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Alessandro Manzoni: la produzione “minore”

Alessandro Manzoni (Milano, 1785 - Milano, 1873) oltre al celeberrimo romanzo I promessi sposi,
nelle tre edizioni ben conosciute, è autore di testi in versi e di tragedie che si distinguono per il
metro adottato, ora adatto alla confluenza con il più ampio filone letterario prosastico, ora
tradizionale e con un sostrato classico.

Gli Inni Sacri


Il neoclassicismo manzoniano emerge senza dubbio dagli Inni sacri, una raccolta di dodici inni
tesi a celebrare dodici festività dell’anno liturgico; solo cinque saranno portati a termine, quattro
pubblicati nel 1815 e l’ultimo, La Pentecoste, nel 1822. Il movente reale della raccolta, benché fin
dal carme In morte di Carlo Imbonati (1806) Manzoni avesse dichiaratamente abbracciato un
programma letterario etico e civile decisamente impegnato, è fondamentalmente civile-cristiano,
secondo uno stile scrittorio dalla sintassi semplice che spinge l’autore a rinunciare
all’endecasillabo a favore di versi meno usati e più “ritmicamente cantabili”, come il settenario.

La Pentecoste
Schema metrico: diciotto strofi di otto settenari con schema abcbdeef con versi non rimati a,
c sdruccioli; strofi unite due a due alla rima tronca f.

Madre de’ Santi, immagine

Quando su te lo Spirito

Della città superna,1

Rinnovator discese,

Del sangue incorruttibile


E l’inconsunta fiaccola 35

Conservatrice eterna;
Nella tua destra accese;

Tu che, da tanti secoli, 5


Quando, segnal de’ popoli,

Soffri, combatti e preghi,


Ti collocò sul monte,

Che le tue tende spieghi


E ne’ tuoi labbri il fonte

Dall’uno all’altro mar;


Della parola aprì. 40

Campo di quei che sperano;


Come la luce rapida

Chiesa del Dio vivente, 10


Piove di cosa in cosa,

Dov’eri mai? qual angolo


E i color vari suscita

Ti raccogliea nascente,
Dovunque si riposa;

Quando il tuo Re, dai perfidi


Tal risonò moltiplice 45

Tratto a morir sul colle,


La voce dello Spiro:

Imporporò le zolle 15
L’Arabo, il Parto, il Siro

Del suo sublime altar?


In suo sermon l’udì.

E allor che dalle tenebre


Adorator degl’idoli,

La diva spoglia uscita,


Sparso per ogni lido, 50

Mise il potente anelito


Volgi lo sguardo a Solima,

Della seconda vita; 20


Odi quel santo grido:

E quando, in man recandosi


Stanca del vile ossequio,

Il prezzo del perdono,


La terra a LUI ritorni:

Da questa polve al trono


E voi che aprite i giorni 55

Del Genitor salì;


Di più felice età,

Compagna del suo gemito, 25


Spose, che desta il subito

Conscia de’ suoi misteri,


Balzar del pondo ascoso;

Tu, della sua vittoria


Voi già vicine a sciogliere

Figlia immortal, dov’eri?


Il grembo doloroso; 60

In tuo terror sol vigile,


Alla bugiarda pronuba

Sol nell’obblio secura, 30


Non sollevate il canto:

Stavi in riposte mura,


Cresce serbato al Santo

Fino a quel sacro dì,


Quel che nel sen vi sta.

1 Riferimento al De civitate Dei di Agostino.


Perché, baciando i pargoli, 65
Che lento poi sull’umili 105

La schiava ancor sospira?


Erbe morrà non colto,

E il sen che nutre i liberi


Né sorgerà coi fulgidi

Invidïando mira?
Color del lembo sciolto,

Non sa che al regno i miseri


Se fuso a lui nell’etere

Seco il Signor solleva? 70


Non tornerà quel mite 110

Che a tutti i figli d’Eva


Lume, dator di vite,

Nel suo dolor pensò?


E infaticato altor.

