Anda di halaman 1dari 13

Civile Sent. Sez. 1 Num.

13846 Anno 2019


Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: FALABELLA MASSIMO
Data pubblicazione: 22/05/2019

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso 26263/2014 proposto da:

Bosco Giacinto, elettivamente domiciliato in Roma Via Polonia 7,


presso lo studio dell'avvocato Stefano Sablone che lo
rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente -
contro

Banca Popolare Di Bergamo Spa, in persona del legale


rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma
Via Gavinana 1, presso lo studio dell'avvocato Francesco Pecora,
che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Flavio
Garrone, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrente -

avverso la sentenza n. 554/2014 della CORTE D'APPELLO di


BRESCIA, depositata il 24/04/2014;

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/02/2019 da FALABELLA MASSIMO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale


CAPASSO LUCIO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato Giussani, con delega, per il ricorrente, che ha
chiesto l'accoglimento;

udito l'Avvocato Pecora per il contro ricorrente, che ha chiesto di


riportarsi agli atti.

FATTI DI CAUSA
1. — Bosco Giacinto evocava in giudizio la Banca Popolare
di Bergamo deducendo di aver sottoscritto in data 16 dicembre
2005 un contratto di fideiussione omnibus a garanzia dei debiti
di Albatel ICT Solution s.p.a. sino alla concorrenza di C
191.750,00; rilevava che la banca, dopo alcune comunicazioni di
messa in mora del debitore principale, aveva receduto da tutti i
rapporti, ottenendo poi un decreto ingiuntivo anche nei confronti
di esso attore. Deduceva quest'ultimo che il contratto di
fideiussione concluso era nullo per violazione dell'art. 2, comma
2, lett. a), I. n. 287/1990 con cui sono vietate le intese tra
imprese che abbiano l'oggetto o l'effetto di impedire, restringere
o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
nazionale, anche fissando direttamente o indirettamente prezzi
di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali: di qui la
nullità dell'intesa restrittiva, che, rilevava l'istante, avrebbe

2
potuto essere invocata anche dai consumatori. Ricordava l'attore
che la Banca d'Italia aveva avviato nei confronti dell'ABI,
relativamente alle condizioni generali della fideiussione contratta
a garanzia delle operazioni bancarie, una istruttoria alla quale
era seguita, in data 2 maggio 2005, l'adozione di un

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


provvedimento in cui era risultato accertato che gli artt. 2, 6 e 8
dello schema contrattuale predisposto dall'ABI contenessero
disposizioni in contrasto con il cit art. 2, comma 2, lett. a), della
I. n. 287 del 1990. Assumeva, poi, che nel contratto di
fideiussione in questione erano contenuti i menzionati articoli
presenti nello schema elaborato dall'ABI. Domandava, quindi: la
declaratoria di nullità della fideiussione, che si accertasse nulla
essere dovuto alla banca per debiti contratti dall'obbligata
principale; che la convenuta fosse condannata al risarcimento
del danno.
Nella resistenza della Banca Popolare di Bergamo, la Corte
di appello di Brescia respingeva la domanda osservando come
l'analisi testuale del provvedimento emesso dalla Banca d'Italia
evidenziasse che la procedura avviata non si era conclusa con
una diffida o una sanzione: rilevava il giudice distrettuale che
solo in presenza di un'applicazione uniforme delle clausole di cui
agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale si sarebbe
configurata la contestata violazione; rilevava, in particolare:
«[A]lla luce delle conclusioni cui è pervenuto l'organo di
vigilanza, non può assolutamente ritenersi che in quella sede è
accertata l'esistenza di una intesa concorrenziale ovvero di
illecite pratiche concordate». Aggiungeva che parte attrice, pur
avendone l'onere, non aveva dimostrato, né chiesto di provare,
che, in ispregio alle indicazioni fornite dalla Banca d'Italia, l'ABI
avesse egualmente diffuso il testo delle condizioni generali del
contratto di fideiussione comprensivo delle clausole censurate.
3
2. — La sentenza, pubblicata il 7 novembre 2014, è stata
impugnata per cassazione da Giacinto Bosco con un ricorso
fondato su due motivi; resiste con controricorso la Banca
Popolare di Bergamo, ora Unione di Banche Italiane s.p.a.. Sono
state depositate memorie.

