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PALAZZO AMBROGIO DI NEGRO

Una corretta lettura storiografica poggia sull’individuazione di alcune date-chiave


coincidenti con una svolta, un cambio di direzione nelle vicende politico-economiche
e culturali di un determinato soggetto. Nel 1528 Andrea Doria esce dalla sfera
d’influenza francese e, “attuando il disegno della finanza ligure di troncare l’asse
commerciale Lione-Firenze, colloca Genova sotto l’orbita austro-iberica”. La Città,
prosegue Guglielmo de’Giovanni-Centelles, entra nel sistema di Carlo V “garantendo
all’Italia la continuazione di quel primato economico dai tempi lunghi che Braudel
prolunga fino al 1650”1. È la svolta che segna l’inizio del “Secolo dei Genovesi”. La
Superba fornisce l’apporto economico-finanziario al gran disegno universalistico
cristiano portato avanti dall’imperatore e dal gran cancelliere Mercurino di Gattinara.
La nuova alleanza con l’Impero le garantisce accordi economici e commerciali
saldissimi. Genova, che per tutto il Medioevo punta soprattutto a Sud-Est gestendo
fondaci sul Mar Nero, nel Vicino Oriente e nel Maghreb, volge ora lo sguardo a
Ponente, intensificando i legami nel Mediterraneo occidentale e aprendosi, via
Siviglia, all’Atlantico da dove giungeranno copiosi oro e argento delle Americhe2.
La Repubblica di San Giorgio impone pace e unione tra le famiglie rivali di banchieri
e mercanti. In questo contesto va inserita la Renovatio Genuae, con i grandi
interventi urbanistici e architettonici del Secondo Cinquecento. In effetti, la città-porto
medievale si articolava in un labirintico assetto in cui si dipanavano i cosiddetti
“alberghi”, isole urbane nate da un’alleanza tra famiglie patrizie che controllavano le
contigue proprietà immobiliari. Nel XVI secolo la nuova aristocrazia legata agli
Asburgo s’incarica della ricostruzione3.
Della congiuntura favorevole beneficia anche Ambrogio di Negro, protagonista di
una brillante carriera politico-amministrativa oltre che di un incredibile successo
economico come hombre de negocios di Carlo V e Filippo II. Si reca in Spagna e nei
Paesi Bassi al seguito della corte imperiale, svolge diverse missioni diplomatiche per
poi accedere alle più importanti cariche cittadine: nel 1563 entra a far parte del
Maggior Consiglio, governatore della Repubblica dal ’69 al ’71, nel 1575 è
ambasciatore alla corte di Don Giovanni d’Austria, doge della Repubblica dall’85
all’87 fino all’ambasceria presso Papa Clemente VIII nel 1594.
Ma Ambrogio di Negro “è prima di tutto un finanziere abile e fortunato che, pur
avendo iniziato con un patrimonio tutto sommato abbastanza modesto, riesce a
moltiplicarlo per più di undici volte nell’arco di quarantasette anni”5. Tra il 1554 e il
1565 la sua ricchezza cresce annualmente del 20 per cento grazie agli asientos
(prestiti a breve termine) concessi a Carlo V e, in maggior misura, a Filippo II. Il
doge-banchiere è in ritardo rispetto agli altri notabili genovesi quando nel 1568 dà
inizio ai lavori per la costruzione del palazzo in Banchi. I grandi rappresentanti del
patriziato urbano avevano già eretto, a partire dagli Anni Trenta, una cinquantina di
dimore lungo la Strada Nuova, nel centro nevralgico della Città.
Contemporaneamente e “quasi in antitesi alla coeva impresa di Strada Nuova”6, si
avvia il rinnovamento di Piazza Banchi, storico spazio destinato alla contrattazione
mercantile e punto d’incontro dei grandi banchieri genovesi. Il punto di riferimento
formale è la villa dei Di Negro a Fassolo - residenza nobiliare suburbana ristrutturata
in forme neoclassiche dalla fine del XVIII secolo - come evidenzia il confronto tra una
stampa settecentesca della collezione Balbi-Piovera e il rilievo di Palazzo di Negro in
Banchi fatto da Rubens ai primi del Seicento, nel periodo di Massimo splendore,
quando venne ereditato da Orazio di Negro, figlio illegittimo di Ambrogio. Il grande
pittore fiammingo, infatti, pubblicò ad Anversa nel 1622 i Palazzi antichi et moderni di
Genova7,opera didascalica tesa a fornire modelli architettonici alla borghesia del
Nord-Europa. Ma il contesto urbanistico nel quale la nuova dimora è collocata
