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Valorizzazione delle risorse

primarie e secondarie M – 6 CFU

Prof.ssa Alessandra Bonoli

Appunti di
Simone Benassi

s
INDICE

1. I principi dello sviluppo sostenibile ............................................................................. 1


Eco-efficienza e dematerializzazione........................................................................ 2

2. Tecnologie per il trattamento delle risorse primarie e secondarie ........................... 10


A) Macchine di riduzione dimensionale (Es ~ 10 ÷ 30 kWh/t) ................................ 10
B) Macchine di classificazione dimensionale o granulometrica (Es ~ 1 kWh/t) ........... 14
C) Macchine di separazione (Es ~ 1 kWh/t) ............................................................. 22
D) Macchine di compressione/presse (Es ~ 1 ÷ 10 kWh/t) ...................................... 28

3. Trattamento acqua e fini (“fango”) ............................................................................. 30

4. Materiale inerte ............................................................................................................. 34


Trattamento dei materiali inerti naturali ................................................................... 34
Trattamento dei rifiuti da materiali inerti .................................................................. 39
Processo di demolizione....................................................................................... 40
Tecnologie di trattamento .................................................................................... 43

5. Il ciclo delle acque nelle attività umane ...................................................................... 48


Gli usi dell’acqua ...................................................................................................... 53
Settore industriale (25%) ..................................................................................... 53
Settore agricolo (63%) ......................................................................................... 54
Settore domestico (civile) (12%) ......................................................................... 55

6. Normativa nazionale sui rifiuti .................................................................................... 56

7. La raccolta differenziata .............................................................................................. 60

8. Filiere di rifiuto da raccolta differenziata................................................................... 62


Il riciclo della carta (22% dei RU) ............................................................................ 62
Il riciclo del legno (3% dei RU) ................................................................................ 64

Appunti dell’A.A. 2012/2013 

  Valorizzazione delle risorse I e II M – Indice moduli – Simone Benassi i  


Il riciclo dei metalli (3% dei RU).............................................................................. 65
Il riciclo dell’acciaio ............................................................................................ 65
Il riciclo dell’alluminio ........................................................................................ 65
Il riciclo del vetro (7% dei RU) ................................................................................ 68
Il riciclo della plastica (10% dei RU)........................................................................ 70
Il riciclo del PVC (Polivinilcloruro) .................................................................... 71
Consorzi Nazionali Obbligatori ................................................................................ 72
Il riciclo della frazione umida (organica) – Il compostaggio .................................... 73
Trattamento Meccanico Biologico – TMB ............................................................... 77

9. Inceneritori e termovalorizzatori ................................................................................ 80


Il processo di incenerimento ..................................................................................... 80
La filtrazione delle emissioni al camino ................................................................... 81
Il recupero delle scorie (bottom ashes) ..................................................................... 83
Il recupero dell’alluminio e degli altri metalli ..................................................... 84

10. La discarica .................................................................................................................. 86

11. La gestione dei RAEE (CER 160200) ........................................................................ 89

12. Veicoli Fuori Uso – VFU (CER 160104*).................................................................. 92

13. Pneumatici Fuori Uso – PFU (CER 160103) ............................................................ 95

14. Tecnologie appropriate ............................................................................................... 96


Tecnologie appropriate per l’acqua........................................................................... 97
Tecnologie appropriate per la gestione dei rifiuti solidi ........................................... 102
CAT - Centre for Alternative Technology (UK) ...................................................... 105

15. Energie ......................................................................................................................... 106

A c r o n i m i .......................................................................................................................... 109

Appunti dell’A.A. 2012/2013 

  Valorizzazione delle risorse I e II M – Indice moduli – Simone Benassi ii  


1. I PRINCIPI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Nel corso si farà sempre distinzione fra:
1. Risorsa primaria à risorsa che deriva da una materia prima naturale;
2. Risorsa secondaria à risorsa che deriva da un rifiuto.

1987 à Rapporto Brundtland, meglio conosciuto come Our Common Future, con il quale viene
introdotto per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile.

Intorno al 2007 si comprende che le risorse non sono illimitate/infinite: le risorse sono destinate a
ridursi drasticamente e ad esaurirsi inesorabilmente.
Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile sono:
1. Garantire un accesso continuo e duraturo alle risorse naturali;
2. Evitare danni permanenti all’ambiente à perpetrando i fenomeni di inquinamento odierni
l’ambiente sarà danneggiato inesorabilmente.

Prendendo come riferimento la prima caratteristica, si può tradurre come: “la velocità di prelievo
deve essere uguale (o minore) alla velocità di rigenerazione delle risorse”.
Ciò suggerisce di utilizzare materie seconde ed energie rinnovabili.

Inoltre “la velocità di produzione dei rifiuti deve essere uguale (o minore) alla capacità di
assorbimento degli ecosistemi in cui gli stessi rifiuti vengono immessi”.
Ciò suggerisce di minimizzare la produzione di rifiuti e massimizzare le attività di riciclaggio.

Fonte rinnovabile à fonte che si rigenera da se stessa in tempi paragonabili a quelli del suo
consumo (es.: energia da biomassa).
Se consumo tutta la risorsa, senza lasciargli il tempo di rigenerarsi, allora la
fonte/risorsa non è rinnovabile.

Le materie prime non sono risorse/fonti rinnovabili: è necessario quindi riutilizzarle e riciclarle.

⅔ delle risorse presenti sulla Terra sono sconosciute, per vari


⅓(3)
motivi:
⅓(2) - Non le conosciamo;
- Non riusciamo a localizzarle.

⅔ Del terzo delle risorse che conosciamo solo ⅓ sono sfruttabili


(alcune risorse potrebbero trovarsi sul fondo dell’oceano).
⅓(1)
Ancora, solo ⅓ delle risorse sfruttabili le stiamo
effettivamente utilizzando a causa per esempio di condizioni
Risorse Risorse politiche avverse caratterizzanti i paesi in cui sono localizzate.
sconosciute conosciute

Ottimizzare l’utilizzo delle risorse diventa quindi fondamentale.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 1
Prendendo come riferimento la seconda caratteristica dello sviluppo sostenibile si definisce
l’ecosistema come una porzione di biosfera limitata naturalmente, come per esempio l’aria, l’acqua
o il suolo.
I tre ecosistemi appena citati hanno una grande (ma non infinita) capacità di assimilare/assorbire e
smaltire l’inquinamento.
Oggi, a causa di un eccesso di scarichi, gli ecosistemi “faticano” sempre di più.

Materie prime Rifiuti Inquinamento


Attività qualsiasi

Materia seconda
Riciclo e recupero

Attraverso il riciclo e il recupero si riduce l’utilizzo di materie prime, riducendo di conseguenza i


rifiuti e l’inquinamento derivante da questi.
Realizzando quindi il riciclo e il recupero si avvia un ciclo virtuoso che è caratterizzato solo da
vantaggi, dal punto di vista:
 Ambientale;
 Economico;
 Energetico;
 …

Eco-efficienza e dematerializzazione
Economia dei cicli chiusi à in estrema sintesi significa allungare il ciclo di vita dei prodotti e
ridurre l’input di risorse ed energia a monte e i rifiuti e le merci
“negative”, per unità di produzione, a valle del processo di
trasformazione.

Dematerializzazione/Smaterializzazione à dei prodotti e dei servizi.


Con particolare riferimento ai prodotti, che diventano
sempre più durevoli, leggeri, piccoli, a parità di
funzionalità, minimizzando quindi la generazione di
rifiuti al termine del ciclo di vita (es.: oggi il vetro
pesa, a parità di prestazioni, il 30% in meno rispetto a
30-40 anni fa).

Oggi un processo efficiente segue la logica della riduzione degli sprechi e dell’ottimizzazione
dell’uso delle risorse.
Si passa da un sistema lineare aperto (materia prima à attività qualsiasi à rifiuti à inquinamento)
a un sistema circolare chiuso.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 2
Infatti, il sistema lineare aperto si basa su due ipotesi che abbiamo già visto essere errate:
1. Materie prime ed energia illimitate;
2. Ecosistemi in grado di smaltire tutto l’inquinamento.

Attraverso un’analisi ABC (Pareto) si è dimostrato che il 20% della popolazione mondiale consuma
più dell’80% delle risorse presenti sul nostro pianeta.
Si parla oggi di Terza Rivoluzione Industriale che si basa su tre concetti cardine:
1. Utilizzo delle energie verdi in quanto i combustibili fossili stanno per esaurirsi;
2. L’energia in surplus deve essere condivisa in rete, generando costi inferiori della stessa;
3. L’energia deve essere prodotta in modo capillare e diffuso.

Le materie prime non sono risorse rinnovabili, se non in tempi lunghissimi (ere geologiche).
L’acqua potrebbe essere una risorsa rinnovabile o meno (di fondamentale importanza in quanto è
utilizzata in tantissimi processi di trattamento) mentre l’energia è sicuramente una risorsa
rinnovabile.
L’obiettivo delle comunità oggi è avere rifiuti 0.

La distinzione fra risorsa primaria e secondaria è definita esclusivamente in funzione dell’origine


del materiale e non in funzione della qualità dello stesso: alcune risorse secondarie (materia seconda
o materia riciclata) possiedono la stessa identica qualità della rispettiva risorsa primaria (≠ materia
prima o materia naturale).

Nell’ambito dei processi di trattamento che andremo ad analizzare nel proseguo del corso, ricopre
un ruolo fondamentale il concetto di bilancio di massa: sarà analizzato il rapporto fra quanto entra
nell’impianto e quanto esce dallo stesso.

In Out
IMPIANTO
Qin Qout

Qin = Qout à la portata in ingresso deve essere uguale alla portata in uscita.

Per ora l’impianto, ossia il processo di trattamento specifico, è un’incognita, una scatola nera.
Lo stesso bilancio di massa realizzato per le portate totali in ingresso e in uscita (Qin e Qout) può
essere realizzato per le singole categorie merceologiche che entrano nell’impianto.

f1 % F1
f2 % In F2 Out
IMPIANTO
f3 % Qin F3 Qout
f4 % F4
Ri

r1 % r2 % r3 % r4 %

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 3
Dove: Qin à portata totale in ingresso
Qout à portata totale in uscita
n à numero di categorie merceologiche presenti nella portata totale in ingresso Qin
Fi à portata della categoria merceologica i-esima in uscita
Ri à portata degli scarti della categoria merceologica i-esima
fi % à percentuale della categoria merceologica i-esima presente nella portata totale in
ingresso Qin
ri % à percentuale della categoria merceologica i-esima presente nella portata degli scarti R

Attraverso il processo di trattamento è possibile separare le differenti categorie merceologiche l’una


dall’altra.
n

Qin = ∑ Fi + Ri = Qout à bilancio di massa generale


i=1

Lo stesso ragionamento può essere realizzato per ogni singola categoria merceologica:

Materiale 1 à f1 . Qin = F1 + r1 . R à bilancio di massa per il materiale 1

… e così via per gli altri materiali.

È possibile definire due tipologie di rendimento:

∑ Fi
i=1
1. Rendimento di recupero à Rrec = . 100 [%]
Qin

“Quanto si riesce a recuperare in relazione a quanto è entrato


nell’impianto?”

Fi
2. Rendimento di separazione à Rsep(i) = . 100 [%]
fi . Qin

“Quanto si riesce a recuperare del singolo materiale in


relazione a quanto è entrato nell’impianto?”

Il rendimento di recupero fa riferimento alla portata totale in ingresso Qin mentre il rendimento di
separazione fa riferimento ai singoli materiali.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 4
Un impianto (processo di trattamento) ha bisogno di energia per poter funzionare: la maggior parte
dell’energia è spesa nella fase di riduzione dimensionale (trattata nel capitolo successivo).
Le macchine utilizzate nei processi di trattamento possono essere preliminarmente classificate in
funzione dell’energia specifica Es (kWh/t) di cui necessitano per realizzare lo specifico trattamento:
 Macchine di riduzione dimensionale à Es ~ 10 ÷ 30 kWh/t
(o macchine di comminuzione) In questo fase l’energia specifica richiesta è
inversamente proporzionale alla dimensione
del materiale da ridurre: a parità di portata è
richiesta più energia per ridurre materiali fini
rispetto a materiali grossolani (andamento
esponenziale).

 Macchine di classificazione dimensionale o granulometrica à Es ~ 1 kWh/t

 Macchine di separazione à Es ~ 1 kWh/t à separazione del materiale in funzione di


densità, campo magnetico, …

 Macchine di compressione/presse à Es ~ 1 ÷ 10 kWh/t

Successivamente, conoscendo l’energia specifica richiesta e la portata di materiale da trattare, è


possibile definire in maniera molto semplice la potenza da installare sulla specifica macchina:

P = Es . Qin [kW]

Esempio numerico: separazione di cavi di rame dalla guaina di gomma.

frame % In IMPIANTO DI Frame

fgomma % Qin TRITURAZIONE Qout


Fgomma

Ri

rrame % rgomma %

Dati:
Qin = 100 Kg
Frame = 75 Kg à 95% rame + 5% gomma
Fgomma = 25 Kg à 73% gomma + 27% rame
frame = 78%
fgomma = 22%

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 5
Frame reale = 95% x Frame = 0,95 x 75 Kg = 71,25 Kg effettivi di rame recuperato

Fgomma reale = 73% x Fgomma = 0,73 x 25 Kg = 18,25 Kg effettivi di gomma recuperata

∑ Fi
i=1 75 + 25
Rrec = . 100 = . 100 = 100%
Qin 100

Fi
Rsep(i) = . 100 [%]
fi . Qin

Frame reale 71,25


Rsep(rame) = . 100 = . 100 = 91,34%
frame . Qin 0,78 x 100

Fgomma reale 18,25


Rsep(gomma) = . 100 = . 100 = 82,95%
fgomma . Qin 0,22 x 100

Se al posto di Frame reale si fosse utilizzato Frame si sarebbe commesso un errore in quanto in questa
grandezza (portata del rame in uscita) è ancora contenuta una percentuale (5%) di gomma e,
viceversa, nella portata Fgomma (portata di gomma in uscita) è ancora contenuta una percentuale
(27%) di rame.

Esempio numerico: separazione di materiale inerte da costruzione (calcestruzzo armato)


CDW (rifiuti fa demolizione e costruzione)

finerti % In Finerti
IMPIANTO
facciaio % Qin Qout
Facciaio

rinerti % racciaio %

Dati:
Qin = 100
Finerti = 92,0 finerti = 94,5%
Facciaio = 4,9 facciaio = 5%
R = 3,1 0,5% di frazioni leggere che non possono essere riciclate
(plastica, legno, …)

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 6
Qin = Qout
n

Qin = ∑ Fi + Ri = Finerti + Facciaio + R = 92,0 + 4,9 + 3,1 = 100 = Qout


i=1
n

∑ Fi
i=1 92,0 + 4,9
Rrec = . 100 = . 100 = 96,9%
Qin 100

Fi
Rsep(i) = . 100 [%]
fi . Qin

Finerti 92,0
Rsep(inerti) = . 100 = . 100 = 97,35%
finerti . Qin 0,945 x 100

Facciaio 4,9
Rsep(acciaio) = . 100 = . 100 = 98%
facciaio . Qin 0,05 x 100

In questo secondo esempio attraverso il processo di trattamento si riesce ad ottenere separatamente


materiale inerte e acciaio, senza la presenza di alcun mix.

Esempio numerico: trattamento di un misto secco di rifiuti urbani.

Percentuali dei materiale in ingresso


plastica
15   Fcarta
metalli 12   carta
40   In IMPIANTO Fvetro
vetro
33   Qin DA 20 t/h Fmetalli Qout
Fplastica
R
Carta   Vetro   Metalli   Plastica  

rcarta % rvetro %
rmetalli % rplastica %
Dati:
Qin = 20 t/h
Fcarta = 6,9 t/h fcarta = 40%
Fvetro = 6,3 t/h fvetro = 33%
Fmetalli = 2,4 t/h fmetalli = 12%
Fplastica = 2,8 t/h fplastica = 15%

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 7
n

Qin = ∑ Fi + Ri = Fcarta + Fvetro + Fplastica + Fmetalli + R = Qout


i=1

L’incognita in questo caso è R (nei dati del problema non è fornito il valore della portata degli scarti):

R = Qin – Fcarta – Fvetro – Fplastica – Fmetalli = 20 t/h – 6,9 t/h – 6,3 t/h – 2,8 t/h – 2,4 t/h = 1,6 t/h

∑ Fi
i=1 6,9 + 6,3 + 2,8 + 2,4
Rrec = . 100 = . 100 = 92%
Qin 20

Fi
Rsep(i) = . 100 [%]
fi . Qin

Fcarta 6,9
Rsep(carta) = . 100 = . 100 = 86,25%
fcarta . Qin 0,4 x 20

Fvetro 6,3
Rsep(vetro) = . 100 = . 100 = 95,45%
fvetro . Qin 0,33 x 20

Fmetalli 2,4
Rsep(metalli) = . 100 = . 100 = 100%
fmetalli . Qin 0,12 x 20

Fplastica 2,8
Rsep(plastica) = . 100 = . 100 = 93,3%
fplastica . Qin 0,15 x 20

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 8
Esempio numerico: Trattamento Meccanico Biologico (TMB).

100

Riduzione dimensionale

2% ferro Deferizzazione I

98%
54% 44%
Selezione

Secco Umido

Deferizzazione II Stabilizzazione

2% 1% 28,6% FOS Perdite di


materiali materiali processo
ferrosi non ferrosi 15,4%

CDR 47%

Perdite di
processo 4%

FOS à Frazione Organica Stabilizzata


CDR à Combustibile Da Rifiuto

Fmetalli = 5% Qin = 100


FCDR = 47%
FFOS = 28,6%
Perdite di processo = Scarti = 4% + 15,4% = 19,4%

∑ Fi
i=1 5 + 47 + 28,6
Rrec = . 100 = . 100 = 80,6%
Qin 100

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 1 I principi dello sviluppo sostenibile – Simone Benassi 9
2. TECNOLOGIE PER IL TRATTAMENTO DELLE RISORSE
PRIMARIE E SECONDARIE
Saranno ora introdotte le tecnologie per il trattamento delle risorse primarie e secondarie, che
possono essere classificate in:
A. Macchine di riduzione dimensionale (o macchine di comminuzione);
B. Macchine di classificazione dimensionale o granulometrica;
C. Macchine di separazione;
D. Macchine di compressione/presse.

A) Macchine di riduzione dimensionale (Es ~ 10 ÷ 30 kWh/t)


La maggior parte dei trattamenti è caratterizzata da una fase preliminare di riduzione dimensionale
del materiale con lo scopo di ottenere la corretta dimensione per favorire la separazione dello stesso
materiale nei trattamenti a valle.
Ogni macchina di riduzione dimensionale è caratterizzata da uno specifico rapporto di riduzione:
Dimensione materiale in ingresso
Rapporto di riduzione = =r
Dimensione materiale in uscita
Il frantoio è la macchina utilizzata per la riduzione dimensionale del materiale.
Esistono differenti tipologie di frantoi:
A.1. Frantoio primario o a mascelle à anche detto frantoio Blake, lavora per compressione.
r ~ 8 ÷ 10
ne
en tazio
Alim
Camera di frantumazione

Mascella fissa Mascella mobile

Uscita del
materiale ridotto

Regolazione (m)

La mascella mobile è collegata all’albero motore


attraverso una biella-manovella (doppio effetto): la
frantumazione del materiale avviene per 3-5 cicli.
La regolazione permette di definire la grandezza massima
di uscita del materiale.

A.2. Frantoio secondario à anch’esso lavora per compressione ed è utilizzato solitamente in


r ~ 10 cascata al frantoio primario per la riduzione dimensionale di materiali
più fini.
La mascella mobile è collegata direttamente all’albero motore
(semplice effetto).

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 10


A.3. Frantoio rotativo à anche detto idro-cono, lavora per compressione.
r ~ 10 ÷ 20 L’albero, su cui è imperniato il cono frantumatore (su cui sono poste le
mascelle), si allontana e avvicina ciclicamente al telaio, andando a
frantumare il materiale.

Alimentazione

Camera di frantumazione

Mascelle mobili

Telaio Telaio

Cono frantumatore

Regolazione (m)

A.4. Frantoio a cilindraia à lavora per compressione.


È costituito da due cilindri contro-rotanti con asse parallelo.
I cilindri possono essere lisci o dotati di denti o veri e propri taglienti
che facilitano la frantumazione.

Alimentazione

Regolazione (m)

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 11


A.5. Frantoio a martelli à anche detto frantoio a urto/impatto, lavora per urto.
r ~ 30 Nella camera di frantumazione un rotore dotato di un determinato
numero di protuberanze (martelli) impatta il materiale, frantumandolo.
La camera di frantumazione è rivestita da materiale anti-usura, il quale
genera una seconda frantumazione per urto/impatto.
Si ha quindi una frantumazione per urto diretto contro i martelli e una
frantumazione per urto indiretto contro la camera di frantumazione.
Come appare chiaro questa macchina è soggetta a maggiore usura
rispetto a quelle descritte in precedenza (specialmente i martelli): per
questo motivo è caratterizzata da meccanismi automatici di apertura
che ne agevolano la manutenzione.
I martelli possono raggiungere una velocità di rotazione di circa 50 m/s.
Alcuni frantoi di questo tipo presentano una griglia di uscita che
trascina il materiale ancora grossolano verso l’alto per subire un altro
ciclo di frantumazione.

Al
im
ent
azi
on
e
Camera di frantumazione

Rotore
Martelli

Materiale ancora grossolano

Regolazione (m)
Griglia

A.6. Frantoio a martelli II à il principio di funzionamento è lo stesso della tipologia di frantoio


r ~ 30 precedente con la differenza che al posto dei martelli sono presenti
dei denti: il rotore può essere visto come una fresa.

A.7. Doppio frantoio a martelli à è costituito da due rotori contro-rotanti dotati di martelli.
r ~ 30 Il principio di funzionamento è molto simile a quello del
frantoio a cilindraia.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 12


A.8. Frantoio ad asse verticale à si tratta di una macchina a percussione centrifuga.
I blocchi di materiale si scontrano l’un l’altro, frantumandosi: si
parla quindi di auto-frantumazione.
Il processo di usura è roccia contro roccia e non più roccia
contro acciaio: inoltre le pareti della camera di frantumazione
sono completamente rivestite di roccia.
La velocità del rotore è estremamente elevata (55 ÷ 95 m/s).

A.9. Cesoie rotanti à è costituito da due cesoie contro-rotanti, la cui dentatura varia al variare del
materiale da frantumare.
Sono utilizzate per materiali particolari come pneumatici, plastiche e legno.
Durante la frantumazione se un elemento blocca la rotazione, un sistema
automatico inverte la rotazione stessa per permettere all’elemento di
fuoriuscire dall’alto: una volta sbloccate le cesoie la rotazione riprende
normalmente verso il basso.

Alimentazione Alimentazione

Funzionamento normale Funzionamento per liberare


un elemento bloccato

A.10. Frantoio per trucioli metallici à frantoio utilizzato per il riciclaggio dei trucioli
provenienti dalle lavorazioni delle officine meccaniche e
per il recupero di oggetti voluminosi di lamiera sottile,
come vecchi bidoni, fusti metallici e soprattutto delle
carrozzerie di vecchie automobili.

A.11. Mulino a barre à è costituito da un grande cilindro che ruota intorno al proprio asse
r ~ 50 ÷ 100 orizzontale: il materiale posto all’interno del cilindro rotante rappresenta
la carica macinante.
La frantumazione avviene per compressione, urto/impatto, taglio, usura e
abrasione, generando di conseguenza un notevole consumo energetico.
Questa macchina può lavorare sia a secco sia a umido, generando in
questo secondo caso una polpa in uscita.
Una variante costruttiva è il mulino a sfere (r ~ 100 ÷ 200).

Le mascelle dei frantoi descritti possono essere lisce oppure scanalate e sagomate per permettere
una più agevole frantumazione del materiale da ridurre.
Possono essere presenti getti d’acqua che riducono le eventuali polveri generate dalla
frantumazione, mentre tutte le macchine fin qui citate possono essere applicate a piccoli impianti
mobili.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 13


B) Macchine di classificazione dimensionale o granulometrica (Es ~ 1 kWh/t)
Esistono due tipologie di classificazione:
1. Classificazione diretta à si ha la separazione di materiali grossolani, di dimensione > 1 mm.
Sono utilizzati i vagli. Anche detta vagliatura.

