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ARCHILoco, Frammenti
più avvertite come elementi di disturbo di una struttura stabile. Sull'uso del tenni
ne m:i9oç in Platone cfr. B. CENTRONE, I1u9oç e oùcrla nei primi dialoghi di Platone,
in "Elenchos", XVI (1995), pp. 129-152, sul quale avremo modo di ritornare.
2 Cfr. l. MATIE BLANCO, The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in Bi-Logic,
tr. it. L'inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, nuova edizione a cura
di P. Bria, prefazione di R. Bodei, Torino, Einaudi, 2000 (prima edizione 1981),
p. 240.
3 Cfr. Phaed. 67a; 66c; 81a: l'infermità della mente può provenire dal corpo e
dal perturbamento che esso produce nell'anima; Cfr. G. CASERTANO, Dal mito al
lago al mito: la struttura del Pedone, in La struttura del dialogo platonico, a cura di
G. Casertano, Napoli, Loffredo, 2000, pp. 86-107, p. 90. Si veda anche Tim. 87a:
la paura e la viltà sono effetti di insane disposizioni del corpo.
4 Si veda, tra l'altro, Charm. 156c sgg. È con Platone, come ha mostrato Vegetti,
che la nozione di una psyche, concepita come struttura funzionante interagente con
il corpo nel complesso psicosomatico, appare per la prima volta nel pensiero greco:
cfr. M. VEGEITI, Anima e corpo, in Il sapere degli antichi, a cura di M.· Vegetti,
Torino, Bollati Boringhieri, 1985, pp. 201-228, p. 201.
) Cfr. Theaet. 189e-190a: "Ma tu chiami pensare (Tò liÈ litavoe1cr9at) ciò che
intendo io?" "Chiamandolo tu come?". "Un ragionamento attraverso cui l'anima
discorre da sé con se stessa sulle cose che esamina. Ti espongo la cosa da quell'igno
rante che sono. Mi balza infatti questo agli occhi: che l'anima, quando pensa
Eros Phobos Epithymia 11
illustrare il dialogo tra l'anima e le passioni del corpo e nella Repubblica, invece, il
dialogo interno tra due parti dell'anima: nella Repubblica le passioni non sono più
considerate come infezioni di origine estranea, ma come elemento necessario alla
vita spirituale, così come noi la intendiamo, anzi addirittura come fonte di energia n
Cfr. E.R Donns, The G reeks and the Irrational, tr. it. I Greci e l'Irrazionale, Firenze,
La Nuova Italia, 1978, p. 254; Si veda anche M. VEGETI1, I.:etica degli antichi, Bari,
Laterza, 1994, pp. 129-136.
12 Lidia Palumbo
7 Cfr. Theaet. 156b. Socrate riporta la tesi dei sostenitori del inobilismo univer
sale secondo la quale "tutto era ed è movimento e nient'altro che questo", e del
movimento esistono due specie, l'una con la possibilità di agire e l'altra di patire.
Dall'accoppiamento di tali specie nascono, sempre in coppia, il sensibile e la
sensazione. "Le sensazioni hanno per noi i nomi seguenti: visioni, audizioni, perce
zioni olfattive, sentir freddo, sentir caldo e inoltre i cosiddetti piaceri e dolori e
desideri e paure e altre, di cui infinite sono quelle prive di nome e numerosissime,
invece, quelle che ce l'hanno".
Eros Phobos Epithymia 13
11
Cfr. E. BARILIER, Le Grand lnquisiteur, Lausanne, L'Age d'Homme, 1981, p.
128. Sull'argomento si veda il recente volume La struttura del dialogo platonico, a
cura di G. Casertano, cit., che raccoglie i contributi di diversi studiosi che hanno
partecipato, nd Maggio 1998, ad un Convegno internazionale sull'argomento.
12
Cfr. L. GRAZ, Signification dtalectique de la "megaloprépeia" dans les premiers
dialogues de Platon, in "Revue de Philosophie Ancienne", I (1985), pp. 69-85, p. 69.
1l
Non è questa, naturalmente, la sede per dencare l'enorme numero di studi
strutturati in questa direzione. Ci limiteremo qui a citare soli pochissimi lavori,
perché sono qudli più immediatamente collegati al discorso che stiamo facendo:
Eros Phobos Epithymia 15
Nel primo libro della Repubblica, Socrate racconta del suo incon
tro con Cefalo: "Andammo dunque a casa di Polemarco . .. c'era
nell'interno anche il padre Cefalo14, e mi parve molto vecchio, in
effetti era passato del tempo da quando l'avevo visto. Sedeva inco
ronato su una sorta di cuscino posato su un sedile, perché aveva
proprio allora compiuto un sacrificio nel cortile. Ci sedemmo dun
que presso di lui, v'erano alcuni sedili disposti in circolo . . . " , (328b
c)I5. Questa scena "disegnata" da Platone è in un certo senso
paragonabile al momento di un romanzo in cui il narratore dice "si
fermò in una locanda": in quel momento il lettore riposa insieme al
viandante dopo un lungo cammino16• Quello che accade al lettare di
questo passo platonico è in certo modo la cosa inversa: ci si riposa,
17 Su questi passi cfr. L. DI CAPUA, Da Cefalo a Platone: sul primo libro della
22 TI testo del Timeo è quello oxoniense stabilito da Bumet (Platonis opera, cit.,
tomus IV, Oxford, 1972) e la traduzione che riportiamo, lievemente modificata, è
quella di C. Giarratano, in PLATONE, Opere Complete, cit., vol. VI.
23 Su tutto ciò cfr. PLATON, Timée, Critias, Traduction inédite, introduction et
notes par Luc Brisson, avec la collaboration de Miche! Patillon pour la traduction,
Paris Flammarion, 1992, p. 48 sgg.
2� Cfr. G. CoNCATO, Thymos, in "Atque", II (1990), pp. 107-124.
Eros Phobos Epithymia 19
26
Come è stato più volte notato dagli studiosi, nel presentare qui quella che può
essere considerata la prima formulazione del principio di non contraddizione,
Platone la correda delle precisa.zioni categoriali necessarie a difenderla dalle obie
zioni eristiche.
21 L'
affermazione platonica esprime ·la difficoltà di pensare all'anima come ad
una cosa che da un lato è una, dall'altro è molteplice ed inquieta pluralità. Sul
rapporto tra unità e molteplicità in Platone cfr. G. CASERTANO, Filoso/are dialektikos
in Platone: il Filebo, in I.:eterna malattia del discorso. Quattro studi su Platone,
Napoli, Liguori, 1991, pp. 81-135, p. 90.
Eros Ph obos Epithymia 21
28
RD. LEING, Th e Divided Se!/, tr. it. L:io diviso. Studio di psichiatria esistenzia
le, Torino, Einaudi, 1969, p. 33.
29 Cfr. S. CAMPESE, Epithymialepithymetikon, in PLATONE, La Repubblica. Tradu
H Ma, come scrive Casertano, "Platone non crede realmente alla possibilità
àv8pEia.v, 429c5); poi si spiega che ciò che viene salvato con il
coraggio è un'opinione, quell'opinione che la legge ha formato in
ciascuno di noi attraverso l'educazione, e che ha per oggetto "le
cose da temere - quali sono e di qual natura (7tEpÌ -rrov 8Etvrov Ci -ré
Ècrn Ka.Ì o1a., 429c8). ll coraggio consiste nella capacità di salvare
quest'opinione conservandola in ogni circostanza, pur venendosi a
trovare nei dolori e nei piaceri, nei desideri e nelle paure (ev 'tE
M7ta.tç ... Ka.Ì Èv itBova.'ìç Ka.Ì Èv Èm9uJ..Lia.tç Ka.Ì Èv ljl6�atç, 429c9-dl ) .
Platone usa a questo proposito un'immagine: paragona l'educazione
secondo legge all'operazione della tintura della lana, il coraggio al
trattamento usato dai tintori per evitare che la lana stinga- entrando
in contatto con sostanze detergenti, e la paura, nel contesto di
questa immagine, è un detersivo (puJ..LJ.a. .L ) . È un sapone. Un sapone
che lava via il coraggio: "Puoi star certo, dissi io, che appunto
qualcosa del genere anche noi cercavamo di ottenere nella misura
delle nostre possibilità, quando sceglievamo i soldati e li educavamo
con la musica e la ginnastica. Vedi, i nostri sforzi non avevano altro
scopo se non che essi, grazie alla persuasione, ricevessero nel miglior
modo le leggi, come una tintura, così che la loro opinione circa le
cose temibili e le altre diventasse indelebile, grazie sia alla natura sia
all'allevamento appropriato, e che la loro tintura non venisse lavata
via da questi saponi così efficaci nel lavaggio - il piacere, che a far
questo è più forte di qualsiasi detersivo o lasciva, e il dolore e la
paura e il desiderio, più efficaci di qualsiasi sapone (ii 'tE itBovft,
1tO.V't"Òç xa.À&cr'tpaiou 8EtVO'tépa oùcra "CCU"CO Bpéìv Ka.Ì Kovia.ç, ÀU1tT}
"CE KUÌ ljl6�oç Ka.Ì È7tt9UJ..Ll U, 7t0.V't"Òç aUou PUJ..L J.O.
