Il complesso
1. Complesso San Giovanni:
conventuale dei Serviti
Vicende storiche (secoli XII-XIX)
Anastasia Gilardi
Storica dell’arte
La prima citazione documentaria di
un insediamento ecclesiastico dedicato
a San Giovanni Battista in Mendrisio
(fig. 1) si trova nel noto elenco delle case
gestite dagli Umiliati in Lombardia dove
ne risultano ben due: una «di Sant’Orso-
la», detta anche «domus de Ferrera» dal
1268, e l’altra dal 1298 «domus Sancti
Johannis» presso l’ospedale per i pelle-
2 3
grini 1. Questo è citato poco dopo e in
seguito sovente nei confini tanto degli
edifici ed annessi, quanto dei terreni di
sua proprietà, negli atti pubblici e pri-
vati connessi con il borgo 2. Solo le testi-
monianze archeologiche, la qualità dei
resti architettonici romanici e dell’affre-
sco trecentesco nella chiesetta di Santa
Maria delle Grazie (per i quali si riman-
da ai saggi relativi in questo volume),
ci permettono di dedurre una discreta
importanza locale durante il Medioe-
vo dell’insediamento all’entrata nord di
Mendrisio, sulla strada «a mezza costa»
(in alternativa a quella forse più antica
sulla piana di San Martino) verso Luga-
no 3. Presumibilmente l’insieme costitu-
ito dalla piccola chiesa, da un qualche
locale destinato ad «ospizio» o ospedale
per i pellegrini poveri con un accesso ad
una corte o chiostro, numero imprecisa-
to di abitazioni e altre costruzioni per i
residenti. Si aggregava attorno al «por-
chiesa, chiostro ed edifici del
convento con prato, un tempo
orto e giardino (foto Anastasia
Gilardi).
2-3. Maestro della Natività di
Mendrisio, Sant’Apollonia e
Santa Lucia, 1635-40 ca., le due
sante in origine si trovavano in
una sola tela per l’altare citato
nel 1641 (foto Museo d’arte
Mendrisio).
tone», cioè ad una delle por-
te di accesso al borgo 4, che
si appoggiava o era tutt’uno
con il portico davanti all’at-
tuale porta d’accesso della
chiesetta, situandosi così fuo-
ri dalle mura dell’antico nu-
cleo in qualche modo forti-
ficato, o quanto meno difeso
da almeno tre torri in parti
residue.
L a pr i ma descr i z ione
sommaria è del 1419, quan-
do i soli due religiosi am-
ministratori della chiesa e
ospedale di San Giovanni
«extra muros», un Torriani
e un frate Neuroni di Riva
San Vitale, cedono in affitto
il sedime con case, corte e
sue pertinenze, presso la chiesa e circon-
dato per tre lati dalla strada, compresa
una vicina terra arativa 5. Il Martinola
nel 1945 collegando altri documen-
ti successivi, deduce che le case erano
tre, rispettivamente presso la chiesa,
«sopra» e «sotto» la strada; credo che
per quest’ultime si intendano le costru-
zioni a ovest, dove si appoggiava l’altro
lato del portone connesso perpendico-
larmente al portico della chiesa, il tutto
demolito per allargare la strada verso il
1820 6. Probabilmente il medesimo Gio-
vanni Torriani nel 1421 è detto «layco»,

e solo pretendente alla carica di rettore
dell’ospedale, lasciando intendere una
situazione non ben chiara e forse una
prolungata assenza o disinteresse degli
Umiliati per questa loro proprietà, così
che prima il Franchini nel 1852, poi il
Martinola nel 1945 deducono che il con-
vento nel 1441 fosse di fatto abbandona-
to e alcuni edifici con i terreni coltivabili
dati in affitto 7. In quell’anno il borgo fa
fare un inventario dei beni da consegna-
re ufficialmente al nuovo «spedalingo»
prete Stefano Bossi, da cui risultano «un
sedime con cisterna, corte, lobbie, por-
tico più case in terra e in solaio con una
pezza di terra con chioso annesso, arati-
va e vignata con piante fruttifere giacen-
ti nel borgo di Mendrisio dopo la chiesa
di S. Giovanni, sopra la strada (…). Un
4 5
4. Il “Mastro di San Gio-
vanni”, con le spese della
ricostruzione della chiesa
dal 1721 (foto Anastasia
Gilardi).
sedime nel quale soleva
essere l’Ospedale ora det-
to dei pellegrini con più
case in parte diroccate e
in parte coperte di coppi
e in parte coperte di pa-
glia con corte e grande
aia, una cantina scoperta,
con piante di fico dentro e
un pezzo di chioso vigna-
to, giacente come sopra al
disotto della strada, dove
si dice all’Ospedale di S.
Giovanni» 8.
Nel 1449 muore il Tor-
riani (che di fatto manten-
ne il suo titolo di rettore)
e gli subentra Giovanni
Quartironi, che era parro-
co a Santa Maria di Tace-
no in Valsassina 9, il quale
dev’essersi trasferito a Mendrisio, se è lo
stesso che nel 1450 risulta essere priore
nella chiesa di San Sisinio dei Torriani
e Bosia, quando questa venne concessa
ai Servi di Maria come prima residen-
za nel borgo, insediati ufficialmente dal
1454 10. Trovando troppo anguste e dif-
ficili da ampliare le costruzioni di San
Sisinio alla Torre, i Servi di Maria già
nel 1476 chiedono di trasferirsi a San
Giovanni, dato che il rettore dell’ospe-
dale, ancora sempre Giovanni Quarti-
roni, dichiara di rinunciare liberamente
ad una delle sue due cariche (e morirà
l’anno successivo). Data dunque al 1477
la bolla papale che concede abitazione
in perpetuo ai Servi di Maria dell’ospe-
dale dei poveri di San Giovanni presso
Mendrisio, con «cappella» e sue perti-
5. La facciata della chiesa di
San Giovanni terminata nel
1729.
nenze, dove potranno edi-
ficare chiostro, dormitorio
e «officine». Priore risul-
ta essere fra’ Melchiorre
da Premonte (altrove da
Somma r iva), che pa re
dovette rivendicare il ti-
tolo ad un Giovan Pietro
Rossi di Pavia 11. Nel «tra-
slare» il convento da San
Sisinio, con esso anche la
dedica di un altare a San-
ta Caterina, che presumi-
bilmente venne eretto in
quell’occasione, difficile
ora dire se nella chieset-
ta di Santa Maria o suc-
cessivamente nella nuova
chiesa di San Giovanni 12.