2. Classificazione indiretta à si ha la separazione di materiali fini, di dimensione < 1mm.


Sono utilizzati i classificatori indiretti o, se il materiale è
ancora più fine, separatori di fase.

Per quanto riguarda la classificazione diretta esistono differenti tipologie di macchine:


B.1. Alimentatore a barre à è costituito da una serie di barre parallele che filtrano il materiale
che andrà in ingresso ad altre macchine, come per esempio le
macchine di riduzione dimensionale.
Tutte le tecnologie che saranno analizzate lavorano in maniera
ottimale se alimentate in maniera continua e regolare, giustificando
quindi un controllo della portata in ingresso all’impianto.
Il modello costruttivo può essere statico o dinamico (le barre vibrano).

Alimentazione

In realtà la sezione delle barre parallele


m
è trapezoidale, permettendo un più
agevole passaggio del materiale
Regolazione conforme alla luce di passaggio m e
riducendo le probabilità di intasamento
(un elemento che passa al limite, nello
stadio successivo di discesa è
immediatamente agevolato).

Regolazione

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 14


B.2. Alimentatore a rulli à è costituito da una serie di rulli equi-rotanti paralleli che filtrano il
materiale che andrà in ingresso ad altre macchine, come per esempio
le macchine di riduzione dimensionale.

Alimentazione

Regolazione

B.3. Vaglio à è costituito da una rete di forma e sagomatura differente in relazione al materiale che
deve essere filtrato: questa superficie prende il nome di superficie vagliante.
Un vaglio realizza una classificazione granulometrica, ossia in funzione della
dimensione del materiale.
È possibile distinguere due tipologie di superficie vagliante:

- Superfici a rete à

- Superfici a maglie perforate à

La superficie vagliante può essere piana o leggermente inclinata (α = 15° ÷ 18°), per
favorire lo scorrimento del materiale, dando luogo quindi alla distinzione fra vagli
piani e vagli inclinati.

Alimentazione

SOVVALLO
m α d>m
d<m
SOTTOVAGLIO

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 15


B.4. Vibrovaglio à un sistema automatico fornisce una vibrazione sia longitudinale che verticale
alla superficie vagliante.
Anche in questo caso è possibile distinguere vibrovagli piani e vibrovagli
inclinati.

Alcune macchine possono essere caratterizzate da più superfici di vagliatura,


dando così luogo alla cosiddetta torre di vagliatura: le superfici vaglianti che
la costituiscono sono caratterizzate da una luce di passaggio m decrescente
dall’alto in basso.

m1
m2
P1
m3
P2
m4
P3
m5
P4
P5
P6

m1 > m2 > m3 > m4 > m5 e conseguentemente P1 > P2 > P2 > P4 > P5 > P6

Numero di classi granulometriche = numero di sup. vaglianti + 1

B.5. Vaglio rotativo à è costituito da una superficie vagliante cilindrica.


Il cilindro ruota con una velocità ω bassa intorno al proprio asse, necessariamente
inclinato (α = 15° ÷ 18°), per permettere al materiale grossolano di scorrere
più agevolmente al suo interno.

Alimentazione Alimentazione
ω ω

d>m d>m
α α

d<m d<m

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 16


Anche in questo caso alcune macchine possono essere caratterizzate da più
superfici di vagliatura: in questo caso sussiste un rischio di intasamento in
quanto la maglia più piccola (m1) incontra immediatamente tutta la portata del
materiale.
Questa tipologia di macchina può essere utilizzata per realizzare un lavaggio
di massima, ossia per liberare il composto da materiale finissimo in
sospensione: l’acqua può essere introdotta nel cilindro in equi o contro
corrente.

Alimentazione
ω
m1

m2

m3

P1
P4
α
P2

P3

m1 < m2 < m3 e conseguentemente P1 < P2 < P3 < P4

Oggi pochissimo utilizzati sono i vagli rotativi concentrici di sezione


decrescente in quanto nella zona di diminuzione della sezione sussiste il
problema dell’intasamento del materiale.

Sono ora introdotti due parametri fondamentali: l’efficienza e la capacità del vaglio.

Alimentazione
A, a%

m α R, r%
P, p% d>m
d<m

Dove: A à Alimentazione
P à Passato a%, p%, r% à percentuale di materiale di d < m
R à Residuo

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 17


1
p.P
Efficienza del vaglio à E = . 100 [%] à non è mai o quasi mai 1 perché una frazione
a .A
del materiale fine rimane legato al materiale
grossolano che non è filtrato.

Dalle seguenti equazioni di continuità cerchiamo di scrivere tutto in funzione delle percentuali di
materiale di d < m:

A=P+R R=A–P R=A–P


a .A = p. P + r .R a . A = p . P + r . (A – P) a . A = p . P + r .A – r .P

R=A–P R=A–P R=A–P


a . A – r . A = p . P – r .P A . (a – r) = P . (p – r)
P (a – r)
= 2
A (p – r)

Sostituendo la 2 nella 1 otteniamo l’efficienza del vaglio espressa in funzione delle


percentuali di materiale di d < m:

p.P p . (a – r)
E= . 100 = . 100 [%]
.
a A .
a (p – r)

Per r à 0, E à 100%
Per r à ∞, E à 0

Per i vibrovagli à E ~ 90 ÷ 95% Efficienza sempre funzione della tipologia di alimentazione,


Per i vagli rotativi à E ~ 80 ÷ 90% che deve essere il più possibile continua e regolare.

La capacità del vaglio è definita come:

α
C=k.S.m [t/h] L’ordine di grandezza è ~ 10 ÷ 30 t/h

Dove: k à coefficiente correttivo che varia da macchina a macchina


2
S à superficie vagliante [m ]
m à luce di passaggio della maglia [mm]
α à coefficiente correttivo

Per il vibrovaglio la formula della capacità è la seguente:


ρs
C = 1,4 . . S . m0,6
γ
3
Dove: ρs à densità del materiale [t/m ]
2 2
S à superficie vagliante [m ] à per vagli industriali S = 1 ÷ 4 m
m à luce di passaggio della maglia [mm]
γ à percentuale di materiale di dimensione critica à 0,5 m < d < 1,5 m

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 18


È possibile dimostrare che l’efficienza di una macchina qualsiasi dipende in maniera
importante dalla capacità e quindi dall’alimentazione alla stessa macchina:
per Cì à Eî e viceversa.
E

C
*
C

Alimentazione ottimale

Alimentazione “mono-strato”

Con capacità scarsa l’efficienza non è massima a causa dell’effetto di rimbalzo: il materiale di
d < m rimbalza sui fili della superficie vagliante, senza essere filtrato.
L’alimentazione mono-strato consiste nell’alimentare la superficie vagliante con un solo strato di
materiale per evitare che una consistente percentuale di materiale fine di d < m non venga a contatto
con la stessa superficie vagliante e che quindi non sia filtrata (effetto di oscuramento).

Alimentazione A, a%

à Multi-strato à Eî

R, r% Cì à rì à Eî


m
P, p% d>m
d<m

Alimentazione A, a%

à Mono-strato à Eì

m R, r% C* à rî à Eì
P, p% d>m
d<m

B.6. Filtro Johnson à costituite da maglie finissime che permettono di effettuare vagliature fini
(es.: separazione di sabbia finissima da acqua di pozzo).

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 19


Le superfici vaglianti possono essere realizzate con materiali differenti come metallo, gomma,
poliuretano.
Una superficie vagliante deve presentare determinati requisiti:
 Lunga resistenza all’usura;
 Assenza di corrosione;
 Forte riduzione dei rumori;
 Resistenza al calore;
 Buon rapporto vuoto su pieno;
 Possibilità di vagliare materiali intasanti;
 Alta resistenza alle flessioni.

La classificazione indiretta è realizzata sulla base della differente velocità che hanno le particelle
di diversa dimensione immerse in acqua.
“Giocando” sulle differenti velocità limite dei diversi materiali, che a loro volta dipende in maniera
quadratica dalla dimensione del materiale, è possibile separare il materiale fine che esce di sfioro,
dal materiale grossolano che precipita sul fondo.
ρS + ρF
Velocità limite verticale à VL = . dg2 à Legge di Stokes
18 µI

VO VO
VO à velocità limite orizzontale
VL à velocità limite verticale (velocità di caduta)
VL
VL

Per quanto riguarda la classificazione indiretta esistono differenti tipologie di macchine:


B.6. Classificatore a spirale à le particelle fini rimangono in sospensione uscendo di sfioro
mentre le particelle grossolane precipitano sul fondo: un sistema di
movimentazione sul fondo della macchina sposta il materiale
grossolano verso l’apposita uscita.

Materiale
H2O + materiale grossolano
fine in sospensione

Sistema di movimentazione

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 20


B.7. Idrociclone à anche detto ciclone, è costituito da una sezione cilindrica e una sezione
tronco-conica.
Il materiale fine immerso nell’acqua entra tangenzialmente nella sezione
cilindrica: l’acqua esce dall’alto mentre il materiale fine precipita in basso,
accumulandosi in un serbatoio. Questa macchina può lavorare a secco, a umido
o ad aria.
H2O

H2O + materiale
fine in sospensione
Vista dall’alto
H2O + materiale
fine in sospensione

Serbatoio di accumulo
Materiale fine

B.8. Sfangatrice a tamburo in controcorrente à è costituita da un cilindro che ruota lentamente


intorno al proprio asse, necessariamente
inclinato (α = 15° ÷ 18°), per permettere al
materiale di scorrere al suo interno.
Questa tipologia di macchina è utilizzata per
realizzare il lavaggio del materiale: l’acqua
può essere introdotta nel cilindro in equi o
controcorrente.

Alimentazione
materiale sporco

H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”)
H2O pulita
α
Solido “pulito”

Il “fango” in uscita sarà poi inviato al processo


di trattamento dell’H2O (approfondito nel cap. 3).

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 21


B.9. Scolatrice a coclea à il funzionamento è il medesimo del classificatore a spirale con la
differenza che questa tipologia di macchina è utilizzata per realizzare il
lavaggio del materiale.
Non separa il materiale, ma ne realizza il lavaggio.

B.10. Scolatrice a tazze à è costituita da tazze forate che trattengono liberando il materiale fine
l’H20.

C) Macchine di separazione (Es ~ 1 kWh/t)


Vediamo ora i principi di funzionamento su cui si basano le macchine di separazione.
È possibile distinguere due principi di funzionamento fondamentali:
1. Separazione gravimetrica;
2. Separazione magnetica.

La separazione gravimetrica sfrutta le differenze di densità (ρ) o resistenza aerodinamica dei


diversi materiali.
Tanto più le densità o le resistenze aerodinamiche sono diverse, tanto più i rendimenti di
separazione saranno elevati:
Δρì à Eì
Δρî à Eî à anche se oggi esistono macchine che permettono di ottenere rendimenti elevati
anche in questa condizione.
Le macchine che si basano su questo principio di funzionamento possono lavorare a secco, a umido
o ad aria.

Esistono differenti tipologie di macchine basate sulla separazione gravimetrica:


C.1. Classificatore ad aria o aeraulico à è costituito da una tubazione di differente forma in cui
è soffiata aria in contro corrente ad una certa velocità:
dall’alto della tubazione è introdotto il composto
(insieme di materiali) che deve essere separato.
Il materiale leggero (densità bassa) esce dall’alto della
tubazione, mentre quello pesante cade per gravità.

Alimentazione Alimentazione Alimentazione

Mat. con ρ bassa Mat. con ρ bassa Mat. con ρ bassa

1 2 3
Aria

Aria
Ar
ia

Mat. con ρ alta Mat. con ρ alta Mat. con ρ alta

– Efficienza e rendimento +

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 22


1 à cilindro classico;
2 à successione di gomiti che realizzano una
deviazione di flusso, aumentando la probabilità di
intercettare il materiale;
3 à sistema ad albero di natale o “sistema pulsante”.

Il materiale leggero separato può successivamente


subire un ulteriore trattamento all’interno di un ciclone
e in seguito trasportato al proprio processo di riciclo.
È importante che il materiale in ingresso alla macchina
sia omogeneo dal punto di vista della granulometria in
modo da realizzare una separazione esclusivamente dal
punto di vista della densità.

C.2. Classificatore ad aria “a coltello” à uno o più getti d’aria agenti sul nastro trasportatore
spostano il materiale leggero in una zona di scarico
differente rispetto al materiale pesante che rimane
fermo sul mezzo di movimentazione.

Vista dall’alto

Mat. con ρ bassa

Alimentazione
Mat. con ρ alta

Getti d’aria Nastro trasportatore

C.3. Separatore a letto fluido (a secco) à è costituito da un piano vibrante poroso e leggermente
inclinato (α ∼ 5°) attraversato da un flusso d’aria.
L’azione combinata dell’aria e della vibrazione fa sì che
si produca un effetto di fluidificazione e stratificazione
del rifiuto, in base alle differenti velocità di
sedimentazione dei composti. Il materiale più leggero,
tenuto in sospensione dal letto d’aria, si raccoglie nella
parte bassa del piano, mentre il materiale più pesante è
trascinato dalle vibrazioni verso la parte alta.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 23


C.4. Separatore a letto fluido (a umido) à in questa modalità costruttiva, oltre all’effetto dell’aria
e delle vibrazioni, è presente anche un fluido
separatore (solitamente acqua mescolata a soluzioni
saline o polveri di magnesite o ferrosilicatiche nel
caso in cui la densità del materiale da separare è
maggiore della densità dell’acqua).
Il fluido, avendo una densità e un proprio peso
specifico, si insinua fra le componenti del rifiuto
determinando un’azione quasi meccanica di
separazione fra le componenti più leggere che
sono sospinte verso la superficie e quelle più pesanti
che si depositano sul fondo.

H2O à medium

ρ1 < ρ < ρ2 con ρ2 > ρ1


H2O

C.5. Separatore balistico à è costituito da un rotore che scaglia il materiale a differenti distanze in
relazione alla densità ρ del materiale.
Il materiale scagliato cadrà nella rispettiva zona di caduta, la cui
posizione è calcolata in relazione all’angolo di lancio, che a sua volta
è calcolato in base alla densità ρ del materiale.
È importante garantire l’omogeneità dimensionale del materiale in
ingresso alla macchina, che quindi a parità di densità ρ cadrà nella
stessa zona di caduta: risulta quindi fondamentale una corretta fase
preliminare di riduzione dimensionale.

Rotore

Zone di caduta

ρ1 ρ2 ρ3

Sistema di movimentazione

Con: ρ1 < ρ2 < ρ3 (il materiale più leggero è proiettato nella zona di
caduta più vicina al rotore)

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 24


C.6. Separatore balistico II à il principio di funzionamento su cui si basa questa macchina è lo
stesso della macchina precedente: la differenza è insita nel fatto
che, oltre a sfruttare le differenze si densità ρ del materiale, questa
macchina sfrutta anche le differenze di elasticità dello stesso
materiale.
Il materiale è scagliato dal rotore contro una parete: il materiale
cadrà nella rispettiva zona di caduta, la cui posizione è calcolata in
relazione all’angolo di rimbalzo, che a sua volta è calcolato in base
all’elasticità del materiale.

Rotore

Zone di caduta

Sistema di movimentazione

La separazione magnetica ha lo scopo di separare le diverse componenti dei rifiuti in base alle
intrinseche proprietà magnetiche degli elementi che li compongono: questa tecnica è ampiamente
utilizzata oggi con efficienza e rendimento molto elevati, prossimi al 100%.

Ogni materiale è caratterizzato da una grandezza detta suscettività magnetica (costante di


proporzionalità adimensionale che qualifica il grado di magnetizzazione di un materiale in seguito
all’applicazione di un campo magnetico).
È possibile distinguere materiali:
1. Paramagnetici à materiali che risentono del campo magnetico in cui sono immersi;
a. Ferromagnetici à materiali che risentono anche di campi magnetici di
debolissima intensità e che rimangono magnetizzati una volta
allontanati dallo stesso campo magnetico.

2. Diamagnetici à materiali che non risentono del campo magnetico in cui sono immersi.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 25


Esistono differenti tipologie di macchine basate sulla separazione magnetica:
C.7. Separatore magnetico a nastri sovrapposti à è costituito da due nastro trasportatori
opportunamente disposti. Sul primo nastro trasportatore
orizzontale (inferiore) è movimentato il materiale da trattare:
in prossimità della zona di scarico è efficacemente situato un
altro nastro trasportatore avente un magnete fra i due rulli di
traino.
Il materiale paramagnetico (e ferromagnetico) presente nel
materiale è attratto dal nastro trasportatore magnetizzato
superiore e successivamente movimentato in una zona di
raccolta.
Il materiale diamagnetico cadrà subito all’uscita del nastro
trasportatore orizzontale.

Nastro trasportatore superiore

Nastro trasportatore inferiore

C.8. Separatore magnetico a tamburo à anche detto puleggia magnetizzata.


In questa macchina il magnete non è posto fra i due rulli di traino,
bensì direttamente all’interno del rullo di traino (puleggia) del
nastro trasportatore.
Il materiale paramagnetico (e ferromagnetico) rimarrà aderente al
nastro trasportatore e movimentato nella rispettiva zona di raccolta.
Il materiale diamagnetico cadrà subito all’uscita del nastro
trasportatore.

Nastro trasportatore Rullo di traino


magnetizzato

“Coltello”

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 26


C.9. Separatore magnetico a correnti indotte à questa macchina permette di recuperare anche i
materiali non ferrosi quali l’alluminio, il rame, l’acciaio inox puro,
l’ottone.
All’interno del rullo di traino (puleggia) è presente un magnete che
genera un campo magnetico alternato e di conseguenza un campo
elettrico indotto.
I materiali non ferrosi elencati in precedenza risentono fortemente
del campo elettrico indotto e vengono respinti/sbalzati nella
rispettiva zona di raccolta.
Con questa tipologia di macchina si riescono quindi a separare
materiali paramagnetici (e ferromagnetici), diamagnetici e
conduttori.

Rullo di traino
Nastro trasportatore magnetizzato

“Coltello”

C.10. Separatore puramente elettrostatico à macchina scarsamente utilizzata a causa di


problemi di sicurezza in quanto lavora con
differenze di potenziale molto elevate.

Anche le macchine di separazione magnetica devono essere alimentate con la cosiddetta


alimentazione mono-strato: in caso contrario si presentano fenomeni di oscuramento che
impediscono al materiale paramagnetico (e ferromagnetico) di risalire e aderire al nastro
trasportatore magnetizzato.
Le macchine di separazione magnetica fini qui viste possono lavorare sia a secco sia in presenza di
acqua (in presenza di umidità la risposta dei materiali cambia): possono inoltre essere presenti più
macchine disposte in serie per migliorare il rendimento e l’efficienza della separazione.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 27


D) Macchine di compressione/presse (Es ~ 1 ÷ 10 kWh/t)
Queste macchine hanno lo scopo di compattare il materiale per vari motivi:
 Ottimizzazione dei trasporti;
 Ottimizzazione del potere calorifico inferiore;
 Minimizzazione dell’ingombro.

A supporto delle tecnologie per il trattamento delle risorse primarie e secondarie appena descritte
sono utilizzati:
 Sistemi di trasporto rigidi (nastro trasportatori) à fungono da base per lo stesso trattamento;
 Carrelli elevatori;
 Trasportatori a coclea;
 …

Riassumendo, le tecnologie per il trattamento delle risorse primarie e secondarie possono essere
classificate in:
A. Macchine di riduzione dimensionale (o macchine di comminuzione):
A.1. Frantoio primario o a mascelle (anche detto frantoio Blake) à r ~ 8 ÷ 10
A.2. Frantoio secondario à r ~ 10
A.3. Frantoio rotativo (anche detto idro-cono) à r ~ 10 ÷ 20
A.4. Frantoio a cilindraia
A.5. Frantoio a martelli (anche detto frantoio a urto/impatto) à r ~ 30
A.6. Frantoio a martelli II à r ~ 30
A.7. Doppio frantoio a martelli à r ~ 30
A.8. Frantoio ad asse verticale
A.9. Cesoie rotanti
A.10. Frantoio per trucioli metallici
A.11. Mulino a barre r ~ 50 ÷ 100 (variante costruttiva: mulino a sfere r ~ 100 ÷ 200)

B. Macchine di classificazione dimensionale o granulometrica:


Classificazione diretta:
B.1. Alimentatore a barre
B.2. Alimentatore a rulli
B.3. Vaglio
B.4. Vibrovaglio
B.5. Vaglio rotativo
B.6. Filtro Johnson

Classificazione indiretta:
B.6. Classificatore a spirale
B.7. Idrociclone (anche detto ciclone)
B.8. Sfangatrice a tamburo in controcorrente
B.9. Scolatrice a coclea
B.10. Scolatrice a tazze

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 28


C. Macchine di separazione:
Separazione gravimetrica:
C.1. Classificatore ad aria o aeraulico
C.2. Classificatore ad aria a “coltello”
C.3. Separatore a letto fluido (a secco)
C.4. Separatore a letto fluido (a umido)
C.5. Separatore balistico
C.6. Separatore balistico II

Separazione magnetica:
C.7. Separatore magnetico a nastri sovrapposti
C.8. Separatore magnetico a tamburo (anche detto puleggia magnetizzata)
C.9. Separatore magnetico a correnti indotte
C.10. Separatore puramente elettrostatico

D. Macchine di compressione/presse.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 2 Tecnologie per il trattamento – Simone Benassi 29


3. TRATTAMENTO ACQUA E FINI (“FANGO”)
Nel capitolo precedente abbiamo visto che in uscita dalla sfangatrice a tamburo in controcorrente
c’è da un lato il solido “pulito” e dall’altro lato, acqua e materiale fine in sospensione (“fango”).

Alimentazione
materiale sporco

H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”)
H2O pulita
α
Solido “pulito”

L’acqua che viene scaricata nell’ambiente naturale non può contenere in sospensione un quantitativo
di materiale solido oltre un certo limite definito per legge.
Si rende perciò necessario un trattamento del “fango”, da realizzare in più step:
1. Sedimentazione à in entrata al sedimentatore è presente l’acqua e il materiale fine in
sospensione da trattare: il materiale in sospensione tenderà a depositarsi
sul fondo della vasca e per mezzo di pale raschiatrici è movimentato
verso la tramoggia di raccolta del fango, dove una pompa lo estrarrà.
Il fango estratto è ancora molto umido, con percentuali di acqua
nell’ordine del 90%.
L’acqua chiarificata esce di sfioro dalla vasca è potrà essere reimmessa
nel sedimentatore o essere convogliata verso altri trattamenti che ne
hanno necessità (lavaggio di materiali inerti, raffreddamento di un
impianto, …)

Stramazzi di
Motore
uscita regolabili
H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”) Effluente
(acqua chiarificata)
“fango”

Estrazione “fango”

Pale raschiatrici
Tramoggia di
raccolta fango

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 3 Trattamento “fango” – Simone Benassi 30


2. Ciclone à per realizzare la separazione di fase (cap.2 – pag.21).
Il fango in uscita dal ciclone ha ancora una percentuale di acqua nell’ordine
del 80%.
Acqua chiarificata

H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”)

Serbatoio di accumulo
Materiale fine
(“fango”)

3. Centrifugazione à il fango in uscita dal ciclone, e in parte dal sedimentatore, entra nella
centrifuga dove è possibile separare ulteriormente la fase solida dalla
fase liquida, la quale può eventualmente tornare al sedimentatore.
Il fango in uscita dalla centrifuga ha ancora una percentuale di acqua
nell’ordine del 70%: tale frazione in uscita è spinta su un nastro
trasportatore che movimenterà il materiale verso l’ultimo step del
trattamento, ossia la pressatura.