determina alcune scelte costruttive che la differenziano dal precedente di Fassolo. Il
palazzo in Banchi è anche sede di attività commerciali al piano terra che lo
avvicinano, per motivi funzionali, alla tradizione del palazzo mercantile con botteghe,
anche se il progetto originario voluto da Ambrogio prevedeva una loggia pubblica su
tutto il fronte di Piazza Banchi. Di grande effetto la facciata dipinta, a simulare
un’architettura classicheggiante in una piazza che ancora risentiva, alla fine del
Cinquecento, dell’impostazione medievale. La decorazione risale agli ultimi trent’anni
del XVI secolo ed è opera di maestranze locali. Essa si articola su Quattro livelli:
piano terra a bugnato, primo e secondo piano nobile con colonne scanalate ioniche
cui si sovrappongono quelle corinzie, nel mezzanino quattro finestrelle tra le quali
trovano spazio spirali in finto marmo, mascheroni e figure antropomorfe. Quattro
aperture scandiscono ogni livello conferendo spinta verticale e perfetta simmetria al
complesso. In seguito, anche gli altri edifici della piazza ebbero architetture
simulate nei prospetti. Uno scalone voltato conduce dall’atrio al secondo piano, che
si affaccia con un loggiato su tre lati del cortile interno; di grande eleganza i portali in
marmo bianco e quelli in pietra nera del grande salone del primo piano nobile.
Direttamente riconducibili all’ascesa politica di Ambrogio, alle lotte tra nobiltà vecchia
e nuova, alla tenacia del committente che lo pose ai vertici della scena politica della
Superba, sono le iscrizioni poste negli archi delle varie porte: “Tendit in ardua virtus”;
“Virtutis invidia comes”; “Dii facientes adiuvant”; “Crimen invidia quaerit”; “Difficilia
quae pulchra”; “Nosce te ipsum”; “Festina lente”; “Premenda occasio”. Di grande
unitarietà anche la decorazione ad affresco nelle volte del secondo piano nobile del
palazzo. Nella sala grande la storia di Elena e Paride si sviluppa attorno al riquadro
centrale dove è dipinto il Ratto di Elena. Nelle stanze che affacciano su Piazza
Banchi le pitture raccontano le vicende di Danae e Perseo. Soggetti mitologici che
Ezia Gavazza ricollega alle vicissitudini personali del committente Ambrogio, “uomo
di lettere e amico di letterati”8. I miti di Paride sottolineano come le avversità siano
tappe obbligate di ogni percorso che conduce alla vittoria finale. La nascita di Perseo,
tenuta nascosta da Danae, fecondata da Zeus sotto forma di gocce d’oro, potrebbe
alludere ad Orazio, figlio illegittimo ed erede di Ambrogio di Negro. Si tratta in ogni
caso di tematiche più consuete nel decoro di una villa suburbana. Non abbiamo
documentazione utile a chiarire a quale cantiere sia stato affidato il lavoro. Sono
considerazioni stilistiche e la conoscenza delle botteghe più importanti della città in
quei tempi a suggerire il nome di Andrea Semino, esponente di spicco del
manierismo ligure, col quale collaborano forse il fratello Ottavio e i figli Cesare e
Alessandro oltre a diversi aiuti per la decorazione e le scene secondarie.
Il Palazzo, in via di San Luca 2, rimarrà di proprietà Di Negro sino alla fine
dell’Ottocento quando sarà rilevato dale Assicurazioni Generali. Nel 1987 Luciano
Ghezzi acquista l’immobile impegnandosi in una serie di lavori di ristrutturazione tra
il ’90 e il 2001. Il cortile interno in particolare, eliminate le superfetazioni che nel
corso del XIX secolo ne avevano alterato la forma originaria, ha ritrovato grande
raffinatezza nelle colonne lisce doriche a piano terra e ioniche al primo piano, nella
scelta delle vetrate che proteggono ma non separano il loggiato munito di un
elegante pavimento a scacchiera. Nel 2005 si è proceduto anche al restauro degli
affreschi del Semino. I lavori hanno restituito a Palazzo di Negro in Banchi la
bellezza che ammirò Rubens. Recentemente ricompreso tra i Palazzi dei Rolli che
l’Unesco ha dichiarato “patrimonio mondiale dell’umanità” lo scorso 13 Luglio,
la dimora è vincolata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali secondo la legge
1089/399.
Al secondo piano nobile ha sede la fondazione culturale “Edoardo Garrone”.

