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Principi di neurofisiologia del dolore

La percezione del dolore è il risultato di quattro distinti processi


fisiologici:
1. La trasduzione di uno stimolo nocivo (es. calore o pressione
elevati, danno
tessutale) in un segnale elettrico da parte dei nocicettori.
2. La trasmissione del messaggio, lungo fibre sensitive afferenti
primarie, dai
nocicettori al midollo spinale, e poi, lungo il midollo spinale e i
neuroni ascendenti di
collegamento, al talamo, alla sostanza reticolare ascendente, al
tronco encefalico
ed infine alla corteccia somatosensitiva.
3. La modulazione del messaggio via via che esso attraversa le
sinapsi presenti nel
midollo spinale, nel talamo e in altre aree del midollo allungato e del
cervello.

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4. L'integrazione, fortemente soggettiva in quanto legata alla sfera
psichica dell'individuo, della serie di eventi elettrochimici appena
menzionati, risultante nella
esperienza finale di percezione del dolore. (12)
L'attuazione di tale catena di eventi fisiologici non è più vista, come
fino a poco tempo fa,
come un processo statico. Uno stimolo algico persistente (che esula
quindi da un insulto
momentaneo evocante una risposta protettiva – dolore fisiologico)
comporta infatti
l'instaurarsi di variazioni a lungo termine a carico del sistema nervoso
periferico e centrale,
che si rendono responsabili di alterazioni della risposta
dell'organismo nei confronti di
ulteriori stimoli (dolore patologico). (4,12)
Tali variazioni possono verificarsi, con modalità diverse, in ciascuno
dei quattro processi appena menzionati.

Trasduzione

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I nocicettori periferici costituiscono le estremità terminali di piccole
fibre mieliniche (fibre A-
) e amieliniche (fibre C polimodali) che rispondono a stimoli nocivi
meccanici, chimici e
termici. Le fibre A- riscontrabili a livello cutaneo possono essere
ulteriormente classificate
in meccanocettori ad alta soglia o in nocicettori meccanotermici, a
seconda che
rispondano o meno alla pressione, al calore o a entrambi. Esse
presentano un campo di
ricezione piuttosto limitato, e si rendono responsabili del dolore
iniziale, pungente e
localizzato, che fa seguito all'applicazione di uno stimolo nocivo. Le
fibre C polimodali
presenti sulla cute rispondono a stimoli nocivi di origine meccanica,
termica e chimica (es.
mediatori dell'infiammazione), da cui il termine "polimodali". Esse
hanno un campo
recettivo abbastanza ampio e sono responsabili della percezione di
un dolore più diffuso,

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sordo e persistente che fa seguito alla prima risposta.
A livello dei tessuti somatici profondi, i processi di trasduzione sono
simili a quelli che
avvengono nei tessuti cutanei, sebbene in queste sedi i nocicettori
rispondano a stimoli
differenti (es. alcuni nocicettori rispondono ad una attività
muscolare o ad una estensione
aticolare esagerata).
I nocicettori viscerali sono relativamente insensibili nei confronti di
stimoli in grado di
essere percepiti dai nocicettori cutanei, mentre risultano sensibili
alla torsione, alla
distensione e all'ischemia di un viscere. Essi presentano
generalmente dei campi di
ricezione ampi e sovrapposti, e possono andare incontro a
sensibilizzazione in risposta a
stimoli infiammatori.
Un danno tessutale che causa dolore generalmente esita in un
processo infiammatorio e

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in una lesione nervosa. Come parte della risposta infiammatoria, un
gran numero di
sostanze possono essere rilasciate perifericamente a livello di
tessuto leso, e di
conseguenza incrementare la trasduzione dello stimolo nocivo. Tali
sostanze possono
essere rilasciate dallo stesso nocicettore (es. sostanza P, neurokinina
A, peptide correlato
al gene della calcitonina), o da cellule prossime al tessuto leso e da
cellule infiammatorie
(es. potassio, serotonina, bradichinina, istamina, ossido nitrico,
prodotti del metabolismo
dell'acido arachidonico come la prostaglandina E2, e citochine come
l'interleuchina-1 e il
tumor necrosis factor). Il rilascio di tali sostanze aumenta
l'eccitabilità delle fibre sensitive e
di quelle simpatiche, causa vasodilatazione e stravaso di proteine
plasmatiche, e risulta in
un ulteriore rilascio di mediatori chimici da parte delle cellule
infiammatorie. Il risultato è

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una sensibilizzazione dei nocicettori periferici (sensibilizzazione
periferica), per cui segnali
di bassa intensità che normalmente non causano dolore sono invece
percepiti come
dolorifici (iperestesia), e stimoli nocivi provocano un aumento della
risposta dolorifica
(iperalgesia primaria). Tali modificazioni inoltre possono estendersi
anche a carico di
tessuti non coinvolti direttamente dall'insulto (iperalgesia
secondaria).

Trasmissione
Gli stimoli dolorifici che vengono trasformati in segnali elettrici dai
nocicettori inviano le loro
informazioni al midollo spinale attraverso fibre sensitive afferenti
primarie, che presentano
i corpi cellulari nei gangli delle radici dorsali. Tali fibre contraggono
sinapsi a livello di
corna dorsali con neuroni di secondo ordine (anche detti neuroni di
proiezione), che

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inviano lo stimolo dal midollo spinale al cervello. Il passaggio delle
onde di
depolarizzazione che trasportano il segnale algico nelle corna dorsali
del midollo spinale è
affidato ai canali per il sodio voltaggio-dipendenti presenti lungo il
decorso della fibra
nervosa. L'applicazione di anestetici locali che bloccano tali canali
impedisce al segnale di
raggiungere il midollo spinale e quindi il cervello.
La trasmissione ai centri superiori avviene principalmente lungo tre
vie, il tratto
spinotalamico, quello spinoreticolare e quello spinomesencefalico, e
dà luogo a risposte
soprasegmentali e corticali. Le risposte soprasegmentali includono
aumento del tono
simpatico e rilascio di catecolamine, stimolazione ipotalamica con
conseguente aumento
del metabolismo e del consumo di ossigeno, e soprattutto
incremento massiccio dei

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meccanismi che sono alla base del comportamento di "fight or
flight".

