non matematico
di Paolo Valabrega
Chi ha seguito (con un po’ di impegno) studi secondari superiori di indirizzo clas-
sico o scientifico ha certamente letto e analizzato alcune opere della nostra letteratura
ritenute fondamentali: la Divina Commedia, I Promessi sposi, le poesie di Petrarca,
Leopardi, Foscolo, Carducci, Pascoli e magari anche Ungaretti, Montale, Quasimodo,
oltre alle novelle di Pirandello e ai Malavoglia. Ed è in grado di parlarne, di fare qualche
commento. Conosce anche la grammatica italiana e sa distinguere fra soggetto, verbo,
complemento, sa costruire una frase corretta (o quasi) in italiano. Sa anche leggere un
romanzo, o un articolo di giornale, o un saggio riguardante il riscaldamento globale,
la seconda guerra mondiale e il nazismo, la rivoluzione francese o il Risorgimento. Ha
inoltre qualche ricordo di chi siano Platone, Aristotele, Kant, Marx e saprebbe certo
leggere e capire qualche cosa di non troppo tecnico su di loro. Chi proviene dal Liceo
scientifico forse sa anche con un po’ di fatica capire una semplice citazione latina (e greca
se ha seguito studi classici). Non vorrei sopravvalutare le conoscenze umanistiche di chi
ha seguito con impegno (buoni) studi secondari superiori, ma certo le loro conoscenze
e abilità in campo umanistico non sono disprezzabili, nemmeno se gli studi successivi
sono stati scientifici o tecnici (matematica, ingegneria, fisica, chimica, medicina,. . . ).
Nulla di simile si può dire della matematica. Chi ha frequentato scuole secondarie
superiori e lì si è fermato o ha proseguito con studi umanistici difficilmente è in grado di
capire qualcosa di più di quello che ha appreso nelle scuole elementari e medie inferiori
(operazioni con i numeri interi e razionali, equazioni di primo grado, triangoli, aree).
Anche se ha studiato al liceo scientifico o all’istituto tecnico, non ricorda più che cosa
siano un limite o una derivata, a meno che non li usi nel suo lavoro (e ciò avviene
di rado). E nemmeno chi ha proseguito con studi tecnico-scientifici è in genere (con
eccezioni) capace di ricordare che cosa sia un limite. Ed è certo che la lettura di un libro
o un articolo matematico, contenente qualche formula e soprattutto qualche idea non
troppo vaga, non è alla sua portata.
La matematica purtroppo (grazie a Croce e Gentile e ai loro epigoni) viene presen-
tata in modo ben diverso. È ben vero che fin dalle scuole medie inferiori si studia la
geometria euclidea, che è un bellissimo esempio di costruzione logico-deduttiva, ma pur-
troppo la sua struttura logico-deduttiva rimane nell’ombra e non sempre è chiaro che
cosa si ammette (assioma), che cosa si introduce per definizione, che cosa si dimostra. Il
concetto stesso di dimostrazione è spesso poco chiaro. Ma la confusione maggiore viene
dall’insegnamento dell’algebra, ridotta a un noiosissimo e inutile calcolo letterale, dove
non è nemmeno chiaro che cosa si deve fare (che cosa significa con esattezza “semplifi-
care un’espressione”, se non indovinare il risultato desiderato dall’insegnante?). E una
quantità esagerata di tempo viene poi impiegata a studiare (di nuovo in modo un po’
confuso) la trigonometria piana, che potrebbe essere liquidata in una settimana.
Salvo qualche tentativo (non sempre riuscito) di far capire la struttura logico-deduttiva
della geometria euclidea, il resto degli studi matematici è rivolto a questioni ben poco
interessanti e noiose, ma soprattuto è privo di organicità e coerenza. Qualunque stu-
dente si fa un’idea della struttura e della complessità della lingua italiana (o inglese, o
latina), dello sviluppo della letteratura, dello sviluppo del mondo occidentale, dai greci e
romani (o addirittura sumeri e babilonesi) fino all’Europa moderna (magari escludendo
la II guerra mondiale, il fascismo e il nazismo), ma nessuno si fa un’idea di come sia
articolata la matematica. Non stupisce che, quando si è dimenticato tutto ciò che si è
studiato, la letteratura, la storia, la filosofia lascino una traccia non superficiale, e la
matematica scompaia dalla mente dei più: degli intellettuali, dei professori di italiano,
di storia e di filosofia, dei giuristi e dei linguisti, ma anche dei biologi, dei medici, de-
gli economisti (che probabilmente conoscono principalmente la statistica), forse perfino
degli ingegneri e dei fisici.
Nelle scuole secondarie naturalmente si studiano anche altre discipline scientifiche,
fra le quali la fisica, che usa in modo significativo la matematica. Ma il collegamento fra
leggi fisiche e loro formulazione matematica non è frequentemente occasione per mettere
in evidenza l’uso della matematica, nella fisica ma anche in molte altre e varie discipline,
a partire dall’informatica.
È facile gettare tutta la colpa su Croce e Gentile, ma un esame anche superficiale
della cultura matematica di chi ha seguito scuole superiori in altri Paesi europei o
negli Stati Uniti (forse non in Cina o India), dove Croce e Gentile sono per fortuna
sconosciuti, fa capire che ci deve essere qualche cosa d’altro oltre al disprezzo per la
cultura scientifica. Io credo che si tratti semplicemente della intrinseca difficoltà della
matematica, del suo linguaggio astratto e formale, della sua grande varietà e complessità
(brutta parola oggi molto di moda e usata spesso a sproposito per motivi di immagine,
ma ben adatta a descrivere la matematica). Un elenco dei campi della matematica è
di infinita lunghezza, tanto più se si vogliono considerare anche i collegamenti con altre
scienze e le applicazioni. Ma se anche ci si limita ai primi elementi, ad esempio i numeri,
la difficoltà di capire di che cosa si tratta è notevole, soprattutto per chi non abbia voglia
e tempo di riflettere.
Il progetto Polymath vorrebbe (ambiziosamente) dare un contributo a far capire ai
non specialisti che cosa sia la matematica. Spero di avere fra i lettori qualche umanista,
anche se quanto scrivo è rivolto soprattutto a studenti di scuole secondarie superiori e a
laureati in discipline tecnico-scientifiche. Le conoscenze di matematica acquisite in una
buona scuola secondaria superiore dovrebbero essere sufficienti a capire quanto scrivo,
sia pure con qualche occasionale difficoltà.
Paolo Valabrega
Indice
Parte I
1 Numeri
1.1 Numeri naturali.
Tutti conoscono i numeri interi (e magari anche i numeri decimali con un paio di cifre
dopo la virgola), se non altro per il fatto che li usano continuamente nella vita quotidiana:
• per contare con un certo ordine, ad esempio i mesi e gli anni (settembre = 9, anno
1876, ovvero pagina 81 di un libro)
• per identificare con un sistema misto lettere-numeri (il libro catalogato BL 23415)
• ...
1
Ma i numeri interi si possono usare anche per mettere in ordine. Ad esempio sup-
poniamo di dover formare una graduatoria al fine di assegnare un premio. Se ci sono
10 candidati e 2 premi, i candidati vengono messi in ordine: il 1o , il 2o , il 3o , fino al
10o . Non è tanto interessante sapere che i candidati sono 10, quanto sapere chi occupa il
posto 1, ovvero il posto 2 oppure 3. In questo senso i numeri interi si dicono ordinali. Il
numero ordinale 3 segue i numeri ordinali 1 e 2 e non indica qualcosa di più numeroso,
ma qualcosa che viene dopo.
Questo esempio serve a dimostrare che anche in questioni apparentemente semplici
i numeri interi presentano questioni delicate e non facili da chiarire: la differenza fra
ordinali (mettere in ordine) e cardinali (contare).
1.3 Il numero 0.
Anche la funzione del numero 0 (che talvolta non si considera nemmeno fra i numeri
interi) richiede qualche commento. Quando si pensa al numero cardinale 5 si intende
che conta 5 oggetti (5 mele, 5 uova, . . . ); che cosa conta allora il numero 0? Poiché deve
contare meno di 1 oggetto, vuol dire che non ne conta nessuno, cioè che abbiamo un
cestino senza mele, o una confezione di uova le cui uova sono già state tutte mangiate.
Quando un insieme non ha elementi diciamo che è vuoto (simbolo matematico: ∅).