1 G. DE’GIOVANNI CENTELLES, Mercurino, Carlo V e l’Europa, Gattinara, 2005, p.


44.
2 F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 2002
(prima ed. 1953), p. 536, analizza lucidamente: “La fortuna di Genova è stata
preparata in anticipo dalla sua antica ricchezza, dal voltafaccia politico del 1528,
nonché dal suo precoce inserimento in Andalusia e a Siviglia, dalla sua
partecipazione, non soltanto al commercio tra la Spagna e le Indie, ma anche tra
Siviglia e i Paesi Bassi, quest’ultimo commercio nutrendo il primo”.
F. RUIZ-MARTIN, El siglo de los Genoveses en Castilla (1528-1627). Capitalismo
cosmopolita y capitalismos nacionales, Bilbao, 1971.
A. PACINI, I presupposti politici del “secolo dei Genovesi”: la riforma del 1528,
Genova, 1990 e I mercanti-banchieri genovesi in F. CANTU, L’Italia di Carlo V:
ANDREA SEMINO (attr.) - Il ratto di Elena.56 Liguria guerra, religione e politica nel
primoCinquecento, Roma, pp. 580-95;
3 G. L. GORSE, Genova: Repubblica dell’Impero, in C. CONFORTI - R. TUTTLE (a
cura di), Storia dell’architettura italiana, Milano, 2001, pp. 240-65; G. DORIA,
Investimenti della nobiltà Genovese nell’edilizia di prestigio (1530-1630), in “Studi
Storici”, XXVII (1986), pp. 5-55;
4 R. SAVELLI, Di Negro Ambrogio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1991,
vol. 40, pp. 123-26. 5 G. DORIA, Un doge banchiere e la costruzione di un palazzo
in G. DORIA, E. GAVAZZA, G. PELLEGRINO, Genova. Il Palazzo di Ambrogio di
Negro in Banchi, Genova, 2002, p. 15.
6 G. PELLEGRINO, La vicenda edilizia, in G. DORIA ET AL., Genova etc. cit. p. 47.
7 P.P. RUBENS, Palazzi antichi et moderni di Genova, a cura di F. CARACENI
POLEGGI, Genova, 2001 e M. LABO, I Palazzi di Genova di Pietro Paolo Rubens
e altri scritti di architettura, Genova, 1970. Scrive Rubens: “Mi è parso dunque di fare
opera meritoria verso il bene pubblico di tutte le province Oltremontane, producendo
in luce li disegni da me raccolti nella mia peregrinazione italica, d’alcuni palazzi della
superba città di Genova”, in G. PELLEGRINO, Le vicende etc., cit., p. 53.
8 E. GAVAZZA, Committenza e cantiere per la decorazione ad affresco, in G.
DORIA ET AL., Genova, etc., cit., p. 35
9 I Rolli degli alloggiamenti pubblici erano, al tempo della Repubblica di Genova, le
liste dei palazzi e delle Dimore eccellenti delle famiglie nobili
Ecuba consegna Paride ai servi perché sia eliminato in modo da evitre la
realizzazione del vaticinio secondo il quale sarebbe stato la causa della distruzione
di Troia. I servi invece lo salveranno consegnandolo a dei pastoi
Giudizio di Paride di PAride
Paride riconosciuto da Priamo
Paride si innamora di Elena
Quadro central ratto di elena
Nelle cartelle decorative figure allegoriche di INfanzia, Adolescenza, maturità e
vecchiaia

