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Armamenti

di Virgilio Ilari
Da Enciclopedia del Novecento II Supplemento

Armamenti

sommario: 1. Disarmo e riarmo nel ‛terzo dopoguerra'. 2. L'eliminazione degli euromissili e la


riduzione degli armamenti strategici. 3. La riduzione delle forze convenzionali e nucleari in
Europa. 4. I costi del disarmo e il futuro delle armi nucleari. 5. Il controllo sui programmi e il
bando degli esperimenti nucleari. 6. La non proliferazione nucleare e il bando delle armi
biologiche e chimiche. 7. La proliferazione missilistica. 8. L'Accordo MTCR e la difesa contro i
missili balistici (BMD). 9. La Convenzione sulle mine, le armi non letali e la guerra genetica e
ambientale. □ Bibliografia.

1. Disarmo e riarmo nel ‛terzo dopoguerra'

Pur senza lutti e distruzioni, anche la guerra fredda - come le due guerre mondiali del XX secolo -
si è conclusa con una schiacciante vittoria e con la cancellazione del sistema geopolitico
antagonista. Non è dunque sorprendente che sotto vari aspetti gli anni novanta ricordino un
‛dopoguerra' e che una delle maggiori analogie con i decenni successivi alle due guerre mondiali
riguardi proprio gli armamenti.
In una prima fase, caratterizzata dall'enfasi sui ‛dividendi della pace', cioè sulla riconversione delle
spese e dell'industria militari a scopi sociali e civili, l'Occidente ha consolidato la vittoria
attraverso il disarmo selettivo, ottenuto per via negoziale e spesso in cambio di aiuti economici, al
duplice scopo di controllare la propria coesione interna e prevenire nuovi potenziali antagonismi
militari; né ha mancato - con la guerra per la liberazione del Kuwait (1991) e le sanzioni
economiche e militari all'Iraq di Ṣaddam Ḥusayn - di modificare a proprio vantaggio gli equilibri
strategici nella regione petrolifera e di imporre il disarmo anche con sistemi coercitivi.
Il fallimento dell'intervento di pace in Somalia (1992-1994) ha rapidamente archiviato i progetti
‛globalisti' di governo mondiale nel quadro dell'ONU e la teoria del dovere di intervento
umanitario. Già nel 1993 si contavano nel mondo 42 conflitti armati (12 fra Stati, 17 civili e 13
guerriglie alimentate da movimenti indipendentisti), con milioni di profughi e 150.000 morti.
L'incertezza e la relativa anarchia del mondo post-bipolare hanno ‛ri-nazionalizzato' la sicurezza
internazionale e avviato un nuovo processo di riarmo, basato sull'acquisizione di tecnologie
avanzate più che di sistemi d'arma: un riarmo, dunque, meno vistoso e sovente dissimulato
attraverso misure di disarmo e riduzione quantitativa delle forze. Oggi una sola missione del
caccia F-117 con una sola bomba può raggiungere un risultato equivalente a 4.500 missioni e
9.000 bombe della seconda guerra mondiale e a 95 missioni e 190 bombe della guerra del
Vietnam. Le armi impiegabili a distanza di sicurezza dal nemico (stand-off) e l'uso di veicoli
pilotati a distanza hanno drasticamente ridotto le perdite per offesa nemica. In almeno 7 paesi sono
in corso ricerche nel settore della robotica militare (Stati Uniti, Russia, Israele, Italia, Sudafrica,
Germania e Giappone) e si calcola che entro la fine del secolo il relativo volume di affari
raggiungerà i 4 miliardi di dollari. Tuttavia questa rivoluzione tecnico-militare, a carattere
evolutivo e incrementale, è ancora di modesta portata rispetto alle nuove rivoluzioni negli affari
militari e di sicurezza, basate sulle tecnologie dell'informazione. I nuovi sensori nanometrici in
grado di rilevare obiettivi fissi e mobili a distanze di 800-1.600 km, di essere attivati a comando e
di autoreplicarsi, consentono lo sviluppo di missili, di mine, di blindature e di equipaggiamenti
‛intelligenti'. Accanto alla guerra elettronica e alla guerra psicologica, già ampiamente
sperimentate nel XX secolo, si stanno sviluppando nuovi tipi di guerra delle informazioni (IW,
Information Warfare) come la guerra informatizzata (IRSTA, Intelligence, Reconnaisance,
Surveillance and Target Acquisition), l'attacco ai sistemi avversari (hacker warfare), l'attacco
virtuale (cyberwar), la guerra informativa economica e la guerra contro il sistema di comando e
controllo nemico.
In particolare l'IRSTA ha sostituito la potenza di fuoco e la manovra delle forze, consentendo di
condurre operazioni simultanee su tutta la profondità dei teatri operativi. La capacità di fuoco
preciso a grande distanza e la drastica riduzione della vulnerabilità attribuiranno alla battaglia
terrestre le stesse caratteristiche della battaglia navale. Strumento essenziale dell'IRSTA sarà il
‛sistema di sistemi', basato sull'integrazione sinergica fra sistemi informativi e di sorveglianza, di
comando e controllo e di fuoco di precisione in profondità, in grado di coprire un'area di 300 km2 e
di operare modularmente anche in coalizioni multinazionali ‛a geometria variabile'.
Peraltro il trasferimento della tecnologia informatica dovrà essere strettamente controllato
dall'Occidente per evitare il rischio di una ‛Pearl Harbour informatica'. Come il dominio marittimo
e il controllo della guerra nucleare hanno fondato rispettivamente la pax britannica del XIX secolo
e la pax americana del XX, così sarà il dominio dello spazio informatico ad assicurare la pax
americana del XXI secolo.