.L 't"Oç, 430a6-b2). Una
tale capacità di salvaguardare in ogni circostanza l'opinione corretta
e basata sulla legge circa le cose temibili o meno, io appunto la
chiamo e la pongo come 'coraggio', a meno che tu intenda qual
cos'altro" (429e7-430b5) .
L o stesso concetto è ribadito più avanti, quando il contesto del
discorso non è più direttamente l'analisi delle virtù dei cittadini, ma
lo è solo indirettamente; perché, stabilita la simmetria tra l'anima e
la città, si vuole definire in virtù di quale parte dell'anima si chiama
coraggioso un singolo individuo: "Penso - dice Socrate - che grazie
a questa sua parte chiamiamo 'coraggioso' ogni singolo individuo,
allorché il suo thymoeides salvaguarda, pur attraverso i dolori e i
piaceri, l'opinione su ciò che è o meno da temere trasmessagli dal
discorso razionale" (442b-c)
Ciò che è interessante, in questo paragone, è il fatto che il corag-
Eros Phobos Epithymia 31
3. Sul Protagora
A proposito del coraggio. Ma anche del piacere e del dolore
diventare suo allievo, sono presenti in casa di Callia usuo fratello uterino Paralo,
figlio di Feride, e Carmide, figlio di Glaucone . . . l'altro figlio di Peride Santippo,
Filippide, figlio di Filomelo, e Antimero di Mende, che è il discepolo più famoso
di Protagora ed apprende da lui la tecnica del sofista per esercitarla professional
mente" (315a) e poi, ancora, Ippia di Elide, Fedro del demo di Mirrinunte, Andro
ne, figlio di Androzione, Tantalo, Prodico di Ceo, Pausania del quartiere Ceramico,
il bellissimç> Agatone, i due Adimanto, il figlio di Chepide e quello di Leucolofide,
Alcibiade il bello, Cri.zia, figlio di Callescro e tanti altri (cfr. 3 15a-3 16a).
55 Com'è noto, non tutti i commentatori sono d'accordo sull'interpretazione di
questa sezione del dialogo. Per una sintesi della letteratura critica sulla questione
cfr. Pl.ATON, Protagoras . Presentation et traduction inédite par Frédérique lldefonse,
cit., p. 213, n. 337. Si veda anche E.R Dooos, I Greci e l'Irrazionale, cit., p. 220.
56 Cfr. R DuNCAN, Courage in Plato's Protagoras, in uPhronesis", 23 (1978), pp.
216-228.
)/ ur Greci - scrive a questo proposito Dodds (dr. I Greci e l'Irrazionale, cit.,
pp. 222-226) - avevano sempre sentito l'esperienza delle passioni come un fatto
misterioso e pauroso in cui sperimentiamo una forza che è in noi, e che ci possiede,
anzicché venir posseduta da noi. La parola stessa pathos Io attesta: come il suo
equivalente latino passzo, indica qualcosa che accade agli uomini, vittime passive".
Eros Phobos Epithymia 35
o ritieni che il sapere sia una bella cosa e capace di dirigere l'uomo
per cui se uno conosce i beni e i mali, non può essere dominato d�
nient'altro in modo da fare cose diverse da quelle prescritte da esso
e che l'intelligenza basti ad aiutare l'uomo? " (352b-c). Protagor�
concorda con Socrate. Ma gli uomini sostengono invece che molti,
"pur conoscendo il meglio, e pur avendone la disponibilità, non
vogliono farlo ed agiscono diversamente" (352d). E tutti quelli ai
quali ne ho chiesto la causa - dice Socrate - "mi hanno risposto che
quelli che agiscono così lo fanno perché sono vinti e dominati dal
piacere o dal dolore o da qualcuno dei fattori che ho nominato poco
fa" (252d) .
Socrate si propone "di persuaderli e di insegnare ad essi che
cos'è questa loro affezione, che essi chiamano essere vinti dal piace
re, al punto di non fare il meglio pur conoscendolo" (252e-253 a) .
Forse se noi dicessimo: "non è giusto quanto dite, anzi vi sbagliate"
ci domanderebbero: "Protagora e Socrate, se questa affezione non
è l'essere vinti dal piacere, che cosa è mai? Che cosa dite voi che
essa sia? Rispondeteci" (353a).
Essere vinti dai piaceri del mangiare, del bere, dell'amore è cosa
cattiva non perché mangiare bere e amare sia cosa piacevole, ma
perché ciascuna di tali cose piacevoli procura talvolta malattie, po
vertà e cose simili; ma se ciò non accadesse, e ciascuna di queste
cose procurasse solo godimento, esse non sarebbero cattive. Dun
que alcuni di questi piaceri sono cattivi, perché sfociano in dolori. Al
contrario, alcune cose buone sono dolorose al presente, ma sono
buone in quanto sfociano in piaceri. Dunque il piacere si insegue in
quanto è un bene e il dolore si fugge in quanto è un male. n bene
si identifica con il piacere e il male con il dolore, in quanto anche
Se nei poemi omerici ciò che accade agli uomini è dovuto ad un intervento divino,
nella tragedia il linguaggio dell'intervento divino nella vita umana ha solo il valore
di un simbolismo: il mondo demonico si è ritirato, lasciando gli uomini soli con le
loro passioni. Medea, nella tragedia di Euripide, sa di lottate non contro un alastor,
ma contro il proprio io irrazionale, il thymos, e domanda pietà a quell'io, come uno
schiavo implora il padrone brutale (cfr. Medea, 1056 sgg.). Dodds accetta l'ipotesi
formulata da vari studiosi che nel comporre l'Ippolito Euripide intendesse polemiz
zare con Socrate quando attribuisce a Fedra affermazioni sull'impotenza morale
della ragione (cfr. Ippolito, 375 sgg.). Si veda anche J.P. VERNANT - P. VmAL
NAQUET, Mythe et tragédie en Grèce ancienne, tr. it. Mito e tragedia nell'antica
Grecia, Torino, Einaudi, 1976, pp. 29-63 ; D. LANZA, I tempi dell'emozione tragica,
in "Elenchos", XVI (1995), pp. 5-22.
36 Lidia Palumbo
'8 uPer Socrate - scrive Dodds - l'arete è, o dovrebbe essere, episteme, un ramo
della conoscenza scientifica: in questo dialogo lo si fa addirittura parlare come se
il metodo adatto fosse un calcolo preciso dei futuri dolori e piaceri - e sono incline
a credere che qualche volta egli parlasse appunto così. Eppure od dialogo Socrate
manifesta il dubbio che l'arete si possa insegnare, ed anche questo dubbio va
accettato come fatto storico; infatti per Socrate l'arete era una cosa che procedeva
dall'interno all'esterno; non era una serie di schemi di condotta, da acquisirsi per
assuefazione, era un atteggiamento coerente della mente, nato da un costante
intuito circa la natura e il significato della vita umana. Nella sua coerenza somiglia
va ad una scienza, ma credo che sbaglieremmo interpretando l'intuito come cosa
puramente logica - esso impegnava invece l'uomo tutto intero. Socrate indubbia
mente credeva che 'il ragionamento va seguito ovunque conduca', ma trovò che
troppo spesso conduce soltanto a nuovi interrogativi, e laddove il ragionamento
non serviva più, egli era pronto a seguire guide diverse" (cfr. E.R DoDDS, I Greci
e !'!"azionale, cit., pp. 220-22 1).
'9 Tutti i presenti condividono questa affermazione tranne Prodico, che ammet
te una sottile differenza tra i due termini (358d-e).