Nella sala con Danae fecondata da Zeus l’andamento dei riquadri è a spirale
Acrisio fa rinchiudere la figlia Danae accompagnata dalla nustrice in prigione perché
non si avveri l’oracolo che avrebbe predetto a lui la morte per mano del figlio di
Danae
Prosegue con il quadro central con Danae fecondata da Zeus
Acrisio scopre la presenza di paride
Disupta tra Acrisioe il fratello per la presunta parternità di Perseo
Acrisio rimprovera Danae
La violenza di Acrisio su Danae e il piccolo Perseo
Acrisio ordina di chiudere Danae e Perseo in una cassa
Acrisio fa gettare in mare la cassa
L’approdo della cassa ritrovata da alcuni pastori

con la favola di Perseo la lettura si fissa su alcuni punti chiave della vicenda
illustrate nei quadri con Hermes e Athena offrono protezione a Perseo
, Perseo taglia la testa a Medusa, Perseo si libera di Fineo mostrandogli la testa di
Medusa che lo strafroma in statua di pietra, Perseo vola verso Andromeda per
liberarla dal mostro marino Nelle scenette degli angoli sono raffigurati episodi
intermedi della storia, posti in sequenza incrociata. Al centro il quadro Athena e le
Muse sull’Elicona. Athena c, che aveva posto sulo scudo dell’eroe la testa di Medusa,
sta con le Muse sull’Elicona, dove Pegaso, il cavallo alato di Perseo, nato dalla terra
fecondata dal sangue di Medusa, fa scaturire, colpendo la montagna con il suo
zoccolo, la fonte di Ippocrene, al cui acqua favorisce l’ispirazione poteetica.

E’ un programma singolare per un palazzo di città, da magnificarsi , secondo le


regole, con un decoro basato sulla severa illsutrazione di vicende storiche che nel
passato trovano un antefatto consono alla Gloria presente.
“Ne’ palazzo et altri luochi principali edificati per stanza et abitazione di re e principi,
convenientemente si dipingono I fatti più degni et onorati de’ gran principi e famosi
capitano: some sono trionfi, vittorie, consigli militari, battaglie sanguinose, in cui
riguardando pare che gli animi nostril si sollevino a penseri e desideri d’onore e di
grandezz” così Gian paolo Lomazzo, o anche, per fini decisamente moraleggianti,
Gabriele Paleotti “per indicio di nobiltà et eccitamento de’ posteri alle virtù de’ suoi
maggiori”-
E’ una tematica quindi al di fuori delle consuetutdini che lo stesso Lomazzo consiglia
piuttosto per un decoro di villa: “Intorno a i giardini sopra le mura e parimenti, sopra I
portici aperti che verso loro riguardano in guise di guardie, si ricercano altrsì istorie di
gioia e d’allegrezza, che del tuto non abbiano ombra di malenconia come sarebbe
Mercurio che con dolce suono addrormenta Argo , le Eliadi che si cangiano in arbori,
Perseo che libera Andromeda da mostro amrine… e tante favole raccontate da poeti”
La ragione sta forse nella complessa individualità di Amgrogio Di Negro, uomo di
posizione eminente, di ambizioni poitiche felicemente raggiunte con l’elezione a
governatore nel 1569 e al dogato nel 1585, uomo di lettere, amico di letterati e
coinvolto anche in una vicenda privata di cui non conosciamo nulla, ma che si
affaccia attraverso il testamento in cui Ambrogio nomina suo erede universale il figlio
Orazio, illegittimo ma legittimato, eredità conclamata e difesa anche di fronte alla
eventualità di un rede legittimo, e che filtra dagli accorati componimenti poetici con
cui dichiara a una donna il suo amore e della quale piange sconsolato la fine
immatura.