H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”)

Materiale fine
Acqua chiarificata
(“fango”)

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 3 Trattamento “fango” – Simone Benassi 31


4. Pressatura à la pressatura è la fase del trattamento che permette di estrarre il maggior
quantitativo di acqua. Può essere realizzata con due macchine differenti:
1) Filtro pressa à il fango entra a pressione nelle piastre verticali (in realtà sono dei
filtri, delle membrane) attraverso un foro praticato nella parte centrale.
Le piastre vengono chiuse e la pressione viene portata fino a 7-16 bar in base al tipo
di fango trattato: sulle piastre si forma un “pannello” di fango (chiamato torta) che,
successivamente all’apertura della macchina, è rimosso attraverso appositi sistemi
di raschiatura e mandato in discarica o al trattamento di recupero.
L’acqua recuperata viene fatta defluire attraverso appositi canali di evacuazione
ricavati ai vertici delle piastre.

Filtro pressa aperta Filtro pressa chiusa

2) Nastro pressa à il fango viene caricato sul telo filtrante della macchina tramite
la coclea (zona 1), dopo essere stato mischiato al polielettrolita (zona A).
Il fango perde nella zona 2 il maggior quantitativo d’acqua per semplice drenaggio
naturale. Successivamente, nella zona a scivolo e nel punto di rinvio (zona 3) il
pannello viene ribaltato, causandone la rottura e la perdita di ulteriore acqua.
Il fango a questo punto è condotto a cilindri di compressione di diametro decrescente
(zona 4) per cui si verifica un aumento graduale della pressione e conseguente
perdita d’acqua.
All’uscita della macchina (zona 5) il pannello disidratato è staccato tramite sistemi di
raschiatura e mandato in discarica o al trattamento di recupero mentre i teli sono
lavati ad alta pressione nelle casse di lavaggio (zone 6 e 7) per essere pronti a
ricevere altro fango.
Il pannello disidratato in uscita, detto solido palabile, ha una percentuale di acqua
nell’ordine del 20-30%.

H2O + materiale
fine in sospensione
(“fango”)
1
A
2
6

3 4

Solido
5 palabile
7 Pannello
disidratato

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 3 Trattamento “fango” – Simone Benassi 32


Schema riassuntivo di un impianto per il trattamento acqua e fini (“fango”):

Acqua chiarificata

Acqua chiarificata
“fango”

“fango” (90% H2O)


By-pass del ciclone
Acqua chiarificata

“fango” (80% H2O)

“fango” (70% H2O)


Nastro trasp.

Discarica o
Solido palabile
trattamento di
(20-30% H2O)
recupero

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 3 Trattamento “fango” – Simone Benassi 33


4. MATERIALE INERTE
Materiale inerte à materiale che non reagisce, che non degrada, che non subisce alterazioni da
da parte di agenti esterni come l’acqua o l’aria.

In tutto il corso sarà approfondito il trattamento della materia prima e successivamente il


trattamento della rispettiva materia seconda.

Trattamento dei materiali inerti naturali


Il materiale inerte è solitamente il materiale utilizzato nel campo dell’edilizia per la realizzazione di
case, strade, ponti, aeroporti, …
Gli inerti utilizzati in questo settore sono classificati in funzione della granulometria:
1. Linea dei frantumati 3. Miscele di aggregati
a. Sabbiella < 5 mm a. Miscela 3÷12 mm
b. Pietrischetto fine 5÷40 mm b. Miscela 30÷40 mm
c. Pietrischetto 40÷120 mm c. Misto stabilizzato 0÷30 mm
d. Pietrisco 120÷170 mm d. Misto stabilizzato 0÷40 mm
e. Misto stabilizzato 0÷60 mm
2. Linea dei naturali
a. Sabbia 0÷2 mm 4. Misto cementato
b. Ghiaietto 2÷12 mm a. Misto di aggregati + cemento
c. Ghiaia 12÷22 mm + H2 O
d. Ghiaia grossa 22÷60 mm

In linea generale le classi granulometriche di riferimento sono:


 8÷15 mm  15÷22 mm  22÷35 mm

Lo stabilizzato è solitamente utilizzato per la realizzazione delle strade e della massicciata stradale
della linea ferroviaria ed è semplicemente una miscela di aggregato che può avere diversa
granulometria:
 0÷35 mm à (20% 8÷15 mm, 30% 15÷22 mm, 50% 22÷35 mm);
 0÷70 mm.

Le origini dei materiali inerti naturali possono essere diverse:


1. Materiale alluvionale à materiale che si deposita lungo gli alvei fluviali: la
sedimentazione dei differenti materiali dipende dalla legge di
Stokes.

Fiume
Erosione

Trasporto
Ghiaia
Sabbia
Limi Argille

Deposito

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 34


Già all’interno dell’alveo fluviale si ha una classificazione
granulometrica del materiale in quanto il materiale più grossolano
si deposita a monte mentre quello più fine riesce a raggiungere
anche le zone più a valle del fiume.
I materiali inerti utilizzati nel campo dell’edilizia sono
solitamente quelli più grossolani, ossia la ghiaia e la sabbia.

Da qualche anno le cave fluviali non sono più utilizzabili per


legge, eccezion fatta per il fiume Po: estraendo il corretto
quantitativo di materiale è possibile considerare i grandi fiumi
come una risorsa rinnovabile, grazie al grande quantitativo di
materiale alluvionale apportato dagli affluenti (il quantitativo di
materiale estratto deve essere minore uguale al quantitativo di
materiale “generato” ogni anno dal fiume).

Il materiale inerte estratto dai fiumi ha il vantaggio di essere


pulito (“sciolto”), ossia bene separato.

2. Paleo alveo (terrazzo fluviale) à zone rialzate dei vecchi alvei che sono state interessate
da antichi depositi.

Alveo fluviale

Terrazzo fluviale

Il materiale presente nel terrazzo fluviale si è


trasformato, subendo una compattazione: tale materiale
prende il nome di conglomerato.
È una miscela di ghiaia e sabbia unita a materiale più
fine che funge da cemento/legante.

3. Materiale roccioso compatto à rocce per lo più compatte estratte in cava in blocchi di
dimensione anche nell’ordine del m3 (arenaria, gesso,
porfido, graniti, travertino, pietra serena, pietra leccese).

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 35


Vediamo ora i trattamenti per i materiali inerti naturali in relazione alla loro origine:
1. Ghiaia e Sabbia à è presente solo una fase di vagliatura realizzata con un vibrovaglio.
Può essere utilizzata una torre di vagliatura per separare più classi
granulometriche.

2. Conglomerato e rocce à in questo caso il trattamento è leggermente più articolato e


costituito dalle seguenti fasi:
1) Vagliatura;
2) Frantumazione (I e II);
3) Lavaggio;
4) Ulteriore vagliatura.
Per il materiale roccioso compatto le frantumazioni possono
essere eventualmente più di una.
Per questi due materiali il lavaggio è quasi sempre necessario in
quanto, al contrario della ghiaia e della sabbia, il materiale non è
“sciolto”, non è ben separato.
Grazie alle normative vigenti oggi l’acqua utilizzata nei lavaggi
deve essere impiegata in circuito chiuso per minimizzarne il
consumo e deve essere trattata prima di essere rilasciata in
ambiente.

Schema di un impianto per il trattamento del conglomerato:


Alimentazione conglomerato

Materiale fine (d ≤ 2 cm) Materiale grossolano (d ≈ 100 cm)


Vaglio

Acqua chiarificata
“fango”
Frantoio I r=5

Sedimentatore
“fango”

Ciclone
Acqua chiarificata

“fango”
Frantoio II r = 10
Centrifuga

“fango”

Pressa Solido palabile

“fango” Lavaggio

Sfangatrice a
Vaglio
tamburo

Acqua chiarificata *
Classi granulometriche
Reintegro
H2O
Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 36
All’ingresso dell’impianto è presente un vaglio che separa il conglomerato in funzione della
granulometria poiché le due classi di materiale dovranno subire lavorazioni differenti:
1. Materiale fine (d ≤ 2 cm) à fasi del trattamento:
1) Lavaggio nella sfangatrice a tamburo;
2) Vagliatura.

2. Materiale grossolano (d ≈ 100 cm) à fasi del trattamento:


1) Frantumazione I;
2) Frantumazione II;
3) Lavaggio nella sfangatrice a tamburo;
4) Vagliatura.

Il materiale fine non necessità della frantumazione per due motivi:


 La sua dimensione non necessita di essere ridotta;
 Se entrasse nei frantoi ridurrebbe l’efficienza di frantumazione e l’operazione richiederebbe
un maggiore quantitativo di energia.

Per ogni m3 di materiale da lavare è necessario un m3 di acqua (a volte anche di più, nell’ordine dei
3-4 m3 di acqua): per questo motivo è necessario un trattamento del “fango” in circuito chiuso per
cercare di recuperare il maggior quantitativo di acqua possibile (approfondito nel capitolo
precedente) e per ridurre l’inquinamento ambientale.
A causa della perdita di un minimo quantitativo di acqua durante il trattamento, è necessario un
reintegro periodico di acqua per il lavaggio.

* à I vecchi impianti di trattamento del conglomerato erano in circuito aperto, ossia scaricavano
l’acqua e il materiale solido in sospensione (“fango”) direttamente nell’ambiente.
Oggi è severamente vietato grazie al Testo Unico Ambientale 2006 (TUA 2006).

La vera innovazione in questo settore sono gli impianti mobili, ossia piccoli impianti gommati o
cingolati dotati delle macchine necessarie per realizzare i trattamenti poco fa descritti, esclusa la
fase di lavaggio.
Questi impianti sono facilmente smontabili per facilitarne il trasporto (non rappresentano un carico
eccezionale), essendo inoltre estremamente compatti ed efficienti.
Essendo impianti mobili possono essere portati nel luogo dove è necessario realizzare questi
trattamenti, evitando quindi il trasporto del materiale da trattare dalle cave agli impianti fissi (molti
impianti fissi sono stati realizzati in prossimità delle cave che con il passare del tempo si
esauriscono: tali impianti saranno successivamente alimentati da materiale proveniente da altre cave
più o meno vicine).

La gestione di un impianto di trattamento non è banale in quanto gli aspetti da considerare sono
molteplici e di diversa natura:
1. Impatto visivo à per ovviare a questo problema solitamente gli impianti sono collocati in
depressioni naturali del terreno;

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 37


2. Rumore à le singole macchine nel loro funzionamento sono estremamente rumorose
(specialmente le macchine di riduzione dimensionale): per ovviare a questo
problema le macchine sono costruite con materiali sintetici mentre intorno agli
impianti possono essere realizzate delle barriere fonoassorbenti.

3. Traffico indotto à in entrata e in uscita dall’impianto;

4. Materie prime, energia, acqua à di cui necessita l’impianto per funzionare;

5. Acque reflue e rifiuti solidi à si cerca di riutilizzare o recuperare tali risorse;

6. NOX, CO, CO2;

7. Emissioni diffuse à solitamente concentrate sulle singole macchine e in entrata e in uscita


dall’impianto;

8. Polveri à le polveri che rimangono in sospensione nell’aria sono estremamente pericolose


per tutti coloro che si trovano nelle vicinanze delle macchine e dell’impianto.
Le polveri sono pericolose per due motivi:
- Qualità – Composizione chimica à le polveri possono essere a base:
- Silicatica (Si O2): provoca l’abrasione
delle via respiratorie (Silicosi – Malattia
professionale);
- Carbonatica (Ca CO3).
- Granulometria – Dimensione à le polveri pericolose sono quelle di
dimensione inferiore ai 10 µm, in quanto se
inalate, precipitano e quindi si depositano nei
polmoni.

Per ovviare a questi problemi gli impianti sono dotati di differenti attrezzature:
- Sistemi di depurazione dell’aria;
- Sistemi di aspirazione delle polveri;
- Sistemi di abbattimento delle polveri;
- Sistemi di controllo del vento;
- Sistemi di innaffiamento dei piazzali e delle gomme dei camion;
- Coperture dei nastri trasportatori;

In passato gli aspetti appena citati erano scarsamente controllati: oggi il monitoraggio e i controlli
sono estremamente severi.
L’aspetto che è oggi ancora trascurato è il cosiddetto fenomeno della sovrapposizione degli effetti:
considerati singolarmente gli impianti di trattamento rispettano le normative vigenti, ma considerati
nel loro insieme le rispettano in egual modo? Dare una risposta a questa domanda non è banale.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 38


Trattamento dei rifiuti da materiali inerti
È possibile quindi distinguere materiali inerti naturali e materiali inerti riciclati, la cui
differenza è data esclusivamente dall’origine del materiale, rispettivamente materia naturale e
rifiuto.

Si parla in questo caso di rifiuti da C&D (Costruzione & Demolizione) o CDW (Construction and
Demolition Waste).
In questo ambito è possibile distinguere:
1. Rifiuti da C&D pre-consumo à rappresentano scarti di lavorazione che non soddisfano
tutti i requisiti di qualità e sicurezza (es.: traversine
ferroviarie in calcestruzzo armato).
Questi materiali diventano rifiuto ancora prima di essere
utilizzati.

2. Rifiuti da C&D post-consumo à rappresentano i materiali che giungono a fine vita e che
necessitano di essere recuperati o smaltiti.

Produzione di rifiuti da C&D in Italia


Demolizioni
integrali
8%

Micro
demolizioni
92%

Il vantaggio economico e ambientale derivante dal riciclaggio dei materiali inerti è notevole in
quanto si riesce a:
 Ridurre il volume e la pericolosità dei rifiuti;
 Ridurre il volume dei rifiuti destinati alla discarica;
 Prevenire e reprimere le discariche illegali;

In Italia si ha una notevole resistenza alla diffusione delle tecniche di riciclaggio del materiale inerte
a causa di:
 Bassi costi della discarica;
 Alti costi del riciclaggio;
 Bassi costi di estrazione dei materiali naturali.

Secondo la direttiva europea 2008/98/Ce entro il 2020 il 70% dei rifiuti da C&D deve essere
recuperato.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 39


Nei rifiuti da C&D non è presente solo ed esclusivamente materiale inerte. Possono essere presenti:
 Rocce e terre;  Metalli;
 Ghiaietto inerte da riempimento;  Plastica;
 Calcestruzzo e cementi;  Vetro;
 Asfalti e bitumi;  Legno;
 Laterizi e ceramica;  Altri rifiuti: carta, cartone, …

A volte possono essere presenti:


 Metalli pesanti come asbesto, cadmio, zinco, piombo, rame, PCB (Policlorobifenili);
 Altre sostanze inquinanti e pericolose.

CLS à sigla commerciale del calcestruzzo, comunemente detto cemento.


Il cemento è impiegato per realizzare elementi portanti nelle costruzioni recando al proprio
interno un’anima di ferro: si parla in questo caso di calcestruzzo armato o cemento
armato.
Il calcestruzzo riciclato prende il nome di “grigio”.

Laterizi à sono tutti quegli elementi di costruzione e arredo costituiti di sola terracotta (mattoni,
mattonelle, coppi, tegole, …).
Il laterizio riciclato prende il nome di “rosso”.

Non dovrebbe essere importante conoscere l’origine di un materiale (origine naturale o origine da
rifiuto), bensì è fondamentale conoscerne solo la qualità e le prestazioni che esso ha nei campi di
applicazione in cui è impiegato: per il materiale inerte riciclato è molto difficile perdere memoria
dell’origine del materiale.
Il concetto di utilizzo multiplo di una qualsiasi risorsa è molto importante: non tutte le costruzioni
necessitano di materiale inerte della stessa qualità (il CLS utilizzato per realizzare le fondamenta di
una casa, i ponti o le traversine ferroviarie dovrebbe essere qualitativamente diverso dal CLS
utilizzato per realizzare i fondi stradali).

Gli aspetti importanti da considerare per quanto riguarda il riciclo dei rifiuti da C&D sono due:
1. Processo di demolizione;
2. Tecnologie di trattamento.

Processo di demolizione
È possibile distinguere tre tecniche di demolizione:
1. Demolizione integrale à anche detta demolizione indifferenziata o tradizionale.
Demolizione realizzata per mezzo di esplosivi o meccanicamente
senza effettuare preliminarmente una selezione del materiale
all’interno degli edifici.
Successivamente risulta difficoltoso riciclare le differenti classi
merceologiche.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 40


2. Demolizione controllata à anche detta demolizione chirurgica.
Demolizione in cui la separazione all’origine è limitata solo ad
alcune frazioni di residui, selezionati grossolanamente in modo
da ricavarne materiali che successivamente saranno selezionati
in impianti appositamente realizzati e quindi trattati ottenendo
in uscita differenti categorie merceologiche.

3. Demolizione selettiva à anche detta “smontaggio” o “decostruzione”.


Insieme di tecniche di decostruzione che consentono la
separazione all’origine dei residui in diverse frazioni omogenee,
con il fine di aumentare il livello di riciclabilità.
Le fasi di una demolizione selettiva sono:
a) Valutazione preliminare à si tratta di redigere un piano di
demolizione;

b) Messa in sicurezza à allontanamento delle parti pericolose


con il fine di mettere in sicurezza gli operatori addetti alla
demolizione e l’ambiente circostante (es.: rimozione delle
coperture in amianto o dei metalli pesanti).
Questi materiali sono destinati a impianti di trattamento speciali.

c) “Smontaggio” dei componenti riusabili à recupero dei


componenti che possono essere riutilizzati con la stessa funzione
dopo essere stati sottoposti a rigenerazione (lavaggio, tinteggiatura,
pulizia, …).
Componenti di questo tipo sono le porte, gli infissi, le finestre e
molti altri ancora.

d) Separazione dei materiali riciclabili à separazione delle


differenti categorie merceologiche (ferro, metalli, plastica, vetro,
legno, …): questi materiali sono destinati ai rispettivi impianti di
trattamento.

e) Demolizione della struttura à demolizione dello scheletro


dell’edificio (struttura muraria): il calcestruzzo e il laterizio sono
destinati ai rispettivi impianti di trattamento.

I componenti riusabili sono tutti quei componenti che si presentano in buone condizioni e che sono
presenti in quantità tale da rendere economicamente vantaggioso il loro recupero.
Una demolizione selettiva è più onerosa in termini finanziari e temporali (deve essere progettata nel
dettaglio) rispetto a una demolizione integrale o controllata, dando però grandi vantaggi ambientali
e dal punto di vista del riciclo dei materiali.
Anche attuando una demolizione selettiva rimane una piccola quota di materiale indifferenziato che
non può essere riciclata: se le tecniche sono applicate in maniera corretta questa frazione tende a
essere minima.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 41


Schema di gestione dei rifiuti da C&D:

Demolizione

Selettiva Integrale

Parti Componenti Materiali Inerti (CLS Rifiuti


pericolose riusabili riciclabili e laterizi) indifferenziati

Ferro e Plastica, vetro, Discarica


metalli legno, …

Trattamento

Riciclaggio

Si parla oggi di costruzione sostenibile, ossia di strategie implementate in fase di progetto per
agevolare il fine vita degli edifici e quindi l’eventuale demolizione selettiva.
In questa ottica risultano molto importanti:
 Design for deconstruction à Progettazione della decostruzione;
 Design for disassemblig à Progettazione del disassemblaggio.
Se la decostruzione è l'esatto contrario della costruzione, “assemblando” l'edificio in maniera
semplice si potranno facilitare i processi di smontaggio.

Teoria dei livelli costruttivi à l’edificio non è più concepito come un unico corpo, ma come una
struttura livellare di componenti caratterizzati da una diversa
caratteristica di longevità.

Livello Durata
Terreno Infinita
Fondazioni e struttura portante 30-300 anni
Involucro, tetti, muri 20 anni
Servizio 10-15 anni
Scenario, finiture 3 anni per edifici commerciali
30 anni per edifici domestici

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 42


Tecnologie di trattamento
Gli impianti di trattamento dei rifiuti da C&D possono essere di due tipologie:
1. Impianto fisso à un impianto fisso richiede ingenti investimenti iniziali e notevoli
costi di trasporto del materiale dal luogo della demolizione alla cava.
Di contro sono caratterizzati da notevoli capacità, hanno fondazioni
robuste e presentano forti controlli delle polveri e del rumore dettati dalle
normative.

2. Impianto mobile à un impianto mobile richiede minori investimenti rispetto a quello fisso
e può essere spostato nelle diverse locazioni dove è realizzata la
demolizione per trattare direttamente il rifiuto, rendendo disponibile
immediatamente la materia seconda ottenuta.
Di contro un impianto mobile è regolamentato esclusivamente dalle
regole del cantiere e non dalle stringenti normative a cui deve
sottostare un impianto fisso: per questo motivo il controllo delle
polveri e del rumore è minore.
Si parla in questo caso di “trattamento a km 0” in quanto non c’è la
necessità di trasportare il rifiuto dal luogo della demolizione alla cava
dove è dislocato l’impianto fisso.

C1 C2 C1 C2
Km 0 Km 0
m
K

K
m

F VS Materia seconda Materia seconda


K
m
m
K

C3 C4 C3 C4
Km 0 Km 0
Materia seconda

Impianto fisso Materia seconda Materia seconda

Impianto mobile
Dove: F à impianto fisso
Ci à cantiere i-esimo dove si realizza la demolizione

Trasportare rifiuti è molto diverso da trasportare materia prima naturale o materia seconda.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 43


Schema generale di un impianto per il trattamento dei rifiuti da C&D:

Alimentazione
L’impianto per il trattamento dei rifiuti da C&D è molto simile
all’impianto per il trattamento dei materiali inerti naturali, in particolare
Frantumazione del conglomerato (schema a pag. 36).
Le uniche differenze di questo impianto sono:
 Assenza della fase di lavaggio;
Classificazione  Presenza della fase di separazione.
o vagliatura
Il tondino di ferro presente nel calcestruzzo armato ha un mercato
importantissimo: con i ricavi generati dalla vendita della materia seconda
Separazione recuperata è possibile coprire il costo di un impianto come quello appena
descritto.
Il ferro è presente nel calcestruzzo armato in una percentuale pari al 3%.
Prodotti

I prodotti ottenuti dal trattamento appena descritto sono:


 Inerti riciclati à calcestruzzo e laterizio;
 Metalli ànon solo il ferro ma anche altri metalli delle condotte idriche e del gas;
 Frazione leggera à costituita da plastica, vetro, legno e cavi leggeri;
 Altro materiale à non riciclabile, che viene inviato in discarica.

Schema generale di un impianto fisso per il trattamento dei rifiuti da C&D:

Registrazione
in entrata
Fonderia

Controllo di
conformità Ferro
Sabbiella

Stoccaggio Torre di
Deferrizzazione Stabilizzato
in cumuli vagliatura

Breccia 30-80 mm
Eventuale pre-macinazione
Frantumazione
con pale e martelli demolitori

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 44


Le fasi di registrazione in entrata e controllo di conformità sono fondamentali in quanto arrivano
all’impianto dei rifiuti che devono essere smistati correttamente verso i rispettivi impianti di
trattamento.
Per la fase di frantumazione è utilizzato un frantoio a martelli o un frantoio a mascelle: l’azione a
urto è particolarmente efficace poiché frantuma il calcestruzzo armato liberando l’anima di ferro.
L’estrazione del ferro è realizzata tramite due elettrocalamite: il ferro estratto è successivamente
compresso in balle e inviato in fonderia per il recupero attraverso la fusione.
Per quanto riguarda il ferro secondario è facile “dimenticarsi” dell’origine del materiale, al
contrario del materiale inerte riciclato (il ferro secondario presenta le medesime qualità e
prestazioni del ferro primario).

Apriamo una parentesi sul mercato delle traversine ferroviarie, un tempo realizzate in legno, oggi
prodotte in calcestruzzo armato.
Si tratta di un elemento che deve rispondere a stringenti requisiti di qualità e sicurezza:
generalmente hanno un prezzo nullo, in quanto deve essere pagato esclusivamente il costo del
trasporto dalla zona di prelievo della traversina al luogo dove è realizzato il trattamento.
Il guadagno è generato dalla vendita dello stabilizzato e del ferro, quest’ultimo presente nelle
piastre, nei bulloni e nell’anima del calcestruzzo armato.

Le traversine ferroviarie sono sia un rifiuto post-consumo derivante dalla manutenzione della rete
ferroviaria, sia un rifiuto pre-consumo in quanto alcuni lotti potrebbero non rispondere ai requisiti
di qualità e sicurezza.
Nel “gergo”:
 Calcestruzzo polveroso à stabilizzato da demolizione edile;
 Calcestruzzo asciutto, brusco, secco à stabilizzato da demolizione delle traversine.

