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Convegno «Una vocazione, una formazione, una missione»

Organizzato dalla Congregazione per il Clero – 19-20 novembre 2015


Roma, Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana

SULLA STRADA DEL DISCEPOLATO:


FORMAZIONE UMANA, INTELLETTUALE E SPIRITUALE

Relazione di S.Em. il Card. Giuseppe Versaldi


Prefetto della Congregazione dell’Educazione Cattolica

L’argomento che devo sviluppare si colloca tra gli interventi programmati


attorno al decreto del Concilio Vaticano II sulla formazione sacerdotale Optatam
totius nel 50° della sua promulgazione avvenuta il 28 ottobre 1965. Il tema ha questa
formulazione: «Sulla strada del discepolato: formazione umana, intellettuale e
spirituale».
Per entrare col piede giusto nell’argomento ritengo necessaria una premessa.
Serve per evitare un rischio in cui ci può far incorrere la scrittura lineare, che è quello
di pensare a una formazione a tappe successive: prima la formazione umana, poi
quella intellettuale e infine la spirituale. Ci aiuta ad evitare questo errore la prima
parte della formulazione, che parla di un’unica strada, quella del discepolato;
naturalmente si tratta dei discepoli di Cristo che si formano per essere presbiteri. I
diversi tipi di formazione si pongono in forma concentrica attorno a Cristo. Infatti,
uno dei criteri ispiratori che stanno alla base dell’Optatam totius è proprio il
cristocentrismo, che deve animare tutta la formazione al sacerdozio ministeriale, non
solo la formazione spirituale, ma anche quella umana e intellettuale. Cristo è
all’origine della vocazione e il termine dell’apostolato, perciò deve essere al centro
della formazione del candidato al sacerdozio, perché costituisca domani il centro
della personalità spirituale del presbitero. Al riguardo, dopo cinquant’anni sono
ancora vividi alcuni passaggi. Il decreto parla del «ministero sacerdotale animato
dallo Spirito di Cristo» (Proemio). Fin dai seminari minori, dove esistono, «gli
alunni, per mezzo di una speciale formazione religiosa e soprattutto di un’appropriata
direzione spirituale, si preparino a seguire Cristo Redentore con animo generoso e
cuore puro» (n. 3). Nei seminari maggiori, poi, «tutta l’educazione degli alunni deve
tendere allo scopo di formarne veri pastori di anime, sull’esempio di nostro Signore
Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore» (n.4).
Ventisette anni dopo, l’esortazione apostolica Pastores dabo vobis1 focalizza
l’identità del sacerdote proprio su Cristo. «Il presbitero trova la verità piena della sua
identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica ed una
continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna
1
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992).

1
Alleanza: egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di
Cristo, espressione della sua assoluta “novità” nella storia della salvezza, costituisce
la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie,
del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per
la comprensione delle realtà sacerdotali» (n. 12).
Di conseguenza, come afferma l’Optatam totius è necessaria l’unità della
formazione. La elencazione di diversi aspetti della formazione non costituisce una
loro segmentazione. Il testo conciliare insiste invece sulla profonda coordinazione.
Ad esempio scrive che «la formazione spirituale deve essere strettamente collegata
con quella dottrinale e pastorale» (n. 8). E per la formazione intellettuale raccomanda
che «si curi diligentemente l’unità e la solidità di tutto l’insegnamento» (n. 17). In un
mondo frantumato, il Concilio si preoccupa di offrire ai giovani una proposta
formativa unitaria, il cui garante è il Vescovo. Questi si deve preoccupare che le varie
componenti della formazione – umana, spirituale, intellettuale e pastorale –
convergano a comporre la personalità del futuro presbitero in modo armonico e
solido. L’unità della formazione è divenuta ancora più urgente oggi e interpella i
candidati al sacerdozio. E’ necessario, infatti, vincere la “dispersione educativa”, se
così ci si può esprimere, che lacera l’animo umano nel pluralismo della società
multietnica e multiculturale. Questo, evidentemente, senza perder l’apertura verso la
cultura contemporanea, con la quale il Concilio ha inteso aprire un rapporto positivo,
anche se non subalterno.
La centralità di Cristo, quindi, è il criterio che unisce tra di loro le diverse
dimensioni della formazione sacerdotale.

