MIDDLE EAST Guerra Siria: Najaf contro Qom, sciiti contro sciiti Mentre Tehran e
alcuni ayatollah di Qom appoggiano apertamente Bashar Assad, le autorit� religiose
di Najaf (Iraq) guidate da Ali Sistani sostengono la neutralita'
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di Giorgia Grifoni
Roma, 24 luglio 2013, Nena News - La guerra civile siriana, giunta al suo terzo e
pi� cruento anno, ora divide anche lo sciismo "dei piani alti" - quello iracheno e
quello iraniano - sulla spinosa questione dell'intervento al fianco di Bashar
Assad. Se, come raccontato da un recente reportage della Reuters, legioni di
combattenti sciiti iracheni si imbarcano ogni settimana per Damasco per "difendere
il santuario di Zeinab" sponsorizzati e finanziati dall'Iran, lo farebbero contro
la volont� dei leader religiosi della loro pi� importante citt� santa: Najaf.
A rivelare le divisioni interne del clero sciita sul ruolo dei suoi fedeli nel
calderone siriano � un articolo del quotidiano panarabo Asharq al-Awsat (di
proprieta' saudita e apertamente schierato contro l'Iran): mentre il governo
iraniano e alcuni ayatollah di Qom sarebbero entusiasti di sostenere Bashar Assad,
le autorit� religiose di Najaf - una delle citt� sacre dell'islam sciita, centro
del suo potere politico in Iraq - guidate dall'ayatollah Ali Sistani, si sono
invece opposte ai gruppi di volontari in partenza per una guerra che vedono pi�
politica che settaria.
Una posizione, quella del clero iracheno, che per� non impedisce ad alcuni partiti
e milizie sciite del paese - leali alla guida suprema iraniana Khamenei - di
inviare comunque uomini in Siria contro la volont� delle proprie autorit�
religiose. A confermarlo sono gli stessi combattenti in partenza. "Il mio leader
spirituale dice che combattere in Siria � un dovere religioso - spiega Ali, ex
membro dell'esercito del Mahdi guidato da Moqtada al-Sadr, ora in partenza per
Damasco - e non mi importa se gli altri non sono d'accordo. Non hanno il diritto di
fermarmi. Io combatto per la difesa della mia religione e per la figlia del mio
Imam (il santuario di Sayyida Zeinab alle porte di Damasco, ndr)".
Una motivazione, quella della protezione dei luoghi santi sciiti in Siria, che
nasconderebbe un pi� ampio progetto iraniano di influenza nel paese. Secondo un
ayatollah di Najaf Damasco, agli occhi di Khamenei e dei suoi sostenitori in Iran e
in Iraq, � una parte importante di quella "mezzaluna sciita" che corre da Teheran a
Beirut, passando per Damasco e Baghdad. E la protezione dei luoghi santi � solo un
pretesto per mandare giovani sciiti a combattere.
Dalla caduta del presidente iracheno Saddam Hussein, l'influenza iraniana in Iraq �
aumentata e ha cercato un appoggio soprattutto a Najaf. Importanti religiosi
iraniani hanno aperto uffici nella citt� santa irachena, oltre a organizzazioni non
governative, istituti culturali e di carit�. Tutto pagato dalle autorit� iraniane o
dall'ambasciata iraniana a Baghdad. La guerra siriana ha acuito i disaccordi
all'interno del clero sciita, disaccordi "naturali", secondo Haydar al-Gharabi, uno
degli insegnanti dal seminario di Najaf, perch� "non si tratta di disaccordi tra le
autorit� dei due paesi, come illustrano sempre i media, ma disaccordi interni sia
al clero di Najaf che a quello di Qom". Secondo Al-Gharabi, ad esempio, alcuni
religiosi di Qom sarebbero d'accordo con quelli di Najaf sul non intervento e
viceversa.
La realt� sul campo � ben pi� complicata. Mentre l'Iran sostiene apertamente Assad,
l'Iraq ha pi� volte annunciato la propria (apparente) neutralit� nel conflitto. Ma
il flusso di combattenti iracheni - sciiti ma anche jihadisti sunniti - verso la
Siria compromette giorno dopo giorno la posizione ufficiale di Baghdad. E non solo
in seno alle proprie autorit� religiose. Nena News
Gerusalemme, 7 agosto 2013, Nena News - Bashar Assad l'altro giorno ha invocato
l'uso della forza come unica strada per chiudere la partita con i ribelli armati.
Da parte sua Ahmad Jarba, il capo della Coalizione Nazionale dell'opposizione, ha
precisato che lui alla conferenza di Ginevra II sul futuro della Siria potrebbe
andarci ma con in tasca molte �precondizioni�.
Una �spartizione� fluida che vede il governo centrale controllare nel Nord i
capoluoghi, con l'eccezione di Raqqa e parti di Aleppo, e alcune basi militari e
posti di blocco. Due giorni fa i qaedisti dello Stato Islamico in Iraq e nel
Levante e del Fronte al Nusra hanno conquistato un'importante base aerea nel
distretto di Aleppo dopo un assedio durato otto mesi. Ormai le autorit� centrali
sanno di non potere recuperare i territori persi a Nord e concentrano gli sforzi
nel centro e nel Sud della Siria e intorno a Damasco per spazzare vie le ultime
roccaforti dei ribelli.
Dietro le quinte della guerra civile si svolge un intenso commercio tra "nemici",
con jihadisti e qaedisti che attraverso oscuri mediatori vendono proprio al governo
centrale il petrolio estratto dai giacimenti che controllano nel Nord-Est del
Paese. Pozzi che stanno gradualmente passando alle milizie curde che, capeggiate
dai Comitati di Protezione Popolare del partito Pyd (espressione locale del Pkk),
da alcune settimane sono impegnate in combattimenti violenti con gli islamisti. I
curdi hanno creato proprie forze di polizia e un sistema di istruzione che ha al
suo centro l'insegnamento della lingua nazionale in sostituzione dell'arabo. I
jihadisti e l'Els invece hanno messo un piedi, specie a Raqqa, strutture
amministrative e giudiziarie fondate sulla legge coranica.
Ahmad Abdelqader, un miliziano delle Brigate islamiste �Ahrar al-Jabal�, uno dei
gruppi coinvolti nell'operazione, ha detto a Zaman al Wasl che centinaia di
famiglie alawite sono in fuga. Dopo Qardaha l'obiettivo � la stessa Latakiya (con
un'ampia comunit� sunnita). Ma questa regione � troppo importante per Assad e
l'esercito governativo aiutato dalla milizia dei Comitati di Difesa Nazionale, ha
lanciato la controffensiva con l'appoggio dell'aviazione. Nena News
At a crossroads: Civil war or partition Unless good intentions and good will
intervene in favor of the third ideal path (a modern civilian state) and a fourth
possible path (federal provinces)
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The country's people are fed up with each other, even though it is large and
beautiful, wide enough for all those who love it and are loyal to its soil,
history, and age-old civilization. Killing has become easier than coexistence. We
are at the crossroads, with only two paths to consider with nothing in between:
Either civil war or partition - unless good intentions and good will intervene in
favor of the third ideal path (a modern civilian state) and a fourth possible path
(federal provinces).
When their patriotic spirit takes precedence, the Iraqis hate both the notion of
civil war and that of partition. Both these ideas represent bitter fruits that the
Iraqis do not wish to taste. But what is happening now may lead to one and perhaps
even both of them- civil war to be followed by partition. The advocates of civil
war are pursuing one of two aims - either to topple the state or to establish a
Western [Sunni] province.
Toppling the state and the entire political process is a distant aim that may not
be achieved by civil war. The coming war - if it breaks out, God forbid - will
exceed the previous war in its violence, harshness, and bloodshed. But it will not
achieve that aim because it will be a war for survival and not a war in which one
political regime is to be replaced by another. Such a war will raise an impossible
obstacle in the face of achieving that aim.
In other words, establishing a federal province does not require a civil war. It is
achievable at a cost less than the Iraqi blood that will be shed and the monies and
efforts that will be otherwise spent. Why then, are we resorting to the more
difficult path when the easy one is open to us? That can only be because the
undeclared aims go beyond that of the establishment of such a province.
Establishing such a province is a possible aim that can spare us the dangers of
civil war and partition. Why, then, do those who are fed up with their brothers in
religion and partners in the soil, not resort to it instead of fighting? As for the
ideal aim, which is sadly becoming more distant every time the Earth completes its
daily orbit, it is to establish a civilian and modern state on the basis of
citizenship, democracy, institutions, the law, and modern science. That is an aim
that all peaceful and civilized nations that have managed to free themselves from
the clutch of backwardness and cultural deterioration, seek.
Nor should it be assumed that we are unable to achieve that aim. But that has
requirements and conditions, beginning with good intentions and the political
culture of the activists and demonstrators, to the good will that produces serious
and fair cooperation between them with the aim of safeguarding their country's
unity and enjoying the fruits that God has bestowed upon them. Is not Iraq a trust
whose preservation can only be achieved by working towards the establishment of
this ideal state?
Why, then, are you quarreling, calling each other names, fighting, shedding each
others' blood, and spreading corruption in the Earth when God has given you a mind
that has provided you with many better alternatives? Do you not realize how bad
what you are doing is?
Elezioni in Iraq, solo il 50% alle urne Cala l'affluenza. Due ong riportano
irregolarit� ai seggi, ma l'ONU definisce il voto "ben organizzato e credibile".
Nove morti in diversi attacchi.
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dalla redazione
Roma, 22 aprile 2013, Nena News - � in corso lo spoglio dei voti delle elezioni
locali tenutesi ieri in dodici province dell'Iraq. Il primo dato, quello
sull'affluenza, � misero: solo la met� degli aventi diritto al voto si � presentato
alle urne, contro il 62% delle elezioni nazionali del 2010. Segno di disaffezione
verso le istituzioni di un Paese corrotto e incapace di avviare la ricostruzione.
di Giorgia Grifoni
Roma, 28 giugno 2013, Nena News - Non si tratta pi� solo di Assad, in Siria. In
realt�, per alcuni, non � mai stato lui il vero problema, ma piuttosto i "nemici",
quelli che appartengono all'altra corrente dell'Islam. "� mio legittimo dovere
andare l� e lottare per difendere il santuario di Sayyida Zeinab. Dovremmo forse
accettare di vedere Zeinab, la nipote del Profeta Mohammad, essere catturata di
nuovo?". A parlare alla Reuters � Ali, uno dei combattenti sciiti iracheni che,
nella hall dell'aeroporto di Baghdad, aspetta di imbarcarsi per Damasco.
E improvvisamente sembra di non essere pi� nel 2013, ma piuttosto nel 680. Quando a
Kerbala, in Iraq, l'ultimo figlio del califfo 'Ali, Hussein, trov� la morte nella
seconda guerra civile che la Umma - la comunit� di fedeli musulmani - ricordi. E
sua sorella Zeinab, la cui tomba � custodita in una moschea alle porte di Damasco,
fu fatta prigioniera da quelli che oggi conosciamo con il nome di Sunniti.
La voce che gruppi di sciiti iracheni entrassero in Siria per combattere al fianco
delle truppe del regime circolava gi� da almeno un anno. Ora stanno uscendo dalla
loro clandestinit�, rilasciando interviste ad alcuni grandi media e fornendo nomi e
numeri che superano di gran lunga le stime. Dichiarano che almeno 50 combattenti
alla settimana si uniscono all'esercito di Assad nella guerra contro i ribelli
sunniti. Partono tranquillamente dall'aeroporto di Baghdad o da quello di Najaf,
una delle due citt� sante dello sciismo. Volano in piccoli gruppi da 10-15
miliziani, spesso sotto le sembianze di pellegrini diretti al santuario di Sayyida
Zeinab. Nelle loro borse ci sono per� uniformi, equipaggiamento militare e a volte
anche armi. Spesso vengono scortati ai checkpoint dai loro comandanti che, grazie
alle loro conoscenze e alla loro influenza tra le autorit� irachene, li fanno
passare con il loro equipaggiamento.
IRAQ Iraq, 11 autobombe alla vigilia delle elezioni Stamattina undici attacchi in
tutto il Paese: Baghdad, Fallujah, Kirkuk e Nassiriyah. Almeno 22 le vittime, 118 i
feriti. La tensione cresce a 5 giorni dal voto provinciale.
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dalla redazione
Roma, 15 aprile 2013, Nena News - Mancano solo cinque giorni alle elezioni
amministrative in 12 delle 18 province irachene e stamattina undici autobombe hanno
insanguinato l'intero Paese. Le tensioni non si stemperano e le violenze vivono
un'escalation che definire preoccupante � poca cosa.
Questa mattina almeno 22 persone sono state uccise e 118 ferite in undici
esplosioni: autobombe imbottite di esplosivo sono saltate in aria nelle citt�
settentrionali di Kirkuk e Tuz Khurmatu, nelle centrali Baghdad, Fallujah e Samarra
e nelle meridionali Hilla e Nassiriyah. Nessun gruppo ha per ora rivendicato gli
attacchi, ma le forze di sicurezza ritengono responsabile il braccio iracheno di Al
Qaeda.
Nella capitale una delle autobomba � esplosa nel quartiere commerciale di Karrada,
un'altra alla stazione centrale degli autobus, altre nelle strada che conduce
all'aeroporto. Ad essere colpiti sono stati sia quartieri sunniti che sciiti. A
Kirkuk le esplosioni sono state sei (tra cui una nel quartiere arabo, una in quello
curdo e uno in quello turkmeno).
Chi gestisce il petrolio curdo Il governo centrale iracheno dichiara illegali gli
accordi raggiunti dal Kurdistan con multinazionali straniere e rifiuta di pagare.
Tensione nel Paese.
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di Andrea Ranelletti
Roma, 14 gennaio 2013, Nena News - Mentre i camion che trasportano il greggio curdo
entrano nell'Anatolia Orientale e si dirigono verso i porti turchi di Mersin e
Ceyhan, aumenta la tensione tra Baghdad, Erbil e Ankara. L'avvio di esportazioni
autonome viola il veto posto dal governo centrale iracheno, da sempre rigido
nell'affermare che le autorit� curde non dispongono legalmente del diritto di
stipulare contratti con societ� esterne: Baghdad ha appena dichiarato illegali gli
oltre 50 accordi raggiunti dai rappresentanti curdi con varie multinazionali
presenti nell'area.
