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Ê   : il mito del titano

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- Prometeo ( ³Prometeo incatenato´, Eschilo; ³Prometeo´, Luciano)

 Catone ( ³Pharsalia´, Lucano)

- Alfieri e Foscolo ( ³Sublime specchio di veraci detti´, Rime, Alfieri; ³Solcata ho fronte´, Poesie, Foscolo)

- Bruto (³Bruto Minore´, Canti, Leopardi)

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 Saul ( Alfieri )

- Alessandro Magno ( ³Alexandros´, Poemi conviviali, Pascoli.)

- D¶Annunzio ( ³L¶incontro con Ulisse´, Maya, D¶annunzio)

-³Manifesto del Futurismo´ ( Marinetti)

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Socrate

Gesù di Nazareth

Perelà ( ³Il codice di Perelà´, Aldo Palazzeschi).

   

 

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Durante il mio percorso di studi, ho spesso esaminato autori e personaggi che si identificano nel modello
antropologico del Titano; questa modalità comportamentale, affascinante e attraente, apparentemente votata
al successo, risulta, però, sempre destinata al fallimento: il Titano appare ³geneticamente´ quotato alla
sconfitta, indipendentemente dalla tipologia di ideali per i quali lotta; egli, infatti, cerca di ottenere una
vittoria assoluta, difendendo valori o ³disvalori´, ovvero valori con un fondamento etico o senza fondamento
morale . Distinguerò, pertanto, due tipologie titaniche: quella etica, che interviene nella storia sulla base di
presupposti morali, e quella ³anetica´, che agisce senza valori o basandosi su valori negativi .

A fronte di queste riflessioni, ho trovato affascinante l¶idea di indagare le cause che portano questa scelta
antropologica alla ³caduta´, ovvero mettere in luce le criticità proprie di questo modello che determinano
necessariamente il suo fallimento.

Ho individuato, poi, l¶esistenza di un¶ulteriore modalità antropologica, quasi completamente opposta a


quella titanica, che, seppure votata alla sconfitta storica, risulta vincente sul piano meta- storico: presenterò
questa tipologia come ³antititanica´.

L¶Antititano, seppure sostanzialmente differente rispetto al Titano, ha, tuttavia, degli aspetti in comune con
esso: questo mi ha fatto riflettere sulla possibilità che il modello antititanico sia superamento di quello
titanico, in quanto esso raggiunge, mantenendo alcuni elementi dell¶antropologia titanica e rifiutandone la
maggior parte, senza prefissarselo, l¶obiettivo tanto agognato dal Titano.

Mi è parso interessante, quindi, delineare le caratteristiche che permettono all¶Antititano di superare la


modalità antropologica titanica, ottenendo, così, una vittoria meta-storica.

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Con questo elaborato intendo mostrare quali sono le caratteristiche che portano il modello antropologico
titanico( etico o anetico, sulla base delle distinzioni descritte nelle Motivazioni, che saranno ampliate
successivamente) alla sconfitta e con quali modalità esso può essere superato : il Titano per poter ottenere
una vittoria meta-storica deve negare se stesso e diventare Antititano.

A questo scopo, dopo un breve excursus mitologico sui Titani e la Titanomachia, presenterò l¶antropologia
del Titano, analizzando le peculiarità proprie delle due tipologie, attraverso degli esempi letterari, e, in
seguito, analizzerò la scelta antropologica dell¶Antititano, mettendone in luce gli aspetti fondamentali,
esemplificandoli attraverso figure storiche e letterarie.

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I Titani, secondo la versione esiodea del mito, furono i figli di Gea (Terra) e Urano( Cielo), esiliati dalla terra
dallo stesso padre, che temeva che il suo potere fosse usurpato.

Gea , adirata con Urano per la sorte dei figli(anche gli Ecatonchiri, giganti centimani, e i Ciclopi, tutti fratelli
dei Titani, infatti, erano stati relegati dal padre nei meandri della terra, in quanto egli provava orrore di fronte
al loro aspetto), volendosi liberare dello sposo brutale, costruì un falcetto con del ferro estratto dalle sue
viscere e, radunati i Titani, chiese loro di ribellarsi al padre.