LA FORMAZIONE UMANA
A cominciare dalla dimensione umana, che è il fondamento dell’intera
formazione. Nell’opera formativa dei presbiteri, il Concilio raccomanda di coltivare
«la necessaria maturità umana»2. Il ministero sacerdotale, infatti, in quanto richiede
conformazione a Cristo Sposo, Buon Pastore, richiede doti, virtù morali e teologali,
sostenute da equilibrio umano e psichico, particolarmente affettivo, così da
permettere al soggetto di essere adeguatamente predisposto ad una donazione di sé
veramente libera nella relazione con i fedeli in una vita celibataria. L’esortazione
apostolica Pastores dabo vobis sottolinea come anche la formazione umana sia in
stretta relazione con Cristo. «Il presbitero […] deve cercare di riflettere in sé, nella
misura del possibile, quella perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto
uomo e che traspare con singolare efficacia nei suoi atteggiamenti verso gli altri. […]
Occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana in modo da renderla ponte e
non ostacolo per gli altri nell’incontro con Gesù Cristo Redentore dell’uomo; è
necessario che, sull’esempio di Gesù […], il sacerdote sia capace di conoscere in

2
CONCILIO VATICANO II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius (28 ottobre 1965), n. 11.

2
profondità l’animo umano, di intuire difficoltà e problemi, di facilitare l’incontro e il
dialogo, di ottenere fiducia e collaborazione, di esprimere giudizi sereni e oggettivi.
Non solo, dunque, per una giusta e doverosa maturazione e realizzazione di sé, ma
anche in vista del ministero i futuri presbiteri devono coltivare una serie di qualità
umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate, forti e libere, capaci di
portare il peso delle responsabilità pastorali» (n. 43).
Queste qualità umane e capacità relazionali che danno maturità alla persona si
riconoscono – come si legge nella Optatam totius – «principalmente in una certa
fermezza d’animo, nel saper prendere decisioni ponderate e nel retto modo di
giudicare uomini ed eventi». Segno di maturità umana sono anche la capacità di «ben
disciplinare il proprio carattere», la «fortezza d’animo» e la stima di «quelle virtù che
sono tenute in gran conto fra gli uomini e rendono accetto il ministro di Cristo quali
sono la lealtà, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la
gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare». Il Concilio indica
anche la disciplina nella vita di seminario «come un elemento necessario di una
formazione completa in vista di acquistare il dominio di sé, assicurare il pieno
sviluppo della personalità e formare quelle altre disposizioni di animo che giovano
moltissimo a rendere equilibrata e fruttuosa l’attività della Chiesa. Tale disciplina
tuttavia deve praticarsi in maniera da formare nell’animo degli alunni l’attitudine ad
accogliere l’autorità dei superiori per intima convinzione, cioè per motivo di
coscienza (cf. Rm 13,5) e per ragioni soprannaturali. Le norme disciplinari poi
devono applicarsi in modo conforme all’età degli alunni, cosicché essi, mentre si
abituano gradualmente al dominio di sé, imparino nello stesso tempo a fare retto uso
della libertà, a sviluppare lo spirito di iniziativa e a lavorare in comune con i
confratelli e con i laici»3.
La Congregazione per l’Educazione Cattolica, negli Orientamenti per l’utilizzo
delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio4, ha sottolineato che «alcune di queste qualità meritano particolare
attenzione: il senso positivo e stabile della propria identità virile e la capacità di
relazionarsi in modo maturo con altre persone o gruppi di persone; un solido senso di
appartenenza, fondamento della futura comunione con il presbiterio e di una
responsabile collaborazione al ministero del Vescovo; la libertà di entusiasmarsi per
grandi ideali e la coerenza nel realizzarli nell’azione d’ogni giorno; il coraggio di
prendere decisioni e di restarvi fedeli; la conoscenza di sé, delle proprie doti e limiti
integrandoli in una stima di sé di fronte a Dio; la capacità di correggersi; il gusto per
la bellezza intesa come “splendore di verità” e l’arte di riconoscerla; la fiducia che
nasce dalla stima per l’altro e che porta all’accoglienza; la capacità del candidato di
integrare, secondo la visione cristiana, la propria sessualità, anche in considerazione
dell’obbligo del celibato. Tali disposizioni interiori devono essere plasmate nel
cammino di formazione del futuro presbitero, il quale, uomo di Dio e della Chiesa, è
chiamato a edificare la comunità ecclesiale» (n. 2).
3
CONCILIO VATICANO II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, n. 11.
4
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche
nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio (29 giugno 2008).