Eros Phobos Epithymia 37
non è altro che nn nome, ma nella realtà delle cose, per forza di
natura, c'è sempre una guerra, pur se non dichiarata, di tutti gli stati
contro tutti gli stati» (626a). L'Ateniese domanda se questo rapporto
di guerra, che si pone a fondamento del sistema legislativo cretese,
riguarda solo gli stati o anche i villaggi, le famiglie, gli individui, e
se addirittura vale anche all'interno di ognuno dei singoli individui,
per cui anche «per ciascuno rispetto a sé>> bisogna pensare come
«per un nemico di fronte a un nemico» (626c-d).
n lettore, davanti a questo passo, ha la sensazione che si sia
toccato l'argomento fondamentale: il discorso sulle leggi di una
comunità riguarda innanzitutto la capacità degli uomini di dare leggi
a quella comunità di cui ciascuno di essi è formato, la capacità di
governare quella "moltitudine di parti" che è conosciuta sotto il
nome unitario di in-dividuo. L'Ateniese, nella forma consueta della
domanda, dà innanzitutto una indicazione di metodo: anche per
ciascuno rispetto a sé bisogna pensare come per un nemico di fronte
a un nemico. O come dobbiamo dire invece? (626c-d). n senso di
questa domanda riguarda il modello ermeneutico da adottare al fine
di meglio comprendere ciò di cui si parla. Per stabilire quale sia la
migliore forma di legislazione per una comunità, bisogna innanzitutto
decidere secondo quale modello si deve pensare la "cosa" comunità.
Una volta scelto il modello bellico, ed una volta argomentata la
necessità di questa scelta61, è necessario misurare il grado di
estendibilità del modello scelto a tutti gli esempi di comunità, primo
fra tutti quel tipo di comunità, non immediatamente percepibile
come tale, che è l'individuo.
Che si tratti non di un esempio tra gli altri, ma precisamente di
quello primario, è immediatamente chiarito da Clinia che dice
all'Ateniese: <<tu hai ricondotto al suo vero principio questo discorso
e l'hai reso più chiaro e così più facile ti sarà ora capire che con
ragione è stato detto da noi poco fa essere nemici tutti a tutti
pubblicamente e privatamente ancora ognnno a se stesso» (626d-e).
La struttura dialogica dell'opera platonica consente di vedere
come, attraverso il confronto dialettico tra interlocutori, le afferma
zioni, passate al vaglio della critica, assumano uno spessore di con-
6 1 Cfr
. 626a. Sulla presenza del modello della guerra, e addirittura sulla filosofia
come guerra, in Platone, cfr. ora U. Curu, Polemos. Filosofia come guerra, Torino,
Bollati Boringhieri, 2000.
40 Lidia Palumbo
espressione che sorse in Attica ai tempi di Euripide, cfr. B. SNEll, Die Entdeckung
des Geistes. Studien zur Entstehung des europiiischen Denkens bei den Griechen, tr.
it. La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Torino, Einaudi, 1963, p. 259.
Eros Phobos Epithymia 41
6l
All'apertura del discorso, alla domanda se a Sparta e a Creta si ritenesse
essere un dio oppure un uomo l'autore delle leggi, Clinia ha risposto che "è
assolutamente più giusto dire che sia stato un dio" (624a). È di Clinia l'importante
notazione secondo cui "quella che la maggior parte degli uomini chiamano 'pace'
non è altro che un nome, ma nella realtà delle cose, per forza di natura, c'è sempre
una guerra, pur se non dichiarata, di tutti gli stati contro tutti gli stati" (626a). È
attribuita a Clinia anche una frase di questo genere: "Ospite ateniese, non mi piace
infatti dirti 'attico', perché mi pare che tu sia degno piuttosto di prender nome
dalla tua dea Atena" (626d).
c..� Si veda, ma è solo un esempio, Polit. 261e. Sull'argomento cfr. G. CASERTANO,
Il problema del rapporto nome-cosa-discorso nel Politico (277 -87), in Reading the
Statesman. Proceedings of the III Symposium Platonicum, edited by Ch. J. Rowe,
Sankt Augustin, Academia Verlag, 1995, pp. 141-154 e Il nome della cosa, cit., pp.
215-312.
42 Lidia Palumbo
ordine tra i molti pezzi di cui egli stesso è formato, portando la pace
laddove, più pericolosa che altrove, infuria la guerra. Tutti gli
interlocutori delle Leggi, allora, rappresentano il punto di vista di
Platone, che non è unitario ma conflittuale, ed è conflittuale perché
è dialettico ed è dialettico perché è animato da una forte tensione
a superare la conflittualità strutturale che connota l'in-dividuo.
La notazione dell'Ateniese, relativa alla necessità di soffermarsi
non sulla correttezza delle parole, ma sulla giustizia delle leggi,
introduce un'argomentazione che fa crollare l'intero modello er
meneutico bellico che era stato introdotto da Clinia nelle pagine
precedenti.
Viene riformulata l'ipotesi di una famiglia, nella quale i peggio
ri governano i migliori. Ci si domanda quale è, nei confronti di
questa famiglia, il miglior giudice; quello che decide di sopprime
re i disonesti, affidando il potere ai migliori, o invece quello che,
affidato il potere ai migliori, lascia sopravvivere i disonesti, co
stringendoli ad ubbidire loro malgrado? n miglior giudice - con
vengono gli interlocutori - non è né l'uno né l'altro, ma piuttosto
chi è in grado, raccolta una famiglia rotta dalla discordia, di met
tere pace per il tempo futuro, dando ai cittadini nuove leggi e
vegliando sulla loro concordia. Affermare però che un tal giudice
sarebbe il migliore legislatore significa negare che le leggi debba
no essere pensate in vista della guerra; Al contrario significa affer
mare che guardando non alla guerra esterna, ma a quella guerra
che sorge all'interno, a quella guerra che ognuno vorrebbe che
mai sorgesse nel proprio stato, o che, una volta sorta, fosse caccia
ta al più presto, bisognerebbe conformare la vita dello stato (cfr.
628b).
Non è mai da preferire una pace (eip-rlvTt, 628b6) figlia della
distruzione di una parte ad opera di un'altra, ad una pace amica
(�tA.l.a n: KaÌ eip-rlvT), 628b8) sorta dalla riconciliazione, che consen
te di rivolgere la mente ai nemici esterni. La cosa migliore non è la
guerra, ottima è la pace e la benevola concordia (�tA.o�pocruvTt,
628c l l ) .
A quanto sembra, dunque, quel "vincere s e stesso, per l o stato,
non è una delle cose migliori, ma una necessità dettata da determi
nate condizioni" (-.ò VtKiiv, roç SOtlCtV, aÙ'LÌ"JV aÙ'LÌ"JV 7tOÀ.tV OÙIC �v
nov à.pl.cr-.rov à.A.A.à. nov à.vayJCal.rov, 628c l l -dl). Come se un corpo
ammalato, e poi curato, fosse giudicato in migliore stato di salute di
un corpo che non abbia bisogno di alcuna cura.
Eros Phobos Epithymia 43
cos'è questa affezione, che essi chiamano "essere vinti dal piacere, al punto di non
fare il meglio pur conoscendolo" (Protag. 252e-253a). Se alcuni piaceri sono cattivi,
perché sfociano in dolori e alcuni dolori del presente sono buoni in quanto sfocia
no in piaceri - egli argomenta - la condizione di coloro che sono vinti dal piacere
è una condizione di ignoranza, perché è la mancanza di quella forma di sapere che
ci consente di misurare quali dolori e quali piaceri deriveranno in futuro dai dolori
e dai piaceri del presente (Protag. 352e-358c).
67 Cfr. A.W.H. ADKINS, Men·t and Responsability. A Study in Greek Values, tr.
it. La morale dei Gred. Da Omero ad Aristotele, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp.
401407.
44 Lidia Palumbo
5. Sul Fedro
A proposito della natura dell'emozione d'amore
nei corpi umani, hanno volato verso la sommità del cielo e lì, alcune
meglio e altre peggio, alcune di più ed altre di meno, hanno contem
plato la vera realtà dell'essere. Ognuna delle anime è simile ad una
biga alata, guidata da un auriga, "i cavalli e gli aurighi degli dèi, dice
Platone, sono tutti buoni e di buona razza, mentre quelli degli altri
sono misti"69• Nel caso degli uomini, è l'auriga che conduce la biga
e, dei due cavalli, uno è eccellente e di razza eccellente, l'altro
opposto e di razza opposta (246a-b).
L'ala consente alla biga di volare70, di portare in alto ciò che è
pesante, innalzandolo là dove risiede la stirpe degli dei. L'ala del
l'anima degli uomini partecipa del divino e si nutre di ciò che è bello
sapiente e buono (246d-e). Quella tra le anime che meglio sta al
seguito di un dio e gli si rende simile - dice Platone - "innalza la
testa del suo auriga nella regione esterna ed è condotta nel moto
circolare anch'essa, ma, disturbata dai cavalli, a stento riesce a scor
gere gli enti. Un'altra, invece, ora innalza, ora abbassa la testa e, per
la violenza dei cavalli, vede alcuni enti, ma altri no" (248a)7 1 • Tutte
le anime degli uomini, anche se in misura diversa, hanno contempla
to la verità, è infatti legge che l'anima che non abbia mai visto le
cose che sono non possa assumere figura umana (249b). Ciò accade
perché l'uomo "deve comprendere secondo ciò che è chiamato
idea", procedendo da una molteplicità di sensazioni ad una unità
afferrata nel suo insieme con un ragionamento. E questo non è altro
che reminiscenza72, reminiscenza di quegli oggetti che un tempo la
69 TI testo del Fedro è quello oxoniense stabilito da Bumet (Platonis opera, cit.,
tomus II, Oxford, 1976). La traduzione che riportiamo, lievemente modificata, è
quella di G. Cambiano, in PLATONE, Dialoghi Filoso/ici, cit.