Di questa abbiamo anco-
ra la bella lapide di fon-
dazione ad opera di frate Luca Garovi 1511 una Caterina Torriani istituisce un
nel 1503 e consacrata l’anno successivo; lascito per la riparazione della cappella
il recente restauro per la nuova collo- della Santissima Trinità, che però anco-
cazione nel chiostro ha rivelato la pre- ra nel 1514 risultava sprovvista di tutto,
senza sul bordo di lettere capitali incise convertendo il lascito in messe 17.
(ora a rovescio) che indicano il riuso di Murata nel chiostro ancora oggi si
una qualche lapide romana 13. Da cita- vede l’ancona di pietra dell’altare di
zioni successive sappiamo che la chiesa, Santa Caterina, con la scritta del 1514
con il suo coro, campanile e sagrestia che ricorda i committenti: Giovanni
(e portico davanti), aveva tre altari; nel Gaggini il genovese e la moglie Cate-
frattempo si ingrandì il convento con rina Lopia, tornati in patria nel 1507.
«quattro ali» di chiostro, undici celle per Ma il testamento di Giovanni del 1517
dormitorio e separato l’ospedale per i (erede il figlio adottivo Tommasino Ba-
pellegrini con «attacato» il giardino. Il ragino) lascia denaro per celebrazione
tutto murato intorno con «muraglie al- di messe all’altare dei Santi Rocco e Se-
te» 14. Le dediche degli altari risultano bastiano, e obbliga i frati a versare un
più tardi: uno alla Madonna (1504) 15, a supplemento per l’ancona lapidea fatta
Santa Caterina («traslato» da San Sisi- dal maestro Tommaso scultore, abitante
nio 16 ), ai Santi Rocco e Sebastiano. Nel a Como e per farla dipingere e dorare

da un bravo pittore. Comunemente inte-
so l’autore come Tommaso Rodari, non
bisogna però dimenticare che in un do-
cumento del 1529, essendo ancora viva
Caterina Lopia vedova di Giovani Gag-
gini, coi fratelli Giovanni Maria e Gio-
vanni Luigi figli del quondam Giovan
Pietro Lopia, abitanti a Como, insieme
al mastro Tommaso figlio del mastro
Giovanni Antonio Lopia di Mendrisio,
dona 25 scudi per acquistare terreni che
garantiscano la distribuzione di pane ai
poveri all’altare suddetto; e lo scultore
potrebbe essere questo loro imprecisato
parente Tommaso Lopia e non Roda-
ri, benché evidentemente assai vicino
alla produzione del più noto maestro.
Conferma l’attenzione dei Gaggini-Lo-
6 7
6. La “lapide” dipinta, situata sull’arco di
trionfo della chiesa che ricorda la riconsacra-
zione della chiesa nel 1738.
7. La “lapide” dipinta, situata in sagrestia,
che ricorda il frate Antonio Maria Baroffio,
morto nel 1797.
pia all’altare dei santi della peste anche
il testamento della moglie Caterina del
1525, che dona anche arredi e chiede
di essere deposta nell’attiguo sepolcro 18.
Ma pare non fossero i patroni titolari,
leggendo una nota del 1526 in un libro
di San Sisinio (forse scritta poco dopo la
ricostruzione settecentesca di San Gio-
vanni), in cui si ricorda che nel gradino
sopra questo altare di San Rocco, prima
che Innocenzo Torriani dipingesse la
pala attuale, c’era la scritta «Hoc opus
fecit fieri d.nus Christophorus de la Tur-
re fq d.ni Guidi ad honor’ B. M. V. S.
Jo.is Bap.ta S. Rocchi et S. Sebastia(…)
anno MCCCCCXXVI hoc est 1526 die
septimo ap.lis» 19.
Forse i denari di cui erano debitori
i Lopia del Baragino vennero poi con-
vertiti verso il 1548 in una qualche co-
struzione «in aumento della fabbrica del
monastero» 20, dove nel 1550 risultavano
residenti solo 4 frati 21. Altri lavori, al
campanile e riparazioni non specificate,
si registrano nel 1555 22, che forse culmi-
nano nella commissione della pala d’al-
tare a Cesare Carpani (anche Carpano),
sollecitata ancora nel 1577 23, e una nuo-
va campana nel 1578 24. In questo stes-
so anno, in via eccezionale, il visitatore
apostolico del vescovo Bonomi descri-
ve il convento, pur avendo il diritto di
sorvegliare solo l’ospedale. Per primo
registra il cattivo stato in cui si trova il
tabernacolo ove il sacramento è conser-
vato non come si deve, e l’icona (la tela
del Carpani) è da collocare sull’altare
maggiore, affermando i frati essere già
finita, ma presumibilmente non collo-
cata; l’altare di Santa Caterina è da re-
golare e chiudere con cancelli di legno;
quello di San Rocco invece con uno di
ferro, è sguarnito di quasi tutto e i due
sepolcri vicini sono da chiudere e ag-
giustare. Un terzo altare laterale risulta
dedicato all’Assunzione e anch’esso non
8. Giovanni Battista Bagutti, Il congedo
espone la suppellettile necessaria. Quasi di Gesù da Maria, 1792; una della quattro
ogni elemento citato: acquasantiere, se- “lesene” trasparenti per la facciata di San
polcri, confessionali, anche in sagrestia, Giovanni nell’allestimento di Casa Croci.
sono in qualche modo scorretti; inoltre
si conclude con una frase poco chiara nelle brevi note allegate alla visita pa-
relativa a non specificati «legni vecchi storale Carafino del 1635 risulta che
e altre cose» di origine profane trovate l’intero complesso fu completamente ri-
in chiesa, la cui conservazione va con- fatto a nuovo («totum fere Coenobium
siderata con cautela 25. Dopo il 1610 si de novo opera») tra il 1608 e il 1630 29.
concorda la costruzione di un organo 26, Si presume che il rigore di don Alfon-
che nel 1635 è attribuita alla volontà del so e l’aver «fortificato alcune parti del
priore Torriani 27, mentre un primo sala- convento» dove stava ritirato «più del
rio all’organista è citato nel 1640 28. solito», possa essere la causa del suo
Essendo priore Alfonso della Torre omicidio avvenuto il martedì santo del
venne restaurato e «migliorato» il com- 1641 nella cucina dove stava mangiando
plesso di convento e chiesa, regolando separato dagli altri per indisposizione,
anche la vita dei frati e il rapporto con a opera di sicari che gli spararono un
i fedeli, forse non molto buoni; infatti colpo di «schioppo». Pare che quest’at-
to di violenza fosse il culmine di altri
pessimi comportamenti dei frati, citati
come argomentazione alla chiusura del
convento 30. Ne conseguì la stesura di un
inventario abbastanza dettagliato, che
ci tramanda un’immagine, per quanto
sfocata, del complesso prima delle tra-
sformazioni settecentesche. Citando so-
lo i luoghi e oggetti rilevanti avremmo
potuto vedere: nel refettorio il tavolo
grande di noce e quattro quadri (Madda-
lena, Coena Domini, San Marco, San Luca)
e due stampe; cucina e ripostiglio con
pochi piatti e pentole; altri due ripostigli
accanto con tavoli, sedie e letti; la «ca-
scina» col fieno; l’orto molto ben descrit-
to («petrosemolo, spinacci, biede», ecc.),
pagliaio e «motta di grassa» nel cortile.
