PE + PJ = PC + PR ,
richiede la stampa nel file di uscita dei moduli delle sue tensioni V1 e V2 (sempre
riferite al potenziale di riferimento).
Esempio 9
*Conservazione delle potenze
C0 1 2 1u
R0 2 0 5k
VE 1 0 AC 14.142 -90
IJ 0 2 AC 2.8284m 180
.AC LIN 1 31.83 31.83
.PRINT AC VM(1) VM(2)
.END
Controllate con cura i risultati ottenuti nel file di uscita; il modulo VM(2) non è
rigorosamente nullo, a causa dei dati approssimati che abbiamo immesso, ma
quasi!
Ancora due relazioni che ci torneranno più volte utili nel seguito.
Consideriamo un condensatore. Come sappiamo, esso assorbe una potenza reattiva
pari a
2
QC = - V = - ω C V2 .
XC
149 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Come per la funzione seno, anche la funzione seno al quadrato assume un valore
massimo che è pari ad uno. Allora, il valore massimo di energia è dato da
UC-max = C V2 ,
ed allora
2
QC = - V = - ω C V2 = - ω UC-max .
XC
QL = ω L I2 = ω UL-max ,
Vale la pena notare, a conclusione di questo lungo paragrafo, che la misura della
potenza attiva P può essere realizzata per mezzo di un wattmetro. Nel primo
capitolo abbiamo mostrato come questo strumento a quattro morsetti si inserisca
su un carico per misurarne la potenza. Per la verità, in quella sede, dicemmo che
il wattmetro misurava la potenza istantanea; questa affermazione non è del tutto
corretta dato che, per motivi che saranno chiariti più compiutamente quando
studieremo le misure, il dispositivo non riesce a seguire le variazioni istantanee
della p(t) e, pertanto, la misura si attesta sul suo valore medio, cioè la potenza
media.
150 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I=5A +
+
W P = R I2 = 1 ⋅ 52 = 25 W
+ I
V Z=1+2j
−
7.9 Esempi
2 iL(t) R 1
+
L C e(t)
−
iC(t)
3 R 0
XL = ω L = 20 Ω e XC = 1 = 10 Ω ,
ωC
si ha immediatamente:
Z = - j XC || 2R + j XL = XL XC - 2 j R XC = 5 - 15 j .
2R + j XL - XC
Per calcolare la corrente che fluisce nel condensatore, non è necessario ricorrere
al metodo simbolico dato che la tensione che insiste ai suoi capi è proprio quella
del generatore e(t), ed allora:
Per calcolare la corrente che fluisce nel ramo dell’induttore, ricorrendo ai fasori,
si ha:
e(t) = 10 sen(1000 t) → E = 10 .
2
Risulta allora:
IL = E = 10/ 2 = 1 , - arctg 2 .
2R + j XL 10 + 20 j 10
E
63.435°
IL
Riflettete sulla rapidità ed efficacia di calcolo consentite dal metodo simbolico, che
ha eliminato le relazioni differenziali dei bipoli a memoria, sostituendole con
relazioni algebriche.
Esempio 10
*Circuito in corrente alternata
R0 1 2 5
R1 3 0 5
L0 2 3 20m
C0 1 0 0.1m
VE 1 0 AC 10 -90
.AC LIN 1 159.155 159.155
.PRINT AC IM(L0) IP(L0)
.END
153 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Esempio 11 - Determinare le correnti che fluiscono nei tre rami della rete
mostrata in figura, sia come fasori che nel dominio del tempo.
C
1 R 3 2
i3(t)
+ +
e1(t) L e2(t)
− −
i1(t) i2(t)
XL = ω L = 5 Ω e XC = 1 = 5 Ω .
ωC
Poniamo poi:
e1(t) → E 1 = E , e2(t) → E 2 = - j E = - 10 j .
Per stabilire la fase del secondo generatore, si è fatto uso della notevole identità
trigonometrica (vedi l’appendice):
154 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
- cos α = sen α - π .
2
E 1 = R I1 + j XL I3 ,
E 2 = - j XC I2 + j XL I3 ,
I1 + I2 = I3 ,
E 1 = R I 1 + j X L I 1 + I 2 = R + j XL I 1 + j X L I 2 ,
E 2 = - j XC I2 + j XL I1 + I2 = j XL I1 + j XL - XC I2 .
I1 = - 2 = 2 , π ,
I2 = 2 - 4 j = 2 5 , - ϕ , (ϕ = arctg 2 ≅ 1.107)
I3 = - 4 j = 4 , - π ,
2
i1(t) = 2 2 sen(1000t + π) ,
i2(t) = 2 10 sen(1000t - ϕ) ,
i3(t) = 4 2 sen(1000t - π/2) .
Operiamo, come d’abitudine, un controllo dei risultati ottenuti per mezzo di Spice.
Esempio 11
*Circuito in alternata
R1 1 3 5
C1 2 3 0.2m
L1 3 0 5m
155 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Vediamo, poi, come si applicano i metodi dei potenziali nodali e delle correnti di
maglia.
L2 j(t) L1
4 3 2
i(t)
R3 C0 R2
5 0 1
R4 R1
Questo esercizio verrà risolto sia adoperando il metodo dei potenziali nodali, sia
adoperando quello delle correnti di maglia. Cominciamo, come sempre, col
calcolare le reattanze
XL = ω L = 1 Ω e XC = 1 =1 Ω,
ω C0 2
j(t) = I 2 cos(ωt) → J = I = 2 A .
Potenziali nodali
I1 = V3 - V1 , I2 = V3 - V5 , I3 = - V1 , I4 = - V5 , I = j V3 ,
R + j XL R + j XL R R XC
V3 - V1 + V3 - V5 + j V3 = J ,
R + j XL R + j XL XC
V3 - V5 = 1 J + V5 ,
R + j XL 2 R
V3 - V1 = 1 J + V1 .
R + j XL 2 R
V1 = - 1 - 1 j , V3 = 1 - 1 j , V3 = - 1 - 1 j .
2 2 2 2 2 2
I = 1 + j = 2 , π/4 ,
Correnti di maglia
Scegliendo come incognita le due correnti di maglia indicate nella figura seguente,
e scelti (in maniera del tutto arbitraria) i percorsi delle correnti impresse dai
generatori (noi abbiamo diviso la corrente J in due metà, ciascuna passante
attraverso un resistore), possiamo scrivere il seguente sistema:
R + j XL J1 + J/2 + R J1 - j XC J1 + J2 = 0 ,
R + j XL J2 + J/2 + R J2 - j XC J1 + J2 = 0 .
158 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
J
XL XL
I
R J1 J2 R
XC
0.5 J R R 0.5 J
J1 = J2 = - 1 - 1 j .
2 2
A questo punto, non è difficile mostrare che la corrente è ancora una volta pari al
risultato ottenuto in precedenza; basta porre:
I = - J1 - J2 .
Esempio 12
*Ancora un circuito in regime sinusoidale
R1 0 1 1
R2 1 2 1
L1 2 3 5m
C0 3 0 10m
L2 3 4 5m
R3 4 5 1
R4 5 0 1
I1 5 3 AC 1.414 0
I2 1 3 AC 1.414 0
.AC LIN 1 31.83 31.83
.PRINT AC IM(C0) IP(C0)
.END
L
A
+
e(t) R
−
B
XL = ωL = 20 Ω , XC = 1/(ωC) = 10 Ω ,
j R XL - XC
Z E = R || j XL - XC = = 100 j = 5 (1 + j) .
R + j XL - XC 10 + 10 j
Ponendo poi:
E = E = 100 V ,
E0 = E R = 1000 = 50 (1 - j) .
R + j XL - XC 10 (1 + j)
160 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I0 = E = 100 = - 10 j .
j XL - XC 10 j
XL
A
+
E R I0
−
B
XC
Z E = E 0 = 50 (1 - j) = 5 (1 + j) .
I0 - 10 j
i(t)
+
e(t) C R j(t)
−
Nella rete sono presenti due generatori che funzionano a due frequenze diverse: il
generatore di tensione che opera in regime stazionario, erogando una tensione
continua; quello di corrente lavora in corrente alternata. È, pertanto, necessario
applicare la sovrapposizione degli effetti, facendo funzionare un generatore per
volta.
I0
+
e(t) R
−
I0 = E = 5 A .
R
XL = ωL = 1 Ω , XC = 1/(ωC) = 2 Ω ,
ed anche
Z = jXL || -jXC = XL XC = 2 j ,
j XL - XC
iA(t)
C R j(t)
Tutto quello che abbiamo detto per i doppi bipoli in regime stazionario, vale, pur
di apportare le necessarie modifiche, in regime sinusoidale.
Cominciamo a convincerci che, in presenza dei generatori controllati, potete
adoperare i metodi che avete appreso nel Capitolo 5.
C r i(t)
+ − i(t)
A
L R
XL = ω L = 60 Ω , XC = 1 = 25 Ω .
ωC
XC rI
+ −
A
+ IL
V0 XL R
− I
B
Come si vede, siamo passati nel dominio dei fasori, e abbiamo collegato alla rete
un generatore di tensione, rappresentato dal fasore V0. L’impedenza equivalente
vista dai terminali A-B è definita dal rapporto:
Z E = V0 .
I0
Per la linearità della rete, essa non dipende dalla tensione di alimentazione scelta.
Applicando le leggi di Kirchhoff, si ha immediatamente:
164 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
IL = I0 + I ,
j X L IL = - R I ,
V0 = - j XC I0 + r I + j XL IL .
Eliminando ora la corrente IL, il sistema si riduce a uno di ordine più basso:
j X L I0 + I = - R I ,
V0 = - j XC I0 + r I + j XL I0 + I .
j XL I ,
V0 = - j XC I0 + R - r 0
R + j XL
Z E = V0 = - j XC + R - r j X L = 20 - 15 j .
I0 R + j XL
R0
I1 I2
1 2
+ +
R L
V1 C V2
− −
1' 2'
I1 I2
XL = ω L = 2 Ω e XC = 1 = 1 Ω .
ωC
V1 = Z 11 I1 + Z m I2 ,
V2 = Z m I1 + Z 22 I2 .
Z 11 = V1 .
I1 I2 = 0
R R0 + j XL
Z 11 = - j XC + R || R0 + j XL = - j XC + =6-3j.
R + R 0 + j XL 5 5
In maniera del tutto analoga, si verifica che l’impedenza vista dalla porta 2,
quando la porta 1 è aperta, vale:
j XL R + R0
Z 22 = - j XC + R + R 0 || j X L = - j XC + =4+3j.
R + R 0 + j XL 5 5
Z m = V1 .
I2 I1 = 0
V1 = R I21 - j XC I2 ,
j XL
I21 = I2 .
R + R 0 + j XL
R0 I21
I1 = 0 I2 2
1
+ +
R L
V1 C V2 I2
− I2 −
1'
I1 = 0 I2 2'
j R XL
Z m = - j XC + =2-1j.
R + R 0 + j XL 5 5
Provate ora voi a verificare che allo stesso risultato si sarebbe arrivati anche
utilizzando l’altra definizione della mutua impedenza:
Z m = V2 .
I1 I2 = 0
R0
I1 I2 2
1
+
R L
V1 C V2 = 0
−
1'
I1 I2 2'
167 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Y11 = I1 .
V1 V2 = 0
Y11 = 1 + 1 =3 +1j.
R0 R + -jXC || jXL 4 4
Ym = - 1 + 1 j , Y22 = 3 - 3 j .
4 4 4 4
V1 = H11 I1 + H12 V2 ,
I2 = H21 I1 + H22 V2 .
Gli elementi che definiscono questa rappresentazione hanno dimensioni diverse (da
ciò discende il nome ibrida):
H11 = V1 = 1 =6-2j.