7° Cfr. L. PALUMBO, Eros luogo privilegiato della contraddizione. Note sul discorso
di Sacra/e nel Simposio, in "Discorsi", VI (1986), pp. 79-93.
7 1 Se consideriamo che i cavalli rappresentano nell'anima la dimensione del
sentimento e quella del desiderio, vale a dire tutto intero l'apparato emotivo del
l'uomo, comprendiamo come, nella prospettiva mitologica del Fedro, l'esistenza
dell'anima, prima di diventare esistenza corporea, è "una contemplazione disturba
ta dall'emozione", eppure, dopo l'incarnazione - e siamo ancora all'interno della
prospettiva mitologica del Fedro - sarà proprio un'emozione, cioè quella dell'amo
re, a consentire la memoria della contemplazione, il recupero di una visione del
vero che, altrimenti, sarebbe inesorabilmente perduta.
72 Cfr. J. TRINDADE SANTOS, Nota sobre a anamnese no Fedro, in Anamnese e
saber. Organizaçao e introduçao de}. Trindade Santos, Usboa, Imprensa Nacional
Casa da Moeda, pp. 243-255.
46 Lidia Palumbo
71 Sulla quarta forma di follia cfr. G. CASERTANO, l;etema malattia del discorso,
cit., pp. 56-58; M. DIXSAUT, Le figure della mania nei dialoghi di Platone, in Nella
dispersione del vero, a cura di G. Borrelli e F. C. Papparo, cit., pp. 9-32; E.R Dooos,
I Gred e l'I"azionale, cit., pp. 264-265.
74 In questo caso il soggetto è l'uomo nella sua unità psicofisica. n senso dell'af
fermazione è ucolui nel quale abita un'anima che ha molto contemplato".
Eros Phobos Epithymia 47
7� Da questo momento il soggetto della descrizione noo è più l'uomo nella sua
realtà psico-fisica, ma è la sola sua anima che, come si dice subito dopo, ribolle, si
irrita e sente solletico. Poi, ancora, si infuria, si tormenta, gioisce.
76 Cfr. G.RE FERRARI, The struggle in the soul: Plato, Phaedrus 253c-255a, in
cfr. M. FoUCAULT, I.:urage des plairirs, tr. it. I.:uro dei piaceri. Storia della rerrualità
2, Milano, Fdtrindli 1984, pp. 41-98.
78 Cfr. ivi, p. 93.
50 Lidia Palumbo
79 Secondo questa immagine del Fedro, la parola è cosa della ragione e del
sentimento, non del desiderio: muto, in grado di ascoltare nient'altro che l'urlo
assordante del suo bisogno di contatto fisico, di congiungimento carnale, il deside
rio, "mentre gli altri parlano", "morde il . freno e tira sfrontatamente". A ben
guardare, però, al cavallo nero è data facoltà di parola nel dialogo intrapsichico che,
violento, si accende nell'anima con la passione d'amore. La battuta che gli viene
attribuita, però, non è propriamente un parlare, ma un insulto, un'ingiuria, un'ag
gressione verbale che egli scaglia contro gli altri attori della rappresentazione,
l'auriga e il suo fedele servo quadrupede. Portato dalla sua natura, che è la natura
del desiderio, non a parlare né ad agire, ma a correre, il desiderio non ha bisogno
di parlare; soltanto quando qualcuno o qualcosa si frappongono tra sé e la sua
realizzazione di se stesso come desiderio, soltanto allora, egli parla, e la sua parola
assume la forma dell'insulto. Razionale nella sua essenza più profonda, infatti, la
parola - il logos - non abita quel luogo inaccessibile alla ragione che è la caverna
del desiderio allo stato puro. In quella caverna non ci sono discorsi ma solo il suono
assordante di un'assenza, non c'è dialogo, ma solo la ripetizione senza senso di un
unico nome, non ci sono parole, ma solo parolacce. Sono probabilmente solo
parolacce, infatti, quelle che il cavallo nero "ha da dire" all'auriga quando, a letto
con l'amato, essi si trovano a discutere animatamente (•ou J.IÈV kpacr'tou 6 àK6A.acr•oç
"innoç EX&l on MylJ ltpoç 'tÒV iJvloxov, 255e5-6).
80 Comincia a farsi strada un cambiamento del termine philia che fino a prima di
Platone si riferiva più alla dimensione sociale e giuridica che a quella affettiva (Cfr.
J.C. FRAISSE, Philia. La Notion d'amitti! dans la philosophie antique, Paris, Vrin, 1974).
Eros Phobos Epithymia 51
61
Questa "scena" ricorda la "tentazione di Alcibiade" nel Simposio (217d-218b-
219e).
112 Si veda la ricca bibliografia riportata da Brisson in PLATON, Phèdre.
Traduction inédite, introduction et notes par Luc Brisson, Paris, Flammarion, 1997.
52 Lidia Palumbo
8� Ibidem.
Eros Phobos Epithymia 55
86 Come scrive Matte Bianco, per sua natura la sensazione è semplice, il pensie
l � ..) ,, -' 1 1J -- ! { : ! .
. q ·:nJ!!�
l!i E.R Donns, I Gred e l'Irrazionale, cit:�: pÙl�.q
Eros Phobos Epithymia 57
����!l�l�I;��!�Ii:�1�!�!!�4�!��
58 Lidia Palumbo
94 Si veda anche Leg. 742e: "è impossibile essere insieme molto ricco ed onesto,
è impossibile che lo siano quelli almeno che i molti scelgono come ricchi. Si dicono
in genere ricchi quei pochi uomini che hanno acquisito per sé proprietà di alto
valore in denaro".
Eros Phobos Epithymia 63
comunità antica, Roma, Donzelli, 1999, p. 235: "anche per Platone, la donna non
viene presa in esame per ciò che è o potrebbe essere in sé, ma all'interno di
relazioni che formano la propria identità. Moglie, madre, figlia, sorella sono le
tradizionali relazioni 'familiari', a cui corrispondono determinate funzioni e diritti
nell'ambito domestico. In esse la differenza rispetto ai ruoli maschili non è di
grado, ma qualitativa ed è colta da Platone nel suo fondamento riproduttivo,
familiare, che emerge dall'irriducibile differenza tra il partorire e il fecondare (Resp.
454 d-e)". Ma, aggiunge l'Autrice, "sono'proprio questo fondamento e la differenza
da cui emerge, che Platone intende negare nel nome di una prospettiva più ampia,
politica. La prospettiva di uno stato che riposi interamente su se stesso e non sulle
stratificazioni genetiche secondo cui storicamente si è concretato".
98 La prospettiva platonica che emerge da queste pagine, in cui molto accurata
99 Abbiamo incontrato questo termine almeno altre due volte (una prima volta
101
C&. ] .. CHANTEUR, Platon, le désir et la dté, Paris, Editions Sirey, 1980, p. 37:
"L'anarchie est, si l'on peut s'exprimer ainsi, la forme politique logique qui
correspond à l'affirmation pure et simple de l'f:rnBu!!ia: anarchie politique, anarchie
en chaque homme, sauf en celui, exceptionnel, qui est 'doué d'une nature
extraordinaire'" ..
68 Lidia Palumbo
102
Nel riferirsi a questa "storia", Platone usa, una prima volta, in 565d6, il
termine J.1u9oç, una seconda volta, in 565el, il te�e Àoyoç.
Eros Phobos Epithymia 69
103
Un altro esempio di pensiero emozionale che tende all'assimilazione tra
soggetto e oggetto, in Leg. 865d-e. Si parla di antiche favole di paura, secondo le
quali l'uomo ucciso di morte violenta, se abbia vissuto con la fiera coscienza di
essere libero, appena morto monta in collera contro il suo uccisore e, poiché egli
stesso è pieno di paura e di terrore per la violenza subita, nel vedere il suo omicida
aggirarsi nei luoghi già a lui un tempo familiari, si spaventa e sconvolto sconvolge
l'uccisore, 11,1.i e tutte le sue azioni, quanto più può, e trova come alleata la memoria.