Il trattamento delle traversine è lo stesso descritto nella pagina precedente, senza la necessità di
svolgere il rigoroso controllo in ingresso.
Le traversine sono dotate di maniglie in plastica necessarie ad agevolarne la movimentazione e la
messa in posa, che devono essere separate, solitamente manualmente da un operatore, prima di
realizzare il trattamento (diversamente, se la plastica si trova nello stabilizzato macinato, ne
peggiora la qualità).

Alcuni elementi in ingresso all’impianto richiedono una pre-lavorazione, antecedente alla


frantumazione, per mezzo di un martello demolitore: pezzi molto voluminosi o pali lunghi svariati
metri in calcestruzzo armato potrebbero avvolgere il frantoio, inceppandolo e quindi provocandone
l’arresto.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 45


Esempio di dimensionamento di un impianto per il trattamento dei rifiuti da C&D:

Fase Energia specifica Es (kWh/t)


Frantumazione 2–4
Deferrizzazione 0,8 – 1
Trasporti 0,2 – 0,5
Vagliatura 0,2 – 0,3
3,2 – 5,8

Es media richiesta: 5 kWh/t

Successivamente, conoscendo l’energia specifica richiesta e la portata di materiale da trattare


(Q = 30 t/h), è possibile definire in maniera molto semplice la potenza da installare sulla specifica
macchina:
P = Es . Qin [kW] à P = 5 kWh/t x 30 t/h = 150 kW

Esempio di bilancio di massa di un impianto per il trattamento dei rifiuti da C&D:


Dati:
Input à Calcestruzzo: 28 t/h = Qin CLS
Qin = 30 t/h
Ferro 2 t/h = Qin ferro

Output à Calcestruzzo: 27,30 t/h = FCLS


Qout = 29,28 t/h
Ferro: 1,98 t/h = Fferro

Scarti R: 0,72 t/h

CLS 28 t/h In CLS 27,30 t/h


IMPIANTO
Ferro 2 t/h Qin Qout
Ferro 1,98 t/h

Qin = ∑ Fi + Ri = Qout à 28 t/h + 2 t/h = 27,30 t/h + 1,98 t/h + 0,72 t/h = 30 t/h à Ok
i=1

Qin Qout
n

∑ Fi
i=1 27,30 + 1,98
Rrec = . 100 = . 100 = 97,6%
Qin 28 + 2

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 46


Fi
Rsep(i) = . 100 [%]
fi . Qin

FCLS
Rsep(CLS) = . 100 = 27,30 . 100 = 97,5%
Qin CLS 28

Fferro 1,98 .
Rsep(ferro) = . 100 = 100 = 99%
Qin ferro 2

Oggi in commercio esistono delle macchine movimento terra che frantumano il materiale
direttamente all’interno delle pale attraverso utensili frantumatori sostituibili (brevetto SIMEX).
È un sistema adottato per frantumare materiale con particolari geometrie, che non soffre della
presenza di terra, legno, plastica e materiali umidi.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 4 Materiale inerte – Simone Benassi 47


5. IL CICLO DELLE ACQUE NELLE ATTIVITÀ UMANE
22 Marzo à Giornata Mondiale dell’acqua istituita nel 1992 dalla conferenza di Rio de Janeiro.

L’acqua (soprannominata l’oro blu in analogia all’oro nero, ossia il petrolio) è un bene
indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità.
Il 71% della superficie terrestre è ricoperta d’acqua ma l’acqua dolce è presente solo per il 2,5%.
Del 2,5% di acqua dolce meno dell’1% è realmente sfruttabile:

Tipo di acqua %
Acqua dolce sotterranea 0,76
Ghiaccio e neve 1,766
Laghi 0,007
Fiumi 0,0002
2,5332

Infatti oggi non si riescono a sfruttare a pieno le acque dei ghiacciai, compromesse dal
riscaldamento globale, e l’acqua dolce sotterranea in quanto è localizzata in falde a profondità di
oltre 1000 m.
L’acqua non è una risorsa infinita e rinnovabile: l’acqua utilizzata per le attività antropiche viene
spesso compromessa dal punto di vista qualitativo.

Per quanto riguarda il ciclo idrologico è possibile distinguere tre tipologie di acqua:
1. Acqua che precipita;
2. Acqua che evapora;
3. Acqua che ruscella.

La classificazione idrogeologica distingue:


1. Acqua atmosferica (meteorica) à acqua derivante da pioggia e neve, povera di sali;
2. Acqua litosferica à ancora, è possibile distinguere:
- Acqua litosferica superficiale à acqua dolce o salata,
maggiormente esposta a contaminazione ed esente da processi di
auto-depurazione;
- Acqua litosferica sotterranea à acqua infiltrata in terreni
permeabili che subisce processi di auto-depurazione per mezzo di una
filtrazione meccanica o di microrganismi.
Si ha sia una depurazione fisico-meccanica che una depurazione
chimico-biologica.

L’acqua sotterranea presente nelle falde più superficiali è di gran lunga la più abbondante risorsa di
acqua dolce, seguita dai laghi, dai serbatoi artificiali e dai fiumi.
L’acqua sotterranea rappresenta più del 90% del totale dell’acqua dolce facilmente utilizzabile:
circa un miliardo e mezzo di persone dipendono dall’acqua sotterranea per gli usi idropotabili.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 48


È possibile distinguere due tipologie di falde acquifere:
1. Falda freatica à dovuta all’acqua dei fiumi o della pioggia che viene lentamente
trasportata in profondità dalla forza di gravità finché non giunge ad uno
strato argilloso impermeabile dove si ferma.
Dopo l’arresto forzato si crea un accumulo d’acqua, accessibile tramite
pozzi.

2. Falda artesiana à accumulo d’acqua circondato da strati argillosi impermeabili.


Questa situazione, dal punto di vista idraulico, è paragonabile a una
condotta in pressione: attraverso un pozzo artesiano l’acqua risalirà
spontaneamente in superficie a causa del carico idraulico che possiede
naturalmente.

Zona di alimentazione
della falda artesiana
Pozzo artesiano
Pozzo freatico

Zona di alimentazione
della falda freatica

F. freatica

F. artesiana

Strati argillosi
impermeabili

Acquifero à zona di roccia permeabile in cui scorre dell’acqua.

à attività antropiche che attingono l’acqua dalla falda freatica.

Come detto in precedenza, l’acqua che scorre in sotterranea subisce processi di auto-depurazione ed
è maggiormente protetta dall’inquinamento superficiale (piogge acide, smog, superfici sporche).
In funzione della permeabilità della roccia che attraversa, l’acqua sotterranea è maggiormente
disponibile rispetto all’acqua di ruscellamento poiché le velocità di scorrimento sono nettamente
inferiori:
 Acqua di ruscellamento à velocità nell’ordine del m/sec.
 Acqua sotterranea à velocità nell’ordine del 10-1 ÷ 10-4 m/sec.

L’acqua sotterranea presenta notevoli vantaggi sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di
vista quantitativo rispetto all’acqua di ruscellamento.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 49


L’acqua non è una risorsa infinita e rinnovabile per diversi motivi:
 Inquinamento e degrado;
 Crescita della popolazione e della domanda;
 Disponibilità teorica / Disponibilità effettiva.

Litri d’acqua

Perdite dovute all’inquinamento

Acqua ragionevolmente disponibile

Domanda
tempo
1900 1950 2000 2050

Si prevede che nel 2040 la domanda supererà la disponibilità di acqua, che a sua volta sta
diminuendo a causa dell’inquinamento.
A causa dell’inquinamento superficiale il livello di accettabilità della qualità dell’acqua si è
abbassato a una profondità di circa 100 m rispetto al piano campagna.

Alcuni dati sul fabbisogno idrico:


Tipologia Quantità
Minimo vitale 2 l/g a persona nelle zone temperate
6 l/g a persona nelle zone calde
Minimo vitale ed igiene 20 l/g a persona
Minimo vitale, igiene, cibo, bucato, … 40-50 l/g a persona
Media Emilia Romagna 160-200 l/g a persona
Hotel di lusso Fino a 500 l/g a persona

26 Paesi vivono con meno di 20 l/g a persona e 28 Paesi con meno di 50 l/g a persona.
L’acqua non è un privilegio, è un diritto.

Emergenza idrica

Politiche di sostenibilità

Uso sostenibile

Risparmio Uso critico

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 50


Impronta ecologica à Ecological Footprint à è un indicatore utilizzato per valutare il consumo
umano di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle.

Impronta idrica à Water Footprint à è un indicatore utilizzato per valutare il consumo umano di
acqua, definito come il volume totale di acqua dolce utilizzato per produrre
beni e servizi utilizzati da un individuo, da una comunità o da un’impresa.

L’impronta idrica è utilizzata anche per valutare l’inport/export di acqua fra i diversi Paesi del globo.

La normativa di riferimento è la direttiva europea 2000/60/Ce che tocca gli argomenti della tutela,
del risparmio e dell’uso sostenibile della risorsa acqua.
La normativa italiana fa riferimento a:
 Testo Unico delle acque (152/1999) à riorganizzazione del settore idrico;
 Legge “Galli” (36/1984);
 Testo Unico Ambientale (152/2006).

Le tecniche per incrementare le risorse idriche naturali sono:


1. Invasi artificiali di superficie;
2. Ravvenamento di acquiferi sotterranei;

Un invaso artificiale non è altro che un bacino di raccolta dell’acqua: si tratta di “valvole di sfogo”
delle ondate di piena dei fiumi che prendono il nome di casse di espansione, realizzate con lo
scopo di recuperare l’acqua ed evitare l’alluvione delle zone a valle.
È vantaggioso realizzare le casse di espansione dove il fiume inizia a depositare materiale inerte
(ghiaia, sabbia), materiali utilizzabili nel campo dell’edilizia.
Inoltre, se il terreno è permeabile, la cassa di espansione funge da ricarica della falda sotterranea,
con tutti i vantaggi discussi in precedenza dell’acqua sotterranea rispetto all’acqua di ruscellamento.

Fiume

Cassa di espansione
Falda freatica
o artesiana

In alcuni Paesi è possibile pompare l’acqua in profondità attraverso pozzi con lo scopo di depurarla
e proteggerla dall’inquinamento superficiale: per problemi di inquinamento tale pratica in Italia è
vietata per legge.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 51


3. Dissalazione delle acque marine e salmastre à consiste nel realizzare artificialmente ciò
che avviene in natura.
L’acqua salata è stoccata in appositi bacini di raccolta realizzati
con un tetto di vetro che permette ai raggi solari di scaldare
l’acqua stessa.
L’acqua salata prima evapora e poi condensa liberando il
contenuto salino e diventando quindi acqua dolce.

Fonte di energia

ve
tr o
Acqua salata

Collettori di raccolta
dell’acqua condensata

L’acqua condensata, quindi dolce, risulta essere potabile in quanto


l’inquinamento rimane intrappolato nel sale: si ottiene un’acqua
distillata, priva di sali, di fondamentale importanza nei Paesi
caratterizzati da una grave carenza idrica.
La principali problematiche sono il reperimento delle fonti di
energia necessarie per scaldare l’acqua e la gestione del sale
prodotto (circa 35g/l).

4. Rigenerazione e riciclaggio di acque reflue;

5. Induzione artificiale di piogge à attraverso nuclei di condensazione lanciati in


atmosfera è possibile fare piovere quando desiderato o
nelle zone che necessitano maggiormente di acqua
(nel 2008 a Pechino è stato fatto piovere due giorni
prima dell’inaugurazione delle Olimpiadi);

6. Riduzione evaporazione dagli specchi d’acqua.

Molto importante è il concetto di uso multiplo dell’acqua: le attività antropiche necessitano di


tipologie di acqua con qualità molto differenti tra loro.
Per questo motivo non è possibile utilizzare l’acqua potabile per tutte le attività da svolgere (in
ambito domestico è utilizzata acqua potabile per cucinare, lavarsi, lavare i panni, lavare le stoviglie,
pulire gli appartamenti, nello sciacquone del gabinetto, …).

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 52


Gli usi dell’acqua
I settori di utilizzo dell’acqua sono:
1. Settore industriale;
2. Settore agricolo;
3. Settore domestico (civile).

Settori di utilizzo dell'acqua in Italia

Settoro Settore
domestico industriale
(civile) 25%
12%

Settore
agricolo
63%

Per il 2025 si stima che il settore industriale incrementerà la richiesta idrica di 1,5 volte, il settore
agricolo di 1,2 volte e il settore domestico (civile) di 1,8 volte.

Settore industriale (25%)


Nel settore industriale l’acqua è utilizzata per vari scopi:
 Acqua di processo (materia prima);
 Agente meccanico;
 Vettore termico (acqua distillata per riscaldamento o raffreddamento di macchine);
 Uso potabile (servizi igienico-sanitari);
 Controllo pressione;
 Lavaggio e trasporto solidi;
 …

Le industrie che fanno ampio utilizzo di acqua sono quelle cartarie, alimentari, di fertilizzanti, di
manifattura e le centrali nucleari e termiche.
Le industrie che utilizzano grandi quantità di acqua possono portare all’esaurimento delle risorse
idriche locali, in particolare delle acque sotterranee con conseguente abbassamento di falda e
ulteriori problemi (subsidenza).

Risparmio

Riutilizzo in Riciclo
cascata

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 53


Riutilizzo in cascata à impiego di una determinata quantità di acqua in cascata per utenze che
richiedono una qualità sempre minore o per applicazioni diverse dopo aver
subito un eventuale trattamento.

Riciclo à ricircolazione di una determinata quantità di acqua per la stessa applicazione.

Nel settore industriale è possibile raccogliere l’acqua piovana dai tetti tramite cisterne, per poi
utilizzarla nelle attività dell’azienda.
Se non piove da qualche giorno, l’acqua di prima pioggia (pioggia dei primi 15-20 minuti) è
separata automaticamente e successivamente trattata poiché potrebbe essere estremamente
inquinata.
Il settore ceramico utilizza un grande quantitativo di acqua: per questo motivo le aziende di questo
settore sono quasi tutte dotate di un sistema chiuso di ricircolo dell’acqua.

Il processo di depurazione delle acque reflue si spinge tanto più avanti nelle sue fasi in relazione
alle esigenze dettate dal tipo di riutilizzo o riciclo a cui le acque stesse sono destinate:
1. Trattamenti preliminari;
2. Trattamenti primari fisico-chimici;
3. Trattamenti secondari biologici;
4. Trattamenti terziari à perfezionano la depurazione con abbattimento dei nutrienti quali
fosforo e azoto, responsabili dell’eutrofizzazione delle acque
(formazione di un grande quantitativo dei alghe, tipico di laghi o
mari chiusi).

5. Disinfezione à produce l’abbattimento della carica microbica dell’acqua in uscita dall’impianto.

Settore agricolo (63%)

Risparmio

Minor utilizzo Riciclo e riutilizzo


Uso efficiente di acque reflue

Per minimizzare l’utilizzo di acqua e mantenere le rese agricole sono:


 Pratiche di campo à la tecnica dell’aridocultura è la più conosciuta (arature profonde,
lavorazioni superficiali, frangivento);
 Strategie gestionali;
 Modifica dei sistemi irrigui à aspersione e micro-irrigazione.

Le acque utilizzate nei vari sistemi di irrigazione possono essere acque reflue riciclabili solo se
soddisfano determinati requisiti di qualità.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 54


Settore domestico (civile) (12%)
Il settore domestico (civile) è quello che presenta i più ampi margini di miglioramento per quanto
riguarda il risparmio di acqua.

Campagne di Recupero delle


sensibilizzazione acque meteoriche

Risparmio

Dispositivi per Riduzione delle


il risparmio perdite in rete

Molto importanti sono le campagne di sensibilizzazione, finalizzate a fare comprendere alle


persone il quantitativo di acqua che giornalmente, mensilmente, annualmente consumano.
Solo una minima parte di attività domestiche richiede l’utilizzo di acqua potabile, ma nell’uso
comune l’acqua potabile è utilizzata per ogni applicazione, sbagliando.

Un altro metodo per risparmiare acqua è recuperare le acque meteoriche mediante sistemi di
incanalamento presenti sui tetti e cisterne debitamente rivestite per il mantenimento delle qualità
organolettiche dell’acqua.
Anche in questo caso sono presenti dei sistemi che separano automaticamente l’acqua di prima
pioggia, deviandola direttamente in fognatura.

I dispositivi per il risparmio dell’acqua possono essere dei più svariati:


 Frangigetto;
 Riduttori di flusso;
 Cassette di risciacquo a flusso direzionato.

Perdite di rete = Volume di acqua immesso in rete – Consumi autorizzati


Perdite di rete = Perdite apparenti + Perdite reali
Da cui: Perdite apparenti + Perdite reali = Volume di acqua immesso in rete – Consumi autorizzati

Dove:
Perdite apparenti à insieme dei consumi di acqua autorizzati, ma non fatturati.

Perdite reali à volume di acqua perso da tutti i tipi di perdite fino al contatore (nei giunti, nei
serbatoi, nelle rotture di condotte).

Per ridurre al minimo le perdite di rete dovute ad atti illegali (pozzi abusivi e altro) si rende
necessario un attento monitoraggio della rete idrica mentre per ridurre le perdite reali è richiesta una
massiccia azione di manutenzione sulle condotte e su tutte le altri parti della rete.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 5 Il ciclo delle acque – Simone Benassi 55


6. NORMATIVA NAZIONALE SUI RIFIUTI
Ai fini dell’attuazione del Testo Unico Ambientale (152/2006), articolo 184, i rifiuti sono
classificati:
 Secondo l’origine à in rifiuti urbani e rifiuti speciali;
 Secondo le caratteristiche di pericolosità à in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

Sono rifiuti urbani:


 Rifiuti domestici, anche ingombranti;
 Rifiuti non domestici, ma assimilabili a questi per qualità e quantità;
 Rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
 Rifiuti vegetali provenienti da aree verdi;
 Rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni (rifiuti provenienti da attività cimiteriali).

Sono rifiuti speciali:


 Rifiuti provenienti da attività agricole o agro-industriali;
 Rifiuti provenienti da attività di demolizione/costruzione;
 Rifiuti provenienti da attività industriali, artigianali, commerciali, di servizio, sanitarie;
 Macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti;
 Veicoli e pneumatici fuori uso;

Ogni anno in Italia viene prodotta una “piramide di rifiuti” alta circa 500 m e larga circa 1 km.
470 m

435 m
RS

RU 35 m

950

La prima normativa di riferimento è la direttiva europea 1991/156/Ce a cui ha fatto seguito in


Italia il decreto legislativo 5 Febbraio 1997 n.22, ossia il Decreto “Ronchi”.

Ogni rifiuto è identificato da un numero, il codice CER (Codice Europeo dei Rifiuti).
Le famiglie di rifiuti sono 20, di cui soltanto la famiglia 20 rappresenta rifiuti urbani: i rifiuti
pericolosi sono identificati da un asterisco.
Alcune delle famiglie più “famose” sono:
 Famiglia 15 à Rifiuti di imballaggio;
 Famiglia 16 à Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco;
 Famiglia 17 à Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione;
 Famiglia 20 à Rifiuti urbani.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 6 Normativa nazionale – Simone Benassi 56


In Italia i rifiuti urbani rappresentano il 25% del totale dei rifiuti mentre il restante 75% è
rappresentato dai rifiuti speciali.
I rifiuti urbani sono gestiti solitamente in maniera del tutto trasparente da enti pubblici che ogni
anno rendono noti i dati relativi alle attività di recupero e smaltimento: i rifiuti speciali invece sono
gestiti da enti privati che non hanno l’obbligo di rendere noti i dati e che molto spesso mettono in
atto comportamenti non pienamente legali (possibili eco-mafie).
In Italia si è escogitato un espediente per fare in modo che alcuni “rifiuti speciali siano gestiti come
rifiuti urbani”: possono essere rifiuti di questo tipo quelli provenienti da attività artigianali e
industriali, assimilabili ai rifiuti urbani per qualità e quantità.

La nuova direttiva europea 2008/98/Ce è fondata su una politica gerarchica di gestione dei rifiuti:
1. Prevenzione;
Gli oggetti o i materiali non sono ancora rifiuti
2. Riutilizzo;
3. Riciclaggio;
4. Recupero energetico; RIFIUTI
5. Smaltimento finale.

Nel dettaglio:
1. Prevenzione à misure adottate prima che un oggetto, un materiale, una sostanza diventino
un rifiuto;

2. Riutilizzo à operazioni di controllo, pulizia e riparazione cui sono sottoposti gli oggetti in
modo da poter essere reimpiegati;

3. Riciclaggio à qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono ritratti per
ottenere oggetti, materiali, sostanze da utilizzare per la loro funzione
originaria o per altri fini;

4. Recupero energetico à qualsiasi operazione il cui scopo sia di permettere ai rifiuti di


svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che altrimenti
sarebbero stati utilizzati per assolvere una determinata funzione;

5. Smaltimento finale à qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione
ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di
energia.
Lo smaltimento finale in discarica dovrebbe tendere a 0: molti Paesi
si sono prefissati l’obiettivo dei “rifiuti 0.”

Rifiuto à qualsiasi cosa di cui ci si debba obbligatoriamente o meno disfare.


Capire se un oggetto è un rifiuto è una decisione estremamente soggettiva.
Hera ha istituito al fianco della propria stazione ecologica una struttura chiamata
“second life” dove è possibile portare i propri oggetti prima che questi diventino un
rifiuto, affinché qualcun altro li possa prelevare per riutilizzarli.
Una volta che l’oggetto ha varcato la soglia della stazione ecologica diventa un rifiuto di
proprietà di Hera.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 6 Normativa nazionale – Simone Benassi 57


Tale direttiva precisa i criteri e le condizioni secondo cui un rifiuto cessa di essere tale attraverso
operazioni di recupero che si basano sul concetto di utile impiego del rifiuto, senza alcuna
precisazione a una specifica tipologia di impianto.
La nuova direttiva impone nuovi obiettivi limite:
 Entro il 2020 il 50% in peso dei rifiuti deve essere recuperato;
 Entro il 2020 il 70% dei rifiuti da C&D deve essere recuperato.

Negli ultimi anni sono state messe a punto varie tecniche ed espedienti per ridurre la produzione
dei rifiuti:
 Incentivi a ridurre gli imballaggi primari e secondari, per esempio attraverso l’aumento della
tassazione sugli stessi imballaggi;
 Utilizzo di materiali biodegradabili, derivanti da amido di mais;
 Lancio di nuovi materiali (la Tetrapak ha lanciato il materiale Wide, ossia un mix di due
polimeri progettati ad hoc);
 Prevenzione dello spreco (progetto last minute market-food: recupero di prodotti alimentari
invenduti, ancora idonei all’alimentazione, per sostenere persone in condizioni di disagio
sociale);
 Bere l’acqua dell’acquedotto piuttosto che l’acqua minerale in bottiglia;
 Pannolino lavabile VS pannolino usa e getta;
 …

Il Testo Unico Ambientale (152/2006) fa chiaro riferimento a misure per incrementare la raccolta
differenziata (argomento approfondito nel capitolo 7).
In ogni ambito territoriale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle
seguenti percentuali espresse in peso:
 Almeno il 35% entro il 31 Dicembre 2006;
 Almeno il 45% entro il 31 Dicembre 2008;
 Almeno il 65% entro il 31 Dicembre 2012.

In ambito internazionale si ragiona sempre in termini di percentuale di riciclo, mentre in Italia si


ragiona in termini di percentuale di raccolta differenziata.
La raccolta differenziata non è in realtà l’obiettivo da raggiungere, bensì solo uno strumento con il
quale raggiungere il reale scopo dettato dal buon senso e dalla normativa, ossia alte percentuali di
riciclo.
Il 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani coincide con l’obiettivo di recuperare il 50% in
peso dei rifiuti entro il 2020.
Ha quindi molto più senso ragionare in termini di percentuali di riciclo: avendo alte percentuali di
raccolta differenziata, ma bassi rendimenti di riciclo, si ottengo basse percentuali di riciclo.
Molto importante è analizzare i dati riguardanti la produzione di rifiuti nei vari Paesi (in Italia si
producono circa 530 kg/abitante anno di rifiuti): è molto importante sensibilizzare le persone su
questi dati.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 6 Normativa nazionale – Simone Benassi 58


I Rifiuti Solidi Urbani (RSU) possono essere quindi raccolti con una raccolta differenziata o con
una raccolta indifferenziata.
I rifiuti raccolti in maniera indifferenziata devono oggi preliminarmente subire per legge un
pre-trattamento (Trattamento Meccanico Biologico – TMB, argomento approfondito nel capitolo 8,
pag. 77), principalmente per separare la frazione umida da quella secca (se il rifiuto è
indifferenziato le percentuali di riciclo sono molto basse).

