Autori illuministi:
Bacone: «Ipsa scientia potestas est»1; «Bacone ha compreso animus della scienza moderna»2
Leibniz: filosofia come charachteristica universalis in grado di essere soluzione per controversie
politiche, in quanto errori concettuali si sarebbero risolti in errori di calcolo. (vedi Descartes e
mathesis universalis)
Pensiero Antico: Già nei pre-socratici3, ad esempio nel discorso della dea nel poema Sulla Natura di
Parmenide si va a creare l’ideologia dell’illuminismo, alla definizione di ciò che è razionale rispetto
alla doxa: «τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι»4. Ma la fondazione vera e propria dell’Illuminismo
la troviamo nella Repubblica5 platonica dove la ragione, intesa qui come calcolo va ad essere la
facoltà che deve guidare i filosofi nel governo della città ideale, in quanto la loro stessa anima è
razionale, a differenza di quella irascibile dei guerrieri e quella concupiscibile dei produttori.
Epos vs Mito:
1
Francesco Bacone, Meditazioni sacre, in “Opere filosofiche”, a cura di E. De Mas, Bari, Laterza, 1965
2
Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1997, p.
12
3
«Sorprendentemente, la genealogia del concetto politicizzato di razionalità in Platone non è stata ancora indagata in
modo esaustivo. In questa occasione basterà ricordare che tra i suoi primi antecedenti vanno annoverati gli interessi di
Eraclito per la misura (logos e metron) come strumento esplicativo nella ricerca filosofica, oppure le armonie matematiche
e le proporzioni numeriche attribuite a Pitagora e ai pitagorici. Al momento della composizione della Repubblica, se si
segue la cronologia convenzionale dei dialoghi, Platone aveva già spiegato conoscenza e tecnica (techne) nei termini di
una guida, come ciò che conferisce a chi le possiede la capacità di guidare e comandare. Molto probabilmente, questa
nozione fu una delle principali eredità del lascito socratico. Ma è improbabile che Socrate coltivasse quel genere di
interessi matematici che avrebbero condotto alla nozione specificamente matematica del governo della ragione, inteso nei
termini di una capacità di calcolare o misurare ciò che è meglio per gli Stati e per le anime.» [Anthony A. Long, Greek
Models of Mind and Self, Harvard College Press, 2015 [= La mente, l’anima il corpo – Modelli greci, a cura di Mauro
Bonazzi, Einaudi, Torino, 2016, p. 93]
4
A cura di Hermann Diels e Walter Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmannsche buchhandlung, Frankfurt
au Main, 1903, DK 28 B3 [= I Presocratici, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Torino, 2006, p. 482].
5
Anthony A. Long nel capitolo dedicato all’anima politicizzata nel suo La mente, l’anima il corpo – Modelli greci del
2017, nota come l’utilizzo di una ragione calcolante come metodo di gestione politica dello stato di trovi già nella
Repubblica platonica. Mostrando la totale sovrapposizione nella Repubblica della dimensione dello stato e dell’anima
egli si concentra particolarmente sull’anima calcolativa o razionale, λογιστικόν, quella che nello stato è rappresentata dai
filosofi, i veri e propri governanti illuminati. Scrive Long: «Tutta la Repubblica nella sua interezza si fonda sul principio
che nell’universo, in politica e nell’anima una cosa, e una cosa soltanto, è veramente qualificata per una funzione di
controllo, per esercitare la sua autorità su tutto il resto. Questa cosa è la ragione, o il ragionamento, termini che in greco
sono espressi per mezzo del sostantivo logismos, l’aggettivo logistikos e il verbo logizesthai. […] Per Platone buon
governo significa applicazione della ragione, e la ragione implica la capacità di calcolare correttamente a proposito di
cosa sia meglio per una certa cosa, si tratti dell’anima individuale o dello Stato. Complessivamente, Platone intende la
ragione come matematica nel senso che l’obiettivo della ragione è di raggiungere una verità e un’esattezza prive di
equivoci. Nell’anima, il governo della ragione, per come Platone lo intende, non procede né in modo probabilistico né
secondo calcoli strumentali di mezzo e fine. Si tratta piuttosto di applicare alla politica una capacità di misurazione esatta
o, meglio, una capacità di stabilire con esattezza proporzioni armoniche.» [Anthony A. Long, Greek Models of Mind and
Self, Harvard College Press, 2015 [= La mente, l’anima il corpo – Modelli greci, a cura di Mauro Bonazzi, Einaudi,
Torino, 2016, pp. 90-93]
Epos si costituisce come già illuminista: la figura epica va a neutralizzare quella mitica. Alle divinità
ctonie (pensiamo al fatto che il grande antagonista di Odisseo sia Poseidone, re di una delle forze
naturali) si sostituiscono quelle olimpiche nelle quali il potere, quello Zeus raddrizzatore di cui parla
Esiodo nelle Opere e i giorni, fa nascere, per partenogenesi, senza alcuna mediazione, la ragione,
Atena. Non è un caso che ci sia un rapporto patriarcale tra dominio e ragione.