Nell’unica stanza dell’ospedale: due ma-
terassi di paglia con lenzuola e coperte,
due barelle e poco altro. Fuori dal con-
vento il «chioso», con legnaia dal conte-
8 9
9. Giovanni Battista Bagutti, L’orazione
nell’orto, 1791; il centrale della originale
IV° “porta” trasparente nell’allestimento
di Casa Croci.
nuto ben descritto in fascine, fieno, legni,
lino e formentone ad asciugare. In chiesa
l’organo per primo, poi il tabernacolo e
altre suppellettili compreso il paliotto di
cuoio dipinto a fiori. L’altare della Beata
Vergine, di Santa Caterina, di San Roc-
co, delle Sante Lucia e «Polonia» (per cui
si vedano le due bellissime tele del “Ma-
estro della Natività di Mendrisio” oggi al
Museo d’arte 31 ) (figg. 2-3) con progressi-
vamente meno arredi e ornamenti, sen-
za citare mai le ancone; banchi (tra cui
una «banchetta per la signora Focta») e
confessionali, altre consuete suppellettili
e qualche paramento in sagrestia. Unico
dipinto citato al termine del paragrafo
«un quadro indorato della Madonna».
10. Uno tra gli “Strumenti della Passione”,
tre lampionicini trasparenti e un “cartello”
per la processione del Venerdì Santo.
Tornando senza specificare nel conven-
to, «in tre stanze di sopra che vanno
l’una nell’altra», quasi sicuramente oc-
cupate dal defunto priore: 2 letti forniti
di tutto e sopra «un moschetto», tavolini
e altro tra cui (e la dice lunga sulla cul-
tura del compilatore), «uno strumento
di legno per riponer libri (…) sette qua-
dri grandi di pittura in tela: Annunciata,
Orazione nell’orto, Sacrificio d’Isacco, Ado-
razione dei Magi, Natività, San Gerolamo
nel deserto, tre stampe. Infine tre casse,
un baule chiusi a chiave, come sono, e
sigillate, tutte le altre stanze, perciò non
descritte» 32.
Nel 1644 il consiglio del borgo riam-
mette i frati nel convento 33, che proba-
bilmente d’allora in poi fanno in modo
di essere presenti ed attivi promettendo
di fare scuola ai bambini. Sono registrati
senza fonte 34 lavori di decoro e ornamen-
to alla «nuova» cappella di Santa Maria
delle Grazie intorno al 1658 che potreb-
bero concernere la costruzione dell’alta-
re in stucco con lo «spostamento» della
lunetta affrescata in avanti.
Non che il clima violento e fazioso del
borgo fosse cambiato, dato che nel 1662
altri due frati Torriani (Luca e il cugino
Eustachio) vengono assassinati 35. Il che
non impedisce alla famiglia, compatrona
dell’altare dei Santi Rocco e Sebastiano,
di commissionare al giovane Innocenzo
Torriani la pala d’altare tuttora visibile
in chiesa, firmata e datata 1668 36.
L’anno successivo viene incisa la lapi-
de oggi sulla facciata di Santa Maria del-
le Grazie che invita i pellegrini a sosta-
re, e dovrebbe risalire a questo periodo

l’esecuzione di una nuova statua del Cri-
sto morto per la processione del Venerdì
Santo, la cui organizzazione dovrebbe
– in assenza di altri documenti – almeno
da questo secolo essere stata assunta dai
Servi di Maria, mentre per quella del
Giovedì Santo risultano poi incaricati
confratelli del Sacramento. Quanto me-
no da qui in poi le processioni diventano
una manifestazione che coinvolge uffi-
cialmente quasi tutte le autorità e istitu-
zioni borghigiane, per cui alcune spese
sono riportate nei registri 37.
La visita pastorale del 1671 concer-
ne solo la stanzetta dell’ospedale, con
i due lettucci malconci, umida (ancora
nel 1685), seminterrata e buia come una
cantina, indecente, a cui si accede dal-
10
11. Il quadrante dell’orologio dipinto da
Giovanni Battista Poconi nel 1796.
la parte dell’oratorio delle Grazie, ma,
dopo la porta, c’è una corte abbastan-
za ampia 38. Un documento disperso del
1675, citato da Mario Medici, riporta le
spese per sassi di granito del pavimento
dell’oratorio, mentre si lastricava anche
la strada davanti 39.
I più numerosi e vari documenti del
Settecento sembrano trasmetterci un’im-
magine finalmente quasi solo positiva
del convento, ricostruito e arricchito du-
rante tutto il secolo: la prima nota sui
fogli residui del mastro delle spese con-
cerne proprio l’acquisto del libro stesso,
per ben lire 3.30 e meriterebbe da solo
una pubblicazione a sé 40 (fig. 4).
Veniamo a sapere che – iniziando nel
novembre 1721 – si cavarono i sassi ne-
cessari dalla vicina regione di Selvetta,
poi scavate le fondamenta di sei piloni,
i primi due davanti alla porta della vec-
chia chiesa, che perciò dobbiamo presu-
mere più corta dell’attuale; a fine genna-
io il lavoro era terminato e si provvide
ad «aggiustare» quella parte della chiesa
che si tenne in piedi e chiusa per potervi
officiare mentre il resto (la navata) veni-
va demolito. Nell’aprile 1722 inizia «l’al-
zata della chiesa» e a fine anno erano già
a tetto, così che nel marzo del ’22 il pit-
tore Venerio Bellasio dipinge una finta
architettura sulle volte e nelle cappelle
(fig. 5). L’architetto Magni è citato solo
riguardo l’accordo con il fabbro che for-
nisce le «chiavi» o tiranti: sappiamo era
Giovan Pietro 41, anche stuccatore, e in
questo stesso anno cominciano anche i
suoi colleghi Carlo Moreschi, Francesco
Spinedi, Antonio Catenazzi, e Giovan
12. La cassa che ospita i pesi dell’orologio.
13. Il documento all’interno dell’orologio
che ricorda il costruttore Salvatore Santini da
Cadempino, 1796 (foto Anastasia Gilardi).