Modulazione
Il corpo cellulare dei nocicettori è localizzato, come già accennato,
nei gangli delle radici
dorsali. Dai corpi cellulari si dipartono alcune proiezioni dendritiche
che corrono, oltre che
perifericamente verso i terminali nervosi liberi, anche centralmente,
entrando nella
sostanza grigia spinale e contraendo sinapsi nelle corna dorsali del
midollo spinale. A
questo livello, le informazioni che giungono possono, ancor prima di
venire inviate ai centri
superiori del cervello, essere modificate a seguito di input
provenienti da interneuroni sia
eccitatori che inibitori.
1.Vie eccitatorie. Svariati neurotrasmettitori prendono parte alla
trasmissione

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dell'informazione al midollo spinale attraverso le sinapsi, e tra questi
un ruolo preminente
viene giocato da aminoacidi eccitatori, come il glutammato e
l'aspartato, da peptidi, come
la sostanza P e la neurochinina A e da prodotti ciclossigenasici del
metabolismo dell'acido
arachidonico, come la prostaglandina E2 (PGE2). Ad esempio, il
glutammato attiva i
recettori postinaptici AMPA, NMDA e kainato, mentre la sostanza P
attiva i recettori per la
neurochinina (NK). L'attivazione di tali recettori si traduce con la
progressione del segnale
algico lungo i neuroni di proiezione. Le PGE2, formate a partire
dall'acido arachidonico
ad opera di una ciclossigenasi (COX), facilitano l'ulteriore rilascio di
neurotrasmettitori
eccitatori, amplificando l'informazione algica entrante, oltre a
contribuire direttamente alla
attivazione dei neuroni di secondo ordine.

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Stimoli nocicettivi ripetitivi, inclusi quelli associati ad interventi
chirurgici o a traumi,
risultano in un cambiamento delle capacità di risposta dei neuroni
delle corna dorsali, che
si traduce in un aumento progressivo, durante tutta la durata dello
stimolo, della loro
attività. Ciò risulta in una riduzione della soglia di risposta, in un
aumento della sensibilità
della cellula una volta che viene raggiunto il livello soglia, e in un
aumento del campo di
ricezione dei neuroni. Questi eventi vengono definiti con il termine
di “sensibilizzazione
centrale” o "wind-up", ed esitano in un aumento della percezione
dolorifica ad un
determinato stimolo.
Il fenomeno del wind-up si verifica anche in assenza di
sensibilizzazione periferica e si
pensa sia mediato, almeno in parte, dall'attivazione dei recettori
NMDA presenti nel

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midollo spinale. Antagonisti dei recettori NMDA, come la chetamina,
possono pertanto
attenuare la ipersensibilizzazione centrale senza alterare la normale
risposta delle cellule
delle corna dorsali alla stimolazione algica. Inoltre, durante il wind-
up, si verifica una
sopraregolazione dell'attività della COX, in particolare della COX2,
che si traduce in un
aumento della produzione di PGE2 e nella conseguente
amplificazione del segnale
nocicettivo afferente a livello di midollo spinale, contribuendo così
ulteriormente al windup.
La recente acquisizione che la COX risulti particolarmente espressa a
livello di midollo
spinale, suggerisce che i farmaci antinfiammatori non steroidei
(FANS), ai quali è stata
tradizionalmente attribuita un'azione antalgica grazie ad un
meccanismo periferico
rappresentato dalla diminuzione dell'infiammazione e della
sensibilizzazione dei

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nocicettori, possano invece determinare una riduzione del dolore
agendo principalmente a
livello centrale, dove sarebbero in grado di interrompere, o
quantomeno di ridurre, il
fenomeno del wind-up.
2. Vie inibitorie. L'attività all'interno del midollo spinale è fortemente
influenzata da vie
discendenti inibitorie che originano dai centri superiori dell'encefalo.
Analgesia profonda
può essere prodotta mediante stimolazione elettrica di numerose
aree del sistema nervoso
centrale, prime fra tutte la sostanza grigia periacqueduttale
(mesencefalo) e la sostanza
grigia periventricolare (laterale all'ipotalamo). Queste due aree
risultano connesse
anatomicamente l'una con l'altra e con il midollo rostroventrale,
un'altra area con simili
proprietà. L'attivazione di queste regioni attiva vie discendenti
oppioidergiche,

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noradrenergiche (agenti attraverso meccanismi mediati dai recettori
2) e
serotoninergiche, in grado di inibire gli stimoli dolorosi afferenti a
livello di corna dorsali del
midollo spinale. E' stato appurato che inoculazioni di piccole quantità
di morfina in varie
aree del cervello, così come l'applicazione di oppioidi direttamente a
livello di midollo
spinale, possono produrre una profonda analgesia, indicando la
presenza di molteplici siti
di azione degli oppioidi. Allo stesso modo, l'attivazione di vie
discendenti serotoninergiche
ed adrenergiche porta all'attivazione di interneuroni inibitori
presenti nelle corna dorsali del
midollo spinale che conseguentemente rilasciano oppioidi endogeni
(endorfine, encefaline
e dinorfine) quali loro neurotrasmettitori.
Teoria del cancello
In fisiologia, la teoria del cancello (o Gate Control Theory, GCT)
fornisce un modello esplicativo relativo alle modalità di attivazione
molecolare dei recettori cellulari, con particolare (ma non esclusivo)

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riferimento ai processi nocicettivi (ovvero della percezione e
trasmissione del dolore). È stata formulata per la prima volta nel
1962 da Ronald Melzack e Patrick Wall in uno studio da loro
condotto sui canali ionici controllati da ligandi.
Nell'ambito degli studi sulla neurofisiologia del dolore, la teoria del
cancello ha rappresentato uno dei più significativi passi avanti nella
comprensione dei meccanismi molecolari alla base della
nocicezione.
Cenni di nocicezione
Il dolore viene captato a livello periferico da un particolare tipo di
recettori, i cosiddetti nocicettori, che trasmettono poi il segnale
attraverso due generi di fibre nervose:
 le Aδ (A-delta), mielinizzate ed a trasmissione "veloce";

 le C, demielinizzate ed a trasmissione "lenta".

Queste fibre si dirigono dal recettore periferico (localizzato quindi


sulla cute, su una mucosa, su una sierosa o sulla capsula di un
organo) fino al midollo spinale, dove prendono sinapsi con un
neurone midollare. Il neurone trasmetterà poi con il suo assone,
attraverso il fascio spino-talamico, il messaggio dolorifico ad una
delle strutture encefaliche deputate all'elaborazione della risposta
(corteccia cerebrale, talamo, ipotalamo, grigio periacqueduttale
ecc.).
Gate Control e neurofisiologia molecolare del neurone

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Cancello chiuso: la fibra Aβ stimola l'interneurone inibitorio, che va
a bloccare la trasmissione dell'impulso dolorifico al cervello.