Stando alle parole del Financial Times, � intenzione delle compagnie petrolifere
andare avanti nonostante l'ambiguit� della situazione: "Probabilmente ritengono che
valga la pena rischiare". Il timore attuale � che ulteriori tensioni tra governo
centrale e Kurdistan possano mettere a repentaglio la sicurezza delle comunit� in
aree difficili. Gli attentati avvenuti a Kirkuk a met� dello scorso dicembre sono
troppo recenti perch� si possano condurre politiche non curanti del rischio di
ripercussioni sulla cittadinanza. Nena News
IRAQ Iraq, a decade after invasion The US-led invasion of Iraq, nearly ten years
ago, brought nothing but misery, destruction, orphans and the seeds of future
conflicts.
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by Ramzy Baroud
Soon after the joint US-British bombing campaign "Operation Desert Fox" devastated
parts of Iraq in December 1998, I was complaining to a friend in the lobby of the
Palestine Hotel in Baghdad.
I was disappointed with the fact that our busy schedule in Iraq - mostly visiting
hospitals packed with injured or depleted uranium victims - left me no time to
purchase a few Arabic books for my little daughter back in the States.
As I got ready to embark on the long bus journey back to Jordan, an Iraqi man with
a thick moustache and a carefully designed beard approached me. "This is for your
daughter," he said with a smile as he handed me a plastic bag. The bag included
over a dozen books with colourful images of traditional Iraqi children stories. I
had never met that man before, nor did we ever meet again. He was a guest at the
hotel and somehow he learned of my dilemma. As I profusely, but hurriedly thanked
him before taking my seat on the bus, he insisted that no such words were needed.
"We are brothers and your daughter is like my own," he said.
I was not exactly surprised by this. Generosity of action and spirit is a distinct
Iraqi characteristic and Arabs know that too well. Other Iraqi qualities include
pride and perseverance; the former attributed to the fact that Mesopotamia -
encompassing most of modern day Iraq - is the "cradle of civilization", the latter
due to the untold hardships experienced by Iraqis in their modern history.
It was Britain that triggered Iraq's modern tragedy, starting with its seizure of
Baghdad in 1917 and the haphazard reshaping of a country to perfectly fit the
colonial needs and economic interests of London. One could argue that the early and
unequalled mess created by the British invaders continued to wreak havoc,
manifesting itself in various ways - spanning sectarianism, political violence and
border feuds between Iraq and its neighbours - until this very day.
But, of course, the US now deserves most of the credit of reversing whatever has
been achieved by the Iraqi people to acquire their ever-elusive sovereignty. It was
US Secretary of State James Baker, who reportedly threatened Iraqi Foreign Minister
Tarek Aziz in a Geneva meeting in 1991 by saying that the US would destroy Iraq and
"bring it back to the Stone Age". The US war extended from 1990 to 2011, included a
devastating blockade and ended with a brutal invasion. These wars were as
unscrupulous as they were violent. Aside from their overwhelming human toll, they
were placed within a horrid political strategy aimed at exploiting the country's
existing sectarian and other fault lines, therefore triggering civil wars and
sectarian hatred from which Iraq is unlikely to recover for many years.
For the Americans, it was a mere strategy aimed at lessening the pressure placed on
its and other allied soldiers as they faced stiff resistance the moment they
stepped foot in Iraq. For the Iraqis however, it was a petrifying nightmare that
can neither be expressed by words or numbers. But numbers are of course barely
lacking. According to UN estimations cited by the BBC, between May and June 2006
"an average of more than 100 civilians per day [were] killed in violence in Iraq."
UN estimates also placed the death toll of civilians during 2006 at 34,000. That
was the year that the US strategy of divide and rule proved most successful.
Over the years, most people outside Iraq - as in other conflicts where protracted
violence yields regular death counts - simply became desensitized to the death
toll. It is as if the more people die, the less worthy their lives become.
The fact remains, however, that the US and Britain had jointly destroyed modern
Iraq and no amount of remorse or apology (not that any was offered to begin with)
will alter this fact. Iraq's former colonial masters and its new ones lacked any
legal or moral ground for invading the sanctions-devastated country. They also
lacked any sense of mercy as they destroyed a generation and set the stage for a
future conflict that promises to be as bloody as the past.
When the last US combat brigade reportedly left Iraq in December 2011, this was
meant to be an end of an era. Historians know well that conflicts don't end with a
presidential decree or troop deployments. Iraq merely entered a new phase of
conflict and the US, Britain and others, remain integral parties to that conflict.
One post-invasion and war reality is that Iraq was divided into areas of influence
based on purely sectarian and ethnic lines. In Western media classifications of
winners and losers, Sunnis, blamed for being favoured by former Iraqi president
Saddam Hussein, emerged as the biggest loser. While Iraq's new political elites
were divided between Shia and Kurdish politicians (each party with its own private
army, some gathered in Baghdad and others in the autonomous Kurdistan region), the
Shia population was held by various militant groups responsible for Sunni
unfortunates. On 8 February, five car bombs blew up in what was quickly recognized
as "Shia areas", killing 34 people. A few days earlier, on 4 February, 22 people
were also killed in a similar fashion.
The sectarian strife in Iraq that is responsible for the death of tens of thousands
is making a comeback. Iraqi Sunnis, including major tribes and political parties
are demanding equality and the end of their disfranchisement in the relatively new,
skewed Iraqi political system under Prime Minister Nuri Al-Maliki. Massive protests
and ongoing strikes have been organised with a unified and clear political message.
However, numerous other parties are exploiting the polarisation in every way
imaginable: to settle old scores, to push the country back to the brink of civil
war, to amplify the mayhem underway in various Arab countries, most notably Syria,
and in some instances to adjust sectarian boundaries in ways that could create good
business opportunities.
Taking advantage of the autonomy of the Kurdistan region, the giant multinational
oil and gas corporation had struck lucrative deals that are independent from the
central government in Baghdad. The latter has been amassing its troops near the
disputed oil-rich region starting late last year.
The Kurdish government has done the same. Unable to determine which party has the
upper hand in the brewing conflict, thus future control over oil resources, Exxon
Mobile is torn: to honour its contracts with the Kurds, or to seek perhaps more
lucrative contracts in the south. James might have good ideas, especially when he
uses his political leverage acquired during his term as US ambassador.
The future of Iraq is currently being determined by various forces and almost none
of them are composed of Iraqi nationals with a uniting vision. Caught between
bitter sectarianism, extremism, the power-hungry, wealth amassing elites, regional
power players, Western interests and a very violent war legacy, the Iraqi people
are suffering beyond the ability of sheer political analyses or statistics to
capture their anguish. The proud nation of impressive human potential and
remarkable economic prospects has been torn to shreds.
UK-based Iraqi writer Hussein Al-Alak wrote on the upcoming tenth anniversary of
the Iraq invasion with a tribute to the country's "silent victims," the children.
According to Iraqi Ministry of Labour and Social Affairs, he reported, there is an
estimated 4.5 million children who are now orphans, with a "shocking 70 per cent"
of them having lost their parents since the 2003 invasion. "From that total number,
around 600,000 children are living on the streets, without either shelter or food
to survive," Al-Alak wrote. Those living in the few state-run orphanages "are
currently lacking in their most essential needs."
I still think of the kindly Iraqi man who gifted my daughter a collection of Iraqi
stories. I also think of his children. One of the books he purchased was of Sinbad,
presented in the book as a brave, handsome child who loved adventure as much as he
loved his country. No matter how cruel his fate had been, Sinbad always returned to
Iraq and began anew, as if nothing had ever happened.
dalla redazione
Roma, 13 marzo 2013, Nena News - Ricostruzione mai iniziata, corruzione a ogni
livello dell'amministrazione governativa, violenze settarie, attentati
terroristici. E un'ondata di nostalgia per il vecchio dittatore avvolge l'Iraq. Non
sono pochi quelli che rimpiangono gli anni del regime di Saddam Hussein, un
sentimento simile a quello di molti russi dopo la caduta dell'Unione Sovietica o
dei Paesi della ex Jugoslavia frantumatasi dopo Tito. Ad esattamente dieci anni
dall'invasione militare americana dell'Iraq e a sette dall'esecuzione di Saddam,
Baghdad appare sull'orlo di una guerra civile: il Paese � diviso tra etnie e trib�,
il governo di Maliki � accusato di tirannia e di incapacit� di gestire la
ricostruzione, mentre la corruzione raggiunge livelli senza precedenti. A
rimpiangere Saddam � soprattutto la sua citt� natale, Tikrit, che lo ricorda per il
polso fermo e l'abilit� nel tenere unito un Paese etnicamente misto. La repressione
delle opposizioni, gli omicidi, gli arresti di massa passano in secondo piano agli
occhi di una popolazione che soffre oggi per la mancanza quasi totale di servizi di
base e per l'elevato tasso di disoccupazione.
"� naturale che rimaniamo fieri di lui - dice Umm Sara, residente a Tikrit all'AFP
- Nonostante tutto, l'Iraq riusciva a vivere, Saddam guidava il Paese senza
problemi". Gli fa eco Abu Hussein, che lo paragona a Charles de Gaulle: "Saddam ci
ha aiutato tanto, � naturale che lo apprezziamo come altri apprezzano il generale
de Gaulle. Saddam aveva una personalit� forte, che ha imposto dentro e fuori il
Paese".
Sebbene ai tempi del regime di Hussein la maggior parte degli iracheni non vivesse
nel lusso, il governo garantiva a tutti elettricit� e un programma di distribuzione
di cibo per alleviare le conseguenze drammatiche dell'embargo imposto dalle Nazioni
Unite e dai Paesi occidentali.
Attentato a Kirkuk del 29 marzo 2013 (Foto: Marwan Ibrahim /AFP/Getty Images)
di Emma Mancini
Roma, 2 aprile 2013, Nena News - A meno di venti giorni dal voto amministrativo,
l'Iraq � ancora prigioniero dei suoi sanguinosi fantasmi. Ieri in un attentato
suicida di fronte al quartier generale della polizia a Tikrit sono morte otto
persone. Il mese di marzo, appena trascorso, si � guadagnato cos� una poco
onorevole posizione nella classifica delle violenze: il mese con il maggior numero
di vittime dallo scorso agosto, 271 morti in 906 attacchi.
Ieri teatro della strage � stata la citt� di Tikrit, citt� natale di Saddam
Hussein, rimpianto leader iracheno. Da tempo parte della popolazione non fa mistero
della nostalgia per gli anni del regime, considerato l'unico in grado di dare
stabilit� al Paese e di garantirgli un ruolo all'interno dello scacchiere
mediorientale. Ma a dieci anni dall'invasione americana e dal crollo del dittatore,
Baghdad � ancora scossa da settarismi e violenze, una violenza brutale che non
permette una ricostruzione serena non solo delle infrastrutture del Paese, ma anche
della divisa societ� irachena.
Ieri un camion � saltato in aria a Tikrit, a pochi metri dal quartier generale
della polizia, uccidendo otto persone e ferendone 14. Gran parte delle vittime
erano poliziotti. Ad ora, nessun gruppo armato ha rivendicato l'attacco, ma pare si
tratti ancora una volta di militanti sunniti legati ad Al Qaeda, che negli ultimi
anni ha visto una crescita esponenziale del suo potenziale armato in Iraq.
L'ultimo attentato di una lunga serie, a venti giorni dalle elezioni locali in 12
delle 18 province irachene, le prime dal 2010 quando si tenne il voto parlamentare.
Elezioni che non si svolgeranno in un clima pacificato: undici candidati sono stati
uccisi (tutti sunniti), l'ultimo ieri. Salah al Obeidi, avvocato di 48 anni, �
stato assassinato nel suo ufficio a Baghdad: "Il motivo dell'omicidio � politico -
ha commentato un cugino di Obeidi, Hamid - Ucciso perch� partecipava alle
elezioni". Al Obeidi era candidato nelle liste del partito sunnita di opposizione,
Iraqiya, fazione protagonista di intense battaglie parlamentari contro il governo.
Basti ricordare il caso del vicepresidente iracheno, Hashemi, da dicembre 2011 in
fuga perch� accusato di aver ordito un colpo di Stato e condannato alla pena di
morte.
La sospensione del voto, che dovrebbe tenersi tra sei mesi, ha provocato la
reazione americana: "Se � vero che la sicurezza � una ragionevole motivazione al
ritardo, nessun Paese meglio dell'Iraq sa come andare a votare in circostanze
difficili", ha commentato il segretario di Stato Usa, John Kerry. Che sa bene che
queste elezioni saranno un vero termometro politico per valutare il consenso
intorno al premier sciita Maliki, accusato dalle opposizioni di essersi trasformato
in un dittatore.
Abu Ghraib: 5 milioni di dollari agli ex prigionieri Tribunale Usa condanna una
compagnia militare privata a rimborsare 71 ex detenuti, sottoposti a torture e
abusi nel carcere della vergogna durante l'occupazione dell'Iraq.
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Roma, 9 gennaio 2013, Nena News - Cinque milioni di dollari di risarcimento per gli
abusi nella prigione di Abu Ghraib. � quanto dovr� pagare un contractor
statunitense, la compagnia militare privata Engility Holdings, accusata e
condannata per torture contro i detenuti iracheni.