I1 V2 = 0 Y11 5 5
H22 = I2 = 1 =4-3j.
V2 I1 = 0 Z 22 5 5
Un pochino più complicato è il calcolo dei due elementi H12 e H21. Cominciamo
con H12. Esso è definito come
168 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
H12 = V1 .
V2 I1 = 0
V1 = Z m I2 e V2 = Z 22 I2 .
H12 = Z m = 1 - 2 j .
Z 22 5 5
H21 = - H12 = - 1 + 2 j .
5 5
Un’ultima considerazione: l’esercizio appena svolto lascia intuire che tra gli
elementi delle diverse rappresentazioni di un doppio bipolo esiste una relazione.
Su molti manuali si forniscono tabelle con queste relazioni di collegamento. Qui si
vuole solamente sottolineare che, qualora si dovessero cercare più
rappresentazioni per un doppio bipolo, si tenti sempre di minimizzare il numero
di elementi da calcolare, tentando di adoperare quei legami che con un poco di
attenzione e di buon senso si intuiscono facilmente.
C
R
a:1
+
e(t)
R
− L
XL = ω L = 12.8 Ω e XC = 1 = 20 Ω .
ωC
Poniamo poi:
Z = a 2 R - j XC = 6.4 - 12.8 j .
I= E =1A.
R 1+ a2 + j XL - a2 XC
170 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
R I
+
E Z
− XL
P = E I * = 16.4 W .
Dovreste ricordare il giratore. Ebbene, rispetto alle cose che già sappiamo, il
giratore è un particolare doppio bipolo che consente di realizzare un induttore a
partire da un condensatore, e, dualmente, un condensatore a partire da un
induttore.
R i1(t) i2(t)
G
+ + +
e(t) v1(t) v2(t) L
− − −
i1 = G v2 ,
i2 = - G v1 ,
XC = 1 = 1 = 20 Ω .
ω C ω L G2
172 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
R i1(t)
+ +
e(t) v1(t) C
− −
I1 = E = 200 = 5 (1 + j) = 5 2 , π .
R - j XC 20 (1 - j) 4
i1(t) = 10 sen ωt + π ,
4
T
1
t=0 iR(t)
j(t) R L
iL(t)
Volendo rendere ancora più concrete le cose, assumiamo che j(t) = I 2 sen(ωt),
ω = 1 krad/s, I = 2 A, R = 1 Ω e L = 1 mH.
iL(0) = 0 A ,
Questo sistema, eliminando la corrente iR(t) dalla seconda equazione, può essere
ridotto ad un unica equazione differenziale
L diL + iL = j .
R dt
iL(0) = 0 ,
τ = L = 1 ms .
R
Già sapete che è difficile risolvere questo tipo di problema; qui ci limiteremo a
darvi la soluzione e farvela verificare con Spice, soluzione che si può scrivere
nella forma generale
ϕ = arctan(ωτ) = arctan 1 = π ,
4
La Figura 7.36 riporta sia la soluzione completa (a tratto pieno), sia il solo
termine sinusoidale (tratteggiato). Come è evidente, dopo un intervallo abbastanza
breve, i due andamenti sono indistinguibili. Sappiamo, infatti, che deve essere
I 2 sen(ωt - ϕ)
iL(t) ≅ dopo qualche tempo (diciamo 5 costanti di tempo) ,
1+ (ωτ)2
e questa corrente è proprio quella che calcoliamo con il metodo dei fasori.
Per convincere anche i più increduli tra voi, adoperiamo il metodo fasoriale per
risolvere l’esercizio.
0 t
τ
-1
-2 j(t) iL(t)
-3
0 2 4 6 8 10
Posto, allora,
176 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
j(t) = I 2 sen(ωt) → J = I = 2 A ,
= 2 ,-π .
R 1 2,0
IL = J =2 = 2 =
R+jωL 3
1 + j 10 10 -3 1+j 2 , π/4 2 4
iL(t) = 2 sen ωt - π .
4
Proprio in questa uguaglianza sta tutta la forza del metodo simbolico: esso ci
consente di ottenere le soluzioni di regime quando il circuito è forzato da soli
generatori sinusoidali, aventi tutti la stessa pulsazione, senza ricorrere al
complicato apparato di equazioni differenziali (che neppure conosciamo!). Esso,
in altri termini, è un metodo che consente di operare con le reti in regime
sinusoidale per trovare la soluzione per mezzo di tecniche algebriche nel campo
complesso.
Non ci resta che fornirvi il listato Spice per simulare la rete e controllare i
risultati riportati.
Esempio 13
*Transitorio con forzamento sinusoidale
IJ 1 0 SIN(0 2.8284 159.155 0 0)
R0 1 0 1
L0 1 0 1m
.TRAN 10u 10m
.PROBE
.END
2 2 ≅ 2.8284 ,
e frequenza
f = ω = 1000 Hz ≅ 159.155 .
2π 2π
I0 , per 0 ≤ t ≤ TD ;
iG(t) =
I0 + IA e- θ (t - TD) sen 2π f (t - TD) , per TD ≤ t ≤ TSTOP .
iG(t)
I0
2
1.5
0.5
0
TD TSTOP
Per non lasciare troppo nel vago le definizioni riportate, vi proponiamo la Figura
7.37 che li riassume tutti e che vi aiuta a ricordarli.
Galileo Ferraris si laureò in Ingegneria Civile a Torino alla fine del 1869, con una
tesi ‘Sulle trasmissioni telodinamiche di Hirn’, in cui si discuteva il tentativo di
trasmissione a distanza dell’energia meccanica mediante fili e carrucole.
Ferraris appartiene alla generazione immediatamente successiva a quella che era
stata protagonista diretta delle vicende del nostro Risorgimento. Suo maestro fu
Giovanni Codazza, allievo a sua volta di quell’Ottaviano Fabrizio Mossotti, che
aveva saputo accomunare, nel corso di una vita movimentata, un rigoroso impegno
179 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Tutto comincia col dire che l’angolo retto misura 90°. Il numero ‘90’ non ha nulla
di magico: è solo un numero convenzionale scelto per eseguire la misura. Ogni
misura, d’altra parte, ha bisogno di una unità la cui scelta, in qualche maniera, è
arbitraria. Seguendo questa strada, possiamo dire che un grado sessagesimale
181 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
(detto anche più semplicemente ‘grado’) altro non è se non la novantesima parte
dell’angolo retto.
La Figura A.1 mostra alcuni angoli e le rispettive misure in gradi che, siamo
sicuri, sono delle vostre ... vecchie conoscenze!
Per indicare gli angoli useremo le lettere dell’alfabeto greco e, per ricordarci che
stiamo misurando un certo angolo α in gradi, useremo il simbolo α°.
Nella pratica scientifica e tecnica, tuttavia, è molto diffusa anche un’altra unità di
misura: il radiante. La definizione del radiante è descritta in Figura A.2.
π = 3.14159265359 .
Pertanto, dato che un quarto di circonferenza è pari a πR/2, possiamo scrivere per
un angolo retto
π rad = 90° ,
2
182 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Tra la misura di un angolo in gradi e quella in radianti esiste una relazione che
può essere sintetizzata dalla semplice proporzione
α : α° = π : 180° ,
α = α° π , (A.1)
180°
α° = α 180° , (A.2)
π
α = 30° π =π.
180° 6
Alla stessa maniera provate che un angolo di 60° corrisponde π/3 radianti.
Invece, se abbiamo un angolo di π/4 radianti, siamo sicuri, in forza della formula
(A.2) che esso corrisponde a
α° = π 180° = 45° .
4 π
Allo stesso modo si può dire che un angolo di π/12 radianti può essere anche
espresso come
183 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
α° = π 180° = 15° .
12 π
Continuate ad esercitarvi sulle formule (A.1) e (A.2) con gli angoli di 36° e di
π/18 radianti.
α° = 1 180°
π ≅ 57.30° .
y
II I
α
α>0
O -α x
III IV
Per definire e calcolare le funzioni ‘sen t’, ‘cos t’ e ‘tan t’ [che si trovano scritte
anche nella forma ‘sen(t)’, ‘cos(t)’ e ‘tan(t)’] seguiamo il procedimento di seguito
proposto.
y
P
α
O Q x
y = sen x
- 2π -π 0 π 2π x
-1
y = cos x
-π π
- 2π 0 2π x
-1
• I valori di tan α sono da considerarsi positivi quando il punto P giace nel primo
e terzo quadrante del piano; negativi, invece, quando P giace nel secondo e quarto
quadrante. Essa è periodica di periodo π, cioè la metà del periodo del seno e del
coseno. Inoltre si tratta di una funzione che, nel primo quadrante assume valori
positivi, crescenti: in prossimità di π/2, assume valori grandissimi, al limite
infiniti. Nel secondo quadrante cresce partendo da valori negativi, e continua a
crescere nel terzo quadrante, ma assumendo valori positivi. Infine, nel quarto
quadrante, torna ad assumere valori negativi crescenti.
Vale la pena notare che, se consideriamo il rapporto tra le funzioni seno e coseno,
otterremo la funzione tangente. Dividendo membro a membro le formule (A.3) si
ha, infatti:
Questa ultima relazione mette in evidenza che, una volta note le funzioni seno e
coseno, anche la tangente è nota: basta fare il rapporto tra esse.
y = tan x
-π 0
π x
2 2
2 2
BH = 1 AB e AH = AB - BH = 3 AB ,
2 2
π
6
B C
H
ABH = 60° = π ,
3
Nella tabella che segue riassumiamo i valori delle funzioni trigonometriche per
alcuni angoli notevoli.
Infine, vale la pena sottolineare ancora una volta che la vostra calcolatrice calcola
le funzioni trigonometriche ... presto e bene.
Torniamo alle definizioni del seno e del coseno date dalle relazioni (A.3) che, di
seguito, riassumiamo per comodità:
sen α = PQ e cos α = OQ .
OP OP
2 2 2
PQ + OQ = OP .
2 2
PQ + OQ = 1 .
2 2
OP OP
Nel primo rapporto riconosciamo la definizione del seno, nel secondo quella del
coseno. Pertanto, otteniamo la cosiddetta identità pitagorica
che ci lascia intuire che nemmeno il seno e il coseno sono funzioni del tutto
indipendenti. In tal modo, se conosciamo, ad esempio, che
sen π = 3 ,
3 2
In realtà, davanti alla radice quadrata avremmo dovuto mettere due segni, il più e
il meno; il segno meno è stato scartato dato che, nel primo quadrante, tanto il
seno, quanto il coseno sono numeri positivi.
Sviluppiamo il prodotto tra questi due numeri sia in forma polare, sia in forma
cartesiana. Cominciamo con quella polare:
Uguagliando le parti reali e quelle immaginarie dei due numeri complessi (A.6) e
(A.7),, si ottengono le cosiddette formule di addizione del seno e del coseno:
sen 75° = sen(45° + 30°) = sen 45° cos 30° + cos 45° sen 30° =
= 1 3 + 1 1= 3+1 .
2 2 2 2 2 2
La stessa cosa, ripetuta sulle formule di addizione e sottrazione del seno, invece,
fornisce:
sen π = 1 e cos π = 0 ,
2 2
possiamo scrivere:
Capitolo 8
8.1 Introduzione
8.3 Rifasamento
Sommario
8.1 Introduzione
Nel capitolo precedente abbiamo visto che in un circuito RLC serie (Figura 8.1),
alimentato da un generatore di f.e.m. sinusoidale, si può verificare la condizione
per cui la caduta capacitiva compensa perfettamente la caduta induttiva, e il
circuito appare al generatore come puramente ohmico.