Nova franchigia annunziano


Noi T’imploriam! Ne’ languidi

I cieli, e genti nove;


Pensier dell’infelice

Nove conquiste, e gloria 75


Scendi piacevol alito, 115

Vinta in più belle prove;

Nova, ai terrori immobile


Aura consolatrice:

E alle lusinghe infide,


Scendi bufera ai tumidi

Pace, che il mondo irride,


Pensier del violento:

Ma che rapir non può. 80


Vi spira uno sgomento

Che insegni la pietà. 120

O Spirto! supplichevoli

A’ tuoi solenni altari;


Per Te sollevi il povero

Soli per selve inospite;


Al ciel, ch’è suo, le ciglia,

Vaghi in deserti mari;


Volga i lamenti in giubilo,

Dall’Ande algenti al Libano, 85


Pensando a Cui somiglia:

D’Erina all’irta Haiti,


Cui fu donato in copia, 125

Sparsi per tutti i liti,


Doni con volto amico,

Uni per Te di cor,


Con quel tacer pudico,

Che accetto il don ti fa.

Noi T’imploriam! Placabile

Spirto, discendi ancora, 90


Spira de’ nostri bamboli

A’ tuoi cultor propizio,


Nell’ineffabil riso; 130

Propizio a chi T’ignora;


La costruzione Spargi la casta porpora

strofica risalta le Alle donzelle in viso;

Scendi e ricrea; rianima

esclamazioni Manda alle ascose vergini

I cor nel dubbio estinti;

E sia divina ai vinti 95


Le pure gioie ascose;

Mercede il vincitor.
Consacra delle spose 135

Il verecondo amor.

Discendi Amor; negli animi

L’ire superbe attuta:


Tempra de’ baldi giovani

Dona i pensier che il memore


Il confidente ingegno;

Ultimo dì non muta; 100


Reggi il viril proposito

I doni tuoi benefica


Ad infallibil segno; 140

Nutra la tua virtude;


Adorna le canizie

Siccome il sol che schiude


Di liete voglie sante;

Dal pigro germe il fior;


Brilla nel guardo errante

Di chi sperando muor.


Le Odi civili
Solo due sono le liriche completate e pubblicate da Manzoni: Marzo 1821 e Il cinque maggio,
entrambe composte nel 1821; la prima scritta in occasione dei moti piemontesi e la seconda sorta
appena Manzoni della morte di Napoleone. S’aggiunge poi la canzone di 91 versi Aprile 1814,
pubblicata postuma e Il proclama di Rimini.

Il cinque maggio
Schema metrico: diciotto strofi di sei settenari secondo lo schema abcbde, in cui il primo, il
terzo e il quinto sono sdruccioli non rimati, il secondo e il quarto sono piani e in rima, il sesto è
tronco e in rima con il sesto verso della strofe successiva.

Ei fu. Siccome immobile,


Ei fe’ silenzio, ed arbitro

Dato il mortal sospiro,


S’assise in mezzo a lor.

Stette la spoglia immemore

Orba di tanto spiro,


E sparve, e i dì nell’ozio 55

Così percossa, attonita 5


Chiuse in sì breve sponda,

La terra al nunzio sta,


Segno d’immensa invidia

E di pietà profonda,

Muta pensando all’ultima


D’inestinguibil odio

Ora dell’uom fatale;


E d’indomato amor. 60

Nè sa quando una simile

Orma di piè mortale 10


Come sul capo al naufrago

La sua cruenta polvere


L’onda s’avvolve e pesa,

A calpestar verrà.
L’onda su cui del misero,

Alta pur dianzi e tesa,

Lui folgorante in solio


Scorrea la vista a scernere 65

Vide il mio genio e tacque;


Prode remote invan;

Quando, con vece assidua, 15

Cadde, risorse e giacque, Tal su quell’alma il cumulo

Di mille voci al sonito


Delle memorie scese!

Mista la sua non ha:


Oh quante volte ai posteri

Narrar se stesso imprese, 70

Vergin di servo encomio


E sull’eterne pagine

E di codardo oltraggio, 20
Cadde la stanca man!

Sorge or commosso al subito

Sparir di tanto raggio:


Oh quante volte, al tacito

E scioglie all’urna un cantico
 Morir d’un giorno inerte,

Che forse non morrà.


Chinati i rai fulminei, 75

Le braccia al sen conserte,

Dall’Alpi alle Piramidi, 25


Stette, e dei dì che furono

Dal Manzanarre al Reno,


L’assalse il sovvenir!

Di quel securo il fulmine

Tenea dietro al baleno;


E ripensò le mobili

Scoppiò da Scilla al Tanai,


Tende, e i percossi valli, 80

Dall’uno all’altro mar. 30


E il lampo de’ manipoli,

E l’onda dei cavalli,

Fu vera gloria? Ai posteri
 E il concitato imperio,

L’ardua sentenza: nui


E il celere ubbidir.

Chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui


Ahi! forse a tanto strazio 85

Del creator suo spirito 35


Cadde lo spirto anelo,
Più vasta orma stampar.
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
La procellosa e trepida

E in più spirabil aere


Gioia d’un gran disegno,

L’ansia d’un cor che indocile


Pietosa il trasportò; 90

Serve, pensando al regno; 40

E il giunge, e tiene un premio


E l’avviò, pei floridi

Ch’era follia sperar;


Sentier della speranza,

Ai campi eterni, al premio

Tutto ei provò: la gloria
 Che i desidéri avanza,

Maggior dopo il periglio,


Dov’è silenzio e tenebre 95

La fuga e la vittoria, 45
La gloria che passò.

La reggia e il tristo esiglio:

Bella Immortal! benefica



Due volte nella polvere,

Fede ai trionfi avvezza!

Due volte sull’altar.


Scrivi ancor questo, allegrati;

Chè più superba altezza 100

Ei si nomò: due secoli,


Al disonor del Golgota

L’un contro l’altro armato, 50


Giammai non si chinò.

Sommessi a lui si volsero,

Come aspettando il fato;

Tu dalle stanche ceneri

Sperdi ogni ria parola:

Il Dio che atterra e suscita, 105



Che affanna e che consola,

Sulla deserta coltrice



Accanto a lui posò.

Il Conte di Carmagnola
Prima delle due tragedie d’argomento storico di Manzoni, Il Conte di Carmagnola (1816-1820, ma
rappresentato a Firenze nel 1828) recupera l’ideale classico della potenzialità catartica della
tragedia attualizzandolo in un sistema realistico e al tempo stesso drammatico, al fine di suscitare
una più nobile coscienza critica ed etica.

Coro dell’atto II, vv. 1-56


Schema metrico: sedici strofi di otto decasillabi accentati sulla terza, sesta e nona sillaba, con
schema abacbddc, con quarto e ottavo verso tronchi.

S’ode a destra uno squillo di tromba;


Che non tentan la turba furente

A sinistra risponde uno squillo:


Con prudenti parole placar? 40

D’ambo i lati calpesto rimbomba

Da cavalli e da fanti il terren.


— Come assiso talvolta il villano

Quinci spunta per l’aria un vessillo; 5


Sulla porta del cheto abituro,

Quindi un altro s’avanza spiegato:


Segna il nembo che scende lontano

Ecco appare un drappello schierato;


Sopra i campi che arati ei non ha;

Ecco un altro che incontro gli vien.


Cosi udresti ciascun che sicuro 45

Vede lungi le armate coorti,

Già di mezzo sparito è il terreno;


Raccontar le migliaia de’ morti,

Già le spade respingon le spade; 10


E la pietà dell’arse città.

L’un dell’altro le immerge nel seno;

Gronda il sangue; raddoppia il ferir.


Là, pendenti dal labbro materno

— Chi son essi? Alle belle contrade


Vedi i figli che imparano intenti 50

Qual ne venne straniero a far guerra?


A distinguer con nomi di scherno

Qual è quei che ha giurato la terra 15


Quei che andranno ad uccidere un dì;

Dove nacque far salva, o morir?


Qui le donne alle veglie lucenti

De’ monili far pompa e de’ cinti,

— D’una terra son tutti; un linguaggio


Che alle donne deserte de’ vinti 55

Parlan tutti: fratel li dice


Il marito o l’amante rapì.

Lo straniero; il comune lignaggio

A ognun d’essi dal volto traspar. 20


— Ahi sventura! sventura! sventura!

Questa terra fu a tutti nudrice,


Già la terra è coperta d’uccisi;

Questa terra di sangue ora intrisa,


Tutta è sangue la vasta pianura;

Che natura dall’altre ha divisa,


Cresce il grido, raddoppia il furor. 60

E ricinta con l’alpe e col mar.


Ma negli ordini manchi e divisi

Mal si regge, già cede una schiera;

— Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando 25


Già nel volgo che vincer dispera,

Trasse il primo il fratello a ferire?


Della vita rinasce l’amor.

— Oh terror! Del conflitto esecrando

La cagione esecranda qual è?


Come il grano lanciato dal pieno 65

— Non la sanno: a dar morte, a morire


Ventilabro nell’aria si spande;

Qui senz’irà ognun d’essi è venuto; 30


Tale intorno per l’ampio terreno

E venduto ad un duce venduto,


Si sparpagliano i vinti guerrier.