2. L'eliminazione degli euromissili e la riduzione degli armamenti strategici

Gli Accordi di Washington dell'8 dicembre 1987 sull'eliminazione dall'Europa delle forze nucleari
di raggio intermedio (INF, Intermediate Nuclear Forces), i cosiddetti ‛euromissili' sovietici (SS20)
e americani (Pershing II e GLCM, Ground Launched Cruise Missile), segnarono il fallimento del
tentativo sovietico di minare le basi della NATO staccando (decoupling) la difesa dell'Europa da
quella del continente nordamericano e consacrarono la vittoria occidentale nella guerra fredda.
Inserito in un più ampio processo negoziale di riduzione bilanciata delle forze nucleari strategiche
(START, Strategic Arms Reduction Talks) e convenzionali, l'accordo INF produsse conseguenze
analoghe a quelle prodotte dalle grandi battaglie dell'era prenucleare. Esso fu, infatti, preludio e
concausa della catena di grandi mutamenti geopolitici del biennio 1989-1991: caduta del muro di
Berlino, ritiro delle forze sovietiche dai paesi satelliti, scioglimento del Patto di Varsavia, fine del
comunismo, dissoluzione dell'URSS e della Iugoslavia, riunificazione tedesca e Trattato di
Maastricht.
La stretta connessione tra disarmo e mutamento geopolitico è sottolineata dal fatto che l'Unione
Sovietica sopravvisse appena tre settimane al primo accordo per la riduzione degli armamenti
strategici (START I) - firmato a Mosca il 30 e 31 luglio 1991 dai presidenti Bush e Gorbačëv -,
concludendo bruscamente il complesso negoziato avviato alla fine degli anni settanta. Lo START I
ratificava la superiorità americana impegnando Stati Uniti e Russia a ridurre le testate
rispettivamente a 8.500 e 6.150 entro il 2001. Un secondo accordo (START II), concluso a
Washington il 16 giugno 1992 in cambio di consistenti aiuti economici americani e firmato il 2
gennaio 1993 da George Bush e Boris El′cin, le ridusse ulteriormente a 3.500 e 3.000 (cifre da
raggiungere entro il 2003); l'accordo prevedeva inoltre l'eliminazione delle armi più pericolose per
gli Stati Uniti, cioè i missili balistici intercontinentali (ICBM, Inter-Continental Ballistic Missiles)
a testate multiple (MIRV, Multiple Indipendently Targeted Re-entry Vehicles), nonché la
cooperazione nel campo della difesa antimissile, incluso un eventuale ‛scudo spaziale' russo-
americano. Con l'accordo gli Stati Uniti rinunciavano formalmente alla superiorità quantitativa
delle testate, sospendevano unilateralmente la produzione dell'ultimo tipo di testata nucleare
(W88) per missili sottomarini Trident 2-D5 e inoltre cancellavano i programmi relativi ai vettori
‛invisibili' (bombardiere B-2 e sottomarino Sea Wolf; v. tabb. I e II).

Tabella 1
Tabella 2

3. La riduzione delle forze convenzionali e nucleari in Europa

Ovviamente, al disarmo eurostrategico e strategico si accompagnò, in Europa, anche quello


