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Dipartimento di Studi letterari, Linguistici e Comparati


Lingua e Linguistica italiana - Daniele D’Aguanno ddaguanno@unior.it

Lezione 6 (22 ottobre 2018)

1. Note sulla morfologia dell’italiano contemporaneo.

1.1. La flessione delle parole italiane.

Il sistema dei morfemi lessicali è aperto (i morfemi lessicali possono aumentare); quello dei
morfemi grammaticali, invece, è chiuso (numero e forme restano sempre gli stessi).
Altre possibilità della flessione (oltre a quella che si ha con la suffisazione) in italiano sono le
seguenti (Iacobini, 2010):
- modificazione vocalica interna: nei verbi, ad es.: vedo ~ vidi;
- diverso accento: nei verbi, ad es.: mangio ~ mangiò;
- costruzioni perifrastiche (cioè uso di più parole): ad es., nei tempi composti dei verbi: ho
mangiato, avrò mangiato; nel grado comparativo dell’aggettivo (più, meno): più
bello, meno dolce.

1.1 Note sulla morfologia del nome.

Il nome è una parola che ha una funzione referenziale (denotativa) nel discorso. Ciò vuol
dire che il nome rappresenta e classifica la realtà extralinguistica. In italiano i nomi presentano
variabilità morfologica: le forme che possono prendere indicano il genere e il numero.
Queste le classificazioni tradizionali del nome:
- nomi propri: Andrea, Carla… (antroponimi: nomi di persona), Napoli, Pompei… (toponimi:
nomi dei luoghi geografici);
- nomi comuni: cane, uomo, sedia… (si riferiscono a tutta la categoria);
- nomi collettivi: gente, folla, squadra…(presentano un insieme di individui);
- nomi concreti/astratti (e nomi con gradi intermedi di astrazione e concretezza): cucchiaino
(concreto), libertà (astratto), disagio…
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Il genere è in italiano una categoria grammaticale che nei nomi presenta un certo valore detto
inerente: ciò vuol dire che il genere non è condizionato da niente di esterno al lessema o alla forma.
Per cogliere meglio questa proprietà si confronti il genere grammaticale di tre oggetti che servono
allo stesso scopo: sedia (femminile) / sgabello (maschile) / sedile (maschile).
Il genere può essere reale: maestro / maestra; studente / studentessa; padre / madre. Oppure,
può essere legato alla tassonomia: per es. arancio : arancia (sono maschili i nomi degli alberi). Le
città sono oggi femminili: Roma, Napoli, Milano…. (da notare l’uso con le squadre di calcio: se la
città è femminile la squadra è maschile: il Napoli; ma un’eccezione è la Roma); se il nome è un
aggettivo sostantivato è femminile: la Salernitana. Con i nomi di nazione il genere coincide: la
Francia, il Brasile.
Articoli e aggettivi non hanno genere e numero inerente. Le loro forme dipendono dal nome
che costituisce la testa del sintagma nominale (vedi lezioni sulla sintassi), e che è dunque il
controllore dell’accordo.
L’accordo è l’armonia delle forme tra parole collegate. In un sintagma come le sedie
piccole, per esempio, l’articolo le e l’aggettivo piccole sono in questa forma per accordo con il
plurale del nome femminile sedia.

Schema delle classi di flessione dei nomi in italiano (D’Achille, Thornton 2003):

1. -o/-i: es. libro/libri, piatto/piatti… maschili (41,2% del Vocabolario di base).


2. -a/-e: casa/case, matita/matite… femminili (30,3% del Vocabolario di base).
3. -e/-i: fiore/fiori, tigre/tigri… (e nomi che finiscono in -tore, -trice, -zione) maschili e femminili
(20,6% del Vocabolario di base).
4. -a/-i: poeta/poeti, artista/artisti (grecisimi – parole derivate dal greco antico – in -ista) (1,2 %
del Vocabolario di base).
5. -o/-a: uovo / uova, lenzuolo / lenzuola… (0,2% del Vocabolario di base; da notare in questo
gruppo la presenza di forme plurali che hanno significati diversi (vedi il dizionario per osso,
ossa, ossi, oppure per braccio, braccia, bracci, fondamento, fondamenta, fondamenti).
6. varie, invariabile: re, caffè, città, foto… (5,4% del Vocabolario di base).
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Le eccezioni alla serie (-o nomi maschili e -a nomi femminili) dipendono dal genere dell’etimo:
mano < MĂNUS s. f.; eco < ĒCHŌ s. f.; e possono subire cambiamenti: asma < gr. asthma (neutro, «è
stato soppiantato nell’uso corrente dal femminile»; il maschile «è proprio dell’uso scientifico e della
prosa più sorvegliata», Serianni, 1988; vedi il dizionario dell’uso, s. v.).