Con lui pugna e non chiede il perchè.


Ma improvvise terribili bande

Ai fuggenti s’affaccian sul calle; 70

— Ahi sventura! Ma spose non hanno,


Ma si senton più presso alle spalle

Non han madre gli stolti guerrieri?


Anelare il temuto destrier.

Perchè tutte i lor cari non vanno 35

Dall’ignobile campo a strappar?


Cadon trepidi a pie de’ nemici,

E i vegliardi che ai casti pensieri


Gettan l’arme, si danno prigioni:

Dalla tomba già schiudon la mente,


Il clamor delle turbe vittrici 75

Copre i lai del tapino che mor.


E voglioso a quei campi v’attende

Un corriero è salito in arcioni;


Dove il vostro fratello perì.

Prende un foglio, il ripone, s’avvia,

Sferza, sprona, divora la via;


Tu che angusta a’ tuoi figli parevi, 105

Ogni villa si desta al rumor. 80


Tu che in pace nutrirli non sai,

Fatal terra, gli estrani ricevi:

Perchè tutti sul pesto cammino


Tal giudizio comincia per te.

Dalle case, dai campi accorrete?


Un nemico che offeso non hai,

Ognun chiede con ansia al vicino,


A tue mense insultando s’asside; 110

Che gioconda novella recò?


Degli stolti le spoglie divide;

Donde ei venga infelici, il sapete, 85


Toglie il brando di mano a’ tuoi re.

E sperate che gioia favelli?

I fratelli hanno uccisi i fratelli:


Stolto anch’esso! Beata fu mai

Questa orrenda novella vi do.


Gente alcuna per sangue ed oltraggio?

Solo al vinto non toccano i guai; 115

Odo intorno festevoli gridi;


Torna in pianto dell’empio il gioir.

S’orna il tempio, e risona del canto; 90


Ben talor nel superbo viaggio

Già s’innalzan dai cori omicidi


Non l’abbatte l’eterna vendetta;

Grazie ed inni che abbomina il ciel.


Ma lo segna; ma veglia ed aspetta;

Giù dal cerchio dell’alpi frattanto


Ma lo coglie all’estremo sospir. 120

Lo straniero gli sguardi rivolve;

Vede i forti che mordon la polve, 95


Tutti fatti a sembianza d’un Solo,

E li conta con gioia crudel.


Figli tutti d’un solo Riscatto,

In qual ora, in qual parte del suolo,

Affrettatevi, empite le schiere.


Trascorriamo quest’aura vital,

Sospendete i trionfi ed i giochi,


Siam fratelli; siam stretti ad un patto; 125

Ritornate alle vostre bandiere:


Maledetto colui che l’infrange,

Lo straniero discende; egli è qui. 100


Che s’innalza sul fiacco che piange,

Vincitori Siete deboli e pochi?


Che contrista uno spirto immortal!

Ma per questo a sfidarvi ei discende;

Adelchi
L’Adelchi è edita nel 1822 ed è corredata da un Discorso sopra alcuni punti della storia
longobardica in Italia e da alcune Notizie storiche nella premessa. La vicenda, in effetti, si svolge
tra il 772 e il 774, negli ultimi anni del regno di Desiderio, prima della minaccia d’invasione al
papa, Adriano I.

Coro dell’atto III (edizione del 1822, priva delle sezioni censurate)
Schema metrico: undici strofi di sei dodecasillabi (doppi senari, in realtà) con schema aabccb,
con terzo e sesto verso tronchi.

Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,


De’ crudi signori la turba diffusa,

Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,


Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Dai solchi bagnati di servo sudor,

Un volgo disperso repente si desta; Ansanti li vede, quai trepide fere,

Intende l’orecchio, solleva la testa 5


Irsuti per tema le fulve criniere, 20

Percosso da novo crescente romor.


Le note latebre del covo cercar;

  
E quivi, deposta l’usata minaccia,

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,


Le donne superbe, con pallida faccia,

Qual raggio di sole da nuvoli folti,


I figli pensosi pensose guatar.

Traluce de’ padri la fiera virtù:

Ne’ guardi, ne’ volti, confuso ed incerto 10


E sopra i fuggenti, con avido brando, 25

Si mesce e discorda lo spregio sofferto


Quai cani disciolti, correndo, frugando,

Col misero orgoglio d’un tempo che fu.