convenzionale. Il 18 aprile 1986 Michail Gorbačëv annunciò a Berlino Est le linee generali di un
piano per uscire dal vicolo cieco in cui si era giunti nelle trattative per la riduzione bilanciata delle
forze (MBFR, Mutual and Balanced Force Reduction), avviate nell'ottobre 1973. Nel giugno 1986,
con l'‛appello di Budapest', il Patto di Varsavia propose l'allargamento della trattativa ai suoi
membri e a tutti i 23 paesi NATO, nonché una riduzione generale di un quarto delle forze.
Il negoziato sulle misure per il rafforzamento della fiducia e della sicurezza (CSBM, Confidence
and Security Building Measures) e sul disarmo in Europa (CDE, Conference on Disarmament in
Europe ), avviato nel 1983 nel quadro della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in
Europa (CSCE), si concluse il 22 settembre 1986 con l'Accordo di Stoccolma, con il quale si
escludeva il ricorso alla minaccia o all'uso della forza e si rendeva obbligatoria la notifica
preventiva e l'osservazione di talune attività militari (esercitazioni, trasferimenti, concentrazioni).
Nel gennaio 1989 gli Stati Uniti misero in orbita il primo dei 5 supersatelliti spia Lacrosse (costo 1
miliardo di dollari) in grado di effettuare il telerilevamento fotografico permanente (consentito dal
Trattato del 1967 sullo spazio extra-atmosferico) dell'Europa orientale e dell'80% del territorio
dell'URSS. In febbraio il negoziato MBFR venne sostituito da quello più vasto sulle forze
convenzionali in Europa (CFE, Conventional Forces in Europe), e la prima bozza del relativo
trattato fu approvata il 10 novembre 1989. Il 1° giugno 1990 fu completato il ritiro degli
euromissili. Con il riconoscimento internazionale dell'unificazione tedesca e con la firma a Mosca
dei documenti scaturiti dal negoziato tra la BRD, la DDR e le quattro potenze vincitrici del
secondo conflitto mondiale (12 settembre 1990), la Germania rinunciò unilateralmente alle armi
nucleari e si impegnò a limitare le forze armate a 370.000 uomini. Nel novembre 1990 seguirono
la firma, a Vienna e a Parigi, del nuovo documento sulle CSBM e del trattato CFE.
Il 24 marzo 1992 i 31 paesi NATO ed ex Patto di Varsavia firmarono a Helsinki, nel contesto della
CSCE, il trattato ‛cieli aperti' (Open Skies) sul regime dei controlli aerei delle attività militari in
Europa, in Nordamerica e nella parte asiatica dell'ex URSS. Il trattato consentiva un efficace
controllo degli accordi di disarmo anche ai paesi non dotati di propri sistemi di telerilevamento
satellitare.
Seguirono il 10 luglio 1992 - sempre a Helsinki, nel quadro CSCE - gli accordi complementari al
Trattato CFE, sull'entrata in vigore e sulla riduzione delle forze convenzionali (CFE 1A) nella
zona dall'Atlantico agli Urali (ATTU, Atlantic to Urals). Peraltro i ‛tetti' quantitativi fissati dal
CFE 1A erano largamente al di sopra delle effettive disponibilità demografiche e finanziarie della
maggior parte dei 29 paesi aderenti (16 NATO, 8 ex URSS e 5 ex Patto di Varsavia) e le riduzioni,
già pianificate, hanno semmai finanziato vari programmi nazionali di ammodernamento e
potenziamento ‛povero', basati sull'acquisto di surplus, in particolare russo e americano.
Il colpo di Stato di Mosca (19 agosto 1991) affrettò l'annuncio (28 settembre 1991) della decisione
americana di ritirare unilateralmente 1'80% delle testate nucleari tattiche dislocate nelle basi
terrestri e aeree in Europa. La decisione fu poi ratificata dalla sessione di Montebello del Gruppo
di Pianificazione Nucleare (NPG, Nuclear Planning Group) della NATO (17 ottobre 1991). Il
numero delle testate americane in Europa scese così da 3.600 a 1.000 (325 in Germania, 300 in
Gran Bretagna, 150 in Turchia e in Italia, 10 in Belgio e in Olanda), senza contare però quelle in
dotazione alle forze navali. Tali armi assicurano il pieno controllo americano dell'equilibrio
strategico regionale in Europa. Infatti, i deterrenti nazionali inglese e francese (200 e 500 testate,
missili con raggio di 4.600 e 5.000 km) costituiscono uno dei maggiori ostacoli a una eventuale
integrazione militare in ambito comunitario (‛difesa europea') dal momento che il Trattato di non
proliferazione (TNP) vieta di porre le forze nucleari alle dipendenze di paesi non nucleari, mentre
il deterrente britannico è strettamente integrato con quello americano.
Conclusa la fase della ‛riconversione', l'industria militare è attualmente in netta ripresa. Nel giugno
1996 Italia e Gran Bretagna hanno aderito all'Agenzia europea degli armamenti - fondata nel 1992
sull'asse franco-tedesco - che coordina attualmente ben 27 programmi militari.