11
Giulio Brenni; interverranno poi anche
Pietro Antonio e il figlio Domenico Ber-
nasconi. Nel 1724 il Bellasio dipinge gli
«ovati» nella facciata (fig. 5) (per affinità
credo siano sue le cornici alle finestre
in coro: una verso la sagrestia e finta di
fronte); direi quasi ovviamente i marmi
sono forniti da Agostino Rossi di Arzo,
ma sono citati anche falegnami, fabbri,
muratori e altri operai. Il secondo altare
a sinistra entrando fu dedicato (credo
per la prima volta) alla Madonna dei
Sette dolori per commissione del priore
di allora, Carlo Antonio Torriani, che
lasciò una scritta incisa in marmo nero
sulla cimasa, poi in seguito coperta da
un dipinto; nella pala ancora oggi vi-
sibile compare la Madonna che distri-
buisce gli scapolari ai sette santi fonda-
tori dell’ordine, ma sul petto si vedono
le tracce di un cuore con le sette spade
che vi era stato aggiunto, chiaramente
adattando il dipinto alla nuova dedica.
Nel 1728 il marmorino Antonio Spine-
di, incaricato di fare le balaustre faceva
debiti in paese e «non comparve più,
posto che hebbe in piedi» la sua opera.
Finalmente nel 1729 venne demolito il
vecchio coro ed eretto il nuovo, questa
volta per mano dei capimastri Cesare
e Giovan Battista Calderari di Ranca-
te, su disegno dell’architetto di Lonato
Giuseppe Antonio Soratini allora attivo
specie in Emilia, a conferma dei contatti
regolari del nostro convento con quelli
della regione padana 42 . Gli stucchi so-
pra il cornicione e attorno alle finestre
furono affidati ai Bernasconi di Balerna,
capitelli e mensole di nuovo a Francesco
Spinedi di Somazzo mentre gli stucchi
sotto il cornicione ad Antonio Catenaz-
zi; avendo lo Spinedi «tagliato la corda»,
la balaustra del coro fu eseguita da Ga-
sparo del Giudice di Tremona. Anche
l’organo fu spostato e riadattato, se non
quasi completamente rifatto da Giovan
12
Battista Raina, e anche per la chiesetta
delle Grazie nel 1731 si fece un «orga-
nino». Finita la chiesa nel 1733, venne
consacrata nel 1738 (fig. 6), ma le note
sul mastro non finiscono qui, riportan-
do altre spese per il dormitorio e una
«nuova fabbrica» per il convento ancora
fino al 1757.
Nei decenni successivi la chiesa si ar-
ricchì di numerose opere, tra cui la serie
dei 12 dipinti con i Santi e Beati dell’or-
dine, ora non più esposti, dietro alcuni
dei quali c’è la scritta che ricorda come
fossero stati portati a Mendrisio dal fra-
te Antonio Maria Baroffio tornato in pa-
tria a seguito della soppressione del suo
convento a Piacenza nel 1769; in uno si
legge la data 1764 e i nomi dei due pitto-
ri Antonio Bracchi e Giuseppe Compa-
retti «piacentini». E molto altro si portò
via dal convento di Sant’Anna in Pia-
cenza, in parte trasferito in Borgo San
Donino, tanto che nel «Libro dei partiti»
di Mendrisio oggi nell’archivio generale
a Roma si legge che il padre Provinciale
«manifestò (invano) qualche pretesa su-
gli arredi di chiesa», che – insieme a non
specificate offerte o opere poi vendute –
furono usate da Antonio Maria Baroffio
per «fabricare la sacristia e dipingere la
chiesa» 43 (fig. 7). Suppongo che abbia la
stessa origine il bel ritratto del nostro
frate oggi in Casa Croci. In questi stessi
anni sono datati alcuni dei «Sette dolori
di Maria» ai lati delle pale d’altare nelle
cappelle laterali, eseguiti da Domeni-
co Pozzi: Gesù incontra la Madre (1767),
Il trasporto del Cristo (1768) 44. Degli altri
uno “fuori serie” con L’angelo al sepolcro
è attribuito a Giovan Battista Bagutti 45,
mentre appaiono di mano diversa sia
La crocifissione, sia Il compianto sul Cristo
morto, attribuibile a Ignazio Stern, se-
condo Vittorio Sgarbi 46.
Sopra al cornicione a destra nel pre-
sbiterio ci sono le firme di Giovanni
Battista Bagutti che nel dicembre del
1774 dipinse la volta con il quadratu-
rista Battista Brenni, lo stesso anno in
cui si aprì la nicchia nella cornice per la
pala d’altare nell’abside per ospitare la
statua vestita dell’Addolorata, mentre la
nuova sagrestia ancora oggi esibisce sul
muro verso l’ingresso al cortile la scritta
«1775 maggio», replicata all’interno dal
capomastro Giovanni Baroffio. E anco-
ra diversi lavori di ogni genere tanto in
chiesa quanto in convento, compresa –
finalmente – la convenzione tra i frati e
il comune a proposito della scuola pro-
messa fin dal 1644; infine istituiranno
un collegio «privato», diremmo oggi,
per compensare la spesa dei maestri e
dei locali disponibili per i ragazzi del
borgo. Quando muore fra’ Antonio Ma-
ria Baroffio viene steso in più copie un
elenco delle sue cospicue donazioni, tra
14. La vasca granitica, forse battesimale,
cui: il «copri cielo» sopra l’altare (oggi in ritrovata nel 1961 nel giardino di Casa Maggi
deposito in attesa di restauro), l’altarino (all’estrema sinistra nella foto 1).