Da ritta, da manca, guerrieri venir:

Li vede, e rapito d’ignoto contento,

S’aduna voglioso, si sperde tremante,


Con l’agile speme precorre l’evento,

Per torti sentieri, con passo vagante,


E sogna la fine del duro servir. 30

Fra sema e desire, s’avanza e ristà; 15

E adocchia e rimira scorata e confusa

Udite! Quei forti che tengono il campo,


Gli oscuri perigli di stanze incresciose,

Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,


Per greppi senz’orma le corse affannose, 50

Son giunti da lunge, per aspri sentier:


Il rigido impero, le fami durâr;

Sospeser le gioie dei prandi festosi,


Si vider le lance calate sui petti,

Assursero in fretta dai blandi riposi, 35


A canto agli scudi, rasente agli elmetti,

Chiamati repente da squillo guerrier.


Udiron le frecce fischiando volar.

55

Lasciar nelle sale del tetto natio


E il premio sperato, promesso a quei forti

Le donne accorate, tornanti all’addio,


Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,

A preghi e consigli che il pianto troncò:


D’un volgo straniero por fine al dolor?
Han carca la fronte de’ pesti cimieri, 40
Tornate alle vostre superbe ruine,

Han poste le selle sui bruni corsieri,


All’opere imbelli dell’arse officine,

Volaron sul ponte che cupo sonò.


Ai solchi bagnati di servo sudor. 60

A torme, di terra passarono in terra,


Il forte si mesce col vinto nemico,

Cantando giulive canzoni di guerra,


Col novo signore rimane l’antico;

Ma i dolci castelli pensando nel cor: 45


L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.

Per valli petrose, per balzi dirotti,


Dividono i servi, dividon gli armenti;

Vegliaron nell’arme le gelide notti,


Si posano insieme sui campi cruenti 65

Membrando i fidati colloqui d’amor.


D’un volgo disperso che nome non ha.


Coro dell’atto IV (scena 1)


Schema metrico: strofi di sei settenari (il primo, il terzo e il quinto sdruccioli; il secondo e il
quarto piani; il sesto tronco) con schema abcbde.

Sparsa le trecce morbide


Quando ancor cara, improvida

Sull’affannoso petto,
D’un avvenir mal fido,

Lenta le palme, e rorida


Ebbra spirò le vivide

Di morte il bianco aspetto,


Aure del Franco lido,

Giace la pia, col tremolo 5


E tra le nuore Saliche 35

Sguardo cercando il ciel.


Invidiata uscì:

Cessa il compianto: unanime


Quando da un poggio aereo,

S’innalza una preghiera:


Il biondo crin gemmata,

Calata in su la gelida
Vedea nel pian discorrere

Fronte, una man leggiera 10


La caccia affaccendata, 40

Sulla pupilla cerula


E sulle sciolte redini

Stende l’estremo vel.


Chino il chiomato sir;

Sgombra, o gentil, dall’ansia


E dietro a lui la furia

Mente i terrestri ardori;


De’ corridor fumanti;

Leva all’Eterno un candido 15


E lo sbandarsi, e il rapido 45

Pensier d’offerta, e muori:


Redir de’ veltri ansanti;

Fuor della vita è il termine


E dai tentati triboli

Del lungo tuo martir.


L’irto cinghiale uscir;

Tal della mesta, immobile


E la battuta polvere

Era quaggiuso il fato: 20


Riga di sangue, colto 50

Sempre un obblio di chiedere


Dal regio stral: la tenera

Che le saria negato;


Alle donzelle il volto

E al Dio de’ santi ascendere


Volgea repente, pallida

Santa del suo patir.


D’amabile terror.

Ahi! nelle insonni tenebre, 25


Oh Mosa errante! oh tepidi 55

Pei claustri solitari,


Lavacri d’Aquisgrano!

Tra il canto delle vergini,


Ove, deposta l’orrida

Ai supplicati altari,
Maglia, il guerrier sovrano

Sempre al pensier tornavano


Scendea del campo a tergere

Gl’irrevocati dì; 30
Il nobile sudor! 60

Come rugiada al cespite


Tale al pensier, cui l’empia

Dell’erba inaridita,
Virtù d’amor fatica,

Fresca negli arsi calami


Discende il refrigerio

Fa rifluir la vita,
D’una parola amica, 70

Che verdi ancor risorgono 65


E il cor diverte ai placidi

Nel temperato albor;


Gaudii d’un altro amor.


La morte di Ermengarda

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