Componimenti amorosi ma che nascondono anche temi politici.


Il riferimento è, probabilmente, al conflitto tra nobili vecchi e nobili nuovi che lo vide
neutrale, ma con aspre critiche rivoltegli da molte parti del aptriziato.
A questa luce la tettura dei motti incise sull’architrave delle porte del suo palazzo
può essere emblematica.
Sulle porte ??? dell’atrio del secondo piano nobile, con la loggia a vista sul prospetto
del palazzo, verso la strada di San Luca, le massime TENDIT IN ARDUA VIRTUS e
VIRTUS INVIDIA COMESA NON POSSONO CHE INDICARE LA SUA posizione di
acquisita importanza all’interno del patriziato e della classe politca e, nsieme, il
sentiment di invidia che non vi è disgiunto.
AD ALTE ED ARDUE CIME MIRA LA VIRTU’

LA FORTUNA E’ COMPAGNA AL VALORE


L’originale aveva il termine fortuna, qui viene sostituito con invidia, si pone in
evidenza una ben precisa situazione e un avvertimento.
Sul portale di ingresso nel salone la scritta DE FACIENTES ADIUVANT ripercorre il
significato principale dell’emblematica il concetto espresso dal committente del
palazzo, consapevole di godere dell’alto favoere divino, o di invocare questo favore
“piacendo a Dio”, ed introduce alla esplicitazione di una condizione di vita acclarata
dalle massime scolpite sull’architrave delle alter porte: CRIMEN INVIDIA QUAERIT,
a ribadire il concetto già dichiarato nelle iscrizioni dell’atrio, alle quali può ricollegarsi,
con un traslato diretto al TENDIT IN ARDUA VIRTUS, il motto DIFFICILI QUEAE
PULCHRA, che il NOSCE TE IPSUM rafforza nel suo significato più aderente ad una
consapevolezza dell’alta considerazione della propria capacità e del proprio merito.
Capacità e merito che in FESTINA LENTE conducaal contetto di atessa lenta
nell’operare, affinché il risultato possa essere ragginto felicemente quando la sorte
va incalzata: PREMENDA OCCASIO.
Questa emblematica per motti, e forse immagini, si situa in un ambito di conoscenza
aggiornata che, dall’Alciati al Giovio ai costruttori di imprese, è nota in un ambiente
colto e informato, certamente quello di Ambrogio e dei suoi amici letterati. I motti
sono stati scelti o dettati dallo stesso committente, per un messaggio aderente ad
una filosofia di vita e ad una condizione che si può leggere nel corso della sua
vicenda umana e politica.
Esiste una connessione con il messaggio figurato scelto per la illustrazione delle
volte della sala grande e delle sale attigue del palazzo.
Sia la vinceda di Paride, sia quella di Perseo possono essere lette alla luce di una
ascesa difficile verso la vittoria finale e il trionfo sulle avversità: per Paride il
riconoscimento della propria identià da parte di Priamo e la ricompensa, concessagli
dalla divintà, della donna più bella del mondo; per Perseo, figlio di Zeus e Danae, la
soluzione felice di nascita nascosta e di un difficile percorso di vita protetto dale
divinità fino all’eroicizzazione.