4. I costi del disarmo e il futuro delle armi nucleari

Secondo la Brookings Institution di Washington, in oltre mezzo secolo (1940-1995) gli Stati Uniti
hanno speso almeno 4.000 miliardi di dollari (1996) per i soli armamenti nucleari (70.000 testate,
6.000 missili e 5.000 bombardieri), una cifra relativamente bassa se confrontata con il costo
militare, economico e commerciale della partecipazione alle due guerre mondiali, stimato nel 1948
in 22.000 miliardi attuali (durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti produssero 6 milioni
di armi automatiche leggere, 300.000 aerei, 100.000 carri armati, 71.000 imbarcazioni e 41
miliardi di proiettili).
Ma la drastica riduzione degli armamenti nucleari ha semplicemente riconvertito e non smantellato
l'industria nucleare militare, mentre ha imposto nuovi oneri per disarmo, verifica, controllo,
informazione e sicurezza. Oltre ai costi di deposito, custodia e disattivazione delle testate, ciascuna
delle quali ha in media circa 6.000 componenti, la decontaminazione dei siti e dei poligoni
americani comporta un onere decennale di 230 miliardi di dollari (poco meno del bilancio annuale
della difesa: 265 miliardi nel 1996), più altri 2 per eliminare (vetrificandole) oltre metà delle
riserve americane di plutonio a uso militare (52 tonnellate su un totale di 98). Ma l'arsenale
americano include anche 994 tonnellate di uranio arricchito, e quello ex sovietico altre 130-200
tonnellate di plutonio e 1.200 di uranio. Nell'ultimo quinquennio gli Stati Uniti hanno concesso 1,6
miliardi di dollari alla Russia per consentirle di recuperare migliaia di testate nucleari esosamente
cedute da Kazakistan, Bielorussia e Ucraina in cambio di consistenti aiuti economici e militari, e
nel 1992 hanno concluso un accordo commerciale ventennale del valore di 12 miliardi che
impegna la Russia a riconvertire per usi civili 500 tonnellate di uranio altamente arricchito. Ma si
tratta di cifre del tutto insufficienti di fronte agli enormi rischi di proliferazione e contaminazione
correlati alla dispersione del potenziale nucleare ex sovietico.
Nel triennio 1993-1996 gli Stati Uniti hanno smantellato 4.000 testate, riducendone il totale a
9.000, ma hanno minacciato di sospendere le ulteriori riduzioni in programma fino alla ratifica
dello START II da parte del Parlamento russo, ostacolata dai partiti nazionalisti e postcomunisti.
Di conseguenza è possibile che entrambe le superpotenze entrino nel nuovo secolo mantenendo in
servizio un numero di testate superiore al fabbisogno previsto dalle rispettive strategie. Infatti,
contrariamente alle speranze e ai pronostici, le armi nucleari non sono divenute strategicamente
‛obsolete' e l'‛era nucleare' non è stata archiviata assieme alla guerra fredda. Gli immensi arsenali
delle superpotenze hanno subito una drastica riduzione quantitativa, ma la loro efficacia militare è
stata notevolmente potenziata dai miglioramenti tecnologici già raggiunti prima degli accordi
relativi alle armi nucleari. Anzi, questi accordi mirano proprio a consolidare l'assoluta superiorità
tecnologica dell'attuale arsenale americano, vietando agli altri paesi nucleari di colmare il
differenziale di potenza.
Tuttavia, la scomparsa dell'antagonista sovietico ha posto in questione la funzione politico-
strategica delle forze nucleari occidentali dell'epoca bipolare. L'Occidente assegnava loro un unico
compito: impedire a un ben identificato aggressore potenziale (l'URSS) di sfruttare la propria
superiorità convenzionale per rompere l'isolamento economico e tecnologico e staccare l'Europa
occidentale dall'influenza americana (analoga funzione, nei confronti della Cina, avevano le forze
nucleari americane nella Corea del Sud). Nella strategia sovietica, al contrario, le forze nucleari
dovevano consentire una guerra limitata in Europa, neutralizzando di sorpresa le forze nucleari
tattiche presenti in Europa occidentale e dissuadendo gli Stati Uniti dall'impiegare quelle
strategiche contro il territorio sovietico. Nell'ottobre 1993 Bruce Blair, ricercatore della Brookings
Institution, accertò che da 10 anni le forze nucleari sovietiche erano integrate in un sistema
informatico programmato per scatenare una rappresaglia automatica in caso di distruzione dei
centri di comando, quasi come nel famoso film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore.
Di conseguenza, la pianificazione degli obiettivi delle forze nucleari riguardava esclusivamente i
paesi dei due blocchi. Anzi, erano proprio questi obiettivi a tracciare la frontiera geostrategica tra
le regioni paradossalmente ‛santuarizzate' dalla dissuasione nucleare e il resto del mondo, soggetto
alle sole armi convenzionali e perciò anche alla vecchia razionalità prenucleare e al rischio
concreto della guerra ‛calda'. Ma nel mondo post-bipolare una tale frontiera non ha più senso. Ciò
significa che il Nord farà a meno della dissuasione nucleare, oppure che la dissuasione (o magari
l'aggressione) nucleare verrà estesa e adattata al Sud?
Nel gennaio 1992 Boris El′cin propose un accordo per puntare i missili strategici verso zone
remote degli oceani Atlantico e Pacifico, allo scopo di evitare il rischio della ‛guerra per errore';
invece, secondo l'agenzia giapponese Kyodo, il Pentagono stava pensando di ‛puntarli' contro
Germania e Giappone. Nel 1993 le importazioni giapponesi di plutonio suscitarono allarme,
mentre il settimanale tedesco ‟Der Spiegel" rivelò che un rapporto segreto americano prevedeva
misure preventive contro i paesi con potenziale nucleare, inclusa la Germania.
Fin dal 1992 il nuovo Comando strategico unificato di Omaha ha comunque selezionato i possibili
bersagli in un certo numero di paesi del Terzo Mondo dotati di potenziale nucleare. Peraltro, data
la minore vulnerabilità geostrategica, la maggiore sopportabilità dei danni e delle perdite umane e
la diversa razionalità di alcuni di tali paesi, le opzioni nucleari a disposizione dell'Occidente non
possono limitarsi alla semplice deterrenza, ma debbono necessariamente includere anche eventuali
attacchi preventivi.
Nel 1996 la Commissione di Canberra, un organo internazionale istituito dal governo australiano,
e un gruppo di 60 generali e ammiragli di una dozzina di paesi hanno formulato proposte e
raccomandazioni per una progressiva riduzione degli arsenali nucleari, fino alla loro definitiva
abolizione. L'opinione prevalente è però che le armi atomiche non possano essere ‛disinventate' e
che continueranno a essere indispensabili per la coesione, la stabilità e la sicurezza dell'Occidente.