195 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
XL = X C → ω L = 1 → ω2 = 1 → ω0 = 1 , (8.1)
ωC LC LC
f0 = ω 0 = 1 . (8.2)
2π 2π LC
vR(t)
1 + − 2
+ +
R
e(t) L vL(t)
− C
−
0 − + i(t) 3
vC(t)
Siamo dunque nella già menzionata condizione di risonanza tra la frequenza del
forzamento e quella propria del sistema. Un circuito di tal genere è detto anche
circuito risonante. In esso, la tensione erogata dal generatore, che, in generale, è
somma delle tre tensioni del resistore, dell’induttore e del condensatore, si riduce
ad essere uguale alla sola tensione del resistore perché le altre due si compensano
perfettamente, essendo uguali ed opposte. Quindi possiamo concludere che
l’impedenza diventa un numero complesso puramente reale, privo della parte
immaginaria (reattanza nulla), simbolicamente:
Z = R + j XL - XC → ℑ Z =0.
Sia nel caso della risonanza serie, sia in quello della risonanza parallelo che
esamineremo tra poco, bisogna tener presente che abbiamo assunto di essere a
regime (sinusoidale). Ciò comporta che, in tempi lontani, di cui si è perduto ogni
traccia, il generatore è stato collegato alla rete per mezzo di un interruttore che ha
portato all’attuale situazione di regime. Durante il transitorio, il generatore ha
fornito al complesso dei due elementi con memoria presenti nella rete una certa
quantità di energia; d’altra parte, da quanto dicemmo nel Capitolo 6, sappiamo che
l’energia immagazzinata nel condensatore è proporzionale al quadrato della
tensione su di esso, mentre quella nell’induttore è proporzionale al quadrato della
corrente che lo attraversa. Allora, se tensione e corrente non sono in fase, ma in
quadratura, come nel nostro caso, accadrà che quando l’energia elettrica associata
al condensatore è massima, quella magnetica associata all’induttore è nulla e
viceversa. Se poi in particolare tali energie massime sono uguali, una volta
raggiunto il regime si assisterà ad un periodico scambio di energia tra campo
elettrico e campo magnetico che vede completamente estraneo il generatore, che
dovrà solo occuparsi di fornire la potenza dissipata nel resistore.
VL = j XL I
E = VR = R I
I
ϕ=0
VC = - j XC I
Il fenomeno della risonanza può essere visto anche da un altro punto di vista,
molto importante anche per le applicazioni, specialmente nel campo dei circuiti:
esso è caratteristico di qualsiasi sistema che abbia la capacità di oscillare su
frequenze proprie. Vediamo di capire cosa ciò significhi continuando l’esame del
circuito di Figura 8.1. Supponiamo di poter disporre di un generatore di tensione
a frequenza variabile, che, come d’abitudine, rappresenteremo per mezzo della
funzione sinusoidale
e(t) = E 2 sen(ωt) → E = E .
Questa volta dobbiamo immaginare che vi sia sul generatore di tensione ‘una
manopola’ che consenta di variare a piacimento la frequenza che esso eroga.
Introducendo il numero complesso che rappresenta l’impedenza
Z = R + j XL - XC = R2 + XL - XC 2
, arctan XL - XC = Z(ω) , ϕ(ω) ,
R
possiamo, per ciascuna frequenza, calcolare il valore del fasore della corrente
I= E = E = I(ω) , - ϕ(ω) ,
R + j XL - XC Z(ω) , ϕ(ω)
I= E = I(ω) . (8.3)
2 2
R + XL - XC
Nella formula (8.3) abbiamo esplicitamente, con il simbolo I(ω), messo in evidenza
che il modulo della corrente dipende, per la presenza delle due reattanze, dalla
pulsazione di funzionamento (notate pure che il modulo E del generatore di
tensione non dipende dalla pulsazione). Cerchiamo di essere ancora più chiari e di
esplicitare questa dipendenza dalla pulsazione. Dato che (ω0 = 1/ LC )
ω ω L - ω0 1 =
XL - XC = ω L - 1 = ω L ω - ω0 ,
ωC ω ω0 C C ω0 ω
0
0
I(ω) = E . (8.4)
R2 + L ω - ω 0
2
C ω0 ω
Q= 1 L (8.5)
R C
L = R2 Q2 ,
C
che, sostituito nella (8.4), ci consente di scrivere il modulo della corrente nella
nuova forma:
F(ω)
1.2
0.8 Q=5
0.6
0.4
0.2
ω
0 ω0
0 1 2 3 4 5
ϕ(ω)
2
1.5
1
0.5
ω
0 ω0
-0.5
-1
Q=5
-1.5
-2
0 1 2 3 4 5
Come era prevedibile (Figura 8.4), per frequenze inferiori a quella di risonanza il
circuito si comporta globalmente come un carico prevalentemente capacitivo:
l’impedenza offerta dal condensatore prevale e la fase ϕ(ω) vale circa
- π/2 ≅ - 1.57. Per frequenze invece superiori a quella di risonanza, il carico è
prevalentemente induttivo, e la fase della corrente tende, piuttosto lentamente, a
π/2 ≅ 1.57. Alla frequenza di risonanza, come già sappiamo, il carico si comporta
come se fosse puramente resistivo; quindi, per ω = ω0, la fase della corrente vale
zero.
Le cose più interessanti si scoprono facendo variare il fattore di qualità del
circuito. All’aumentare di esso, la curva di risonanza diventa sempre più ripida
nell’intorno della frequenza di risonanza e stretta (Figura 8.5). Si usa anche dire
che essa è sempre più ‘piccata’ attorno alla frequenza di risonanza.
Osservando la Figura 8.5, si conclude immediatamente che, al crescere del valore
di Q, le cosiddette caratteristiche filtranti del circuito si accentuano. Si dice che un
circuito si comporta da filtro, se lascia ‘passare’ di preferenza un determinato
intervallo di frequenze (banda), e attenua tutte le altre. Per essere ancora più
chiari, consideriamo la curva corrispondente al caso Q = 10 di Figura 8.5; se
supponiamo che il nostro generatore di tensione lavori ad una pulsazione molto
più grande (oppure molto più piccola) rispetto alla pulsazione di risonanza,
possiamo dire che, con buona approssimazione, la funzione F(ω), che rappresenta
la corrente, è pressoché nulla.
Per far circolare una corrente significativa nel circuito, bisogna che esso operi o
in condizioni di risonanza (in cui abbiamo un massimo), oppure in un suo intorno,
cioè un poco prima o un poco dopo. Questo intervallo di frequenze utili si chiama
in gergo banda. In ultima analisi, la banda rappresenta un intervallo di pulsazioni
(o di frequenze) entro cui la curva della funzione F(ω) si mantiene al di sopra di
un prefissato valore di soglia.
Ad esempio, assumiamo come banda (conosciuta come banda a tre decibel, o banda
a 3 dB) l’intervallo di frequenze entro cui la funzione F(ω) si trovi sempre al di
sopra del valore 1/ 2 . Incontrerete certamente altre definizioni della banda nel
corso dei vostri studi.
Dato che un grafico vale più di mille parole, abbiamo riportato in Figura 8.6 la
definizione di banda (detta talvolta anche banda passante) che è, dunque, da
intendersi come l’intervallo di frequenze pari a
banda → ∆f = ω 2 - ω 1 . (8.8)
2π
201 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
F(ω)
1.2
1
Q=1
Q=5
0.8 Q = 10
0.6
0.4
0.2
ω
ω0
0
0 1 2 3 4 5
Si potrebbe dimostrare che la banda, indicata nella (8.8) con il simbolo ∆f, per un
circuito RLC serie caratterizzato da un fattore di merito elevato, è data dalla
formula:
∆f = ω 0 . (8.9)
2π Q
E R = P T = R I2 T = 2π R I 2 . (8.10)
ω0
F(ω)
1.2
1
1 ≅ 0.707
0.8 2
0.6
0.4
0.2
ω
0
0 ω1 1 ω2 2 3 4 5
UL-max = L I2 . (8.11)
Consideriamo, allora, il rapporto tra queste due energie, facendo il rapporto tra la
(8.11) e la (8.10):
= UL-max = ω0 L = 1 L = 1 1 L = Q .
ER 2π R 2π R LC 2π R C 2π
203 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
In ultima analisi possiamo dire che se il fattore di merito è elevato vuol dire che
gli elementi a memoria immagazzinano molta energia o che il resistore ne dissipa
poca; se la cifra di merito è piccola, allora o il circuito immagazzina poca energia,
oppure ne dissipa molta nel resistore.
QL = XL I2 = ω L I2 = ω UL-max .
2
QC = - VC = - ω C V2C = - ω UC-max .
XC
Tra le tantissime applicazioni che sfruttano il fenomeno della risonanza nelle reti
elettriche, tutte di importanza notevole, dobbiamo ricordare il circuito di sintonia
di un apparecchio radiofonico o televisivo. Quando ruotiamo la manopola della
sintonia di un ricevitore non facciamo altro che modificare la capacità di un
circuito risonante, e quindi variamo la sua frequenza di risonanza, in modo tale da
selezionare l’opportuna banda che desideriamo filtrare.
R A
+
e(t) L j(t)
−
B
C
Assumiamo che e(t) = 10 2 sen(ω 0t), j(t) = 400 sen(ω0t - π/4), L = 5 nH, C = 2 µF.
VL = ω 0 L I = ω 0 L E = 40 E ,
R
R = ω 0L = 1.25 mΩ .
40
I R A
I+J
+
E XL J
−
B
XC
E = R I + j XL I + J - j XC I = R I + j XL J ,
PJ-ero = PE + j QE = VAB J * ,
VAB = j XL I + J = 410 + 10 j .
In definitiva
ovvero PE = 80 kW e QE = 84 kVAr.
Del tutto equivalente è il caso del circuito RLC parallelo, a volte detto anche
circuito antirisonante (Figura 8.7).
i(t) v(t) R L C
−
In esso la corrente erogata dal generatore, che è somma delle tre correnti
rispettivamente nel resistore, nell’induttore e nel condensatore, si riduce ad essere
uguale alla sola corrente nel resistore perché le altre due si compensano
perfettamente, essendo uguali ed opposte.
IL = V
j XL
V= R I
I
IC = V
- j XC
I = IR + IL + IC ,
da cui discende immediatamente che pulsazione, come nel caso di circuito serie già
esaminato, vale
IL + IC = 0 → V - V = 0 → XL = XC → ω0 = 1 .
j XL j XC LC
IL = - IC = V = R I = R LC I = R I C ,-π ,
j XL j ω 0 L jL L 2
Prima di procedere oltre esaminiamo le affinità con il circuito serie. Diremo che
il circuito è in condizioni di antirisonanza quando l’ammettenza diventa un numero
complesso puramente reale, privo della parte immaginaria (suscettanza nulla),
simbolicamente:
Y = 1 + j BC - BL → ℑ Y =0.
R
Energia / U0 U0 = C R2 I2
1.2
Totale
1
0.8
0.6
0.4 L C
0.2
0 ω0t
0 1 2 3 4 5 6
sen2 x + cos2 x = 1 ,
concludiamo che l’energia totale immagazzinata nei due bipoli è costante nel tempo
e vale:
1 R 2
+
e(t) L C
−
i(t) 0
I(ω) = E 1 ,
R 1+ Q2 ω2
2
ω2 - ω20
Q= 1 L .
R C
RLC serie che si comporta come un ‘passa banda’. Domandatevi, infine: cosa
succede se cambia il fattore di merito?