Se invece ordiniamo gli oggetti, ci sembra naturale parlare del primo oggetto (primo
premio) e non dello zeresimo oggetto (espressione che non usa proprio nessuno). Quindi
i numeri interi ordinali potrebbero cominciare da 1. I matematici sono divisi su questo
punto: i logici e gli esperti di fondamenti della matematica preferiscono partire da 0
anche con gli interi ordinali (magari non nei premi) e dire che il primo ordinale è 0.
Non è poi terribile numerare 5 oggetti da 0 a 4 invece che da 1 a 5, vuol solo dire che
0 significa che prima non c’è nulla (l’insieme degli oggetti che vengono prima è vuoto).
Ma altri matematici (soprattutto chi studia l’analisi matematica) preferiscono partire
da 1, in quanto è più naturale, in una lista di elementi, indicare con il numero 1 il primo
elemento, con 2 il secondo, ecc.
Anche gli informatici vivono, spesso a loro danno, un’ambiguità dello stesso tipo:
in certi linguaggi di programmazione si sottintende che gli oggetti che formano una
certa struttura (tecnicamente un vettore) siano etichettati con un indice che parte da 1,
mentre in altri linguaggi si parte da 0. Ciò è spesso sorgente di incomprensioni.
2
per semplicità diremo che dura 365 giorni) porta il numero 0 oppure il numero 1? Ha
senso dire che, prima che passino 365 giorni non si è compiuto alcun anno, e quindi il
numero giusto dovrebbe essere 0. Oppure si può anche pensare che la numerazione si
riferisce agli anni mentre scorrono e quindi tra 0 e 365 giorni scorre l’anno con il numero
1. Tuttavia nel mondo antico (e fino al medioevo) non esisteva un simbolo per il numero
0 e il concetto stesso di 0 mancava. Quindi l’anno fra 0 e 365 giorni portava il numero
1 (e il precedente si chiamava anno 1 prima di Cristo, noi diremmo anno −1). Questo
è quanto è stato stabilito nel VI secolo dal matematico e astronomo Dionigi il Piccolo,
vissuto prima che gli Arabi introducessero in Europa il simbolo dello 0, proveniente
dall’India. Si conclude quindi che l’anno che porta il numero 2 si riferisce al periodo
di 365 giorni dopo lo scorrere dell’anno che porta il numero 1, . . . , l’anno che porta il
numero 10 si riferisce allo scorrere del decimo gruppo di 365 giorni e il secondo decennio
dell’era volgare inizia il primo gennaio dell’anno 11. Pertanto l’anno che porta il numero
2000 si riferisce al duemillesimo periodo di 365 giorni dopo la nascita di Cristo, e quindi
il terzo millennio, cioè il terzo gruppo di mille anni, inizia il primo gennaio 2001.
Si noti che i numeri con i quali denotiamo gli anni sono gli ordinali e quindi, quando
diciamo anno 70, intendiamo anno settantesimo. Questo tuttavia non chiarisce comple-
tamente la data di inizio del terzo millennio, in quanto esiste, almeno per i matematici,
il difficile da digerire numero ordinale zero.
A questo punto possiamo, con i matematici “fondamentalisti”, decidere che i nostri
numeri naturali sono 0, 1, 2, . . . , n, . . ., ma ci riserviamo in qualche ragionamento di
partire da 1.
Siccome ci sono anche altri numeri interi (i relativi), di cui parleremo in seguito,
chiamiamoli numeri naturali e chiamiamo N la loro collezione (o insieme), mettendoli
fra parentesi graffe quando li consideriamo come insieme di elementi:
N = {0, 1, 2, 3, . . . , n, . . .}.
3
Si noti che la proprietà associativa della somma permette di eliminare le parentesi
in una somma di tre numeri. In effetti 3 + 4 + 6 senza parentesi non ha alcun significato
perché la somma è definita fra due numeri, non fra tre, ma la proprietà associativa
afferma che se calcolo la somma dei primi due e la aggiungo al terzo, oppure aggiungo
al primo la somma tra il secondo e il terzo il risultato è lo stesso. Cioè afferma che i
due modi di mettere le parentesi portano allo stesso risultato e che quindi le parentesi
si possono togliere e il calcolo si può eseguire nel modo che si preferisce.
Non è parimenti ovvio che valga la proprietà distributiva
4
Si noti che la somma di numeri naturali può essere definita proprio usando il succes-
sore:
n + 1 è il successore di n
n + 2 = (n + 1) + 1 è il successore di n + 1
...
• si prende l’elemento più piccolo di S dopo che si è tolto il precedente con etichetta
1, e gli si assegna l’etichetta 2,
5
Ad esempio, se A = {5, 8, 3} e B = {0, 1, 2} la seguente legge è biunivoca:
5→1
8→0
3 → 2.
5→0
8→0
3 → 2,
6
Consideriamo in effetti la seguente legge:
0→0
1→2
2→4
3→6
...
n → 2n
I = {0, 2, 4, 6, . . . , 2n, . . .}
7
3 Divisione
3.1 Divisione con resto.
Abbiamo visto che la divisione fra numeri interi non si può eseguire quasi mai. Tuttavia
è possibile eseguirla se si accetta di ottenere un quoziente ma anche un resto. Più
precisamente, se m e n sono due numeri naturali, esistono altri due numeri naturali q
(quoziente) e r (resto) che godono delle seguenti proprietà:
m = qn + r
0 ≤ r < n (il resto è minore di n)
0n = 0, 1n = n, 2n, 3n, . . .
fino a che non si trova il primo che supera m, sia (q + 1)n. Il precedente dà luogo al
quoziente q. Quanto al resto si ha: r = m − qr. Il resto è 0 quando m è esattamente
divisibile per n.
Esempio. Si divida 37 per 5. Si considerano succesivamente i numeri
1×5=5
2 × 5 = 10
.................
9 × 5 = 45
e si nota che
7 × 5 = 35 < 37
8 × 5 = 40 > 37
n = p × q × · · · × r,
8
dove p, q, . . . , r sono tutti numeri primi diversi da 1. Può capitare che non siano tutti
distinti fra loro; ad esempio si può avere p = q. In questo caso scriviamo n = p2 × · · · × r
invece di n = p × p × · · · × r.
Esempi:
10 = 2 × 5
20 = 22 × 5
72 = 23 × 32
In effetti si ha:
m = rs = s + s + s + · · · + s (r volte)
ed inoltre
s + s = s + (1 + · · · + 1),
dove l’1 in parentesi è ripetuto s volte. Ma si ha:
Se ne deduce che
9
deduciamo una conseguenza che contraddice qualche proprietà (nota e vera) dei numeri.
Allora la tesi non può essere falsa. Nel nostro caso abbiamo supposto per assurdo
che ci siano interi non fattorizzabili e abbiamo dedotto che il più piccolo intero non
fattorizzabile deve in realtà essere fattorizzabile. Quindi non può esistere il più piccolo
intero non fattorizzabile, la qual cosa contraddice il fatto che ogni insieme non vuoto di
numeri naturali ammette il più piccolo elemento.
Una volta che si è fissato il numero n, i suoi fattori primi sono determinati in modo
unico, cioè non sono possibili due fattorizzazioni diverse. Questa è una proprietà di non
facilissima dimostrazione che non discutiamo.
I numeri primi pongono molte interessanti domande, alcune abbastanza semplici,
altre così difficili che nessuno è riuscito a dare risposte soddisfacenti e complete.
Una prima domanda riguarda la quantità di numeri primi: quanti ce ne sono in
totale? O almeno: sono in numero finito o infinito?
La risposta a questa domanda è abbastanza semplice (i primi sono infiniti), ma
richiede un ragionamento per assurdo.
10
e. p non si può scomporre
f. resta contraddetta la proprietà di scomposizione in fattori primi di ogni numero
non primo
g. l’ipotesi a. è assurda e i primi sono quindi in numero infinito.
Osservazione.
Il ragionamento precedente permette anche di costruire nuovi primi. Ad esempio è
noto che 2,3,5 sono primi. Quindi sono primi anche:
7 = 2 × 3 + 1,
31 = 2 × 3 × 5 + 1,
211 = 2 × 3 × 5 × 7 + 1.