5. Il controllo sui programmi e il bando degli esperimenti nucleari

A partire dalla IV Conferenza di revisione di Ginevra (14-20 settembre 1990) gli Stati Uniti hanno
intensificato gli sforzi per allargare il Trattato di non proliferazione (TNP) e promuovere accordi
sul controllo da parte dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). I controlli
effettuati in Iraq dopo la guerra del Golfo accertarono che, nonostante il rallentamento dei
programmi imposto dal bombardamento israeliano del centro nucleare di Osirak (1981), la bomba
atomica irachena sarebbe stata pronta entro il 1994.
Nel 1992 Cina e Francia aderirono al TNP, e Corea del Nord e Algeria al regime dei controlli
AIEA. Tuttavia, in risposta alle manovre congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud e alle sanzioni
minacciate per non aver consentito le ispezioni AIEA, il 13 marzo 1993 la Corea del Nord pose in
allarme le forze armate e annunciò il ritiro dal TNP. La proposta americana di sanzioni
economiche fu congelata dal veto cinese. La crisi si risolse con l'accordo del 21 ottobre 1994, che
prevedeva il congelamento dei programmi nordcoreani in cambio di reattori per uso civile, petrolio
e scambi commerciali. Dopo l'adesione dell'Ucraina, un laborioso accordo sul rinnovo illimitato
del TNP (11 maggio 1995) fu accolto solo da 106 paesi su 178 firmatari. Tra i paesi che non hanno
ancora aderito al TNP vi sono le tre potenze nucleari non dichiarate (Israele, India e Pakistan).
Il disarmo Est-Ovest sembrò rivitalizzare anche la Conferenza per il disarmo di Ginevra, istituita
nel 1978 su raccomandazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma indipendente
dall'ONU, col mandato di ‟promuovere il disarmo generale e completo sotto controllo
internazionale". Formata da 38 membri effettivi e 49 osservatori, la Conferenza colse il suo primo
successo soltanto nel 1993, con la Convenzione sul bando totale delle armi chimiche (CWTB,
Chemical Weapon Total Ban) e con l'avvio del negoziato per la messa al bando degli esperimenti
nucleari (CTBT, Comprehensive Test Ban Treaty). Nonostante il parere contrario del Pentagono, il
30 giugno 1993 il presidente Clinton dichiarò la moratoria unilaterale degli esperimenti e nel
successivo vertice di Tokyo del G7 invitò anche le altre potenze nucleari - reali e potenziali - a fare
altrettanto. Tuttavia, Francia e Cina accettarono di aderire alla moratoria solo a condizione di poter
completare i loro esperimenti nucleari. Nel 1995 le proteste dei governi australiano e
neozelandese, il dissenso degli Stati Uniti, il voto di condanna dell'Assemblea delle Nazioni Unite
- espresso anche da alcuni partners europei, tra cui l'Italia -, la mobilitazione delle associazioni
pacifiste, ambientaliste e antinucleari occidentali e le pittoresche sfide della flottiglia di
Greenpeace, non dissuasero la Francia dal completare il programma di esperimenti sottomarini
nell'atollo di Mururoa prima di aderire alla moratoria. La Cina condusse il suo 44° esperimento nel
giugno 1996, dando il primo colpo al negoziato CTBT. Approvato 1'11 settembre, malgrado la
strenua opposizione dell'India, il bando diventerà però effettivo solo dopo la ratifica di tutti i 44
paesi in possesso di reattori nucleari. Le potenze nucleari hanno finora effettuato 2.045 esplosioni
sperimentali (USA 1.030, Russia 715, Francia 210, Gran Bretagna 45, Cina 45).