R I(ω)
E
1
0.8
0.6
0.4
Q=1 ω0 = 1 krad/s
0.2
ω
ω0
0
0 1 2 3 4 5
Esempio 2
*Analisi in frequenza di una rete
VE 1 0 AC 1 0
R0 1 2 1
L0 2 0 1m
C0 2 0 1m
.AC LIN 1001 0.1 1000.1
.PROBE
.PRINT AC I(R0)
.END
211 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
In termini più semplici, Spice risolve 1001 volte il circuito: la prima volta alla
frequenza di 0.1 Hz, la seconda a 1.1 Hz, la terza a 2.1 Hz, e così via fino a
1000.1 Hz.
8.3 Rifasamento
È sotto gli occhi di tutti che il trasporto dell’energia elettrica, dai luoghi di
produzione fino a quelli di utilizzazione, avviene per mezzo di lunghe linee (che,
come vedremo più avanti sono di tipo trifase), lungo le quali l’energia viaggia per
molte centinaia di chilometri nel nostro paese, attraversandolo da nord a sud.
Uno dei pregi maggiori dell’energia elettrica è la trasportabilità, cioè il fatto che
essa viene portata dai luoghi di generazione (dalle cosiddette centrali) a quelli di
utilizzazione (le nostre case, i luoghi di lavoro, e così via) senza apprezzabili
212 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I
V
+
ϕ
V Z
− I
Quando studieremo gli impianti elettrici ci renderemo conto meglio del fatto che,
allo scopo di ridurre le perdite per effetto Joule, è conveniente realizzare una
trasmissione dell’energia elettrica che impegni correnti di valore quanto più basso
possibile. Allora, per comprendere in maniera semplice come ciò possa
realizzarsi, consideriamo un generico utilizzatore, mostrato in Figura 8.10, che
per funzionare correttamente ha bisogno che il valore efficace della tensione ai
suoi capi sia fissato.
La maggior parte delle apparecchiature industriali si possono schematizzare con
dei carichi ohmico-induttivi e, pertanto, la corrente sarà in ritardo rispetto alla
tensione o, equivalentemente (ricordate che le reattanze sono da intendersi sempre
come numeri positivi),
Z=R+jX.
Ciò non vuol dire che nella pratica non si trovino anche carichi di tipo ohmico-
capacitivo; quelli induttivi sono, però, di gran lunga più diffusi. Inoltre le cose che
diremo, con piccole modifiche, si applicano anche ai carichi di tipo capacitivo.
In questo paragrafo, vogliamo imparare a rifasare un carico che vuol dire, in
ultima analisi, ridurre il valore efficace della corrente che interessa il carico
lasciando, però, invariate sia la tensione sul carico, sia la potenza attiva da esso
assorbita.
Per fare ciò, possiamo procedere come suggerito dalla Figura 8.11: per ridurre il
modulo della corrente, a tensione bloccata, possiamo aggiungere alla corrente di
linea I una corrente IC che la riduca al valore I'. Ora, la corrente IC deve essere in
213 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
anticipo di 90° rispetto alla tensione V e ciò può realizzarsi mediante un opportuno
condensatore posto in parallelo al carico. Si ha, allora:
I' = I + j ω C V . (8.18)
La prima delle relazioni (8.19) ci dice che stiamo lavorando a parità di potenza
attiva assorbita dal carico; moltiplicando, infatti, membro a membro per il valore
efficace V della tensione risulta:
IC
I' I
ϕ'
IC + V
XC V Z ϕ I'
− IC
I
La seconda relazione (8.19) deve fornirci il valore della capacità C che consente la
riduzione dell’angolo della corrente da ϕ a ϕ', realizzando quello che è
tecnicamente conosciuto come il rifasamento del carico Z. Moltiplicando ancora
per V, essa diventa:
in cui Q è la potenza reattiva assorbita dalla sola impedenza di carico, mentre Q' è
quella assorbita dal carico e dal condensatore di rifasamento.
214 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
La Figura 8.12 ci ricorda il cosiddetto triangolo delle potenze dal quale, per sola
ispezione, si può ricavare un legame tra potenza attiva P e reattiva Q. Pertanto,
eliminando dalla (8.21) le potenze reattive e osservando che per la (8.20) è P = P',
possiamo, in definitiva, scrivere che
dalla quale si ricava immediatamente il valore della capacità che rifasa il carico
fino all’angolo ϕ'
Q = P tan ϕ
ϕ
Potremmo essere, a questo punto, indotti a credere che è meglio rifasare un carico
fino a ϕ' = 0, come mostrato in Figura 8.13. Ciò, tuttavia, non è tecnicamente
conveniente per i motivi che andiamo a dire. Le linee di trasporto dell’energia
sono lunghi fili che, in quanto tali, hanno un comportamento di tipo ohmico-
induttivo (in realtà, questa affermazione vi sarà completamente chiara solo dopo
avere studiato i campi elettrici e magnetici). Ciò comporta che, se per qualche
motivo accidentale, il carico varia, anche poco, in modo che la corrente I' anticipa
la tensione V, alla fine delle linee verrà a trovarsi un carico ohmico-capacitivo.
Per quanto detto sulle linee, ciò può creare delle indesiderate risonanze che
possono generare forti sovracorrenti e sovratensioni che possono danneggiare
irreparabilmente l’intero impianto di distribuzione. Per questo motivo l’angolo ϕ'
non si riduce mai a zero; lo renderemo piccolo, ma non nullo.
Questo fatto si esprime dicendo che il coseno di questo angolo deve essere molto
prossimo all’unità, diciamo 0.9 (dire che l’angolo tra tensione e corrente è piccolo
vuol dire che il coseno è vicino all’unità).
215 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I'
V
IC ϕ' = 0
I
Quando studieremo gli impianti elettrici vedremo quale siano i valori fissati dalle
normative vigenti nel nostro e negli altri paesi.
I
+
R
V0
XL
−
ϕ = arctan Q = arctan 1 = π
P 4
una porzione della sola potenza reattiva. In tali condizioni il carico si dirà rifasato
da cosϕ a cosϕ'.
I
+
R
V0 XC
XL
−
In pratica con il rifasamento si evita che l’energia immagazzinata nel carico, che,
come è noto, oscilla tra un punto di massimo ed uno di nullo, venga continuamente
trasferita lungo la linea, avanti ed indietro, con le conseguenti perdite; l’aver
disposto un ‘serbatoio di energia’ in opposizione di fase in prossimità del carico - è
questa appunto la funzione che svolgono i condensatori posti in parallelo al carico
- consente che tale scambio di energia avvenga tra il ‘serbatoio’ ed il carico e non
tra i generatori ed il carico. Il problema del rifasamento si riduce al calcolo della
capacità da disporre in parallelo al carico in modo tale che la fase dell’impedenza
equivalente sia quella desiderata. Essa è
I= V0 = 220 = 11 2 , - π .
R + j XL 20 (1 + j) 2 4
P = V0 I cos π = 1210 W .
4
217 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Osserviamo che tutti i calcoli svolti sono stati condotti nell’ipotesi che
l’utilizzatore abbia un carattere ohmico-induttivo. Nel caso, per la verità più raro,
in cui si verifichi l’evenienza opposta, cioè ci troviamo a dover operare con un
carico ohmico-capacitivo, occorre disporre in parallelo all’utilizzatore una
induttanza, e bisogna sviluppare considerazioni del tutto simili a quelle appena
sviluppate. Provate voi a verificare che l’induttanza che serve per rifasare questo
tipo di carico vale:
2
L= V 1 . (8.23)
ω P tan ϕ - tan ϕ'
Discuteremo ora una notevole proprietà delle reti in regime sinusoidale che regola
il trasferimento di potenza da un generatore a un carico. In particolare, con
riferimento alla Figura 8.14, stabiliremo che il massimo trasferimento possibile di
potenza attiva dal generatore al carico si ottiene se la parte reale e quella
immaginaria dell’impedenza di carico verificano le relazioni
R = R0 , X = - X0 , (8.24)
I= E = E ,
Z + Z0 R + R0 j X + X0
+
I= E . (8.25)
R + R0 2 + X + X 0 2
Z 0 = R0 + j X0
+
E Z=R+jX
−
I
P = R I2 = R E2 . (8.26)
R + R0 2 + X + X 0 2
Ora, dimostrare che la potenza espressa dalla (8.26) è massima proprio quando
sono verificate le condizioni (8.24) non è un affare semplice: è necessario sapere
studiare come si trovano i massimi (e i minimi) di una funzione (P) che dipende
da due variabili indipendenti (R e X). Ciò che è certo, comunque, è che se le
(8.24) sono soddisfatte, la potenza attiva è massima e vale:
2
Pmax = E . (8.27)
4 R0
* 2 * 2
PE-max = E I = E E = E (quantità reale) → P E-max = E . (8.28)
2 R0 2 R0 2 R0
Ora, se consideriamo il rapporto tra la potenza attiva assorbita dal carico e quella
erogata dal generatore, possiamo calcolare il rendimento
e concludere che soltanto il 50% della potenza erogata viene assorbita dal carico.
E ciò è il meglio che, al momento, possiamo fare: l’altro 50% viene dissipato nella
resistenza interna del generatore. Quando studieremo le macchine elettriche, e il
trasformatore in particolare, scopriremo che è possibile aggirare questo pesante
vincolo. La condizione (8.24) che può anche essere riscritta nella forma più
compatta
*
Z = R + j X = R0 - j X0 = Z 0 , (8.30)
j(t)
X1 + R3
C +
W A
IZ
+
R2
e(t) Z
−
X2
B
R1 D
X3
220 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
*
W = ℜ VCD IZ ,
VCD = R3 + Z - jX3 IZ .
ZE A
IZ
+
E0 Z
−
IZ = E0 ,
Z + ZE
*
Z = ZE ,
221 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
IZ = E0 .
2 ℜ ZE
*
Z = Z E = 10 (1 + j) Ω .
X1 R3
A
R2
X2
B
R1
X3
E = R1 + jX1 I + R2 - jX2 I + J .
la corrente I vale
222 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
E - R2 - jX2 J
I= = (2.5 + 7.5j) A .
R1 + R2 + j X1 - X2
X1 C J
+
I
+ R2
E0
E I+J
− X2
−
R1 D J
IZ = E0 = (5.625 - 4.375j) A ,
2 ℜ ZE
Si è già avuto modo di sottolineare più volte che i bipoli introdotti costituiscono
sempre una rappresentazione, più o meno approssimata, dei bipoli reali. Con
riferimento al regime sinusoidale (in altre condizioni di funzionamento le
considerazioni possono essere diverse) faremo ora qualche cenno alla
corrispondenza fra bipoli reali e bipoli ideali che li rappresentano; per le
induttanze mutue svilupperemo considerazioni analoghe nel volume dedicato alle
macchine elettriche, quando approfondiremo il funzionamento del trasformatore.
Per comprendere fino in fondo ciò che diremo in questo paragrafo, è necessario
avere qualche conoscenza dei campi elettrici e magnetici. Pertanto, nel volume
dedicato allo studio di questi campi, approfondiremo alcuni aspetti che potrebbero
risultare poco chiari ed alcune affermazioni che faremo in quel che segue
diverranno completamente chiare solo dopo aver studiato alcuni aspetti fisici legati
alla definizione dei condensatori e degli induttori. Non perdete, dunque, la
pazienza se non tutto vi sarà chiaro; fidatevi e memorizzate quanto diremo. Più
avanti ... tutto si illuminerà.
Una cosa da sottolineare subito è che, fissata una frequenza oppure un intervallo di
frequenze di funzionamento, un certo bipolo reale può essere considerato un
resistore, un induttore oppure un condensatore, solo in maniera approssimata: i
termini resistore, induttore e condensatore indicano un bipolo reale che ha
caratteristiche prevalentemente resistive, induttive oppure capacitive, ma che, a
voler essere precisi, mostra un comportamento ben più complesso di quello che
suggerisce il suo nome.
Resistore
La maniera più semplice di realizzare un resistore è quella di avvolgere un filo su
un supporto (Figura A.1).