"I contractor militari privati hanno giocato un ruolo centrale ma spesso nascosto
negli abusi di Abu Ghraib - ha commentato Baher Amzy, legale dei 71 ex prigionieri
e direttore del Centro per i Diritti Costituzionali - Siamo felici che questa
sentenza attribuisca le dovute responsabilit� a coloro che hanno commesso tali
crimini e che offra alle vittime un minimo di giustizia".
della redazione
Roma, 9 gennaio 2013, Nena News - Resta alta la tensione in Iraq dove ieri la
polizia ha sparato in aria per disperdere centinaia di manistestanti sunniti che
protestavano contro il primo ministro sciita, Nouri al-Maliki, in una piazza di
Mosul, nel nord del paese. Sempre a Mosul un'autobomba ha ucciso uno studente
universitario e luned� uomini armati avevano sparato contro due poliziotti
ferendoli a morte. E' stato inoltre scoperto il cadavere di una donna cristiana
sgozzata nel suo appartamento. Dalla fine di dicembre i dimostranti bloccano la
strada che porta alla frontiera siriana attraverso il deserto di Anbar.
Domenica scorsa, i deputati sunniti, sciiti e kurdi non hanno trovato accordo in
Parlamento sulle rivendicazioni dei manifestanti e l'Arabia saudita, sostenitrice
dei sunniti iracheni, ha messo in guardia Baghdad sul pericolo dell'�estremismo
religioso che alimenta la violenza nel paese�.
Dopo la partenza ufficiale degli ultimi soldati Usa, nel dicembre 2011 (nel paese
per� rimangono centinaia di contractors e agenti di sicurezza americani), dopo nove
anni di occupazione dell'Iraq, continuano le lotte di potere tra gruppi politici,
etnici e religiosi e si profila la possibilit� di elezioni anticipate prima dello
scadere della legislatura, nel 2014.
L'ex vice presidente del Consiglio del comando della rivoluzione, la pi� alta
istanza dirigente del passato regime, ha letto un comunicato seduto dietro ad una
scrivania. �Ciascuna citt� e ciascuna regione, ciascun iracheno sono con voi e vi
sostengono nelle vostre rivendicazioni contro l'alleanza persiana�, ha dichiarato
lasciando intendere che al Maliki � una burattino nelle mani dall'Iran, paese
contro il quale l'Iraq di Saddam Hussein ha combattuto una lunga guerra all'inizio
degli anni Ottanta.
Duri ha avvertito che il suo movimento �punir� fermamente tutti coloro che
sostengono il progetto safavide�, un riferimento ad una ex dinastia persiana. Duri,
secondo gli americani, ha coordinato le attivit� della guerriglia in Iraq, dopo la
caduta di Saddam Hussein nel 2003.
Dopo Duri � tornata a farsi sentire anche la "sezione" irachena di al Qaeda che ha
rivendicato gli attentati sanguinosi contro i pellegrini sciiti avvenuti nelle
ultime settimane. �La maggior parte dei gruppi � riuscita a raggiungere i propri
obbiettivi, nonostante le misure di sicurezza per la protezione delle visite dei
politeisti alle tombe di coloro che vengono venerati a Karbala�, ha scritto in un
comunicato. Fondata ideologicamente sul salafismo sunnita pi� radicale, al Qaeda
non riconosce gli sciiti come musulmani.
del paese: il Partito di Unit� nazionale guidato dal presidente della repubblica
Jialal Talabani (con l'appoggio dei diversi partiti Kurdi), l'alleanza Al Iraqiya
con il suo capo Ayad Allawi, che alle ultime elezioni aveva conquistato due seggi
in pi� del partito di Al Maliki, Al Kanoon (letteralmente, La Legge) e la
formazione del leader shi�ta Muktada Al Sadr. In tale occasione si era concordato
di sfiduciare il primo ministro Nuri Al Maliki, accusato di agire con poteri
dittatoriali. La richiesta tuttavia non era stata poi messa ai voti perch� in
Parlamento non esistevano le condizioni per avere la maggioranza sulla necessaria a
rovesciare Al Maliki.
Poco dopo, si � arrivati ad uno scontro militare vicino alla citt� di Kirkuk, e la
situazione resta tutt'ora incandescente e bel lontana da un accordo, tanto che,
agli inizi di dicembre, Masud Al Barzani, recatosi sul posto per visitare le sue
forze militari (Peshmergha), aveva dichiarato: "Se ci costringeranno, andremo a
difendere i nostri territori con le armi".
Nei giorni successivi, nel corso di un incontro con i giornalisti kuwaytiani, nel
riferirsi a quelle che nella Costituzione vengono indicate come " zone contese", il
Primo Ministro iracheno Al Maliki ha parlato, per la prima volta, di "zone miste".
In risposta, Barzani, ha diffuso una direttiva al proprio Governo ed ai media , con
la quale dispone di chiamare tutte le zone su cui vi siano divergenze di
apparteneza, " zone del Kurdistan, fuori dalla regione", attestando con ci� il
principio, proprio del governo del Kurdistan Iracheno, secondo il quale in queste
aree vi � una maggioranza kurda, che vive con altre comunit� etniche, come
Turkomanni, arabi, cristiani... etc. , e che tale popolazione maggioritaria era
stata forzata ad allontanarsi da Saddam Hussein, che poi vi aveva trasferito altre
popolazioni per arabizzare tali zone. Come era successo in particolare a Kirkuk.
Nonostante cio� il presidente della regione del Kurdistan iracheno aveva disposto
la sospensione di ogni campagna mediatica e di dichiarazioni contro il governo
centrale, dando seguito all'invito del presidente iracheno Talabani a calmare la
situazione e fermare la guerra di dicherazioni fra le due parte. Talabani, infatti,
vorrebbe iniziare un percorso che porti al raggiungimento di un accordo su due
punti fondamentali: formare forze di sicurezza nelle zone di conflitto costituite
dalle popolazioni locali stesse e ritirare tutte le forze armate, sia federali che
Kurde dalle aree di conflitto per ritornare alla situazione pre-crisi.
Tale legge infatti ha attribuito gli oltre due milioni di voti delle forze
sconfitte ai partiti pi� forti e grandi, col risultato che molti sono entrati in
parlamento senza essere stati votati.
Per le prossimi elezioni si sono registrate 256 liste politiche, e la gente spera
che si possa finalmente cambiare la mappa politica. Per questo motivo i partiti e
le forze democratiche e laiche, con la partecipazione attiva delle associazioni e
delle organizzazioni della societ� civile, hanno perseguito, anche in
collaborazione con alcuni membri del parlamento, una intensa campagna volta a
modificare la legge e a cancellare l'articolo che aveva permesso l'attribuzione dei
voti riscossi dai partiti minori a quelli pi� grandi.
Come risultato della campagna la recente decisione della corte suprema ha in parte
modificato e migliorato la legge nella direzione auspicata: e questo, anche se non
� avvenuto nel modo sperato, � considerata dalle forze democratiche un passo in
avanti.
E' con questo scopo che molte forze democratiche e nazionaliste e personalit�
liberali si sono alleate sotto il nome della "corrente democratica", che si
presenter� con varie liste nelle diverse citt� e regioni alle prossime elezioni. In
questa alleanza vi � anche il Partito Comunista Iracheno, che spera in un
cambiamento che risponda alle aspirazioni del popolo iracheno per un futuro
migliore, per la ricostruzione democratica del paese e perch� si realizzino quei
servizi indispensabili ad un vivere civile, e fino ad oggi assenti, come ad es
l'elettricit�, che manca anche fino a 20 ore al giorno.
IRAQ E' nato l'Esercito libero dell'Iraq fotocopia dell'Els siriano I suoi uomini
dicono di voler abbattere il "potere sciita" nel paese e "combattere l'influenza
dell'Iran" nella regione. Nessun riferimento a libert� e diritti. GUARDA IL VIDEO
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Roma, 10 novembre 2012, Nena News - Una formazione armata sunnita � nata in Iraq.
Si chiama l'Esercito libero dell'Iraq (Eli) e si ispira all'Esercito libero siriano
(Els) la milizia dominata dai sunniti che combatte il regime di Bashar Assad.
GUARDA IL VIDEO Intervistati dal quotidiano libanese Daily Star, i suoi uomini
hanno spiegato che l'intento della milizia � abbattere il potere sciita in Iraq e
di �combattere l'influenza dell'Iran� nella regione.
Sotto il premier iracheno Nuri al Maliki, gli uomini di Sahwa sono stati integrati
nelle forze di sicurezza e dell'esercito in prevalenza nella provincia di Anbar. Ma
in altre aree dell'Iraq i miliziani di Sahwa sarebbero stati messi ai margini dagli
sciiti. Secondo alcune fonti invece il Fie sarebbero ostile agli ex miliziani
"Sahwa", che vedrebbe come �sunniti traditori� per aver collaborato in passato con
il governo. Il premier Nour Maliki viene accusato dai sunniti, non solo iracheni,
di appoggiare il regime di Bashar Assad (dominato dagli alawiti, una setta si
origine sunnita) e per questo � soggetto a forti pressioni. Allo stesso tempo i
clan familiari sunniti in Iraq da tempo appoggiano con armi e fondi (e forse anche
uomini) i ribelli dell'Els in Siria. In passato invece non pochi siriani sunniti
hanno combattuto in Iraq contro i soldati americani. �Abu Ahmad�, che ha combattuto
nella seconda battaglia di Falluja contro gli americani nel 2004, sostiene che i
finanziamenti all'Eli arrivano dalle monarchie sunnite del Golfo. �La caduta di
Bashar Assad sar� un colpo al progetto iraniano. Se Dio vuole quando l'Els sta
facendo in Siria avverr� anche in Iraq. Quando avremo un forte esercito qui
(l'Eli), il regime iracheno finir� come quello di Assad�, aggiunge il
miliziano.Nena News
IRAQ Maliki a replacement of Assad in Moscow's eyes? Iraqi PM Maliki's arms deal
with Russia is intended to set himself up as an alternative to Syria's Assad in
Moscow's eyes, writes Tareq al-Homeid of Asharq al-Awsat
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The Iraqi PM's visit to Russia and the announcement of a huge deal arms deal with
Moscow raise many questions and deserve close scrutiny given the strategic options,
timing, and existing balances in the region, especially in light of what is
happening in Syria. It is clear that Mr. Nuri al-Maliki is trying to bring together
the impossible in his simultaneous alliance with Tehran, Washington, and Moscow.
That is something that no one in the region has succeeded in doing given that
genuine interests are at stake.
Suffice to recall in this regard, the failure of the Turkish foreign minister's
notion of 'zero problems.' We now find Ankara mired in the region's problems
instead. This is not because of the nature of Turkish policies. It is because this
region's problems pursue you even if you try to ignore them. They will drown you,
if you try to deal with them in a facile manner.
This explains the serious consequences stemming from Maliki's visit to Moscow and
the announcement of the huge arms deal. The mission of rebuilding the Iraqi army
will not be completed by the purchase of Russian weapons, especially since American
programs are already underway in that regard. It would be politically natural for
the rearmament of the Iraqi forces to be completed via American and European
weapons In post-Saddam-Hussein Iraq.
Of course, there can be Russian armored vehicles involved; but not to the value of
over four billion dollars. After all, Iraq today is not ruled by an isolated
regime. And it is well-known that the most prominent customers for Moscow's weapons
in our region are either isolated Arab regimes or regimes that wish to oppose the
U.S. and Europe in search for a political dividend.
And this leads us to the following: If Iraq wants to be an effective Arab country
that supports democracy and stability, why has it concluded this arms deal with
Moscow at this particular time when Russia has been foiling any solution for Syria
via the Security Council? After all, Maliki claims that he supports neither Assad
nor the opposition.
And why go for this military deal with Moscow at this specific juncture when it
would be politically better for Iraq to strike a deal with the U.S. or Europe,
especially in light of the West's financial situation and the U.S. presidential
elections?
All of which leads us to the conclusion that Mr. Maliki aims to be an alternative
to the Assad regime. He is trying to reassure Moscow that there are those willing
to buy its weapons now.
Quite simply, what Iraq has done is to provide the Russians with an alternative to
the Assad regime, but without securing any political returns in the form of
measures concerning what is happening to the unarmed Syrians. He has showed Moscow
that it is not isolated in the Arab world.
And this demonstrates that Maliki hopes to replace Assad in the region, but in a
modified version. The fact is, however, that this version is already distorted.
Otherwise, how will Maliki manage to combine Iran with Washington and Moscow, while
preserving his special relations with his Arab surroundings at the same time?
When we say that Maliki wishes to become Assad's replacement in the region, it is
worth noting the number of statements regarding the need for Iraqi openness to
Moscow in order to 'fight terrorism.' That in itself is a major sign. After all,
Russia has been repeating the phrase 'fighting terrorism' ever since the Syrian
revolution began. The Russians restrict 'terrorism' to the Sunnis, and now Maliki's
government is speaking of cooperation with the Russians in 'fighting terrorism.'
Roma, 19 dicembre 2012, Nena News - Non � deceduto come si era detto ieri con
insistenza il presidente iracheno Jalal Talabani. Lo ha ribadito pi� volte nelle
ultime ore Labid Abbawi, sottosegretario del ministero degli esteri iracheno.
Ieri per molte ore le condizioni di Talabani sono rimaste un giallo. Dato per morto
(o in coma) nella giornata in seguito a improvvise complicazioni del suo stato di
salute. Le autorit� irachene, pur ammettendo le gravi condizioni del leader curdo,
hanno poi smentito le indiscrezioni della stampa sul suo decesso.
L'uscita di scena del presidente avviene in un momento politico molto delicato per
l'Iraq. Proprio nei giorni scorsi Talabani si era impegnato - con apparente
successo - nella difficile mediazione tra il governo di Baghdad guidato dal premier
Nuri al Maliki e il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno,
Massud Barzani.
Malato di cuore, Talabani � stato operato e pi� volte ricoverato negli Usa e in
Europa. Nena News
GEO�POLITICA
La Turchia e l�evoluzione di una protesta7 agosto, 2013 Diego Del Priore Vicino &
Medio Oriente Nessun commento
Un sit-in di attivisti si � insediato il 27 maggio a Gezi Park, adiacente a piazza
Taksim, ad Istanbul, per protestare contro la decisione del governo di dare il via
ad un piano di �trasformazione urbana� che canceller� dalla mappa della citt�
quella macchia verde, per far posto ad un centro commerciale, una moschea ed
antiche caserme ottomane restaurate. Tre giorni dopo la polizia ha fatto irruzione
nel parco e, con idranti e lacrimogeni, lo ha sgomberato. Da quel momento la
Turchia � stata investita da una mobilitazione popolare che ha coinvolto
praticamente tutte le province, ampliando la protesta dagli alberi di Gezi Park
alla stessa tenuta democratica del Paese, ai diritti civili, alle disuguaglianze e
alle politiche del governo guidato dal primo ministro Receep Tayyp Erdogan.