Sul "gioco degli specchi" della paura cfr. A. OLIVERIO FERRARIS, Paure individua!t;
paure collettive. Aspetti psicologici, antropologici e storici, in Stona e paure. Imma
ginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna, a cura- di L.
Guidi, M.R Pelizzari, L. Valenzi, pp. 17-29, Milano, Franco Angeli, 1992, p. 27.
J0-1 Sull'argomento dr. L. PALUMBO, Platone e la paura, in Il dibattito etico e
ma, buttati lui giù molti altri, si sta ritto sul carro della città (Èv •cf�
8l.�pq1 •iìç 7tOÀ.f:ffiç, 566d2)106, divenuto invece di capopolo perfetto
tiranno (566c-d).
TI tiranno, dice Platone, all'inizio nega di essere tiranno, affetta di
essere con tutti benigno e mite, e fa grandi promesse in pubblico e
in privato (566d-e). In realtà, invece, ha un marcato interesse a
mantenere sempre viva la guerra, perché la guerra obbliga il popolo
ad avere un capo, e a finanziarne le attività belliche. Egli vuole che
diventino tutti poveri, perché la povertà rende gli uomini meno
10� Cfr. XVI, 776, ove si dice dell'auriga Cebrione cadut� già morto dal carro.
1 06 'O Si�poç è la parte del cocchio che portava l'auriga. E evidente il parallelo
con il carro dell'anima di cui si parla nel Fedro. Qui però si tratta di Wl carro
psichico che non è guidato da un auriga, ma - stando alla metafora del Fedro - dal
cavallo nero.
Eros Phobos Epithymia 71
107 Come scrive Rotondaro, "il difficile compito da affrontare è quello di sfatare
le apparenze con cui il tiranno si mostra agli altri, screditando le false opinioni che
gli altri hanno di lui e lui di se stesso. La strada scelta è quella della riduzione del
tiranno a simulacro, apparenza che si spaccia per realtà. Platone la p�rcorre giun
gendo a dimostrare che tutto ciò che il tiranno esibisce è solo un'immagine illusoria
del suo vero essere: irreale è la sua felicità, non veri sono i suoi piaceri, fittizia è
la sua potenza" (cfr. S. RoTONDARO, Il sogno in Platone cit., pp. 120-121).
72 Lidia Palumbo
108 Cfr. anche Leggi 714a: "se un uomo solo o un gruppo di oligarchi o anche
una democrazia hanno un'anima che tende ai piaceri e ai desideri e ne cerca con
avidità riempimento e nulla sa trattenere ed è posseduta da un male insanabile e
senza fine, e gente così verrà a governare uno stato o anche un solo individuo
calpestando le leggi, allora, come or ora si diceva, non c'è via di salvezza".
109 Su questo passo c&. E. VEGLERIS, Platone e il sogno della notte, in Il sogno
in Grecia a cura di G. Guidorizzi, Bari, Laterza 1988, pp. 103-120, pp. 108-110.
110 ll verbo che usa Platone è KOAai;Cil che significa "mutilare", "recidere" e che
- quando viene usato a proposito delle bn9u!-lio.t - viene normalmente tradotto con
Eros Phobos Epithymia 73
modo essi scompaiono del tutto, talvolta, invece, quando sono più
forti e numerosi, essi permangono.
Questa prima presentazione dell'argomento è fatta secondo la
prospettiva del logistikon. Esso, infatti, come abbiamo visto più
sopra, è fondamentalmente capacità di analisi: dire che esistono
desideri necessari e desideri non necessari, che tra questi ultimi è
possibile individuare quelli illegittimi, è precisamente il modo di
procedere di quell'elemento dell'anima che distingue e discerne, e
così facendo giudica secondo il valore degli enti. Tale prospettiva
anatomizzante, per così dire, non è però, come vedremo, l'unica
usata da Platone nel presentare i desideri 1tapci.voJ.L01.
Essi si collocano nel mondo negativo di ciò che è altro dalla
ragione e dalla leggem, e condividono con tutti gli elementi di tale
mondo un destino diverso da quello della normalità. Ed esiste tutto
un vocabolario, per così dire rovesciato, fatto di opposizioni e di
mancanze, di significati che sono in parte speculari rispetto a quelli
della normalità, che descrive gli elementi di questo mondo capovol
to: i desideri illegittimi si destano (èyetpoJ.LÉvaç, 571c3) m:pì -ròv
u1tvov, durante il sonno, quando ciò che vi è di bestiale e di selvag
gio in ogni uomo 01Ctp-r�, "salta su " 1 12 e, pieno di cibo e di ebbrezza,
cerca di sfogare i propri istinti113•
La scena della rappresentazione è doppia: da un lato vi è il
ÀoytCJ'ttKOV che dorme, e COn lui dorme fiJ.LEpOV KaÌ apx;ov ÈKEtVOU
(571c4-5), vale a dire ciò che in un uomo è in grado di dominare;
dall'altro lato, sveglio proprio perché quello dorme, vi è l'elemento
ferino e selvaggio che, libero da ogni aicrx;uv11 e da ogni <jlp6v11mç,
"osa qualsiasi cosa" (7tci.vm -roÀJl� 1tote'ì.v, 57 1c7-8). E lo fa senza
indugio.
La caratteristica primaria di questo elemento bestiale è quella di
essere capace di tutto, senza frapporre nessun tempo tra il momento
11�
Per la posizione di Platone sull'incesto cfr. Leg. 838a sgg. Sul divieto dell'in
cesto nella cultura greca dr. E.R Dooos, I Gred e l'Irrazionale, eit., p. 227 e n. 2.
Sui rapporti tra Freud e Platone cfr. tra l'altro L. PALUMBO, Platone e la paura, ci.t.,
p. 297 n. 37; S. RoTONDARO, Il sogno in Platone, cit., p. 123 n. 7, pp. 128-129 n.
10; M. STELLA, Freud e la Repubblica: l'antina, la sodetà, la gerarchia, in PLATONE,
La Repubblica. Traduzione e commento di M. Vegetti, cit., pp. 287-336; G. SANTAS,
op. dt., p. 224.
m Sulla natura dell'istante cfr. G. CASERTANO, L'istante: un tempo fuori del
tempo, secondo Platone, in Filosofia del tempo, a cura di L. Ruggiu, Milano, Bruno
Mondadori, 1998, pp. 3-11. Si veda anche L. PALUMBO, Struttura narrativa e tempo
nel Teeteto, in La struttura del dialogo platonico, cit., pp. 225-237, pp. 236-237.
Eros Phobos Epithymia 75
116 L'
approccio descrittivo - scrive Vegleris - cede così il posto a una vera e
propria psicologia del profondo, che indaga le cause generatrici del sogno e nello
stesso tempo le dinamiche che lo organizzano. In questa nuova prospettiva le
immagini non sono più considerate in rapporto alle cose esteriori a cui assomiglia
no, bensì in relazione al substrato irrazionale dell'anima. Perciò l'analisi psicologica
del sogno notturno presenta quest'ultimo non in termini di immagini ma in termini
di tendenze (cfr. E. VEGLERIS, op. cit., p. 108).
76 Lidia Palumbo
117
Cfr. Leg. 628b e supra.
118
Lo stesso verbo è usato da Platone nella descrizione di un'assemblea che
avviene sotto un governo democratico: a l'elemento più acuto - egli dice - parla ed
agisce, e il restante seduto attorno alle tribune ronza (PoJJPéì) e non tollera chi parli
altrimenti" (Resp. 564d).
Eros Phobos Epithymia 17
1 19 Qui
Socrate si rivolge ad Adimanto chiamandolo BatJ.IOVtE (573c7).
120
Nd verbo Èm1"11Bturo è implicito il significato dd!' abitudine che si acquisisce
coltivando un'arte, esercitandola, praticandola, occupandosi di essa con cura. Con
trapposta alla condizione che è �oo&t, per natura, essa indica tutto ciò che si acqui
sisce ddiberatamente, a bdla posta, con impegno. Tiranni dunque si può nascere, ma
si può anche diventare, coltivando con arte l'ubriachezza, l'eros o la follia.
78 Lidia Palumbo
121
Si veda anche Leggi 734a: "la vita intemperante in tutto è estrema e i dolori
ci dà violenti e violenti i godimenti, i desideri morbosamente tesi e assillati e
l'amore come illimitata follia".