Demitizzazione crea nuova mitologia. Lo aveva osservato anche Weber in L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo parla del processo di secolarizzazione per il quale la morale calvinista si
traduceva nella morale capitalistica, quando l’etica del lavoro prende lo spazio dell’etica religiosa.
Il percorso di Odisseo rappresenta il superamento da parte del soggetto borghese del mito. Mano a
mano l’eroe sconfigge e si appropria di tutte le forze naturali che incontra: la forza di Polifermo
(riflessione weberiana su Macht e Herrschaft), la libido di Circe e delle sirene, le forze della natura
di Scilla e Cariddi, etc. Il percorso di Odisseo può essere letto come una fenomenologia dello spirito
nella quale l’eroe epico compie l’alienazione e l’appropriazione di tutte le figure che affronta. È
interessante da questo punto di vista fare un raffronto con quanto dice Adorno in Dialettica negativa
nei confronti del Capitale di Marx quando dice che l’opera marxiana si costituisce come una
fenomenologia dell’anti-spirito, o meglio, una fenomenologia dello spirito alienato e reificato: e se
l’Odissea fosse una protofenomenologia dello spirito borghese?
La figura di Polifemo è interessante anche perché viene messa in luce l’illegalità del gigante, il non
appartenere a quell’ordine figlio delle divinità olimpiche.
Illuminismo e escatologia: «il mondo diventa il caos, la sintesi salvezza»6, dominio sulla natura si fa
sintesi dialettica, si fa ragione (il riferimento a Hegel è abbastanza chiaro). Questo è già in nuce nel
vangelo di Giovanni (non a caso rivolto proprio al mondo greco): «Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος
ἦν πρὸς τὸν θεόν,
καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.». Il λόγος, la ragione, non il verbum latino, è il dio cristiano, con tutto ciò che
questa proprietà implica.
Concetto di illuminismo
6
Dialettica dell’Illuminismo, cit., p. 13
In dialettica dell’illuminismo vi è una doppia cattura del termine illuminismo. Da una parte
troviamo il termine nel senso di cui scrive Carlo Galli nell’introduzione dell’opera quando scrive:
«A una prima approssimazione, ‘illuminismo’ vale qui non tanto nella sua accezione storica
determinata, e neppure nel senso kantiano del «sapere aude! », né come l’uscita dell’uomo dalla
colpevole minorità della sua ignoranza, quanto, più in generale, come logos, ratio, ovvero come
pensiero razionalistico (definito anche ‘borghese’), sia nel suo versante ‘liberale’ e positivistico
sia, sebbene in misura diversa e con differenti modalità, in quello dialettico. Quel pensiero -
palesemente moderno, ma che Horkheimer e Adorno retrodatano a norma originaria della civiltà
autonoma identità razionale, la propria libertà.» Dall’altra lo intende come traduzione letterale
ragione ed è uno dei topoi filosofici di Adorno dagli anni ’30 (in particolare nella conferenza
L’attualità della filosofia del 1932) fino alla fine della sua vita filosofica (Dialettica negativa
parte proprio da questo problema). Sta proprio in questo la contraddittorietà della dialettica
Sembra che il problema filosofico che sussume tutti gli altri all’interno di Dialettica
quello della reificazione della coscienza. Tutti gli altri problemi derivano da esso. In questo senso
risalendo ai miti della sua fondazione. Chiaramente non si riduce tutto ad un’analisi storico-
avanzata, una teoria critica della società, considerando che, come scritto nelle Lezioni di
rapporto di potere e diritto secondo principi puri astratti essa assume in sé, positivamente o
negativamente, categorie immanenti alla società esistente»7, sia in modo diretto che implicito. È
storico-sociale nel quale si sviluppa e in base alle forze che detengono i rapporti di produzione.
“Herrschaft der Ganzheit”, il dominio del concetto. Questo aspetto va ricercato nelle
vengono solo accennate rispetto all’Herrschaft vero e proprio a cui è dedicata l’opera.
Però c’è da dire che questo aspetto viene a essere il fil rouge dell’opera: nell’illuminismo
«il mondo diventa il caos e la sintesi salvezza». «L’illuminismo riconosce a priori come
essere ed accadere, solo ciò che si lascia ridurre a unità; il suo ideale è il sistema, da cui
si deduce tutto e ogni cosa»8 (doppia cattura di Hegel). Vedi p. 23 sul concetto come
Adorno e Foucault
7
Institut fűr Sozialforschuung, Soziologische Exkurse, [= Lezioni di Sociologia, trad. it. a cura di Alessandro Mazzone,
Einaudi, Torino, 1966 p. 15].
8
Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 15
Il campo nel quale questi due itinerari si intersecano è quello dell’Aufklärung e della razionalità
strumentale che da esso scaturisce. Si tratta di risalire genealogicamente al momento di fondazione
di una razionalità tesa al dominio e delle sue procedure di controllo.