Cancello aperto: la fibra C blocca l'azione inibitoria


dell'interneurone, per cui il segnale doloroso è libero di passare.
Il concetto fondamentale della GCT si basa sull'interazione e sulla
modulazione reciproca tra le fibre nervose nocicettive e quelle non-
nocicettive. A livello dello stesso neurone midollare, infatti,
convergono diversi tipi di fibre, ognuna delle quali porta
informazioni sensitive di tipo diverso (principalmente tattili,
termiche e dolorifiche): il neurone deve essere quindi in grado di
discriminare tra i vari tipi di sensibilità e di assegnare una "priorità"
diversa a ciascuno di essi, in modo da portare al cervello
un'informazione chiara e pulita.
L'interazione che è stata teorizzata da Melzack e Wall per spiegare
la GCT riguarda in particolare le fibre dolorifiche di tipo Aδ e C e le
fibre non dolorifiche di tipo Aβ, di maggior calibro delle precedenti
e responsabili della percezione degli stimoli tattili e pressori. In
sintesi, la teoria stabilisce che se prevale l'attività lungo le fibre di
grosso calibro (cioè le Aβ), la percezione del dolore sarà smorzata,
mentre se a prevalere sono le scariche delle fibre di piccolo calibro
(cioè le Aδ e le C), il dolore verrà percepito in maniera più acuta.
Per attuare questo meccanismo, l'organismo si avvale di specifici
"neuroni corti" o interneuroni, cioè piccoli neuroni intercalati nel
circuito di trasmissione dell'impulso dalla fibra proveniente dal

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nocicettore al neurone midollare: riguardo tale meccanismo, gli
interneuroni sono localizzati nella sostanza gelatinosa del Rolando,
un'area specifica sita a sua volta nel corno posteriore della sostanza
grigia del midollo spinale. Nel caso specifico, questi interneuroni
utilizzano come neurotrasmettitore un oppioide endogeno, detto
encefalina, che viene veicolato tramite il cortissimo assone
dell'interneurone fino al neurone midollare. Tutte le fibre che
prendono contatto con il neurone midollare (cioè sia le Aβ che le Aδ
e le C) rilasciano, prima della sinapsi con il neurone stesso, un
collaterale assonico che prende sinapsi con l'interneurone
encefalinergico, con effetti diversi: le fibre Aβ infatti ne stimolano
l'attività, mentre le fibre di piccolo calibro lo inibiscono. In questo
modo, si possono configurare due situazioni diverse:
1. se la fibra Aβ è attivata per uno stimolo non dolorifico, essa
andrà ad attivare l'interneurone inibitorio, che quindi
bloccherà la trasmissione di eventuali segnali dolorifici fino al
cervello. In questa configurazione, il cancello è chiuso e non si
percepisce dolore;
2. viceversa, se la fibra Aδ o C trasmette uno stimolo dolorifico,
essa va contemporaneamente ad inibire l'azione
dell'interneurone encefalinergico, per cui quest'ultimo non
potrà inibire a sua volta la trasmissione dell'impulso doloroso
al cervello. In questa configurazione, il cancello è aperto e il
dolore viene percepito.
Ciò comporta che, se uno stimolo dolorifico e uno stimolo
meccanico vengono trasmessi simultaneamente (ad esempio, se si
picchia la testa e si strofina la parte lesa), la trasmissione dello
stimolo dolorifico sarà attenuata per via dell'azione eccitatoria
svolta dalla fibra Aβ sull'interneurone encefalinergico.

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I recettori che agiscono mediante questo tipo di meccanismo, detto
"a cancello", sono quelli che in particolare controllano le sinapsi più
veloci del sistema nervoso (nell'ordine di 1-2 millisecondi), quali
quelli delle fibre nervose deputate alla trasmissione degli stimoli
tattili, termici, dolorifici, etc., dalla periferia al sistema nervoso
centrale.

Integrazione
Le conoscenze circa i meccanismi di integrazione dello stimolo algico
e le modificazioni
messe in atto in corso di dolore patologico sono ancora molto
lacunose, anche a ragione
della forte componente individuale nella risposta.
Quello che è noto, almeno in medicina umana, è che uno stato di
labilità psichica incide
fortemente sulla percezione delle sensazioni dolorifiche
ampliandole, ed è questo il motivo
per cui la terapia del dolore include anche farmaci non propriamente
analgesici, quali
sedativi e tranquillanti.

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In corso di dolore fisiologico, solitamente evocato da uno stimolo
transitorio e di relativa
intensità, le modificazioni dinamiche che si attuano a carico del
sistema nervoso sono
temporanee, perdurando solo il tempo necessario all’organismo per
ripristinare l'omeostasi
alterata dell’insulto algico. In sostanza, quando il danno creato
dall'insulto non è
particolarmente grave, i fenomeni di sensibilizzazione periferica e
centrale tendono a
dissiparsi fino a cessare, una volta venuto meno lo stimolo nocivo o
man mano che il
tessuto guarisce e l’infiammazione si riduce.
Al contrario, stimoli nocivi particolarmente elevati sono in grado,
modificando
permanentemente le funzioni del midollo spinale, di esaltare i
meccanismi di
sensibilizzazione nervosa, e di determinare di conseguenza
l’insorgenza di dolore cronico

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anche dopo un danno acuto. Inoltre, quando le modificazioni a carico
degli afferenti
primari persistono anche oltre la patologia o il danno subito dal
sistema nervoso, questi
processi possono continuare ed esitare nel dolore neuropatico.
Il dolore cronico o patologico, che non è né autolimitante né
transitorio, e che
generalmente risulta associato ad un danno tessutale significativo,
non ha nessuna
funzione biologica, non ha un ruolo adattativo, è debilitante ed ha
un impatto significativo
sulla qualità di vita del paziente.
Quando una qualsiasi condizione algica diventa cronica, il dolore non
può più essere
considerato un sintomo fisiologicamente protettivo, ma anzi può
comportare effetti dannosi
per l'organismo: infatti, la continua trasmissione degli impulsi
nocicettivi stimola i neuroni
pregangliari del sistema simpatico, i centri midollari preposti al
controllo della circolazione

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e della respirazione ed i centri ipotalamici che regolano le funzioni
endocrine. Ne
conseguono alcune modificazioni fisiopatologiche a carico del
sistema nervoso,
cardiopolmonare, endocrino e metabolico che, se persistenti,
possono portare a fenomeni
di ipossia, ischemia tessutale, shock, aritmie cardiache, atelettasia
polmonare,
insufficienza renale, calo delle difese immunitarie, situazioni che a
loro volta possono
interferire con la guarigione del danno iniziale, determinando il
protrarsi della stimolazione
afferente e, di conseguenza, instaurando un circolo vizioso.
Il dolore, dunque, è una condizione da non sottovalutare, poiché
oltre a indurre sofferenza
e stress negli animali ne può ritardare la guarigione. Per questo
motivo il trattamento della
condizione algica associata ad una qualsiasi patologia (non solo di
origine chirurgica)

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costituisce un punto indispensabile dei protocolli terapeutici da
applicare in medicina
veterinaria.

Registrazione 022

Il dolore è una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale


associata ad un danno tessutale reale o potenziale e descritta in
termini di tale danno. L’impossibilità di comunicare non nega la
possibilità che l’individuo stia provando dolore.
IL dolore può essere suddiviso in dolore fisiologico ed in dolore
patologico.
Il dolore fisiologico è detto dolore nocicettivo ed ha della finalità
protettive, avviene in seguito alla stimolazione dei nocicettori ed ha
la finalità di prevenire il danno o di limitarlo.
Il dolore infiammatorio è un dolore che può essere considerato
fisiologico in quanto il Pz tende a risparmiare l’utilizzo dell’arto
fovorendo in tal senso la guarigione.