Eros Phobos Epithymia 79
Nessun rispetto dunque per gli altri, né per le loro sostanze. Egli,
"raccoltosi fitto in lui lo sciame dei piaceri" (574d), comincerà a
rubare nelle case e nei templi, a borseggiare i viandanti nella notte,
e "tutte quelle opinioni che aveva un tempo da bambino sul bello
e sul brutto" accadrà che " saranno sopraffatte con il suo aiuto da
quelle di recente sciolte dalla servitù, e facenti da satelliti ad Amore"
(574d). Queste ultime, opinioni nuove sul bello e sul brutto, opinio
ni legate alla tirannia di Eros, sorta di etère della mente, che prima
si scioglievano solo in sogno dormendo, quando l'individuo era
ancora sottoposto alle leggi e al padre, avendo in sé un regime di
democrazia, ora, soggiaciuto egli alla tirannia di Amore, e "divenuto
di continuo da sveglio tale quale sol di rado diveniva in sogno", ora
esse porteranno il tiranno a non astenersi (574e) da alcun atroce
fatto di sangue né da cibo ed atto alcuno; ma, servendo Eros come
soltanto un tiranno può essere servito, lo aiuteranno ad osare ogni
cosa da cui possa nascere alimento per lui e per la tumultuosa turba
che gli sta intorno, "sia quella entratagli dal di fuori per la cattiva
compagnia, che quella sfrenata e liberata dal di dentro" (575a) i22•
L'affresco di Platone è perfetto. Esso "dipinge" l'esistenza di un
tiranno con tutte le tinte fosche di cui dispone la tavolozza di un
pittore che voglia colorare il suo discorso con i colori persuasivi della
disapprovazione e della paura, della sorpresa e della nostalgia. Non
soltanto, infatti, come nel discorso di un sapiente oratore, si fa appello
a quella parte dell'animo del lettore che non sopporterà la mancanza
di rispetto per i genitori, che si scandalizzerà per la preferenza accor
data alle etère piuttosto che alla vecchia madre, a quella parte che si
spaventerà del pericolo di essere borseggiato, derubato nel patrimo
nio morale e materiale da tale esempio di umana abiezione, ma, en
passant, si parla anche del periodo perduto dell'infanzia, quello in cui
si avevano opinioni pulite sul bello e sul brutto, si era protetti dalla
legge e dai genitori, e le cose avevano i contorni netti: si rispettavano
le cose antiche più delle nuove, e la tirannia tormentosa del desiderio
erotico era ancora assolutamente lontana.
È impossibile negare l'intento morale con cui Platone scrive
queste pagine sulla miseria di una vita asservita alla tirannia del
desiderio, ed è altrettanto impossibile non vedere la straordinaria
122 Cfr
. J. FRERE, Les Grecs et le desir de l'Etre. Des Préplatoniciens à Aristate,
Paris, Vrin, 1981, p. 447.
80 Lidia Palumbo
123 È evidente il parallelo con il passo delle Leggi che leggevamo sopra, in cui
si dice che "quando in una comunità i migliori sono sottomessi ai peggiori, questa
comunità è correttamente detta inferiore a se stessa e cattiva; quando invece in
essa sono i peggiori ad essere sottomessi, la comunità è vittoriosa su se stessa e
buona" (627c).
12� Cfr. Leg. 736e.
IV L'
intemperante soffre più del temperante e la sua scelta di vita, intrisa di
dolore, è in un certo senso involontaria: cfr. Leg. 732e-734e.
Eros Phobos Epithymia 81
zia, per qualche mala sorte, di riuscire a diventare tiranno " (578c).
Glaucone ritiene che questo sia vero, ma Socrate sottolinea che in
argomenti di importanza così capitale non basta semplicemente
opinare, ma è necessario esaminare a fondo con un ragionamento
(578c). Per compiere questo esame si usa uno strumento dimostra
tivo caro a Platone, quello della analogia: così come il tiranno co
manda su molti uomini liberi - si osserva - l'uomo ricco comanda
su molti schiavi. Normalmente l'uomo ricco che ha molti servi non
teme i suoi servi e la ragione della sua mancanza di timore, della sua
sicurezza sociale, sta nel fatto che "l'intera città presta man forte ad
ogni singolo privato" (578d). Se allora compiamo una sorta di espe
rimento mentale; e ci figuriamo quella che sarebbe la sua condizione
se egli venisse privato della solidarietà della sua classe sociale, del
l'appoggio dell'intero corpo cittadino, e ce lo immaginiamo per
esempio nel cuore di un deserto, isolato lì con i suoi averi, i suoi
affetti e i suoi servi, lì dove nessuno potrebbe portargli aiuto, "in
quale e quanta paura pensi che egli sarebbe su se stesso, i figli e la
moglie, di essere ammazzati dai servi?" (578e). Tutti concordano
sull'idea che egli sarebbe in preda ad "un'estrema paura", e che
"sarebbe costretto ad accarezzare alcuni degli schiavi stessi: a far
loro una quantità di promesse" , risultando alla fine "adulatore dei
suoi stessi servi" (579a).
Dopo essere passato più volte dal registro immaginifico-descrit
tivo a quello argomentativo-dimostrativo, dopo avere usato talvolta
mescolati tali due registri espressivi, Platone ritiene di avere mostra
to con sufficiente chiarezza che l'esistenza di un tiranno (cioè di un
uomo che sia tale per natura, che abbia un'anima tirannica, che sia
l'incarnazione della più tirannica delle emozioni) che abbia anche la
ventura di diventare un tiranno (cioè un uomo che abbia nelle sue
mani da solo il potere della città) è estremamente simile all'esistenza
di quell'uomo ricco che, improvvisamente, sia condotto da un dio in
un deserto, ed in quella terribile solitudine sia costretto a sperimen
tare la natura ambigua, violenta, precaria, ricattatoria del potere, del
potere che gli uomini esercitano sugli altri uomini. Nella città da lui
stesso governata, infatti, il tiranno è come in una prigione: pieno di
paure diverse126, avido nell'anima, desideroso di uscire, è costretto a
126
TI potere - scrive Ferrero - uè la manifestazione suprema della pama che
l'uomo fa a se stesso, malgrado gli sforzi per liberarsene. E questo è forse il segreto
82 Lidia Palumbo
starsene rintanato in casa come una donna, invidiando gli altri cit
tadini liberi di muoversi (579b-d). Lui che, non essendo padrone di
se stesso, è "costretto" a fare da padrone agli altri, somiglia a chi,
malato nel corpo, e quindi già impegnato a combattere il proprio
male, a non soccombere del tutto a causa della sua debolezza fisica,
sia " costretto" a combattere anche con altre persone, ad aprire, già
così provato nel corpo e nell'anima, un nuovo fronte di guerra
(579c-d). A dispetto di ogni apparenza, allora, il vero tiranno è un
vero schiavo (o 1:4} òvn 1:upnvvoç 1:4} òvn 8ou/..oç, 579d9-10) e lo è
della massima schiavitù, ed è un adulatore degli uomini più malvagi.
Egli non può soddisfare alcuno dei suoi desideri e - a chi sappia
contemplare l'anima intera - apparirà povero e bisognoso, pieno di
paure e di dolori, di invidia, di ingiustizia, privo di amici e comple
tamente infelice (579e-580a).
A nostro avviso, nella storia dell'uomo tirannico raccontata da
Platone nell'ottavo e nel nono libro della Repubblica, è possibile
individuare tutte le caratteristiche di quel discorso platonico teso a
descrivere la natura di un'emozione che abbiamo già incontrato nel
mito del Fedro, ove si trattava della passione d'amore. Se, infatti,
come ci eravamo proposti, usiamo quella descrizione come un mo
dello per analizzare questa, che tratta del desiderio, troviamo che
anche il desiderio, come la passione d'amore, viene configurato
come una collezione complessa di sensazioni, alcune più localizzate,
altre più diffuse. Le sensazioni citate da Platone come parte inte
grante dell'emozione del desiderio sono le tipiche sensazioni
dell'epithymetikon: la fame, la sete, la sfrenata voglia di sesso e di
lucro. Tali sensazioni sono descritte all'interno di ciascuno dei re
gistri espressivi usati da Platone: quello della narrazione colora
ta, come quando leggiamo degli affaristi della città oligarchica che
vivono " trafiggendo e iniettando denaro" (ÈvtÉvn:ç cipyupwv
n1:pmcrKOV1:Eç (555e4-5); quello della narrazione metaforica, come
quando del figlio dell'uomo oligarchico, educato rozzamente e tac
cagnamente, si dice che poi, all'improvviso, "gusta il miele dei fuchi"
(yEucrTJ'tUl KTJcpftvrov J!É/..uoç, 559d8); quello mitologico e macabro,
come quando, nel focalizzare il momento in cui il capopolo demo
cratico si trasforma in tiranno, si dice che "chi ha gustato viscere
più oscuro e profondo della storia" (cfr. G. FERRERO, Pouvoir. Les génies invisibles
de la cité, tr.. it., Potere. I geni invisibili della città, Milano 1981, p. 35).