1.2. Il femminile dei nomi di professione e il sessimo nella lingua.

Il femminile dei nomi di professione nell’italiano contemporaneo è l’oggetto di una


questione dibattuta (sessismo della lingua). Si leggano, in merito, i seguenti articoli:
- http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/femminile/Robustelli.html
- http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-
risposte/nomi-professionali-femminili
- http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-
risposte/donne-lavoro-medico-direttore-poeta-ancora-f

Per alcuni (anche alcuni linguisti) i nomi di professione al maschile usati in riferimento a una
donna non sono corretti; anzi, sono svilenti. Perciò, si propone di usare forme come l’assessora, la
professora, l’ingegnera, la giudice, la presidente, la studente ecc.

Le note relative alla morfologia lessicale (manuale di Massimo Palermo, pp. 57-ssg.) si troveranno
all’interno degli appunti connessi alle lezioni sul lessico.

1.3. Morfologia di aggettivi .

Schema delle classi di flessione degli aggettivi:

1. Prima classe: aggettivi a quattro uscite: bello, belli, bella, belle.


2. Seconda classe: aggettivi a due uscite -e, -i: grande (m. e f.), grandi.
3. Aggettivi invariabili: es. blu, pari, dispari.
4. Aggettivi a tre uscite: belg-a (sing. maschile e femminile), belgi, belghe.
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1.3 Note sulla morfologia dei pronomi.

I pronomi dell’italiano hanno forme diverse in base alla funzione sintattica, cioè in base al
ruolo che i pronomi svolgono nella frase (soggetto, oggetto, oggetto indiretto o elementi
circostanziali). I pronomi personali tu, lei, voi sono anche allocutivi, servono cioè per rivolgersi a
qualcuno: tu si usa quando si è in confidenza con qualcuno; lei invece è il normale allocutivo di
cortesia per il singolare (e ammette anche l’accordo al maschile: Lei è pregato / pregata di…;
Professor Longo, oggi la vedo stanco). Nell’italiano regionale di Napoli e in generale in quello
meridionale si usa voi al posto del lei per l’allocutivo di cortesia.
Tu è la forma soggetto della seconda persona; te è la forma complemento: con te, a te, di te
ecc. Ma nell’uso di Firenze, Roma e in quello settentrionale spesso te è anche soggetto (ad. es. te
che ne pensi?).
Merita un approfondimento l’uso dei pronomi di terza persona. Nell’italiano contemporaneo
le forme soggetto normali per la terza persona sono lui, lei, loro e non egli, ella/essa ed essi. Le
ragioni del loro uso sono spiegate di séguito.
Lui e lei, che originano da forme che non avevano il ruolo sintattico di soggetto, sono
pronomi con valore deittico: servono a indicare, cioè, qualcuno che è presente nel contesto
situazionale (o che è possibile individuare sulla base delle conoscenze condivise tra gli
interlocutori). Inoltre, lui e lei sono forme marcate: sono usate, cioè, con una ragione speciale.
Marcano infatti un cambiamento di tema o un’opposizione rispetto a un’altra persona menzionata o
presupposta nel contesto comunicativo (in precedenza o in séguito). Sono comunque obbligatori
quando si sottolinea, appunto, il tema del discorso: Ma che ne dice Carlo? Ah, lui non dice niente…
(il significato è ‘per quanto riguarda lui, quanto a lui a differenza di me o di altri’…); e quando il
pronome è posposto al verbo: Chi l’ha detto? L’ha detto lui/lei!; lui qui è il rema (vedi note sulla
sintassi).
Egli, forma da sempre soltanto soggetto, è un pronome con valore anaforico: si usa, cioè,
perlopiù nello scritto (in misura minore nel parlato) per richiamare qualcuno (un uomo) che è stato
precedentemente menzionato esplicitamentte nel testo. Va notato tuttavia che egli nella sua storia ha
lasciato lo spazio di soggetto non tanto a lui ma al pronome zero (che indichiamo con il simbolo Ø);
ciò vuol dire che nella scrittura contemporanea si usa per la ripresa anaforica l’ellissi (cioè la non
espressione del pronome), che è a tutti gli effetti un coesivo (si parla perciò di anafora zero).
Ella, come egli forma soltanto soggetto, è un pronome ormai da anni in disuso. Si noti che
egli ed ella, comunque, possono essere usati soltanto per il soggetto; sarebbe un errore dire o
scrivere *Presidente, le dichiarazioni da ella rilasciata…, il progetto *da egli diretto. (qui ella,
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allocutivo di cortesia ormai in disuso, e egli non sono il soggetto delle frasi). Lui e lei si usano
invece normalmente anche come complemento: con lui, da lui, a lui ecc. Si noti che ormai lui e lei
vengono usati anche per cose, animali o per concetti al posto di esso (nell’italiano parlato di tutto i
giorni e anche nella lingua degli articoli di giornale dallo stile più ‘brillante’).
Un esempio dell’uso anaforico di egli è nel testo che segue (1), dove il pronome serve a
riprendere il referente Giovanni Schiaparelli, espresso in precedenza nel testo. Un esempio dell’uso
improprio (un ipercorrettismo nell’interlingua scritta di un alunno delle scuole superiori) è nel testo
(2). Si noti che l’errore sarà stato favorito da un insegnamento scolastico rigido e non motivato (un
insegnamento che prescrive rigidamente l’uso esclusivo di egli nello scritto formale e che omette di
spiegare l’uso dell’ellissi come coesivo e il valore marcato di lui):