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Nel dolore infiammatorio si instaurano dei fenomeni quali
l’Iperalgesia (un aumentata risposta ossia un’aumentata sensibilità
al dolore) e l’Allodinia (un riduzione della soglia al dolore). Questi
fenomeni sono alla base dell’instaurarsi del dolore cronico che è un
dolore che ha perso qualsiasi connessione spazio temporale con lo
stimolo dolorifico. Anche il dolore cronico si base sui fenomeni
d’iperalgesia e allodinia ed alla base dell’instaurarsi di questi 2
fenomeni c’è il fenomeno del win-up neuronale. Questo si instaura
in seguito all’attivazione da parte del glutammato dei recettori
NMDA a livello delle corna dorsali del midollo spinale. L’attivazione
di questi recettori comporta una scarica amplificata ed un aumento
delle del n° delle scariche elettriche che giungono a livello del S.N.C.
e che fanno percepire il dolore.

NB: Oltre all’iperalgesia primaria associata al tessuto danneggiato,


il dolore determina anche:
-una sensibilità intensificata nelle zone confinanti non soggette a
lesioni (chiamate zone d’iperalgesia secondaria)
- ed una reattività a stimoli meccanici normalmente innocui
(allodinia).

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Queste variazioni della sensibilità clinica (ipersensibilità)
rappresentano la conseguenza di cambiamenti della eccitabilità dei
neuroni del corno dorsale ove afferiscono gli stimoli dolorosi condotti
dalle fibre Aδ e C. Questo fenomeno, chiamato "Wind-up" è mediato
dai recettori N-metil-D-aspartato (NMDA) presenti a livello delle
corna dorsali ed attivati dal glutammato.

VIE DI TRASMISSIONE DEL DOLORE:


rappresentano la trasduzione, la trasmissione, la modulazione, la
conduzione e la percezione dello stimolo doloroso.
La trasduzione: rappresenta la trasformazione di uno stimolo
meccanico, termico in stimolo eletrico; avviene grazie a degli appositi
recettori e trasduttori dello stimolo fisico.
Trasmissione o Conduzione: il segnale elettrico così generato viene
convogliato attraverso le vie nervose fino alle corna dorsali del
midollo spinale.
Modulazione del dolore: questa avviene a livello delle corna dorsali
dl midollo spinale. A tale livello si hanno sia fibre nervose ascendenti
che discendenti che possono amplificare o attenuare la percezione

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del dolore. E’ a questo livello che si trovano i recettori del win-up
neuronale che comportano una variazione (aumento o diminuzione)
della frequenz e dell’intensità delle scariche.
Dal midollo spinale si ha la proiezione dello stimolo doloroso (vie
spino-talamiche) a livello del talamo, ipotalamo ed è in queste sedi
che avviene:
l’integrazione e percezione degli stimoli dolorosi (integrazione per
esempio con precedenti esperienze sensoriali dolorose) con
secondarie manifestazioni neurovegetative (guaiti, scialorrea, conati
di vomito ecc…) e riposte comportamentali.

Registrazione 023

Il dolore si può manifestare con vocalizzazioni, autotraumatismi,


tendenza a non utilizzare, risparmiare, la parte lesa, aggressività,
depressione, inappetenza, anche lo sguardo o espressione del volto
possono suggerire la presenza di dolore. Per valutare al meglio il
sintomo dolore sono state elaborate delle scale multiparametriche
che consistono nella valutazione di un insieme di parametri, ognuno

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con un punteggio. Dal punteggio complessivo si potrà definire la
gravità del dolore ed impostare quindi un’adeguata terapia.

Es. di scala del dolore


Principali atteggiamenti comportamentali indici di presenza di
dolore nel cane
Postura, Comportamento, Vocalizzazione, Movimenti, Altri
Coda tra le
gambe
Dorso arcato o
incurvato
Corpo che
protegge il sito
algico
Testa bassa
Posizione
seduta per
molto tempo
Addome
piegato
Decubito
laterale, collo
esteso
Aggredire
Morsicare
Attaccare
Fuggire
Abbaiare

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Ululare
Gemere
Riluttante a
muoversi
Zoppia
Andatura
inusuale
Incapacità
di
camminare
Rifiuto di
salire
Incapacità
di svolgere
normali
compiti
Attacca altri
animali o
persone se
viene
toccata la
ferita
Autotraumatismo
Esempi di queste scale sono: la scala della University of Melbourn

domanda: valutazione del dolore post-operatorio


Risposta: nel postoperatorio il dolore può dipendere da vari fattori
(ad esempio sede dell’intervento, tipo dell’intervento), questo dolore

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potrà manifestarsi con vocalizzazioni, autotraumatismi ecc… e per
quantificarlo si utilizzano le scale multiparametriche per scegliere il
trattamento più opportuno.

In ogni caso il trattamento ideale sarebbe l’analgesia preventiva e


l’analgesia multimodale.

L’Analgesia preventiva: consiste nel somministrare il farmaco


analgesico prima dello stimolo dolorifico, quindi somministrarlo già
in preanestesia, quindi prima dell’intervento chirurgico. Questo
permetterà di innanzitutto andare ad inibire il fenomeno del win-up
neuronale che se non inibito potrebbe poi portare allo sviluppo di un
dolore cronico. Inoltre l’analgesia preventiva consente anche di
utilizzare delle minori quantità di farmaco, cioè aparità di effetto la
quantità di farmaco utilizzata sarà minore. Quindi si avranno minori
effetti collaterali da farmaco.
L’Analgesia multimodale: consiste nell’utilizzare 2 o più principi attivi
che agiscano a diversi livelli delle vie di conduzione del dolore. Ad
esempio FANS o anestetici locali agiscono a livello della trasduzione
e trasmissione (anestetici locali) del dolore. A livello delle corna

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dorsali del midollo spinale (fase della modulazione del dolore)
agiscono gli oppioidi, gli alfa2 agonisti, la Ketamina. La ketamina in
particolar modo è quella che ha l’effetto maggiore sui recettori
NMDA (responsabili dello sviluppo del win-up neuronale) con
inibizione del fenomeno del win-up. A livello della fase di
integrazione del dolore (talamo, ipotalamo) agiscono gli oppioidi e gli
alfa2 agonisti. Quindi utilizzando insieme, per esempio, oppioidi +
FANS nella terapia di un dolore cronico (per es. FANS associato a
Tramadolo) si avrà un’azione più forte sul controllo del dolore con
utilizzo di minori dosi di farmaco e quindi minori effetti collaterali dei
2 farmaci oltre ad ottenere un grado di analgesia maggiore.

Domanda: perché bisogna trattare il dolore? (Problemi provocati dal


dolore)
Risposta: innanzitutto per motivazioni etiche (morali), cioè evitare
sofferenze; inoltre il proprietario dell’animale sarà più soddisfatto ed
avrà la percezione di un servizio di buona qualità. Secondariamente
la terapia del dolore ha degli effetti benefici sul post operatorio e
sulla guarigione dell’animale (ad esempio il dolore non controllato
può portare ad autotraumatismi che compromettono la guarigione).

