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Introduzione alla poesia e alla figura di José Maria Heredia

Il cubano José Maria Heredia è, tra i poeti ispano americani attivi nella prima metà dell'800,
quello che presenta la maggiore affinità con la letteratura romantica che si svilupperà nei
decenni successivi. Tanto che, come avevo già detto, deve essere considerato, insieme a
Echeverria, come l’iniziatore di questa nuova corrente estetica nell'America di lingua
spagnola. Questa sua affinità è avvertibile, prima ancora che nella sua opera, in alcuni
elementi della sua biografia: Heredia ha una vita piuttosto breve (nasce nel 1803 e muore
nel 1839), si dedica con passione alla causa della libertà della sua patria e per questa ragione
è costretto a un esilio che lo porterà prima in Messico e in Venezuela e poi negli Stati Uniti,
dove condurrà un'esistenza inquieta segnata dalla nostalgia per la sua terra.

La sua formazione intellettuale, come quella di Andrés Bello, è di stampo neoclassico e


illuminista; tuttavia la sua formazione artistica avviene attraverso la lettura di alcuni poeti
romantici europei quali Byron, Lamartine, Chateaubriand e Foscolo (di cui traduce I
sepolcri). Di questi autori assimila in particolare il gusto per il mondo dell'immaginazione e
dei sentimenti, per un lirismo che si esprime soprattutto attraverso una sintonia, un'empatia
con la dimensione naturale e il paesaggio, un senso drammatico dell'esistenza umana e un
amore per la libertà che si lega anche alle sue vicende personali di perseguitato politico.
Heredia, nonostante la sua breve esistenza, fu un poeta piuttosto prolifico, anche se in vita
riuscì a pubblicare soltanto una sola raccolta parziale delle sue opere, intitolata
semplicemente Poesias, che venne stampata a New York nel 1825 e poi ancora nel 1832 in
un'edizione ampliata. Scrisse composizioni di carattere civile, storico e di circostanza, ma le
liriche più riuscite e a cui sostanzialmente si lega oggi la fama dell'autore sono le due silve
descrittivo-narrative intitolate “En el Teocalli de Cholula” e “Niàgara”. In queste due
composizioni si nota una certa affinità sia con la poesia di Andrés Bello sia con altre opere
del barocco ispano americano come il poema di fine ‘500 “Grandeza Mexicana” dello
scrittore Bernardo de Balbuena (che ebbe un influsso anche su Bello) e il famoso poema
“Primero sueño” scritto attorno al 1685 da Sor Juana Inés de la Cruz.

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A prescindere da queste possibili influenze, le due silve di Heredia si caratterizzano per la
comparsa di alcuni elementi di novità nel panorama letterario del tempo. Anzitutto si
manifesta la presenza di un io lirico che introietta e soggettivizza il paesaggio e si
autorappresenta mente descrive uno scenario maestoso la cui bellezza sfida le sue capacità
espressive sollecitandolo a meditare sui misteri della storia, dello spirito umano, del cosmo.
In “En el Teocalli de Cholula” compaiono inoltre tematiche e motivi innegabilmente legati
all'estetica romantica come la fascinazione per la notte, il senso del sublime di fronte alla
natura grandiosa, e un certo gusto morboso per i paesaggi solitari in cui la presenza delle
rovine di civiltà ormai estinte chiamano in causa il destino di precarietà dell'esistenza
umana. Notevole è anche la capacità da parte del io lirico di stabilire attraverso l'uso di un
registro intimo, quasi confessionale, un rapporto di complicità con il lettore trasmettendogli
quei sentimenti di esaltazione, di armonia ma anche di angoscia che la presenza di
un'atmosfera di mistero evoca. In particolare, di fronte al calare della notte che avvolge le
rovine della piramide di Cholula, il poeta proietta la sua inquietudine esistenziale e un
profondo senso di perdita e di smarrimento tipico appunto della sensibilità romantica. “En el
Teocalli de Cholula” è una poesia che ha avuto un lungo processo di gestazione; la prima
redazione è del 1820 e la sua forma definitiva risale al 1832, quando Heredia aggiunge la
sezione finale di una cinquantina di versi in cui esprime una condanna della barbarie dei
sacrifici aztechi giustificata dalla sua fede cristiana. Questa parte conclusiva è tuttavia la
meno convincente del poema e tende ad apparire come una sorta di corpo estraneo.

La silva “Niàgara” fu scritta invece nel 1824 in occasione della visita del poeta alle cascate
omonime. In questa composizione dominano essenzialmente il senso del sublime di fronte
alla forza della natura e, per contrasto, una profonda nostalgia per il paesaggio tropicale di
Cuba da cui l'esilio aveva allontanato per sempre l'autore.

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