e la barella per esporre e trasportare la
statua dell’Addolorata durante le proces-
sioni, paramenti, arredi e suppellettili sicuramente – considerata la mole di la-
per la chiesa 47. voro – dovette ricorrere a collaboratori,
Non sono citati perché probabilmen- rimasti anonimi, ma credibilmente iden-
te furono pagati da privati cittadini, ben- tificati in Francesco Catenazzi – e poi i
ché quasi sicuramente promossi e com- loro figli, Abbondio Bagutti e Augusto
missionati da lui stesso, anche la grande Catenazzi –. Che questi straordinari ap-
«ancona» o altare posticcio in tela sago- parati effimeri, dipinti con una tecnica
mata e dipinta nel 1794 dal Bagutti per unica che consente l’esposizione all’a-
esporre l’Addolorata durante il Settena- perto delle tele prolungata anche fino a
rio precedente la Settimana Santa, e di un mese, facessero parte di una sorta di
cui finalmente ora si sta concordando il “promozione” dell’ordine committente
restauro col ripristino dell’armatura di dei Servi di Maria lo dimostra il fatto
sostegno; ma soprattutto i così detti “tra- che i soggetti non sono incentrati solo
sparenti” che illuminano le processio- sulle scene ricorrenti nelle storie della
ni notturne. Sappiamo che l’esecuzione Passione di Cristo, ma contemplano an-
della prima serie di dieci archi luminosi che episodi dedicati a sua Madre, o tali
a due facce composte a trittico (e così da mettere la sua figura in primo piano
anche delle quattro «lesene», sei «vele», (figg. 8-9-10). I pochissimi documenti
lampioncini e altre ancora) era stata affi- conservati a proposito confermano co-
data al Bagutti, che ha lasciato su alcuni munque che fu proprio fra’ Antonio Ma-
la firma e le date del 1791 e 1792, ma ria Baroffio a «gestire» la commissione,
13
installazione e deposito di questo patri-
monio in continua crescita (e inevitabile
dispersione) fino ad oggi, al punto da
spingere il Cantone a candidare le pro-
cessioni per l’iscrizione nella lista delle
tradizioni viventi dell’Unesco 48.
L’ultimo quarto del Settecento non
era comunque tempo favorevole agli or-
dini ecclesiastici e attività di «moderne»
promozioni come queste o l’apertura
della scuola avevano anche la funzione
di ancorare il convento alla vita colletti-
va e all’identità culturale del borgo. Nel
1786 il convento è assegnato alla Provin-
cia piemontese 49 e si provvide nel frat-
tempo ad ampliare i locali per il convit-
to e la scuola 50 ; Bagutti eseguì nel 1791
anche i deliziosi ovali esposti sugli altari
dedicati ai santi dell’ordine, e l’anno suc-
cessivo il decoratore Giovanni Battista
Poconi di Mendrisio firma il fregio bian-
co e verde nel cornicione interno della
chiesa. Nel 1795 è invece Antonio Ba-
roffio che firma i dipinti neoclassici della
sagrestia, e del 1796 è l’orologio ancora
funzionante con due quadranti interno e
nel chiostro, firmato da Salvatore Santi-
ni da Cadempino in un foglietto riposto
nella cassa dei pesi apribile nel corridoio
del Museo d’arte (figg. 11-12-13). Infine
sempre al Bagutti è attribuito l’affresco
sull’arco trasversale tra la chiesetta delle
Grazie e il muro del giardino di fronte,
che è stato spesso ritenuto un residuo del
più volte citato «portone» del borgo.
L’ondata rivoluzionaria di fine seco-
lo coinvolse i locali ormai inutilizzati
dell’ospedale situati di fronte alla chiesa
delle Grazie, che pare fossero il «quar-
tier generale» dei Cisalpini 51, cioè dei
mendrisiensi favorevoli all’annessione
all’Italia del baliaggio appena liberato
e non ancora Cantone nel 1798. E già
nel 1810-11 si prospetta la chiusura del
convento, o quanto meno si ordina un
primo sommario inventario, come tutti
14
i successivi ancora oggi nel fondo «Con-
venti soppressi» dell’archivio di Stato a
Bellinzona. L’asciutto elenco delle stan-
ze riproduce la situazione ancora oggi
individuabile, pur considerando i cam-
biamenti successivi, ovviamente iden-
tificando la funzione mutata dei loca-
li, alcuni dei quali sono detti già allora
«tramezzati» affinché i sette frati più
un converso potessero lasciar posto ai
convittori e alla scuola 52. Così che quan-
do nel 1813 l’ingegner Giulio Pocobelli
viene incaricato di progettare la nuova
strada finalmente cantonale, fa demolire
non solo l’antico portone, ma anche par-
te dei «rustici» che i frati avevano al di
sotto della strada. Gli ultimi residui dei
«pilastri» furono smantellati nel 1838 e i
sassi usati nella costruzione del cimitero
dei Torriani sotto San Sisinio 53. Essendo
la nuova strada in questo tratto parallela
al convento «piatta», cioè senza il dosso
centrale, attirava i ragazzi del posto per
giocare a pallone, che – come tutti pallo-
ni – prima o poi finiva oltre muro «inva-
dendo» la clausura dei frati e distraendo
i convittori 54. Forse a questo scopo tra
il 1821 e il ’23 il priore di allora com-
missionò all’architetto Luigi Fontana l’e-
secuzione di un nuovo portico davanti
alla chiesetta delle Grazie, abbastanza
ampio da ospitare (forse solo teorica-
mente) una «stanza» al di sopra, acces-
sibile dal primo piano del convento 55.
Quasi sicuramente questo intervento si
prolungò fino all’esecuzione degli orna-
ti neoclassici ancora visibili all’interno
dell’oratorio, datati 1829 e attribuiti ad
Alessandro Poconi 56.
Il relativo successo del collegio è di-
mostrato dalla necessità di ampliamento
dei locali, essendo registrata nel 1824 la
costruzione di una nuova ala nella «se-
conda corte interna», o meglio, i portici
e rustici del cortile furono chiusi o rial-
lestiti per ospitare locali per la scuola 57.
Ma durò poco: la soppressione di questo
come di quasi tutti gli altri conventi tici-
nesi avvenne nel 1852, generando una
serie di inventari, valutazioni, descrizio-
ni e documenti diversi, in parte ancora
nell’archivio cantonale, mentre invece
quello del convento venne disperso, in-
viando i libri amministrativi a Bellinzo-
na (concernenti i terreni) e a Roma (con-
cernenti i frati). Resta da chiarire come
e da chi furono preservati i fogli del
mastro settecentesco sopracitato, che
pervenne alla biblioteca Patria presso la
cantonale di Lugano per dono del Prof.
Arturo Ortelli nel 1955. I frati, quasi
tutti italiani, tornarono ai luoghi d’ori-
gine, e tutto il complesso incamerato
dallo Stato venne destinato ad ospitare
le scuole, il ginnasio e poi altre, mentre
la chiesa con ogni suo arredo – compre-
si i “trasparenti” – venne ceduta al Co-
mune, che delega la manutenzione e le
funzioni alla parrocchia. Ma prima che
questa situazione si assesti, per un breve
tempo (5 anni) furono chiamati nel 1888
i salesiani per condurre la scuola 58, pri-
ma che si trasferissero a Maroggia.