Introducendo l’argomento del prossimo capitolo è ora definito l’Indicatore di Raccolta Differenziata
(IRD):

∑ i RDi Racc. Diff.


IDR = . 100 [%] IDR = . 100
∑ i RDi + RUind + I + SRD Racc. Diff. + Racc. Ind.

Dove: ∑ RDi à somma delle i classi merceologiche raccolte con la raccolta differenziata
RUind à quantitativo di rifiuti raccolto con la raccolta indifferenziata
I à rifiuti ingombranti avviati allo smaltimento
SRD à scarti della raccolta differenziata, avviati a smaltimento

Si può definire anche la Resa di Intercettazione (RI) per la singola classe merceologica:

Classe merceologica da RD
RI = . 100 [%]
Classe merceologica totale

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 6 Normativa nazionale – Simone Benassi 59


7. LA RACCOLTA DIFFERENZIATA
La raccolta differenziata (in seguito RD) ha lo scopo di recuperare materia seconda ed energia.
Esistono principalmente tre tipologie di RD:
1. RD stradale;
o Mediante campane e cassonetti;
o Mediante isole ecologiche interrate;

2. RD in stazioni ecologiche attrezzate;

3. RD domiciliare;
o Raccolta porta a porta;
o Raccolta pneumatica.

La European Recovery and Recycling Association (ERRA) definisce:


 Raccolta stradale à sistema di raccolta nel quale i cittadini portano il materiale riciclabile
in uno o più punti di raccolta comunali;

 Raccolta domiciliare à sistema di raccolta nel quale i cittadini depositano il materiale


riciclabile, in contenitori o sacchetti, fuori dalle proprie abitazioni
in giorni prestabiliti della settimana.

In altri termini il punto distintivo è che nella raccolta stradale il cittadino si mobilita in prima
persona per portare il materiale riciclabile presso i punti di raccolta comunali, mentre nella raccolta
domiciliare è il gestore che si impegna a raccoglierlo presso le abitazioni dei cittadini.

Le frazioni merceologiche che possono essere raccolte in modo differenziato sono:


 Frazioni secche (pattumella e bidone marrone carrellato);
 Frazioni organiche (sacchi di colore arancione);
 Carta (sacchi o bidone blu/azzurro carrellato);
 Cartone;
 Vetro (sacchi o bidone verde carrellato);
 Plastica (sacchi o bidone giallo carrellato);
 Metalli (Alluminio, Acciaio);
 Ingombranti;
 Rifiuti Urbani;
 Rifiuti Urbani Pericolosi (RUP).

La raccolta stradale mediante campane e cassonetti deresponsabilizza i cittadini in quanto non è


possibile realizzare un reale controllo sulla quantità e sulla qualità dei materiali destinati alla RD.
Inoltre questa tipologia di RD permette di eleminare anche rifiuti speciali e pericolosi in modo
illegale, con conseguenti notevoli costi per la comunità e grandi sprechi di materiali recuperabili.
Solo negli ultimi mesi si è avuta l’unificazione dei colori delle campane e dei cassonetti su tutto il
territorio nazionale.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 7 La raccolta differenziata – Simone Benassi 60


La raccolta stradale mediante isole ecologiche interrate ha avuto un impatto molto favorevole
nei centri storici cittadini: le campane e i cassonetti sono nascosti alla vista dei passanti e dei turisti
in quanto sono localizzati nel sottosuolo e collegati alla superficie attraverso un semplice cestino o
torretta (bocca esterna).
Nel sottosuolo può anche essere dislocato un cassone con capacità molto superiori a quelle delle
campane e dei cassonetti, nell’ordine delle 20 volte: in questo modo è possibile ridurre il cattivo
odore, le polveri, il richiamo di animali (ratti, insetti), evitando quindi la dispersione fuori terra dei
rifiuti.

Una stazione ecologica attrezzata è un’area pubblica in cui i cittadini possono portare i propri
rifiuti per smaltirli.

La raccolta domiciliare porta a porta ha permesso a molti comuni italiani di raggiungere molto
rapidamente le percentuali di RD prefissate per legge.
Questa tipologia di RD permette di avere un miglioramento della qualità dei rifiuti raccolti, del
coinvolgimento e della responsabilizzazione del cittadino.
Alcuni cassonetti sono dotati di un trasponder, ossia un dispositivo basato sulla tecnologia GIS,
che permette di localizzarlo sul territorio e associargli una serie di informazioni (volume, peso,
famiglia, numero di svuotamenti al mese o all’anno, …), che sono periodicamente inviate a un
centro di raccolta dati.
Tali informazioni sono utilizzate per pianificare la logistica di raccolta (percorsi, numero di
svuotamenti, …) e per determinare il corretto costo del servizio al cittadino.
Ogni cittadino può collegarsi alla rete e vedere i dati del proprio cassonetto di riferimento,
conoscendo in tempo reale il quantitativo di rifiuti prodotto: in questo modo è possibile
sensibilizzare e responsabilizzare le persone.
Possono essere utilizzati anche sistemi a sacchi colorati dove ogni colore rappresenta una frazione
merceologica (i sacchi possono essere anche leggermente trasparenti in modo che il gestore possa
capire se il cittadino ha realmente realizzato una RD e in caso contrario sanzionarlo).

La raccolta domiciliare pneumatica è sicuramente la tipologia di raccolta differenziata e trasporto


dei rifiuti maggiormente innovativa (Envac è l’azienda svedese leader mondiale di questi sistemi).
Oggi a Stoccolma circa il 25% delle abitazioni private è collegato al sistema di raccolta e trasporto
pneumatico dei rifiuti.
Il sistema è costituito di tre parti fondamentali:
1. Punti di conferimento dei rifiuti à che possono essere abitazioni private o bocche esterne;
2. Rete di trasporto dei rifiuti à tubature in depressione che trasportano i rifiuti;
3. Centrale di raccolta dei rifiuti à dove sono realizzate le varie fasi per trasportare
successivamente i rifiuti ai rispettivi impianti di
trattamento.
Possono essere presenti sistemi ottici che riconoscono il
colore del sacchetto, smistandolo a dovere.
Un sistema come quello descritto è molto interessante per centri abitativi attualmente in costruzione.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 7 La raccolta differenziata – Simone Benassi 61


8. FILIERE DI RIFIUTO DA RACCOLTA DIFFERENZIATA
La composizione dei rifiuti urbani (RU) è la seguente:

Rifiuti urbani (CER 20)


Vetro
Organico sfalci 7%
potature
35% Metalli
3%
Plastica
10%

Carta e cartone
22%

Residuo secco
(non riciclabile) Legno
20% 3%

Una prima distinzione può essere fatta fra:


 Frazione secca à che a sua volta può essere suddivisa in residuo secco riciclabile (vetro,
metalli, plastica, …) e residuo secco indifferenziato, non completamente
riciclabile;

 Frazione umida à che a sua volta può essere suddiviso in scarti alimentari (bucce della
(organica) frutta, gusci delle uova, fondi di caffè, …) che sono inviati all’impianto
di trattamento dell’organico e sfalci e potature, per la formazione di
compost di qualità.

Il riciclo di tutti questi materiali implica dei vantaggi enormi:


 Risparmio di materia prima;
 Risparmio di energia;
 Vantaggio economico;
 Vantaggio ambientale;
 Mancato utilizzo di suolo per le discariche.

Il riciclo della carta (22% dei RU)


Nel corso della storia la carta è stata realizzata partendo da differenti “materie prime”, quali cotone,
paglia di grano, paglia di canna, bambù, legno, stracci di lino, canapa e papiro: oggi la carta
primaria è realizzata da due sorgenti, la pasta di legno e la carta da macero.
Il reperimento di tali materie prime ha un impatto ambientale devastante: basti pensare che ogni
anno nel mondo è abbattuta una superficie ricoperta di alberi pari al Nord Italia.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 62


La produzione di carta secondaria (carta riciclata), rispetto alla carta primaria, necessita di:
 Nessun albero;
 Un minore quantitativo di energia elettrica (kWh);
 Un maggior quantitativo di acqua.

La qualità della carta secondaria non è sicuramente la stessa della carta primaria. Inoltre la carta,
primaria o secondaria, non è riciclabile all’infinito poiché a ogni trattamento le fibre vegetali si
accorciano (le fibre vegetali troppo corte sono scartate durante il trattamento).

Il processo di estrazione delle fibre vegetali è detto Pulping, che può essere di tipo chimico o
meccanico.
Nel pulping chimico la pasta di legno (che deriva dal tronco degli alberi e dai residui di segheria) è
fatta essiccare e compattare in un digestore a elevata pressione (Pulper) con un’appropriata
soluzione chimica che dissolve la lignina (“collante” che lega le fibre del legno).
In questo modo si ottengono fibre vegetali più lunghe e quindi la carta risulta di migliore qualità.
Nel pulping meccanico non è utilizzata una soluzione chimica per fare dissolvere la lignina dalla
pasta di legno: questa è pressata contro una smerigliatrice che separa fisicamente le fibre vegetali,
che conseguentemente saranno più corte e daranno vita a una carta di minore qualità.

A questo punto le fibre vegetali sono state separate: come base per la produzione si ha una miscela
di fibre di cellulosa (fibre vegetali) e acqua, chiamata polpa.
Le fasi del processo di fabbricazione della carta primaria sono:
1. Lavaggio à la polpa è pompata all’interno di un mulino con eventuali additivi chimici per
realizzare una sbiancatura, ossia la rimozione del colore associato alla lignina
residua, con il fine di ottenere una carta bianca;

2. Vagliatura à la polpa è pompata su un vibrovaglio per permettere all’acqua e alle fibre più
corte di defluire mentre le fibre più lunghe sono trattenute in “fogli”;

3. “Rullatura” à i “fogli” sono fatti passare in una serie di rulli riscaldati che eliminano
l’umidità residua;

4. Calandratura à i “fogli” sono levigati e infine arrotolati in bobine.

Le fasi del processo di riciclo della carta sono:


1. Selezione à la carta che proviene dalla RD viene selezionata per separare:
- Carta da giornale;
- Carta più leggera;
- Cartoni.
I vari materiali sono successivamente pressati in balle e inviati ai rispettivi
impianti di trattamento;

2. Pulping à triturazione della carta nel Pulper con acqua calda per ottenere una polpa;

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 63


3. Vagliatura à come prima. Si ottiene in questa fase il cosiddetto “fango di cartiera”;

4. Lavaggio e de-inchiostrazione à la polpa attraversa una serie di centrifughe e separatori


magnetici con il fine di eliminare le impurità come colla,
argilla, plastica, metalli.
La de-inchiostrazione avviene utilizzando detergenti
speciali o tensioattivi.

5. Eventuale miscelazione con materia prima vergine;

6. “Rullatura” à come prima;

7. Calandratura à come prima.

8. Trattamento dei reflui e dei fanghi à nel depuratore o nell’inceneritore per la


termovalorizzazione;

Come detto in precedenza la carta non può essere riciclata all’infinito poiché a ogni trattamento le
fibre vegetali si accorciano: una fibra vegetale può essere utilizzata dalle cinque alle sette volte
prima che diventi troppo corta e quindi inutilizzabile.

Tetrapak realizzava imballaggi di carta e cartone difficilmente riciclabili: oggi, grazie alla
sensibilizzazione di molte grandi aziende, Tetrapak realizza gli stessi imballaggi interamente in
carta (con poche parti in allumino facilmente separabili) con il fine di facilitare il processo di
riciclo.

Il riciclo del legno (3% dei RU)


Gli imballaggi di legno sono suddivisi in tre grandi categorie:
1. Imballaggi ortofrutticoli;
2. Imballaggi industriali;
3. Pallet.
Gli imballaggi di legno che non più utilizzati sono ridotti di volume attraverso operazioni di
pressatura e triturazione in modo da poter essere inviati agevolmente ai rispettivi impianti di
trattamento.
Il rifiuto “legno” pressato e triturato può essere utilizzato nel processo di pulping o può essere
valorizzato dal punto di vista energetico: il legno è riciclabile integralmente.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 64


Il riciclo dei metalli (3% dei RU)
I metalli ferrosi e non ferrosi hanno oggi molteplici impieghi: scatolette, lattine, bombolette, …
Il metallo raccolto in modo differenziato viene avviato in appositi centri di selezione e stoccaggio
dove vengono separati acciaio e alluminio.

Il riciclo dell’acciaio
Le fasi del processo di riciclo dell’acciaio sono:
1. Lavaggio;

2. Pressatura in balle;

3. Invio in acciaieria à dove il metallo è fuso per iniziare un nuovo ciclo di vita.

Per quanto riguarda i rifiuti urbani, l’acciaio è presente soprattutto:


 Nella banda stagnata, nota come latta;
 Nella banda cromata;
 Nel lamierino o banda nera.

I prodotti ottenuti dal riciclo dell’acciaio sono semilavorati utilizzabili in vari campi di
applicazione:
 Parti in acciaio di veicoli;
 Elettrodomestici;
 Rotaie;
 Tondino per l’edilizia;
 Travi per ponti;
 …

Il riciclo dell’alluminio
L’alluminio è un materiale leggero e argenteo, scoperto nella seconda metà dell’800: è estratto
dalla bauxite, prima come allumina (ossido di alluminio – Al2O3) e poi come vero e proprio
alluminio.
La bauxite prende il nome del paese (Les Baux) dove per la prima volta è stata estratta.

L’alluminio è una materia prima praticamente inesauribile in quanto si può ricavare:


 Dai grandi giacimenti di bauxite;
 Dai trattamenti di riciclo che si possono ripetere infinite volte (oggi circa il 40%
dell’alluminio in circolazione proviene da riciclo).

L’alluminio è utilizzato in molteplici applicazioni quali imballaggi, edilizia, meccanica, trasporti, …


È particolarmente utilizzato nel settore dei trasporti ferroviari, aeronautici, navali e automobilistici
grazie al suo elevato rapporto resistenza-peso e l’alleggerimento che esso comporta nella
costruzione dei componenti meccanici.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 65


La bauxite varia la sua composizione chimica in relazione al territorio in cui si trova.
Le fasi del processo di estrazione della bauxite sono:
1. Campionamento;

2. Estrazione;

3. Lavaggio;

4. Vagliatura;

5. Macinazione.

Il 90% della produzione mondiale di bauxite proviene da cave a cielo aperto mentre il restante 10%
da estrazioni in sotterranea: alcuni tipi di bauxite richiedono l’utilizzo di esplosivi per la loro
estrazione.

Quando fu scoperta la bauxite non esisteva un processo e quindi la tecnologia necessaria per
estrarre l’alluminio.
Il processo di estrazione dell’allumina dalla bauxite fu brevettato da Karl Bayer.
Le fasi del processo sono:
1. Pressatura e macinazione della bauxite;

2. Digestione à inserimento della bauxite in un recipiente a pressione dove subisce un


lavaggio con una soluzione di idrossido di sodio (NaOH) a 175 °C;

3. Filtraggio à dove si ha la separazione fra fanghi rossastri, che presentano molti problemi di
smaltimento, e il sodio tetraidrossi alluminato III ( Na[Al(OH)4] );

4. Precipitazione à si ha un raffreddamento che permette all’idrossido di alluminio (Al(OH)3)


di precipitare sotto forma di solido bianco e vaporoso;

5. Aggiunta di acqua;

6. Calcinazione à l’idrossido di alluminio viene inserito in un forno rotante e scaldato a circa


1050 °C, temperatura alla quale inizia la decomposizione chimica in
allumina (Al2O3), con conseguente rilascio di vapor d’acqua;

7. Processo Hall-Hèroult à l’allumina viene fusa per ottenere alluminio.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 66


Il processo Hall-Hèroult è l’unico processo industriale utilizzato per la produzione di alluminio
primario.
L’alluminio è prodotto in una cella elettrolitica in cui l’elettrolitica è costituito da un bagno di
criolite e allumina.
L’alluminio fuso è prodotto al catodo, che è costituito da una vasca in acciaio rivestita di materiale
refrattario all’interno del quale sono posizionate barre portacorrente.

Gas esausto
Anodi in grafite

Bagno di criolite e allumina


T = 950 °C

Alluminio fuso

Vasca in acciaio Catodo Rivestimento refrattario

Il principale problema nella produzione dell’alluminio è il dispendio di energia:


 Circa 4 mWh/t per l’estrazione dell’allumina dalla bauxite;
 Circa 15 mWh/t per la produzione dell’alluminio dall’allumina.
Il processo è quindi estremamente energivoro.

Altre problematiche connesse alla produzione di alluminio primario:


 Modificazione del territorio dovuta all’estrazione della bauxite;
 Smaltimento dei fanghi rossastri;
 Effetti sulla popolazione.

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Il vantaggio insito nel riciclo dell’alluminio è l’importantissimo risparmio energetico che si ha: il
riciclo dell’alluminio consente di risparmiare fino al 95% dell’energia necessaria per produrre
alluminio primario partendo dalla materia prima, oltre al minor utilizzo della stessa.

Il CIAL (Consorzio Imballaggi ALluminio) ha promosso il progetto ”Zero discarica, 100% recupero”
con lo scopo di recuperare tutti i metalli presenti nelle ceneri pesanti derivanti dagli inceneritori
(sono stati aperti due impianti pilota nelle vicinanze di Parma e Padova).

Le fasi del processo di riciclo dell’alluminio sono:


1. Separazione e selezione per tipologia di rottame;

2. Lavaggio;

3. Pressatura in balle;

4. Invio in fonderia à dove il metallo è fuso per iniziare un nuovo ciclo di vita: possono essere
utilizzati forni rotativi, a bacino, a suola secca.

I prodotti ottenuti dal riciclo dell’alluminio sono:


 Leghe da fonderia;
 Leghe da lavorazione plastica;
 Alluminio per disossidazione.

La qualità del metallo secondario è del tutto identica alla qualità del metallo primario: per l’acciaio
e l’alluminio è quindi possibile perdere cognizione dell’origine del materiale.
Sia l’acciaio sia l’alluminio sono riciclabili integralmente e all’infinito.

Una normativa solo italiana vieta categoricamente di utilizzare acciaio o alluminio secondari
(riciclati) per applicazioni alimentari, mentre in tutta Europa tale vincolo non esiste.
L’acciaio e l’alluminio sono fusi a temperature elevatissime, che provocano la morte di tutti i batteri
che eventualmente hanno proliferato, rendendo quindi questi materiali idonei ad essere utilizzati
anche per applicazioni alimentari.

Il riciclo del vetro (7% dei RU)


Il vetro fu scoperto dai Fenici in maniera quasi casuale circa 5000 anni fa.

Il processo di fabbricazione del vetro primario è molto semplice: la materia prima di base per la
produzione è la sabbia silicea che rappresenta il 70% in peso del composto.
Per riuscire a fondere la sabbia a temperature più basse si aggiunge una sostanza “fondente”, la
soda (carbonato di sodio).
Si aggiungono successivamente altre sostanze:
 Carbonato di calcio à per stabilizzare la superficie del vetro e per evitare che diventi opaca;
 Nitrato di sodio à per facilitare l’espulsione delle bolle di gas.
 Piccoli quantitativi di sostanze coloranti à per ottenere vetri colorati.

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Il vetro è il materiale preferibile per la conservazione dei prodotti alimentari grazie alle sue
caratteristiche di igienicità, trasparenza, stabilità.
Solitamente i comuni preferiscono mantenere la campana stradale verde della raccolta del vetro
anche se è realizzata la raccolta differenziata domiciliare porta a porta.
Il vantaggio energetico è insito nel fatto che per fondere la sabbia silicea occorrono temperatura
nell’ordine dei 1600 °C, mentre per fondere i rottami di vetro derivanti dalla raccolta differenziata
occorrono “solo” 1200°C.
Con il vetro secondario (riciclato) si possono ottenere i medesimi oggetti realizzati con il vetro
primario: l’unica limitazione è che per produrre vetro secondario bianco è necessario disporre
esclusivamente di rottami di vetro bianco, altrimenti se il rottame è misto si ottiene un vetro
secondario verde o marrone.
Sarebbe perciò opportuno introdurre la distinzione nella raccolta differenziata dei vetri di diverso
colore.

La raccolta differenziata del vetro può essere contaminata da materiali ferrosi, piombo, elementi
nocivi e soprattutto ceramica: su tutte le campane stradali verdi è posta una scritta che ricorda ai
cittadini di non inserire ceramica.

Il vetro raccolto in modo differenziato viene avviato in appositi centri di selezione e stoccaggio.
Le fasi del processo di riciclo del vetro sono:
1. Separazione e selezione per colore;

2. Frantumazione grossolana;

3. Separazione magnetica dei metalli presenti;

4. Separazione di eventuali materiali leggeri (carta, legno, sughero, …) con getti d’aria o
separatori aeraulici;

5. Frantumazione fine (macinazione);

6. Ulteriore separazione magnetica e degli elementi di ceramica;

7. Lavaggio;

8. Fusione e modellazione.

La fase di frantumazione grossolana è realizzata per mezzo di cesoie contro-rotanti, mentre la fase
di separazione magnetica è realizzata più volte durante il processo poiché il metallo è facilmente e
completamente separabile dal vetro: per questo motivo spesso vetro e lattine sono raccolti insieme
nella stessa campana.
Al contrario di acciaio e alluminio secondario il vetro secondario (riciclato) può essere utilizzato
per applicazioni alimentari.
Il vetro è riciclabile integralmente e all’infinito.

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Il riciclo della plastica (10% dei RU)
Tutte le tipologie di plastica derivano dal petrolio attraverso un processo detto di cracking e
l’aggiunta di vari additivi.

Si possono distinguere due tipi di plastica:


1. Plastica termoplastica à plastica che può essere rifusa;
2. Plastica termoindurente à plastica che non può essere rifusa poiché carbonizza.

La plastica grazie al suo elevato potere calorifico inferiore è un ottimo materiale per recuperare
energia mediante combustione.

La composizione dei rifiuti plastici urbani è la seguente:

Rifiuti plastici urbani (CER 20)


Altri
PET
4%
PVC 5%
10%
PE
43%
PS e derivati
14%

PP
24%

Dove: PE à Polietilene
PP à Polipropilene
PS à Polistirolo/Polistirene
PVC à Polivinilcloruro
PET à Polietilentereftalato

Se la plastica rappresenta solo l’8% in peso dei materiali impiegati per la produzione di imballaggi
per liquidi, questa percentuale sale al 42% se consideriamo il volume.

Curiosità: oggi nei bidoni gialli per la raccolta differenziata della plastica è possibile depositare
anche giocattoli e bicchierini del caffè, anche se non si tratta di imballaggi.
Fino a qualche anno fa questo non era possibile poiché dovevano essere trattati separatamente.

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La plastica raccolta in modo differenziato viene avviata in appositi centri di selezione e stoccaggio.
Le fasi del processo di riciclo della plastica sono:
1. Separazione e selezione per polimero;

2. Triturazione grossolana;

3. Lavaggio;

4. Asciugatura;

5. Triturazione fine (macinazione);

6. Essicazione;

7. Fusione, estrusione, eventuale miscelazione con materia prima vergine.

Possono essere presenti un separatore magnetico a correnti indotte per separare l’alluminio e un
separatore magnetico a nastri sovrapposti o a tamburo (puleggia magnetizzata) per separare
l’acciaio, entrambi dalla plastica.

Se si riesce a mandare a riciclo un solo polimero si ottiene come materia seconda lo stesso
polimero: se invece si manda a riciclo un mix di polimeri è possibile ottenere esclusivamente un
polimero di minore qualità.
Dal PET è possibile ottenere il Pile, un tessuto sinettico di origine relativamente recente.
La plastica è riciclabile integralmente e all’infinito.