11
ovvero
5 × 1000 + 4 × 100 + 0 × 10 + 7,
o anche, ricordando che 1000 = 103 , 100 = 102 , 10 = 101 , 1 = 100 ,
In altre parole i numeri hanno una rappresentazione decimale: si usano solo i simboli
dei numeri da 0 a 9 (minori di 10) e le potenze di 10. Le cifre vengono allineate
eliminando le potenze di 10 e la loro posizione dice quale potenza di dieci (invisibile)
moltiplicano: in 5407 il 4, che occupa il terzo posto da destra, moltiplica 102 , mentre 0,
che occupa il secondo posto da destra, moltiplica 101 .
In generale, se un numero intero n si esprime come segue:
non si scrive mettendo in fila le sue tre cifre 10 3 0, ma osservando che in realtà è il
numero 1 × 103 + 0 × 102 + 3 × 101 + 0 × 100 , cioè 1030 (con quattro cifre).
Si noti che usiamo nei nostri ragionamenti il numero 10, ma non come cifra: dieci è
semplicemente 1 per dieci + 0 per (dieci elevato a 0).
Osserviamo inoltre che nella rappresentazione decimale le cifre acquistano significato
in base alla loro posizione:
31 = 3 × 102 + 1 × 100
è completamente diverso da
13 = 1 × 102 + 3 × 100 .
Non è obbligatorio usare dieci simboli per denotare le cifre da 0 a 9. Ad esempio si può
immaginare di avere solo 2 simboli, uno per lo zero (0) e uno per l’uno (1). In questo
caso si avrà la numerazione binaria. Ad esempio il numero che in forma decimale si
scrive 23 in forma binaria si scrive 10111. Basta osservare che il ruolo del numero 10
è ora assunto dal numero 2 e che quindi occorre considerare le successive potenze di 2.
Quindi si ha:
ventitré = 1 × 24 + 0 × 23 + 1 × 22 + 1 × 21 + 1 × 20 .
Le formule precedenti sono tuttavia scritte in modo non ancora corretto, perché il sim-
bolo 2 non esiste, ci sono soltanto 0 e 1 e il numero due, in numerazione binaria ha la
stessa rappresentazione del dieci in forma decimale: due = 10 = 1 × (due)1 + 0 × (due)0 .
È quindi meglio scrivere, in forma binaria:
12
dove 10 non significa dieci (nel senso usuale che noi diamo a questa parola) ma due.
Se invece abbiamo a disposizione dodici simboli, 0, 1, 2, . . . , 9, a, b, dove a è il simbolo
per il numero che chiamiamo comunemente dieci e b è il simbolo per il numero che
chiamiamo comunemente undici, avremo la numerazione in base dodici. Il numero scritto
24 in base dodici, ad esempio, coincide con il numero che noi chiamiamo comunemente
ventotto, cioè scritto 28 in base dieci (perché?).
5 Principio di induzione.
Quando si debba dimostrare una proprietà che riguarda un numero finito di numeri si
può procedere all’esame di tutti i casi possibili, magari con l’aiuto di un computer se i
casi sono molti.
n(n + 1)
1 + 2 + 3 + ··· + n =
2
Riusciamo da questo risultato a dedurre informazioni per l’intero successivo n + 1?
La formula che ancora non abbiamo dimostrato, relativa a n + 1, afferma che
(n + 1)(n + 2)
1 + 2 + 3 + · · · + n + (n + 1) =
2
13
(è la nostra formula in cui n è sostituito da n + 1). Noi sappiamo già che
n(n + 1)
1 + 2 + 3 + ··· + n = .
2
Vediamo di aggiungere ancora il termine mancante n + 1:
n(n + 1)
1 + 2 + 3 + · · · + n + (n + 1) = + (n + 1).
2
A sinistra abbiamo semplicemente la somma dei primi n+1 numeri, a destra una formula
che non è quella desiderata. Tuttavia possiamo riaggiustarla cercando di farla diventare
quello che vogliamo, usando le proprietà delle operazioni fra numeri:
n(n + 1)
1 + 2 + 3 + · · · + n + (n + 1) = + (n + 1) =
2
n(n + 1) + 2(n + 1)
(riduzione al denominatore comune 2) = =
2
(n + 1)(n + 2)
(raccoglimento a fattor comune di n + 1) = .
2
Quest’ultima è esattamente la formula che noi cerchiamo. Noi abbiamo quindi dimo-
strato che:
• la nostra formula è valida quando n vale 1;
14
Il principio da noi usato in questa dimostrazione si può enunciare in generale:
Principio di induzione
sia data una proprietà relativa a tutti i numeri interi maggiori o eguali a 1 e si supponga
che
• la proprietà sia valida per l’intero n = 1,
• se la proprietà è valida per un certo n, allora è valida anche per il suo immediato
successore n + 1.
Allora segue che la proprietà vale per ogni numero intero n maggiore o uguale a 1.
La dimostrazione coincide con quella fatta nell’esempio: se ci sono dei numeri che
non soddisfano la proprietà, si prenda il più piccolo; la proprietà vale per il numero che
lo precede, . . .
Si noti che il principio di induzione si può dimostrare anche per i numeri maggiori o
uguali a 2, oppure a 3,. . . , basta partire da n = 2 oppure 3 anziché da 1.
15
1. per n = 1: (1 + x)1 = 1 + 1x
2. per n = 2: (1 + x)2 = 1 + 2x + x2 ≥ 1 + 2x
3. supponiamo che sia vera per un certo intero n ≥ 2, cioè che si abbia (1 + x)n >
1+nx e cerchiamo di provare che è vera per n+1, cioè che (1+x)n+1 ≥ 1+(n+1)x.
Ma si ha (usando il fatto che vale per n):
• ...
Ad esempio la formula per la somma dei primi interi fu scoperta (nel primo Ottocento)
dal matematico Gauss, con un ragionamento ingegnoso, che suona più o meno così:
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secondo grado, un sistema di due o tre equazioni di primo grado, un uso intelligente delle
proporzioni o della matematica discreta, che insegna a lavorare con gli insiemi formati
da un numero finito di elementi e a contarne gli elementi. Un passo ulteriore è l’uso
delle derivate e degli integrali, che però possono essere utili quando si studino problemi
di difficoltà maggiore, nei quali non ci si imbatte tutti i giorni (ad esempio la traiettoria
di una palla lanciata in aria, o il moto dei pianeti).
I problemi più semplici e concreti hanno tuttavia una difficoltà iniziale: si tratta
di questioni provenienti dalla vita di tutti i giorni e sono formulati in un linguaggio
non direttamente adatto alla risoluzione matematica. La vera difficoltà è dunque la
traduzione in linguaggio matematico, magari con l’individuazione della incognita che
permette di arrivare rapidamente a una soluzione chiara. Vediamo alcuni esempi.
1. dopo il primo anno si ritirano i 300 euro di interesse e si lasciano solo i 10.000; in
tal caso l’interesse alla fine del secondo anno continua ad essere di 300 euro;
2. i 300 euro di interesse ottenuti il primo anno si lasciano investiti; in tal caso
il capitale investito diventa di 10.300 euro e quindi rende i 3/100 di quest’ultima
somma, cioè 10.300 × 3/100 = 309 euro. Dunque dopo due anni si saranno ricavati
609 euro di interesse.
Si conclude che, nel secondo caso, il capitale di 10.000 euro cresce a 10.300 euro dopo
un anno e a 10.609 euro dopo due anni. A questo punto si potrà provare la curiosità di
sapere a quanto cresce dopo n anni, ovvero quale interesse complessivo si sarà incassato
dopo n anni. Inoltre sarebbe interessante trovare una formula che permetta di calcolare
la crescita di un capitale qualsiasi, diciamo X euro.
Cominciamo a ragionare su un capitale semplice, pari a 1 (un euro, o se dà fastidio
una somma così piccola, un milione di euro, fa lo stesso). Dopo un anno va aumentato
di 3/100 e quindi diventa 1,03 = 1 + 3/100 × 1. Dopo due anni diventa
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Si noti a questo punto che la nostra operazione consiste, ogni anno, nel prendere il
numero dell’anno precedente e aggiungergli 3/100:
Quindi abbiamo una formula generale: il capitale di 1 euro dopo n anni diventa 1,03n
euro. Possiamo ad esempio stabilire dopo quanti anni il capitale raddoppia: occorre che
si abbia 1,03n = 2, cioè n = log 2 : log 1,03 (che non è un numero intero di anni). Il
capitale in effetti diventa quasi doppio (1,97 circa) dopo 23 anni e poco più che doppio
(2,03 circa) dopo 24 anni.