Col nuovo secolo si registra dappri-
ma l’iscrizione dell’oratorio delle Grazie
tra i beni protetti (1911), quindi la cessio-
ne delle funzioni e manutenzione degli
spazi sacri alla confraternita del Sacra-
15. Il sarcofago tardo antico trovato nel chio-
stro durante gli scavi del 1976.
mento, ragione per cui suoi libri oggi si
trovano in archivio Comunale anziché
parrocchiale come avrebbe dovuto esse-
re. Un primo grande restauro di quello
che era ormai il ginnasio è del 1933, col
progetto di ornare la semplice e spoglia
facciata su via Pasta con decorazioni ti-
piche del gusto eclettico dell’epoca 59.
Il noto restauratore Ottorino Olgia-
ti interviene a fissare qualche elemen-
to precario nella lunetta giottesca delle
Grazie nel 1948 e da allora in poi non
è più stata toccata. Finalmente nel 1955
anche la chiesa di San Giovanni diventa
monumento protetto, mentre l’inaugu-
razione dei restauri del ginnasio è del
1958, e nel successivo gli interventi all’o-
ratorio delle Grazie riportano in vista le
strutture romaniche. Durante ulteriori
lavori nel 1961 si rinviene la curiosa va-
sca lapidea figurata (fig. 14), interpretata
come una riserva per l’acqua battesi-
male e incertamente datata, ora espo-
sta nel chiostro stesso  60. Progettando
di spostare le scuole che ormai stanno
strette nei vecchi locali del convento,
nel 1967 anche questi vengono iscritti
tra i beni protetti, compreso l’arco ri-
15
 (6)
A. Crivelli-A. Gilardi, Manto di Giubilo cit., p. 112.
tenuto il vecchio portone, e quindi nel no lucido dei diversi stucchi, ciascuno (7)
G. Martinola, Conventi di Mendrisio cit., pp. 6-7; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 183.
1973 iniziano i restauri cominciando dal diverso e felicemente privo delle con- (8)
Documento trascritto in [G. Franchini], Esposizione dei diritti spettanti al borgo di Mendrisio sui beni del soppresso
tetto della chiesa per proseguire con le suete ottundenti scialbature. Seguono Convento dei PP. Serviti, coi principali documenti che servono al loro appoggio, Mendrisio 1852, pp. 37-41.
prime indagini archeologiche condot- nel 1996 l’intervento sulle pareti interne (9)
M. Medici, Storia di Mendrisio cit., pp. 335 e 337-338.
(10)
Ibidem, Storia di Mendrisio cit., p. 215; per l’insediamento effettivo dei Servi di Maria in San Sisinio vedi [G. Fran-
te da Pierangelo Donati tra il 1975 e il dell’oratorio delle Grazie e poi nel 1997-
chini], Esposizione dei diritti spettanti al borgo di Mendrisio cit., p. 221, e M. Medici, Storia di Mendrisio cit., pp.
1981 (fig. 15). Finalmente nel 1982 viene 98 della facciata di San Giovanni, anche 201 e 221; in Archivio di Stato a Bellinzona, nel fondo “Diversi”, n. 1190 si conservano alcuni fogli con trascrizioni
inaugurato il Museo d’arte nei locali re- in questo caso restituendo in tono mino- di documenti per lo più perduti concernenti Mendrisio, fatte da don Giosuè Beroldingen (prevosto a Mendrisio tra il
staurati dall’architetto Lino Caldelari, re le tracce della decorazione originaria, 1830 e il 1837), tra cui la trascrizione della bolla pontificia che concede ai Servi di Maria l’insediamento a San Sisinio,
che ancora nel 1994 conduce l’interven- benché in gran parte scomparsa nelle datata 1451. I primi documenti che confermano la presenza dei frati datano a tre anni dopo: G. Martinola, Conventi
to – allora straordinariamente conser- parti figurative dei riquadri in cui erano di Mendrisio cit., p. 10; Ibidem, Inventario delle cose d’arte e di antichità cit., p. 285; M. Medici, Storia di Mendrisio
cit., p. 209.
vativo – nella chiesa di San Giovanni rappresentati i santi. La seconda campa- (11)
G. Martinola, Conventi di Mendrisio cit., p. 11; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., pp. 203-204; il documento del
con il restauratore Silvano Gilardi, che gna archeologica in previsione dell’am- 1477 è interamente trascritto da don Beroldingen, in ASTi, Diversi, 1190; vi è conferma anche in ASDL, Fondo Visite
può restituire alla chiesa il suo aspetto pliamento del museo e allestimento dei pastorali dei vescovi di Como, Lazzaro Carafino, 1635, p. 346; Ambrogio Torriani, 1671, fasc. 136.
settecentesco quasi integro, mantenen- depositi per i “trasparenti”, avviene del (12)
G. Martinola, Conventi di Mendrisio cit., p. 10.
do ogni sfumatura di bianco più o me- 2004.
(13)
Riprodotta più volte; da ultimo in Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, Catalogo
della mostra, Rancate 10 ottobre 2010 - 9 gennaio 2011, Milano 2010, pp. 33-34 e 62; si veda anche il saggio di Mirko
Moizi in questo volume.
(14)
Così risulta dai libri conservati nell’archivio dell’ordine dei Servi di Maria a Roma, secondo quanto si legge in Chiese
e Conventi dell’Ordine dei Servi di Maria: quaderni di notizie, a cura di fra Ubaldo M. Forconi, n. 24, Viareggio
(1)
Traggo l’informazione – come poi faranno gli autori successivi – da E. Gruber, Die Humiliaten im alten Tessin, 1979, p. 159.
«Zeitschrift für Schweizerische Geschichte», XVIII, 1938, 3, pp. 300-302, il quale cita come sua più antica fonte (15)
Citato in un elenco di Rendite delle messe nel 1717: «3. all’altare della Madonna, per il rev.do Nicolao Torriani» in
le “Croniche” di fra’ Giovanni di Brera del 1419 e di Marco Bossi del 1493, in G. Tiraboschi, Vetera Humiliatorum ASTi, Fondo Conventi soppressi, Serviti, c. 76.
monumenta annotationibus, ac dissertationibus prodromis illustrata, quibus multa sacrae, civilis, ac literariae me- (16)
Dalle trascrizioni Beroldingen, in G. Martinola, Conventi di Mendrisio cit., p. 10.
dii aevi historiae capita explicantur auctore Hieronymo Tiraboschio Soc. Jesu in Braidensi universitate rhetoricae (17)
Per entrambi gli altari: Ibidem, Conventi di Mendrisio cit., p. 51.
professore, 3 voll., Joseph Galeatius regius typographus, Milano 1766-1768, pp. 228 ss. Il Tiraboschi è anche la fonte (18)
L’ancona lapidea è stata più volte pubblicata; da ultimo L. Damiani Cabrini, Un lago di pietre e marmi. Apporti
– non sempre citata – tanto di A. Baroffio, Memorie storiche sulle diverse chiese ed oratorj esistenti in Mendrisio, “ceresiani” alla scultura rinascimentale lombarda, in Una scultura di Tommaso Rodari, Lugano 2013, pp. 23-35.