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Inoltre il dolore può indurre uno stato di stress cronico con tutte le
modificazioni che questo stato comporta, per es. il rilascio di
corticoidi endogeni che comporterà un aumentato catabolismo
proteico con conseguente compromissione della guarigione della
ferita, e una riduzione dell’immunitàcon possibili infezioni post
operatorie. Inoltre l’animale può essere inappetente con
conseguente ridotto apporto proteico. Inoltre il dolore potrebbe
portare ad una riduzione dell’escursione polmonare con
conseguente ipossia, ad una riduzione del riflesso della tosse con
ristagno catarrale che unitamente alla depressione immunitaria
indotta dai glicocorticoidi favorirebbe l'insorgenza di infezioni
respiratorie.
Ci possono essere ripercussioni anche a livello cardiovascolare: il
dolore determina un aumento della frequenza cardiaca che a sua
volta può portare ad un aumento della PA e, se la frequenza
risultasse molto elevata ad una riduzione della gettata cardiaca in
quanto il ventricolo sn non avrebbe tempo di riempirsi
adeguatamente in fase diastolica. Il dolore può determinare inoltre
un aumentato consumo d'ossigeno da parte del miocardio (che già è
ipossico per i problemi respiratori sopra elencati) con conseguenti

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problemi ischemici. Inoltre l'immobilità del paziente può favorire
l'insorgenza di trombosi venose favorite anche dall'aumento del
fibrinogeno e del numero delle piastrine in conseguenza dello stress
cronico cui è sottoposto l'animale (con modificazioni secondarie
ormonali da stress). I danni endoteliali possono determinare
un'attivazione delle piastrine con secondaria CID.

PREANESTESIA
Si intende tutto ciò che viene fatto prima dell'induzione, compreso
informare il proprietario dei rischi connessi all'anestesia e di fargli
firmare il consenso informato.
Per quanto riguarda l'animale andrà fatta l'anamnesi non tanto per
la patologia per la quale il paziente viene operato, ma soprattutto
per sapere se ha già eseguito anestesie in passato, se ci sono
patologie in corso che possano interferire con l'anestesia.
Successivamente viene eseguito l'es. Obiettivo generale,
eventualmente un es. obiettivo articolare se all'es obiettivo generale
si evidenzia qualcosa di patologigo.

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Vanno eseguiti gli es. di routine (sangue, urine), un ECG, se si
evidenziasse un soffio cardiaco anche un ecocardiogramma. Per
quanto riguarda gli esami ematici è importante controllare
l'ematocrito (un suo aumento è un indice di disidratazione che
andrebbe corretta prima dell'anestesia), le proteine totali, se c'è un
aumento dell'ematocrito e delle proteine totali ci troviamo di fronte
ad una disidratazione. Ma una diminuzione delle proteine totali
potrebbe essere indicativa di un'alterazione della funzionalità
epatica o renale. Quindi andremo a controllare la funzionalità
epatica (AST, ALT, GGT) e la funzionalità renale )azotemia e
creatinina e analisi delle urine).
Nel cavallo andrebbero controllate anche la Lattico Deidrogenasi
(LDH) e creatinfosfochinasi (CPK).
Al termine della visita clinica avremo un quadro completo che ci
consentirà di inserire il soggetto in uno dei gradi della classificazione
A.S.A. (American society of Anesthesiology). Tale classificazione
suddivide i soggetti in base al grado di rischio anestesiologico. Si
distinguono 5 classi che vanno dal livello più basso di rischio a quello
più alto.

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Nella classe 1 (detta di minimo rischio) vengono inseriti soggetti che
non hanno alcuna patologia e che vanno messi in anestesia per
effettuare interventi di routine (per es. un ovario-isterectomia).
Nella classe 2 (detta di leggero rischio) vengono inseriti soggetti che
devono essere operati per delle patologie localizzate come ad es per
una frattura in un paziente non in stato di shock, non traumatizzato
oppure per una criptorchidectomia.
Classe 3 (rischio moderato), sogetti che hanno patologie sistemiche,
compensate e con una sintomatologia (febbre, anemia, cardiopatia
valvolare compensata).
Classe 4 (rischio elevato), per patologie sistemiche non compensate
(insufficienza cardiaca, insuficienza epatica, insufficienza renale).
Classe 5 (rischio grave) ovvero soggetti che andranno a morte in 24
ore se non operati e molto probabilmente anche se operati (emboli
polmonare, trauma grave, shock profondo irreversibile, malattie
sistemiche avanzate)
L'anziano o il neonato sani vanno inseriti in classe 2 e non in classe 1.
Questa classificazione ci aiuterà a scegliere l'adeguato protocollo
anestesiologico.

32
Dopo le fasi sopradescritte (anamnesi, consenso informato, classi di
rischio, protocollo anestesiologico) si procede con la premedicazione
(somministrazione di farmaci preanestetici), anch'essa facente
parete della preanestesia.
Ricordarsi preventivamente di inserire sempre un agocannula per un
buon accesso venoso.
FARMACI PREANESTETICI:
Si suddividono in tranquillanti, sedativi, analgesici (per effettuare
l'analgesia preventiva) ed eventualmente altri farmaci adiuvanti, non
dotati di effetto anestetico o analgesico, ma utilizzati per altre
caratteristiche come ad es. gli anticolinergici (atropina) che possono
essere utilizzati quando si prevedono dei riflessi vago-vagali (in corso
di manipolazione dell'occhio, visceri interni: polmoni, bronchi,
intestino, utero, vescica) responsabili della bradicardia riflessa.
L'atropina, che contrasta la bradicardia riflessa, può essere utilizzata
come pre-anestetico quando si prevede che ci sarà un riflesso vago-
vagale oppure può essere utilizzata anche quando necessaria (ossia
al momento nel corso dell'anestesia). L'atropina viene utilizzata
anche per ridurre le secrezioni (salivari, bronchiali) che in alcuni

33
animali (cane carlino, gatto persiano) possono essere molto
abbondanti da costituire un problema per alcuni interventi.

FARMACI TRANQUILLANTI
Sono farmaci che riducono le attività del SNC quali lo stato di
attenzione, lo stato di veglia, riducono le reazioni agli stimoli esterni
e che non hanno un’azione analgesica.
Sono costituiti dai derivati fenotiazininici, dai butirrofenoni e dalle
benzodiazepine.
BUTIRROFENONI: sono una classe di tranquillanti utilizzati in
preanestesia, es. di questi farmaci sono l’azaperone ed il droperidolo.
Il droperidolo raramente utilizzato. L’azaperone viene utilizzato
nella preanestesia del suino. Ha un’azione sul sistema del GABA
(GABA-mimetica), anti-noradrenergica, anti-dopaminergica,
inibiscono il vomito, e viene utilizzato solo nel suino in quanto negli
altri animali determina degli effetti extrapiramidali importanti
(rigidità muscolare, fascicolazioni muscolari). Dosaggio 0,4 – 8
mg/kg.
DERIVATI FENOTIAZINICI: sono dei tranquillanti, non hanno attività
analgesica, es.l’acepromazina (il più frequentemente utilizzato).