Possiamo anche rispondere alla domanda sull’interesse: quanto ho incassato di inte-
resse su 1 euro dopo 10 anni? Poiché in banca mi trovo 1,34 euro, l’interesse è pari a
0,34 euro, cioè il 34 per cento (34 centesimi di euro per ogni euro).
E se il mio capitale iniziale è pari a X euro? Ognuno degli X euro diventa 1,03n e
quindi in totale avrò X ×1,03n euro. La somma di 100.000 euro dopo 5 anni diventa circa
100.000×1,16 euro cioè 116.000 euro. E se l’interesse è pari al 5% quanto diventano dopo
8 anni 180.000 euro? Basta calcolare 180.000 × 1,058 ≈ 180.000 × 1,477 = 265.860 euro.
che, per le proprietà delle potenze, è proprio X ×1,03n+1 , cioè proprio la formula cercata
per n + 1 anni. Per il principio di induzione la formula vale per ogni intero n.
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dopo due anni bisogna aggiungere i 3/100 di 1,03, ecc. Quindi si otterrà di nuovo 1,03n ,
moltiplicato per 2 se il pane parte dal prezzo di 2 euro. Il prezzo del pane quindi
raddoppia dopo circa 23 anni.
Supponiamo di sapere che oggi il pane costa 2 euro al chilo e che 10 anni fa costava 0,5
euro. Supponendo che l’inflazione sia sempre stata costante, qual è il tasso di inflazione
negli ultimi 10 anni? Se ogni anno il prezzo del pane fosse aumentato del 3%, in 10
anni sarebbe diventato 0,5 × (1,03)10 = 0,67 euro, se l’inflazione fosse stata del 5% il
prezzo attuale sarebbe 0,5 × (1,05)10 = 0,814 euro. Operando per tentativi, abbiamo
qualche speranza di scoprire il tasso di inflazione, ma non esiste una formula che ce lo
dice subito? Chiamiamo x il tasso di inflazione incognito, o meglio indichiamo con x le
cifre decimali (due o tre) da scrivere dopo 1 nel calcolo dell’inflazione. Allora il prezzo
dopo 10 anni diventa 0,5 × (1,x)10 = 2. Il calcolo di x richiede di risolvere l’equazione
(1,x)10 = 2/0,5 = 4. È quindi chiaro che occorre utilizzare le radici e cercare il numero
incognito 1,x che elevato alla decima potenza dà 4. Si tratta proprio della radice decima
di 4, e si vede (magari usando la calcolatrice o le tavole) che si tratta di 1,149, dal che
deduciamo che l’inflazione annua è stata pari a 14,9%, ovvero un bene che costa un euro
passa in un anno al nuovo prezzo di 1+0,149 = 1,149 euro.
19
6.3 Certi tipi di movimento
6.3.1 Un problema che richiede di risolvere una semplice equazione di primo
grado
Un’equazione di primo grado si scrive nella forma: ax + b = 0 dove a, b sono due numeri
e a 6= 0. La soluzione di tale equazione è x = −b/a. Ma il problema più difficile è la
scelta dell’incognita x.
Ecco il problema. Le ruote anteriori di un trattore hanno una circonferenza di 2
metri, mentre quelle posteriori sono più grandi e hanno circonferenza pari a 2,5 metri.
Dopo un certo tempo le ruote anteriori hanno compiuto 100 giri completi più di quelle
posteriori. Quanti metri ha percorso il trattore? Si noti che il numero di metri percorsi
dal trattore si può far coincidere con il percorso delle ruote anteriori: ogni giro completo
vuol dire un avanzamento del trattore di 2 metri. Ma anche un giro completo delle ruote
posteriori significa un avanzamento del trattore, precisamente di 2,5 metri. Occorre
quindi osservare che
Invece un avanzamento di 10 metri significa 5 giri completi delle ruote anteriori e solo 4
giri completi delle ruote posteriori.
Il nostro problema richiede di trovare il numero incognito di metri percorsi quando
le ruote anteriori hanno percorso 100 giri più delle posteriori. Si potrebbe in un primo
momento accettare il suggerimento implicito del problema e scegliere come incognita x
tale numero di metri percorsi. Siccome le ruote anteriori percorrono due metri ogni giro,
quindi 4 metri ogni due giri, ecc., si può affermare che percorrono x metri in x/2 giri,
in quanto x = 2 × x/2. Contemporaneamente le ruote posteriori percorrono gli stessi
metri, ma meno giri. Precisamente, se i metri percorsi sono x e ogni giro vale 2,5 metri,
i giri delle ruote posteriori sono x : 2,5. Si sa che la differenza vale 100 giri e quindi
posso impostare l’equazione seguente:
x x
= 100 + .
2 2,5
Dobbiamo quindi risolvere un’equazione di grado uno nell’incognita x = numero di metri
percorsi dalle ruote anteriori.
Si può riscrivere come:
x x
− = 100
2 2,5
ovvero !
1 1
x − = 100
2 2,5
20
o anche (ricordando che 1/2 = 0,5 e 1/2,5 = 0,4):
21
6.3.2 Un problema in cui sembra mancare un’incognita.
Anche questo problema richiede di saper risolvere le equazioni di primo grado e di saper
trovare l’incognita migliore. Ma ha anche un altro interesse: a prima vista si potrebbe
pensare che manchi un dato, la velocità di uno dei due treni. Ma la risoluzione ci fa
capire che sarebbe un dato del tutto inutile, la distanza cercata è indipendente dalle
velocità dei due treni.
Le stazioni A e B distano 300 chilometri e dalla stazione A parte il treno T1 verso
la stazione B mentre dalla stazione B parte il treno T2 verso la stazione A. I due treni
partono contemporaneamente e il treno T1 viaggia a velocità doppia dell’altro. A che
distanza da A si incontrano?
Il problema ci invita a scegliere come incognita x la distanza da A del punto di
incontro. Non conosciamo la velocità del treno T1 quindi siamo costretti a indicarla con
una lettera, ad esempio v. La velocità del treno T2 sarà la metà, cioè v/2. Al momento
dell’incontro i due treni avranno viaggiato per lo stesso tempo, diciamo t, anch’esso
incognito per il momento. Quindi il treno T1 avrà percorso uno spazio pari a tv (tempo
per la velocità) e il treno T2 uno spazio pari alla metà di tv. Cioè mentre il treno T1
percorre lo spazio x = tv il secondo treno percorre uno spazio metà. La somma dei
due spazi percorsi vale 300 chilometri, perché è la distanza di A da B. Quindi abbiamo
l’equazione:
x + x/2 = 300,
cioè
3x/2 = 300.
Ne segue che x vale 200 chilometri.
Si noti che non ha alcuna importanza sapere qual è la velocità dei due treni, basta
conoscere il loro rapporto. Ciò significa che si incontrano a 200 chilometri da A quando
T1 viaggia a 100 all’ora e T2 a 50 all’ora, ma anche se le velocità sono 40 e 20 chilometri
all’ora oppure 400 e 200 chilometri all’ora. Invece il momento in cui si incontrano dipende
dalla velocità; ad esempio, se viaggiano a 200 e 100 chilometri all’ora si incontrano dopo
un’ora, se viaggiano a 100 e 50 chilometri all’ora si incontrano dopo due ore, ma sempre
nello stesso punto.
22
In totale abbiamo
1 + 1/2 = 3/2 euro.
Nei secondi sei mesi dell’anno il nostro capitale investito è pari a 1 + 1/2 = 3/2 euro e
quindi diventa
3 3/2 1 1 1 2
+ = 1+ 1+ = 1+ euro.
2 2 2 2 2
Se riusciamo a farci pagare l’interesse dopo 4 mesi, cioè un terzo di anno, dopo un
anno otteniamo (1 + 1/3)3 euro. Se l’interesse del 100% viene pagato ogni mese in un
anno otteniamo (1 + 1/12)12 euro. Quindi dopo 1 anno il nostro capitale maggiorato
dell’interesse del 100% diventa (1 + 1/n)n euro se l’interesse viene pagato ogni n-esimo
di anno. Si potrebbe pensare che, facendosi pagare l’interesse sempre più spesso, ogni
giorno, ogni ora, ogni secondo, . . . , la somma incassata diventi sempre più grande,
crescendo indefinitamente. Invece non è affatto così: anche con interessi pagati ad ogni
istante non riesco a raggiungere la somma di 3 euro, anzi resto al di sotto di 2,72 euro.