3
Questo quadro descrittivo della maturità umana, fondamento dell’intera
formazione, richiede evidentemente degli educatori preparati. Il problema non è
nuovo. Esso è stato avvertito già nel Concilio Vaticano II ed è vivamente sentito in
tutta la Chiesa. Il decreto Optatam totius infatti richiede per gli educatori una
preparazione «con un corredo di sana dottrina, di conveniente esperienza pastorale e
di una speciale formazione spirituale e pedagogica», e suggerisce «che a questo fine
si organizzino appositi istituti o almeno dei corsi con programmi organici, nonché
convegni di superiori di seminario da tenersi periodicamente» (n. 5).
Le istanze conciliari sono state ulteriormente sottolineate dalla Ratio
fundamentalis institutionis sacerdotalis (1985): «Essendo la missione dei superiori
del seminario l’arte delle arti, che non permette un modo di agire improvvisato e
casuale, essi, oltre alle doti naturali e soprannaturali, devono necessariamente
possedere, secondo il compito di ciascuno, la debita preparazione spirituale,
pedagogica e tecnica, acquisita soprattutto negli istituti specializzati, eretti o da
erigersi a tale fine nel proprio o in altri paesi» (n. 30). Per l’attuazione di tali
iniziative i Vescovi sono stati invitati ad avvalersi della collaborazione delle
Congregazioni e delle Società sacerdotali specializzate nella direzione dei seminari, e
di peculiari «commissioni tecniche» di esperti da costituire nelle singole nazioni.
Successivamente la Pastores dabo vobis, per rafforzare l’efficacia pedagogica,
ha messo l’accento sul profilo collegiale, ecclesiale e spirituale dei formatori: «Il
compito della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige non solo una
qualche preparazione speciale dei formatori che sia veramente tecnica, pedagogica,
spirituale, umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione
nell’unità per sviluppare il programma, così che sempre sia salvata l’unità nell’azione
pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo di formatori dia
testimonianza di una vita veramente evangelica e di totale dedizione al Signore. E’
opportuno che goda di una qualche stabilità e abbia residenza abituale nella comunità
del seminario. Sia intimamente congiunto con il Vescovo, quale primo responsabile
della formazione dei sacerdoti» (n. 66).
Da parte sua la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha offerto diversi
orientamenti ai Vescovi e ai loro collaboratori per la formazione sacerdotale, come le
Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993); Istruzione circa i
criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali
in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (2005); gli
Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella
formazione dei candidati al sacerdozio (2008).
L’attenzione alla formazione umana, data la rilevanza che ha nell’insieme della
personalità del presbitero, deve essere ancora più forte e per essa si devono spendere
senza risparmio le migliori energie, perché nel contesto socio-culturale attuale
«coloro che oggi chiedono di entrare in Seminario riflettono, in modo più o meno
accentuato, il disagio di un’emergente mentalità caratterizzata da consumismo, da
instabilità nelle relazioni familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate

4
della sessualità, da precarietà delle scelte, da una sistematica opera di negazione dei
valori»5. La formazione umana in vista del sacerdozio deve portare il candidato al
sacerdozio ad essere un presbitero capace di «vivere sempre più la ricchezza della
propria affettività nel dono di sé al Dio uno e trino e ai fratelli, particolarmente a
quelli che soffrono»6; capace di acquisire «una sempre più stabile e profonda
interiorizzazione dello stile di vita di Gesù, Buon Pastore, Capo e Sposo della
Chiesa»7; in grado di poter vivere la castità nel celibato, senza mettere a rischio
l’equilibrio affettivo e relazionale8; che abbia raggiunto una sicura conoscenza di sé
stesso, delle proprie potenzialità e vulnerabilità; capace di confrontare la propria
personalità con gli ideali proclamati dalla Chiesa per acquisire una adesione
personale, libera e cosciente alla sua vocazione9.