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Utilizzati in preanestesia, riducono lo stato di veglia, l’attenzione,
l’attività motoria volontaria, si possono somministrare sia IV (azione
+ rapida e dosaggio inferiore) che IM. Dosaggio 0,01 – 0,05 mg/kg.
Deprimono il SRA ed hanno un’azione anti-dopaminergica,
abbassano la soglia convulsivante (possono determinare convulsioni
e quindi non vanno utilizzati nei soggetto epilettici, nei traumatizzati
cranici e per l’esecuzione di mielografie). Sul sistema cardio-
respiratorio determinano vasodilatazione periferica che determina
un’accentuazione dell’ipotermia secondaria a depressione del centro
termoregolatore e depressione del metabolismo; determinano
diminuzione della PA e della FC e diminuzione del volume tidalico
(volume corrente). Hanno effetto antiemetico, possono determinare
aggregazione piastrinica, nel cavallo determinano prolasso del pene
(attenzione nello stallone perché possono dare una parafimosi).
L’acepromazina non è antagonizzabile.
BENZODIAZEPINE: sono tranquillanti minori, non hanno attività
analgesica, hanno attività miorilassante, deprimono la funzione
cardiorespiratoria ma rispetto ad altri famaci tranquillanti la
depressione cardiorespiratoria è meno importante. Pertanto sono
utilizzati in condizioni particolari (soggetti anziani o con insufficienza

35
cardiorespiratoria). Agiscono tramite l’interazione con il recettore
del GABA portando ad un aumento nell’apertura dei canali del cloro
con conseguente iperpolarizzaione della membrana rendendola
meno suscettibile alla depolarizzazione ed all’insorgenza del
potenziale d’azione. Hanno un Effetto paradosso: invece di
tranquillizzare determinano un effetto euforico (eccitazione)
nell’animale, in questi casi si possono associare ad un altro sedativo
(tipo alfa2 agonista). Diazepam, Midazolam, Zolazepam (che si trova
in commercio associato alla Tiletamina che è una cicloesamina;
quindi non si usa tanto nella preanestesia ma per l’induzione
dell’anestesia nei grossi animali). Dosaggio 0,2 – 0,5 mg/kg per cane
e gatto. Nel cavallo 0,02 – 0,05 mg/kg. Nel cavallo non sono molto
utilizzati per gli effetti blandi ad eccezione del puledro o in condizioni
particolari. Sono antagonizzabili con il FLUMAZENIL (0,01 mg/kg) in
caso di sovraddosagio. Differenza tra il diazepam ed il midazolam:
forse il diazepam ha il glicole propilenico tra gli eccipienti che
rallenterebbe l’assorbimento dal punto d’inoculo IM e potrebbe
determinare delle reazioni locali per cui è consigliato usarlo per via
IV. Questo problema non esiste nel midazolam.

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ALFA2 AGONISTI
cloralio idrato (non in commercio in Italia). Sono sedativi con azione
analgesica utilizzati nela preanestesia. Detreminano attivazione dei
recettori alfa2 presinaptici con conseguente inibizione nella
liberazione di noradrenalina nello spazio sinaptico. Pertanto si ha
riduzione del tono simpatico con conseguente prevalenza del tono
parasimpatico. Questi recettori si trovano sia a livello del SNC che a
livello del SNP. La stimolazione di quelli posti a livello del SNC (quelli
presenti nel locus caeruleus responsabile dell'attivazione corticale)
determina una riduzione dello stato di veglia (sedazione), una
riduzione dell’attenzione, una riduzione della motilità volontaria. Per
stimolazione degli alfa recettori a livello dei neuroni delle corna
dorsali si sviluppa un azione analgesica, l’analgesia si ha anche per
stimolazione degli alfa2 recettori sovraspinali. Quindi, come per gli
oppioidi, l’analgesia si verifica per azione su questi 2 siti recettoriali.
Essi hanno anche una modica attività miorilassante (superiore a
quella dell’acepromazina ma inferiore a quella delle
benzodiazepine). Danno una depressione cardiorespiratoria per
riduzione del tono simpatico. Alfa2 recettori sono presenti anche a
livello della muscolatura liscia dei vasi periferici, e per la stimolazione

37
di questi recettori si verifica una vasocostrizione che determina un
iniziale aumento della PA che determina a sua volta in via riflessa una
riduzione della FC e che si va a sommare alla riduzione della FC
dovuta a diminuzione del tono simpatico. La riduzione della FC non
risponde molto a farmaci quali l’atropina che non èconsigliati in
questi casi se non in situazioni d’emergenza. La vasocostrizione
periferica inoltre riduce in parte l’ipotermia che è dovuta ad
inibizione del centro vasomotore. L’ipotermia è comunque inferiore
a quella indotta dall’acepromazina che è dovuta a vasodilatazione.
Gli alfa 2 agonisti possono determinare contrazioni uterine (non
indicati in gravidanza). Determinano riduzione della motilità GI con
timpanismo e decubito dell’animale che spesso non è richiesto. Essi
inibiscono la liberazione di insulina dal pancreas per cui non sono
indicati nel diabete. Inducono il vomito.
I farmaci di questa classe si classificano in base all’affinità per i
recettori alfa2 rispetto agli alfa1, quindi in base al rapporto di
selettività alfa2/alfa1. La xylazina , la prima ad essere utilizzata, è
quella che ha il rapporto più basso 160/1, la romifidina 190/1, la
detomidina 260/1, la medetomidina 1200/1, la dexmedetomidina
(ultimo sintetizzato) 1300/1. La dexmedetomidina è l’enantiomero

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destrogiro della medetomidina. La medetomidina è un composto
racemico ha quindi sia il composto destrogiro che levogiro con un
rapporto del 50 e 50. Gli effetti desiderati di questo farmaco
(L’analgesia, la sedazione ed il rilasciamento muscolare) sono
determinati dall’enantiomero destrogiro, mentre l’enantiomero
levogiro ha un’attività nulla o addirittura antagonista sui recettori
alfa 2. Pertanto riduce gli effetti dell’enantiomero destrogiro.
Togliendo l’enantiomero levogiro si riducono sia gli effetti
antagonizzanti che il carico epatico di farmaco che dovrà essere
metabolizzato. Il risveglio dell’animale sarà migliore ed anche gli altri
farmaci somministrati saranno metabolizzati meglio per la riduzione
del carico epatico.
La xylazina, la romifidina e la medetomidina sono quelli più
frequentemente utilizzati nei grandi animali. La dexmedetomidina e
medetomidina sono quelli utilizzati nel cane e gatto
Dosaggi:
xylazina 1-3mg/kg IM nella vacca (volendo anche IV a dose minore)
Romifidina nel bovino 0,05-0,2 mg/kg; nel cavallo 0,02-0,1 mg/kg
Detomidina nella vacca 0,03-0,08 mg/kg; nel cavallo 0,01-0,04 mg/kg
Medetomidina nel cane 0,02-0,05 mg/kg; nel gatto 0,08-0,1 mg/kg