6. La non proliferazione nucleare e il bando delle armi biologiche e chimiche

Soltanto in America Latina, grazie all'influenza degli Stati Uniti, è stato possibile creare una zona
denuclearizzata (Trattato di Tlatelolco, 1967), che del resto include solo cinque paesi (Bolivia,
Brasile, Cile, Ecuador e Messico). L'acquisizione palese o nascosta di capacità nucleari da parte di
vari paesi emergenti, la conflittualità interregionale e il confronto indiretto fra le due superpotenze
hanno infatti determinato il fallimento delle analoghe iniziative tentate in altre aree periferiche
(Africa, Medio Oriente, Oceano Pacifico e Oceano Indiano).
Paradossalmente il disarmo nucleare ha favorito la proliferazione. Nel 1992 esistevano 11 potenze
nucleari dichiarate, incluse 4 repubbliche della ex URSS (Russia, Ucraina, Bielorussia e
Kazakistan), e 3 non dichiarate (India, Pakistan e Israele). Altri 6 paesi avevano in corso
programmi nucleari (Algeria, Corea del Nord, Iran, Iraq, Libia e Siria) e 5 avevano interrotto la
ricerca (Argentina, Brasile, Corea del Sud, Sudafrica e Taiwan). I deterrenti cinese e israeliano
contavano rispettivamente circa 300 e 100 testate e missili di 3.000 e 1.500 km di raggio.
Gli Stati Uniti hanno sostenuto i programmi nucleari pakistani. La Cina ha venduto reattori e
missili all'Iran, tecnologia alla Corea, reattori all'Algeria, armi chimiche alla Libia e missili alla
Siria. Ma il maggior contributo alla proliferazione deriva dagli Stati nati dalla dissoluzione
dell'URSS. Nel 1996 un rapporto del Centro americano per la scienza e gli affari internazionali
(CSIA, Center for Science and International Affairs) ha denunciato il rischio di una vera e propria
‛anarchia nucleare', incentivata soprattutto dal graduale disfacimento del vecchio arsenale
sovietico e dalla disponibilità di personale qualificato rimasto senza impiego. In particolare,
l'inadeguata sorveglianza dei depositi ex sovietici di materiale fissile e componenti, ne ha reso
possibile il trafugamento e la commercializzazione illecita, in connessione con il traffico di armi e
droga e il riciclaggio di proventi illeciti, a beneficio non solo dei programmi nucleari di vari paesi
emergenti, ma anche di organizzazioni terroristiche e criminali.
Secondo la CIA, alla fine del 1990 il confronto strategico tra India e Pakistan giunse alle soglie del
conflitto con impiego di armi nucleari. In seguito l'India respinse la proposta pakistana per un
accordo regionale di denuclearizzazione dell'Asia meridionale, mentre l'ambasciatore indiano
all'ONU denunciò la proposta libica di pagare tutto il debito estero dell'India in cambio di
tecnologia nucleare.
Nel 1992 si diffuse la voce di una fornitura di materiale nucleare iracheno all'Algeria mentre l'Iran
acquistava reattori dall'India, tecnologia dalla Cina, materiale fissile dall'Argentina e missili tattici
SCUD dalla Corea del Nord (sollevando anche il sospetto di aver importato clandestinamente 3
testate tattiche dal Kazakistan). Complesse indagini sul contrabbando nucleare gestito dalla mafia
furono condotte in Italia e in Svizzera fin dal 1992. Nel 1994, a Monaco e a Praga, furono
acccertati casi di contrabbando di materiale fissile idoneo trafugato in depositi russi, mentre la
diffusione delle conoscenze tecnologiche, facilitata dalle reti telematiche di libero accesso,
potrebbe teoricamente consentire la proliferazione di ordigni atomici rudimentali e miniaturizzati,
da impiegare a scopo terroristico o di ricatto.
Ancor più temibili sono gli armamenti biologici e chimici, la cosiddetta ‛atomica dei poveri'. Dopo
Stati Uniti e URSS, l'Iraq è finora il terzo paese formalmente accusato (1995) di aver violato il
bando del 1972, dotandosi di armi batteriologiche in grado di diffondere peste, colera, carbonchio
e tifo addominale. Altre armi biologiche impiegano rickettsie (tifo petecchiale), virus (febbre
gialla, vaiolo, influenza), tossine (botulismo) e funghi (coccidiomicosi); esse possono anche
aggredire vegetali e quindi la catena alimentare.
In contrasto con il Protocollo di Ginevra del 1925, le armi chimiche furono largamente impiegate
in Vietnam, Yemen, Afghanistan, Laos, Cambogia, nella guerra Iran-Iraq e contro le popolazioni
curde e sciite, ma non nella guerra del Golfo. Nel 1986, per far fronte alle armi chimiche possedute
dall'Unione Sovietica, gli Stati Uniti decisero di ampliare e ammodernare il loro arsenale, ma,
nonostante la disponibilità tedesca e belga, la NATO si divise sulla richiesta di dislocarle in
Europa.
L'11 gennaio 1989 la Conferenza di Parigi dette mandato alla Conferenza per il disarmo di
predisporre la Convenzione per la messa al bando delle armi chimiche, che veniva approvata il 13
gennaio 1993 da 130 paesi, e che entrò in vigore nel 1995. Tale convenzione impone la distruzione
sotto verifica degli arsenali esistenti, proibisce la produzione, la ricerca, lo sviluppo, la detenzione,
il trasferimento e l'uso di armi chimiche e regola, inoltre, le ispezioni da parte di un'apposita
organizzazione internazionale (OPCW, Organization for the Prohibition of Chemical Weapons)
con sede all'Aia. Tuttavia, la maggior parte dei paesi arabi - ad eccezione di Mauritania, Marocco,
Algeria e Tunisia - non ha aderito alla convenzione, subordinando l'abolizione delle armi chimiche
a quella del deterrente nucleare israeliano.