Bellinzona (estratto da «BSSI», I, 1879), pp. 8-13 e 32-35, quanto di S. Monti, Atti della Visita pastorale di Feliciano Consultato (IX-XI.2013) in: http://issuu.com/artsolution/docs/canessoristretto. Le vicende di committenti in G.
Ninguarda Vescovo di Como (1589 - 1593) ordinati ed annotati dal sac. Dott. Santo Monti e pubblicati per cura dalla Martinola, Conventi di Mendrisio cit., pp. 50 e 52-53; ibidem, Storia di Mendrisio nei secoli XVI - XVIII, Bellinzona
Società Storica Comense negli anni 1892 - 1898, Como 1892-1898 [segue ristampa corredata dell’indice 1903 e rie- 1969, pp. 36-38 [nota anche come Piccola storia di un borgo, «BSSI», LXXXI, 2 - 3, pp. 79 - 129]; M. Medici, Storia
dizione 1992] e S. Borrani, Il Ticino sacro. Memorie religiose della Svizzera italiana, Lugano 1896. Per gli Umiliati di Mendrisio cit., p. 785; si veda anche il saggio di Mirko Moizi in questo volume.
in Ticino la fonte più recente è la voce nel DSS (Dizionario Storico della Svizzera), 2014, di A. Moretti (consultabile (19)
Liber primus ex parrochialibus baptizatorum, matrimoniorum et mortuorum ab anno 1557 ad annum 1589, nell’Ar-
online: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I11717.php?topdf=1), che nel 1988 aveva già curato l’omonima sezione chivio parrocchiale di San Sisinio. La scritta è su un foglio incollato alla prima pagina; anche in E. Torriani,
in Helvetia Sacra, IX/ 1 (anche in e-periodica: https://www.e-periodica.ch/cntmng?pid=szg-006:1989:39::666). Nel Alcuni documenti del soppresso monastero dei padri Serviti di Mendrisio, estratto da «Revue d’Histoire ecclés-
1993, in occasione della prima fase dei restauri della chiesa di San Giovanni condotti dall’arch. Lino Calderari e da iastique suisse», 1917, p. 192 (fascicoli estratti e rilegati nella Biblioteca dei Cappuccini a Lugano; anche in e-pe-
mio padre Silvano Gilardi per gli apparati decorativi, avevo svolto le ricerche storiche e documentarie sul complesso, riodica: https://www.e-periodica.ch/cntmng?pid=zf k-001:1917:11::333 e https://www.e-periodica.ch/cntmng?pi-
usufruendo delle informazioni raccolte negli archivi a partire dal 1989 per la tesi di laurea in Storia della critica d=zfk-001:1917:11::342 e https://www.e-periodica.ch/cntmng?pid=zfk-001:1917:11::350).
d’arte, con il prof. Gianni Romano, a Torino (A. Gilardi, Arredi ecclesiastici nelle chiese di Mendrisio nei sec. XVIII (20)
Ibidem, Alcuni documenti del soppresso monastero cit., p. 32.
e XIX (Fonti e inventari), tesi di laurea con relatore Prof. G. Romano, 1991). (21)
G. Martinola, Storia di Mendrisio cit., p. 36.
(2)
Quasi ogni altra informazione qui di seguito citata è rintracciabile anche in G. Martinola, Inventario delle cose d’arte (22)
Ibidem, Conventi di Mendrisio cit., p. 54; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., pp. 308 e 313.
e di antichità del distretto di Mendrisio, Bellinzona 1975, pp. 261-285, e M. Medici, «Briciole di storia mendrisien- (23)
Ringrazio Edoardo Villata per avermi segnalato la tesi di laurea della sua allieva Chiara Dominioni sulla famiglia
se», quaderno VII, 1985, pp. 275-338, i quali rimandano sovente ad altre proprie pubblicazioni precedenti; i beni Carpano, Anno Accademico 2016/2017, a cui ho fornito le poche informazioni note sulla pala di Mendrisio (in G.
confinanti con l’«Hospitali sancti Johannis de Mendrixio» in M. Medici, Storia di Mendrisio, Mendrisio 1980, p. 22 Martinola, Conventi di Mendrisio cit., p. 35), presentata alle pp. 35-37, 39, e schedata alle pp. 75-76; immagine 22 a
è tratta da L. Brentani, Codice diplomatico ticinese. Documenti e regesti, vol. III, Lugano 1929, p. 45. p. 120.
(3)
Per la viabilità nel Mendrisiotto, si può in parte fare ancora riferimento a O. Camponovo, Sulle strade regine del (24)
Chiese e Conventi dell’Ordine dei Servi cit., p. 159.
Mendrisiotto. Cronache e documenti per la storia di un baliaggio, Mendrisio, e di una pieve, Balerna, Bellinzona (25)
ASDL, Fondo Visite pastorali dei vescovi di Como, copia fax-simile del “Codice Carafino”, visita Bonomi, 1578, pp.
1976 (II° ed. del 1958), pp. 363-397; cartine inserite tra p. 9 e p. 10. 50-57.
(4)
Oltre agli aggiornamenti archeologici, un breve riassunto delle fasi storiche illustrato da una cartina elaborata sul (26)
M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 295.
rapporto di Pierangelo Donati del 1981 si trova in: Manto di Giubilo. Arredi sacri nelle chiese di Mendrisio tra il (27)
[G. Franchini], Esposizione dei diritti spettanti al borgo di Mendrisio cit., p. 65.
XVI e il XX secolo, a cura di A. Gilardi-A. Crivelli, Catalogo della mostra, Mendrisio 14 aprile - 28 maggio 2000, (28)
E. Torriani, Alcuni documenti cit., p. 44.
Mendrisio 2000, pp. 112-115. (29)
ASDL, Fondo Visite pastorali dei vescovi di Como, Lazzaro Carafino, 1635, p. 346.