Formazione intellettuale
La formazione intellettuale dei sacerdoti parte dal mistero di Cristo che è il suo
orizzonte per giungere al ministero sacerdotale. La Chiesa, che ha sempre avuto una
attenzione particolare nella formazione dei sacerdoti, ha promosso accanto ai
Seminari la creazione delle facoltà ecclesiastiche innanzitutto per «preparare con
particolare cura i propri aspiranti al ministero sacerdotale, all’insegnamento delle
scienze sacre, ai compiti più difficili dell’apostolato»10 afferma la Costituzione
apostolica di Giovanni Paolo II Sapientia christiana circa le università e le facoltà
ecclesiastiche.
L’impostazione della formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio ha
come centro unificante il mistero di Cristo, «il quale compenetra tutta la storia del
genere umano, agisce continuamente nella Chiesa ed opera principalmente attraverso
il ministero sacerdotale»11. È la persona di Cristo il fulcro di tutta la formazione e
dell’identificazione sacerdotale: gli studi nelle diverse materie non devono solo
aiutare a conoscere e comprendere il mistero di Cristo, ma anche ad approfondire la
propria fede, a confermare la vocazione e a prepararsi in modo adeguato al ministero
dell’annuncio e dell’evangelizzazione. È inoltre il mistero di Cristo che dà l’unità
della formazione, evitando la dispersione e il pluralismo della cultura contemporanea.
«Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo […].

5
Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio, n. 5.
6
Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio, n. 2.
7
Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio, n. 5.
8
Cf. Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio, n. 10.
9
Cf. Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al
sacerdozio, n. 15.
10
GIOVANNI PAOLO II, Costituzione apostolica Sapientia christiana (29 aprile 1979), III.
11
Optatam totius, n. 14.

5
Cristo […] svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione»12.
Inoltre, nel mondo attuale non può bastare un minimo di competenze
intellettuali ma si richiede un’alta qualità degli studi, come viene sottolineato dalla
Dichiarazione conciliare sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, affinché
i sacerdoti abbiano una intelligenza sempre più piena della rivelazione divina, siano
in possesso della ricchezza del patrimonio della sapienza cristiana trasmesso dalle
generazioni passate, siano capaci di dialogare con la cultura moderna, con i fratelli
separati e con i non cristiani, e in grado di rispondere ai problemi emergenti dalla vita
concreta delle persone13. Perciò, lo studio della filosofia, della teologia e delle scienze
moderne hanno lo scopo di offrire un’armonica conoscenza dell’uomo, del mondo e
di Dio.
La filosofia aiuta a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la
risposta, a comprendere i problemi umani, a cercare, a discernere e a integrare gli
elementi di verità, a comprendere e a dare ragioni della propria fede. Il sapere
filosofico si configura, quindi, come «uno dei compiti più nobili dell’umanità» 14 ed è
indispensabile per la formazione teologica. Quando i fondamenti filosofici non
vengono chiariti, alla teologia viene a mancare il terreno sotto i piedi. La
preparazione filosofica costituisce, in modo particolare, un momento essenziale della
formazione intellettuale per i futuri sacerdoti: «Solo una sana filosofia può aiutare i
candidati al sacerdozio a sviluppare una coscienza riflessa del rapporto costitutivo
che esiste tra lo spirito umano e la verità, quella verità che si rivela a noi pienamente
in Gesù Cristo»15. Infatti, «lo studio della filosofia riveste un carattere fondamentale e
ineliminabile nella struttura degli studi teologici e nella formazione dei candidati al
sacerdozio. Non è un caso che il curriculum di studi teologici sia preceduto da un
periodo di tempo nel quale è previsto uno speciale impegno nello studio della
filosofia»16. Al riguardo, La Congregazione per l’Educazione Cattolica volendo
offrire un contributo appropriato alla vita ecclesiale e culturale del nostro tempo ha
emanato nel 2011 un Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia17.
Lo studio teologico vuole essere intellectus fidei, la comprensione della fede
alla luce della ragione, della tradizione e del magistero della Chiesa in modo a
annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo. Infatti, sulla linea del principio
antico contemplata aliis tradere, il Concilio vuole che attraverso lo studio teologico il
patrimonio della rivelazione cristiana diventi «alimento della vita spirituale»18 del
futuro presbitero, che è chiamato poi a saperlo annunziare, esporre e difendere nel
12
CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (7 dicembre
1965), n. 22
13
Cf. CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis (28 ottobre 1965), n.
11.
14
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), n. 3.
15
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 52.
16
Fides et ratio, n. 62; cfr Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (19 marzo 1985), n. 59-61.
17
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia (28 gennaio
2011).
18
Optatam totius, n. 16.