Eros Phobo.r Epithymia 83
1 27 In tutti questi casi il testo esprime una contrapposizione che non è contrap
posizione tra realtà e immaginario, ma tra la realtà dell'immaginario e la realtà
concepita dalla conoscenza razionale.
128
Molto pregnante, a questo proposito, la notazione di Bodei relativa all'ori
gine della parola "consumo", nella quale confluiscono due etimologie: cum-sumere
("prendere con", "usare interamente") e cumsummare ("fare la somma", "portare
a compimento"): cfr. R WILLIAMS, "Consumer", in Key Word.r. A Vocabulary o/
Culture and Sodety, Oxford, 1976, pp. 68-70, citato in R BoDEI, Geometria delle
passioni, cit., p. 16, n. 9.
84 Lidia Palumbo
12'J Cfr. 569b: "Panicida dunque, diss'io, tu chiami il tiranno e cattivo sostentatore
13° Cfr. supra, quanto osservavamo a proposito del discorso introduttivo della
Repubblica.
131 Cfr. 792c-d: "il mio discorso infatti dice che la vita retta non deve rincorrere
i piaceri, né rifuggire del tutto dai dolori, ma amare proprio il giusto mezzo, che
io ho chiamato poco fa con il nome di serenità (iJ.Erov)".
88 Lidia Palumbo
132
TI-IEOGN. 77-8.
Eros Phobos Epithymia 89
il saper distinguere ciò che è temibile e ciò che non lo è (360d); nella Repubblica
con la "capacità di salvaguardare in ogni circostanza l'opinione corretta e basata
sulla legge circa le cose temibili" (429e7-430b5). Nel Xll libro delle Leggi, sulla
differenza tra il coraggio e l'intelligenza (cjlp6vTJmç) si dirà che "l'uno è in relazione
con la paura, di cui partecipano anche le fiere. . . ed anche le indoli, almeno, dei
bambini, quelli del tutto piccolissimi. Senza discorso della mente, infatti, e per
natura l'anima viene ad essere coraggiosa, ma d'altra parte senza il discorso l'anima
mai è venuta ad essere, né è, né mai poi verrà ad essere dotata di intelligenza e di
intelletto, e infatti l'intelligenza è diversa " (963e).
90 Lidia Palumbo
136
A Sparta, anzi, il piacere è assolutamente vietato: "A voi soli dei Greci e dei
Barbari - dice l'Ateniese - il legislatore ha prescritto di astenervi dai piaceri - più
intensi e dalle feste, di non trame mai godimento" (635b).
m Gli Spartani - scrive Balbi - erano più degli altri popoli vulnerabili alla
paura e, proprio per curare questo loro "difetto nazionale", si imposero la ferrea
disum�a disciplina per cui sono passati alla storia. Ma il rimedio funzionava solo
a condizione che gli avvenimenti seguissero lo svolgimento previsto: in questo caso
- come avvenne alle Termopili - grazie all'addestramento ricevuto, gli uomini erano
in grado di controllare la paura, ma davanti ad un avvenimento inaspettato le difese
crollavano, come avvenne, secondo il racconto di Tucidide, nel decimo anno della
guerra del Peloponneso (cfr. R BALBI, Madre paura. Quell'istinto antichissimo che
domina la vita e percorre la stona, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984, p. 6).
Eros Phobos Epithymia 91
na
I termini eudaimonia-eudaimon - scrive ]. Frère (op. dt., p. 423) - non
appaiono nell'Iliade e nell'OdiSseo; esistono, ma sono ancora rari, in Esiodo Pindaro
e Saffo. È con Platone ed Aristotele che cominciano ad assumere una grande
importanza e a sganciarsi dal loro contesto di necessità materiali.
1J9 Cfr. Timeo 69d: "temerarietà e paura, dissennati consiglieri".
92 Lidia Palumbo
140 Sulla paura come primaria causa degli errori dell'uomo, cfr. 864b.
141
Si veda anche 732e: "È per natura cosa umana soprattutto godere e soffrire
e desiderare ed è necessità che tutto ciò che vive ed è mortale sia semplicemente,
direi, da tutto ciò condizionato e come sospeso a ciò, con le più grandi preoccu
pazioni".
142 Nel Protagora, come abbiamo visto, invece, il ragionamento è precisamente
il calcolo dei dolori e dei piaceri futuri. È proprio questa differenza (tra il Protagora
e gli altri testi che trattano dell'argomento), questa differenza nella valutazione della
ragione che gestisce le emozioni, ciò che, nella lettura del Protagora, ha creato tutti
i problemi di interpretazione dell'"edoni.smo socratico" di cui parlavamo sopra.
w "TI disaccordo di piacere e dolore con il giudizio della ragione io dico che
è l'estrema ignoranza e la più grande perché è nella parte più grande dell'anima;
infatti quella sua part;e di cui è proprio soffrire e godere è in essa ciò che il popolo
e la folla sono nello stato" (689a-b), su questo rapporto psyche = p/ethos cfr. M.G.
CIANI, Psicosi e creatività nella scienza antica, Venezia, Marsilio, 1983, p. 66.
144 Si veda anche 803c, 804b.
Eros Phobos Epithymia 93
Hs
Le due forme di paura indicate da Platone potrebbero anche essere distinte
come paura delle cose e paura delle opinioni, paura degli eventi e paura dell'inter
pretazione degli eventi.
Eros Phobos Epithymia 95
149
La formulazione dell'affermazione conferma la sostanziale costanza dell'at
teggiamento platonico relativamente ad un'idea di coraggio che non sia capacità di
affrontare il pericolo, come pensano i più, ma piuttosto, pur nelle differenti sfuma
ture di significato che abbiamo via via evidenziato, capacità di valutare quando è
il caso di affrontare il pericolo e quando non è il caso. È interessante confrontare
questa interpretazione platonica del coraggio con quella che troviamo in Aristotele
(cfr. Etica Eudemia 1229 b34-38).
150
Sulla pa"esia in Platone cfr. M. FouCAULT, Discourse and Truth. The Proble
matization ofPatrhesia, tr. it. Discorro e verità nella Grecia Antica, Roma, Donzelli,
1996, pp. 59-70. Si veda anche L. SPINA, Il cittadino alla tribuna. Diritto e libertà
di parola nell'Atene democratica, Napoli, Liguori, 1986.
m Come abbiamo appena visto, il più grande coraggio è quello che è necessario
contro i nemici, la più grande paura, invece, è la seconda specie di paura, quella
denominata pudore, che si prova nei confronti degli amici e, in generale, del
contesto sociale al quale si appartiene.
m Quest'ipotesi è stata assunta, come abbiamo visto, sia guardando alla legisla
zione esistente, che prescrive una sorta di addestramento alla paura, sia analizzando
quella sorta di esperimento mentale, che è l'idea del phobou pharmakon.
151 Sembrerebbe una formula medica: cfr. anche l'autore ippocratico del De
flatibus cap. 1: f:v\ lìÈ cruv'tOf.lf9 1..oyf9 'tà f:vavna 'tffiv f:vav'ttiDv Ècrnv liJf.la'ta. Sull'ar
gomento cfr. G.E.R LLOYD, Polarità ed analogia, cit., p. 33; M. VEGETTI , La medi
cina in Platone, Venezia, ll Cardo, 1995.
96 Lidia Palumbo
che Dario mandò Dati contro gli Eretriesi e gli Ateniesi. Egli, dopo
avere conquistato i primi, "fece correre verso di noi una notizia
paurosa: nessuno degli abitanti di Eretria gli era sfuggito" . (698d); i
suoi soldati, infatti, tenendosi per mano, avevano preso nella loro
rete tutta la regione. "La notizia - dice l'Ateniese - vera o no,
comunque sia arrivata, prostrò gli altri Greci e gli Ateniesi" (698d),
e dunque a questi nessuno volle prestar soccorso. Tutti, tranne gli
Spartani, si rifiutarono, ed anche gli Spartani, che erano allora im
pegnati nella guerra· contro Messene, giunsero ad Atene con ritardo,
quando la battaglia di Maratona era già avvenuta156 (698c-d). In
seguito si sparse la voce che i Persiani intendevano ancora attaccare
Atene. In quella situazione, nella quale non sembrava esistere alcuna
via d'uscita, due forme di paura salvarono la patria: la prima è quella
che nei discorsi precedenti è stata chiamata pudore, essa, nata dal
l'obbedienza alle leggi, coalizzò tutti gli uomini retti e stabilì tra essi
la concordia. I:altra è invece il terrore che nasceva dalla situazione
di grande ed immenso pericolo. Questo terrore fece sì che anche i
non retti si coalizzassero a difesa dei templi, delle tombe e di quan
t'altro di familiare c'era da difendere (699c-d).
