Edizioni
Kaplan
Racconti di corpi | Luca Malavasi
1.Topografia
dell’emozione
cinematografica
p. 21-92
Texto completo
La vera passione comporta inevitabilmente
il cattivo gusto perché è intera, chiassosa,
violenta, priva di educazione e di convenienze.
Jean Epstein, Bonjour cinéma
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Notas
1. Ricciotto Canudo, La nascita di una sesta arte, «Cinema Nuovo», 221,
Sansoni, Firenze 1973.
2. Cfr. Tom Gunning, An Aesthetic of Astonishment: Early Film and the
(In)Credulous Spectator, in Linda Williams (a cura di), Viewing
Positions. Ways of Seeing Film, Rutgers University Press, New
Brunswick, 1995, in cui si ricorda come fosse comune alle prime proiezioni
“mettere in moto” il meccanismo della riproduzione cinematografica a
partire da immagini fisse, con un effetto di vera e propria visualizzazione
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85. Jean Epstein, Bonjour cinéma, in Id., L’essenza del cinema. Scritti
sulla settima arte, Marsilio, Roma, 2002, p. 30.
86. Jean Epstein, Bonjour cinéma, cit., p. 30.
87. Osservazioni sul valore aptico dell’immagine cinematografica si
possono trovare in Nicole Brenez, De la figure en général et du corps en
particulier. L’invention figurative au cinéma, De Boeck, Bruxelles-Paris,
1998.
88. Jean Epstein, Bonjour cinéma, cit., p. 32-33, corsivi miei.
89. Ivi, p. 32.
90. Ibidem.
91. «Durante un film, un vecchio signore ripete a sua moglie: ”Ma quanto
è stupida questa storia, mia cara!”. Eh, sì, caro signore, tutte le storie
sono stupide sullo schermo. Mi creda, è quello che vi è di ammirevole.
Resta il sentimento. Ma i sentimenti non le interessano più», ivi, p. 35.
92. Estetica del film (1931) è stato pubblicato per la prima volta in Italia
nel 1940 su «Bianco e Nero», grazie all’interessamento di Umberto
Barbaro, che un anno dopo pubblica, sulla stessa rivista, brani del primo
libro di Balázs, L’uomo invisibile. L’edizione da cui citiamo è quella, a cura
dello stesso Barbaro, uscita nel 1975 presso gli Editori Riuniti (la prima
edizione data al 1954). Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova,
pubblicato a Vienna nel 1949, anno della morte di Balázs, è invece una
sorta di compendio di tutto il pensiero dell’autore, tradotto nel 1952 e
recentemente (2002) ristampato presso Einaudi. È quest’ultima
l’edizione di cui ci siamo serviti.
93. Béla Balázs, Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova, Einaudi,
Torino, 2002, p. 21.
94. Ivi, p. 31. Balázs riporta qui parti del suo L’uomo visibile.
95. Cfr. Béla Balázs, Estetica del film, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp. 10-
11.
96. Cfr. Gilles Deleuze, Cinema 1. L’immagine-movimento, Ubulibri,
Milano, 1984, p. 118: «Come già Balázs mostrava molto precisamente, il
primo piano non strappa affatto il suo oggetto a un insieme di cui farebbe
parte, di cui sarebbe una parte; ma, in modo del tutto diverso, lo astrae
da ogni coordinata spazio-temporale, cioè lo eleva allo stato di Entità»,
corsivo dell’autore.
97. Béla Balázs, Estetica del film, cit., p. 14, corsivo mio.
98. Ibidem.
99. Epstein citato in Gilles Deleuze, Cinema 1. L’immagine-movimento,
cit., p. 118.
100. Béla Balázs, Estetica del film, cit., p. 18.
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101. Ivi, p. 20: «L’espressione del viso [...] non può attuarsi che per
mezzo di associazioni con espressioni visibili, così come un pensiero
espresso può suscitare pensieri inespressi».
102. Cfr. Gilles Deleuze, Cinema 1, cit., capitolo VI.
103. Ibidem.
104. Ivi, p. 109-110. La lettura che Deleuze dà della definizione di affetto
di Bergson si organizza attorno all’opposizione fra estensione e intensione,
azione e espressione. L’affetto sarebbe in altre parole il risultato di una
serie di micro-movimenti di natura intensiva articolati su una superficie
immobile e riflettente, che ha perduto o semplicemente arrestato il
proprio movimento di estensione.