Quali ragioni hanno trasformato una protesta, all�inizio piuttosto ristretta nei
numeri, in una mobilitazione massiccia, caratterizzata da diverse e variegate
anime? Qual � il segnale che dagli avvenimenti delle ultime settimane si deve
trarre da un punto di vista politico per ci� che attiene il futuro del Paese e la
tenuta del partito al potere? Quali le sue motivazioni? Evidentemente le istanze
ambientaliste sono state la punta di un iceberg, ed il casus belli fornito dalla
brutale repressione delle forze di polizia turche � alla fine si conteranno quattro
vittime e migliaia di feriti � ha svelato una societ� civile, un clima politico ed
economico che offre diversi spunti di analisi. Le immagini dei manifestanti hanno
spinto qualcuno a definire gli eventi dei giorni scorsi come il sorgere di una
�primavera turca�, che tuttavia non pare avere un solido fondamento in virt� delle
differenze sociali, politiche ed economiche tra la Turchia ed i Paesi dell�Africa
del nord. Una differenza sostanziale � che le proteste turche hanno come bersaglio
una classe dirigente legittimata da ben tre elezioni democratiche vinte con una
maggioranza piuttosto larga. Ci� che interessa in questa sede � andare ad
analizzare le possibili motivazioni che hanno spinto ad una cos� vibrante
manifestazione di dissenso e gli scenari futuri. Ci� coinvolge sia la dimensione
politica ed economica interna del Paese, sia la sua politica estera.
La crisi sirianaLa politica �zero problemi� con gli Stati della regione, incarnata
dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, per la creazione di una zona di
sicurezza all�interno della quale Ankara ricopra un ruolo trainante, � stata forse
l�impronta pi� identificativa del nuovo corso di relazioni esterne del governo
dell�AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Il conflitto in atto in Siria
� in quella che sempre pi� assume le caratteristiche di una guerra per procura, una
costante della storia del Vicino Oriente, dove conflitti locali diventano campi di
contrapposizione di giochi regionali e globali � ha visto il governo del primo
ministro Erdogan assumere, fin dall�inizio, un ruolo attivo in favore dei ribelli e
dell�opposizione al regime di Bashar al-Asad. Proprio quella Siria di al-Asad che,
nel 2010, era il terminale dell�export turco per un ammontare di 1,8 miliardi di
dollari su un totale di 113 miliardi1. Ma se, ad esempio, l�episodio della Mavi
Marmara2 del maggio del 2010, ed il conseguente gelo diplomatico con Israele, aveva
raccolto intorno alla figura di Erdogan un pressoch� unanime consenso della
popolazione, la recente politica sul fronte siriano non sembra avere lo stesso
effetto.
C�� una certa riluttanza della societ� civile turca verso questa condotta di attore
forte in Siria. Stando ad un sondaggio svolto dal Metropoll Strategic and Social
Research Center, solo il 28% dei turchi crede che il governo stia gestendo in modo
efficace la crisi. Decine di migliaia di siriani attualmente sono stati accolti in
campi profughi lungo i novecento chilometri di confine con la Siria, causando una
certa insofferenza delle popolazioni delle province interessate3. Lo scorso 11
maggio, la cittadina di confine di Reyhali � stata colpita da un attentato che ha
causato 46 morti. Forti sospetti sono stati rivolti al governo di Damasco, ritenuto
colpevole di una rappresaglia. Reyhali � proprio uno dei centri in cui i rifugiati
siriani trovano pi� facile approdo e la sua popolazione � aumentata del 50%
dall�inizio del conflitto in Siria.
Nel marzo del 2012, il parlamento turco ha approvato una legge per la costituzione
di un Istituto nazionale per i diritti umani e, nel mese di giugno, un ombudsman
con il compito di esaminare i casi di denuncia contro pubblici ufficiali ad ogni
livello. �Diversi esponenti di organizzazioni non governative e della societ�
civile � riporta l�organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch � hanno
sollevato forti critiche verso il radicato controllo sulle nomine di questi
istituti da parte del governo, che ne mina alla base la loro indipendenza�. Ancora,
tralasciando la repressione di Gezi Park, �la violenza utilizzata dalla polizia in
luoghi pubblici e contro i manifestanti, resta un problema serio. Spesso le
autorit� tendono ad oscurare il problema indagando a loro volta coloro che
riportano gli abusi perpetrati dalle forze di polizia, piuttosto che le loro
rimostranze�7.
Una delle richieste che con pi� forza si � levata dalle strade turche nei giorni
della protesta � quella che ha avuto come bersaglio i media ed i mezzi
d�informazione. La mattina del 3 giugno, ad esempio, migliaia di manifestanti hanno
espresso il loro rabbioso risentimento dinanzi alla sede del canale NTV. La sera
prima era stata la volta della sede del canale concorrente, Haberturk. La copertura
mediatica della mobilitazione turca � stata oggetto di diverse critiche da parte
dei manifestanti al grido �media venduti al potere�8. La tenuta di un sistema
d�informazione che non lesina una certa riluttanza verso forme di espressione di
dissenso resta una questione delicata. Stando a quanto affermato dall�International
Press Institute (IPI), �una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo che
risale al novembre del 2011 ha giudicato la Turchia in prima fila, tra i membri del
Consiglio d�Europa, in termini di violazione della libert� di espressione, inclusa
la libert� di stampa. Dunja Mijatovic, rappresentante dell�OCSE in materia di
libert� dei media, ha svolto uno studio secondo il quale circa 100 giornalisti sono
tenuti in stato di carcerazione, la maggioranza dei quali erano incriminati in
virt� della legge anti-terrorismo�9. In una recente intervista, Haluk Sahin,
giornalista e professore presso il Dipartimento di presentazione e programmaizone
televisiva, dell�Universit� Bilgi di Istanbul, ha detto la sua sul ruolo dei media
nei recenti avvenimenti e sul generale stato dell�informazione turca: �I grandi
media �mainstream� hanno capito che fare affari con il governo porta maggiori
benefici rispetto all�adempimento del proprio dovere, che consiste nell�informare
le persone su quello che accade. I giovani che hanno manifestato, lo hanno fatto
non solo contro il governo, ma anche contro i media. Nel corso dell�era Erdogan, il
legame, che c�� sempre stato, anche se su scala limitata, tra servizi segreti e
media si � esteso comprendendo anche il ministero della Giustizia, tribunali ed
altre istituzioni, contigue a pubblicazioni vicine al governo. Le manifestazioni di
Gezi Park hanno rappresentato uno schiaffo ai grandi media�10.
La chiave politicaIl movimento sorto a Gezi Park non ha istanze politiche precise,
ha avuto carattere spontaneo e variegato, senza una guida politica definita:
�L�opposizione politica istituzionale � fa notare ancora il professor Yilmaz �
rinuncia, del resto, a tentare di recuperare questo movimento ed il milione di
turchi che contestano. Ci� pone in evidenza la spontaneit� dell�evento popolare,
senza ideologie preconcette [�]. E� dotato di una grande eterogeneit�, senza le
caratteristiche ed i particolarismi dei movimenti partigiani�11. Curdi,
ultranazionalisti, conservatori, anarchici, rappresentanti della comunit� alevita �
che rappresenta il 10% della popolazione � addirittura i tifosi delle tre squadre
rivali di Istanbul, si sono trovati fianco a fianco nei cortei che hanno riempito
le strade in quei caldi giorni di giugno. I diversi tipi di approccio da parte di
membri del partito al governo � la maggiore flessibilit� del presidente della
Repubblica G�l e del vice-premier Bulent Arin� contro la ruvida fermezza e il
richiamo a trame complottiste di Erdogan � hanno apparentemente portato allo
scoperto fratture interne all�AKP. Non concorda con tale interpretazione Doroth�e
Schmid, direttore di ricerca presso l�Institut Fran�ais des Relations
Internationales (IFRI): �Credo che, al contrario, tali apparenti disaccordi
rispondano ad una tradizionale divisione di ruoli in seno all�AKP, in cui il
presidente della Repubblica � effettivamente una personalit� pi� morbida, che si
pone in prima fila quando ci sono scenari di crisi, soprattutto una crisi di
immagine. Il primo ministro ha un carattere pi� sanguigno. La missione diplomatica
intrapresa in Africa del nord da Erdogan nei giorni delle proteste, � stata forse
anche un modo per abbassare la pressione�12. Dissapori che, invece, sembrano
emergere dal dibattito interno al partito, circa la riforma costituzionale in senso
presidenziale che Erdogan vorrebbe far approvare entro le prossime elezioni che si
svolgeranno nel 2014, che potrebbe creare un dualismo G�l-Erdogan.
Mentre i negoziati di pace con i curdi proseguono sul binario tracciato nel mese di
maggio, come dichiarato di recente dallo stesso primo ministro, resta da vedere se
ed in che misura il dissenso espresso nelle piazze intaccher� un AKP che gode
ancora, anche per la mancanza vera di alternative politiche, di una forte base
elettorale. Se il dissenso rifluir� dalle strade oppure torner� a far rumore contro
il primo ministro. Certo � che le sfide e gli scenari futuri del Paese sono legati
a una serie di fattori che riguardano aspetti interni � la sfera economica, gli
sviluppi di riforma istituzionale, i passi in avanti sul versante dei diritti
civili e della libert� di informazione � ma anche esterni � soprattutto la crisi
siriana. Un ulteriore filo che si ritiene doveroso aggiungere a questa fitta trama,
che potrebbe implicare delle ripercussioni politiche interne e non solo, �
costituito dalla prospettiva di ingresso della Turchia nell�Unione Europea. Dopo le
reticenze di alcuni Paesi dell�Unione � Germania in primis � alla riapertura delle
trattative, proprio a causa della risposta del governo turco alle manifestazioni,
il 25 giugno i ministri degli Esteri UE, riuniti a Lussemburgo, hanno raggiunto un
accordo per l�apertura di un nuovo capitolo di negoziati, che vanno ormai avanti
dal 2005. Ci� che non pu� essere omesso � che, stando ad un recente sondaggio
svolto dal Centre for Economics and Foreign Policy Studies (EDAM), due terzi della
popolazione ritiene che il governo debba abbandonare il processo di adesione
all�UE, un dato in assoluta controtendenza rispetto agli ultimi anni13.
1 Alex Jackson, What the Crisis in Syria holds for Turkish-Russian Relations, The
Washington Review of Turkish and Eurasian Affairs, February 2012.
2 Il 30 maggio del 2010, nell�assalto delle forze navali israeliane alla nave Mavi
Marmara, diretta nella striscia di Gaza per portare aiuti alla popolazione, persero
la vita nove attivisti di cittadinanza turca.
3 Sophia Jones, How the war in Syria has helped to inspire Turkey�s protest,
Foreign Policy, June 11, 2013.
4 Amir Madani, Some Considerations on the Turkish uprising and Erdogan, Huffington
post, 9 giugno 2013.
5 An Overview of Growing Income Inequalities in OECD Countries: Main Findings,
OECD, 2011, http://www.oecd.org/els/soc/49499779.pdf
6 Alain Gresh, Vent de Fronde en Turquie, Le Monde Diplomatique, 5 giugno 2013
7 Human Rights Watch, World Report 2013, pag.487.
8 Guillaume Perrier, Dans la rue, la col�re monte contre "CNN-Pingouins"et les
m�dias turcs acquis au pouvoir, 4 Juin 2013, Le Monde
9 Scott Griffen, OSCE Study Confirms Nearly 100 Journalists Currently in Prison in
Turkey, IPI, April 2012.
10 Zeynet Alemdar, Turkish Media Bankruptcy: an Interview with Haluk Sahin,
Jadalyya, 10 giugno 2013.
11 Alain Gresh, cit.
12 RFI, Turquie: face � la contestation, �il y a une distribution des r�les au sein
de l�AKP�, 3 giugno 2013.
13 EDAM, Public Opinion Surveys Of Turkish Foreign Policy 2013/1,
http://edam.org.tr/eng/document/EDAM%20Poll%202013-1.pdf
Ultime:
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Geopolitica & Teoria Nessun commento
Nell�ambito dei suoi sforzi di promozione della geopolitica in Italia, l�IsAG
(Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) lancia, assieme a
Fuoco Edizioni, una nuova collana intitolata �Heartland�. Si tratta della prima
collana editoriale italiana esplicitamente dedicata alla teoria e alla storia della
geopolitica. Diretta da Tiberio Graziani (presidente dell�IsAG e direttore di
�Geopolitica�), ha un comitato scientifico d�eccezione composto da Aymeric
Chauprade (�Realpolitik.tv�), Emidio Diodato (Universit� per Stranieri di Perugia),
Carlo Jean (Link Campus University), Phil Kelly (Emporia State University),
Gianfranco Lizza (Universit� Sapienza di Roma), Paolo Sellari (Universit� Sapienza
di Roma) e Fran�ois Thual (Coll�ge Interarm�es de D�fense).
Scrive Tiberio Graziani nella sua prefazione al primo titolo della Collana:
vuoto.