La paura che si prova davanti all'esercito nemico è innanzitutto
paura di morte, in secondo luogo paura della schiavitù. Gli uomini
provano un'immensa paura della schiavitù e questa paura ha anche,
nascosta, un'altra componente irrazionale157• TI più sapiente dei nostri
poeti, dice l'Ateniese nel sesto libro, quando parla di Zeus, afferma:
va nella coscienza degli Ateniesi, l'epigramma inciso sulla tomba di Eschilo, com
posto dallo stesso poeta: "Questa tomba in Gda frugifera racchiude le spoglie di
Eschilo ateniese figlio di Euforione: il suo valore inclito può dire la piana di
Maratona e il chiomato Meda, che lo ha provato" (cfr. l'Introduzione di R Cantarella
a EsCHn.o, Tutte le tragedie. Introduzione di R Cantarella, note di Sergio Musitdli,
traduzione di Felice Bellotti, Milano, Eietti, 1974, p. V). Incredibilmente, Eschilo
volle essere ricordato per il suo valore di soldato e non per quello di poeta: nessun
riferimento sulla tomba è infatti riservato alla sua arte.
157 n legame tra paura e schiavitù non è solo nd fatto di temere la schiavitù ma
anche nd fatto, più profondo, che ogni forma di paura è in certo senso una
schiavitù. Secondo Diogene Laerzio Antistene scrisse un libro dal titolo m:pì
È1..Eu9Ep1aç KaÌ BouJ..E1aç dd quale si conserva un frammento in Stob. m 8,14 = v
A79 (cfr. SOCRATICORUM RE:uQUIAE. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit
G. Giannantoni, Napoli, Bibliopolis in coedizione con le Edizioni dell'Ateneo di
Roma, 1985, vaL m, p. 222). Tale frammento suona pressappoco così: "chi teme
gli altri è uno schiavo anche se non lo sa" (ibidem, vol. ll, p. 350).
100 Lidia Palumbo
Zeus dall'occhio spaziante priva della metà della mente gli uomi
ni cui sopravviene il giorno della schiavitù (777 a) 158•
La paura della morte, allora, quella del disonore, quella della
schiavitù sono essenziali ingredienti di una organizzazione statale
che voglia essere solida e duratura. Ma non basta. Queste, infatti,
sono soltanto quelle, tra le specie di paura, che vanno coltivate
nei cittadini, che fungono da rimedio contro la tentazione del
tradimento, della irresponsabilità, contro la tentazione della li
bertà. Esistono poi altre specie di paura, che sono invece proprie
del legislatore. Sono le cose che egli teme, perché sa che mine
rebbero alla base la sua faticosa, artificiale, costruzione della
legge.
Tra di esse la prima è la paura del nuovo; di essa, nelle Leggi, si
parla in relazione al "genere del divertirsi". n discorso che "dice"
questa paura - è lo stesso Ateniese a riconoscerlo nel settimo libro
- è a sua volta un discorso che "non è da dire senza timore" (797 a),
e viene articolato così: "se questo genere del divertirsi, infatti, una
volta stabilito, partecipa anche del divertire sempre gli stessi, nello
stesso modo, secondo gli stessi punti di vista e per la stessa via, e del
dilettarsi degli stessi giochi, permette allora che anche le leggi fissate
ad uno scopo serio abbiano una tranquilla stabilità, ma se gli stessi
giochi mutano e si rinnovano continuamente con sempre nuove
variazioni, e i giovani non dicono mai piacevoli a loro le stesse cose,
sì che né per quanto riguarda gli atteggiamenti del loro corpo, né,
per il resto, nei loro ornamenti, ciò che è corretto o non corretto sia
sempre per loro concordemente stabilito, ma invece venga da loro
onorato, in modo a tutti superiore, colui che sempre riesca ad
innovare qualche cosa o a introdurre qualche cosa di diverso dal
solito negli atteggiamenti, nei colori, in tutte le cose siffatte, di
questo fatto noi potremmo dire, senza sbagliare affatto, non esserci
peggior rovina per lo stato" (7 97a-c).
La paura del legislatore per l'attrazione che · i cittadini possono
provare nei confronti del mutamento è più volte ribadita, e ad un
certo punto diventa una regola di carattere generale: "il mutamento
in ogni cosa è ciò che vi è di più pericoloso, sopra tutto (a parte
quello di ciò che è per sé male), in tutte le stagioni, nei venti, nel
regime dei corpi, nelle abitudini delle anime e non, per così dire, in
158
HoM. Od. XVII, 322-323.
Eros Phobos Epithymia 101
m Anche l'Autore dd De aeri bus scrive che bisogna guardarsi dai bruschi
mutamenti delle stagioni. Egli descrive le conseguenze, spesso negative e pericolo
se, di queste metabolai nell'ambito delle malattie; segnala la loro influenza sul
carattere degli individui: in quest'ultimo caso, però, la metabole è considerata
positiva, "i mutamenti di ogni genere infatti tengon più desta la mente degli uomini
e non le permettono di infiacchitsin (cfr. Le arie le acque, i luoghi, 16, in Opere di
Ippocrate, a cura di M. Vegetti, Torino, Utet, 1965, pp. 191-192).
160
Cfr. H. BERGSON, Le rire. Essai sur la signi/ication du comique, tr. it. Il riso.
Saggio sul significato del comico, Roma-Bari, Laterza 1983, p. 28.
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106 Bibliografia
Antichi Balbi R 90 n
Barilier E. 14 n
Anacreonte 19 n Barthes R 16 n
Antistene 99 n Bellotti F. 99 n
Aristofane 13 n Bergson H. 101 e n
Aristotele 13 n, 91 n, 95 n Bodei R 10 n, 17 n, 19 n, 22 n, 28 n,
83 n
Diogene di Sinope 13 n Borrelli G. 9 n, 46 n
Diogene Laerzio 99 n Bria P. lO n
Brisson L. 18 n, 51 n
Eschilo 9 n, 99 n Burnet L 15 n, 17 n, 32 n, 45 n
Esiodo 91 n
Euripide 26 n, 35 n, 40 n, 73 n Calabi F. 31 n
Calvino I. 15 n
Cambiano G. 11 n, 32 n, 43 n, 45 n
Omero 9 n, 19 n, 29 e n, 100 n
Campese S. 15 n, 21 n
Cantarella R 99 n
Pindaro 91 n
Casertano G. 10 n, 13 n, 14 n, 15 n,
17 n, 20 n, 24 n, 41 n, 46 n, 74 n
Saffo 9 n, 91 n Centrone B. 10 n, 13 n
Sofocle 26 n Cerri G. 59 n
Chanteur J. 67 n
Teognide 9 n, 26 n, 88 e n Ciani M.G. 92 n
Tirteo 9 n Coby P. 66 n
Concato G. 18 n
Cosenza P. 64 n
Moderni Croiset A. 43 n
Curi U. 39 n
Abbagnano N. 43 n
Adkins A.WH. 43 n, 89 n Deleuze G. 13 n
Adorno F. 43 n, 93 n Detienne M. 59 n
110 Indice dei nomi
Di Capua L. 16 n Palumbo L. 16 n, 28 n, 45 n, 66 n,
Dixsaut M. 15 n, 23 e n, 27 e n, 46 n, 69 n, 74 n
53 n, 54 Papparo F.C. 9 n, 46 n
Dodds E.R 11 n, 19 n, 25 e n, 26 e n, Pasini D. 69 n, 93 n
31 n, 34 n, 35 n, 36 n, 56 e n, 74 n Patillon M. 18 n
Duncan R 34 n Pelizzari M.L. 69 n
Valenzi L. 69 n
Lanza D. 9 n, 35 n, 43 n
Vegetti Finzi S. 59 n
Laurenti R 64 n
Vegetti M. 9 n, 10 n, 11 n, 15 n, 17 n,
Leing RD. 21 n
19 n, 21 n, 28 n, 3 1 n, 59 n, 74 n,
Lloyd G.E.R 57 n, 95 n
95 n, 101 n
Matte Blanco I. 10 n, 55 n Vegleris E. 72 n, 75 n
Migliori M. 69 n Vemant J.P. 35 n
Montepaone C. 65 n Vidal-Naquet P. 35 n
Musitelli S. 99 n
Williams R 83 n ·
Nonvd Pieri S. 15 n
Zadro A. 17 n
Oliviero Ferraris A. 69 n Zambaldi 43 n
Indice generale
Introduzione p.
3 . Sul Protagora
A proposito del coraggio. Ma anche del piacere e del dolore » 31
5. Sul Fedro
A proposito della natura dell'emozione d'amore )) 44
Bibliografia )) 103