105. Ivi, p. 110.
106. Anche l’immagine-azione, ovviamente, è “portatrice” di affetti. Ma
in questo caso gli affetti (o, come li definisce Deleuze, le qualità-potenze
dell’immagine) vivono «nelle connessioni reali corrispondenti», in quanto
«attualizzati in uno stato di cose individuato» (la figura chiave dell’affetto
dell’immagine-azione è il campo medio). Al contrario, come si dice nel
testo, gli affetti dell’immagine-affezione sono «espressi in se stessi, al di
fuori delle coordinate spazio-temporali, con le proprie singolarità ideale e
le loro congiunzioni virtuali», ivi p. 125-126.
107. Ivi, p. 111.
108. Ivi, p. 112.
109. Ivi, p. 119.
110. Cfr. François Vanoye, Rhétorique de la douleur, cit.
111. In quanto articolazione discorsiva, così come lo intende Vincent
Amiel (Esthétique du montage, Nathan, Paris, 2001): «C’est un point
essentiel, en termes esthétique – et donc idéologiques – que cette
utilisation du montage comme articulation discorsive: elle renvoie à une
représentation consciente et affichée, tandis que le montage narratif
s’essayat la plupart du temps, précisément, à gommer cette dimension
explicite de représentation», p. 54.
112. Si pensi soltanto alla definizione di montaggio ritmico, in cui ciò che
conta non è la durata “reale” delle inquadrature ma la durata “sentita”
dallo spettatore e eventualmente in conflitto con la prima: per esempio, la
stessa durata temporale di un primo piano e di un campo lungo vengono
in realtà sperimentate dallo spettatore come due durate differenti. Più in
generale, si ricorderà, la regia, per Ejzenštejn, è regia “dello spettatore”.
113. Giovanna Grignaffini, Lo spettatore non indifferente, in Pietro
Montani (a cura di), Sergej Ejzenštejn: oltre il cinema, Biblioteca
dell’immagine-La Biennale di Venezia, Venezia, 1991, p. 157.
114. Cfr. Jacques Aumont, Montage Eisenstein, Albatros, Paris, 1979, in
particolare pp. 56-67.
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115. Cfr. Jacques Aumont, Les théories des cinéastes, Nathan, Paris,
2002, pp. 83-89.
116. Cfr. Giovanna Grignaffini, Sapere e teorie del cinema. Il periodo del
muto, CLUEB, Bologna, 1989.
117. Jacques Aumont, Montage Eisenstein, cit., p. 76.
118. Jean Epstein, L’essenza del cinema, cit., p. 192.
119. Mikel Dufrenne, L’occhio e l’orecchio, Il Castoro, Milano, 2004, p.
66.
120. Su questi aspetti, cfr. Pierluigi Basso, Confini del cinema. Strategie
estetiche e ricerca semiotica, Lindau, Torino, 2003, in particolare pp.
199-224.
121. Il che porta a affermare che «gli stimoli acustici e musicali non hanno
il distacco di quelli visivi, cui lo spettatore può facilmente sottrarsi; al
contrario possono raggiungere anche chi è distratto», Giorgio Cremonini,
Cristina Cano, Cinema e musica, Vallecchi, Firenze, 1995, p. 66.
122. Mikel Dufrenne, L’occhio e l’orecchio, cit., p. 67.
Cfr. Antonio Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello
umano, Adelphi, Milano, 1995.
123.
124. Cfr. Noël Burch, Prassi del cinema, Il Castoro, Milano, 2000.
125. Giorgio Cremonini, Cristina Cano, Cinema e musica, cit, pp. 73-74.
126. Ivi, p. 73.
127. Gianfranco Bettetini, La conversazione audiovisiva. Problemi
dell’enunciazione filmica e televisiva, Bompiani, Milano, 1984, in
particolare pp. 15-54.