Indice:
Prefazione editoriale (di Tiberio Graziani)
Introduzione
�5. Le origini
�6. Infanzia e formazione -Una predisposizione ambientale alla geografia? � A Epsom
�7. Gli studi a Oxford - Alla scuola di Moseley (e Darwin) � Passione militare �
Sadler e le �extension lectures�
�8. La Readership di geografia - Sullo scopo e i metodi della geografia � La
Readership
�9. La fondazione dell�Universit� di Reading
�10. Cinque anni decisivi - Da Oxford a Oxford, via Kenya � Il Monte Kenya � La
School of Geography � La teoria in pratica: �Britain and the British Seas�
�11. La London School of Economics e il sodalizio coi Webb - La Fabian Society � La
London School of Economics � I Co-Efficients
�12. La politica - L�esordio da liberale � Federalismo imperiale e riforma
tariffaria � La conversione � L�approdo al Parlamento � In Parlamento
�13. Al servizio dell�Impero Funzionario civile e imperiale � La missione in Russia
� I comitati imperiali � La riscoperta
Tomo terzo: New Geography, Manpower e Heartland: il pensiero di Mackinder
Durante gli anni universitari diviene amico di Michael E. Sadler, che lo vuole al
proprio fianco nella Oxford University Extension, il programma di lezioni
itineranti organizzate dall�ateneo a beneficio di quanti non hanno intrapreso studi
universitari. Assieme a Sadler e con l�appoggio dell�Universit� di Oxford nel 1892
Mackinder fonda un nuovo istituto, lo University Extension College, Reading, che
dirige personalmente fino al 1903 prima di cedere la posizione al suo assistente
William Macbride Childs. L�istituto nel 1926 otterr� la qualifica di universit�,
che detiene tutt�ora.
Mackinder � uno degl�ideologi e pi� attivi militanti del movimento per la riforma
tariffaria e il federalismo imperiale. Nel 1910 � eletto membro del Parlamento,
posizione che mantiene per dodici anni. Nel 1919 � nominato dal Foreign Office Alto
Commissario britannico per la Russia Meridionale, in quel momento in mano ai
Bianchi di Denikin. Propone al Governo, inascoltato, di sostenere i Bianchi e i
paesi confinanti alla Russia contro i Bolscevichi. Lo stesso anno pubblica
Democratic Ideals and Reality, con cui invita i negoziatori di Versailles a non
abbandonarsi al puro idealismo ma a tener conto delle realt� geografiche nella
risistemazione postbellica del mondo. In particolare, ritiene necessario creare un
cordone di Stati-cuscinetto, alleati tra loro e sostenuti dalle potenze
occidentali, tra la Germania e la Russia. Suggerisce inoltre la necessit� di
contrastare tanto il �protezionismo predatorio� alla tedesca quanto il libero-
scambismo puro alla inglese, in quanto entrambi vanno a minare l�equilibrato
sviluppo economico degli altri paesi. Mackinder crede che solo una comunit�
internazionale di Stati economicamente equilibrati e autosufficienti possa
garantire una pace duratura.
Perso il seggio in Parlamento nel 1922, Mackinder (due anni prima divenuto
baronetto) dice addio alla politica ma continua a servire come funzionario pubblico
in vari comitati istituiti per favorire l�integrazione imperiale. Assurge di nuovo
all�onore delle cronache durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la stampa
anglosassone mette in risalto il ruolo di Karl Haushofer nell�elaborazione
strategica tedesca. Il Generale Haushofer � un seguace dichiarato delle teorie
geopolitiche di Mackinder, anche se quest�ultimo ripudia sia lui sia la Geopolitik.
Per World Affairs nel 1943 scrive anche un articolo d�aggiornamento delle sue tesi.
Si spegne nel 1947, ma il suo pensiero continua ad avere un�enorme influenza sulla
geopolitica e geostrategia mondiali.
(Daniele Scalea)
Syllabus of a Course of Lectures on the World: The Battlefield of Wind, Water and
Rocks, Oxford University Extension, Oxford 1885
On the Scope and Methods of Geography, �Cambridge Review�, vol. 8 (1887), pp. 247-
249, 264-267
Four Lectures on the Teaching of Geography: A Summary, �Education Times and the
Journal of the College of Preceptors�, vol. 52 (1889), p. 504.
University Extension: Has It a Future? (con M.E. Sadler), Cassell, London 1890
University Extension: Past, Present and Future (con M.E. Sadler), Cassell, London
1891
Educational Lectures, �The Geographical Journal�, vol. 1, no. 2 (Feb., 1893), pp.
157-158
Modern Geography, German and English in Report of the Sixty-Fifth Meeting of the
British Association for the Advancement of Science, John Murray, London 1895
The Relation Between University Extension Teaching and Secondary Education in Bryce
Commission Report on Secondary Education, vol. 5 (1895), pp. 302-304
The Case for a Treasury Grant Restated, �University Extension Journal�, vol. 4
(1895), pp. 6-7
Modern Geography, German and English, �The Geographical Journal�, vol. 6, no. 4
(Oct., 1895), pp. 367-379
Discussione di J.E. Marr, The Waterways of the English Lakeland, �The Geographical
Journal�, vol. 7, no. 6 (Jun., 1896), pp. 624-625
Report on Geography at Oxford, �The Geographical Journal�, vol. 12, no. 1 (Jul.,
1898), pp. 8-9
Geography at the Universities: Oxford, �The Geographical Journal�, vol. 14, no. 1
(Jul., 1899), pp. 87-88
The British Isles; Europe, Stanford�s New Orographical Maps. Compiled under the
Direction of H.J. Mackinder, Edward Stanford, London 1900
The Ascent of Mt. Kenya, �Alpine Journal�, vol. 20 (1900), pp. 102-110
The Great Trade Routes, �Journal of the Institute of Bankers�, vol. 21 (1900), pp.
1-6, 137-146, 147-155, 266-273
A Journey to the Summit of Mt. Kenya, British East Africa, �The Geographical
Journal�, vol. 15, no. 5 (May, 1900), pp. 453-486
Captain Dickson�s Map of the Kenya and Kitui Districts, �The Geographical Journal�,
vol. 21, no. 2 (Feb., 1903), pp. 195-198
Geography in Education, �The Geographical Teacher�, vol. 2, no. 3 (Oct., 1903), pp.
95-101
The Geographical Pivot of History, �The Geographical Journal�, vol. 23, no. 4
(Apr., 1904), pp. 421-437
Africa, Stanford�s New Orographical Maps, compiled under the Direction of H.J.
Mackinder, Edward Stanford, London 1905
Money-Power and Man-Power: The Underlying Principles Rather Than the Statistics of
Tariff Reform, Simkin-Marshall, London 1906
Our Own Islands: An Elementary Study in Geography, George Philip, London 1906
Palestine; Asia; North America, Stanford�s New Orographical Maps, compiled under
the Direction of H.J. Mackinder, Edward Stanford, London 1906
Address Delivered on 10 January, 1907, on the Occasion of the Opining of the Class
for the Administrative Training of Army Officers, HMSO, London 1907
South America, Stanford�s New Orographical Maps, compiled under the Direction of
H.J. Mackinder, Edward Stanford, London 1907
Lands Beyond the Channel: An Elementary Study in Geography, George Philip, London
1908
The Rhine: Its Valley and History, Chatto and Windus, London 1908
Australasia, Stanford�s New Orographical Maps, compiled under the Direction of H.J.
Mackinder, Edward Stanford, London 1908
Geographical Conditions Affecting the British Empire, I: The British Islands, �The
Geographical Journal�, vol. 33, no. 4 (Apr., 1909), pp. 462-476
India. Eight Lectures Prepared for the Visual Instruction Committee of the Colonial
Office, George Philip, London 1910
The Nations of the Modern World: An Elementary Study in Geography, Philip, London
1911
The Teaching of Geography from an Imperial Point of View, and the Use Which Should
Be Made of Visual Instruction, �The Geographical Teacher�, vol. 6, no. 2 (Summer
1911), pp. 79-86
The Strategical Geography of the Near East, �Journal of the Royal Artillery�, vol.
39 (1912), pp. 195-204
The Teaching of Geography and History: A Study in Method, Philip, London 1914
The Modern British State: An Introduction to the Study of Civics, Philip, London
1914
Andrew John Herbertson, �The Geographical Teacher�, vol. 8, no. 3 (Autumn 1915),
pp. 143-144
Russian Relief. A Duty of the Allies. To the Editor of the Times, �The Times�, 2
March 1920
L�envoi, �Scottish Geographical Magazine�, vol. 37, no. 1 (Jan.-Mar., 1921), pp.
77-79
The Nations of the Modern World: An Elementary Study in Geography and History,
After 1914, George Philip, London 1924 [pubblicato anche come The World War and
After: A Concise Narrative and Some Tentative Ideas]
The English Tradition and the Empire: Some Thoughts on Lord Milner�s Credo and the
Imperial Committees, �United Empire�, vol. 14 (1925), pp. 1-8
Two Suggestions for the Early Historical Geography of England in Report of the
Proceedings of the International Geographical Congress, Cambridge University Press,
Cambridge 1930, pp. 410-411
Mount Kenya in 1899, �The Geographical Journal�, vol. 76, no. 6 (Dec., 1930), pp.
529-534
Discussione di L.S.B. Leakey, East African Lakes, �The Geographical Journal�, vol.
77, no. 6 (Jun., 1931), pp. 509-514
Discussione di S.W. Wooldridge & D.J. Smetham, The Glacial Drifts of Essex and
Hertfordshire, and Their Bearing upon the Agricultural and Historical Geography of
the Region, �The Geographical Journal�, vol. 78, no. 3 (Sep., 1931), pp. 268-269
The Human Habitat, �Scottish Geographical Magazine�, vol. 47, no. 6 (Nov.-Dec.
1931), pp. 321-335
Discorso al Anniversary Dinner della RGS, �The Geographical Journal�, vol. 80, no.
2 (Aug., 1932), pp. 189-192
The Empire Marketing Board: The Attitude of the Dominions, �United Empire�, vol. 24
(1933), pp. 508-509
Discussione di G. Dainelli, The Geographical Work of H.R.H. The Late Duke of the
Abruzzi, �The Geographical Journal�, vol. 82, no. 1 (Jul, 1933), pp. 9-15
The Empire and the World, �United Empire�, vol. 25 (1934), pp. 519-522
The Round World and the Winning of the Peace, �Foreign Affairs�, vol. 21, no. 4
(Jul., 1943), pp. 595-605
Discorso al ricevimento della Patron�s Medal della RGS, �The Geographical Journal�,
vol. 105, no. 5/6 (May-Jun., 1945), pp. 230-232.
La Gran Bretagna non era comunque pi� in grado di far fronte a simili sfide
globali, di fronte a Stati assai pi� grossi come la Russia o gli USA. Mackinder
raccomandava dunque la creazione di una federazione imperiale, una �unione delle
Gran Bretagne� sparse nel mondo. Mackinder credeva nel federalismo anche
all�interno delle compagini statali, e auspicava uno sviluppo economico armonioso
per ciascuna provincia. L�equilibrio economico d�ogni Stato � fondamentale anche
per quello del sistema internazionale nel suo complesso. Stati che dipendono
eccessivamente dall�esterno sono disposti a fare la guerra per non rinunciare ai
loro mercati, o per conquistarne di nuovi. Sia il liberismo sia il protezionismo
aggressivo conducono alla divisione internazionale del lavoro, e dunque alla
guerra, secondo la visione di Mackinder.
(Daniele Scalea)
Retaggio Halford John Mackinder � oggi noto principalmente come uno dei padri della
geopolitica, sebbene egli all�epoca rifiutasse ogni collegamento con una disciplina
ch�era percepita come �tedesca� e �negativa�. Pensava a se stesso come a un
geografo, e anzi negli ultimi anni espresse il suo dispiacere per essersi dato alla
politica anzich� dedicarsi esclusivamente alla geografia.
(Daniele Scalea)
Halford John Mackinder: dalla geografia alla geopolitica � il suo terzo libro. In
precedenza ha pubblicato La sfida totale: equilibri e strategie nel grande gioco
delle potenze mondiali (Roma 2010), ch�� stato tra i candidati dall�associazione
�Amici di Vicino/Lontano� al Premio Tiziano Terzani 2011, e con Pietro Longo Capire
le rivolte arabe: alle origini del fenomeno rivoluzionario (Dublino-Roma 2011),
recensito positivamente � tra gli altri � da Pietrangelo Buttafuoco su �Panorama�,
da Angelo Pinti su �Panorama Difesa� e da Adolfo Spezzaferro su �La Discussione�.
Dal 2004 al 2011 � stato redattore nella rivista �Eurasia�, in cui ha pubblicato
diversi saggi su vari argomenti, tra cui Russia, Ucraina, Organizzazione per la
Cooperazione di Shanghai, USA e politica estera italiana. All�inizio del 2012,
assieme a Tiberio Graziani, ha lanciato la prima rivista di geopolitica in lingua
italiana con revisione paritaria, chiamata proprio �Geopolitica�. Sempre con
Tiberio Graziani, nel 2010 ha fondato l�Istituto di Alti Studi in Geopolitica e
Scienze Ausiliarie (IsAG), di cui � stato dapprima segretario scientifico e di cui
� attualmente direttore generale.
Ha tenuto lezioni e conferenze in varie citt� italiane (tra cui Roma, Milano,
Bologna, Brescia, Cagliari, Firenze, Modena, Torino, Trieste) ed � stato relatore
in sedi prestigiose come la Camera dei Deputati, il Palazzo Senatorio di Roma
(Campidoglio), l�Universit� degli Studi di Roma La Sapienza. � ospite abituale del
Forum di Rodi del World Public Forum �Dialogue of Civilizations�, del Forum Italo-
Turco (Roma-Istanbul) e degli eventi del New European Policies to face the Arab
Spring (Portogallo).
� stato intervistato come esperto da vari media italiani ed esteri, tra cui �Class
News CNBC�, �Il Secolo d�Italia�, IRNA, �La Voce della Russia�, �Radio Italia�
dell�IRIB.
�Rapporti bilaterali�: similitudini tra l�Eurasia del XXI Secolo e l�Italia del IV
Secolo AC5 agosto, 2013 Mauro Monaci Pagine di Storia Nessun commento
Negli anni fra il XX Secolo e il XXI Secolo, dopo la contrapposizione ideologico-
militare avutasi nel corso della Seconda Guerra Mondiale (tra il Nazismo e il
Comunismo) e dopo la successiva �Guerra Fredda� (tra il �Blocco Ovest� e il �Blocco
Est�), i rapporti russo-tedeschi sono giunti gradualmente ad una fase di grande
collaborazione economico-politica, facendo della Germania il partner europeo pi�
vicino alla Russia (entrambe si opposero alla guerra USA contro l�Iraq, nel 2003).