7. La proliferazione missilistica

La proliferazione nucleare, biologica e chimica è resa ancor più rischiosa da quella dei vettori
missilistici (da crociera e balistici), finora impiegati unicamente dall'Iraq in una fase della guerra
con l'Iran (1987-1988) e durante la guerra del Golfo (1991). Versione migliorata degli SCUD
sovietici, i missili terrestri Al Hussein furono impiegati, con testata convenzionale, per
rappresaglie indiscriminate contro le capitali nemiche. Le vittime civili iraniane furono 2.000 in
sei mesi; poche decine, invece, quelle israeliane e saudite, grazie all'efficace difesa passiva, aerea e
antimissilistica.
Ma l'efficacia strategica dei missili non dipende dal numero di vittime, bensì dalle ripercussioni
politiche del loro impiego o della semplice minaccia. L'attacco contro Tel Aviv era molto più
destabilizzante, perché aveva il preciso scopo strategico di provocare una reazione israeliana che
avrebbe potuto rompere la coalizione antirachena. In altri due casi si sono verificati lanci di missili
a scopo dimostrativo e di pressione politica: dalla Libia contro una installazione americana
nell'isola italiana di Lampedusa (1986) e dalla Cina durante esercitazioni militari nelle acque di
Taiwan (1996), mentre in un caso (1993) ne è stato minacciato l'impiego (SCUD serbi contro il
territorio italiano).
Nel 1993 un rapporto della Organizzazione americana per la difesa strategica (SDIO, Strategic
Defense Initiative Organization) elencava 7 paesi (Germania, Giappone, Italia, Svezia, Israele,
Brasile e India) potenzialmente capaci di costruire in 10-15 anni missili balistici a lunga gittata in
grado di colpire il territorio degli Stati Uniti.
Nel 1996 i paesi dotati di missili da crociera, spesso più precisi, meno vulnerabili e assai meno
costosi di quelli balistici, erano 67. I tipi prodotti in India, Cina, Iran e Corea del Nord hanno
gittata di circa 600 km. I paesi non appartenenti alla NATO dotati di missili balistici - tra cui
Algeria, Bielorussia, Kazakistan, Egitto, India, Israele, Pakistan e Arabia Saudita - erano, sempre
nel 1996, 35, 18 dei quali in grado di installarvi testate nucleari, biologiche o chimiche. Ma la
maggiore minaccia potenziale è rappresentata da un gruppo di cinque paesi (Iran, Iraq, Libia, Siria
e Corea del Nord), alcuni dei quali hanno cooperato per sviluppare i rispettivi programmi
missilistici. Attualmente, in Libia, in particolare, si stanno sviluppando - con l'assistenza irachena,
iraniana e nordcoreana - due missili, uno a corto raggio (500 km) in coproduzione con l'Iran, e uno
di portata superiore, in grado di raggiungere Roma. La Libia, inoltre, ha ripreso dall'Iraq il
progetto del missile Badr, elaborato alla fine degli anni ottanta in cooperazione con Egitto e
Argentina. Infine, la Corea del Nord, grazie a finanziamenti iraniani, ha sperimentato un missile
balistico (Nodong) a medio raggio (1.120 km), in grado comunque di raggiungere il Giappone, e
ne sta probabilmente sviluppando uno a due stadi con portata di 4-6.000 km (Taepo Dong II). La
protesta turca contro la recente acquisizione di missili antiaerei russi S 300/S da parte del governo
greco-cipriota ricorda inoltre che anche missili a carattere difensivo e a testata convenzionale
possono alterare gli equilibri militari regionali e determinare ripercussioni negative sui processi di
pace.

8. L'Accordo MTCR e la difesa contro i missili balistici (BMD)

Come misura preventiva, i governi occidentali (NATO, Giappone e Australia) hanno rafforzato il
coordinamento - istituendo il COCOM (Coordinating Committee) - delle politiche nazionali circa
il trasferimento di armi e tecnologie a carattere strategico. Il 16 novembre 1993 il COCOM fu
allargato a Russia, Cina e paesi dell'Est per erigere un cordone Nord-Sud e individuare i paesi da
sottoporre a embargo tecnologico (in primo luogo Algeria, Libia, Iraq, Iran, Pakistan e Corea del
Nord).
Nell'aprile 1987 fu siglato l'Accordo sul regime di controllo della tecnologia missilistica (MTCR,
Missile Technology Control Regime), già operante dal 1980, cui hanno aderito 28 paesi tra cui la
Russia (ma non ancora la Cina). Inoltre, nel 1996 il vertice di Mosca del G7 ha approvato un
elenco di risoluzioni per una più efficace cooperazione contro la proliferazione degli armamenti
nucleari, chimici e missilistici.
Negli ultimi 13 anni gli Stati Uniti hanno speso 50 miliardi di dollari per lo sviluppo di sistemi
antimissile, ma, conclusa la guerra fredda, il bilancio annuale è sceso a 3,5 miliardi. Il vasto
programma di ricerca per la difesa strategica (SDI, Strategic Defense Initiative) avviato nel 1983
(col discorso del presidente Reagan sulle ‛guerre stellari') fu progressivamente ridimensionato a
partire dal 1987. Nel gennaio 1991 il presidente Bush sostituì la difesa strategica del continente
nordamericano con la semplice protezione globale contro attacchi limitati (GPALS, Global
Protection Against Limited Strikes), composta da 3 ‛strati' di intercettori, uno con base nello spazio
e due a terra per la difesa d'area e locale. Il 13 maggio 1993 il presidente Clinton abbandonò anche
la protezione globale per la semplice difesa contro missili balistici (BMD, Ballistic Missile
Defense) delle forze navali e terrestri, dando priorità alla difesa d'area (o di teatro operativo).
Gli attuali sistemi antimissile - HAWK (Homing All the Way Killer), Patriot II, NADS (North
Atlantic Defense System) -, che hanno dimostrato una relativa efficacia (60%) contro i missili Al
Hussein, consentono l'intercettazione del missile nella sola fase di arrivo - e non in quella
intermedia, né tanto meno di lancio - e dunque solo una difesa locale. Sono ancora in fase di
sviluppo nuovi sistemi navali e terrestri di difesa di teatro ad alta quota, non idonei contro missili
di raggio intercontinentale e di conseguenza compatibili (finora solo a giudizio unilaterale degli
Stati Uniti) col divieto fissato dal Trattato ABM (Anti-Ballistic Missiles) del 1972.
I sistemi americani Patriot sono stati acquistati sino a oggi da Germania, Olanda, Israele, Arabia
Saudita, Kuwait, Giappone e, in versione modificata, da Taiwan. Il Giappone sta potenziando i
propri sistemi a corto raggio e negoziando l'acquisto di sistemi di teatro. Nel 1996 la Francia si è
ritirata dal progetto congiunto con Germania e Italia per lo sviluppo di un sistema di difesa aerea
di media estensione (MEADS, Medium Extension Air Defence System) analogo al Patriot, ma
dotato di maggiore mobilità e potenza. La continuazione del progetto dipende dall'eventuale
ingresso della Gran Bretagna, attualmente sollecitato dagli Stati Uniti. Direttamente minacciato dai
programmi missilistici di vari paesi arabi, Israele è il primo paese che abbia già spiegato un
sistema nazionale di difesa antimissile (Arrow), sviluppato col sostegno finanziario americano.
La nuova amministrazione Clinton ha inoltre avviato lo sviluppo di sistemi di difesa antimissile
del territorio nazionale (ed eventualmente delle Isole Britanniche), nei limiti quantitativi (100
intercettori terrestri) consentiti dal trattato ABM, il quale vieta però di integrarli con laser e radar
aeroportati o satellitari. Più simile al GPALS, il programma di ‛difesa dell'America' proposto da
Bob Dole - il candidato repubblicano sconfitto nel 1996 - prevedeva l'integrazione dei radar navali
AEGIS con sistemi satellitari (sensori e, in prospettiva, anche laser o intercettori). Il costo di
impianto era stimato in 30-60 miliardi di dollari entro il 2010, quello di gestione in 2-4 miliardi
l'anno.