128. Come è noto, e come Ejzenštejn, prima e meglio di altri, ha
contribuito a rivelare, il ritmo nel cinema non interessa semplicemente
l’accompagnamento musicale ma, in un senso più largo, ossia come
«Gestalt cognitiva, forma saliente rintracciabile in ogni discorso prima
della sua vestizione figurativa» (Giulia Ceriani, Il senso del ritmo,
Meltemi, Roma, 2003, p. 71), esso interviene in tutte le tipologie
discorsive a strutturare, tanto a livello profondo quanto a livello
superficiale, il rapporto fra enunciatore e enunciatario.
129. Sergej M. Ejzenštejn, La natura non indifferente, Marsilio, Roma,
1981, p. 232.
130. Jeff Smith, Movie Music as Moving Music, in Carl Plantinga, Greg
M. Smith (a cura di), Passionate Views. Film, Cognition, and Emotion,
The Johns Hopkins University Press, Baltimore-London, 1999, pp. 146-
167.
131. Eric Landowski, Al di qua o al di là delle strategie, in Giovanni
Manetti, Laura Barcellona, Cora Rampoldi (a cura di), Il contagio e i suoi
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145. Come, per esempio, nell’opera di uno dei fondatori della psicologia
sperimentale, William James, di cui si veda almeno What Is an Emotion,
«Mind», 9, 1884, in cui, nel quadro della cosiddetta “teoria periferica” (o
“teoria del feedback”), James sostiene che le emozioni si definiscono in
termini operazionali come «il sentire (to feel) i cambiamenti
neurovegetativi che hanno luogo a livello viscerale a seguito dello stimolo
elicitante». Di qui la celebre conclusione «non tremiamo perché abbiamo
paura, ma abbiamo paura perché tremiamo». Ne deriva che «l’emozione
costituisce il conseguente piuttosto che l’antecedente dei cambiamenti
fisiologici periferici prodotti dalla situazione elicitante». Cfr. Luigi Anolli,
Le emozioni, cit., p. 16.
146. Il riferimento, qui, è al “mind-body problem”, tornato d’attualità a
seguito della valorizzazione del ruolo del corpo in rapporto ai processi di
percezione e concettualizzazione dell’esperienza soggettiva. Si veda, sia
per la sintesi del dibattito, sia per l’interesse della soluzione suggerita, che
propende decisamente verso il riconoscimento della centralità del corpo
nel quadro dell’attività di pensiero, comprensione e riflessione, Mark
Johnson, The Body in the Mind. The Bodily Basis of Meaning,
Imagination, and Reason, The University of Chicago Press, Chicago,
1987.
147. Carl Plantinga, Greg M. Smith (a cura di), Passionate Views, cit., p.
2, corsivo mio.
148. Ivi, p. 3.
149. Naturalmente questa conclusione non riguarda soltanto il
cognitivismo. Un libro come AA.VV., Emozioni in celluloide. Come si
ricorda un film, Raffaello Cortina Editore, Milano 1989, sviluppa, in
ambito psicologico, il tema delle emozioni in rapporto ai processi di
comprensione del film e di “stoccaggio” mnestico a breve e a lungo
termine dei suoi contenuti. La conclusione generale, in linea con la teoria
attivazionale di Lindsley, è che le emozioni suscitate dalla visione di un
film, come del resto accade nella vita di tutti i giorni, svolgano un ruolo
fondamentale nello strutturare la forma dei nostri ricordi del film stesso.
150. Luigi Anolli, Le emozioni, cit., p. 39.
151. Per una sintesi del dibattito sociologico attorno al tema delle
emozioni nella modernità, si rimanda a Maria Cristina Marchetti,
L’emozione della ragione, in Bernardo Cattarinussi (a cura di), Emozioni
e sentimenti nella vita sociale, Franco Angeli, Milano, 2000.
152. Ed S. Tan, Emotion and the Structure of Narrative Film, cit., p.
231.
153. Cfr. Ed. S. Tan, Emotion and the Structure of Narrative Film, cit.,
p. 2: «There is a reason to question the authenticity of cinematic emotion,
because viewers know full well that what they are seeing is a fictional
world created by means of an artifact». Come si intuisce, Tan, non
diversamente da altri cognitivisti, taglia corto con la tradizione
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