In mancanza di un riferimento diretto, possiamo solo ipotizzare un uso della


mitologia per un grande emblema figurato. E’ comunque singolare che le due
vicende prendano inizio da una nascita non facile, Per ambedue un vaticinio
infausto: per Paride l’annuncio di quella che sarà la rovina di Troia, per Perseo il
destino di morte che avrebbe portato al nonon ACrisio la sua stessa nascita.
Conesguenza del vaticinio, per il primo l’esposizione sul monte Ida, per il secondo,
non essendone stata possibile evitare la nascita con la segregazione di Danae, la
condanna e l’abbandono in balia del mare assieme alla madre. In entrambi I casi,
con il superamento delle difficioltà, si assiste ad una soluzione positiva della storia.
Allusioni ad Orazio, figlio illegittimo legittimato, alato ed eletto ad erede universale?
Non conosciamo i risvolti di un evento privato, ma la difesa che Ambrogio dà della
sua volontà di affidare ad Orazio la sua continuità può spingere ad ipotizzare una
assimilazione simbolica della vicenda reale della favola figurate. Con tutte le
sfumature e le varianti che possono ricondurre a tale assimilazione. La soluzione
della storia di ide non si traduce nella rappresentazione del ratto di Elena, ma nella
sua partenza consenziente, a coronamento della pro???. Quella di perseo appunta
rispettivamente sul ???? della volta delle sue sale l’episodio del contepimento divino
Danae fecondata dalla pioggia d’ro, e la raffigurazione di Athena e le Muse
sull?elicona, dove Pegaso, il cavallo Alato di perseo, aveva fatto scaturire, con il suo
zoccolo, la fonte della ispirazione poetica.
Riferimenti simbolici alla vicenda amorosa e poetica del committente, assieme alla
volontà di affermare la nascita felice e carica di significati positive del suo unico
erede?
Tuttavia, per la storia di Perseo si può avanzare una ulteriore ipotesi di
interpretazione, la quale, sulle piccolo storie che attorniano il quadro centrale con
Athena e le Muse, appunta un messaggio già dichiarato dalle scritte sulle
sovrapprote della sala grande.
“é Perseo che sipra il Pegaseo và all’impresa di Medusa, significa l’huomo che
sicche si lascia guidare dal desiderio della fama, il quale fa sovente bisogno che
andiamo misurando gli andamenti de I nostril nemici, per poterci accortamente
defender così da gli sforzi, come dall’insidie loro. Significano poi I Talari di mercurio
la Prestezza e la Vigilanza, con la quale dovremo dar esecutione alle cose
maturamente discourse e resolute. Tagli il Perseo il capo crinito de’ serpenti a
Medusa, quando togliemo noi la forza a machinationi e sforzi fati contro di noi dalla
Prudenza de gl’inimici, I quali fuggono poi vedendo I suoi laidi pensieri nello scudo
della nostra costantia, e del nostro valore; come fuggiva Medusa, vedendo la sua
faccia paventevole; tenuta da essa per bellissima prina che Minerva la cangiasse inq
uella maniera, Che del sangue del capo di Medusa ne nascessero serpenti in Libia,
vuol signiicare che l’insiedie, e le machinationi nell’animo de gl’inimici generano
veleno alle volte più crdele che quello de’ serpenti”
E’ un chiaro messaggio per I neimi, come del resto, sotto questo profilo ancora
strettmente personalizzato, può essere letto il racconto di Danae fecondata da
Zeus: “ la favola di Danae corrotta da Giove in pioggia d’oro, ci dà ad intendere che
questo tanto stimato metallo Sforza le altissime mura, I castissimi petti, la fede,
l’honore e tutte quelle cosec he sono di maggior pregio e stima di questa vita”.
Appare possibile un traslato simbolico se il committente della decorazione e se
l’esecuzione dell’intero ciclo delle tre sale seguì presumibilmente a non molta
distanza di tempo, secondo la previsione del committente, la ultimazione del palazzo
dichirata con foruma solenne in un document del 1568.
Non è credibile che un tale fabbrica potesse essere lasciata senza decorazione ad
affresco dunque è ipotizzabile che il tempo della decorazione si possa collocare
attorno a questi anni, tanto pi che ll’ambizione del committente esigeva l’esposizione
di una magnificenza a cui non poteva restare secondo allineandosi ai programmi
dell’aristocarzia di potere.
A quale cantiere affida la sua richiesta?
La considerazione che la decorazione del palazzo sia eseguita a poca distanza dal
suo completamento architettonico, intorno agli anni 1573-75, dà condorto anche alla
ipotesi attributive che stilisticamente ruota intorno all’ambito del canteire di Andrea
Semino.