Questo fatto sembra inspiegabile, se non ci venisse in aiuto la matematica.
Noi siamo interessati a capire come cresce la somma che ci è dovuta (capitale +
interesse) al crescere di n. Se vogliamo dire la cosa in modo approssimativo (o meglio,
insensato) ma adatto a colpire l’immaginazione, vogliamo capire che cosa capita quando
n diventa infinitamente grande.
Occorre quindi cercare di dare un senso all’espressione quando n diventa infinitamen-
te grande. Per fare ciò senza far intervenire concetti privi di senso possiamo chiederci
quali informazioni abbiamo sulla grandezza di (1 + 1/n)n quando n sia
• più grande di 10
• più grande di . . .
La nostra tabella potrebbe farci comprendere qualcosa del comportamento del nostro
interesse. In realtà noi vogliamo capire di più: come mai il nostro numero (1 + 1/n)n
si avvicina indefinitamente a un numero che è di pochissimo più piccolo di 2,72? Prov-
visoriamente ammettiamo che avvenga proprio questo, che (1 + 1/n)n si avvicini, al
crescere di n, a un numero che (non sapendo quanto vale con esattezza) indicheremo
per il momento con una lettera, cioè e, e cerchiamo di tradurre questa sensazione di
avvicinamento a e nel linguaggio della matematica.
Se vogliamo capire a fondo questo concetto e, in conclusione riuscire a calcolare
l’interesse annuo se viene calcolato istante per istante, occorre una digressione.
23
7 Digressione sui numeri relativi, razionali, reali.
7.1 Numeri relativi.
Abbiamo finora parlato di numeri naturali e, di fatto, anche di numeri decimali. Ad
esempio 2,72 è un numero decimale. Ma i numeri decimali compaiono anche quando
si faccia la spesa (1,20 euro per un chilo di pomodori) e quindi non è proprio possibile
evitarli, anche se non si provi alcun interesse per il numero e. Allo stesso modo è molto
difficile evitare i numeri negativi, se si vuole utilizzare correttamente un termometro e
distinguere le temperature sopra e sotto lo 0, oppure se si vogliono indicare metri sopra
o sotto il livello del mare.
Resta quindi inteso che oltre all’insieme N dei numeri naturali, si considera anche
l’insieme Z dei numeri interi relativi 0, 1, −1, 2, −2, . . . , cioè l’insieme dei naturali e dei
loro opposti (dove 0 compare una sola volta perché −0 = 0).
Se si vuole dare una buona (e semplice) definizione matematica dell’insieme Z dei
numeri interi relativi, si può dire che un numero relativo è una coppia (m,n) di numeri
naturali. Precisamente i numeri positivi sono le coppie (1, n), i numeri negativi sono
invece le coppie (0, n), con l’intesa che la coppia (1, 0) e la coppia (0, 0) rappresentano
lo stesso numero, cioè 0. In pratica:
(1, 7) = 7
(0, 7) = −7
(Si noti che si tratta di una convenzione usata in informatica).
Fra queste coppie sono definite la somma a + b e il prodotto ab, con le stesse pro-
prietà della somma e del prodotto di numeri naturali, con una importante aggiunta: la
differenza di due numeri relativi è sempre ammessa. Cioè: 2 − 5 non ha senso in N ma
in Z dà come risultato il numero negativo −3. Precisamente, se a = (1, n), b = (1, q), si
pone:
a + b = (1, n + q)
ab = (1, nq).
Analogamente si pone:
(0, n) + (0, q) = (0, n + q)
(0, n)(0, q) = (1, nq)
(si ricordi che il prodotto di due negativi è positivo)
e anche
(1, n)(0,q) = (0, nq)
(si ricordi che il prodotto di un positivo e di un negativo è negativo).
Più delicata è la definizione di somma di due coppie (1,n) e (0,q):
(1, n) + (0, q) = (1, n − q) se n > q
(1, n) + (0, q) = (0, q − n) se n < q
(1, n) + (0, q) = (1,0) = (0,0) se n = q.
24
Si noti che stiamo solo stabilendo che
3 + (−2) = +1
2 + (−3) = −1
4 + (−4) = 0
Si osservi poi che la coppia (0, 0) sommata con ogni altra coppia, in base alla de-
finizione di somma, la lascia invariata, cioè ha la stessa funzione del numero naturale
0.
Possiamo quindi usare la nostra definizione di numero relativo come coppia per vedere
che la differenza è sempre ben definita. Cominciamo con il dire che il numero (1, n) e il
numero (0, n) sono l’uno l’opposto dell’altro. In effetti si ha:
(1, n) + (0, n) = (0,0) scriveremo: (1, n) = −(0, n), (0,n) = −(1,n)
Quindi:
La coppia (1, n) si identifica con il numero naturale n (o +n per ricordarci che trattia-
mo numeri con segno), mentre la coppia (0, m) si chiama numero intero negativo ed è
indicata con il simbolo −m. Si noti che, in base a quanto abbiamo detto sull’opposto,
si ha: −n = opposto di n. In Z è anche definito un ordine:
1. (1, n) > 0 (n 6= 0)
2. (0, n) < 0 (n 6= 0)
Una volta che si è capita l’identificazione di (1, n) con il numero +n e di (0, m) con
il numero −m, i numeri relativi si possono trattare nel modo usuale, noto a tutti.
25
Riguardo ai numeri razionali ricordiamo soltanto che anche fra questi sono definiti
la somma e il prodotto:
!
m p mq + np 2(mq + np)
+ = = = ···
n q nq 2nq
!
m p mp 2mp
· = = = ···
n q nq 2nq
È facile vedere che hanno le stesse proprietà della somma e del prodotto di numeri
interi (associativa, commutativa, . . . ). In particolare si ha:
m m m m
+0= , ×1= .
n n n n
L’opposto di m/n è il numero (−m)/n , cioè si ha: (−m)/n = −(m/n) (che deno-
teremo sempre −m/n, senza parentesi). Il reciproco (o inverso) di m/n, con m 6= 0, è
n/m. Quindi si può sempre eseguire la divisione fra un numero razionale qualsiasi e un
numero razionale non nullo: (m/n) : (p/q) = (mq)/(np), con p 6= 0. In particolare esiste
l’inverso di ogni intero n 6= 0, cioè 1/n.
Fra numeri razionali è ben definito un ordine:
1. se m, n, p, q sono quattro numeri interi positivi, m/n < p/q vuol dire che mq < np;
2. ogni negativo è minore di 0 e di ogni positivo;
3. fra due negativi l’ordine è capovolto: −2/3 < −1/2 in quanto 2/3 > 1/2.
26
7.2.2 Limiti di successioni.
Una successione di numeri (razionali) è un insieme di numeri che vengono identificati
con indici interi 1, 2, . . . , n, . . .. Ad esempio (1, 4, 9, 16, . . . , n2 , . . .) è una successione (i
suoi elementi sono i quadrati degli interi), come anche (1, 1/2, 1/3, . . . , 1/n2 , . . .) (i suoi
elementi sono gli inversi degli interi). In generale una successione si indica così:
(a1 , a2 , a3 , . . . , an , . . .).
• se si sceglie ε = 0,1, si trova n0 = 10, sicché per n maggiore di 10 si ha 1/n < 0,1
• ...
Non dimentichiamo però di osservare che tutto ciò si può fare grazie a proprietà dei
numeri razionali:
27
• 1/ε esiste perché ogni razionale non nullo ammette reciproco
• se un razionale q è maggiore di un altro razionale p, allora 1/p > 1/q (le disegua-
glianze si capovolgono se si passa ai reciproci).
Quest’ultima proprietà merita di essere esaminata un po’ più a fondo. Ricordiamoci
che le diseguaglianze si conservano se vengono moltiplicate per un numero positivo:
q > p si trasforma, se si moltiplica per il numero positivo 1/(pq) , nella diseguaglianza
q × 1/(pq) = 1/p > p × 1/(pq) = 1/q. E questo è proprio ciò che volevamo ottenere.