1. Finalmente troveremo le risposte alle leggende

Per quasi un secolo, a cavallo tra l’Otto e il Novecento, siamo stati sicuri che ci fosse vita su Marte. E
non grazie a miti o leggende: ce lo dicevano le migliori osservazioni astronomiche dell’epoca. Non solo:
eravamo convinti che i nostri vicini planetari fossero molto più avanti di noi, tecnicamente e
socialmente. La colpa (all’epoca il merito) fu soprattutto di Giovanni Schiaparelli, uno dei più grandi
astronomi italiani di tutti i tempi. Dall'Osservatorio di Brera a Milano, a partire dal 1877, egli osservò
Marte per anni, approfittando di un nuovo telescopio tedesco… (G. Bignami, La Repubblica,
11.3.2016)

2. Italo Calvino è nato a Cuba e cresciuto a Sanremo. Egli era compagno di classe del famoso
giornalista Eugenio Scalfari […] si iscrisse alla facoltà di agraria, seguendo le orme del padre
botanico. Ma per questi studi egli non era portato
(si tratta della parte iniziale di un tema scolastico citato in Coletti 2015, p. 106: «Il primo egli
non sarebbe stato esprimibile con lui, non avendo alcuna marcatura, ma il soggetto sarebbe
più correttamente rappresentato dall’assenza del pronome; il secondo egli, un po’ più
marcato (diversamente dal padre, lui, Italo, non era portato per gli studi di agraria) poteva
essere espresso anche da lui. Ma pure in questo caso sarebbe stata più opportuna l’omissione
di qualsiasi pronome. Questi esempi dimostrano che l’uso più improprio e frequente di egli
non è tanto nella sua preferenza rispetto a lui quanto nella sua inutile presenza»).

Il testo che seguemostra bene le incertezze che le forme dei pronomi di terza persona possono
creare negli alunni che stanno imparando a scrivere testi estesi di registro formale. Nel brano (3),
tratto da una recensione scritta da un alunno al secondo anno delle superiori, notate l’uso
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ipercorretto di ella (al posto della sua prima occorrenza sarebbe stato meglio usare come coesivo,
dopo il punto, una ripetizione: ..di 12 anni. Giovanna malgrado…, o inserire una frase relativa: …di
12 anni, che malgrado….). Poi, si osservi il passaggio nello stesso testo al pronome lei, anche
questo non adatto perché l’indicazione non ha nessuna marcatura (non ‘lei e non un altro/un’altra’).
E, di nuovo, si noti l’ulteriore ricorso al disusato ella:

Il libro ci parla della storia di Giovanna, una bambina di 12 anni. Ella malgrado la sua giovane età si
ritrova a scappare ed a rifugiarsi per non farsi trovare dai tedeschi, durante la 2a Guerra Mondiale.
Lei quindi passò gran parte della sua vita a nascondersi. Giovanna durante la sua breve vita scrisse
un diario che raccontava tutta la sua vita e le esperienze di paura e di gioia. Quando ella riuscì a
scappare presentò il suo scritto durante quel periodo nero della sua vita e riuscì a vincere un premio
per la scrittura nel 1963.