6
ministero pastorale. Bisogna trasmettere agli altri ciò che è stato sperimentato come
veramente utile a livello personale, in modo da essere insieme maestro e testimone.
Dalla Scrittura che è «l’anima di tutta la teologia»19 ai diversi settori del sapere
teologico – dogmatica, patristica, liturgia, storia, diritto, ecc. – il candidato all’ordine
sacro deve essere – come ha affermato di recente Papa Francesco – una «persona
capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in
dimensione veramente umana, e non un intellettuale senza talento, un eticista senza
bontà o un burocrate del sacro. […] I buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di
popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli
uomini»20. Si tratta di una teologia che esce dall’aula per incontrare le diverse
frontiere dell’umanità, che non si esaurisce nella disputa accademica, ma che vive la
sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. «Senza la misericordia la nostra
teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale – continua Papa Francesco – corrono il
rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di natura sua
vuole addomesticare il mistero. Comprendere la teologia è comprendere Dio, che è
Amore»21.
I percorsi formativi proposti devono pertanto essere finalizzati alla crescita dei
presbiteri necessari alla Chiesa del nostro tempo, fatta di comunione e sinodalità,
capace di slancio missionario e di spinta evangelizzatrice, in un contesto
multiculturale e multireligioso. Gli studi accademici sono una dimensione di tutto il
processo formativo. Non si può separare la parte intellettuale da quella personale,
spirituale o pastorale. Questa separazione porterebbe il rischio della frammentazione,
perdendo di vista la persona nella sua globalità e unità. Perciò, i Seminari e le
Facoltà, nella distinzione di competenze, devono cercare insieme di formare
contemporaneamente l’uomo, il credente, il prete-pastore, necessario per l’oggi della
Chiesa.

LA FORMAZIONE SPIRITUALE
La formazione spirituale, come scrive la Pastores dabo vobis, è «l’elemento di
massima importanza nell’educazione sacerdotale» e «costituisce il cuore che unifica
e vivifica il suo essere prete e il suo fare il prete» (n. 45).
Nel decreto conciliare Optatam totius è presentato il contenuto essenziale della
formazione spirituale nell’itinerario verso il sacerdozio in termini di unità formativa
costruita attorno a Cristo conosciuto, amato e seguito. «La formazione spirituale […]
sia impartita in modo tale che gli alunni imparino a vivere in intima comunione e
familiarità col Padre per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nello Spirito Santo.
Destinati a configurarsi a Cristo sacerdote per mezzo della sacra ordinazione, si
abituino anche a vivere intimamente uniti a lui, come amici, in tutta la loro vita.
19
Optatam totius, n. 16.
20
PAPA FRANCESCO, Lettera al Gran Cancelliere della Pontificia Universidad Católica Argentina nel centesimo
anniversario della Facoltà di Teologia (3 marzo 2015).
21
PAPA FRANCESCO, Lettera al Gran Cancelliere della Pontificia Universidad Católica Argentina nel centesimo
anniversario della Facoltà di Teologia (3 marzo 2015).

