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Il mezzo di cui si serve la stampa per agire è la «diffusione». Ma la diffusione è la
forza della menzogna, una forza fisica come quella dei pugni. Vengono in mente le
parole di Goethe: «Si è abolito il diavolo e si sono avuti i diavoli» [Faust 1, 8].
IX A 468
[1848]
La tirannide dei giornali è la più abietta, la più infame di tutte: una tirannia
«accattona», simile a quella di un mendicante a cui si dice di no, che continua a
inseguirvi di strada in strada e alla fine ottiene per forza qualche cosa. Anche se si
immaginasse un polemista quale mai è esistito e di opporgli un giornale, pure
dovrebbe perdere. A meno che anche lui non pubblicasse un giornale: ed anche in
questo caso ha perduto, in quanto si è abbassato da scrittore a giornalista (il che
equivale a diventare sofista). Quindi la battaglia comincia; quel polemista eminente
colpisce, e allo stesso giornalista non sfugge che il colpo è mortale e decisivo. La
risposta a spizzico del giornalista mostra quale abissale distanza dell'infinità ci sia tra
loro. Nondimeno il giornalista si mantiene del tutto sicuro, perché egli ragiona così: è
al di sotto della dignità di uno scrittore ritornare sempre daccapo sulla stessa cosa, e
pertanto egli dovrà smettere - e allora comincerò io. Intanto io continuo ogni sera od
ogni settimana, e la cosa certamente prenderà piede. Più tempo passa, più l'affare sarà
preda della confusione e della chiacchiera, ed il pubblico avrà a poco a poco
dimenticato del tutto l'articolo dello scrittore. Così io avrò partita vinta. Dopo tanto
tempo è indegno per uno scrittore ritornare sul medesimo argomento con un nuovo
articolo e così io lo tengo in mio potere. Ecco la strategia che tiene a galla tutti questi
ciabattini, questi portabandiera in congedo, questi arrotini e studenti di mezzo calibro.
La cosa divertente in fondo è che ogni giornalista per suo conto e nel suo giornale
parla sempre con grande importanza; ma se non vanno d'accordo tra di loro, allora
non si lasciano addosso neppure una briciola di onore e di abilità. E perché? Perché i
giornalisti sanno benissimo quali capacità si nascondono dietro il groppone enorme
del pubblico, dell'opinione pubblica.
VII1 A 122
[1846]
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Ciò che corrompe e demoralizza nella comunicazione dei giornali non sta ancora
tanto ch'essa comunica qualcosa di falso, ma nella garanzia guasta ch'essa offre, ossia
che facilmente chi dice e chi giudica sono gli stessi: perché il fatto che ciò si trova
scritto su un giornale è già una garanzia sufficiente per questo. Ma ciò che gli uomini
temono di più non è tanto se ciò che i giornali scrivono sia vero o non vero, ma se
dovesse accadere di trovarsi soli con un'opinione. Quelle garanzie (dei giornali) sono
perciò le dande demoralizzanti che rendono gli uomini sempre più miserabili, e
quest'infelicità è di gran lunga maggiore della falsità che la stampa propina. I
giornali, come ogni stampa, sono una comunicazione più o meno impersonale e fatta
apposta per spacciare la garanzia che molti sono della stessa opinione. Questa non ha
bisogno infatti di stare nel giornale, poiché la garanzia è il fatto stesso che la
comunicazione sta nel giornale.
X1 A 409
[1849]
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Il governo non può proibire le forze naturali di cui l'uomo è in possesso, ma può
proibire di avere un fucile, perché questo è cosa troppo forte, ed è cosa più che
umana. Così il governo non può proibire la parola che è un dono di Dio; ma potrebbe
proibire i giornali, perché sono un mezzo di comunicazione troppo enorme. Nei
giornali si dovrebbe permettere la stampa degli avvisi economici, ma in nessun modo
le critiche e le argomentazioni.