Una successione può anche tendere a un limite diverso da zero e da infinito, cioè può
avvicinarsi indefinitamente a un numero razionale qualsiasi. Ad esempio la successione
tende a 1 quando n tende all’infinito. Questo significa che, preso a piacere un numero
razionale positivo ε, esiste un intero n0 tale che la distanza di 1 + 1/n da 1 sia minore
di ε. In formule: 1 − ε minore di 1 + 1/n minore di 1 + ε , ovvero |1 + 1/n − 1| minore
di ε. Siccome |1 + 1/n − 1| = |1/n| = 1/n (perché si tratta di numero positivo), basta
trovare n0 tale che 1/n0 < 1/ε e di questo abbiamo discusso poche righe sopra.
Si noti che abbiamo messo un segno di valore assoluto |1 + 1/n − 1| del tutto inutile
perché all’interno c’è un numero positivo. Ma la definizione di limite deve tener conto
anche della possibilità di numeri negativi; ad esempio il lettore provi che
lim an = −2 se an = −2 − 1/n,
n→+∞
mentre
lim an = 0 se an = (−1)n /n.
n→+∞
28
1. cerchiamo il più grande intero n che sia minore o eguale di 21/50. Si vede subito
che si tratta di 0.
2. Fra i numeri 0 + 0/10, 0 + 1/10, 0 + 2/10, . . . , 0 + 9/10 si sceglie il più grande fra
quelli che non superano 21/50, cioè 4/10.
3. Fra i numeri 0+4/10+0/100, 0+4/10+1/100, 0+4/10+2/100, . . . , 0+4/10+9/100
si scelga il più grande fra quelli che non superano 21/50, ottenendo 0+4/10+2/100.
Poiché 0 + 4/10 + 2/100 è proprio eguale a 21/50, abbiamo trovato la rappresentazione
decimale: 21/50 = 0,42.
Si può provare a vedere, con la stessa tecnica, che 214/500 = 0,428.
Tuttavia bisogna osservare che non tutti i numeri razionali si possono rappresentare
in forma decimale con un numero finito di cifre dopo la virgola. Ad esempio questo non
avviene per il semplicissimo numero razionale 1/3. In effetti si ha:
1
0< <1
3
1
0,3 < < 0,4
3
1
0,33 < < 0,34
3
···
1
0,333333333 < < 0,333333334
3
···
e il nostro numero non coincide con nessuna rappresentazione decimale finita. Diremo
che la sua rappresentazione decimale ha infiniti 3 dopo la virgola. Il lettore può provare
che anche 2/9 e 7/3 hanno infinite cifre dopo la virgola.
Nota. Si può vedere il numero 1/3 dal punto di vista dei limiti e osservare che la
successione 0,3, 0,33, 0,333, . . . ha come limite per n tendente all’infinito proprio 1/3.
Seconda nota. Ogni razionale ha una rappresentazione decimale, ma è vero anche il
viceversa (almeno quando le cifre decimali sono in numero finito; se sono infinite occorre
esaminare come si succedono). Ad esempio il numero 3,65 è in realtà il razionale 3 +
6/10 + 5/100 = 365/100.
29
7.4.1 Lato e diagonale di un quadrato e radice quadrata di 2.
È noto fin dai tempi di Pitagora, quindi oltre 2500 anni fa, che il lato e la diagonale di
un quadrato non sono commensurabili, cioè è impossibile trovare un segmento S tale
che S + S + · · · + S (n volte S), cioè nS, sia eguale al lato e che S + S + · · · + S
(m volte), ovvero mS, sia eguale alla diagonale. Che cosa ha a che fare questo con
l’inadeguatezza dei numeri razionali? Supponiamo che il lato del quadrato sia lungo 1 e
che la diagonale L sia lunga l (centimetri, metri, non ha importanza). Allora, grazie al
teorema di Pitagora, l2 = 1 + 1 = 2 (il quadrato costruito sulla diagonale è doppio del
quadrato costruito sul lato). Quindi l è un numero che ha come quadrato 2. Se esistesse
un segmento S di lunghezza s tale che
ns = 1
ms = l
si avrebbe anche s = 1/n e quindi l = m/n. Cioè esisterebbe un numero razionale m/n
tale che (m/n)2 = 2. Purtroppo tale numero razionale non esiste, come è facile vedere
con il seguente ragionamento.
30
supposto che sia costante? Si potrebbe pensare che sia la metà del 100%, cioè del 50%,
ma un semplice calcolo ci smentisce. In effetti, se l’inflazione è pari al 50%, in due
anni 1 euro diventa (1,50)2 = 2,25 euro, non 2 euro. Possiamo anche fare dei tentativi,
provando ad esempio con il 40%, ma (1,40)2 = 1,96, e quindi il 40% è troppo poco,
come il 45% è troppo mentre il 41% è troppo poco. È inutile cambiare le cifre decimali
(0,50, 0,40, 0,45, 0,41, . . .) perché nessuna andrà mai bene a causa della inesistenza del
numero radice quadrata di 2. In effetti, se l’inflazione è pari a x%, cioè se i pomodori
dopo un anno costano 1 + x/100, allora dopo due anni costano (1 + x/100)2 ; poiché
sappiamo che√il risultato è 2, ovvero (1 + x/100)2 = 2, dobbiamo cercare il numero
1 + x/100 = 2. Ma il secondo membro non esiste, almeno fra i numeri razionali, e
quindi non possiamo sperare di trovare un paio di cifre decimali da mettere al posto di
x, ma nemmeno tre o quattro cifre, nell’ipotesi che l’inflazione possa essere pari al 41,5%
o al 42,3%. Siccome l’inflazione in realtà esiste, forse occorre trovare nuovi numeri che
la descrivano meglio dei razionali.
Si noti anche il fatto seguente: se il costo di qualcosa passa da 1 a 2 euro in due anni,
l’inflazione sarà all’incirca del quarantuno e mezzo per cento, anche se non abbiamo il
valore esatto. Ma supponiamo di voler calcolare come aumenta il prezzo di un immobile
in 5 anni, sapendo che l’inflazione fa passare i pomodori da 1 a 2 euro in due anni.
Se l’immobile costa 200.000 euro, dopo due anni costerà 400.000 euro. Ma dopo 5?
Poiché 5 si ottiene da 2 moltiplicando per 2,5, si potrebbe pensare che il costo diventi
400.000 × 2,5 euro = 1.000.000 di euro. In realtà il calcolo esatto dice che 1 euro dopo
5 anni diventa (1 + x/100)5 , se l’inflazione costante è pari a x per cento. Se diamo
all’inflazione il valore del 41% otteniamo che i prezzi si moltiplicano per 5,57 e quindi
200.000 euro diventano 1.114.000 euro: se invece la valutiamo al 41,5% otteniamo che
i prezzi si moltiplicano per 5,67 e quindi l’immobile costerà 1.134.000. Se per caso
ho acquistato nel 2005 ma il pagamento avviene nel 2010 tenendo conto √ dell’inflazione
sarebbe proprio meglio sapere quanto vale questo fantomatico numero 2, per scoprire
che l’immobile deve costare (circa) 1.131.400 euro.
Si noti che se ragioniamo su un periodo di 3, o di 5 anni, anziché di 2, dovremo
constatare che non esistono la radice cubica e quinta di 2, cioè numeri adatti a descrivere
l’inflazione.
I numeri mancanti si possono naturalmente introdurre: formeranno l’insieme R dei
numeri reali. Fra questi ci saranno le radici quadrate di 2, 3, 5, . . . e anche molti (infiniti)
altri numeri, fra i quali il numero π, rapporto fra la lunghezza della circonferenza e il
suo diametro e il numero e che si ottiene calcolando l’interesse istante per istante.
√ Riprendiamo in esame la radice √ quadrata di 2. Abbiamo visto che 1,41 è minore di
2, mentre 1,42 è maggiore√di 2; si potrebbe perfezionare
√ la nostra approssimazione
facendo vedere che 1,414 < 2, mentre 1,415 > 2. Si può quindi pensare che i nuovi
numeri si trovino mediante approssimazioni con razionali. Questo fatto è sostanzial-
mente vero, ma non può essere utilizzato finché non si dica che cosa è un numero reale,
perché non è possibile approssimare un oggetto inesistente.
Ci sono modi diversi di introdurre l’insieme R dei numeri reali. Uno di questi risale
al matematico dell’Ottocento Dedekind, che definì i reali mediante le cosiddette sezioni
31
dell’insieme dei razionali (le sezioni di Dedekind).