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Dexmedetomidina nel cane 0,01-0,05 mg/kg; 0,02-0,04 mg/kg nel
gatto

ADIUVANTI
Sono farmaci utilizzati non per proprietà anestetiche ma per
proprietà da sfruttare nel corso di un’anestesia generale come gli
analgesici o anticolinergici che riducono il riflesso vago-vagale e le
serezioni tracheo-bronchiali.
ANTICOLINERGICI:
atropina: è un parasimpaticolitico (anticolinergico) che agisce a
livello dei recettori muscarinici (m1, m2, m3) andando ad
antagonizzare competitivamente il legame dell’acetilcolina. Può
essere utilizzata in preanestesia o nel corso dell’anestesia
soprattutto per antagonizzare una bradicardia da riflesso vago-
vagale (interventi sui visceri, occhio ecc…) o per ridurre le secrezioni
bronchiali come nel carlino o gatto persiano. Può essere
somministrata in preanestesia in quanto se ne prevede la sua
necessità oppure durante l’anestesia al momento della necessità
(rilievo di bradicardia o secrezioni abbondanti). Dosaggio: 0,02-0,04
mg/kg IM cane e gatto. Cavallo 0.05-0.2 mg/kg; nel bovino 0,5-

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1mg/kg. Nel cavallo e soprattutto nei grossi animali determina
timpanismo addominale (meteorismo) da arresto della peristalsi. In
premedicazione va somministrata 15 min. Prima di somministrare gli
altri farmaci preanestetici. La stimolazione dei recettori muscarinici
m1, m2, m3 localizzati a livello del SNC (sovraspinale) può
determinare una sedazione ma non alle dosi somministrate, mentre
sovraddosaggi possono determinare degli stati euforici
(aalucinazioni, agitazione). In patologie oculari che determinano un
aumento della pressione endoculare (glaucoma), determinando
midriasi, non è indicata in quanto la midriasi riduce il riassorbimento
dell'umor acqueo (del deflusso oculare). Attraversa la barriera
placentare ed ematoencefalica. Come antidoto è utilizzata
nell'avvelenamento da organi fosforici che determinano
un'inibizione dell'acetilcolinesterasi, enzima che è responsabile della
degradazione dell'acetilcolina a livello dei recettori muscarinici.
Quindi l'atropina sposta competitivamente l'acetilcolina accumulata
a livello dei recettori muscarinici.

BLOCCANTI NEUROMUSCOLARI (guaifenesina o etere


guaiocolglicerico)

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Guaifenesina, derivato della mefenesina, è un bloccante
neuromuscolare usata nel corso dell'anestesia per il suo effetto di
rilasciamento muscolare. A differenza degli altri bloccanti
neuromuscolari, non depolarizzanti e depolarizzanti, la guaifenesina
non necessita dell'utilizzo di un respiratore meccanico in quanto
non va a bloccare, ai dosaggi normalmente utilizzati, la muscolatura
respiratoria. La guaifenesina non agisce a livello della giunzione
neuromuscolare o placca motrice (come fanno i bloccanti
neuromuscolari non polarizzanti e depolarizzanti) ma agisce a livello
dei neuroni internunciali del midollo spinale. I depolarizzanti come
la sucinilcolina si legano in maniera stabile al recettore della colina
presente a livello della giunzione neuromuscolare. Questo legame si
protrae per un tempo molto maggiore rispetto al tempo di legame
dell'acetilcolina. Quindi la succinilcolina inizialmente darà delle
fascicolazioni muscolari seguite da uno stato di paralisi. I non
depolarizzanti, preferibili ai depolarizzanti, perché sono
antagonizzabili ad esempio con la neostigmina o con la fisostigmina
(inibitori della colinesterasi) sono degli antagonisti competitivi
dell'aceticolina. In genere i bloccanti neuromuscolari non sono
molto utilizzati, tra questi quella che si utilizza di più è la

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guaifenesina utilizzata soprattutto nell'anestesia dei grandi animali
(cavallo, bovino). Deve essere somministrata sempre dopo una
sedazione e la si usa soprattutto per diluire gli anestetici iniettabili
(ad es. nell'induzione associandola alla ketamina: 50-80 mg/kg di
guaifenesina e 2,2 mg/kg di ketamina IV). Va sempre effettutata
nell'anestesia nell'animale in decubito. Oppure può essere utilizzata
nella TIVA nel cavallo, sempre nel cavallo abbiamo il protocollo
triple drip (GKX) che consiste nel preparare una miscela di
guaifenesina in soluzione al 5% più 1g/L di ketamina e 0,5 mg/L di
xylazina. Prima si effettua la sedazione con la xylazina 1mg/kg, poi si
fa la dose di carico con la miscela GKX (1 ml/kg), poi si fa il
mantenimento con la miscela GKX in pompa d'infusione a 2,2
ml/Kg/ora. Nel cavallo il metodo migliore di effettuare la TIVA è
l'uso della tripledrip GKX. Nel cane per la TIVA si usa il propofol.

OPPIOIDI
Oppioidi endogeni sono l'encefalina, le beta endorfine e le dinorfine,
sono prodotti dall'organismo.
Sono farmaci derivati dell'oppio (oppioidi esogeni) che agiscono sui
recettori degli oppioidi endogeni. Sono usati principalmente per

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l'attività analgesica anche se possono essere utilizzati per sfruttare
altre loro proprietà (emetica per favorire il vomito nelle
intossicazioni, antidiarroica, antitosse). In anestesia si usano
soprattutto per sfruttare la loro azione analgesica. Questa si esplica
grazie alla loro azione a livello dei recettori K (con relativi sottoclassi),
dei recettori mu (con relative sottoclassi mu1- mu2- mu3), dei
recettori delta. Vi sono anche altri tipi recettoriali epsilon e sigma
meno studiati. La loro azione si esplica sia a livello dei neuroni delle
corna posteriori del midollo spinale che a livello sovraspinale
(mesencefalo, sistema limbico ecc...). Essi determinano sia analgesia
spinale che sopraspinale. L'analgesia spinale è mediata dall'azione
degli oppioidi a livello dei recettori di tipo K presenti sui neuroni delle
corna posteriori del midollo spinale mentre l'analgesia sovraspinale
è mediata dall'azione sui recettori di tipo mu. Altri effetti degli
oppioidi sono la riduzione della motilità gastro-intestinale
(desiderata se usati coma antidiarroici ma attenzione, se non usati
per l'effetto antidiarroico, perché determinano atonia intestinale
soprattutto nei grandi animali). Se usati come analgesici, anche
l'effetto emetico rappresenta un effetto collaterale. Il principale
effetto collaterale è rappresentato dalla depressione respiratoria.