VIII1 A 136
[1847]
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[…] L'arte della stampa è quasi una trovata satirica: poiché, Dio mio, ciò non ha
mostrato abbastanza quanto son pochi quelli che hanno veramente qualcosa da
comunicare? Così tutta questa enorme scoperta ha favorito la diffusione di tutte
quelle chiacchiere che altrimenti sarebbero morte sul nascere. […]
VII1 A 186
[1846-47]
Quando una verità vince per opera di diecimila uomini in agitazione, anche
supponendo che ciò che vince sia una certa verità, per la forma e il modo in cui vince,
vince una falsità ancora più grande.
VIII1 A 605
[1848]
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In ogni campo, per ogni soggetto ecc., sono sempre le minoranze, i pochi, i
rarissimi, i Singoli, quelli che sanno: la Folla è ignorante. Ciò è chiaro come il sole,
perché, se fosse altrimenti, ogni uomo saprebbe tutto. E proprio perché le cose non
stanno così, ogni uomo ha o dovrebbe avere un proprio oggetto, piccolo o grande,
complesso o difficile o meno difficile di cui conosce qualcosa, così che egli è il
maestro e gli altri (la Folla, la pluralità), quelli che imparano, e così tutti in questa o
quella cosa, ognuno avrà il proprio oggetto. Ma che fa ora il giornale? Esso comunica
tutto ciò che comunica (l'oggetto è indifferente: politica, critica ecc.), come se fosse
la Folla, la pluralità a saperlo. Per questo i giornali sono il sofisma più funesto che sia
mai apparso. Ci si lamenta perché qualche volta appare qualche articolo falso: -
ahimè, che inezia! No, è l'intera forma della comunicazione nella sua essenza che è
falsa. Nell'antichità si lusingava la folla in modo puramente materiale per via di
danaro e panem et circenses…: ma la stampa ha spiritualmente adulato la classe
media. Noi abbiamo bisogno di silenzio pitagorico. […]
VIII1 A 134
[1847]
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[…] Vogliono avere la «Folla» dalla loro parte e, se non ci riescono, si scagliano
contro di essa. Non capiscono che proprio nella Folla sta il male.
VIII1 A 611
[1848]
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Il rapporto fra i giornali e gli scrittori è il seguente: uno scrittore sviluppa con
chiarezza e coerenza un certo pensiero - frutto forse di molti anni di lavoro: nessuno
lo legge. Ecco che un giornalista in una mezz'ora abborraccia quattro chiacchiere
quasi spacciandosi per autore del libro - questo lo leggono tutti. Tutta l'importanza
dell'esistenza di uno scrittore è di offrire a un giornalista l'occasione di scrivere
quattro chiacchiere che tutti leggono. Se non ci fosse lo scrittore, al giornalista
mancherebbe questa occasione - ergo è importante che lo scrittore esista!
VIII1 A 140
[1847]
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Un po' alla volta la critica giornalistica si estenderà agli argomenti più sorprendenti.
L'altro giorno ho letto in un giornale di provincia che un condannato era stato
giustiziato dal boia N.N. il quale assolse il suo compito con «molta precisione».
Similmente il boia F.F., che era presente a una fustigazione, assolse il suo compito
«alla perfezione»!
VII1 A 37
[1846]
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Cercare l'applauso del «momento» è come correre dietro alla propria ombra. Essa
fugge da colui che le corre appresso. Mi viene in mente un'illustrazione di un libro
devoto: un bambino corre dietro alla sua ombra, ed è l'ombra precisamente che corre
con lui.
VII1 A 38
[1846]
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Passerà ancora molto tempo prima che la storia del mondo arrivi davvero a
possedere il concetto del Singolo. Prima bisognerà frantumare gli Stati: più grande è
il progresso, più piccolo sarà lo Stato. Se tutti avranno da partecipare al Governo, lo
Stato dovrà essere piccolissimo.
VIII1 A 552
[1848]
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[…] … i più non riescono a pensare: per ritenere un'idea devono riunirsi in cricche
dove si confermano a vicenda e asseriscono che quel che pensano è giusto, altrimenti
non oserebbero pensarlo. Stando così le cose è impossibile concepire il Singolo:
perché il Singolo è impossibile pensarlo «en masse», per la ragione che lo si pensa
appunto per disperdere la massa.