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o
falsa applicazione degli artt. 2, 14, 20 e 33 della I. n. 287 del
1990, nonché dell'art. 41 Cost., dell'art. 101 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea, degli artt. 2697 e 2729
c.c., nonché degli artt. 115 e 116, c.p.c.. Rileva l'istante che la
Corte bresciana non aveva preso in considerazione due
circostanze incontroverse: quella per cui era stato dimostrato
che il contratto di fideiussione corrispondesse esattamente allo
schema negoziale oggetto dell'istruttoria della Banca d'Italia
conclusasi con il provvedimento del 2 maggio 2005; quella per
cui la stessa banca convenuta si era limitata a negare l'intesa «a
monte» senza mai contestare, tantomeno specificamente, che le
richiamate clausole del contratto di fideiussione (artt. 2, 6 e 8)
fossero diverse da quelle già in uso nella prassi del sistema
bancario e riprodotte nello schema ABI. Deduce il ricorrente che
l'istruttoria e il provvedimento della Banca d'Italia del 2005 — la
quale nella circostanza aveva operato nell'esercizio dei poteri
attribuiti alla stessa quale autorità garante per l'accertamento
delle violazioni della legge antitrust nel settore creditizio —
costituivano una inoppugnabile prova privilegiata dell'illecito
posto in atto dalla controparte.
Col secondo mezzo è dedotto l'omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, costituito dal fatto che, secondo la
sentenza impugnata, l'attore non avrebbe fornito prova
dell'illecita intesa a monte; è altresì lamentata la violazione e
4
falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, c.c. e degli artt. 115
e 116 c.p.c.. La Corte di appello, secondo l'istante, non avrebbe
considerato, o comunque compreso, la natura di prova
privilegiata degli atti del procedimento intrapreso dalla Banca
d'Italia, né avrebbe valutato le presunzioni, gravi, precise e

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


concordanti, da esso derivanti. Ad avviso del ricorrente, dalla
lettura integrale dell'istruttoria, del parere espresso dall'AGCM e
dal provvedimento della Banca d'Italia emergeva chiaramente
l'accertamento circa il fatto che le banche avevano già in uso
uno schema contrattuale in cui erano riprodotte le clausole nulle
e che queste ultime avevano continuato a trovare ingresso nei
contratti di fideiussione anche dopo l'emanazione del
provvedimento di cui si è detto.
2. — La banca controricorrente ha formulato talune
eccezioni pregiudiziali.
2.1. — Ha eccepito preliminarmente l'improcedibilità del
ricorso assumendo che sarebbe stata depositata copia di
sentenza diversa da quella che l'istante avrebbe inteso
impugnare.
L'eccezione è destituita di fondamento. Il provvedimento
depositato è la sentenza della Corte di appello di Brescia del 24
aprile 2014, di cui in epigrafe.
2.2. — La stessa banca ha poi rilevato che il ricorso di
controparte risulterebbe inammissibile a norma dell'art. 360 bis
c.p.c.: essa ha ancorato detto assunto al rilievo per cui le
clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 delle condizioni generali di
contratto sarebbero ritenute costantemente valide dalla
giurisprudenza di legittimità.
Si osserva, però, che il profilo attinente alla legittimità
delle menzionate disposizioni contrattuali risulta essere estraneo
al decisum della Corte di appello, la quale si è limitata a dare
5
atto della mancata dimostrazione di un accordo illecito e di
pratiche illegittime concordate, rilevando, in sintesi, come il
provvedimento della Banca d'Italia del 2 maggio 2005 non
fornisse idoneo riscontro della denunciata intesa restrittiva in
assenza di una diffusione dello schema di fideiussione che non