Analizzando il settore energetico (in particolare quello del gas naturale,
argomento di questo articolo), risulta evidente la simbiosi economica russo-
tedesca, messa in evidenza dall�accordo per la costruzione del costosissimo
gasdotto sottomarino Nord Stream (Russia-Germania), tre-quattro volte superiore
alla spesa che si sarebbe sostenuta rafforzando il gi� esistente gasdotto Amber
(passante via terra per la Polonia); ma considerando il fatto che ormai le linee
dei gasdotti vengono disegnate in base a logiche che esulano dall�aspetto puramente
economico, risulta anche evidente l�obbiettivo (strategico) geopolitico di Mosca:
rafforzare la propria posizione nei confronti dell�Europa (e di conseguenza degli
Stati Uniti), a discapito degli Ex-Satelliti URSS (Polonia e Bielorussia, in
particolare).
Ovviamente, questi esempi storici non possono strutturare una regola valida per
ogni situazione geopolitica, perch� si tratta di diversi contesti geoeconomici, in
epoche profondamente diverse, per� � curioso notare il sapiente uso di metodi
�bilaterali� utilizzati da Mosca nei confronti dei singoli Stati dell�Unione
Europea, diminuendo la gi� debole coesione dell�UE, ponendosi efficacemente come
potenza preponderante: �Divide et Impera� (�Dividi e Domina�).
Arms Trade Treaty: quale futuro per il commercio d�armi?6 agosto, 2013 Maya
Santamaria e Martina Zannotti Armi e strategie Nessun commento
Verso l�ATT: dai negoziati alla ratificaL�Arms Trade Treaty � stato preceduto da
una serie di negoziazioni e tavole rotonde tra gli Stati membri che hanno discusso
alacremente sulla portata del testo, gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti a
disposizione per limitare e arginare il trasferimento illecito d�armi. Anche grazie
all�attivit� di campagne dal forte impatto mediatico come Control Arms, che ha
avuto il merito di sensibilizzare la societ� civile smuovendo, conseguentemente,
l�azione dei governi dei Paesi membri delle Nazioni Unite, il 7 dicembre 2006
l�Assemblea Generale ha approvato la stesura del Trattato con 153 voti a favore, 24
astenuti e il voto contrario degli Stati Uniti. Nonostante ci�, i contrasti interni
dovuti agli interessi contrapposti e alle pressioni dei principali Stati
esportatori di armi, hanno impedito di raggiungere in tempi brevi progressi
significativi. Obiettivo primario era quello di fornire uno strumento
giuridicamente vincolante che garantisse un commercio legale, responsabile e
trasparente e che, a tal scopo, cristallizzasse disposizioni internazionali
collettive in tema d�importazione ed esportazione d�armi.
Per tentare di armonizzare le varie anime degli Stati membri, nel 2007 il
Segretario Generale dell�ONU ha nominato un Gruppo di esperti governativi (GGE) in
cui figuravano appositamente tutti i principali Paesi protagonisti dei
trasferimenti dei sistemi d�arma, compresi quelli che avevano espresso perplessit�
circa l�adozione dell�ATT. Nel testo della relazione finale del GGE3, gli esperti
rilevavano come sempre pi� spesso le condizioni di sicurezza venissero violate, al
pari degli embarghi: cos� le armi prodotte senza licenza e spesso soggette a
triangolazioni illegali, rischiavano di essere utilizzate per atti di terrorismo o
per altre attivit� criminali. Il GGE proseguiva ponendo l�accento sulla necessit�
di elaborare un testo che, prendendo in considerazione una molteplicit� di fattori
� non ultimo il diritto internazionale umanitario- riuscisse a concordare obiettivi
e criteri comuni per regolamentare il commercio internazionale. Stabilendo le basi
per una prima bozza di Trattato, il Gruppo terminava le sue considerazioni
ribadendo l�esigenza, nell�attesa di una regolamentazione internazionale, di
migliorare la situazione allora vigente, invitando a tal scopo gli Stati a
responsabilizzarsi e a garantire che i loro controlli interni fossero conformi ai
pi� alti standard possibili.
Per tutto il 2008 e il 2009 il Gruppo di lavoro aperto delle Nazioni Unite, che
aveva sostituto il GGE, lavor� per cercare un punto comune che superasse le
divergenze relative all�ambito di applicazione e alle categorie d�armi che il
Trattato avrebbe dovuto coprire. Al termine dei vari incontri, la Risoluzione
dell�Assemblea Generale 64/484 convocava per il 2012 una Conferenza delle Nazioni
Unite per un Trattato sul Commercio delle Armi e istituiva quattro commissioni
preparatorie che, tra il 2010 e il 2011, avrebbero dovuto lavorare su tutti gli
elementi necessari per rendere la Conferenza efficace. Detta risoluzione venne
adottata con l�unico voto contrario dello Zimbabwe: per la prima volta gli Stati
Uniti, sotto l�amministrazione Obama, si mostravano ben disposti a favorire le
negoziazioni. Tra altalenanti momenti di armonia e situazioni di stallo, le quattro
commissioni preparatorie cercarono di elaborare un piano comune volto a facilitare
l�ormai prossima e agognata adozione dell�Arms Trade Treaty. Nell�ultima conferenza
delle commissioni, svoltasi tra il 13 e il 17 febbraio 2012, la contesa principale
si snod� attorno alla questione della procedura del consensus: dopo accesi
dibattiti, la regola non fu modificata ma, su proposta della Norvegia, del Brasile
e dei Paesi del CARICOM, il compromesso raggiunto fu quello di introdurre il
raggiungimento del quorum dei 2/3 sulle questioni principali, laddove l�adozione
per consensus risultasse impraticabile5.
�With the ATT, the world has decided to finally put an end to the �free-for-all�
nature of international weapons transfers. From now on, weapons and ammunition
should only cross borders after the exporter confirms that the transfer complies
with internationally agreed standards. The Treaty will provide an effective
deterrent against excessive and destabilizing arms flows, particularly in conflict-
prone regions. It will make it harder for weapons to be diverted into the illicit
market� to reach warlords, pirates, terrorists and criminals � or to be used to
commit grave human rights abuses or violations of international humanitarian law.
This treaty will also enable the United Nations to better carry out its mandates,
particularly in humanitarian assistance, peacekeeping and peacebuilding�.
L�efficacia dell�Arms Trade Treaty: gli interessi in campoAmpliando la sua sfera
d�azione a diverse categorie di armamenti, come veicoli da combattimento corazzati,
aerei e navi da combattimento, sistemi di artiglieria di grosso calibro, missili e
lanciamissili, l�Arms Trade Treaty si propone di stabilire degli elevati standard
internazionali, al fine di regolamentare il commercio d�armi e di sradicare ogni
forma di illegalit�. Come si pu� facilmente dedurre, la posta in gioco � alta,
soprattutto riguardo alle logiche geopolitiche che sottendono l�applicazione del
Trattato.
Gli Usa sono invece riusciti a piegare la costante opposizione delle lobbies di
armi attive nel Paese, una su tutte la potente National Rifle Association (NRA).
Wayne LaPierre, vicepresidente della NRA, minacciando indirettamente di colpire
l�amministrazione Obama attraverso la propria influenza in Senato, ha infatti
affermato la sua contrariet� all�adozione dell�ATT, accusato di minare le libert�
fondamentali, il diritto costituzionale americano e in particolare il diritto alla
legittima difesa dei cittadini statunitensi:
�America will always stand as a symbol of freedom and the overwhelming force of a
free, armed citizenry to protect and preserve it. On behalf of all NRA members and
American gun owners, we are here to announce that we will not tolerate any attack �
from any entity or organization whatsoever � on our Constitution or our
fundamental, individual Right to Keep and Bear Arms�8.
Come detto, il consenso all�adozione del Trattato � stato bloccato dal voto
contrario espresso da tre Stati: Iran, Siria e Corea del Nord. Nello specifico, il
rappresentante iraniano alle Nazioni Unite, Gholam-Hossein Dehqani, ha affermato
che l�Iran non avrebbe potuto accettare l�Arms Trade Treaty nella sua forma
attuale, a causa del numero elevato di difetti che lo caratterizzano. In
particolare, � stato criticato dalla delegazione iraniana il fatto che il nuovo
Trattato garantisca ogni diritto commerciale ai principali Paesi esportatori ma
ignori il diritto di acquistare armi da parte di Stati che hanno bisogno di
difendere la propria sovranit� territoriale. Per tale motivo si tratta, secondo
Dehqani, di un trattato redatto per soddisfare esclusivamente i desideri degli
Stati Uniti e del suo alleato israeliano9. Da parte sua, la Siria, ha evidenziato
come l�ATT non faccia n� riferimento al diritto all�autodeterminazione dei popoli
sottoposti a occupazione straniera n� al divieto di fornitura d�armi a gruppi
armati terroristi. Sulla stessa lunghezza d�onda si pone la Corea del Nord che,
denunciando il Trattato come squilibrato e attento solo a riflettere gli interessi
dei Paesi pi� potenti, ha condannato il fatto che i principali esportatori
mantengono il diritto di imporre restrizioni sul commercio di armi, senza tener
conto del diritto all�autodifesa degli altri Stati10.
Tra gli strumenti che il Trattato propone di creare per implementare nel migliore
dei modi le disposizioni e per consentire agli Stati membri un�effettiva
partecipazione all�esecuzione del Trattato, vi � il Segretariato internazionale,
che non ha poteri reali ma ha discrete funzioni di raccolta e diffusione delle
informazioni tra gli Stati membri, fungendo quindi da strumento di raccordo per
tutte quelle notizie relative allo status del commercio internazionale di armi. Per
quanto concerne il processo di modifica, utile in previsione di dubbi
sull�efficacia di molti aspetti delle disposizioni, va specificato che si tratta di
una procedura molto semplice definita dall�Articolo 20: �Qualsiasi proposta di
modifica al Trattato deve essere presentata per iscritto al Segretariato che far�
circolare la proposta tra tutti gli Stati membri, non meno di 180 giorni prima
della successiva riunione della Conferenza nella quale potranno essere considerate
altre modifiche ai sensi del paragrafo 1. La modifica sar� considerata nella
successiva Conferenza degli Stati membri se, non pi� tardi di 120 giorni dopo la
sua diffusione, la maggioranza degli Stati membri notificher� al Segretariato che
sostengono la proposta di modifica�. Ci� permetter� di emendare il Trattato in modo
rapido, adeguandolo alla necessit� e garantendo una sua pi� rapida evoluzione.
In bilico tra punti di forza e manifeste debolezze, dunque, l�ATT rappresenta non
un punto d�arrivo ma un buon inizio e una solida base per la creazione di
un�assistenza coordinata capace di regolamentare i trasferimenti d�arma e di
sradicare i traffici illeciti, i cui effetti continuano a riflettersi sia sulla
sicurezza degli Stati ma anche e soprattutto sul fronte umanitario. Il successo del
Trattato dipender�, in definitiva, dalla capacit� dei Governi di mantenersi fedeli
alle condizioni imposte dall�Arms Trade Treaty e, in particolare, dall�ottemperanza
dell�obbligo di trasparenza, il cui rispetto sar� fondamentale per garantire
un�azione efficace nel colmare le lacune e le incongruenze presenti nell�attuale
sistema di controllo del commercio d�armi.
* * *
Articolo 2 � Portata
Articolo 3 � Munizioni
1. Ogni Stato parte dovr� attuare questo Trattato in modo consistente, obiettivo e
non discriminatorio, tenendo presente i principi a cui ci si riferisce in questo
Trattato.
2. Ogni Stato parte dovr� stabilire e mantenere un sistema di controllo nazionale
al fine di attuare le disposizioni di questo Trattato.
3. Ogni Stato parte � incoraggiato ad applicare le disposizioni di questo Trattato
alla pi� ampia gamma di armi convenzionali. Le definizioni nazionali delle
categorie elencate nell�Articolo 2 non dovranno essere meno dettagliate rispetto
alle descrizioni usate nel Registro delle Armi Convenzionali delle Nazioni Unite al
momento dell�entrata in vigore di questo Trattato.
4. Ogni Stato parte, perseguendo le sue leggi nazionali, dovr� fornire la sua lista
di controllo al Segretariato, che la render� disponibile agli altri Stati parti.
Gli Stati parti sono incoraggiati a rendere le loro liste di controllo disponibili
pubblicamente.
5. Ogni Stato parte dovr� prendere delle misure necessarie per attuare le
disposizioni di questo Trattato e dovr� designare delle autorit� competenti in modo
da avere un effettivo e trasparente sistema di controllo nazionale che regoli il
trasferimento di armi convenzionali elencate nell�Articolo 2 e dei vari elementi
elencati negli Articoli 3 e 4.
6. Ogni Stato parte dovr� designare uno o pi� punti di contatto per scambiare
informazioni su questioni relative all�attuazione di questo Trattato. Ogni Stato
parte dovr� notificare al Segretariato la creazione dei suoi punti di contatto e
mantenere le relative informazioni aggiornate.
Articolo 6 � Divieti
1. Uno Stato parte non potr� autorizzare nessun trasferimento di armi convenzionali
elencate nell�Articolo 2 o delle parti elencate negli Articoli 3 e 4, se il
trasferimento � in contrasto con gli obblighi relativi alle misure adottate dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in relazione al Capitolo VII della Carta
delle Nazioni Unite, in particolare rispetto all�embargo delle armi.
2. Uno Stato parte non potr� autorizzare nessun trasferimento di armi convenzionali
se il trasferimento � in contrasto con gli obblighi che discendono da accordi
internazionali di cui � Stato parte, in particolare di quelli relativi al
trasferimento o al traffico di armi convenzionali.
3. Uno Stato parte non potr� autorizzare nessun trasferimento di armi convenzionali
se � a conoscenza, al momento dell�autorizzazione, che le armi o le loro componenti
potrebbero essere usate nella commissione di genocidi, crimini contro l�umanit�,
gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949, attacchi diretti contro
obiettivi civili o altri crimini di guerra come definiti dagli accordi
internazionali di cui lo Stato � parte.