I prodotti ottenuti dal riciclo della plastica sono:


 Contenitori per detergenti;
 Fogli e film trasparenti (sacchetti);
 Tubi;
 Raccordi;
 …

Il riciclo del PVC (Polivinilcloruro)


Il PVC è una plastica termoplastica robusta, duratura, impermeabile, che non richiede
manutenzione e che offre un elevato rapporto qualità-prezzo, utilizzata in molteplici applicazioni
(imballaggi, elettronica, domestico-civile, arredamento, agricoltura, …).

Prima di essere lavorato il PVC deve essere miscelato in maniera omogenea con opportuni additivi:
questo processo prende il nome di blending.
Tale preparazione è molto economica e permette di salvaguardare le caratteristiche delle materie
prime, che sono termicamente sensibili.

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Possiamo distinguere due tipologie di PVC:
 PVC-U à PVC unplasticized, ossia senza plastificanti;
 PVC-P à PVC plasticized, ossia con plastificanti.

Gli oggetti realizzabili con il PVC sono molteplici e ognuno caratterizzato da un differente
processo di fabbricazione:
1. Estrusione à per la produzione di articoli cavi come i contenitori per detersivi;
2. Stampaggio a iniezione à per la produzione di articoli rigidi come piatti di “carta”;
3. Calandratura à per la produzione di fogli e film trasparenti (sacchetti);
4. Spalmatura.

Le fasi del processo di riciclo del PVC sono:


1. Frantumazione;

2. Vagliatura;

3. Macinazione;

4. Fusione e modellazione.

Il prodotto ottenuto dal riciclo del PVC è il compound di PVC.

Molto importante è il concetto di tempo di latenza, definito come l’intervallo di tempo che decorre
fra la produzione di un manufatto di qualsiasi materiale e il suo smaltimento o riciclo.
Per quei materiali che hanno un tempo di latenza molto breve è bene sviluppare tecniche di riciclo
avanzate.

Consorzi nazionali obbligatori


I consorzi nazionali obbligatori sono specifici per tipologia di materiale e hanno l’obiettivo di
razionalizzare e organizzare la raccolta, il riciclo e il recupero dei rifiuti, secondo criteri di efficacia,
efficienza ed economicità.
Il consorzio principale è il CONAI (COnsorzio NAzionale Imballaggi) a cui fanno capo sette
consorzi nazionali obbligatori, ognuno rappresentativo di una tipologia di materiale:
1. CNA à Consorzio Nazionale per il riciclo e il recupero degli imballaggi in Acciaio;
2. CIAL à Consorzio Imballaggi ALluminio;
3. COMIECO à COnsorzio nazionale per il riciclo e il recupero degli imballaggi a base di
cellulosa;
4. RILEGNO à COnsorzio nazionale per il riciclo e il recupero degli imballaggi in legno;
5. COREPLA à COnsorzio per la raccolta, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggi
in plastica;
6. COREVE à COnsorzio REcupero VEtro;
7. CONOE à COnsorzio Nazionale di raccolta e trattamento degli Olii e dei grassi vegetali
ed animali Esausti.

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Il riciclo della frazione umida (organica) – Il compostaggio
Finora abbiamo visto i processi di riciclo della frazione secca dei rifiuti urbani, che producono una
risorsa secondaria simile o del tutto identica alla rispettiva risorsa primaria (riciclando carta ottengo
carta, riciclando metalli ottengo metalli e così via).

Vediamo ora il processo di riciclo della frazione umida (organica) che prende il nome di
compostaggio: in questo caso il processo di riciclo produce una risorsa secondaria differente dalla
risorsa primaria, in quanto questa subisce una trasformazione che gli conferisce un valore
economico aggiunto.
Il prodotto di compostaggio è il compost, una sorta di terriccio particolarmente utilizzato nel settore
agricolo come fertilizzante.

Il compostaggio è un processo di bioconversione aerobica ad opera dei microrganismi presenti


nelle matrici da compostare (biomasse).
Il nome completo del compost è ammendante compostato misto, che rappresenta la risorsa
secondaria del processo di riciclo.
Le tipologie di rifiuti trattati sono:
 FORSU – Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani
 Scarti agroindustriali sfusi;
 Scarti agroindustriali confezionati;
 Scarti vegetali;
 Rifiuti cartacei;
 Rifiuti lignocellulosici;
 Fanghi di depurazione urbana e industriale;
 Deiezioni zootecniche.

Le fasi del processo di compostaggio sono:


1. Ricevimento;

2. Eventuale triturazione;

3. Miscelazione;

4. Biossidazione à approfondita in seguito;

5. Maturazione;

6. Vagliatura à solitamente per mezzo di vagli rotativi dove il sottovaglio è il compost e il


sovvallo sono materiali grossolani come legno, plastica e metalli che
richiedono tempi molto più lunghi per trasformarsi chimicamente;

7. Maturazione spinta.

In ingresso all’impianto di compostaggio non sono presenti solo rifiuti urbani, ma possono essere
presenti anche rifiuti speciali.

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La biossidazione, anche detta fase di digestione aerobica, è la trasformazione chimica alla base del
compostaggio.
La frazione organica è costituita in gran parte da Carbonio (C), Ossigeno (O) e Idrogeno (H): in
condizioni aerobiche (ossia in presenza di ossigeno) questi tre elementi danno origine
principalmente ad anidride carbonica (CO2), acqua (H2O), gas che si liberano in atmosfera
rappresentando quindi le perdite di processo, e a un residuo solido che prende il nome di sostanza
umica (compost).

C
O + O2 CO2 + H2O + sostanza umica (compost)
H

La sostanza umica prodotta è di ottima qualità poiché contiene un grande quantitativo di nutrienti.
La trasformazione chimica appena descritta è esotermica, ossia produce calore ed energia
spontaneamente, generando un innalzamento della temperatura fino ai 70 °C e conseguente
igienizzazione del materiale.
La normativa italiana richiede che il compost, per essere ritenuto di qualità, permanga a una
temperatura di almeno 55 °C per tre giorni: in funzione di quanto appena detto tale condizione è
rispettata facilmente, senza che l’impianto debba spendere risorse energetiche e quindi economiche
per innalzare la temperatura artificialmente.

La matrice organica di partenza si trasforma in compost con una certa velocità, funzione di alcuni
parametri:
 Concentrazione di ossigeno;
 Porosità, struttura e tessitura;
 Rapporto C/N (rapporto Carbonio/Azoto);
 Temperatura;
 pH;
 Umidità.

In funzione di questi parametri è valutata l’idoneità del materiale che andrà a compostaggio: il
materiale non idoneo sarà opportunamente miscelato per ottenere le matrici da avviare all’impianto
di compostaggio.

La normativa nazionale individua tre tipologie di compost:


1. Concimi organici;
2. Concimi organo-minerali;
3. Ammendanti organici naturali.

CIC à Consorzio Italiano Compostatori

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Dal 2009 l’impianto di compostaggio “Romagna Compost” (Cesena) ha inserito un nuovo
“modulo” che consente di produrre energia elettrica aggiuntiva, tramite la produzione di biogas.
Prima della fase di digestione aerobica si realizza una fase di digestione anaerobica: Carbonio (C),
Ossigeno (O) e Idrogeno (H) in condizioni anaerobiche (ossia in assenza di ossigeno) danno origine
ad anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), ossia i biogas necessari per la produzione di energia
elettrica, e a un residuo solido che prende il nome di digestato.
Durante la fase di digestione anerobica si può irrorare il materiale con acqua o con lo stesso
percolato derivante dalla trasformazione chimica per facilitare l’azione naturale dei microrganismi.

C
Biogas
O CO2 + CH4 + digestato
40% 60%
H

La fase di digestione anaerobica è articolata in quattro stadi:


1. Idrolisi;
2. Acidogenesi; Avvengono in un primo reattore
3. Acetogenesi;
4. Metanogenesi. Avviene in un secondo reattore

Un’ulteriore classificazione in funzione della temperatura e della durata della digestione anaerobica
è la seguente:
1. Condizione mesofila à circa 35 °C per 15 ÷ 30 giorni;
2. Condizione termofila à circa 55 °C per 15 ÷ 16 giorni.
In molti casi l’unione delle due tipologie di digestione anaerobica è molto vantaggiosa.

Codigestione à presenza sia di una digestione aerobica sia di una digestione anaerobica.

Nel settore agricolo gli utilizzi del digestato sono differenti da quelli del compost.

Il controllo di processo è gestito da una serie di sensori posti all’interno delle celle di digestione
aerobica ed anaerobica che comunicano costantemente con un centro di controllo.
Da qui sono monitorati i parametri fondamentali di processo come temperatura, pressione,
percentuale di biogas prodotta per la digestione anaerobica, concentrazione di ossigeno per la
digestione aerobica.

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Schema dell’impianto di compostaggio “Romagna Compost”:

Trattamento aria Trattamento acqua

Compost + materiale non trasf.


FORSU, …

Ricevimento
O2

Digestato
Triturazione Vagliatura

Sottovaglio
No O2

Sovvallo
1
Miscelazione

Compost Materiali non


trasformati
Biogas

Ricircolo
percolato

Cogeneratori

Energia elettrica

Dove:
1 à Celle di digestione anaerobica (15 ÷ 30 giorni);
2 à Celle di digestione aerobica (circa 45 giorni).

Nelle celle di digestione aerobica è presente un sistema di aerazione dal basso, fondamentale per
mantenere la corretta concentrazione di ossigeno ma anche per regolare la temperatura e dissipare
parte del calore prodotto dalla trasformazione chimica.
L’energia elettrica aggiuntiva prodotta per mezzo dei biogas può essere utilizzata per alimentare lo
stesso impianto di compostaggio o altre attività dello stabilimento.

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Trattamento Meccanico Biologico – TMB
Una certa percentuale della frazione secca è costituita da un residuo secco indifferenziato, non
completamente riciclabile: lo scopo del Trattamento Meccanico Biologico è recuperare da tale
frazione il maggior quantitativo di materiale che può andare a riciclo o recupero energetico.

Rifiuti

35% RI 65% RD

15% scarti
TMB

50% Riciclato

Recupero Recupero FOS


di metalli di energia

CDR Biogas

Dove: RD à Raccolta Differenziata


RI à Raccolta Indifferenziata
FOS à Frazione Organica Stabilizzata
CDR à Combustibile Da Rifiuto à combustibile secco
Biogas à CO2 e CH4 à combustibile gassoso

La FOS è solitamente utilizzata per ripristini ambientali e per ricoprire le discariche.


Si cerca di recuperare il maggior quantitativo di metalli, che sono presenti nella RI con una
percentuale nell’ordine del 2-3 %.

Il TMB è oggi obbligatorio per legge: prima di mandare a valorizzazione energetica all’interno di
un inceneritore i rifiuti da RI è necessario pre-trattare gli stessi rifiuti per recuperare il maggior
quantitativo di materiale riciclabile. Impianti di questo tipo non richiedono ingenti investimenti.

I vantaggi del TMB sono:


 Flessibilità a seconda del bacino di utenza;
 Riduzione del peso e del volume dei rifiuti;
 Tempi e costi di realizzazione contenuti;
 Riduzione del 90% della potenzialità inquinante;
 Produzione di biogas e CDR per il recupero energetico;
 Recupero dei materiali.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 77


Gli impianti di TMB sono costituiti da tre fasi:
1. Pre-trattamento meccanico (selezione) à gli scopi sono:
- Riduzione della quantità di rifiuti da mandare in
discarica;
- Miglioramento delle caratteristiche di
combustibilità;
- Stabilizzazione del materiale.

Le fasi del pre-trattamento meccanico sono:


- Ricevimento e apertura sacchi;
- Riduzione dimensionale;
- Separazione dei componenti per dimensione
(vagli), densità, elettromagnetismo;
- Compattazione mediante imballatrici;

2. Trattamento biologico à - Digestione aerobica (compostaggio e bioessicazione);


- Digestione anaerobica.
Poiché la frazione organica proviene da RI non è possibile
ottenere un vero e proprio compost, bensì una FOS.

3. Post-trattamento meccanico à questa fase non è presente in tutti gli impianti di TMB
(altrimenti si tratterebbe esclusivamente di un impianto di
selezione).
Lo scopo di questa fase è preparare al meglio il rifiuto per
gli impieghi successivi, qualunque essi siano (avvio in
discarica, recupero energetico, uso in campi non agronomici
…).

A seconda del tipo di trattamento biologico realizzato è


possibile distinguere diversi metodi di post-trattamento:
1) Post-trattamento alla digestione aerobica:
- Raffinazione del prodotto stabilizzato;

2) Post-trattamenti alla digestione anaerobica:


- Produzione, depurazione e utilizzo del biogas;
- Disidratazione dei fanghi;
- Stabilizzazione e raffinazione del fango digerito.

CDR à Combustibile Da Rifiuto


Si tratta di un combustibile secco ricavato da rifiuti urbani mediante un trattamento
finalizzato all’eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un
adeguato potere calorifico inferiore (PCI).
È utilizzato essenzialmente per la valorizzazione energetica o come co-combustibile
all’interno di fornaci di cementifici.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 78


Il CDR deve rispondere a specifici requisiti di qualità (umidità, PCI, contenuto di ceneri).
Le norme UNI 9903-1 classificano due tipi di CDR in funzione di tali parametri:
1) CDR di qualità normale;
2) CDR di elevata qualità.

Le fasi del processo di produzione del CDR sono:


1. Conferimento/Ricevimento;

2. Selezione primaria;

3. Triturazione/Raffinazione;

4. Selezione secondaria;

5. Deferrizzazione (in più stadi);

6. Condizionamento/Trasporto.

I prodotti del processo di produzione sono:


 CDR fluff à CDR a fiocchi;
 CDR pellettizzato.

L’approccio del rifiuto come risorsa/energia è oggi fondamentale.

L’Italia consegna all’impianto di TMB di Lipsia (Germania) circa 130.000 t/a di rifiuti da RI per
lo smaltimento.
In questo modo l’Italia paga alla Germania lo smaltimento dei rifiuti, consegnandogli in altre parole
una risorsa/energia che l’impianto di TMB sfrutta a pieno.
Inoltre in Italia sono presenti tutti gli impianti, le tecnologie e i brevetti necessari per trattare i rifiuti
da RI e per valorizzarli.

Se è presente una gestione corretta, il rifiuto è una risorsa/energia, altrimenti è un grave problema.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Filiere da rifiuto da RD – Simone Benassi 79


9. INCENERITORI E TERMOVALORIZZATORI
Fino a poco tempo fa, in Italia, esisteva la distinzione fra:
 Inceneritore à impianto senza recupero energetico;
 Termovalorizzatore à impianto con recupero energetico.
Oggi i due impianti sono la medesima cosa.

In Italia circa il 16% dei rifiuti va all’inceneritore e sul territorio sono presenti circa 50 impianti,
che molto spesso lavorano al di sotto della loro potenzialità.

Oggi gli inceneritori sono dotati di sistemi avanzati di controllo e riduzione delle emissioni che
ne permettono la costruzione in contesti urbani, anche se queste tesi sono contestate da diversi studi
sulle nanopatologie e sulle nanopolveri (PM0,001, ossia polveri con dimensione nell’ordine di 0,001 µm).

Il processo di incenerimento
Non sarà approfondita l’impiantistica dell’inceneritore, bensì le modalità di recupero energetico.
Le categorie principali e predominanti di rifiuti inceneribili sono:
 RSU à Rifiuti Solidi Urbani;
 Rifiuti speciali à fanghi di depurazione, rifiuti medici o dell’industria chimica, …

RSU
Camera di combustione Trattamento emissioni Fumi
Rifiuti speciali

Ceneri pesanti Ceneri leggere Residui


(scorie) (volatili) vari

Trattamento residui

Ceneri pesanti à scorie à bottom ashes à rappresentano il 30% in peso dei rifiuti in ingresso;
Ceneri leggere à volatili à fly ashes à rappresentano il 3% in peso dei rifiuti in ingresso.

Bilancio di massa di un inceneritore:

30 Kg ceneri leggere
6000 m3 fumo
Aria stechiometrica

1400 kg CO2 Vari microinquinanti


1 t di rifiuti INCENERITORE

H2O Acque di scarico Trattamento

300 Kg ceneri pesanti

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 80


In funzione della specifica tecnologia utilizzata nella camera di combustione è possibile tre
tipologie di inceneritore:
1. Inceneritore a griglie;
2. Inceneritore a letto fluido;
3. Inceneritore a forno rotativo (tamburo rotante).

La combustione avviene in presenza di ossigeno (aria stechiometrica), mentre la temperatura di


combustione è di circa 1000 °C.
Ossigeno e temperatura sono controllate continuamente durante la combustione:
 Una temperatura troppo elevata genera troppe scorie;
 Una temperatura troppo bassa genera rifiuti incombusti.

L’acqua di raffreddamento e spegnimento delle scorie che ricadono al di sotto della griglia deve
essere assolutamente trattata in quanto ha assorbito tutti gli inquinanti dei rifiuti carbonizzati.

Il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per produrre
vapore, il quale a sua volta può essere utilizzato come vettore di calore (teleriscaldamento, ossia
fornitura di acqua calda) o per produrre energia elettrica attraverso impianti di cogenerazione.
Il rendimento di tali impianti è però molto minore rispetto al rendimento di una normale centrale
elettrica in quanto i rifiuti non sono un buon combustibile e le temperature raggiunte nella camera
di combustione sono inferiori rispetto alla stessa centrale elettrica: talvolta per aumentare
l’efficienza della combustione si brucia insieme ai rifiuti del gas metano (CH4).

Le ceneri pesanti sono molto interessanti dal punto di vista qualitativo poiché da queste è possibile
recuperare metalli.
Le ceneri leggere fino a poco tempo fa erano mandate in discarica come rifiuto tossico-nocivo,
mentre oggi sono recuperate per produrre un particolare cemento, che prende il nome di eco-cemento.

La filtrazione delle emissioni al camino


I sistemi di depurazione dei fumi attuali, detti anche sistemi di abbattimento delle polveri, sono
costituiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio.
Le ceneri leggere presenti nei fumi della combustione (PM5, PM10) devono essere abbattute per
evitare che si disperdano nell’ambiente, provocando seri danni alla salute di chi abita nelle
vicinanze dell’impianto: le polveri trattenute possono essere smaltite in discariche come rifiuti
speciali pericolosi (oggi soluzione poco utilizzata) oppure possono essere recuperate in vari ambiti
(vedi poco sopra).

I macroinquinanti presenti nei fumi della combustione sono: ossido di carbonio, ossido di azoto,
anidride carbonica, gas acidi.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 81


I valori limite di emissione del particolato solido in atmosfera sono fissati dal Decreto Legge
133/2005 (decreto recepito dalla direttiva europea 2000/76/Ce).
Il provvedimento regola tutte le fasi dell’incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione
all’impianto fino allo smaltimento delle sostanze residue.
I limiti di concentrazione degli inquinanti fissati dalla normativa sono riferiti al m3 di fumi
(mg/Nm3) e non all’emissione totale: in questo modo non si tiene conto delle emissioni complessive
di tutti gli inceneritori presenti in un determinato territorio, ossia non si tiene conto della
sovrapposizione degli effetti.

Incenerendo CDR (Combustibile Da Rifiuto secco) viene prodotta anidride carbonica: non si può
quindi parlare di produzione di energia pulita in senso stretto.
Anche incenerendo una frazione organica viene prodotta anidride carbonica: si può parlare in
questo caso di energia pulita poiché il quantitativo di anidride carbonica prodotto
dall’incenerimento è lo stesso quantitativo assorbito dalla frazione organica nel suo ciclo di vita
(solo la frazione organica ha un bilancio di anidride carbonica pari a 0).

Il confronto fra inceneritore e discarica nella produzione di gas serra è nettamente a sfavore di
quest’ultima. I certificati verdi sono certificati che corrispondono a una certa quantità di emissioni
di anidride carbonica: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 (poiché sfrutta fonti
rinnovabili) di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato da fonti fossili, il gestore ottiene dei
certificati verdi, che può rivendere a industrie o ad attività che sono obbligate a produrre una quota
di energia mediante fonti rinnovabili, ottenendo quindi un ulteriore tipo di finanziamento.
In realtà, secondo la normativa europea, solo la frazione organica dei rifiuti può essere considerata
una fonte rinnovabile: pertanto la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione
contro l'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti
inorganici considerandoli fonte rinnovabile.

Le tecnologie utilizzate per l’abbattimento delle polveri sono:


 Ciclone à efficienza di captazione 70%;

 Multiciclone à efficienza di captazione 85%;

 Elettrofiltro à efficienza di captazione 99%;


Sfrutta l’effetto elettrostatico in modo da “richiamare” e “catturare” su delle
piastre il particolato solido presente nei fumi;

 Filtro a maniche à efficienza di captazione 99%;


Sfrutta sia l’effetto elettrostatico sia l’effetto di filtrazione meccanica
generato dal tessuto con cui sono realizzate le maniche.
Più il filtro a maniche è utilizzato più è efficace nella sua azione in
quanto il particolato solido che rimane intrappolato ostruisce il
passaggio anche alle polveri più fini.
In questo modo l’efficienza di captazione può arrivare al 100%.

Grazie a queste tecnologie, poste in serie all’interno dell’impianto, è possibile considerare


l’emissione del particolato solido in atmosfera tendente a 0.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 82


Il recupero delle scorie (bottom ashes)
Le ceneri pesanti costituiscono la frazione non combustibile del rifiuto: sono raccolte in tramogge
al di sotto della griglia (che funge da supporto ai rifiuti da incenerire) e da qui sono fatte cadere
direttamente in una vasca di spegnimento piena d’acqua.
La vasca di spegnimento è realizzata in cemento armato o in lamiera d’acciaio ed è attrezzata con
un nastro trasportatore raschiante per l’estrazione delle scorie.

È possibile classificare le ceneri prodotte dall’incenerimento in quattro classi:


1. Cenere di griglia – Grate siftings;
2. Cenere di caldaia – Boiler ash;
3. Cenere volante – Fly ash;
4. Cenere APC – Air Pollution Control.

Le operazioni di recupero delle ceneri pesanti generano:


 Materiale inerte à 2,1%;
 Ferro à 10,3%;
inviati alle ditte di rottamazione.
 Metalli (non ferrosi) à 1,8%;
 Ceneri à 63% à impiego nei cementifici.
Il restante 22,8% circa rappresenta gli scarti che possono essere avviati in discarica o a specifico
trattamento.

Le ceneri pesanti sono classificate con CER 190112, rifiuto speciale non pericoloso.

I possibili impieghi dei materiali sopra citati sono:


 Realizzazione di rilevati e sottofondi stradali;
 Riutilizzo nei conglomerati bituminosi;
 Riutilizzo nella produzione di materiale ceramico;
 Riutilizzo nelle malte da costruzione;
 Produzione di eco-cemento.

Un test di cessione è d’obbligo per legge quando il rifiuto è utilizzato nelle medesime condizioni di
quando è uscito dall’impianto: se il recupero consiste nella produzione di un prodotto finito, come
l’eco-cemento, non deve essere effettuato un test di cessione, in quanto la presenza del legante
garantisce di trattenere tutte le sostanze inquinanti.

Va sottolineato che spesso, per l’impianto produttore di ceneri pesanti, i costi di trasporto e
recupero di queste ultime risultano essere superiori dei costi di trasporto e conferimento in
discarica: per questo motivo oggi la maggior parte di questi residui sono avviati in discarica e solo
una piccola parte di essi viene recuperata.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 83


Il recupero dell’alluminio e degli altri metalli
Il recupero dell’alluminio e degli altri metalli dalle ceneri pesanti è molto importante dal punto di
vista economico: le ceneri pesanti possono essere trattate direttamente all’interno dell’impianto di
incenerimento o in specifici impianti di trattamento.
Lo stato assegna degli incentivi ai gestori degli impianti che recuperano alluminio e metalli dalle
ceneri pesanti: in questo modo il vantaggio economico è doppio.