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


fosse stato emendato nei termini indicati dallo stesso istituto.
Non ricorre, dunque, la prospettata ipotesi del provvedimento
che abbia deciso questioni di diritto in modo conforme alla
giurisprudenza della Corte di cassazione.
2.3. — La controricorrente ha pure opposto che il
ricorrente risulterebbe essere carente dell'interesse ad
impugnare la sentenza della Corte di appello. Ha osservato, in
proposito, che ove pure fosse dichiarata la nullità di tutte o di
alcune delle clausole di cui qui si dibatte, la fideiussione
manterrebbe la propria validità in forza del principio generale di
conservazione del negozio giuridico: infatti — aggiunge —,
l'istituto di credito avrebbe richiesto a Giacinto Bosco il rilascio
della garanzia in questione anche in assenza delle clausole
contestate, avendo precipuo interesse a garantire il
soddisfacimento del debito contratto dall'obbligato principale.
E' facile tuttavia obiettare che l'interesse ad agire richiesto
dall'art. 100 c.p.c., in quanto condizione preliminare di
ammissibilità della domanda giudiziaria, deve essere valutato
alla stregua della prospettazione operata dalla parte (Cass. 9
maggio 2008, n. 11554), e non lo si può negare sul presupposto
che le conseguenze da trarsi dai fatti allegati siano diverse da
quelle sostenute dall'attore, attenendo ciò alla fondatezza nel
merito della domanda (Cass. Sez. U. 15 maggio 2015, n. 9934).
3. — I due motivi, sopra riassunti, possono esaminarsi
congiuntamente: ciò in considerazione della loro evidente
connessione. Ed è da escludere che essi tendano, come
6
lamentato dalla controricorrente, a una mera revisione critica
del giudizio di fatto demandato al giudice del merito.
3.1. — La domanda proposta dall'odierno ricorrente avanti
alla Corte di appello di Brescia risulta basarsi, come accennato,
sull'esistenza di una intesa restrittiva della libertà di concorrenza

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


ex art. 2 I. n. 287/1990. La prospettiva dell'azione intrapresa è
quella additata dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il
contratto cosiddetto «a valle» costituisce lo sbocco della
suddetta intesa, essenziale a realizzarne gli effetti. Infatti, tale
contratto, oltre ad estrinsecare l'intesa, la attua: come è stato
spiegato, la ratio della nullità ai sensi dell'art. 33 della I. n. 287
del 1990 è quella «di togliere alla volontà anticoncorrenziale 'a
monte' ogni funzione di copertura formale dei comportamenti 'a
valle'» (Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207, in motivazione).
L'attore — ricorda la sentenza impugnata — ha invocato a
fondamento della pretesa azionata il provvedimento del 2
maggio 2005 della Banca d'Italia, cui, prima della modifica
apportata dall'art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, spettava
l'accertamento delle infrazioni di cui al nominato art. 2 che si
assumessero essere poste in atto dalle aziende di credito. Per
quanto qui specificamente interessa, nel richiamato
provvedimento della Banca di Italia era disposto: «Gli articoli 2,
6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall'ABI per la
fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione
omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui
vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con
l'articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90».
3.2. — Questa Corte ha precisato che nel giudizio
instaurato, ai sensi dell'art. 33, comma 2, della legge n. 287 del
1990, per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive
della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di
7
posizione dominante, le conclusioni assunte dall'Autorità
Garante per la Concorrenza ed il Mercato, nonché le decisioni
del giudice amministrativo che eventualmente abbiano
confermato o riformato quelle decisioni, costituiscano una prova
privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo
eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le
parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso
contrarie (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640). Si tratta di
affermazione che trova sostanziale corrispondenza nella
proclamazione del principio — reso con riferimento al giudizio
promosso dall'assicurato per il risarcimento del danno patito per
l'elevato premio corrisposto in conseguenza di un'illecita intesa
restrittiva della concorrenza, tra compagnie assicuratrici —
secondo cui il provvedimento sanzionatorio adottato dall'Autorità
Garante per la Concorrenza ha una elevata attitudine a provare
tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità
della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di
presumere, senza violazione del principio praesumptum de
praesumpto non admittitur, che dalla condotta
anticoncorrenziale sia scaturito un danno per la generalità degli
assicurati, nel quale è ricompreso, come essenziale
componente, il pregiudizio subito dal singolo assicurato (Cass.
28 maggio 2014, n. 11904; cfr. pure, in tema, ad es.: Cass. 23
aprile 2014, n. 9116; Cass. 22 maggio 2013, n. 12551; Cass. 9
maggio 2012, n. 7039; Cass. 20 giugno 2011, n. 13486).
3.3. — Sulla base di tali premesse, è possibile cogliere,
nella sentenza impugnata, due errori giuridici.
Il primo è dato dalla impropria valorizzazione della
mancata presenza, all'interno del richiamato provvedimento
della Banca d'Italia del 2 maggio 2005, di diffide o sanzioni.
8
Infatti — anche a voler prescindere dal rilievo per cui il
provvedimento in questione presentava un contenuto
prescrittivo, essendosi in esso stabilito che l'ABI emendasse le
proprie circolari con riguardo alle disposizioni di cui agli artt. 2,
6 e 8 dello schema contrattuale da diffondere presso il sistema