Pessimi interventi di restauro hanno coperto parti delll’affresco impedendone la


leggibilità, come ad esempio le campiture di fondo
Nella sala grande struttura compositiva di qualità che rimanda ai modi di Andrea
SEMINO IN LINEA CON LA TRADIZIONE GENOVESE con l’accentuazione data al
grande quadro centrale che nell’economia dello spazio assume una forte
connotazione strutturale a contrasto con la cornice a piccoli quadri intervallati da
erme dorate con la mediazione angolare di cartelle decorative
Lo stesso quadro centrale con Il Ratto di Elena mette in evidenza nella progettazione
compositiva ad ampio sfondo paesistico ancora i modi di andrea Semino, nella
esecuzione, specie nella scena del ratto, fa presupporre la larga mano di aiuti, pur
capaci nella resa di modelli correnti in una bottega di alta professionalità. Ottavio
Semino? E’ possibile ipotizzare la presenza nel cantiere che lo vede con il fratello
Andrea attivo a Milano per gli affreschi di Palazzo Marino tra il 1570 e il 1575, una
ipotesi di anni che potrebbe coincidere con la progettazione ultimazione del palazzo
e con l’ascesa al dogato del committente tra 1575 e 1578. Di certo sappiamo che nel
1575-76 Ottavio a Milano era impegnato a ultimare la cappella della Natività in
sant’Angelo e che nel 1578 affrescava la Caduta dei Giganti nel palazzo Lercari-
Parodi a Genova.
Più che una presenza diretta, qualla di Ottavio è forse una presenza di mediazione
all’interno del lopera del cantiere.
Se le definizioni delle figure, caratterizzate dalla struttura robusta dei particolari
anatomici e le ripologie delle teste femminili rimandano agli affreschi di Ottavio nella
grande sala del secondo piano nobile del palazzo Doria Invrea già Squarciafichi, con
il Giudizio di Paride nel riquadro centrale all tess affresco con la Caduta dei Giganti,
l’esecuzione della scena in palazzo Di Negro con l’affollarsi concitato dell’azione, è
molto vicina all’affresoc con una scena di battaglia fermata da Cersare e Alessandro
Semino già nel salone della villa Pallavicino a Sampierdarena.
Una presenza allora dei figli di Andrea, ma con una qualità più alta che fa
presuppore una guida all’interno dello stesso cantiere?
E’ quanto con ogni probabilità succede nelle due sale con Zeus e Danae e con
Athena e le Muse. Pur nella situazione compromessa da ridipinture anche più
vistose di quelle della sala grande, è facile leggere nella Danae la stessa tipologia di
figure femminili di Ottavio, mentre ancora nel quadro centrale e nelle scene dei
quadri laterali una esecuzione meno abile fa pensare alla mano di aiuti, dotati
tuttavia di una qualità più attenta nel’eseguire i particolari delle annotazioni
paesistiche e nel delineare le piccolo figurette delle scene, specie di quelle poste
nelle cartelle angolari.
Nella struttura familiare all’interno del cantiere la presenza di Cesare e Alessandro
Semino è ancora confermata dal confronto con gli affreschi di alcune salette della
villa Centurione (Musso Piantelli) riferiti alla loro mano su indicazione dell’Alizeri.
E’ anche di collaborazione la sala con Athena e le Muse, con denotazioni stilistiche
che rimandano ancora, per le scenette angolari, ai figli di Andrea, presenti anche in
parte, e sempe con gli stessi limiti di qualità, nel quadro centrale insieme ad aiuti
dotati tuttavia di più sicura qualità nei riquadri laterali,
Meno accertabile la collaborazione nelle due scene con Perseo taglia la testa a
Medusa e Perseo vola verso Andromeda, di finezza di esecuzione visibile nonotante
le ridipinture della seonda scena, Più scoperto l’esecutore delle altre due scene, un
giovane allievo di Andrea Semino, intrinseco della bottega all’inizio della sua carriera,
Bernardo Catello, presente in prima persona nei quadri della cornice della sala
grande con la storia di Paride. Ne indicano la presenza attiva il modo di comporre la