Come sappiamo già, il filo presenta una resistenza che dipende dalla sua lunghezza,
dalla sezione e dal materiale di cui è costituito. È pure vero che il resistore può
anche essere considerato come un solenoide a cui si può associare un’induttanza, e,
224 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
se si considera una coppia di spire contigue, si può osservare che queste possono
essere considerate come armature di un condensatore, cui si può associare una
capacità. In definitiva, mentre uno studio molto preciso e completo, valido a tutte
le frequenze, del comportamento del sistema richiederebbe l’analisi del campo
elettrico e del campo magnetico che si generano al passaggio della corrente,
limitando lo studio ad un intervallo ristretto di frequenze, il sistema può
essere rappresentato con il circuito equivalente di Figura A.2, dove la capacità è
stata considerata concentrata agli estremi del bipolo. È chiaro che, a una ben
precisa frequenza, il bipolo è poi ulteriormente semplificabile con uno schema
equivalente serie (o parallelo), mettendo in evidenza due soli parametri; la parte
resistiva è preponderante e la parte reattiva è induttiva o capacitiva, secondo la
prevalenza dell’uno dell’altro effetto parassita. È appena il caso di accennare
che, entro una data approssimazione, per allargare il campo di frequenze entro cui
è valido il circuito equivalente, bisogna complicare sempre più, richiedendo un
numero di parametri sempre maggiore.
Induttore
Fisicamente si può pensare a un solenoide, cioè a un sistema come quello di Figura
A.1. Data la perfetta analogia, valgono le considerazioni già fatte per il resistore;
un circuito equivalente, valido in un campo ristretto di frequenze, è quello già
visto in Figura A.2, dove, l’effetto induttivo è, ovviamente, preponderante.
R L
Per indicare l’entità della parte resistiva parassita si utilizza spesso, invece che la
resistenza R, un altro parametro, detto angolo di perdita δ, definito come
tan δ = R .
ωL
R L
Quanto più piccolo è l’angolo di perdita, tanto più ideale sarà il comportamento
dell’induttore. L’inverso della tangente dell’angolo di perdita viene detto fattore
di qualità (o coefficiente di merito)
Q= 1 = ωL ,
tan δ R
Condensatore
La presenza di un dielettrico non perfettamente isolante e di elementi conduttori
non perfettamente conduttivi spiega la presenza di una componente resistiva nel
circuito equivalente che rappresenta un condensatore ideale; la presenza di un
campo magnetico, e quindi di un flusso concatenato con un circuito di cui il
condensatore è parte (non approfondiamo qui la questione), giustifica la presenza
di un’induttanza. Un circuito equivalente frequentemente adottato valido per un
certo campo di frequenze, è quello di Figura A.4. Anche in questo caso,
comunque, è possibile considerare un circuito più semplificato, eliminando la
resistenza R0 e l’induttanza L 0.
In funzione di R e di C (oltre che di ω) sono, anche in questo caso, definiti
l’angolo di perdita δ
tan δ = ω R C ,
226 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
e il fattore di qualità Q
Q= 1 = 1 .
tan δ ω R C
R0 L0
R
si possono eliminare
nel circuito semplificato
Capitolo 9
Sistemi trifasi
9.1 Introduzione
9.9 Conclusioni
228 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Sommario
9.1 Introduzione
Negli ultimi due capitoli abbiamo dato il meritato risalto alle reti che operano in
regime sinusoidale; una rete del genere viene, in gergo, detta rete sinusoidale
monofase. L’attributo ‘monofase’ sottolinea il fatto che l’energia elettrica viene
portata dal generatore ad un generico carico per mezzo di due conduttori: uno
attraverso cui la corrente raggiunge il carico ed un altro di ritorno. La grande
maggioranza degli impianti elettrici domestici offre il più tipico esempio di
sistema monofase: nell’alloggio giungono due fili, provenienti da una vasta e
ramificata rete di distribuzione dell’energia. Con la mentalità ormai formata
attraverso la considerazione e l’uso del teorema di Thévenin, i due fili che
giungono ad alimentare le utenze elettriche di un’abitazione possono essere
considerati gli estremi di un bipolo equivalente, costituito da un generatore ideale
di tensione e da un’opportuna impedenza. Nella pratica, tuttavia, l’energia elettrica
non viene né prodotta, né trasportata alle varie utenze in questa maniera.
Questo ultimo capitolo è dedicato allo studio dei sistemi trifasi. L’importanza di
tale studio risiede nel fatto che la produzione, la trasmissione e la distribuzione
dell’energia elettrica avvengono quasi totalmente sotto forma di grandezze
alternate trifasi, sia per motivi tecnici, sia per motivi economici.
Quando studieremo le macchine elettriche mostreremo che quelle trifasi, a parità
di potenza e tensione ai morsetti, presentano minor peso e sono meno ingombranti
rispetto alle macchine monofase o in corrente continua. Inoltre, le linee elettriche
trifasi utilizzate nella trasmissione e nella distribuzione dell’energia elettrica
presentano cadute di tensione più basse rispetto alle linee monofase a parità di
lunghezza della linea, e possono essere realizzate con sezioni dei conduttori più
piccole. Le linee trifasi, infatti, consentono, a parità di lunghezza e di carico
servito, un risparmio di circa il 25% sul peso di rame impiegato rispetto a una
corrispondente linea monofase. Quanto detto non deve far dimenticare, tuttavia,
che la corrente continua e la corrente alternata monofase trovano ancora oggi
impiego in alcune importanti applicazioni, quali la trazione elettrica, la
trasmissione dell’energia elettrica a grande distanza (alta tensione continua) e, alla
già ricordata, alimentazione di piccole utenze.
1
2 U
3
Essi sono costituiti da tre (a volte quattro) morsetti, indicati con 1, 2 , 3 (e 0), e
funzionano in maniera corretta solo se vengono collegati ad altrettanti morsetti di
alimentazione, generalmente nel medesimo ordine (Figura 9.2). In realtà, esiste
anche il quinto filo, detto fune di guardia, del quale qui ci disinteresseremo, ma
che è molto utile per la protezione della linea di trasmissione dell’energia dalle
fulminazioni indirette.
I1
1 −
+
2 − V12 I2
G + U
3 − V23 I3
+ V
31
0 I0
E1 1
− +
+
E2 V12
− +
−
2
E3
− +
3
0
Consideriamo il sistema dei tre generatori collegati a stella mostrati in Figura 9.3,
detto generatore ideale trifase di tensione; in questa figura, per non complicare
inutilmente il disegno, abbiamo riportato la sola tensione concatenata V12, non
rappresentando le altre. Le tre tensioni stellate siano rappresentate dalle funzioni
sinusoidali
e1(t) = E 2 sen(ωt) ,
e2(t) = E 2 sen(ωt - 2π/3) , (9.1)
e3(t) = E 2 sen(ωt - 4π/3) ,
E1 = E , 0 = E ,
E 2 = E , - 2 π = E cos 2 π - j E sen 2 π = -E-jE 3 , (9.2)
3 3 3 2 2
E 3 = E , - 4 π = E cos 4 π - j E sen 4 π = -E+jE 3 .
3 3 3 2 2
1 360° = 120° = 2 π ,
3 3
E3
E1
0 ℜ
E2
Quando accade che tre fasori hanno lo stesso valore efficace e sono sfasati tra loro
di 120° diremo che essi costituiscono una terna trifase; in particolare se, come è
nel nostro caso, ci stiamo riferendo al generatore, la terna si dice simmetrica. In
caso contrario, cioè se le tre tensioni non hanno lo stesso valore efficace, o non
sono mutuamente sfasate di 120°, la terna viene detta dissimetrica.
E2
E1
0 ℜ
E3
Una terna simmetrica di tensioni può essere, poi, inversa o diretta. Se, assunto
quale verso di riferimento per la misura degli angoli quello antiorario, la tensione
E 1 è in anticipo sulla tensione E 2 e quest’ultima è in anticipo sulla E 3, la terna è
detta diretta. In Figura 9.4 abbiamo rappresentato una terna diretta. In caso
contrario, come suggerisce la Figura 9.5, la terna viene detta inversa.
234 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Nel seguito ci riferiremo quasi esclusivamente a terne dirette, anzi la parola terna
senza aggiunta di altri attributi sarà sinonimo di terna diretta.
E1 + E2 + E3 = E - E - j E 3 - E + j E 3 = 0 .
2 2 2 2
Per sincerarvi fino in fondo della proprietà appena dimostrata, provate ad usare la
Figura 9.6 e a sommare in un istante da voi scelto le tre funzioni sinusoidali:
troverete sempre zero, quale che sia l’istante di tempo considerato.
1.5
e1(t) e2(t) e3(t)
1
0.5
0 ωt
-0.5
-1
-1.5
0 2 4 6 8 10
Spesso ciò che interessa non è tanto la terna di tensioni stellate (inaccessibile nelle
macchine reali) ma la terna di tensioni concatenate. La cosa è semplice dato che
non è difficile passare da una terna stellata di tensioni alle corrispondenti
concatenate. Dalla Figura 9.3 discende immediatamente che
235 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
E3 3
V31
V23 0 1 E1
V12
E2 2
Tentiamo di capire se questa costruzione grafica ci può essere di aiuto nel calcolo
delle tre tensioni concatenate, a partire dalle stellate. Cominciamo con la prima:
V12 = E 1 - E 2 .
Ciò che potremmo immediatamente fare è sostituire al posto delle due tensioni
stellate le rispettive definizioni e, poi, farne la differenza. Osserviamo, invece, la
Figura 9.7 o, meglio ancora, il dettaglio di essa riprodotto in Figura 9.8.
E3 3
30°
V23 0 1 E1
V12
E2 2 30°
La Figura 9.8 suggerisce pure che il fasore V12 è in anticipo di 30° rispetto a E 1
(che è stato assunto, per semplicità, a fase nulla). Allora possiamo finalmente
concludere che
V12 = E 3 , π .
6
Vale la pena notare come, anche per le tensioni concatenate, valga la relazione
Una terna di generatori come quelli indicati in Figura 9.3, priva di filo di neutro,
può anche essere collegata a triangolo e, in questa configurazione circuitale,
fornirà direttamente le tre tensioni concatenate, come mostra la Figura 9.9.
237 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
1
+
V12
− −
V31 2
+ +
V23
−
3
In realtà, dei tre generatori a triangolo di questa figura, non tutti sono necessari
per imprimere una terna di tensioni concatenate: se ne potrebbe togliere uno e
nulla cambierebbe quanto alle tensioni. Cambierebbero, invece, le correnti erogate
dai generatori qualora essi alimentassero dei carichi. Questa affermazione, è
appena il caso di accennarlo, si fonda sul fatto che la LKT, applicata alla maglia
costituita dai tre generatori, impone la relazione
sia che esista, sia che non esista il generatore tra i morsetti 1 e 2. Analogamente si
potrebbe dire per le altre due tensioni concatenate facendo ruotare i pedici. Già
nel primo volume abbiamo fatto notare che nel parallelo di due generatori reali
che non forniscono la stessa tensione circola una corrente di valore molto elevato.
Per questo è molto importante che le tre f.e.m. erogate da un triangolo di
generatori soddisfino la relazione (9.6) in modo da evitare assolutamente che
circoli corrente nel triangolo medesimo quando esso non alimenta carichi.
Le tre relazioni (9.5) ci fornivano il valore delle tensioni concatenate noto quello
delle stellate. Volendo trasformare un collegamento a triangolo dei generatori in
uno equivalente a stella, abbiamo bisogno di relazioni che ci forniscano le tensioni
stellate note le concatenate. Da quanto detto in precedenza, posto che le tre
tensioni concatenate siano rappresentate dalle relazioni
(α è una fase generica, introdotta per rendere generali le cose) segue che le tre
stellate sono pari a
E1 = V , α - π , E2 = V , α - 5 π , E3 = V , α + π . (9.8)
3 6 3 6 3 2
• Verificare che
E1 + E2 + E3 = 0 .