7
Vivano il mistero pasquale di Cristo in modo da sapervi iniziare un giorno il popolo
che sarà loro affidato. Si insegni loro a cercare Cristo nella fedele meditazione della
parola di Dio, nell’attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, soprattutto
nell’eucaristia e nell’ufficio divino, nonché nel Vescovo che li manda e negli uomini
ai quali sono inviati, specialmente nei poveri, nei piccoli, infermi, peccatori e
increduli. Con fiducia filiale amino e venerino la beatissima vergine Maria, che fu
data come madre da Gesù Cristo morente in croce al suo discepolo» (n. 8).
Di questo testo la Pastores dabo vobis ha messo in evidenza alcuni valori
essenziali del cammino spirituale del candidato al sacerdozio22. Anzitutto l’esigenza
di vivere intimamente uniti a Gesù Cristo. Questa è dono di Cristo che ai suoi
discepoli ha detto: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il
padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto
conoscere a voi” (Gv 15,15). Un secondo grande valore spirituale è la ricerca di
Gesù. Si tratta dell’atteggiamento interiore da imparare dagli apostoli. I primi due
discepoli sono stati interrogati da Gesù: “Chi cercate?”. E i due risposero “Rabbì,
dove abiti?”. Gesù in risposta: “Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove
abitava e quel giorno si fermarono presso di lui” (Gv 1, 37-39). E’ una ricerca che
continua anche nella vita sacerdotale, perché ha come obiettivo l’imitazione e la
partecipazione alla vita di Cristo. La Optatam totius suggerisce tre strade da seguire
nel quaerere Deum, che costituiscono altrettanti valori di questa ricerca: la fedele
meditazione della Parola di Dio, dalla quale nasce la preghiera e la Liturgia delle
Ore; l’attiva partecipazione ai misteri della Chiesa, particolarmente nei sacramenti
dell’Eucaristia e della Penitenza; il servizio della carità ai “piccoli”. Di quest’ultima
via la Pastores dabo vobis afferma che la preparazione al sacerdozio «non può non
implicare una seria formazione alla carità, in particolare all’amore preferenziale per i
“poveri” nei quali la fede scopre la presenza di Gesù (cf. Mt 25, 40) e all’amore
misericordioso per i peccatori» (n. 49). E’ il percorso che Papa Francesco ha tracciato
per tutta la Chiesa di oggi. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ha scritto
che «la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una forma speciale di
primizia nell’esercizio della carità cristiana […] Siamo chiamati a scoprire Cristo in
loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici,
ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole
comunicarci attraverso di loro» (n. 198). Il sacerdote deve essere davanti a tutti in
questo, perché è chiamato a farsi presenza del buon Pastore che dà la vita (cf. Gv 10,
11. 15) e, come uomo della carità, deve anche educare gli altri all’imitazione di Cristo
e al comandamento nuovo dell’amore fraterno (cf. Gv 15, 12).
Nell’orizzonte della carità, che è dono di sé per amore, si colloca, poi,
l’educazione all’obbedienza, al celibato e alla povertà. Riguardo al celibato
l’Optatam totius afferma che i presbiteri «rinunziando alla vita coniugale per il regno
dei cieli (cf. Mt 19,12), possono aderire a Dio con un amore indivisibile che conviene
profondamente alla nuova Alleanza, danno testimonianza della futura risurrezione (cf.
Lc 20,36) e ricevono un aiuto grandissimo per l’esercizio continuo di quella perfetta
22
Cf. Pastores dabo vobis, n. 46 ss.