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Questa è dose dipendente e solitamente non si verifica alle dosi
normalmente utilizzate. Questa può essere antagonizzata dal
NALOXONE che è un antagonista competitivo sui recettori oppioidi.
Altri effetti:
-miosi nel cane, mentre nel cavallo e nel gatto determinano midrisai.
-Leggero stato di sedazione, nel gatto e nel cavallo contrariamente si
può avere euforia.
-spasmo dello sfintere di Oddi che può determinare colestasi.
-diminuzione della FC e gettata cardiaca modeste.
-prurito da liberazione d'istamina (morfina)
-ritenzione urinaria.
-tolleranza e dipendenza fisica con necessità di un aumento della
posologia: la tolleranza è dovuta ad una (down regulation
recettoriale) riduzione del n° dei recettori, mentre la dipendenza
fisica è dovuta ad una diminuzione nella produzione degli oppioidi
endogeni da meccanismo di feed back negativo.
I vari tipi di oppioidi possono essere classificati in vari modi (il primo
ad essere utilizzato la morfina):
-ad es. in base alla lipofilia: altamente lipofili (fentanil), mediamente
lipofili (meperidina, metadone), scarsamente lipofili (butorfanolo,

45
tramadolo, morfina). La lipofilia è importante perché condiziona la
farmacocinetica di questi farmaci: quelli altamente lipofili
attraversano facilmente la barriera ematoencefalica con azione
rapida ma anche rapida eliminazione: il fentanil agisce rapidamente
ma altrettanto rapidamente viene eliminato.
-in base al legame farmaco-proteico: anche questa proprietà
condiziona la farmacocinetica.
-in base attività recettoriale. Questa rappresenta la classificazione
più importante. Si possono distinguire:
1) gli agonisti puri (morfina, fentanil), agiscono su tutti i tipi di
recettore (mu,K delta, tetta) e danno un effetto massimale e sono
caratterizzati da una mancanza dell'effetto tetto: aumentando la
dose si avrà un aumento degli efetti analgesici ma anche degli effetti
collaterali.
2) gli agonisti parziali (codeina, tramadolo, buprenorfina) essi
agiscono su tutti i tipi recettoriali ma hanno un'azione submassimale,
determinano quindi degli effetti ridotti come intensità e sono
caratterizzati da un effetto tetto derivante dalla saturazione dei
recettori, per cui, raggiunto questo tetto, aumentando la dose non si

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avrà più un aumento dell'effetto analgesico ma si avrà un aumento
degli effetti collaterali.
3) agonisti dei recettori K ed antagonisti o agonisti parziali dei
recettori mu (butorfanolo). Mediante tale meccanismo il
butorfanolo esercita un buona analgesia spinale ed una minore
analgesia sovraspinale dovuta ad una minore attività sui recettori
mu. Tale minore attività sui recettori mu comporta una riduzione
degli effetti collaterali.

Morfina
Possiede tutte le caratteristiche degli oppioidi, è un attivatore di tutti
i recettori degli oppioidi endogeni. E' metabolizzata a livello epatico
mediante un processo di glicurono-coniugazione ed è eliminata a
livello renale. Il metabolismo epatico produce 2 composti il 3-
glicuronide ed il 6-glicuronide, quest'ultimo ha un attività più
potente della morfina. La morfina è scarsamente lipofila. Agisce
dopo 15-30 min e la sua azione si protrae per 3-4 ore.
Dosaggio: nel cane 0,2-0,5 mg/kg. Nel gatto: 0,1-0,5 mg/kg; va
sempre utilizzata dopo la somministrazione di un sedativo come
l'acepromazina o un alfa 2 agonista per contrastare gli effetti euforici

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che la morfina potrebbe determinare. Determina minimi effetti
cardiovascolari (bradicardia, ipotensione) e può dare prurito da
rilascio di istamina. Non ha effetto tetto.

Fentanil
È un oppioide di sintesi, agonista puro di tutti i recettori per gli
oppioidi, ed è dotato di una elevata liposolubilità responsabile di un
rapido attraversamento della barriera ematoencefalica con
conseguente rapido inizio del suo effetto analgesico (agisce in 1 min
circa), ma la sua durata d'azione sarà breve perché la liposolubilità
favorisce anche l'eliminazione del farmaco.
utilizzato come analgesico in preanestesia, può essere utilizzato
anche per infusione durante l'intervento chirurgico.
dose di carico cane e gatto: 0,02-0,04 mg/kg (2-4 mcg/kg); dose di
mantenimento: (0.04 mg/kg/ora).

Butorfanolo
È un oppioide agonista dei recettori K ed un agonista parziale-
antagonista dei recettori mu, pertanto esercita la sua azione solo
quasi esclusivamente a livello dei recettori K che sono responsabili

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dell'analgesia spinale. La depressione respiratoria sarà ridotta per la
mancanza di effetti sui recettori mu. Il butorfanolo può essere
utilizzato nella terapia del dolore preoperatorio (analgesia
preventiva), durante l'intervento e nel trattamento del dolore post-
opertaorio, mentre è scarsamente utilizzato nel dolore cronico a
causa della sua breve durata d'azione.
Dosaggio: 0,2-0,4 mg/Kg nel cane e gatto. 0,2-0,5 mg/kg nel cavallo.
Ha un marcato effetto tetto per cui, raggiunto il massimo effetto
analgesico, aumentando ulteriormente il dosaggio non si avrà un
ulteriore aumento dell'effetto analgesico, ma si avrà un aumento
degli effetti collaterali.

Buprenorfina
È un agonista parziale mu e K, quindi presenta un effetto sub-
massimale a livello di questi recettori. Presenta un effetto tetto. Non
da euforia nel gatto
Dosaggio: 0,05-0,2 mg/kg

Tramadolo

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È un oppiaceo di sintesi con duplice meccanismo d'azione:
l'enantiomero positivo agisce sui recettori mu, K e delta dei quali è
un agonista parziale (esso interagisce anche con i recettori
serotoninergici), mentre l'enantiomero negativo interagisce con i
recettori adrenergici. L'effetto analgesico deriva dalla sua azione su
queste 2 popolazioni recettoriali. Questo è dimostrato anche dal
fatto che il naloxone non antagonizza tutti gli effetti analgesici del
tramadolo. É metabolizzato a livello epatico ed escreto per via
renale. I vantaggi del suo utilizzo sono legati al fatto che determina
una scarsa tolleranza, una scarsa dipendenza fisica ed è
caratterizzato da un baso potenziale d'abuso. Questo ha permesso di
classificare questo farmaco nella tabella 5: farmaci che non
necessitano di un registro di carico e scarico e che possono essere
prescritti su ricetta medica, unica, non ripetibile. Quindi è un debole
oppioide, con buon effetto analgesico e scarsi effetti collaterali (non
dà depressione respiratoria). È dotato di un effetto tetto. Gli effetti
collaterali sono scarsi (eccitazione e tremori di breve durata, pochi
minuti). Si può utilizzare nel pre-operatorio (pre-medicazione)
associato ad alfa 2 agonisti o acepromazina (nel cane e gatto
tramadolo 2-4 mg/kg). Nel cavallo 0,5-2,5 mg/kg in premedicazione.

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Possono essere utilizzati nel post operatorio (2,5 mg/kg) . Si può
somministrare anche per Os (esiste la formulazione in compresse)
nel trattamento del dolore cronico anche perché ha una lunga durata
d'azione.

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