Posto, dunque,
E 1 = 10 , 0 = 10 ,
E 2 = 10 , - 2 π = 5 - 1 - j 3 ,
3
E 3 = 10 , - 4 π = 5 - 1 + j 3 ,
3
risulta:
E 1 + E 2 + E 3 = 10 + 5 - 1 - j 3 + 5 - 1 + j 3 =
= 10 - 5 - 5 - 5 j 3 + 5 j 3 = 0 .
• Calcolare V31 = E 3 - E 1.
V31 = E 3 - E 1 = - 5 + 5 j 3 - 10 = 5 - 3 + j 3 .
V23 = E 2 - E 3 = 5 - 1 - j 3 - 5 - 1 + j 3 = - 10 j 3 .
• Valutare il fasore A = E 1 + 2 E 2.
A = E 1 + 2 E 2 = 10 - 10 - 10 j 3 = - 10 j 3 = 10 3 , - π .
2
Veniamo, ora, alla disposizione degli utilizzatori che riflette, in gran parte, quanto
detto a proposito dei generatori e quanto già avete appreso nel primo volume a
proposito della trasformazione stella-triangolo.
Z
I1
1
+
V12
Z
− I2
2 0
+
V23
I3 Z
−
3
La Figura 9.10 mostra tre impedenze uguali, di valore Z, percorse dalle tre
correnti di linea I1, I2 e I3. I tre generatori di alimentazione non sono mostrati in
figura per non appesantirla inutilmente.
Se le tre correnti di linea costituiscono un insieme di fasori che hanno lo stesso
modulo (I) e sono sfasati l’uno rispetto all’altro di 120°, si dice che costituiscono
un sistema trifase equilibrato nel carico. A seconda del senso ciclico scelto, una
terna viene detta diretta oppure inversa, come suggerisce la Figura 9.11. In questo
testo, salvo avviso contrario, come abbiamo già sottolineato per le terne di
tensioni, si farà riferimento soltanto a terne dirette.
I3 I2
120° 120°
120° I1 120° I1
120° 120°
I2 I3
I1 = I , α I1 = I , α
I2 = I , α - 120° I2 = I , α + 120°
I3 = I , α - 240° I3 = I , α + 240°
I1
1
+ J12
V12 Z
− I2
2 Z
+
J23
V23 Z J31
− I3
3
Le correnti J12, J23 e J31, essendo relative ai tre lati che compongono il triangolo di
impedenze, vengono dette correnti di lato.
La verifica delle relazioni (9.10) potrebbe essere fatta come per i legami tra
tensioni stellate e concatenate, visti in precedenza. Qui, invece di procedere per via
grafica, sfruttando relazioni geometriche sui triangoli isosceli, opereremo in
maniera analitica. Così facendo, avrete visto, una volta per tensioni, l’altra per le
correnti, le due maniere di procedere per passare dalla terna stellata a quella
concatenata.
Allora, mostriamo come si passa in maniera analitica dalla terna di correnti di lato
a quelle di linea. Riferendoci, ad esempio alla prima corrente di linea e
supponendo note le correnti di lato, risulta:
I1 = J12 - J31 .
V12 = V , 0 = V ,
V , - 2π/3 V , - 4π/3
J12 = V12 = V , J23 = V23 = , J31 = V31 = .
Z Z Z Z Z Z
242 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Allo stesso modo verificate le relazioni (9.10) relative alle altre due correnti di
linea.
J12
I1
I2 J31
I3
J23
Dalla Figura 9.12, assumendo che le tre generiche impedenze coincidano con i tre
resistori assegnati, segue che
Nel paragrafo appena terminato abbiamo appreso che, sia i generatori, sia i
carichi, possono essere collegati a stella oppure a triangolo e che il quarto
conduttore, il filo di neutro, può esserci o meno.
La Figura 9.14 riassume queste cose e riporta in maniera schematica i tre tipi di
collegamento possibili di generatori e carichi.
Collegamento a triangolo
1) collegamento stella-stella;
2) collegamento stella-stella con neutro;
3) collegamento stella-triangolo;
4) collegamento triangolo-stella;
5) collegamento triangolo-triangolo.
244 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Collegamento stella-stella
Collegamento stella-triangolo
Collegamento triangolo-stella
Collegamento triangolo-triangolo
È chiaro, allora, che il collegamento di una stella di generatori con neutro non si
può fare con un triangolo di impedenza: ci avanzerebbe un filo, quello di neutro,
che non sapremmo proprio ... dove collegare!
Supponiamo ora di collegare i tre generatori a stella alle tre impedenze di carico
sempre a stella, come mostrato in Figura 9.16
245 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
E1 Z1
1
− +
I1
E2
2 Z2
− +
0' 0
I2
E3
3 Z3
− +
I3
E1 + E2 + E3
V00' = Z 1 Z 2 Z 3 = Y1 E 1 + Y2 E 2 + Y3 E 3 , (9.11)
1 + 1 + 1 Y1 + Y2 + Y3
Z1 Z2 Z3
in cui, per rendere la notazione più comoda, abbiamo introdotto le tre ammettenze
Y1 = 1 , Y2 = 1 , Y3 = 1 .
Z1 Z2 Z3
246 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V00' - E 1 + Z 1 I1 = 0 ,
E1 Z1
1
− +
I1
0' − V00' + 0
Y Y E - E 2 + Y3 E 1 - E 3
I1 = Y1 E 1 - Y1 E 1 + Y2 E 2 + Y3 E 3 = 1 2 1 .
Y1 + Y2 + Y3 Y1 + Y2 + Y3
Questa formula, stabilita con riferimento alla prima corrente, può essere
naturalmente estesa alle altre correnti di linea. Nel quadro che segue riportiamo il
valore delle tre correnti che è sempre buona norma controllare con cura:
247 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I1 = Y1 E 1 - V00' = Y1 Y2 E 1 - E 2 + Y3 E 1 - E 3 ,
Y1 + Y2 + Y3
I2 = Y2 E 2 - V00' = Y2 Y1 E 2 - E 1 + Y3 E 2 - E 3 , (9.13)
Y1 + Y2 + Y3
I3 = Y3 E 3 - V00' = Y3 Y1 E 3 - E 1 + Y2 E 3 - E 2 .
Y1 + Y2 + Y3
e1(t) R
1
− +
i1(t)
e2(t) L
2 e1(t) = E 2 sen(ωt)
− +
e2(t) = E 2 sen(ωt - 2π/3)
0' i2(t) 0 e3(t) = E 2 sen(ωt - 4π/3)
e3(t) C
3
− +
i3(t)
XL = ω L = 1 Ω e XC = 1 = 1 Ω ,
ωC
Y1 = 1 = 1 S , Y2 = 1 = - j S , Y3 = 1 = j S .
R j XL - j XC
V00' = Y1 E 1 + Y2 E 2 + Y3 E 3 = E 1 - j E 2 + j E 3 =
Y1 + Y2 + Y3
= E + j E - E 3 - j E - E 3 = E 1 - 3 = - 20 3-1 V.
2 2 2 2
I1 = Y1 E 1 - V00' = 20 3 A ,
I2 = Y2 E 2 - V00' = 10 - 3 + j 1 - 2 3 A ,
I3 = Y3 E 3 - V00' = 10 - 3 - j 1 - 2 3 A .
Z1 = Z2 = Z3 = Z ovvero Y1 = Y2 = Y3 = Y ,
V00' = Y E 1 + E 2 + E 3 = E 1 + E 2 + E 3 .
3Y 3
E1 + E2 + E3 = 0 ,
V00' = 0 .
249 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I1 = Y E 1 = E 1 , I2 = Y E 2 = E 2 , I3 = Y E 3 = E 3 . (9.14)
Z Z Z
Ι3
Z= Z,ϕ
E3 ϕ
0 ϕ E1
Ι2 ϕ
E2 Ι1
E3
ϕ3 Ι3
0 E1
ϕ1
ϕ2
Ι2
E2
Ι1
Le tre correnti non hanno più lo stesso valore efficace, e nemmeno l’angolo
relativo tra tensione e corrente della stessa linea è lo stesso per le tre fasi. Inoltre,
la differenza di potenziale V00' non è più nulla e le tre tensioni sui carichi V10, V20
e V30 non costituiscono più una terna simmetrica di tensioni, come indica la Figura
9.20.
E3 3 V30
0
V00' V10
0' 1 E1
V20
2
E2
Da questa figura si capisce l’origine del nome di V00': spostamento del centro
stella. Se il carico è costituito da tre impedenze diverse, il centro 0 della stella
delle tre tensioni di alimentazione è diverso da quello 0' delle tre tensioni sui
carichi, e la tensione V00' rappresenta proprio lo spostamento tra questi due centri
stella. Ricordiamo ancora una volta che, se le tre impedenze di carico sono uguali,
le due terne coincidono.
tanto più grande è la V00' rispetto alle tensioni di fase, e dunque le tensioni sulle
impedenze
sono sempre più dissimetriche. Come discuteremo più in dettaglio nel prossimo
paragrafo, questo squilibrio non è gradito nel progetto di un buon impianto di
distribuzione che, se ben fatto, dovrebbe alimentare le tre impedenze di carico con
una terna simmetrica.
E1 R
1
− +
I1
E2 R
2
− +
0' 0
I2
E3 R
3
− +
I3
I1 = E 1 = 22 , 0 , I2 = E 2 = 22 , - 2 π , I3 = E 3 = 22 , - 4 π .
R R 3 R 3
E1 R
1
− +
I1
E2 R
2
− +
0' 0
I2 = 0
E3 R
3
− +
I3
In questa nuova situazione, la conduttanza della seconda linea è nulla (se vi piace
di più, potete anche dire che la resistenza, a causa del guasto, diventa infinita).
Allora, la corrente I2 è zero e, pertanto, posto G = 1/R, risulta:
V00' = G E 1 + 0 E 2 + G E 3 = E 1 + E 3 = - E 2 .
G+0+G 2 2
La presenza del filo di neutro impone che, per questo tipo di collegamento, sia
sempre verificata la condizione:
V00' = 0 .
253 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
E1 Z1
1
− +
I1
E2
2 Z2
0' − + 0
I2
E3
3 Z3
− +
I3
I0
Ciò porta come naturale conseguenza che le tensioni ai capi delle singole
impedenze siano uguali alle tensioni di fase imposte dai generatori, che, come più
volte sottolineato, sono generalmente simmetriche. Inoltre, le correnti di linea,
ove si tenga conto della precedente relazione, si calcolano immediatamente:
I1 = E 1 , I2 = E 2 , I3 = E 3 .
Z1 Z2 Z3
Infine, la corrente del neutro, in forza della LKC al nodo 0' (oppure 0), vale:
I0 = - I1 - I2 - I3 = - E 1 - E 2 - E 3 = - Y1 E 1 - Y2 E 2 - Y3 E 3 . (9.15)
Z1 Z2 Z3
e1(t) R
1
− +
i1(t)
e2(t) L
0' 2 0
− +
i2(t)
e3(t) C
3
− +
i3(t)
i0(t)
E 1 = 220 , 0 = 220 ,
E 2 = 220 , - 2 π = 220 cos 2 π - j 220 sen 2 π = - 110 - j 110 3 ,
3 3 3
E 3 = 220 , - π = 220 cos π + j 220 sen 4 π = - 110 + j 110 3 ,
4 4
3 3 3
I1 = E 1 = 2.2 A ,
R
I2 = E 2 = - 110 - j 110 3 = 10 - 3 + j A ,
jωL 11 j
I3 = j ω C E 3 = - 110 + j 110 3 = - 11 3 + j A ,
- 10 j
I0 = - I1 - I2 - I3 = - 2.2 + 10 3 - 10 j + 11 3 + 11 j = 21 3 - 2.2 + j =
≅ 34.19 , arctan 1 ≅ 34.19 , 0.02925 .