Processo di recupero dell’alluminio e degli altri metalli:

Ingresso e pesa
delle scorie

Eliminazione elementi
grossolani

Separazione ferro

Metalli Vagliatura Ceneri


(vaglio rotativo)

Separazione ferro Separazione metalli


amagnetici

Separazione altri
metalli non ferrosi Pulizia alluminio

Invio al riciclo Invio in fonderia

Fondamentale è la fase di pre-selezione e separazione del rifiuto, dove sono rimossi i rottami
metallici di grosse dimensioni.
Le ceneri pesanti sono inserite in un vaglio rotativo dotato di nastro magnetico che elimina i
materiali ferrosi presenti, che in seguito sono stoccati all’esterno dello stabilimento in attesa di
essere inviati a riciclo.
Le scorie sono ulteriormente trattate mediante un impianto in grado di estrarre tutti i materiali
a-magnetici presenti.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 84


A questo punto le scorie selezionate per dimensioni, lavate e trattate, sono raggruppate in piccoli
cumuli, amalgamate e miscelate nella giusta proporzione con acqua, inerti, cemento e additivi: è in
questo momento che le scorie diventano un calcestruzzo sicuro e atossico.

L’eco-cemento di tipo Portland è un cemento realizzabile con ceneri pesanti unite a materie prime
naturali e additivi con lo scopo di aumentarne le prestazioni.

Schema di un impianto di incenerimento:

Caldaia

Benna
Fly ashes

Camera di
combustione
Elettrofiltro
Forno a griglia
Bottom ashes
inclinata
Filtro a maniche

Fossa Vasca di
RSU e rifiuti spegnimento Ventilatore
speciali
Camino

Trattamento

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 8 Inceneritori e termovalorizzatori – Simone Benassi 85


10. LA DISCARICA
La discarica è una zona adibita allo smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul
suolo o nel suolo: la tendenza odierna è di ridurre al minimo i rifiuti avviati in discarica.
I rifiuti sono stoccati nel sottosuolo per non essere recuperati: in altre parole si sotterra potenziale
materia seconda o energia, sottraendo i terreni ad altri utilizzi (“è come sotterrare dei barili di
petrolio”).

Si tratta di aree controllate di stoccaggio dei rifiuti che solitamente sorgono nelle immediate
periferie della aree urbane.

La normativa di riferimento è la direttiva 2003 che classifica le discariche in tre tipologie:


 Discarica per rifiuti pericolosi;
 Discarica per rifiuti non pericolosi;
 Discarica per rifiuti inerti.

Il pre-trattamento è fondamentale per stabilizzare la frazione organica dei rifiuti in quanto in


discarica si generano le condizioni sia per una digestione aerobica sia per una digestione
anaerobica.
Se si sotterra una frazione organica non stabilizzata, non digerita, si produce percolato e biogas
(CO2 e CH4) che risultano essere estremamente inquinanti per le falde acquifere e possono
provocare esplosioni.
Per questi motivi le discariche sono dotate di sistemi di drenaggio sia del percolato sia dei biogas.

La protezione dell’ambiente circostante è quindi garantita da diversi sistemi ed espedienti:


 Sistema di regimazione e convogliamento delle acque superficiali;
 Impermeabilizzazione del fondo e delle sponde mediante teloni in plastica;
 Impianto di raccolta e gestione del percolato;
Immersi in uno strato di ghiaia e sabbia alla base della discarica.
 Impianto di captazione e gestione dei biogas;
 Sistema di copertura superficiale finale della discarica.

Una discarica deve essere costruita a una certa distanza dalla falda acquifera sottostante per evitare
l’inquinamento della stessa e in terreni con una certa permeabilità:
 Discarica per rifiuti pericolosi à k < 1 x 10-9 m/sec e s > 5 m;
 Discarica per rifiuti non pericolosi à k < 1 x 10-9 m/sec e s > 1 m;

k à permeabilità à proprietà dei terreni di farsi attraversare dai fluidi

Attraverso l’utilizzo di teloni in plastica (materiale sintetico) è possibile raggiungere valori di k pari
a 1 x 10-12 m/sec.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 10 La discarica – Simone Benassi 86


In funzione delle caratteristiche geomorfologiche e idrogeologiche del sito prescelto, si possono
realizzare sostanzialmente tre tipi di discariche:

1. Discarica in avvallamento (o in trincea);

2. Discarica in rilevato;

3. Discarica in pendio;

I rifiuti sono stoccati quotidianamente in discarica e altrettanto quotidianamente i vari strati sono
ricoperti, per esempio utilizzato la FOS: una discarica di grande dimensioni può essere costituita da
vari comparti.
Si ha quindi una continua stratificazione dei rifiuti fino a che non si arriva al fine vita della
discarica: a questo punto si deve procedere nella realizzazione della copertura superficiale finale.
Gli obiettivi di tale fase sono:
 Isolamento dei rifiuti dall’ambiente esterno;
 Minimizzazione delle infiltrazioni d’acqua;
 Minimizzazione della necessità di manutenzione;
 Minimizzazione dei fenomeni di erosione;
 Resistenza a fenomeni di subsidenza e assestamento (terremoti).

La copertura deve essere realizzata mediante una struttura multistrato:

Terreno di coltivo

Terreno di copertura

Ghiaia GTX

Argilla
Sistema di captazione dei biogas
Rifiuti

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 10 La discarica – Simone Benassi 87


Il terreno di coltivo deve avere uno spessore > 1 m con il fine di favorire il ripristino ambientale.
Più precisamente ha lo scopo di sviluppare delle specie vegetali (“rimessa a verde”) e proteggere gli
strati sottostanti dall’erosione e dalle escursioni termiche.
Il terreno soprastante una discarica non deve assolutamente essere utilizzato per attività agricole.

Il gestore deve ridurre al minimo i disturbi e i rischi provenienti dalla discarica:


 Emissione di odori;
 Impatto visivo;
 Inquinamento;
 Rumore e traffico;
 Produzione di polvere;
 Materiali trasportati dal vento;
 Richiamo di animali selvatici e insetti;
 Incendi ed esplosioni.

La gestione del fine vita di una discarica non termina con la realizzazione della copertura
superficiale finale: la normativa prevede che i controlli del percolato e dei biogas perdurino per
almeno 30 anni dopo la chiusura definitiva.
Infatti la produzione di biogas tende ad aumentare e vede solitamente il suo massimo circa 10 anni
dopo la chiusura della discarica, per poi decrescere negli anni successivi.

m3/g

6000

5000

4000

3000

2000

1000
0 Anni
1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050 2060 2070

Chiusura discarica

È quindi fondamentale prestare molta attenzione alla differenza fra le emissioni convogliate, ossia
progettate da coloro che gestiscono il fine di vita di una discarica, e le emissioni diffuse,
assolutamente incontrollate ed estremamente dannose per l’ambiente.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 10 La discarica – Simone Benassi 88


11. LA GESTIONE DEI RAEE (CER 160200)
RAEE à Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche
o WEEE à Waste of Electric and Electronic Equipments

Fino agli anni ’90 la famiglia 16 era destinata ai rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco delle
altre famiglie.
Oggi la famiglia 16 fa riferimento ai:
 RAEE à CER 160200;
 VFU à Veicoli Fuori Uso à CER 160104*;
Approfonditi rispettivamente nei cap. 12 e 13.
 PFU à Pneumatici Fuori Uso à CER 160103.

I RAEE sono rifiuti molto importanti sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo,
che necessitano di correnti elettriche e campi elettromagnetici per funzionare.
Oggi le apparecchiature elettriche ed elettroniche sono caratterizzate da un ciclo di vita sempre più
breve: negli ultimi anni la loro produzione è incrementata del 3-5%.
Solitamente al loro interno contengono sostanze tossiche e sono costituiti, nella maggior parte dei
casi, da materiali non biodegradabili.

La normativa di riferimento è la direttiva ROHS 2002 (Restriction Of Hazardous Substances) che


pone stringenti vincoli nell’utilizzo di sei sostanze tossiche per la realizzazione delle
apparecchiature elettriche ed elettroniche (oggi il loro utilizzo è del tutto vietato):
 Piombo;
 Mercurio;
 Cadmio;
 Cromo esavalente à sostanza più pericolosa in assoluto poiché può provocare mutamenti genetici;
 Difenile polibromurato (pbb);
 Etere di difenile polibromurato (pbde).

È la prima normativa europea emanata con urgenza: i paesi europei ebbero a disposizione 18 mesi
per recepire la normativa a livello nazionale e non più 5 anni.
La normativa ha i seguenti obiettivi:
 Ridurre la produzione di RAEE;
 Ridurre lo smaltimento di RAEE;
 Fare emergere la responsabilità del produttore;
 Garantire la sostituzione delle sostanze pericolose presenti fino a quel momento;
 Raggiungere entro il 31 dicembre 2008 un tasso di RD dei RAEE di 4 kg/ab anno.

Per la prima volta una normativa fa riferimento alla progettazione e alla produzione di un prodotto:
gli stati membri sono incoraggiati a progettare e a produrre le apparecchiature elettriche ed
elettroniche tenendo in considerazione il loro recupero, il loro riciclaggio e il loro disassemblaggio
(Design for Recycle e Design for Disassembly). Il produttore è quindi responsabile della scelta dei
materiali, dei componenti, delle modalità di assemblaggio, …

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 11 La gestione dei RAEE – Simone Benassi 89


La normativa fissa un tasso minimo di RD, espresso come percentuale in peso delle apparecchiature
elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dallo specifico stato nei tre anni precedenti:
 45% dal 2016;
 65% dal 2019.
Gli stati membri devono inoltre trattare i RAEE ricorrendo alle migliori tecniche disponibili.

Sono prese inoltre misure contro l’esportazione illegale dei RAEE oltre i confini dell’Unione
Europea, in particolare verso i paesi in via di sviluppo o emergenti.
Si cerca di sensibilizzare i cittadini anche verso il cosiddetto principio 1 VS 0, invece che 1 VS 1.
Il principio 1 VS 1 implica che quando un cittadino va a comprare un nuovo cellulare o AEE,
consegna al rivenditore il suo vecchio cellulare o AEE.
Il principio 1 VS 0 implica invece che il cittadino, anche se non deve acquistare nulla, porti il suo
cellulare o AEE al rivenditore quando deve disfarsene, senza gettarla nel cassonetto della raccolta
indifferenziata.

Per ogni categoria di RAEE (approfondite in seguito) sono definite le percentuali di recupero e
riciclo: il problema è che tali percentuali sono espresse in peso, mettendo quindi sullo stesso piano
materiale comune e sostanze pericolose o preziose (oro, argento, ferro, rame, piombo).
“È uguale recuperare 50 Kg di calcestruzzo presente in una lavatrice o 50 Kg di oro presente nei
computer o 50 Kg di piombo?” La risposta è ovviamente no: l’impatto economico nel caso dell’oro
e l’impatto ambientale nel caso del piombo dovrebbero essere di primaria importanza.

Il volume dei RAEE è in continuo aumento (ogni anno circa 3-5%) a causa:
 Innovazione tecnologica;
 Rapida obsolescenza à rapida sostituzione;
 Espansione del mercato.

Oggi il 90% dei RAEE è inviato in discarica o all’inceneritore senza che sia realizzato nessun tipo
di pre-trattamento. Questa soluzione non è più perseguibile per diversi motivi:
 Inquinamento ambientale;
 Valore di alcune sostanze preziose che possono essere recuperate;
 Sicurezza delle informazioni à le AEE come i computer che sono esportate illegalmente in
paesi in via di sviluppo o emergenti sono smontate per
recuperare e vendere il loro contenuto informativo, che a
volte può risultare molto prezioso o del tutto segreto.

I paesi in via di sviluppo, che oggi fungono da discarica per i RAEE, rischiano di rimanere
sommersi da spazzatura hi-tech: la normativa si è mossa con provvedimenti per risolvere questo
grave problema.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 11 La gestione dei RAEE – Simone Benassi 90


I RAEE sono suddivisi in due grandi categorie, che a loro volta possono essere suddivise in RAEE
“nuovi” se immessi dopo il 13 agosto 2005 o RAEE “storici” se immessi prima di quella data:
1. RAEE domestici à AEE utilizzate per attività domestiche;
2. RAEE professionali à AEE utilizzate per attività economiche o amministrative.

A loro volta i RAEE domestici sono classificati in cinque categorie in funzione delle tecnologie
necessarie per il loro trattamento:
1. R1 à freddo e clima (frigoriferi, condizionatori, …);
2. R2 à grandi bianchi (lavatrici, lavastoviglie, …);
3. R3 à tv e monitor;
4. R4 à piccola e media elettronica;
5. R5 à sorgenti luminose (lampade, lampadine, …).

ReMedia à Consorzio obbligatorio per i RAEE

Trattamento dei RAEE


Le fasi del processo di trattamento dei RAEE sono:
1. Presa in carico dei RAEE;

2. Pre-classificazione manuale à per la messa in sicurezza delle AEE e per la separazione


delle sostanze preziose facilmente estraibili;

3. Smontaggio manuale;
Fasi alternative per la separazione dei diversi materiali.

3. Frantumazione e selezione;

4. Recupero dei singoli materiali à successivamente avviati alle proprie filiere di recupero e riciclo.

Oggi la fase di smontaggio manuale può essere quasi interamente automatizzata.

I centri di raccolta possono fare affidamento sui sistemi collettivi per l’avvio dei RAEE al
trattamento, i quali si occupano di:
 Ritirare i RAEE presso il centro di raccolta;
 Trasporto dei RAEE presso gli impianti di trattamento accreditati;
 Garantire un corretto trattamento (secondo corretti criteri ambientali e di sicurezza);
 Garantire il recupero e il riciclo delle materie riciclabili;
 Garantire lo smaltimento delle parti residue.

Prima di mandare a recupero e riciclo le AEE è necessario valutare la possibilità di riutilizzarli nella
loro interezza o nelle loro componenti.
Se ciò non è possibile essi dovranno essere avviati al riciclaggio.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 11 La gestione dei RAEE – Simone Benassi 91


12. VEICOLI FUORI USO – VFU (CER 160104*)
o ELV à End of Life Vehicles

Anche questi rifiuti, al pari dei RAEE, sono molto importanti sia dal punto di vista quantitativo che
da quello qualitativo.
Una delle principali cause di inquinamento e sfruttamento delle risorse naturali sono i veicoli da
trasporto motorizzati, sia durante il periodo del loro utilizzo, sia nella fase di fine vita.
I problemi derivanti dalla gestione del fine vita sono lo smaltimento di rifiuti di enormi dimensioni
e lo spreco di risorse.

La direttiva europea 2000/53/Ce è mirata a prevenire la produzione di rifiuti derivanti dalla


demolizione dei veicoli mediante:
 Il miglioramento della progettazione del prodotto;
 La promozione e l’aumento delle operazioni di riciclo e riutilizzo;
 Restrizioni nell’uso di sostanze pericolose nei nuovi veicoli.

Come per i RAEE, la normativa incoraggia i produttori a progettare e a produrre i veicoli tenendo in
considerazione il loro recupero, il loro riciclaggio e il loro disassemblaggio (Design for Recycle e
Design for Disassembly).
Inoltre entro il 2015 il 95% in peso dei veicoli dovrà essere riciclato (il restante 5% sarò avviato in
discarica): in Italia sono rottamate circa 1,5 milioni di auto all’anno.

Un VFU è considerato un rifiuto nel momento in cui il proprietario consegna il veicolo,


direttamente o mediante un trasportatore autorizzato, a un centro di raccolta o nel caso in cui lo
consegna al concessionario: tali accordi potranno permettere di raggiungere gli obiettivi di recupero
e riciclo fissati dalla normativa.

Filiera di fine vita di un veicolo:

Ultimo proprietario

Autodemolitori

Riciclo delle parti Riciclo dei materiali Altre parti Rifiuti


(motore, cambio, …) (plastica, vetro, …) 60% 5%
25% 10%
Triturazione
Discarica
Metalli Metalli Residuo
Mercato dei Materiali non non ferrosi ferrosi (fluff – ASR)
ricambi rigenerati metallici riciclabili 1% 39% 20%

Trattamento

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 12 Veicoli Fuori Uso – Simone Benassi 92


ASR à Automobile Shredder Residue à Residuo Triturato di Automobile
È anche detto fluff in quanto il residuo della triturazione è una frazione leggera: fino a
poco tempo fa era smaltito in discarica, mentre oggi si cerca di recuperare, anche dal punto
di vista energetico.

Le fasi del processo di trattamento dei VFU sono:


1. Presa in carico del VFU;

2. Messa in sicurezza (priorità assoluta);

3. Smontaggio delle componenti riusabili; PRE-FRANTUMAZIONE

4. Smontaggio delle componenti riciclabili;

5. Compattazione della carcassa in un cubo;

6. Avvio all’impianto di frantumazione;

7. Trattamento degli ASR à POST-FRANTUMAZIONE

La messa in sicurezza è la fase più importante di tutto il processo poiché frantumare un veicolo che
porta a bordo sostanze pericolose può provocare incidenti gravissimi, come l’esplosione dello stesso
veicolo e dell’impianto di trattamento.
Le sostanze e le componenti pericolose da separare prima della frantumazione sono:
 Olii esausti;
 Liquidi refrigeranti;
 Liquidi antigelo;
 Carburante;
 Materiali esplosivi;
 …

Lo smontaggio delle componenti riusabili ha lo scopo di separare dal veicolo tutte quelle
componenti che possono essere rigenerate e avviate al mercato dei ricambi.

Lo smontaggio delle componenti riciclabili ha lo scopo di separare tutti i materiali presenti sul
veicolo per poi avviarli alle specifiche filiere di riciclo.
La plastica e l’alluminio sono sempre più utilizzati per realizzare i veicoli: proprio per questo
motivo, in ottica Design For Recycle, i progettisti devono scegliere nel migliore dei modi i materiali
utilizzati e le loro modalità di assemblaggio.
I materiali solitamente avviati a riciclo sono:
 Rottami ferrosi;
 Rottami non ferrosi;
 Vetro;
 Plastica;
 Pneumatici.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 12 Veicoli Fuori Uso – Simone Benassi 93


Le destinazioni degli pneumatici sono:
 Riciclaggio;
 Recupero energetico à in quanto sono caratterizzati da un elevato potere calorifico inferiore;
 Ricostruzione;
 Esportazione.

La frantumazione è realizzata mediante un frantoio a cesoie contro-rotanti, che lavora per taglio e
non per urto: la sagomatura dei taglienti è funzione del materiale da frantumare/tagliare.
Successivamente è possibile separare i diversi metalli mediante separatori magnetici e separatori
magnetici a correnti indotte, che successivamente saranno avviati agli specifici trattamenti di
riciclo.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 12 Veicoli Fuori Uso – Simone Benassi 94


13. PNEUMATICI FUORI USO – PFU (CER 160103)
Il problema dello smaltimento, del riciclo e del recupero degli pneumatici è di prioritaria
importanza in quanto:
 Sono resistenti alla degradazione;
 Sono rifiuti “galleggianti”, infiammabili e costituiscono un habitat ideale per insetti e
roditori all’interno delle discariche.

Un pneumatico per auto può pesare dai 7,5 ai 10 Kg, mentre un pneumatico per camion può pesare
dai 30 ai 40 Kg. Fino a poco tempo fa gli pneumatici esausti erano avviati in discarica. Oggi la
normativa di riferimento prevede:
 Pneumatici destinati alla ricostruzione à 25%;
 Pneumatici destinati al recupero di materiale à 65%;
 Aumento della durevolezza degli pneumatici à 10%.

Nascono dei consorzi volontari per la gestione del rifiuto pneumatico con lo scopo di
ottimizzare i processi e i trattamenti di recupero e riciclo (es.: alcuni carrelli di atterraggio di aerei
sono realizzati con pneumatici ricostruiti che rispettano tutti i requisiti di qualità e sicurezza
richiesti).

Ciclo produttivo pneumatico

Utilizzo pneumatico

Trattamento PFU

Termovalorizzazione Recupero materia seconda

Ingresso di energia e/o materia in un nuovo ciclo di vita

Il trattamento del PFU consiste nella sua triturazione per mezzo di cesoie contro-rotanti a vari
livelli di finezza in funzione dell’utilizzo che ne deve essere fatto: la frazione più fine prende il
nome di “polverino” (d < 1 mm).
Il granulato di pneumatico può essere utilizzato nei cementifici, come fondo per i campi sintetici
sportivi (obbligatorio in questo caso un test di cessione) o come “combustibile” per il recupero
energetico.
La triturazione può essere realizzata con un metodo criogenico: il PFU viene prima triturato
grossolanamente, per poi essere raffreddato a circa –80 °C mediante azoto liquido in modo da
facilitare la triturazione fine successiva, che consiste in una vera e propria polverizzazione.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 13 Pneumatici Fuori Uso – Simone Benassi 95


14. TECNOLOGIE APPROPRIATE
Le tecnologie appropriate, dal punto di vista sociale, umano, politico, economico, ambientale, sono
quelle tecnologie che:
 Migliorano le condizioni di vita;
 Economicamente usano in maniera saggia le risorse;
 Ecologicamente rispettano l’ambiente;
 Non impongono culture, ideologie, tecnologie non adatte allo scenario specifico di azione;
 Valorizzano la cultura, gli usi e costumi e le tecnologie dei popoli nativi.

Un’altra definizione di tecnologia appropriata (tecnologia site specific): tecnologia, processo o idea
che aumenta la realizzazione dell’uomo attraverso la soddisfazione dei suoi bisogni.
Fino a poco tempo fa si portava la tecnologia nel luogo in cui ce n’era bisogno, creando svariati
problemi (compatibilità, gestione, manutenzione, …): oggi invece si cerca di sviluppare una
tecnologia adatta alle esigenze del luogo in cui deve essere utilizzata e alle sue caratteristiche.

Una tecnologia appropriata (TA in seguito) è una tecnologia che per risolvere un problema non ne
crea degli altri.
Le sue caratteristiche sono:
 Semplicità gestionale;
 Piccola scala;
 Basso costo;
 Partecipazione delle comunità locali;
 Riduzione impatto ambientale;
 Facile riproducibilità con le risorse disponibili sul posto;

Il termine nasce negli anni ’70 in UK e non è applicabile solo ed esclusivamente ai paesi in via di
sviluppo o emergenti.
Il massimo teorico è Ernest Fritz Schumacher, economista inglese amministratore del governo di
Londra per le ex colonie d’oriente: suo è il testo di riferimento sulle tecnologie appropriate in cui
spiega le motivazioni per cui una tecnologia “calata” brutalmente dall’alto in un contesto può avere
impatti negativi.
Nel 1966, insieme ad alcuni amici, Schumacher fonda l’ITDG (Intermediate Technology
Development Group), il gruppo per lo sviluppo delle tecnologie appropriate.
Dopo anni di lavoro nei paesi del Sud della terra, il giorno prima della sua morte, avvenuta nel
settembre del 1977, parlando ad una conferenza internazionale in Svizzera, Schumacher espose la
sua tesi “... non solo i paesi in via di sviluppo, ma anche quelli altamente industrializzati devono
cominciare a ragionare in termini di tecnologie più in armonia con gli uomini e con l’ambiente e
meno legate alle risorse non rinnovabili …”.

“La diversità culturale è necessaria per l’umanità come la biodiversità per la natura”

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 96


La progettazione di una TA richiede non solo un’analisi strutturale e tecnica ma anche un’analisi
economica e sociale del contesto.
Queste analisi necessitano di una raccolta di dati ed esperienze oltre che di una ricerca approfondita
sul campo: per questo motivo c’è il pericolo di incontrare, nel particolare paese in cui si va ad
operare, una situazione particolare inaspettata.
La parola chiave per la progettazione di una TA è flessibilità.

I passi per la progettazione e l’applicazione di una TA sono:


1. Identificazione dei problemi à è fondamentale conoscere i bisogni umani di base per cui
si realizza la TA;

2. Impostazione à è fondamentale conoscere la realtà locale e il contesto sociale per poi


fissare gli obiettivi;

3. Sviluppo ed esecuzione à individuare, progettare e realizzare le soluzioni tecnologiche più


appropriate;

4. Valutazione in itinere à valutare se la soluzione tecnologica scelta è realmente appropriata


sul piano tecnico, ambientale, sociale ed economico del luogo;

5. Validazione a progetto concluso à valutare l’effettiva sostenibilità/utilità del progetto nel


breve e nel lungo termine.