Gli, le, loro sono le forme per il dativo (complemento di termine) della terza persona:
valgono ‘a lui’, ‘a lei’, ‘a loro’. Nell’italiano contemporaneo si è ormai molto diffuso l’uso di gli al
posto di loro ‘a loro’, che «non può certo dirsi errore» (Serianni, 1988, p. 214): gli ho dato i biglietti
= ho dato loro i biglietti (loro tende spesso a essere sostituito da gli nella comunicazione
quotidiana: «Loro non è attestato in testi di narrativa, teatro e fiction televisiva […]; loro sembra
invece relegato ai registri più alti dell’italiano», dati dell’Osservatorio linguistico dell’università di
Bologna, cfr. Cardinaletti, 2003). Nel parlato e nello scritto informale gli viene usato anche al posto
del femminile le; si tratta di uso che non è ancora accettato nell’italiano scritto formale.

Ci può esser un pronome personale di prima persona plurale: ci hai chiamato?


(complemento oggetto: hai chiamato noi?), ci ha dato i biglietti (complemento di termine: ha dato i
biglietti a noi). L’origine di ci è nella sequenza latina (ĔC)C(E) HĪ(C) ‘ecco qui’ > ci (il
collegamento semantico è ‘se vedi qui, vedi noi’ (Patota, 2007).
Si usa nei verbi pronominali: ci siamo arrabbiati; e nella costruzione impersonale: ci si vede
dopo (‘ci vediamo dopo’). Ci ha anche valore di dimostrativo: ‘a ciò, su ciò’ e vale in genere come
avverbio di luogo ‘in questo luogo, qui’ (oggi è preferito spesso a vi, che si trova invece in usi
molto formali, perlopiù scritti). Con questo significato ci si usa con il verbo essere quando significa
‘esistere, essere presente, essere qua, trovarsi’: lì c’è un bar, qui ci sono due sedie, c’è nessuno
qui?, c’è tempo. Usato in unione con alcuni verbi e con un pronome, questo ci dà ai verbi dei
significati particolari:
centrare, entrarci: ‘avere a che fare’: ma questo che centra / c’entra?
prenderci ‘indovinare’: ci ho preso ‘ho indovinato’;
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starci ‘essere d’accordo’: ci stai? ‘sei d’accordo?;’


volerci ‘essere necessario’: Quanto (tempo) ci vuole per andare da qui alla stazione?
restarci, rimanerci male: ‘essere delusi, offesi’.

E in unione con il pronome la:


avercela ‘essere arrabbiato con qualcuno’: ce l’ho con lei
farcela ‘riuscire’: sono sicuro che ce la farete

Se si riferisce a una persona ci si usa normalmente solo con il significato ‘con lui’, ‘con lei’, ‘con
loro’: non ci voglio uscire con lei. L’uso di ci con il significato di ‘a lui’, ‘a lei’, ‘a loro’ non è dello
standard ma di varietà substandard (ci ho detto va evitato nello scritto formale e anche medio).
Nell’italiano parlato e nello scritto informale ci si usa anche come rafforzativo del verbo avere: ci
ho fame (a volte scritto anche c’ho o ciò fame nei messaggi informali). Si usa quasi sempre quando
l’oggetto di avere è un pronome personale: come accade, ad esempio, in battute di dialogo come
questa (dove ci ha la forma ce):
- I biglietti ? - Ce li ho io.
- Il biglietto? – Ce l’ho (obbligatorio in questo caso, nessuno risponderebbe ?L’ho).

Con quest’uso il ci è detto “ci attualizzante”: c(i) ho fame, c(i) ho sonno ecc.
L’uso del ci attualizzante è tipico dell’italiano parlato medio in tutta l’Italia. La sua
rappresentazione grafica non si è ancora stabilizzata: si può trovare scritto, ma solo in messaggi
molto informali, o nella prosa narrativa che imita consapevolmente il parlato, in questi tre modi:
c’ho fame, ci ho fame, ciò fame.

Tra gli usi pronominali dell’italiano contemporaneo parlato (colloquiale e poco sorvegliato) c’è
quello del che come relativo analitico: un medico che gli posso telefonare, una spiaggia che ci
torno sempre volentieri (quest’uso sarà approfondito nelle lezioni sul parlato).

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