Crono, il più giovane, accettò di compiere l¶impresa e, quando, discesa la notte, Urano si avvicinò a Gea per
abbracciarla, egli, immobilizzato il padre, lo evirò con un falcetto. Così, dopo avere sposato Rea, divenne
padrone del mondo e, avendo in un primo tempo liberato i Ciclopi e gli Ecatonchiri, li richiuse nuovamente
nell¶Ade, nutrendo dubbi sulla loro lealtà.

Urano aveva predetto a Crono che il suo regno avrebbe avuto fine per mano del più forte dei suoi
discendenti: tentando di ingannare il destino, Crono divorò tutti i figli, tenendoli prigionieri nelle sue viscere.

Rea, adirata per essere stata privata dei figli, incinta di Zeus, fuggì a Creta, dove partorì il dio e lo affidò alle
Ninfe, dando al compagno una pietra da inghiottire, al posto del dio neonato.

Raggiunta l¶età adulta, Zeus volle impadronirsi del potere detenuto da Crono, dando al padre una droga che
gli facesse vomitare , in ordine inverso, i figli inghiottiti: appoggiato dai fratelli, Zeus attaccò Crono e i
Titani.

Ebbe così inizio la Titanomachia, una guerra durata dieci anni, durante la quale le due fazioni combatterono
per la conquista del potere.

I Titani, scacciati dall¶Olimpo, resistevano eroicamente e onestamente, senza cedere alla tentazione
dell¶inganno, arroccati sul monte Otri. La lotta continuò, fino a quando Zeus, su consiglio di Rea ( adirata
con Crono, che aveva rinchiuso i suoi figli nel Tartaro), liberò i Ciclopi e i Giganti Centimani e strinse
alleanza con loro: per ripagarlo della libertà concessa, i Ciclopi fabbricarono per lui delle folgori e per gli
altri dei delle armi imbattibili, mentre gli Ecatonchiri, con le loro cento braccia, scagliarono infiniti massi
contro i Titani.

Nonostante la strenua resistenza che questi opposero, vennero sconfitti e incatenati nel Tartaro.

Secondo una variante del mito, i Titani vennero uccisi dalle folgori di Zeus e dalla loro cenere nacquero gli
uomini.

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Ho distinto, nella sezione precedente, due tipologie titaniche: quella etica e quella anetica.

La differenza fondamentale tra queste due modalità comportamentali è data dal presupposto sul quale esse
fondano la loro azione: mentre il Titano etico si basa su valori positivi e compie gesti moralmente corretti, il
Titano anetico agisce a prescindere dall¶etica( o meglio, oltre di essa, secondo il modello dell¶Übermensch
Nietzschiano1 ) , basando la prassi sul suo interesse personale o su disvalori.

Le caratteristiche delle loro personalità sono le medesime, il modello antropologico in cui essi si identificano
è lo stesso: sono proprio queste identiche peculiarità - che cercherò ora di delineare - a determinare la
sconfitta e la ³caduta´ di entrambi.

Il principale elemento distintivo del Titano è l¶ansia di assoluto; egli è ossessionato dalla mania di
raggiungere la perfezione e di dare il massimo di sé.

Attratto dalle sfide impossibili, spesso esaurisce se stesso nel tentativo di raggiungere una meta che aveva
egli stesso già ritenuto inarrivabile. Si pone obiettivi affascinanti e impossibili : anche se consapevole della
loro irraggiungibilità, si sfinisce nel rincorrerli; la sua grandezza consiste, appunto, nel vano tentativo
raggiungerli.

Le esperienze in cui egli mette alla prova se stesso sono, in particolare, quella artistica( per eccellenza, il
Titano è poeta ), quella dell¶amore( specie se impossibile o complicato, esso è forza motrice che lo porta alla
massima espressione di sé ), quella della natura, forza vitale e bellezza selvaggia, nei cui paesaggi grandiosi
egli sembra riconoscersi e il suo animo placarsi, e quella politica.

Generalmente insofferente verso ogni tipo di norma, che non sia quella degli ideali sui quali basa il proprio
agire, non inseribile in nessuna forma di gerarchia, egli lotta per imporre sul mondo le sue convinzioni, a
prescindere dal valore reale attribuibile ad esse. Egli rifiuta ostinatamente di adeguarsi al volere di altri,
compreso quello degli dei: il Titano è ȣȕȡȚıIJȒȢ, irriverente e tracotante verso la divinità, segnato da un
atteggiamento di profonda ribellione verso di essa.