8
carità che li renderà capaci nel ministero sacerdotale di farsi tutto a tutti». Perciò,
continua, «sentano profondamente con quanta gratitudine debba essere abbracciato
questo stato, non solo come cosa comandata dalla legge ecclesiastica, quanto
piuttosto come prezioso dono di Dio da impetrarsi umilmente, ed al quale essi,
stimolati e aiutati dalla grazia dello Spirito Santo, devono affrettarsi corrispondere
liberamente e generosamente» (n. 10). In tal senso il celibato sacerdotale è da
considerare, come specifica la Pastores dabo vobis, «un valore profondamente
connesso con l’ordinazione sacra, che configura a Gesù Cristo buon Pastore e Sposo
della Chiesa, e quindi come la scelta di un amore più grande e senza divisioni per
Cristo e per la sua Chiesa nella disponibilità piena e gioiosa del cuore per il ministero
pastorale. Il celibato è da considerare come una grazia speciale, come un dono. […]
Certamente una grazia che non dispensa, ma esige con singolare forza la risposta
cosciente e libera da parte di chi la riceve. Questo carisma dello Spirito racchiude
anche la grazia perché colui che lo riceve rimanga fedele per tutta la vita e compia
con generosità e con gioia gli impegni che vi sono connessi. Nella formazione al
celibato sacerdotale dovrà essere assicurata la coscienza del “prezioso dono di Dio”,
che condurrà alla preghiera e alla vigilanza perché il dono sia custodito da tutto ciò
che lo può minacciare. Vivendo il suo celibato il sacerdote potrà meglio compiere il
suo ministero nel Popolo di Dio. In particolare, mentre testimonierà il valore
evangelico della verginità, potrà sostenere gli sposi cristiani a vivere in pienezza il
“grande sacramento” dell’amore di Cristo Sposo per la Chiesa sua sposa, così come
la sua fedeltà nel celibato sarà di aiuto per la fedeltà degli sposi» (n. 50).
Non è trascurabile questo riferimento alla dignità del matrimonio cristiano da
far conoscere e apprezzare nel percorso formativo dei candidati al sacerdozio. In tal
senso la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato le Direttive sulla
formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio e alla famiglia
(1995).
La formazione spirituale dei futuri sacerdoti, nel suo insieme, può ben trovare
alimentazione nella spiritualità del Cuore di Gesù, perché con essa può maturare «una
vita che corrisponde all’amore e all’affetto di Cristo Sacerdote e buon Pastore: al suo
amore verso il Padre nello Spirito Santo, al suo amore verso gli uomini sino a donare
nell’immolazione la sua vita»23.

CONCLUSIONE
In conclusione, il presbitero nel suo ministero – articolato nei compiti
dell’annuncio del vangelo, della celebrazione dei sacramenti e della guida della
comunità – è in continuo contatto con il mistero di Dio e dell’uomo. La sua
formazione, quindi, umana, intellettuale e spirituale non può che avere la finalità
unificata di prepararlo ad essere e ad agire come «il servo di Cristo per essere, a

23
Pastores dabo vobis, n. 49.

9
partire da lui e con lui, servo degli uomini» 24. In questo modo si potrà giungere alla
carità pastorale il cui contenuto essenziale – come afferma la Pastores dabo vobis –
«è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il
dono di Cristo. […]
Così è stato di Cristo che “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”; così
dev’essere del sacerdote. […] All’interno della comunità ecclesiale, la carità pastorale
del sacerdote sollecita ed esige in un modo particolare e specifico il suo rapporto
personale con il presbiterio, unito nel e con il Vescovo. […]
Il dono di sé alla Chiesa la riguarda in quanto essa è il corpo e la sposa di Gesù
Cristo. Per questo la carità del sacerdote si riferisce primariamente a Gesù Cristo:
solo se ama e serve Cristo Capo e Sposo, la carità diventa fonte, criterio, misura,
impulso dell’amore e del servizio del sacerdote alla Chiesa, corpo e sposa di Cristo.
[…]
La carità pastorale, che ha la sua sorgente specifica nel sacramento
dell’Ordine, – prosegue l’Esortazione apostolica – trova la sua espressione piena e il
suo supremo alimento nell'Eucaristia. […] È nell'Eucaristia, infatti, che viene
ripresentato, ossia fatto di nuovo presente il sacrificio della croce, il dono totale di
Cristo alla sua Chiesa, il dono del suo corpo dato e del suo sangue sparso, quale
suprema testimonianza del suo essere Capo e Pastore, Servo e Sposo della Chiesa.
[…]»

Infine, la Pastores dabo vobis afferma che la «carità pastorale costituisce il


principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del
sacerdote. Grazie ad essa può trovare risposta l’essenziale e permanente esigenza
dell'unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero, esigenza
quanto mai urgente in un contesto socio-culturale ed ecclesiale fortemente segnato
dalla complessità, dalla frammentarietà e dalla dispersività. Solo la concentrazione di
ogni istante e di ogni gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di “dare la
vita per il gregge” può garantire questa unità vitale, indispensabile per l'armonia e per
l’equilibrio spirituale del sacerdote»25.

24
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, (4 agosto 2002), n. 5).
25
Pastores dabo vobis, n. 23.

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