VIII1 A 551
[1848]
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[…] … che un uomo solo possa ogni settimana od ogni giorno ottenere che in un
attimo da 40 a 50.000 persone dicano e pensino la medesima cosa, ciò è orrendo. Ed
il colpevole non si può mai afferrare di persona; e le migliaia che egli aizza contro
qualcuno sono in un certo senso innocenti.
Guai, guai, guai ai giornali! Se Cristo ritornasse al mondo, Egli - come è vero che io
vivo - prenderebbe come bersaglio non i sommi Sacerdoti, ma i giornalisti.
X1 A 258
[1849]
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Il fatto che ogni comunicazione si faccia con la stampa, ha portato la confusione
dappertutto. Tutto è diventato impersonale. Perciò gli Stati hanno raccolto una scoria
inorganica, un'enorme scoria: la folla, che nessuno riesce ad accostare, perché i
maestri non sono persone ma scrittori i quali, nascosti agli occhi di tutti, inviano
alcuni pensieri fuori del mondo.
X1 A 356
[1849]
Anche se la mia vita non avesse avuto altro significato, di una cosa mi terrò ben
soddisfatto: di aver scoperto con precisione l'esistenza assolutamente demoralizzante
dei giornali. È la stampa, più precisamente i giornali e tutta la vita moderna che vi
corrisponde, ciò che in fondo rende impossibile il Cristianesimo. Prendiamo per es. il
caso di Cristo. Pensare che egli dovesse servirsi di un giornale per predicare la sua
dottrina, è per 17 ragioni un controsenso, una bestemmia: anche per la ragione che
ogni parola che egli dice deve dare l'enfasi della personalità, dell'Io che la dice.
La comunicazione della stampa è un'astrazione che pretende di essere più alta della
personalità singola; ma con Cristo si ha, mi sembra, esattamente il contrario. […]
X2 A 17
[1849]
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[…] La stampa può ad ogni momento far oscillare l'esistenza fino a renderla
pazzesca. Si potrebbe dire: può succedere la stessa cosa con le conversazioni, come
se ora qualcuno si sforzasse di raccontare ai quattro venti in tutta la città che la
signorina Hansen si mette il rossetto. No, nient'affatto. Infatti, perché le parole si
diffondano e si fissino in capo, occorre molto più tempo e molti più intermediari per
fare circolare la chiacchiera. E quanti sono poi quelli che ci trovano gusto a parlare di
queste cose? Ma con la stampa la cosa si può fare , basta uno solo e poi la cosa è fatta
ed il fatto che ciò è stampato giustifica che se ne chiacchieri a piacimento. Superbo!
Di una cosa di cui non si oserebbe neppure parlare - ecco che si può usare la stampa
per diffonderla e così se ne chiacchiera a piacimento perché si trova sul giornale. E
questo come accade? Molto semplicemente: quando due parlano insieme, si tratta di
due uomini reali, di qui un certo pudore di chiacchiere di simili cose, se ne
vergognano. Ma la stampa - che non è «nessuno», non c'è nessuno quindi che possa
vergognarsi. E quando qualcosa è detto sui giornali, allora c'è materia per
chiacchierare, poiché ora c'è qualcosa di stampato: se sta sui giornali, ne possiamo
chiacchierare.
I giornali
L'effetto demoralizzante dei giornali lo si può vedere anche nel modo seguente.
Chissà se in ogni generazione si trovano una decina, i quali - socraticamente -
temano più di tutto di avere un'opinione sbagliata; ci sono invece migliaia e milioni
che anzitutto hanno paura di starsene soli, anche se lo starsene soli fosse l'opinione
più giusta.
Basta che una cosa sia scritta in un giornale e si può eo ipso essere sicuri che c'è
sempre un buon numero che avranno o manifesteranno la stessa opinione: ergo puoi
benissimo anche tu avere quest'opinione.
In verità, se i giornali dovessero, come gli altri negozianti, mettere fuori un'insegna,
essa dovrebbe portare la scritta: Qui si demoralizzano gli uomini nel più breve tempo
possibile, secondo la più grande misura e al prezzo più basso possibile!
X5 A 138
[1853]
I giornali
XI1 A 25
[1853]