Articolo 8 � Importazioni
1. Ogni Stato importatore potr� prendere delle misure per assicurare che
informazioni rilevanti e appropriate vengano fornite, su richiesta, allo Stato
esportatore, in modo da assistere lo Stato esportatore nella sua valutazione
sull�esportazione. Tali misure possono includere la documentazione relative
all�utilizzatore finale.
2. Ogni Stato importatore dovr� prendere delle misure che gli permettano di
regolare le importazioni sotto la sua giurisdizione. Queste misure possono
includere sistemi di importazioni.
3. Ogni Stato importatore potr� richiedere informazioni allo Stato esportatore
riguardanti qualsiasi autorizzazione pendente o reale in cui lo Stato importatore �
il paese di destinazione finale.
Articolo 9 � Transito
Ogni Stato parte potr� prendere misure appropriate per regolare, laddove necessario
e fattibile, il transito di armi nel suo territorio e sotto la sua giurisdizione in
accordo con il diritto internazionale.
Articolo 10 � Intermediazione
Ogni Stato parte potr� prendere delle misure, conformemente alla propria
legislazione nazionale, per regolare l�intermediazione che si svolge sotto la sua
giurisdizione per le armi convenzionali elencante nell�Articolo 2. Tali misure
possono richiedere agli intermediari di registrare o ottenere un�autorizzazione
scritta prima di impegnarsi effettivamente in un�intermediazione.
Articolo 11 � Diversione
Articolo 13 � Relazione
1. Ogni Stato dovr�, nel primo anno dall�entrata in vigore di questo Trattato per
quel dato Stato, fornire al Segretariato un rapporto iniziale delle misure prese al
fine di attuare tale Trattato, incluse le leggi nazionali, le liste di controllo e
altri regolamenti e misure amministrative. Ogni Stato dovr� riportare al
Segretariato ogni nuova misura intrapresa al fine di attuare questo Trattato. I
rapporti devono essere disponibili e distribuiti agli Stati membri dal
Segretariato.
2. Gli Stati membri sono incoraggiati a riferire agli altri Stati, attraverso il
Segretariato, informazioni su misure prese che si sono rivelate efficaci nel
ridimensionare il dirottamento di armi.
3. Ogni Stato membro dovr� sottoporre annualmente al Segretariato entro il 31
maggio un rapporto relativo al precedente anno solare riguardo le esportazioni e le
importazioni autorizzate. I rapporti dovranno essere resi disponibili e distribuiti
agli Stati membri dal Segretariato. Il rapporto sottoposto al Segretariato potr�
contenere le stesse informazioni che lo stato avr� fornito alle strutture
competenti delle Nazioni Unite, tra cui il registro delle armi convenzionali
dell�ONU. I rapporti potranno escludere informazioni legate alla sicurezza
nazionale dello Stato.
Articolo 14 � Attuazione
Ogni Stato parte adotta le misure necessarie per far rispettare le leggi nazionali
e i regolamenti che implementano le disposizioni del presente Trattato.
1. Gli Stati parte dovranno cooperare gli uni con gli altri nell�implementare
concretamente questo Trattato.
2. Gli Stati parte sono incoraggiati a facilitare la cooperazione internazionale,
incluso lo scambio di informazioni su questioni di mutuo interesse riguardo
l�attuazione e l�applicazione del Trattato secondo le rispettive leggi nazionali.
3. Gli Stati parte sono incoraggiati a consultarsi su questioni di mutuo interesse
e a condividere informazioni per sostenere l�attuazione di questo Trattato.
4. Gli Stati parte sono incoraggiati a cooperare al fine di assistere l�attuazione
delle disposizioni di questo Trattato all�interno del proprio ordinamento nazionale
anche attraverso la condivisione di informazioni riguardo attivit� illecite in modo
da prevenire e sradicare il dirottamento di armi convenzionali.
5. Gli Stati parte dovranno consentirsi l�un l�altro la misura pi� ampia di
assistenza nelle investigazioni, nelle indagini e nei procedimenti giudiziari in
relazione a violazioni di disposizioni nazionali previste da questo Trattato.
6. Gli Stati parte sono incoraggiati a prendere misure nazionali e a cooperare con
gli altri per prevenire il trasferimento di armi convenzionali divenute oggetto di
pratiche di corruzione.
7. Gli Stati parte sono incoraggiati a scambiarsi informazioni ed esperienze su
lezioni apprese in riferimento ad ogni aspetto di questo Trattato.
1. Una Conferenza degli Stati membri � convocata dal Segretariato entro un anno
dall�entrata in vigore del presente Trattato e successivamente sar� convocata altre
volte su decisione della Conferenza degli Stati membri.
2. La Conferenza degli Stati membri dovr� adottare per consensus le sue regole
procedurali durante la prima sessione.
3. La Conferenza degli Stati membri dovr� adottare le sue regole finanziarie
autonomamente cos� come dovr� disciplinare il finanziamento degli organismi
ausiliari e delle disposizioni finanziarie che regolano il funzionamento del
Segretariato. Ad ogni sessione ordinaria dovr� adottare un bilancio per il periodo
finanziario valido fino alla prossima sessione ordinaria.
4. La Conferenza degli Stati membri dovr�:
a) Revisionare l�attuazione del presente Trattato, incluso gli sviluppi nel settore
delle armi convenzionali;
b) Considerare e adottare raccomandazioni riguardo l�attuazione del presente
Trattato, in particolare la promozione della sua universalit�;
c) Considerare gli emendamenti del presente Trattato ai sensi dell�Articolo 20;
d) Considerare le questioni derivanti dall�interpretazione di questo Trattato;
e) Esaminare e approvare i compiti e il bilancio del Segretariato;
f) Esaminare l�istituzione di qualsiasi organo sussidiario che potrebbe essere
necessario a migliorare il funzionamento del presente Trattato e
g) Eseguire qualsiasi altra funzione compatibile con il presente Trattato.
5. Incontri straordinari della Conferenza degli Stati membri si terranno
ogniqualvolta sia ritenuto necessario dalla Conferenza o su richiesta scritta di
qualsiasi Stato parte, purch� tale richiesta sia appoggiata da almeno due terzi
degli Stati membri.
Articolo 18 � Segretariato
Articolo 20 � Emendamenti
1. Dopo sei anno dall�entrata in vigore del presente Trattato, ogni Stato membro
potr� proporre un emendamento al Trattato. In seguito, gli emendamenti proposti
saranno considerati dalla Conferenza degli Stati membri ogni tre anni.
2. Qualsiasi proposta di modifica al Trattato deve essere presentata per iscritto
al Segretariato che far� circolare la proposta tra tutti gli Stati membri, non meno
di 180 giorni prima della successiva riunione della Conferenza nella quale potranno
essere considerate altre modifiche ai sensi del paragrafo 1. La modifica sar�
considerata nella successiva Conferenza degli Stati membri se, non pi� tardi di 120
giorni dopo la sua diffusione, la maggioranza degli Stati membri notificher� al
Segretariato che sostengono la proposta di modifica.
3. Gli Stati membri dovranno fare ogni sforzo per raggiungere il consensus su ogni
emendamento. Se tutti gli sforzi per ottenere il consensus sono stati esperiti e
nessun accordo � stato raggiunto, l�emendamento dovr�, in ultima istanza, essere
adottato dalla maggioranza dei tre quarti degli Stati presenti e votanti
all�interno della Conferenza degli Stati membri. Gli Stati membri presenti e
votanti sono quegli Stati presenti e che votano positivamente o negativamente. Il
depositario dovr� comunicare qualsiasi emendamento adottato a tutti gli Stati
membri.
4. Un emendamento adottato in conformit� con il paragrafo 3 entrer� in vigore per
ogni Stato membro che ha depositato i suoi strumenti di accettazione per quel dato
emendamento, novanta giorni dopo la data di deposito presso il depositario degli
strumenti di accettazione da parte della maggioranza degli Stati membri presenti al
momento dell�adozione dell�emendamento. In seguito, esso entrer� in vigore per
qualsiasi Stato membro novanta giorni dopo la data di deposito dei suoi strumenti
di accettazione per quel dato emendamento.
1. Questo Trattato sar� sottoposto alle firme degli Stati membri presso il Quartier
Generale delle Nazioni Unite di New York dal 3 giugno 2013 fino alla sua entrata in
vigore.
2. Il presente Trattato � soggetto alla ratifica, all�accettazione o
all�approvazione da parte di ogni Stato firmatario.
3. Successivamente alla sua entrata in vigore, questo Trattato sar� aperto
all�adesione di ogni altro Stato che non ha firmato il Trattato.
4. Gli strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione dovr� essere
depositata dal Depositario.
1. Questo Trattato entrer� in vigore novanta giorni dopo la data del deposito dei
cinquanta strumenti di ratifica, accettazione o approvazione presso il depositario.
2. Per ogni Stato che deposita i suoi strumenti di ratifica, accettazione,
approvazione o adesione successivamente all�entrata in vigore del presente
Trattato, quest�ultimo entrer� in vigore per quel dato Stato novanta giorni dopo la
data di deposito dei suoi strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o
adesione.
Qualsiasi Stato pu� al momento della firma o del deposito dei suoi strumenti di
ratifica, accettazione, approvazione o adesione, dichiarare che far� domanda
provvisoriamente. Gli Articoli 6 e 7 saranno pendenti in attesa dell�entrata in
vigore di tale Stato.
Articolo 25 � Riserve
1. L�attuazione di questo Trattato non deve pregiudicare gli obblighi assunti dagli
Stati contraenti in materia di accordi internazionali esistenti o futuri al quale
sono parti nella misura in cui questi siano compatibili con questo Trattato.
2. Questo Trattato non deve essere citato come motivo che invalidi gli accordi
conclusi tra gli Stati membri di questo Trattato in materia di cooperazione
difensiva.
Articolo 27 � Depositario
1.- Per i testi del Codice di condotta e della Posizione comune si veda il sito [On
line] Url:http://www.eeas.europa.eu. Consultato il 23 luglio 2013.
2.- Il testo POA � disponibilie [On line] Url:http://www.poa-iss.org. Consultato il
23 luglio 2013.
3.- [On line] Url: http://www.unrcpd.org. Consultato il 23 luglio 2013.
4.- [On line] Url: http://www.reachingcriticalwill.org. Consultato il 23 luglio
2013.
5.- [On line] Url:http://www.iansa.org. Consultato il 23 luglio 2013.
6.- [On line] Url:http://www.un.org/sg/statements/index.asp?nid=6869. Consultato il
23 luglio 2013.
7.- SANTAMARIA M., "I trasferimenti internazionali dei maggiori sistemi d�arma nel
2011". [On line] Url:http://www.archiviodisarmo.it. Consultato il 23 luglio 2013.
8.- L�intero discorso di LaPierre � rintracciabile [On line] Url:
[http://www.nraila.org. Consultato il 23 luglio 2013.
9.- [On line] Url:http://iran-un.org. Consultato il 23 luglio 2013.
10.- [On line] Url: http://www.un.org. Consultato il 23 luglio 2013.
Ultime:
La Turchia e l�evoluzione di una protesta Arms Trade Treaty: quale futuro per il
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Rohani cambier� l�Iran24 giugno, 2013 Ghoncheh Tazmini Vicino & Medio Oriente
Nessun commento
IntroduzioneL�Iran cambier� sotto la guida di Hassan Rohani. Cambier� non nel senso
di regime change, n� cambier� verso un sistema politico liberale, pi� laico, alla
occidentale. Cambiamento in Iran significa cambiamento qualitativo, significa
respirare un�aria nuova all�interno della Repubblica Islamica. Vi sono due ragioni
per cui Rohani pu� cambiare l�Iran.
1.La prima � che la sua inclinazione moderata porter� agli stessi risultati,
sottili ma tangibili, della presidenza di Mohammad Khatami. Si tratta di
cambiamenti qualitativi e concettuali pi� che quantitativi. Sono cambiamenti
palpabili, di sostanza, che si riverbereranno nella societ� iraniana. A livello
statale, porter� la �politica della normalit�, che avr� un riflesso diretto nella
societ�.
2.La seconda ragione deriva dal suo essere una figura conservatrice e del
establishment non meno di quanto sia una figura moderata. Dunque, avr� un maggiore
�potere d�acquisto� politico e capacit� di strappare risultati a poco a poco,
perch� � della stessa pasta del establishment.
Nel 1999 Khatami fu duramente criticiato per non aver reagito in maniera abbastanza
aggressiva all�irruzione e perquisizione dei dormitori universitari da parte dei
paramilitari (si era nel mezzo di proteste studentesche). Khatami rimprover�
duramente i responsabili, ma cercava di sedare i disordini piuttosto che
rinfocolarli � come invece fece Mir Hossein Mousavi durante le proteste post-
elettorali che nel 2009 scossero l�Iran. Sotto questo punto di vista, Khatami era
l�opposto di Mousavi. Mentre Mousavi capitalizz� il diffuso dissenso sociale
spingendo le masse a protestare (anche se ci� significava scontrarsi
pericolosamente col personale di sicurezza e i paramilitari), Khatami mantenne
l�ordine sociale suggerendo che l�opinione pubblica esprimesse il proprio attivismo
civico tramite la carta stampata, gl�interventi accademici e, soprattutto, l�urna
elettorale. Mousavi, d�altro canto, era pronto a spingere il movimento di protesta
all�estremo, anche mettendo a repentaglio delle vite.
Il mondo per� non si articola intorno a realt� del tutto razionali, ma intorno a
percezioni. Ed � a questo livello che si colloca il possibile utilizzo delle armi
chimiche in Siria. Si � diffusa la convinzione che questo deve essere, in linea di
principio, il limite da porre alla condotta in guerra del regime di Assad.