scena con figure in sequenza e inevidenza nello spazio del quadro, con una
denotazione strutturale che pone quasi sempre in primo piano una o più figure di
schiema ad aprire il discorso narrativo e l’uso di una cromia caratterizzata da una
stesura leggera degli strati di colore in sovrapposizione, rispetto alla stesura più
compatta che sembra possibile identificare nell’affresco del quadro centrale con il
ratto di elena.
E’ l’opera quindi di un cantiere attivo nell’ampio panorama della decorazione a fresco
che occupa la scena interna dei palazzo dell’aristocrazia Genovese, con interferenze
e intrecci culturali che dall’antefatto anticipatore e determinante del palazzo di
Andrea Doria a Fassolo, attraverso Luca Cambiaso e Giovanni Battita Castello il
Bergamasco, diventa modello ambito per la committenza e per gli artisti che tale
committenza chiama per l’ornamento e la magnificenza della propria dimora private
Non meraviglia quindi che nella ricca ed estesa produzione di questi cantieri si
registrino presenze operative diverse con diverse fonti di acculturazione.
Come è già stato evidenziato, specie per la desunzione di tematiche o motivi
iconografici, sono spesso le storie incise a far da modello diretto o da fonte di
iscpirazione, come sembra poter indicare per il Ratto di Elena la incisione con lo
stesso soggetto di Marco Dente, per estrapolazione dimotici, come il palazzo che fa
da fondale, la barca che sta per accoglielre Elena, le galee sul fondo, ma
sostanzionalmente per il movimento convulse della scena con gli amanti che lottano
e i cavalli che si impennano.
Assieme si ha l’utilizzazione dei modelli consueti al cantiere, come il quadro con
Zeus e Danae, ceramente di pià alta qualità nella versione data da Andrea Semino
al centro di una volta di una sala del palazzo di Giovanni battista Spinola; o ancora
sempre di Andrea, un bel disegno con Perseo che vola a liberare Andromeda
incatenata sullo scoglio, desunto in controparte per lo stesso soggetto del quadro
della sala con le Imprese di Perseo
Anche il quadro di piccolo dimensioni che resta come unico frammento ad affresco di
un salotto situato sul lato opposto a quello delle sale affrescate in facciata e sul lato
prospiciente la piazza Banchi con la scenal di Orazio coclite sul ponte sublicio, ripete
un’iconografia consueta all’uso di cartoni del cantiere
Sia piure con una valenza pittorica di più alta qualità, anche questo affresco sembra
rientrare nella operazione dello stesso ambito di produzione e con un’iconografia più
consona alla tematica di celebrazione. Troppo poco per dire se l’affresco di questa
piccolo sia fosse isolato o facesse parte di un diesegno iconografico più complesso.
Certo la sua ubicazione in posizione non eminente può far pensare ad un momento
private per il compiacimento e l’orgoglio del suo committente, con il significaot
traslato di exemplum di forza d’animo che Valerio Massimo, certamente la fonte
colta, poneva tra I suoi Dewtti e fatti memorabilia.

10 marzo 1579
Diario di Ambrogio Di Negro

“Ho testé veduto il ritratto veramente somigliante che il pittore Semino ha fatto del
divino poeta Torquato Tasso in su lo sfondo si scorgono Apollo con le Muse e il
cavallo Pegaso mentre con un calico fa sgorgare la fonte della poetica inspirazione.
Avrei piacere che una scena simile comparisse nel decoro affrescato che sis ta
approntando nel palazzo di banchi”

28 febbraio 1567
“Le ciance che si fanno sulla limpidezza del sangue occupano anche gl’huomini della
più eletta ???? e se bene che pochi si risolvano a fondare le proprie(?) case ne’ figli
naturali. Dicono che chi nasce fuori del matrimonio spesso viene allevato di nascosto
e di rado può avere la medesima buona educaizone delli figli legittimi.
Questo al mio Horatio che nel nome del grande poeta ??? di tanti eminenti… novella
Perseo, mercé il mio aiuto, vincere ??? con la famiglia

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