Come per tutti i progetti tecnologici anche per le TA è importantissimo monitorare lo sviluppo delle
attività, raccogliere informazioni e confrontare ciò che accade con quello che è stato previsto.

Tecnologie appropriate per l’acqua


La crisi idrica mondiale non interessa soltanto la quantità dell’acqua ma anche la qualità della
stessa: l’aspetto igienico sanitario è quindi di prioritaria importanza nei paesi in via di sviluppo o
emergenti, sia per quanto riguarda l’acqua sia per quanto riguarda i rifiuti.
L’accesso all’acqua potabile o la sua purificazione è importante per la salvaguardia della sanità
pubblica: infatti l’acqua è un vettore di malattie infettive.
Tra le malattie infettive di cui l’acqua può essere vettore ci sono:
 Anemia;
 Botulismo;
 Dengue;
 Diarrea;
 Epatiti;
 Malaria;
 Infezioni intestinali;
 Ameba;
 Malnutrizione.

Bastano pochi, piccoli espedienti per ridurre notevolmente grandi rischi per la salute delle persone.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 97


Le tecniche per migliorare la qualità dell’acqua nei paesi in via di sviluppo o emergenti sono:
1. Bollitura à per sterilizzare una piccola quantità di acqua portandola a una temperatura di
60-70 °C per circa due minuti.
Si riescono a eliminare i batteri ma non gli altri inquinanti chimici come nitrati
e metalli pesanti.

2. Filtro a candela à anche detto filtro in ceramica.


L’obiettivo è di rendere disponibile a basso costo una tecnologia per la
purificazione dell’acqua in ambito domestico.
L’acqua è filtrata attraverso un materiale poroso, il quale trattiene il
particolato solido ma non gli inquinanti chimici.
Il filtro devo essere pulito regolarmente per rimuovere le impurità
catturate e a volte si raccomanda di bollirlo prima di riposizionarlo.
È molto efficace per la rimozione del cloro.
Un tubo con diametro di 7-11 cm può garantire una produttività di
2-6 l/h.

3. Filtro a sabbia à permette di rimuovere il particolato solido e alcuni agenti patogeni


(0,2-0,5 cm).
L’acqua è filtrata attraverso più strati di sabbia che, grazie alla
proliferazione di microrganismi, generano un’attività biologica.
Dopo la costruzione del filtro occorrono alcuni giorni per la creazione
dello strato biologico (fino a quel momento la rimozione degli agenti
patogeni è limitata).
Può garantire una produttività di 100/200 l/m2 h.

4. Filtro a tessuto à l’obiettivo è filtrare l’acqua per la riduzione del colera (riduzione anche
del 50%).
L’acqua è filtrata attraverso un tessuto chiamato “sari”, tessuto
tradizionale utilizzato per gli abiti femminili in India e Bangladesh.

Tutti i filtri discussi finora non necessitano di alcuna forma di energia per il loro funzionamento e
sono estremamente semplici da realizzare, utilizzare e manutenere.

5. Disinfezione à tecnica particolarmente efficace per rimuovere gli inquinanti chimici.


Consiste nell’aggiungere alcune sostanze disinfettanti nei recipienti e nei
serbatoti di acqua, quali ipoclorito di sodio, ipoclorito di calcio e altre
sostanze derivanti dal cloro.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 98


6. Distillazione solare à permette di rimuovere tutti o quasi tutti gli inquinanti chimici come
sali minerali, batteri, parassiti e metalli pesanti.
Il meccanismo di funzionamento è lo stesso spiegato nel cap. 5 per
quanto riguarda la dissalazione delle acque marine e salmastre.
Si ottiene acqua distillata, priva di sali minerali che possono essere
recuperati attraverso una corretta alimentazione.
La manutenzione richiede di rimuovere 1-3 volte al giorno la
salamoia che si crea sul fondo del distillatore: una superficie di 1 m2
garantisce una produttività di 4 l/g di acqua.
Il problema è lo smaltimento del grande quantitativo di sale
(35 g/l) che viene prodotto: di contro il costo dell’acqua distillata è
molto competitivo.

Anche dove l’acqua è disponibile spesso donne e bambini sono costretti a percorrere lunghe
distanze ogni giorno per arrivare alla fonte dell’approvvigionamento.

Le tecniche per aumentare la disponibilità dell’acqua nei paesi in via di sviluppo o emergenti sono:
1. Raccolta dell’acqua piovana tramite cisterne à questa tecnica è necessaria nelle zone in
cui la variabilità temporale e spaziale delle piogge è notevole, per
poter fornire alle popolazioni che non sono approvvigionate da una
rete idrica di una riserva di acqua di qualità e che perduri nel tempo.
La tecnica consiste nel captare l’acqua dal tetto dell’abitazione per poi
convogliarla tramite una tubazione (scollegata durante l’acqua di
prima pioggia che lava il tetto) in una cisterna di raccolta che può
essere interrata o posizionata fuori terra.
L’acqua così raccolta può essere prelevata con una pompa manuale
direttamente dalla cisterna che può avere una capacità da 1 m3 fino a 30 m3.

Il primo passo è il calcolo della quantità di acqua piovana captabile


Q in un anno:

Q = S x Y x P x Hfil [m3/anno]

Dove: S à superficie captante [m2]


Y à coefficiente di deflusso [%]
P à altezza delle precipitazioni [mm/a]
Hfil à efficacia del filtro [%]

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 99


Il secondo passo è la determinazione del fabbisogno di acqua
potabile F per l’utenza per il conseguente dimensionamento della
cisterna:

F = C x giorni all’anno x n° utenti [l/a]

Dove: C à consumo personale teorico di acqua [l/g ab]

Sapendo che (1 dm3 = 1 l) è possibile realizzare un semplice confronto


fra Q e F, con il fine di verificare il grado di soddisfacimento del
fabbisogno dell’utenza.

I componenti dell’impianto di raccolta sono:


 Tetto dell’abitazione come superficie di captazione;
 Tubazioni e grondaie per il convogliamento dell’acqua;
 Filtri per le foglie e i materiali grossolani;
 Cisterna o serbatoio.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non da linee guida


sulla qualità dell’acqua piovana: l’acqua piovana raccolta nelle zone
rurali ha una qualità migliore rispetto all’acqua piovana raccolta nelle
zone urbane in quanto quest’ultima precipitando “raccoglie” tutti gli
inquinanti presenti nell’atmosfera.
Un problema di questa tecnica potrebbe essere la contaminazione
batteriologica nel serbatoio o nella superficie di captazione: per
questo motivo i tetti devono essere protetti da insetti, polvere e in
generale dai contaminanti, mentre la cisterna deve essere
adeguatamente chiusa con dei coperchi e costruita lontano da alberi o
cespugli.
Inoltre i serbatoi sono tenuti al buio per evitare che luce solare e aria
portino all’eutrofizzazione dell’acqua e quindi alla formazione di
alghe.

È solitamente consigliato alle popolazioni che sfruttano l’acqua


piovana per le attività domestiche culinarie di acidificare con limone
in quanto il PH è leggermente alto (circa 8).
La costruzione di una cisterna costa circa 500 € più eventuali, poche
operazioni di manutenzione: in questo caso il vantaggio ambientale è
ampiamente superiore al vantaggio economico poiché la realizzazione
di questo “impianto” permette a una famiglia di vivere per tutta la vita.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 100


2. Raccolta dell’acqua piovana tramite bacini à questa tecnica permette di raccogliere
acqua piovana e superficiale in bacini naturali.
L’acqua raccolta può essere utilizzata per attività agricole, per allevare
il bestiame e per irrigare le coltivazioni limitrofe: previa depurazione
l’acqua può essere utilizzata anche in ambito domestico.
Gli svantaggi di questa tecnica sono l’evaporazione e la possibile
contaminazione superficiale dell’acqua.

3. Mini-dighe à hanno lo scopo di intercettare il flusso delle acque superficiali (mini-dighe


fuori terra o a sabbia) o delle falde sotterranee (mini-dighe in sotterranea)
fino a una profondità di 3-5 metri.
L’acqua piovana invece di essere stoccata in una cisterna in superficie è
raccolta nel sottosuolo, con tutti i conseguenti vantaggi dal punto di vista
della protezione contro l’inquinamento e della disponibilità.

4. Raccolta della nebbia à tecnica estremamente innovativa, utilizzata in quei luoghi dove le
fonti di approvvigionamento tradizionali non sono sufficienti
(pozzi, acqua piovana, …).
La tecnica consiste nel realizzare uno o più teloni rettangolari di
nylon o propilene posti in direzione normale a quella del vento e
sorretti da due pilastri.
L’acqua così raccolta è convogliata tramite una tubazione in una
cisterna dove viene raccolta e distribuita.
Una superficie di captazione 48 m2 garantisce una produttività
di 150/170 l/g (dipende dalle condizioni metereologiche e di
umidità).

Una TA non deve possibilmente necessitare di energia, se non quella manuale.

Le tecnologie appropriate per la gestione sanitaria dei reflui sono:


 Sistemi on-site à - Latrina single pit;
- Latrina double pit;
- Compost toilet;
- Latrina a flusso d’acqua;
- Urine diverting toilet.

 Sistemi cluster à - Sistemi di fitodeuprazione;


- Stagni biologici;
- Sistemi a fanghi attivi.

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Una compost toilet è una camera di compostaggio connessa con una o più toilet.
È presente un sistema per l’eliminazione degli odori, del vapor d’acqua e dei sottoprodotti della
digestione aerobica. Un camino per la ventilazione è utilizzato per l’approvvigionamento di
ossigeno agli organismi aerobici.
Inoltre è presente una tubazione per la raccolta del percolato e dei liquidi in eccesso e tramite un
punto di raccolta è possibile rimuovere i prodotti.

La toilet è posizionata per un tempo prestabilito su una fossa, mentre quella adiacente è chiusa con
un apposito coperchio per permettere la digestione aerobica.
Se la fossa è ben dimensionata viene riempita in circa 9 mesi che costituisce un periodo di tempo
sufficiente nei climi caldi affinché il materiale accumulato nell’altra fossa sia diventato sicuro e
possa essere rimosso senza rischi.

Per migliorare la qualità del compost è importante versare nei pit ad ogni utilizzo:
 Cenere;
 Terriccio;
 Foglie;
 Calce.
Per la sicurezza igienica dell’utenza è fondamentale disporre di semplici dispositivi per il lavaggio
delle mani.

Un compost di buona qualità dovrebbe presentare un rapporto C/N (Carbonio/Azoto) pari a circa 30.
L’humus ottenuto dalla pratica di compostaggio costituisce un ottimo fertilizzante per i terreni aridi;
i terreni fertilizzati con questo compost hanno dato raccolti fino a sette volte maggiori rispetto a
quelli che non sono stati fertilizzati.

Tecnologie appropriate per la gestione dei rifiuti solidi


Come detto in precedenza, l’aspetto igienico sanitario è quindi di prioritaria importanza nei paesi
in via di sviluppo o emergenti, sia per quanto riguarda l’acqua sia per quanto riguarda i rifiuti.
Le attività umane generano rifiuti: il modo con cui questi vengono gestiti, stoccati, raccolti, trattati e
smaltiti può mettere a serio rischio la salute umana e l’ambiente.
Nei paesi in via di sviluppo o emergenti circa un terzo dei rifiuti non viene raccolto: in questi paesi
è prioritario raccogliere i rifiuti, infatti il recupero di materia seconda ed energia passa in secondo
piano.

I rischi correlati a una scorretta gestione dei rifiuti in questi paesi sono:
 Rischio per la salute della popolazione;
 Rischio per la salute dei lavoratori;
 Inquinamento ambientale;
 Proliferazione di malattie;
 Impatto visivo.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 102


Solitamente è la parte povera delle zone urbane a risentire maggiormente della scorretta gestione
dei rifiuti poiché le autorità preferiscono allocare le proprie risorse finanziarie limitate nelle zone
più ricche della città, dove i cittadini possono permettersi di pagare un’imposta più alta.
Oggi circa il 50% della popolazione dei paesi in via di sviluppo o emergenti vive nelle zone urbane
mentre il restante 50% vive nelle zone rurali: si stima che entro il 2015 la percentuale di coloro che
vivranno in città sarà pari all’80% (problema dell’urbanizzazione incontrollata).
La gestione dei rifiuti diventa quindi critica nei centri urbani.

I sistemi di raccolta in questi paesi sono costituiti principalmente da due fasi:


1. Raccolta primaria à i rifiuti sono raccolti in una prima area di stoccaggio anche in modo
non controllato;

2. Trasporto secondario à i rifiuti sono trasportati dall’area di stoccaggio al sito di


trattamento o avviati in discarica (soluzione largamente adottata
in questi paesi).

Nella progettazione di un sistema di raccolta è fondamentale analizzare tutti i dati disponibili sui
rifiuti prodotti nel luogo (tipologia, percentuali in peso, densità, …).
Inoltre il sistema deve essere adattato alle esigenze particolari del luogo in cui deve implementato
(“non è possibile esportare il sistema di raccolta di Hera in Nord Africa”).

Solitamente gli attori coinvolti nella gestione dei rifiuti sono:


 Raccolta primaria à realizzata dalla comunità con mezzi semplici;
 Trasporto secondario à realizzata ancora una volta dalla comunità o da piccole imprese.
Risulta quindi fondamentale coinvolgere dal primo momento la comunità locale.

Il tipo di veicolo per la raccolta e il trasporto dei rifiuti deve essere scelto valutando diversi fattori:
 Metodo di raccolta scelto;
 Costi;
 Manutenzione e reperibilità dei pezzi di ricambio;
 Tipo di strade;
 Tipo di rifiuti;
 Tipo di clima;
 Aspetto culturale.

Alcuni tipologie di veicoli sono:


 Tricicli o carrelli à possono operare in un raggio limitato e con basse velocità;
 Carriole;
 Biciclette;
 Veicoli motorizzati à apecar, trattori, camion, utilizzati soprattutto per il trasporto
secondario.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 103


Lo staff richiesto per la raccolta dei rifiuti dipende dal tipo di veicolo scelto e dal metodo scelto:
spesso i salari sono molto bassi e gli operatori compiono altri lavori.
La frequenza di raccolta è determinata in base al tasso di decomposizione e agli odori emessi dai
rifiuti: nelle zone tropicali la decomposizione inizia dopo appena 2 ore dal deposito dei rifiuti
mentre nelle zone fredde è sufficiente una frequenza di raccolta di 4 giorni.

Le tipologie di sistemi di raccolta sono:


1. Deposito comune à la popolazione porta i propri rifiuti in un punto comune: si tratta della
soluzione più veloce e meno costosa che coinvolge la comunità locale.
Il punto comune di raccolta non deve essere troppo lontano per non
scoraggiare le persone a svolgere il servizio;

2. Punto di raccolta mobile à i cittadini portano i rifiuti su un veicolo che si ferma in un dato
luogo ad una certa ora in determinati giorni.

3. Raccolta porta a porta à i “raccoglitori” passano casa per casa: si tratta della soluzione
più costosa.

La scelta di una tipologia di sistema di raccolta piuttosto che di un'altra dipende dal tipo di zona in
cui deve essere implementato e dal tipo di veicolo scelto.

La raccolta primaria e il trasporto secondario sono indipendenti fra loro ma da varie esperienze si
nota che in realtà l’una dipende dall’altra: la necessità di coordinamento è quindi forte.

Risolto il problema della raccolta primaria e del trasporto secondario dei rifiuti, che sono prioritari
nei paesi in via di sviluppo o emergenti, è possibile pensare al riciclaggio e al recupero degli stessi
Nasce la figura del “riciclatore”: si tratta di persone che raccolgono, porta a porta o nei depositi
controllati o meno, i rifiuti che possono essere riciclati, portandoli ai commercianti che a loro volta
li possono vendere alle aziende, ottenendo in cambio denaro o beni di consumo.
Queste persone sono spesso spinte dalla povertà e sono esposti ad alti rischi per la salute.

In questi contesti è molto importante:


 Riconoscere e controllare i riciclatori da parte delle autorità locali;
 Coordinare il lavoro dei riciclatori;
 Migliorare le condizioni di lavoro dei riciclatori.

La discarica in questi paesi ha un impatto ambientale fortissimo poiché spesso è un sito non
controllato che funge da area di stoccaggio per il prioritario bisogno di allontanare i rifiuti dalla
città: il 20% circa dei rifiuti presenti nella discarica sono rifiuti tossici e pericolosi che nuocciono
gravemente alla salute dei riciclatori.

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Altre tecnologie appropriate per i paesi in via di sviluppo o emergenti sono:
 Essiccatore solare per alimenti;
 Cucine solari; sfruttano il grande irraggiamento solare di questi paesi.
 Pompe solari;
 Mini impianti idroelettrici;
 Mini eolico.

CAT – Centre for Alternative Technology (UK)


Si tratta di un centro fondato nel 1973 da dei “pionieri” della sostenibilità ambientale e delle energie
rinnovabili, nel quale sono sperimentate le tecnologie appropriate adatte alle condizioni ambientali,
climatiche ed economiche del Regno Unito.
Una parte del centro è visitabile ed è possibile osservare alcune tecnologie installate a scopo
dimostrativo: il centro è completamente autosufficiente sia dal punto di vista energetico sia dal
punto di vista idrico.
Il CAT promuove il progetto “Zero Carbon Britain”, progetto finalizzato alla transizione
dall’utilizzo dei combustibili fossili all’utilizzo delle energie rinnovabili, con l’obiettivo di azzerare
il bilancio delle emissioni di CO2.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 14 Tecnologie appropriate – Simone Benassi 105


15. ENERGIE
La teoria del picco di Hubbert (detta anche più brevemente picco di Hubbert) è una teoria
scientifica proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King
Hubbert riguardante l'evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o
fonte fossile esauribile o fisicamente limitata.
Hubbert lancio il primo grido di allarme per quanto riguarda la sostenibilità ambientale: secondo il
geofisico le fonti fossili, in particolare il petrolio, andranno a esaurirsi nei primi decenni degli anni
2000.
Inizialmente la tesi del geofisico non fu appoggiata, ma ben presto ci si rese conto della sua
importanza e veridicità: intorno agli anni ’70 molte nazioni presentano il picco di utilizzo per le
fonti fossili.

Le forme di energia utilizzate dall’umo nel corso della storia sono state diverse. Oggi siamo in un
periodo di transizione dall’era del carbonio all’era delle fonti di energia rinnovabile/alternative (era
del post-carbonio non più basata sull’utilizzo degli idrocarburi).

Un tempo il ciclo dell’anidride carbonica (CO2) era chiuso, bilanciato e l’effetto serra non era un
pericolo: a partire dall’800 (Seconda Rivoluzione Industriale), a causa dell’incremento spaventoso
delle emissioni di CO2 l’effetto serra porta al surriscaldamento globale e ai conseguenti
cambiamenti climatici caratterizzanti il nostro pianeta.
Alla conferenza internazionale di Kyoto i diversi Paesi si sono accordati nel tentativo di ridurre le
emissioni di CO2. Nasce il progetto 20-20-20 che si pone l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2
del 20%, aumentando l’utilizzo delle fonti di energia alternative del 20% entro il 2020.
L’obiettivo del progetto è avere il 50% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro quell’anno.

Le fonti fossili maggiormente utilizzate oggi e nel passato sono il petrolio e il carbone (entrambi
hanno origine organica): la Cina è la nazione che utilizza il maggior quantitativo di carbone ed è
quindi responsabile di una grande percentuale di emissioni di CO2.

Le fonti di energia rinnovabile/alternativa sono:


 Energia fotovoltaica à è sfruttato l’irraggiamento solare per produrre energia.
Dal punto di vista dell’impatto ambientale un impianto come
questo comporta:
- Impatto visivo;
- Terreni agricoli votati all’agricoltura convertiti in terreni per la
produzione di energia.
I pannelli sono dotati di sistemi di regolazione che permettono il
loro posizionamento in direzione del Sole con lo scopo di
migliorare il rendimento.
Sono solitamente disposti in posizioni rialzate rispetto al piano
campagna per lasciare libero il passaggio ai mezzi agricoli: per
questo motivo o pannelli fotovoltaici possono essere realizzati in
terreni esondabili.
Tutti i materiali con cui è realizzato un pannello fotovoltaico sono
riciclabili: i più diffusi sono i pannelli al silicio (la durata media di

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 15 Energie – Simone Benassi 106


vita di un pannello di buona qualità è 25 anni).
In questo particolare ambito si parla di riciclo ad alto valore e a
basso valore: il riciclo a basso valore è realizzato quando si
recupera solo una parte dei materiali di cui è costituito il pannello,
mentre il resto viene avviato in discarica.
In ogni modo deve sempre essere realizzata la separazione delle
cornici in alluminio.

 Energia geotermica à che a sua volta può essere classificata in:


- Energia geotermica a basso gradiente;
- Energia geotermica ad alto gradiente.
Alcuni paesi possono sfruttare le particolari caratteristiche
geotermiche dei propri territori per produrre energia: l’Islanda è
completamente autosufficiente dal punto di vista energetico.
La temperatura aumenta di 1 °C ogni 30 metri, scendendo in
profondità.
Attraverso pompe di calore posizionate all’interno di pozzi
geotermici è possibile produrre acqua calda che può essere
utilizzata per scaldare le serre. Questa fonte di energia non ha
rilevanti impatti ambientali.

 Energia eolica à è sfruttata l’azione del vento per produrre energia elettrica.
L’impatto inviso è notevole: per questo motivo le pale eoliche devono
essere realizzate in zone poco abitate.
I primi modelli inoltre erano estremamente rumorosi.
In Italia questa tecnica non è particolarmente utilizzata.

 Impianti ad energia del mare à è sfruttato il movimento delle maree e delle correnti
marittime. Molte zone sono caratterizzate da fortissime
escursioni di marea, come per esempio il Canale della
Manica e in Italia lo Stretto di Messina.

 Biomassa legnosa à la biomassa può essere utilizzata come fonte di energia.


Da valutare è la convenienza nel produrre energia da biomassa: le
voci di costo che intervengono sono il processo di produzione,
l’utilizzo e il trasporto della stessa biomassa (in un raggio di 40 Km di
strada da percorrere il bilancio è positivo).

 Energia da rifiuti à argomento approfondito nel capitolo 9 (Inceneritori e termovalorizzatori).

Biodiesel à particolare “benzina” ricavata da varie tipologie di olii, anche esausti.


Gli ambiti di studio sono oggi concentrati sulla ricerca di colture, per l’estrazione
degli olii necessari per produrre il biodiesel, che non siano utilizzate a scopo alimentare.

Valorizzazione delle risorse I e II M – modulo 15 Energie – Simone Benassi 107


In bocca al lupo!

108
ACRONIMI

TMB à Trattamento Meccanico Biologico


FOS à Frazione Organica Stabilizzata
CDR à Combustibile Da Rifiuto
TUA à Testo Unico Ambientale
C&D à Costruzione & Demolizione
CDW à Construction and Demolition Waste
CER à Codice Europeo dei Rifiuti
IDR à Indice di Raccolta Differenziata
RI à Resa di Intercettazione
RD à Raccolta Indifferenziata
RU à Rifiuti Urbani
RSU à Rifiuti Solidi Urbani
RUP à Rifiuti Urbani Pericolosi
ERRA à European Recovery and Recycling Association
PE à Polietilene
PP à Polipropilene
PS à Polistirolo/Polistirene
PVC à Polivinilcloruro
PET à Polietilentereftalato
CONAI à COnsorzio NAzionale Imballaggi
CIAL à Consorzio Imballaggi ALuminio
COREVE à COnsorzio REcupero VEtro
FORSU à Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani
CIC à Consorzio Italiano Compostatori
PCI à Potere Calorifico Inferiore
APC à Air Pollution Control
RAEE à Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche
WEEE à Waste of Electric and Electronic Equipments
VFU à Veicoli Fuori Uso
PFU à Pneumatici Fuori Uso
ELV à End of Life Vehicles
ASR à Automobile Shredder Residue
TA à Tecnologia Appropriata
ITDG à Intermediate Technology Development Group
OMS à Organizzazione Mondiale della Sanità
CAT à Centre for Alternative Technology

  Valorizzazione delle risorse I e II M – Acronimi – Simone Benassi 109  

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