Bisogna ricordare le parole del presidente Obama, pronunciate pubblicamente lo
scorso 30 aprile in una conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca, rispetto al
fatto che l�utilizzo da parte del regime siriano di armi chimiche contro la
popolazione sarebbe considerata una �linea rossa� che, nel caso venisse
oltrepassata, lo obbligherebbe ad un cambiamento della sua politica verso il
conflitto, che si pu� facilmente interpretare come un�allusione ad un intervento
militare. Questa dichiarazione si univa alle precedenti, nelle quali ha spiegato:
�Non tolleriamo l�uso di armi chimiche contro la popolazione siriana, o il
trasferimento di queste armi a terroristi�. Nella conferenza stampa ha perfino
utilizzato l�espressione game changer, spiegando che l�uso di queste armi
cambierebbe completamente lo scenario in Siria e l�atteggiamento statunitense
rispetto al conflitto. Non ha specificato per� che tipo di intervento
provocherebbero gli attacchi chimici, anche se ha chiarito che l�intervento in ogni
caso dovrebbe essere portato avanti coordinandosi con gli alleati.
Logicamente, dopo queste parole, � stato dedotto che il tanto atteso intervento in
Siria dipendesse esclusivamente dall�uso o meno di armamento chimico da parte del
regime siriano, delle milizie ribelli e dei gruppi terroristici all�interno delle
suddette milizie. Con il suo breve intervento il presidente Obama ha riposto in
queste armi l�essere o non essere dell�intervento occidentale nella guerra,
atteggiamento che non pu� definirsi opportuno a causa di quanto viene spiegato in
seguito.
Il presidente Obama non ha mai parlato solo del mero possesso di armi chimiche e
del pericolo potenziale del loro uso contro la popolazione, come fece il presidente
Bush rispetto all�Iraq, nel qual caso s� avrebbe ripetuto la strategia del 2003, ma
ha parlato in modo specifico dell�uso di queste armi. La distanza che c�� tra le
due dichiarazioni � grande. In primo luogo perch� si esclude assolutamente di
entrare in un dibattito senza senso sul possibile possesso di armi chimiche da
parte del governo siriano. La loro esistenza, concepita come arma di dissuasione
davanti all�armamento nucleare di Israele � ancora tecnicamente in guerra con la
Siria � non solo non � messa in discussione, ma � anche stata riconosciuta diverse
volte dal regime siriano.
In secondo luogo perch� identificare la linea rossa con l�uso delle armi vuole
lasciare la patata bollente nelle mani di Assad. A differenza dell�Iraq, non
sarebbero gli Stati Uniti a portare avanti un attacco preventivo, ma questo, al
verificarsi, sarebbe una reazione, la risposta a un regime che avrebbe trasgredito
le regole del gioco in un modo inaccettabile o a una fazione oppositrice che
avrebbe superato i limiti nella sua lotta. Ancora una volta l�eterno dilemma del
primo aggressore e della guerra giusta.
Tutto ci� che � stato esposto precedentemente trova giustificazione anche nelle
successive dichiarazioni dei membri dell�amministrazione americana. Di fronte ai
sospetti dell�uso di armi chimiche in Siria, sia da parte del regime che dei
ribelli, si sono precipitati a chiarire che, perch� questo presunto utilizzo
costituisca l�attraversamento dell�ipotetica linea rossa marcata dal presidente
Obama, � necessario che il loro uso sia sistematico, indiscriminato e altri termini
simili. E rettificare � saggio.
Perci� non rimane che concludere che le condizioni necessarie per una verifica
scientifica e giuridica dell�utilizzo di armi chimiche da parte di una o entrambe
le fazioni della guerra civile siriana solo possono prodursi nel caso di un
intervento militare internazionale nel territorio che permetterebbe,
salvaguarderebbe e assicurerebbe l�uso dei mezzi tecnici necessari per effettuare
questa verifica, cos� come la protezioni fisica degli ispettori. Cio�, la
necessaria verifica che dovrebbe provocare l�intervento straniero portato avanti
dagli Stati Uniti si pu� ottenere con garanzia di successo solo dopo aver portato
avanti il suddetto intervento. Un problema di difficile soluzione.
In qualunque caso, il possibile intervento portato avanti dagli Stati Uniti � una
decisione puramente politica, dato che oltre al possibile uso di armi chimiche ci
sono numerose ragioni che possono spingere all�intervento o al non intervento;
perci� mettere come fattore di decisione un elemento di cos� difficile verifica si
tratta di una posizione scomoda, con pi� inconvenienti che vantaggi, sulla quale
non si dovrebbe insistere. In questo senso, nella conferenza sulla Siria che si
terr� il mese prossimo a Ginevra, con la presenza anche della Russia, probabilmente
si affronteranno nuove strategie per dirigersi verso la fine del conflitto. Durante
la conferenza, naturalmente, si affronter� la questione dell�uso di armi chimiche,
ma sarebbe utile che questo aspetto si affrontasse in un modo rigoroso e che si
considerano allo stesso modo altri aspetti, trattati in questo documento, che sono
importanti almeno quanto l�uso di suddette armi chimiche.
Cosa lega Gezi Parki, Goldman Sachs e le sanzioni all�Iran?15 giugno, 2013 Vincenzo
Maddaloni Vicino & Medio Oriente 8 commenti
Che Recep Tayyip Erdogan e il suo modello di Turchia fossero inclusi nell�elenco
dei silurabili se n�era avuto sentore l�anno scorso, quando sul Middle East
Quarterly apparve l�articolo di David Goldman. In esso si parlava di un imminente
collasso del �miracolo economico� turco e lo si paragonava al crollo argentino del
2000 e a quello messicano del 1994, entrambi avvenuti dopo periodi di espansione
economica. Goldman prevedeva che �la velocit� e la magnitudo della battuta
d�arresto� avrebbe potuto �facilmente erodere la capacit� dell�AKP di governare con
il pragmatismo piuttosto che con l�ideologia islamista�; sicch� era ipotizzabile
anche in Turchia un�esplosione religiosa che � prevedeva ancora Goldman � avrebbe
impedito al premier Erdogan �di utilizzare gli incentivi economici per disinnescare
il separatismo curdo, contenere l�opposizione interna e far conquistare alla
Turchia un ruolo di primo piano in Medio Oriente�. Insomma, ci sarebbero stati
tutti i presupposti, lasciava intendere Goldman, perch� nella Regione si scatenasse
un�altra guerra.
Quello che Goldman non diceva era che il primo ministro Recep Tayyip Erdogan
governava con un grande sostegno popolare raggiunto con il successo di un�economia
che, viaggiando con ritmi cinesi, gli aveva permesso di vincere tre elezioni di
fila. E cos�, forte del consenso delle masse, egli in dieci anni di continuo
governo aveva potuto devitalizzare di molto il potere della vecchia guardia dei
militari filo atlantici e laici, modificando cos� l�assetto degli equilibri
politici sul Bosforo. Beninteso, pure la Turchia ha accusato i colpi della
recessione, un rallentamento dell�economia turca c�� stato, ma non con la tragicit�
indicata da Goldman, poich� il tasso di crescita della Turchia previsto per il 2013
(tra il 4 e il 5 per cento) resta ancora alto rispetto agli standard europei.
Pertanto, fino a pochi mesi fa Erdogan era considerato un vincente, l�uomo che
aveva tutte le credenziali per essere accreditato come il leader (musulmano),
l�unico in grado di rasserenare quel clima d�incertezza politica che s�� creato con
la �primavera araba� in tutto il Medio Oriente e non soltanto in esso. Sicch�
appare quanto mai strano che quella che era iniziata come una protesta contro
l�abbattimento degli alberi di un parco � Gezi Parki � adiacente a piazza Taksim,
nel cuore della Istanbul moderna, sia rapidamente cresciuta fino a diventare una
rivolta contro il governo del premier. Infatti, per pi� giorni la stampa
internazionale ha raccontato le battaglie urbane di piazza Taksim, ha denunciato la
dura repressione delle forze dell�ordine non soltanto ad Istanbul, ma anche nella
capitale Ankara.
Recep Tayyip Erdogan gliene ha offerti parecchi. Infatti, � Recep Tayyip Erdogan
che chiede a viva voce il riconoscimento dello Stato palestinese. �Non �
un�opzione, � un dovere�, dichiara il primo ministro turco nel suo intervento alla
Lega Araba durante il quale afferma che il contenzioso palestinese non � una
questione da classificare come �ordinaria amministrazione� perch� riguarda �la
dignit� dell�essere umano�. E cos�, il 20 di settembre di due anni fa il presidente
dell�Autorit� nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen pot� presentarsi al Palazzo di
Vetro, e richiedere il riconoscimento della Palestina come Stato indipendente, il
194� membro delle Nazioni Unite. E� ancora Recep Tayyip Erdogan che lancia un
messaggio a Israele tutt�altro che conciliante. Non ci sar� � avverte � nessuna
normalizzazione tra la Turchia e lo Stato ebraico di Israele, se quest�ultimo non
rispetter� le condizioni poste da Ankara e cio� le scuse per l�attacco alla
flottiglia umanitaria, l�indennizzo delle vittime e la revoca dell�embargo su Gaza.
Stando cos� le cose, ci vuole poco a capire perch� gli spasmi di protagonismo di
Erdogan abbiano cominciato ad irritare anche gli Stati Uniti. Persino lo sventolio
della bandiera del secondo (per potenza) esercito della Nato pare li abbia
infastiditi. E� successo da quando qualcuno ha rinverdito la leggenda secondo la
quale l�insegna sullo stendardo turco evoca il �riflesso della luna che occulta una
stella�, che apparve �nelle pozze di sangue dei cristiani sconfitti dopo la
battaglia di Kosovo nel 1448�. E� la battaglia durante la quale gli Ottomani
sconfissero le forze cristiane e stabilirono l�Impero ottomano con l�adozione della
bandiera turca nell�Europa orientale fino alla fine del XIX secolo. La riscoperta
della leggenda sar� pure una provocazione, ma di certo ha contribuito a raffreddare
i rapporti con l�Occidente. Ne � una testimonianza l�incontro di Washington del 16
maggio scorso durante il quale Erdogan aveva chiesto a Obama che la Turchia non
restasse fuori dalla Translatlantic Trade and Investment Partnership, il progetto
di zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti. Ma il Presidente americano oggi
pi� di quel giorno di maggio continua ad esitare, sebbene la sua esclusione
potrebbe portare a una contrazione del 2,5% del Pil turco. Se ci� accadesse si
confermerebbe il catastrofico scenario evocato da David Goldman.
Dopodich� il 27 maggio, undici giorni dopo l�incontro con Obama a Washington, sono
cominciate le manifestazioni nel cuore di Istanbul con il prestesto di impedire
l�abbattimento dei seicento alberi di Gezi Parki per permettere l�ammodernamento di
piazza Taksim pianificato da Governo. Con il passare dei giorni le proteste si sono
allargate anche in altre citt�, in particolare nella capitale Ankara e a Smirne.
L�escalation si � avuta il 31 maggio con la diffusione planetaria delle immagini
delle cariche della polizia contro i manifestanti, con il massiccio uso dei
lacrimogeni e dei cannoni ad acqua. Tra i tanti messaggi di condanna c�� anche
quello del Parlamento Ue nel quale si esprime preoccupazione per �l�uso
sproporzionato ed eccessivo della forza� da parte della polizia turca e si
deplorano �le reazioni del governo turco e del primo ministro Erdogan�. Nel
comunicato infatti si accusa, come mai era accaduto prima, lo stesso premier di
acuire la polarizzazione della situazione. Per completare il quadro sarebbe
interessante conoscere le intenzioni di Mark Patterson, il lobbista della Goldman
Sachs che � alla testa dello staff del segretario del Tesoro Jacob Joseph Lew.
Si tenga a mente che molti sono gli ex funzionari della Goldman Sachs presenti
nella amministrazione di Barack Obama, sebbene nella campagna presidenziale egli
avesse promesso che l�influenza dei lobbisti nella sua amministrazione sarebbe
stata ridimensionata. Lo U.S. News & World Report ne fornisce un lungo elenco.
Sicch� tutto lascia pensare che Erdogan rischi davvero di soccombere, e con lui il
suo modello turco. Chiss� se hanno gi� individuato il sostituto. Bisognerebbe
chiederlo alla Goldman Sachs.
inShare.1 Commenti
Bruno Sordini 6 / 21 / 2013 16:59Ho apprezzato moltissimo l�articolo a cui mi sto
riferendo in quanto mi ha chiarito alcuni dubbi ( e disinformazioni) che la nostra
informazione di parte rende di massa.
La cosa che non mi convinceva era la tenacia con cui i giovani turchi scendevano in
piazza �per il taglio di alcuni alberi� e soprattutto la loro eroica resistenza
alla reazione poliziesca. Sar� , mi veniva da pensare. Poi quando con enfasi la
nostra televisione ci informava che questi giovani manifestavano al grido di �bella
ciao� i miei dubbi sulla posizione di questi giovani invece di diminuirmi mi sono
aumentati. Mi sono cosi convinto che si stava tentando di dare un colore non
proprio a queste manifestazioni. L�articolo di cui sopra che sto commentando mi ha
convinto ancora di piu che le mie deduzioni non erano infondate. Per cui vi
ringrazio della vostra informazione.
Distintamente.
(Bruno Sordini)
Egitto, rivoluzione usa e getta
Marco HAMAM
Il giorno della marmotta, ovvero corsi e ricorsi delle tre rivoluzioni d�Egitto
Sono tre anni che i protagonisti della scena egiziana � militari, rivoluzionari,
Fratelli musulmani, salafiti e avanzi di regime � si scambiano di ruolo, salvo
tornare alla casella di partenza. Il valzer delle alleanze e delle rotture. Alla
fine decidono i generali.
Giovanni PIAZZESE
Verso un Egitto caserma? La vittoria dei militari ha radici lunghe
Perch� il generale al-Sisi ha deciso di deporre il presidente Mursi, dal quale era
stato scelto come capo supremo delle Forze armate: una biografia rivelatrice, tra
islam, America e intelligence. I mille volti dell�economia con le stellette.
LIMES IN PI�
(1/08/2013)