(5)
G. Martinola, Inventario delle cose d’arte e di antichità cit., pp. 36-38; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 785; (30)
ASTi, Fondo Torriani, VI, Serviti, 62; 1917, Torriani, pp. 110-125; da cui citazioni successive.
più diffusamente in G. Martinola, Conventi di Mendrisio, «BSSI», XX, 1945, 1, pp. 5-6. (31)
L’ultima scheda di Laura Damiani Cabrini in Serodine e brezza caravaggesca, pp. 138-139.

16 17
(32)
[G. Franchini], Esposizione dei diritti spettanti al borgo di Mendrisio cit., pp. 74-80.
(33)
E. Torriani, Alcuni documenti cit., p. 123.
(34)
M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 336.
(35)
E. Torriani, Storia ecclesiastica di Mendrisio dalla metà del secolo decimoquinto a noi, elaborata su autentiche
memorie, Como 1922, pp. 86-67; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 322.
(36)
L. Damiani Cabrini-A. Gilardi, Francesco e Innocenzo Torriani. Opere e vicende di due artisti del Seicento, Catalo-
go della mostra, Mendrisio 2006, tav. 5 a p. 20 e pp. 9, 11,13, 51, 67.
(37)
Ho raccolto e riassunto più volte le poche notizie documentarie sulle processioni di Mendrisio, aggiornando i testi di
Martinola e Medici; da Mater Dolorosa. Sculture e rilievi in Ticino dal XIV al XVIII secolo, a cura di A. Gilardi – A.
Crivelli, Catalogo della mostra, Mendrisio 13 marzo - 26 aprile 1998, Mendrisio 1998, pp. 26-29; L’orazione nell’orto
di Giovan Battista Bagutti. Storia e restauro di un trasparente, a cura di S. Soldini – A. Gilardi-J. Gilardi, Chiostro
dei Serviti, Mendrisio 2000, pp. 13-14 (esaurito; edito in academia.edu come: https://www.academia.edu/30948246/
Il_restauro_di_un_apparato_effimero_trasparente_del_Settecento_per_la_Settimana_santa_di_Mendrisio); da ulti-
mo nel sito ad esse dedicato: http://www.processionimendrisio.ch/pages/_it_/p1-1.htm
(38)
ASDL, Fondo Visite pastorali dei vescovi di Como, Ambrogio Torriani, 1671, fasc. 136.
(39)
M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 336.
(40)
Si tratta di una dozzina di fogli sciolti, tra cui quattro incollati tra loro lungo il margine, alcuni in pessime condizioni
di conservazione; conservati in una busta che li registra come “Dono del prof. Ortelli” e depositati nella Libreria
Patria della Biblioteca cantonale di Lugano sotto la segnatura 27 - A - 3.
(41)
La scheda che gli ha dedicato Ursula Stevens in Artisti Ticinesi in Europa (https://www.artistiticinesi-ineuropa.ch/
ita/magni-gp-ita.html ) non riporta la bibliografia in italiano, per altro non recente; oltre a G. Martinola, Inventario
delle cose d’arte e di antichità cit., pp. 121, 132, 262, 278; e G. Ortelli-Taroni, Castel San Pietro. Storia e vita quo-
tidiana, Basilea 1994, pp. 80, 185, 186; Agustoni – I. Proserpi, Decorazioni a stucco del Settecento nel Luganese e
nel Mendrisiotto, «Arte + Architettura in Svizzera», 1995, 3, p. 271 (anche https://www.e-periodica.ch/cntmng?pi-
d=kas-002:1995:46::585).
(42)
Ho ricordato i contatti dei Servi di Maria con i conventi padani l’ultima volta nella scheda concernente la statua del
Beato Porro, in Legni preziosi. Scultura, busti, reliquiari e tabernacoli dal Medioevo al Settecento nel Cantone
Ticino, a cura di E. Villata, Catalogo della mostra, Rancate 16 ottobre 2016 - 22 gennaio 2017, Cinisello Balsamo -
Rancate 2016, pp. 172-173.
(43)
Come risulta dalle fotocopie del Libro dei partiti del convento di San Giovanni in Mendrisio, 1972, p. 133, inviatemi
nel 1990 dall’archivista dell’ordine, Odir Jacques Dias.
(44)
Per Domenico Pozzi rimando al mio articolo: A. Gilardi, Domenico Pozzi da Castel San Pietro (1745 - 1796), «Nuovi
Studi», 2005, 11, pp. 277-282.
(45)
Giovanni Battista Bagutti 1742 - 1823, a cura di E. Agustoni – I. Proserpi, Catalogo della mostra, Rancate 16 settem-
bre 1994 - 30 novembre 1994, Locarno 1994.
(46)
La figura di Maria svenuta nel nostro dipinto è quasi speculare a quella nella Deposizione di Cristo nel sepolcro nella
chiesa di Castell’Arquato.
(47)
In ASTi, Fondo Torriani, V, 2, Serviti, doc. 155, pubblicato in E. Torriani, Storia ecclesiastica di Mendrisio cit.,
Como 1922, pp. 150-152 e in seguito più volte citato.
(48)
Per la bibliografia rimando ancora a quanto ho scritto nel sito http://www.processionimendrisio.ch/pages/_it_/p1-1.
htm o per il piccolo museo ad essi dedicato, in Casa Croci a Mendrisio.
(49)
Chiese e Conventi dell’Ordine dei Servi cit., p. 170.
(50)
M. Medici, Briciole di storia mendrisiense, VII, 1975, p. 16.
(51)
Ibidem, Storia di Mendrisio cit., p. 964.
(52)
ASTi, Fondo Conventi soppressi, Serviti, c. 77.
(53)
G. Martinola, Storia di Mendrisio cit., pp. 36-38; M. Medici, Storia di Mendrisio cit., p. 785.
(54)
ASTi, Fondo Conventi soppressi, Serviti, c. 77.
(55)
La corrispondenza si trova in ASTi, Fondo Cantoni-Fontana, sc. 13, busta 91, sc. 10, busta 67.
(56)
Kalendarium rerum magis notabilium a die qua primum ego clericum indui usque in posterum, a cura di E. Pomet-
ta-G. Martinola, «BSSI», VI, 1931, 2, p. 73; G. Martinola, Inventario delle cose d’arte e di antichità cit., pp. 284-285.
(57)
Ibidem, Inventario delle cose d’arte e di antichità, cit., p. 263.
(58)
E. Torriani, Alcuni documenti del soppresso monastero dei padri Serviti cit., p. 191.
(59)
Archivio dei Beni culturali, c. 157.
(60)
M. Medici, Importante ritrovamento archeologico a Mendrisio, «BSSI», 1962, pp. 16-18.

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