21 3 - 2.2
Il collegamento in esame è adatto nel caso di carichi aventi una certa probabilità di
squilibrio. In tal modo, siamo sicuri che le tensioni sui carichi hanno tutte lo stesso
valore efficace, anche se le impedenze sono diverse tra loro. Un esempio tipico si
ha negli impianti elettrici degli edifici civili: in ogni appartamento entrano due
fili, il neutro e un altro filo. Questo secondo filo risulta quello della fase 1 per un
terzo degli appartamenti dell’edificio, quello della fase 2 per un altro terzo, quello
della fase 3 per l’ultimo terzo. Se anche il gruppo di appartamenti serviti da una
fase presenta un carico squilibrato rispetto a un altro gruppo (evento assai
probabile), la tensione fra i due fili in arrivo in ogni alloggio (ricordate che uno
della coppia è sempre il neutro) non varia il suo valore efficace. Quanto più
pronunciato è lo squilibrio, tanto più grande sarà la corrente di neutro I0, secondo
quanto si deduce dalla formula (9.15).
In questo caso supponiamo che siano assegnate le tre tensioni di fase dei generatori
e le tre impedenze che costituiscono il carico a triangolo.
E1
1
− + I1
+ J12
E2 V12 Z1
− + − I2
0' 2 Z3
+
J23
E3 V23 Z2 J31
− + − I3
3
E1
1
− + I1
+ J12
E2 V12 XC
− + − I2
XC
0' 2
+
J23
E3 V23 XC J31
− + − I3
3
Assumendo, come di consueto, quale riferimento per le fasi la prima tensione del
generatore, stante le relazioni (9.5), le tre tensioni concatenate sono pari a:
110 3 ,π
J12 = V 12 = 6 =-5 1-j 3 A,
- j XC 11 3 , -π
2
110 3,-π
J23 = V23 = 2 = 10 A ,
- j XC 11 3,-π
2
110 3,5π
J31 = V31 = 6 =-5 1+j 3 A.
- j XC 11 3,-π
2
I1 = J12 - J31 = - 5 + 5 j 3 + 5 + 5 j 3 = 10 j 3 A ,
In questo caso, si può trasformare la stella delle impedenze degli utilizzatori nel
triangolo equivalente. Dato che i generatori sono a triangolo, si conoscono già la
tensioni concatenate e si può procedere come mostrato nel paragrafo precedente.
1
+ I1 Z1
V12
− − Z2
V31 2 0
+ + I2
V23
Z3
− I3
I1 R
1
+
V12
R
− I2
2 0
+
V23 R
− I3
3
In questo esempio non vengono assegnate le tre tensioni stellate del generatore ma
direttamente le concatenate. Se rivedete le formule (9.8) nel caso particolare
α = 0, risolverete senza difficoltà l’esempio, trovando:
I1 = 5 , - π .
6
1
+ I1 J12
V12
Z2
− −
V31 2 Z3
+ + I2 J23
V23 J31
Z1
− I3
I1
1
+ J12
V12 R
− I2
XL
2
+ J23
V23 R
I3 J31
−
3
I1 = J12 - J31 ,
260 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
J12 = V12 = 20 A ,
R
380 , - 4 π
J31 = V31 = 3 = 20 , - 11 π = 20 , π = 10 3+j A.
j XL 19 , π 6 6
2
I1 = 10 1 - 3 - j A .
Giunti a questo punto della trattazione, dopo aver introdotto le terne di tensioni e
correnti ed aver studiato tutti i possibili collegamenti tra generatori e carichi, il
lettore più attento si sarà certamente domandato quali siano i veri vantaggi dei
sistemi trifasi. Per comprenderli a fondo, dobbiamo discutere delle potenze messe
in gioco; in questo paragrafo cominceremo a discutere la questione, mostrando un
primo vantaggio che si può ottenere.
e1(t)
1
− +
i1(t)
e2(t)
2
0' − +
M
i2(t)
e3(t)
3
− +
i3(t)
[neutro] i0(t)
e1(t) = E 2 sen(ωt) ,
e2(t) = E 2 sen(ωt - 2π/3) ,
e3(t) = E 2 sen(ωt - 4π/3) ,
i1(t) = I 2 sen(ωt - ϕ) ,
i2(t) = I 2 sen(ωt - 2π/3 - ϕ) ,
i3(t) = I 2 sen(ωt - 4π/3 - ϕ) ,
262 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
- il termine costante
P = 3 E I cos ϕ ,
- il termine variabile
Abbiamo usato l’espressione ‘sembra dipendere dal tempo’ perché, come tra un
momento vedremo nel dettaglio, il secondo termine è nullo. Se pensate, infatti, di
riscrivere questo termine dopo avere posto α = 2ωt - ϕ ed aver osservato che
263 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
-8 π=-2π-2 π,
3 3
otterrete la quantità:
Ora, è facile convincersi che è nulla dal momento che questa ultima quantità può
interpretarsi come la somma di tre fasori, di stesso valore efficace, sfasati di 120°;
una tale somma, come certamente ricorderete, è nulla.
Tornando alla potenza istantanea assorbita dal carico (9.18), possiamo concludere
che
p(t) = 3 E I cos ϕ ,
cioè che essa non varia nel tempo. E questo è proprio il primo grande vantaggio
dei sistemi trifase rispetto a quelli monofase perché, se andate a rivedere quanto
detto a proposito della potenza in regime sinusoidale monofase, scoprirete che essa
era composta di due termini: uno costante, che rappresentava la potenza media,
l’altro oscillante con pulsazione doppia e a valor medio nullo in un periodo.
Un carico trifase equilibrato, dunque, assorbe una potenza istantanea costante nel
tempo, potenza che coincide anche con il suo valor medio. Concludiamo che, in
questo caso, essendo assenti termini oscillanti, possiamo scrivere:
p(t) = 3 V I cos ϕ = P .
È solo una questione di comodità di uso. Tuttavia la fase ϕ è la stessa appena detta:
angolo tra tensione di fase e corrente di linea corrispondente. Tenetelo bene in
mente.
e1(t) R
1
− +
i1(t)
e2(t) R
2
− +
0' 0
i2(t)
e3(t) R
3
− +
i3(t)
2
p1(t) = R i21(t) = e1(t) = 2 E sen2(ωt) = E 1 - cos(2ωt) ,
2 2
R R R
2
p2(t) = R i22(t) = e2(t) = 2 E sen2(ωt - 2π/3) = E 1 - cos(2ωt - 4π/3) ,
2 2
R R R
2
p3(t) = R i23(t) = e3(t) = 2 E sen2(ωt - 4π/3) = E 1 - cos(2ωt - 8π/3) ,
2 2
R R R
sen2(ωt) = 1 - cos(2ωt) .
2
2 2 2
p1(t) = 3 E - E cos(2ωt) + cos 2ωt - 4π + cos 2ωt - 8π = 3 E = 2904 W .
R R 3 3 R
che, come sappiamo dalla teoria appena svolta, coincide con il solo termine
costante. Tuttavia, volendo verificare che il termine fluttuante è nullo per ogni
istante di tempo, possiamo procedere in maniera diversa da come proposto in
questo paragrafo, usando le formule di addizione della funzione coseno. In altri
termini, è facile verificare quanto segue:
= cos(2ωt) 1 - 1 - 1 + sen(2ωt) 3 - 3 = 0 .
2 2 2 2
Siamo ora pronti a parlare in maniera più completa della potenza assorbita da un
sistema trifase. Per farlo, cominciamo coll’osservare la Figura 9.26 in cui
abbiamo disegnato, quale esempio, un carico costituito da tre impedenze diverse
collegate a stella.
266 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
La potenza complessa assorbita dal questo carico coincide con quella assorbita
dalle tre impedenze, sicché si può scrivere come la somma dei tre termini:
* * *
P = P + j Q = V10 I1 + V20 I2 + V30 I3 . (9.20)
È pure evidente che la parte reale della potenza complessa (9.20) coincide con la
potenza attiva, quella che abbiamo calcolato facendo il valor medio nel paragrafo
precedente, e che la parte immaginaria definisce la potenza reattiva
complessivamente assorbita dal carico trifase. Le considerazioni che stiamo per
fare, comunque, si adattano naturalmente anche al caso di un carico a triangolo
dato che la trasformazione triangolo-stella ci consente di trasformare un carico
nell’equivalente altro.
Z1
1
I1
Z2
2 0
I2
I1 R
1
+
V12
R R = 19 Ω
− I2
XL = XC = 20 Ω
2 0
+
V12 = 380 V
V23 XL
− I3
3
XC
I1 R
1
+
V12
R
− I2
2 0
+
V23
I3 = 0
−
3
Ora, applicando la LKT alla maglia costituita dalle prime due linee e la LKC al
nodo 0, risulta:
268 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V12 = R I1 - R I2 e I1 = - I2 .
I1 = - I2 = V12 = 10 A .
2R
* * * *
P = P + j Q = V10 I1 + V20 I2 + V30 I3 = V10 - V20 I1 =
2 *
= V1 - V0 - V2 + V0 I1 = V12 I1 = V12 V12 = V12 = 3800 W .
* *
2R 2R
La risonanza nel parallelo L-C comporta che la potenza complessa sia un numero
reale e che, quindi, vi sia solo assorbimento di potenza attiva da parte del carico.
Se il centro stella delle tre impedenze è accessibile, la misura della potenza attiva
assorbita dal carico trifase si può eseguire come mostrato in Figura 9.27. I tre
wattmetri misurano, ciascuno, la potenza attiva assorbita dalla impedenza di linea
in cui sono inseriti. Il primo wattmetro, ad esempio, misura la potenza attiva
assorbita dall’impedenza ohmico-induttiva Z 1 = R1 + j X1, che vale
P1 = R 1 I 21 = V 10 I 1 cos ϕ 10 ,
in cui l’angolo ϕ10 rappresenta la fase relativa tra la tensione V10 e la corrente I1.
Notate pure come il punto comune delle voltmetriche dei tre wattmetri, indicato
con U in figura, coincida con il centro stella 0 delle impedenze.
+ Z1
+
1 W
W1 I1
+ Z2 0
+
2 W
W2 I2
+ Z3
+
3 W
W3 I3
Figura 9.27: misura della potenza attiva nel caso di centro stella accessibile.
+ Z1
+
1
Var1 I1
+ Z2 0
+
2
Var2 I2
+ Z3
+
3
Var3 I3
Figura 9.28: misura della potenza reattiva nel caso di centro stella accessibile.
270 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Q1 = X 1 I 21 = V10 I1 sen ϕ 10 .
Riassumendo, gli schemi mostrati nelle Figure 9.27 e 9.28 suggeriscono che
Supponiamo, ora, che il centro stella sia inaccessibile, come accade nella maggior
parte dei casi.
+ Z1
+
1 W
W1 I1
+ Z2
+
2 W 0
W2 I2
+ Z3
+
3 W
W3 I3
U
Figura 9.29: misura della potenza attiva nel caso di centro stella inaccessibile.
Lo schema mostrato in Figura 9.29 delinea una possibile strategia di misura della
potenza attiva. Analoghe considerazioni si possono fare nel caso della potenza
271 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
reattiva, e, per questo motivo, nelle deduzioni che seguono parleremo sempre
della potenza complessa.
La somma delle indicazioni dei tre wattmetri di Figura 9.29 e degli eventuali tre
varmetri sistemati allo stesso modo ci fornisce la seguente potenza complessa:
* * *
P = V1U I1 + V2U I2 + V3U I3 . (9.21)
Ora, dato che le tre tensioni sono riferite al nodo comune U, esse possono
scriversi come differenze di potenziale rispetto a questo nodo:
* * *
P = V1 - VU I1 + V2 - VU I2 + V3 - VU I3 =
* * * * * *
= V1 I1 + V2 I2 + V3 I3 + I1 + I2 + I3 VU .