Molti processi che segnano la seconda metà del secolo XX hanno riportato la questione dell’Illuminismo al
centro delle preoccupazioni contemporanee. In primo luogo, l’importanza assunta dalla razionalità scientifica
e tecnica nello sviluppo delle forze produttive e nel gioco delle decisioni politiche. In secondo luogo, la storia
stessa di una “rivoluzione”, la cui speranza, sin dalla fine del secolo XVIII, era stata sostenuta da un
razionalismo a cui si è in diritto di chiedere quanta parte abbia avuto negli effetti di dispotismo in cui questa
speranza si è smarrita. Infine, il movimento attraverso cui ci si è messi a domandare, in Occidente e
all’Occidente, quali titoli detenessero la sua cultura, la sua scienza, la sua organizzazione sociale e, infine, la
sua stessa razionalità per pretendere una validità universale: è qualcosa di diverso da un miraggio legato a un
dominio e a un’egemonia politica? Due secoli dopo la sua comparsa, torna la Aufklärung: come un modo, per
l’Occidente, di prendere coscienza delle sue possibilità attuali e delle libertà a cui può accedere, ma anche
come un modo per interrogarsi sui suoi limiti e sui poteri di cui si è servito. La ragione come dispotismo e,
insieme, come luce.»9
Esattamente come in Dialettica dell’Illuminismo, per Foucault l’Aufklärung ha una sua doppiezza: da
una parte si pone come luce in grado di «togliere agli uomini la paura»10, dall’altra li rende schiavi
attraverso una vera e propria egemonia politica, impalpabile ed ineluttabile.
La razionalità del potere infatti, come scrive ancora Vaccaro, in entrambi i filosofi, tende a inglobare
e a introiettare (Adorno direbbe che si tratta di un procedimento di sintesi dialettica) ogni tentativo di
resistenza.
Questa razionalità del potere sempre aperto, duttile, elastico, di gomma se lo si dovesse immaginare
plasticamente, alimenta i conflitti; il potere ingloba nel proprio gioco le resistenze, razionalizzandole sotto
forma di contro-poteri e di anti-poteri. I primi premono nel conflitto, nello scontro, contrapponendo altri punti
nodali, altre catene trasversali e frammentate, non univoche, di saperi, etiche e valori; i secondi, sempre per
restare nella metafora strategico-militare, aggirano, eludono, vanificano, dissolvono, irridendole, strategie,
dispositivi, griglie di controllo, regolazioni disciplinari.11
E ancora:
9
Michel Foucault, La vita: l’esperienza e la scienza in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste vol. 3, a cura di
Alessandro Pandolfi, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 321
10
Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 11
11
Salvo Vaccaro, Adorno e Foucault. Pensare di Soglia, cit., p. 33
Il sortilegio del potere riacquista, nella concezione adorniana e foucaultiana, una dimensione mondana e
storica, e ciò fa ritenere che un giorno potrà essere spezzata quella catena che reitera la sua identità ogni
qualvolta si nominano i suoi punti di catastrofe: […].12
È particolarmente interessante notare come una delle più importanti modalità di dominio sia quella
volontà di verità messa in luce da Michel Foucault in L’Ordine del Discorso (1971). Essa
disegnava piani d’oggetti possibili, misurabili, catalogabili; una volontà di spere che prescriveva a che livello
tecnico le conoscenze tecniche avrebbero dovuto investirsi per essere verificabili e utili»13.
E ancora:
«questa volontà di verità, come gli altri sistemi di esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è
rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema
dei libri, dell’editoria, delle biblioteche. […] Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente,
dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito e
in certo qual modo attribuito.14
Axel Honneth, ultimo esponente della scuola di Francoforte in un articolo dal titolo Foucault e
Adorno. Due forme di una critica della modernità (1990), nota come entrambe le analisi, sia quella
foucaultiana che quella adorniana sono centrate «sull’esperienza di un notevole accrescimento del
potere e della coercizione»15.
In questo senso quello dei nostri filosofi è un tentativo di una genealogia di questo accrescimento,
riscontrando nella storia della filosofia e nella scienza (per quanto riguarda Adorno e Horkeimer) o
nelle procedure di esclusione come la follia, la volontà di verità o la prigione (per quanto riguarda
Foucault) la nascita e le simili determinazioni del potere.
12
Ivi, p. 35
13
Michel Foucault, L'Ordre du discour, Gallimard, Paris, 1971 [= L’Ordine del Discorso, trad it. a cura di Alessandro
Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini, Einaudi, Torino, 2004] p. 9.
14
Ivi, p. 10.
15
Axel Honneth, Foucault e Adorno. Due forme di una critica della modernità, in Adorno e Foucault – Congiunzione
disgiuntiva, a cura di Franco Riccio, Salvo Vaccaro, Ila Palma, Palermo, 1990