• tutti i numeri razionali sono considerati, cioè ogni numero razionale appartiene ad
A oppure a B;
s = 1,415
r = 1,414
32
• tutti i numeri razionali sono considerati, cioè ogni numero razionale appartiene ad
A oppure a B;
Una simile coppia (A, B) si chiama sezione di Dedekind dell’insieme dei numeri
razionali (i numeri razionali vengono tagliati in due parti).
Si noti che è ancora vero che, dato comunque un intero positivo n, è possibile trovare
un numero s in B e un numero r in A tali che s − r < 1/n , cioè A e B sono insiemi
contigui di numeri.
In questo modo possiamo identificare molti nuovi numeri:
D’ora in poi identificheremo il numero razionale r con la coppia (A, B), dove in A
stanno i razionali minori o uguali a r, in B tutti gli altri.
Molti altri numeri reali si possono ottenere, come ad esempio il rapporto π fra la
lunghezza della circonferenza e quella del suo raggio, oppure il numero e, ma in questi
casi occorrono molte più nozioni di quelle che stiamo usando.
7.6.1 Somma
Supponiamo di avere due numeri reali, r = (A, B) e s = (C, D). Allora possiamo
considerare la coppia che denotiamo con il simbolo (A + C, B + D) così definita:
33
È piuttosto
√ facile
√ vedere che (A + C,B + D) è ancora un numero reale. Ad esempio il
numero 2 + 3 si definisce come coppia (M, N) di sottoinsiemi, dove
Ad esempio in M mettiamo −4, 0, 1,4 + 1,7 = 3,1, . . . (si noti che 1,4 ha quadrato minore
di 2 e 1,7 ha quadrato minore di 3); in N mettiamo 1,5 + 1,8 = 3,3, ma anche 10, 400,
30.000.000 (perché?).
Quanto al numero reale 0, esso coincide con il numero razionale 0, ovvero con la
coppia che contiene da una parte i numeri razionali positivi e dall’altra quelli negativi
(e lo 0 dove sta?). Si vede facilmente che lo 0, sommato con ogni altro reale, lo lascia
invariato.
Possiamo ora definire facilmente l’opposto −(A, B) di un numero reale (A,B). Il
numero −(A,B) è la coppia che denoteremo per ora (M, N) così definita:
7.6.2 Prodotto
Per il prodotto di reali occorre qualche maggiore avvertenza. Supponiamo per semplicità
che r = (A,B) e s = (C,D) e che sia B sia D contengano solo razionali positivi. Noi
definiamo una nuova coppia (U,V), che chiamiamo prodotto, come segue:
34
√
si può ottenere come opposto del reciproco di 2. Lasciamo al lettore la verifica del
fatto che il prodotto di un numero reale per il suo reciproco è la coppia (U,V), dove in
U stanno i numeri razionali minori o uguali a 1, in V gli altri, cioè la coppia (U,V) che
noi identifichiamo con il numero 1.
2. (−r)(−s) = rs
e quindi che
(−r)s = 0r + (−r)s
Sommando a entrambi i membri l’opposto −((−r)s) di (−r)s (che esiste per quanto
abbiamo detto) si ottiene:
cioè
0 = 0r + 0 = 0r
e quindi:
0r = 0
(si noti che nelle somme di tre numeri non ci siamo preoccupati di mettere parentesi
perché vale la proprietà associativa).
Questa proprietà ci può servire per dimostrare la 1. In effetti si ha:
0 = 0s = (r − r)s = rs + (−r)s
e quindi (−r)s è proprio l’opposto di rs, cioè quel numero che sommato con rs dà come
risultato 0 (attenzione: qui ammettiamo che ogni numero abbia un solo opposto; non è
ovvio e si dovrebbe dimostrare).
35
7.6.4 Ordine
I numeri interi e razionali sono ordinati. Per quanto riguarda i reali, basta porre (A,B) <
(C,D) se l’insieme√ C contiene
√ almeno un elemento che sta in B.
Ad esempio 2 < 3 in quanto il numero razionale 1,5 appartiene a B (il suo
quadrato supera 2) ma anche a C (il suo quadrato non supera 3).
I numeri positivi sono quelli maggiori di 0, i negativi quelli minori di 0.
Nota. Se (A,B) è un numero razionale q, allora q lo mettiamo per convenzione in A.
È bensì vero che se si considera la coppia (C,D) dove in A ci sono i razionali minori di
q mentre in D ci sono quelli maggiori o eguali a q, allora in A troviamo un numero che
non sta in C, ma la coppia (C,D) non la consideriamo, in quanto q è rappresentato da
(A,B).
n≤r <n+1
p1 + 1
n,p1 ≤ r < n,p1 + 1 = n +
10
···
I successivi numeri p1 , p2 , . . . sono le cifre decimali del numero reale r, i numeri a si-
nistra di r nella tabella sono le sue approssimazioni per difetto, quelli a destra le sue
approssimazioni per eccesso. √
Ad esempio il numero 2 ha la rappresentazione decimale 1,4142 . . . in quanto
√
1< 2<2
√
1,4 < 2 < 1,5
√
1,41 < 2 < 1,42
···
36
7.6.6 Principio di Archimede per i numeri reali
Anche per i numeri reali vale il principio di Archimede, che può ad esempio essere
enunciato così:
dato un reale positivo qualsiasi r = (A,B), esiste un intero n che lo supera.
Basta per dimostrarlo prendere un razionale nell’insieme B e quindi un intero che lo
superi.
Naturalmente si può anche affermare che, dati due reali r, s positivi, con r < s,
esiste un multiplo di r che supera s.
In tal caso I ed E si dicono classi contigue ed esiste uno e un solo numero reale γ tale
che
α ≤ γ ≤ β.
Tale numero γ si dice elemento di separazione fra I ed E.
La dimostrazione dell’esistenza dell’elemento di separazione non è semplice ed è
costituita dalla costruzione esplicita di tale numero come sezione di Dedekind. Noi ci
limitiamo ad affermare che tale elemento esiste. √
Esempio: le approssimazioni per difetto e per √ eccesso di 2 sono due classi contigue
che hanno come elemento di separazione proprio 2.
Si noti che nell’insieme dei numeri razionali l’elemento di separazione di classi √ con-
tigue non è detto che esista: le approssimazioni per eccesso e per difetto di 2 sono
classi contigue di numeri razionali ma il loro elemento di separazione, fra i razionali, non
esiste.
Consideriamo ora un insieme S di numeri reali e supponiamo che esista un numero
reale K tale che, per ogni s in S, si abbia s ≤ K. Diciamo che un numero H è un
maggiorante (o confine superiore) di S se per ogni s in S, si ha s ≤ H (ad esempio K è
un maggiorante, ma anche K +1, K +700, . . .). Un insieme S avente dei confini superiori
si dice superiormente limitato.
Esempio. L’insieme S = {1/2, 1/3, 1/4, . . . , 1/n, . . .} dei reciproci di tutti i numeri
naturali da 2 in poi ammette il confine superiore K = 1/2, ma anche H = 1, oppure
10, oppure 500.000. Invece l’insieme S0 = {2, 4, 6, 8, . . . , 2n, . . .} dei numeri pari non
ammette alcun confine superiore, per il principio di Archimede.
Si può dimostrare, usando il principio delle classi contigue, che fra i maggioranti di
S ne esiste uno, diciamo L, più piccolo di ogni altro maggiorante. Cioè:
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• L ≥ s, per ogni s;
• se H ≥ s per ogni s, allora H ≥ L.
Un tale numero L si chiama estremo superiore di S (L = sup S). Per trovare L basta
costruire il numero reale (A,B) così definito:
• classe inferiore A = insieme di tutti i razionali che sono minori o eguali di qualche
s in S
• classe superiore B = insieme di tutti gli altri razionali (cioè i maggioranti di S).
È facile vedere che L = (A,B).
L’esistenza dell’estremo superiore, come elemento di separazione delle classi contigue,
è caratteristica dell’insieme dei numeri reali. L’insieme√S dei reali positivi con quadrato
minore di 2 ammette come estremo superiore il solito 2, che fra i razionali non esiste.
In modo del tutto analogo si prova che, se un insieme T di numeri reali ammette dei
confini inferiori o minoranti K (numeri più piccoli di ogni elemento di T), allora esiste
un numero G che è il più grande dei confini inferiori (e si chiama estremo inferiore).
Nota. L’elemento di separazione di due classi contigue (I,E) è in realtà l’estremo
superiore dell’insieme I o anche l’estremo inferiore di E.