Dato che stiamo considerando un sistema trifase senza neutro, la somma delle tre
correnti di linea è nulla e l’espressione precedente si può semplificare:
* * *
P = V1 I1 + V2 I2 + V3 I3 .
Proprio il fatto che la somma delle tre correnti di linea è nulla ci consente anche
di scrivere pure che
* * * * * *
P = V1 I1 + V2 I2 + V3 I3 - I1 + I2 + I3 V0 ,
* * *
P = V1 - V0 I1 + V2 - V0 I2 + V3 - V0 I3 . (9.22)
dalla quale appare con chiarezza che la misura (9.21) ci fornisce proprio la
potenza complessa assorbita dal carico trifase. La formula (9.22) si commenta
dicendo che se il centro stella risulta inaccessibile ... si crea ‘artificialmente’ e la
misura della potenza assorbita risulta comunque possibile.
272 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
+ Z1
+
1 W
W1 I1
+ Z2
+
2 W 0
W2 I2
Z3
3
I3
Z = Z , ϕ = Z (cos ϕ + j sen ϕ) ,
P = 3 Z I2 cos ϕ = 3 E I cos ϕ ,
Q = 3 Z I2 sen ϕ = 3 E I sen ϕ ,
E1 1
− + E 1 = 220 V
I1
E2 2
− + PM = 3 kW
0' M QM = 1 kVar
I2
E3 3
− +
I3
Prima di iniziare a risolvere il quesito proposto, vale la pena notare che la prima
tensione stellata ci viene assegnata in modulo, E = 220 V, e fase (nulla). Inoltre,
non sappiamo come è fisicamente costruito il motore, ma sappiamo che assorbe
una data potenza attiva ed una reattiva, che, essendo positiva, ci informa che si
tratta di un carico ohmico-induttivo. Detto ciò, dalle relazioni generali
PM = 3 E I cos ϕM e QM = 3 E I sen ϕM ,
tan ϕ M = QM = 1 → ϕM = π .
PM 3 6
I1 = I , - π , I2 = I , - 5 π , I3 = I , π .
6 6 2
Come potete controllare da soli, la somma di queste tre correnti è nulla in forza
della LKC al nodo 0', e il diagramma fasoriale che le rappresenta è mostrato nella
figura che segue.
ℑ
α=π
I3 6
0 E1
α α ℜ
I2 I1
+ Z
+
1 W
W1 I1
+ Z
+
2 W 0
W2 I2
Z
3
I3
La somma delle indicazioni dei due wattmetri in inserzione Aron, come sappiamo,
ci forniscono la potenza attiva; ciò che non sappiamo è che la loro differenza
risulta proporzionale alla potenza reattiva assorbita dal carico trifase.
In maniera più formale, possiamo dire che la somma delle indicazioni dei due
wattmetri fornisce la potenza attiva complessivamente assorbita dal carico:
P = W1 + W 2 . (9.23)
Q = 3 W1 - W2 . (9.24)
Per verificare le due ultime relazioni (9.23) e (9.24), dobbiamo investigare bene
le relazioni di fase che intercorrono tra le tensioni concatenate e le correnti di
linea. Allo scopo seguite, aiutandovi con la Figura 9.32, il ragionamento relativo
al primo elemento della terna (gli altri si otterranno per successivi sfasamenti di
120°).
276 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
V12
π/6
ϕ E1
I1
Se poi ricordate che l’indicazione di un wattmetro consiste nel prodotto del valore
efficace della tensione rilevata dai morsetti voltmetrici per il valore efficace della
corrente rilevata ai morsetti amperometrici per il coseno della loro fase relativa,
otterrete senza alcuna difficoltà:
Esempio 12 - Supponendo che la rete trifase di figura sia alimentata da una terna
simmetrica di tensioni stellate, determinare la corrente della prima linea dei due
carichi. Si assuma PM = 3 kW, QM = 3 kVar, R = 50 Ω, XL = XC = 100 Ω,
V12 = 380 V.
I1 I1M
1
+
V12
− I2 I2M
2 M
I3 I3M
3
R R XL XC
La prima cosa da osservare è che la rete trifase è composta da due carichi trifase,
uno equilibrato e l’altro squilibrato, posti in parallelo, cioè sono alimentati dalla
stessa terna di tensioni concatenate (o, se volete, dalle stesse tensioni stellate). Poi,
notate che il parallelo L-C è in risonanza e, pertanto, la rete può semplificarsi
come mostrato nella figura che segue.
278 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
I1 = I1M + I I1M
1
+
V12 I
− I2 = I2M - I I2M
2 M
I3 = I3M
3
2R
Ora, le tre correnti che interessano il motore M costituiscono una terna di correnti
equilibrate, mentre le correnti di alimentazione I1, I2 e I3 sono squilibrate. Allora,
detta I la corrente del resistore 2R, risulta:
I = V12 = 3.80 A .
2R
Le tre correnti del motore possono determinarsi come segue. Dal legame con la
potenza attiva
PM = 3 V IM cos ϕ M ,
essendo
tan ϕ M = QM = 3 → ϕM = π ,
PM 3 3
e, quindi, dato che il fasore della corrente della prima linea del motore è in
ritardo di ϕM + π/6 rispetto a V12, risulta:
I1M = IM , - ϕ M - π = IM , - π = - j IM .
6 2
1
+ I1M
I1
V12
−
2 M
I2 I2M
3
I3 XC XC I3M
XC
Q = tan ϕ → Q = P tan ϕ .
P
2
QC = - 3 V = - 3 ω C∆ V2 ,
XC
L’esempio che segue vi invita a trovare il valore delle capacità di rifasamento nel
caso di collegamento a stella dei condensatori.
I1 I1M
1
+
V12
− I2 I2M
2 M
I3 I3M
3
XC XC XC
2
QC = - 3 E = - 3 ω CY E 2 ,
XC
282 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
QC = - ω CY V2 .
Come si evince dalla formula trovata, a parità di tutti glia altri parametri, il valore
di capacità nel caso di rifasamento a triangolo è tre volte più piccolo di quello
necessario per il rifasamento a stella:
C∆ = 1 CY .
3
Consideriamo due sistemi, l’uno monofase e l’altro trifase, senza neutro, che siano
del tutto equivalenti secondo quanto in precedenza specificato. Potete immaginare
il sistema trifase come preferite, costituito, cioè, da tre impedenze disposte a
triangolo oppure a stella; ciò che stiamo per dire non ne risulterà influenzato. Per
questo, in Figura 9.34 abbiamo lasciato non meglio specificato il carico, sia nel
caso monofase, sia in quello trifase.
Uguagliando le due potenze assorbite dal carico sottoposto alle due diverse
alimentazione, possiamo scrivere
IM RM
+
U (a)
V cos ϕ
IM RM
−
V12 = V
I1T RT 1
+
I2T RT V12
− 2 U (b)
+ cos ϕ
I3T RT V23 3
−
2 RM I 2M = 3 RT I 2T , (9.27)
284 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
2 RM 3 I2T = 3 RT I 2T → 2 RM = R T .
2 RM = R T → 2 ρL = ρL → S M = 2 S T . (9.28)
SM ST
Già il risultato (9.28) mostra un ulteriore vantaggio dei sistemi trifasi: la sezione
dei conduttori del caso monofase è doppia rispetto a quella del caso trifase.
Intuiamo, pertanto, che ci sarà nel caso trifase un risparmio di volume di
materiale conduttore. Cerchiamo di capire quanto materiale in meno viene
impiegato, seguendo lo schema:
volume monofase = 2 SM L = 4 ST L ;
volume trifase = 3 ST L .
volume trifase = 3 ,
volume monofase 4
cioè che vi è un risparmio del 25% in volume di conduttore utilizzato nel caso
trifase rispetto al caso monofase.
Questo semplice confronto basterebbe a giustificare la scelta della trasmissione con
sistemi trifasi; naturalmente ci sono altri aspetti del problema che non abbiamo
esaminato in quanto non congruenti con il livello di approfondimento della
questione al quale riteniamo di doverci mantenere, e che approfondirete durante il
corso di Impianti Elettrici.
9.9 Conclusioni
285 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
Con questo paragrafo si conclude questo secondo volume dedicato allo studio delle
reti elettriche. In questi due volumi, il primo dedicato alle reti elettriche in regime
stazionario, il secondo a quelle in regime dinamico (con particolare enfasi al
regime sinusoidale), abbiamo cercato di spiegare, nella maniera più semplice
possibile, i metodi principali di studio delle reti elettriche. Abbiamo
volontariamente trascurato ogni collegamento alla affascinante teoria dei campi
elettrici e magnetici per dare risalto al problema della corretta soluzione di una
rete elettrica. Nel prosieguo dei vostri studi, quando studierete le macchine, gli
impianti, le misure o i circuiti elettronici, capirete sino in fondo il perché di
alcune nostre scelte. Di una cosa, però, dovete essere certi: che, quale che sia la
rete che incontrerete, che nasca dalla studio di un campo o da una macchina, voi
dovete saperla studiare. E se vi chiederanno lo studio delle dinamiche transitorie,
oppure volete solamente controllare la correttezza dei calcoli fatti a mano, non
dimenticate il simulatore Spice, il solo che può veramente aiutarvi a trattare
problemi nei quali il numero delle maglie cresce molto.
Abbiamo pure tralasciato alcune applicazioni che ci sembrava appesantissero
inutilmente la trattazione, ma che possono essere facilmente comprese una volta
assimilati i princìpi di base espressi in questi volumi. Ad esempio, abbiamo detto
che l’inserzione Aron non consente la misura della potenza reattiva per un sistema
squilibrato. Esistono tuttavia due altri tipi di inserzioni che possono essere usati
per risolvere questo problema e che sono mostrati in Figura 9.35.
(a) (b)
+ +
+ +
1 W 1 W
W1 W1
+ +
+ +
2 W 2 W
W2 W2
+
+
3 3 W
C A D B
W3
in cui W1A, W2B, W1C e W2D sono le letture dei wattmetri con i commutatori posti
nelle posizioni A, B, C e D, rispettivamente.
L’inserzione Righi (Figura 9.35b), invece, permette di ricavare la potenza reattiva
in un sistema simmetrico squilibrato come
Q = W1 - W2 + 2 W3 ,
3
Se poi, oltre ai tanti esempi che in questi due volumi abbiamo sviluppato, sentiste
il bisogno di farne degli altri, potete utilizzare il libro ‘Esercizi sui circuiti
elettrici’ di Andreotti, Davino e Verolino, nel quale troverete circuiti in regime
stazionario e sinusoidale, trifasi compresi, la maggior parte dei quali codificati
anche con Spice, e che costituirà un valido strumento per affinare la vostra
preparazione.
287 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
• Distribuzione in parallelo
Tutti i carichi sono collegati in parallelo tra loro e con un generatore di tensione;
in serie a ciascun carico è disposto un interruttore, come mostrato in Figura A.1.
I carichi vengono inseriti chiudendo gli interruttori; il generatore di tensione,
supposto ideale per semplicità, mantiene ai loro morsetti la tensione nominale
quale che sia il numero di carichi inseriti.
+
E
−
• Distribuzione in serie
Tutti i carichi sono collegati in serie tra loro e con un generatore di corrente; in
parallelo ad ogni carico è disposto un interruttore, come mostrato in Figura A.2.
I carichi vengono inseriti aprendo gli interruttori; il generatore, supposto ideale
per semplicità, mantiene ai loro morsetti la corrente nominale quale che sia il
numero di carichi.
289 - Circuiti elettrici in evoluzione dinamica
+
E
−