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


bancario, trasmettendo preventivamente gli atti così corretti alla
Banca d'Italia —, ciò che rileva, ai presenti fini, è che i fatti
accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento
amministrativo non siano più controvertibili, ne' utilizzabili a fini
e con senso diverso da quello attribuito nel provvedimento
stesso; infatti, benché l'accertamento stesso abbia avuto luogo
in un procedimento svoltosi tra le imprese e l'autorità
competente, «deve ritenersi che la circostanza che il singolo
utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di
concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475)
comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi
ed un senso alla stessa istituzione dell'Autorità Garante, la piena
utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di
violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela,
degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non
sono stati formalmente parte»; in tal senso, il ruolo di prova
privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico «impedisce
che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi
dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa
in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso
materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi
in quella sede» (Cass. 20 giugno 2011, n. 13486 cit.). Una
conclusione in tal senso poggia, del resto, sull'assioma per cui
«il contratto finale tra imprenditore e consumatore costituisce il
compimento stesso dell'intesa anticompetitiva tra imprenditori,
la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante»: per modo
9
che «teorizzare la profonda cesura tra contratto a monte e
contratto a valle, per derivarne che, in via generale, la prova
dell'uno non può mai costituire anche prova dell'altro, significa
negare l'intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa
antitrust, la quale [4 è posta a tutela non solo

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


dell'imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato» (Cass. 2
febbraio 2007, n. 2305). E tale rilievo si coniuga con una duplice
considerazione: per un verso, nel sistema della I. n. 287 del
1990, come del resto nella disciplina comunitaria, private e
public enforcement, e cioè tutela civilistica e tutela pubblicistica,
sono tra loro complementari; per altro verso, il principio di
effettività e di unitarietà dell'ordinamento non consente di
ritenere irrilevante il provvedimento amministrativo nel giudizio
civile, considerato anche che le due tutele sono previste
nell'ambito dello stesso testo normativo e nell'ambito di
un'unitaria finalità: tanto più in considerazione dell'«evidente
asimmetria informativa tra l'impresa partecipe dell'intesa
anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo
casi eccezionali da considerare di scuola, nell'impossibilità di
fornire la prova tanto dell'intesa anticoncorrenziale quanto del
conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità»
(Cass. 28 maggio 2014, n. 11904 cit.).
Quel che rileva è, dunque, l'accertamento dell'intesa
restrittiva da parte della Banca d'Italia: non il fatto che, in
dipendenza di tale accertamento, siano state pronunciate diffide
o sanzioni. Infatti, ciò che assumeva rilievo dirimente, nella
controversia portata all'esame della Corte di Brescia, era la
presenza o meno di un'intesa tra imprese il cui oggetto o
effetto fosse quello di impedire, restringere o falsare in maniera
consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato
nazionale o in una sua parte rilevante attraverso la fissazione di
10
specifiche condizioni contrattuali.
Il dato costituito dalla rilevazione, da parte dell'autorità
competente, dell'illecito concorrenziale va poi desunto dal
contenuto sostanziale e complessivo del provvedimento
amministrativo, non da singole locuzioni che, isolatamente