9. La Convenzione sulle mine, le armi non letali e la guerra genetica e ambientale

Malgrado i limiti stabiliti dalla Convenzione ONU sulle armi convenzionali (1980), sottoscritta da
57 paesi, attualmente 50 paesi (tra cui l'Italia) producono 350 tipi di mine terrestri antiuomo. Si
tratta di armi persistenti, non rilevabili alla bonifica e resistenti al bombardamento: installarne una
costa 10 dollari, rimuoverla 1.000 e la bonifica è normalmente effettuata dalle stesse ditte
produttrici. Si calcola che attualmente ne siano disseminate in 64 paesi ben 85-100 milioni (3-7 in
Europa, 17-24 in Medio Oriente, 15-23 nell'Asia orientale, 13-25 nell'Asia meridionale, 18-30 in
Africa, 0,3-1 in Sudamerica), con un bilancio annuo di 10.000 morti e 20.000 mutilati (al 90%
civili). Ogni anno si installano 2 milioni di nuove mine e ne vengono rimosse appena 100.000.
Nel 1993 Francia, Belgio e Stati Uniti hanno decretato una moratoria unilaterale delle vendite, ma
la campagna internazionale per la messa al bando delle mine terrestri, condotta da 450
organizzazioni di 30 paesi, ha conseguito solo modesti risultati. La Conferenza per la revisione
della Convenzione sulle armi inumane (Ginevra, 3 maggio 1996) ha registrato la rinuncia
unilaterale di soli 28 paesi e ha vietato le sole mine ‛fantasma' (non rilevabili), mentre ha
legittimato le mine ‛intelligenti' (a efficacia temporanea e scoppio selettivo) prodotte dai paesi
occidentali a costo decuplo rispetto a quelle ordinarie. È del resto innegabile che, sotto il velo
dell'iniziativa umanitaria, il bando totale delle mine accorderebbe un ulteriore vantaggio militare
all'Occidente, limitando la vulnerabilità delle sue forze d'intervento.
Proprio per accrescere la capacità di intervento globale, gli Stati Uniti stanno finanziando la
ricerca sulle armi ‛non letali', che includono munizioni a basso danno collaterale e misure
disattivanti. Generatori di ultrasuoni, laser abbaglianti, gas paralizzanti, agenti sedativi e
soporiferi, lubrificanti antitrazione, polimeri adesivi, alteratori della viscosità dei carburanti, agenti
per l'indebolimento chimico dei metalli consentono infatti di neutralizzare temporaneamente
uomini, veicoli e infrastrutture con ridotto tasso di perdite sia nella popolazione civile che fra gli
stessi soldati nemici. Il vantaggio sarebbe di attenuare l'eventuale avversione dell'opinione
pubblica occidentale contro l'intervento militare, nonché il risentimento e i propositi di vendetta
delle popolazioni nemiche favorendo una più rapida, duratura e vantaggiosa pacificazione.
Stanno tuttavia emergendo nuovi rischi connessi con gli sviluppi scientifici. L'ingegneria genetica
potrebbe consentire lo sviluppo di armamenti a obiettivo razziale e la clonazione di ‛mastini della
guerra', mentre si ampliano le possibilità di guerra ambientale. Durante la guerra del Golfo l'Iraq
produsse vasti inquinamenti mediante il semplice incendio dei pozzi petroliferi. Ma armi laser
potrebbero essere impiegate per bucare la fascia d'ozono sovrastante il territorio nemico, onde
elettromagnetiche per provocare terremoti, deviare correnti dei venti e alterare le condizioni
atmosferiche, vettori missilistici per seminare insetti geneticamente alterati in grado di devastare
determinati raccolti.

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