A questo punto siamo in grado di dire qualcosa di più sul numero e.
n+1
n
loge (e − ε) < loge (1 + 1/n) = n loge (1 + 1/n) = n loge =
n
n[loge (n + 1) − loge (n)] < loge (e + ε)
Ma arrivati a questo punto ci si blocca. Senza contare il fatto che usiamo con disinvoltura
i logaritmi in base e e le loro proprietà solo per il fatto che ci ricordiamo di averle viste
nelle scuole superiori, ma in realtà senza sapere che cosa è il numero e e forse nemmeno
che cosa è il logaritmo. Occorre percorrere un’altra via, peraltro molto più interessante
e istruttiva (proposta ad esempio nel trattato di Analisi matematica di Tricomi).
Riprendiamo in esame i numeri en = (1 + 1/n)n = ((n + 1)/n)n ; questi formano
una successione, cioè una collezione di numeri in corrispondenza biunivoca con i numeri
interi da 1 in poi:
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Dai primi valori si può congetturare che ogni numero della successione sia più piccolo di
quello che lo segue:
Proviamo a vedere se per caso questo non sia vero per ogni numero n ≥ 1. Si osservi
allora che si può anche scrivere
en = [(n + 1)/n]n
Quindi si ha:
!n+1
n + 2 n+1
(n + 1)2 − 1
en+1 (n + 1)2
= n+ 1
n+1 = n+1−1 =
en n+1 n
n n+1 n+1
!n+1 !n+1
(n + 1)2 − 1 1
1−
(n + 1)2 (n + 1)2
1 = 1
1− 1−
n+1 n+1
(Si noti che n(n +2) = n2 +2n +1 − 1 = (n +1)2 − 1). Ora applichiamo la diseguaglianza
di Bernoulli (già discussa come formula che si prova per induzione) con x = −1/(n + 1)2
e otteniamo !n+1
1 n+1 1
1− 2
>1− 2
=1−
(n + 1) (n + 1) n+1
che è esattamente la diseguaglianza en+1 > en .
Il passo successivo consiste nel provare che en = (1 + 1/n)n è un numero compreso
sempre fra 2 e 3. Per fare questo consideriamo i soli numeri (e6 , e12 , e18 , . . . , e6m , . . .),
cioè quelli con indice multiplo di 6. Si noti che si ha:
m 6 m 6
1 6m 1
= = 1−
e6m 6m + 1 6m + 1
Se si applica la solita utilissima diseguaglianza di Bernoulli con x = −1/(6m + 1) si
ottiene
5m + 1 6
6
1 m
> 1− =
e6m 6m + 1 6m + 1
Perciò si ha:
6m + 1 6
6
6
e6m < < < 2,986 < 3
5m + 1 5
Prendiamo ora un elemento en qualsiasi e sia m un intero tale che n < 6m (si usi il
principio di Archimede). Allora si ha: en < e6m < 3, cioè ogni elemento della successione
è minore di 3.
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A questo punto applichiamo il principio dell’estremo superiore: l’insieme E dei nu-
meri en = (1 + 1/n)n ammette 3 come confine superiore e quindi ha estremo superiore,
che chiameremo e. Vogliamo ora provare che tale numero è il limite della successione.
Prendiamo un numero ε positivo arbitrario e cerchiamo un intero N tale che per ogni
n > N si abbia e − ε < en < e + ε. Ma il numero e − ε non è un confine superiore di
E, e quindi esiste un indice N , tale che e − ε < eN . Ma se n > N , ogni elemento en è
maggiore di eN e quindi si ha:
8 Ancora limiti.
Abbiamo visto i limiti delle successioni per n tendente all’infinito. Si possono però
considerare anche limiti di tipo diverso.
8.1 La velocità.
Se percorriamo in auto l’autostrada Torino – Milano, che ha una lunghezza di circa 130
chilometri, e viaggiamo per un’ora, possiamo dire che la nostra velocità è di 130 km/h.
Ma un esame più attento potrebbe farci vedere le cose in modo diverso. Può capitare
che nei primi 66 chilometri la velocità sia di 180 km/h (anche se vietato), ma che poi ci
siano rallentamenti. Quale sarà la velocità di percorrenza dei secondi 64 chilometri?
Prima di tutto occorre stabilire in quanto tempo vengono percorsi i primi 66 chilome-
tri. Poiché la velocità è di 180 chilometri in un’ora, cioè di 3 chilometri ogni minuto, 66
chilometri vengono percorsi in 22 minuti. Siccome in totale si impiega un’ora, i secondi
64 chilometri si percorrono in 38 minuti. Quindi abbiamo 64 chilometri e 38 minuti.
Qual è la velocità, che viene espressa in chilometri all’ora? In un minuto si percorreranno
64/38 chilometri e in un’ora (64/38) × 60 chilometri, cioè 101,05 chilometri. La velocità
nel secondo tratto è dunque di 101,05 km/h. È quindi impreciso dire che la velocità
è di 130 km/h, questa è solo la velocità media. È ancora più impreciso (e inadatto a
descrivere che cosa avviene sulla strada) se la velocità cambia molte volte: 140 km/h nei
primi 3 chilometri, 125 km/h nei successivi 35, . . . È molto più valida una descrizione
diversa della velocità: dividiamo il tratto di autostrada in tratti molto corti, magari di
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un chilometro ciascuno, oppure di 100 metri, e vediamo che cosa avviene in ciascuno.
Possiamo spingerci oltre e dividere in tratti di 1 metro, 1 centimetro, 1 millimetro e fare
un ragionamento simile a quello che ci ha portati al numero e e all’interesse istante per
istante: troveremo la velocità istante per istante.
Supponiamo dunque di fissare un istante t0 , compreso fra l’istante iniziale 0, in cui
si inizia il viaggio e quello finale, dopo un’ora di viaggio. Vogliamo cercare di dare un
senso al concetto di velocità all’istante t0 . Prendiamo allora un intervallo di tempo che
chiameremo ∆t, di estremi t0 e t, e calcoliamo lo spazio percorso in questo intervallo di
tempo. Se al tempo t0 abbiamo percorso lo spazio s0 e al tempo t abbiamo percorso lo
spazio s, lo spazio percorso fra i due tempi è ∆s = s − s0 . Quindi la velocità (media) è
pari allo spazio percorso diviso per il tempo impiegato: velocità v = ∆s/∆t.
Se vogliamo calcolare la velocità all’istante t0 occorre restringere l’intervallo ∆t suc-
cessivamente, facendolo avvicinare a 0. Purtroppo però questa espressione è un po’ vaga
e va precisata. Noi diremo che la velocità v0 all’istante t0 è il limite per t tendente a
t0 della velocità al tempo t, cioè v(t) = ∆s/∆t. Questo significa che, preso un numero
positivo ε arbitrario, è possibile trovare un numero positivo δ tale che, se 0 6= |∆t| < δ,
allora |∆s/∆t − v0 | < ε. In parole povere possiamo rendere ∆s/∆t vicino quanto vo-
gliamo a v0 pur di ridurre abbastanza la lunghezza dell’intervallo di tempo nel quale
calcoliamo la velocità (si noti che ∆t deve essere 6= 0, in quanto si trova al denominatore
di una frazione).Scriveremo:
∆s
lim = v0
t→t0 ∆t
Vogliamo dimostrare che si ottiene una velocità di 60 km/h. Per vedere questo fatto
occorre fissare un numero positivo arbitrario ε e cercare un numero positivo δ tale che,
se 0 6= |∆t| < δ, allora 60 − ε < 120∆t + 60 < 60 + ε , cioè −ε < 120∆t < ε; è chiaro
che se |∆t| < ε/120 , cioè −ε/120 < ∆t < ε/120, otteniamo le diseguaglianze richieste.
Quindi basta scegliere δ = ε/120.
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Ad esempio, se ε = 0,01, occorrerà scegliere δ = 0,01/120, mentre ε = 0,0001 darà
luogo alla scelta δ = 0,0001/120.
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È anche possibile dimostrare che la derivata della funzione beat , dove a, b sono due
qualsiasi numeri reali, coincide con baeat . Ad esempio, la derivata di e3t è 3e3t , la derivata
di 5e3t è 15e3t .
Ed ecco un’applicazione interessante di questa proprietà dell’esponenziale et .
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Ma noi conosciamo una funzione la cui derivata è proporzionale alla funzione stessa:
N (t) = N0 e−λt ,
N0 e−λt = 0,5N0
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