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


assunte, possano presentare un significato ambiguo o
fuorviante: così la portata dell'espressione secondo cui i
richiamati artt. 2, 6 e 8 «contengono disposizioni che, nella
misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in
contrasto con l'articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n.
287/90» andava apprezzata verificando se il provvedimento
avesse mancato di prendere posizione sull'esistenza dell'intesa
restrittiva e, quindi, sulla diffusione, presso gli istituti di credito,
dei testi negoziali comprendenti le citate clausole; ciò che il
ricorrente ha specificamente negato, richiamando specifici
passaggi del provvedimento stesso (nn. 49, 50, 57, 58, 60, 93).
Il secondo errore in cui è incorsa la Corte di appello si
rinviene nell'affermazione per cui non sarebbe provato che,
contravvenendo a quanto prescritto dalla Banca d'Italia, l'ABI
avesse egualmente diffuso il testo delle condizioni generali del
contratto di fideiussione contenente le clausole che costituivano
oggetto dell'intesa restrittiva.
Tale circostanza non è difatti decisiva. Quel che assume
rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del
contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8 è, all'evidenza,
il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata, e cioè
che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di
quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U. 4
febbraio 2005, n. 2207 (cfr. in tema anche Cass. 12 dicembre
2017, n. 29810, secondo cui ai fini dell'illecito concorrenziale di
cui all'art. 2 della I. n. 287 del 1990, rilevano tutti i contratti che
Il
costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in
epoca anteriore all'accertamento della loro illiceità da parte
dell'autorità indipendente preposta alla regolazione di quel
mercato). Ciò che andava accertata, pertanto, non era la
diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute
condizioni contrattuali, di cui qui si dibatte, col testo di uno
schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della
vietata intesa restrittiva: giacché, come è chiaro, l'illecito
concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l'ABI
non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d'Italia
nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca Popolare di
Bergamo avesse egualmente sottoposto all'odierno ricorrente un
modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano
comunque oggetto dell'intesa di cui all'art. 2, lett. a), I. n.
287/1990.
Mette solo conto di aggiungere che risulta inappropriato il
richiamo, operato nella memoria ex art. 378 c.p.c., da Unione di
Banche Italiane, all'ordinanza n. 30818 del 2018 di questa
Corte: tale pronuncia, oltre a riguardare parti diverse dagli
odierni contendenti, si occupa dell'onere della prova in tema di
illecito antitrust, affermando il principio, che qui va certamente
ribadito, per cui compete all'attore che deduca un'intesa
restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si
assuma essere oggetto dell'intesa stessa. Le censure che è
possibile svolgere in sede di legittimità contro il relativo
accertamento del giudice del merito sono poi, per quanto
limitate, variamente modulabili: ed è incontestabile che in
questa sede si dibatta di profili che non coincidono con quelli di
cui si è occupata la citata ordinanza.
4. — Nei termini che si sono indicati, il ricorso va pertanto
12
accolto e la sentenza impugnata cassata.
Il giudice del rinvio, cui è devoluta la decisione sulle spese
processuali del giudizio di legittimità, dovrà conformarsi al
seguente principio di diritto: «In tema di accertamento
dell'esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


dall'art. 2 I. n. 287/1990, con particolare riguardo a clausole
relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il
provvedimento adottato dalla Banca d'Italia prima della modifica
di cui all'art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, possiede, al pari di
quelli emessi dall'Autorità Garante per la Concorrenza, una
elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale,
indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano
pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad
apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo
esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le
disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le
condizioni oggetto dell'intesa restrittiva, non potendo attribuire
rilievo decisivo all'attuazione, o non attuazione, della
prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con
cui è stato imposto all'ABI di estromettere le clausole vietate
dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario».
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la
causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di
appello di Brescia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della la
Sezione Civile, in data 5 febbraio 2019.

Anda mungkin juga menyukai