Egli rifiuta ogni forma di artificio; è soggetto alla noia e all¶insofferenza: non si accontenta mai della
posizione ottenuta, si sente ingabbiato in essa e cerca di sfuggirne in ogni modo.

L¶azione del Titano si deve confrontare con dei limiti, individuali, ovvero legati alla sua stessa persona, del
genere umano, storici(questi ultimi portano il Titano a scegliere spesso la solitudine in verbis, ovvero un
esilio volontario, o in rebus, ossia il sentimento di distanza rispetto agli altri uomini, sentiti come troppo
diversi da sé), con il potere di chi è più forte di lui ( gli dei) e infine, con il tempo, ostacolo massimo contro
cui nessuno può lottare e che porta necessariamente il Titano ad estinguersi.

Il contrasto tra la pretesa di assoluto e l¶obiettiva impossibilità della sua realizzazione, determinata da queste
limitazioni e dalle caratteristiche del modello antropologico, porta, inevitabilmente, il Titano alla caduta e
alla sconfitta.

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Il concetto di oltreuomo (traduzione letterale dal tedesco: Übermensch) , introdotto dal filosofo Friedrich Nietzsche,
simboleggia la figura dell'uomo che va oltre se stesso, capace di reggere la morte di Dio e il vuoto metafisico.
L'oltreuomo afferma se stesso, accettando entusiasticamente la vita e anteponendo alla morale comune i propri valori.
Egli identifica il ritorno nel mondo del pensiero dionisiaco, guidato dalle passioni.

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Figura titanica per eccellenza, oltre che Titano in verbis, in quanto figlio di Giapeto e Climene, secondo il
mito esiodeo, Prometeo vive tutte le fasi antropologiche della categoria etica titanica.

La sua personalità viene descritta da Eschilo nella tragedia ³Prometeo incatenato´ e da Luciano nel dialogo
comico-retorico, intitolato, appunto, ³Prometeo´.

In entrambi i testi,il Titano, incatenato su una rupe del Caucaso, cerca di discolparsi dalle accuse mosse a lui
da Zeus, non negando le proprie colpe, ma dimostrando l¶ingiustizia della punizione che gli è stata inflitta: il
suo sforzo retorico risulta vano; Zeus finirà, anzi con l¶adirarsi in misura maggiore e appesantire le sue pene.

Prometeo è un Titano etico: egli ha agito per il bene dell¶uomo, donandogli il fuoco, privandolo della
preveggenza della morte( fonte di angoscia )e donandogli la speranza2, ma ha agito anche per il bene degli
dei, avendo creato l¶uomo ( la cui nascita di un grande vantaggio per gli dei: oltre a offrire sacrifici ed
edificare templi in loro onore, egli, creatura effimera, è per le divinità immortali un termine di paragone con
cui confrontare la propria grandezza e attraverso cui prendere atto della propria potenza ), rendendolo
³proprietà comune´, non volendo goderne da solo ( non esistono, infatti, templi dedicati a Prometeo).

Se egli ha agito a fin di bene, come è giunto, allora al fallimento?

L¶errore di Prometeo consiste nelle modalità del suo agire: aderendo al modello antropologico titanico, egli
sceglie, volontariamente, la sconfitta. Egli è consapevole del suo destino3, Prometeo è conscio della sua
futura sconfitta, in quanto consapevole di avere osato troppo: in un passaggio della tragedia di Eschilo egli
afferma: ³ Ma io sapevo ogni cosa; di mia spontanea volontà mi sono reso colpevole, non lo negherò[«]4.´

Egli non rinuncia all¶atteggiamento tracotante verso gli dei, è un ȣȕȡȚıIJȒȢ, conscio e fiero di esserlo. A nulla
valgono gli avvertimenti di Oceano: ³ Se ti ostini a scagliare parole così aspre e mordaci, può darsi che Zeus
ti senta, anche se siede di gran lunga più in alto: e allora lo sdegno per le sofferenze presenti ti parrà una cosa
da nulla.´5; egli è, come lo definisce Efesto nella tragedia eschilea, ³șİȩȢ șİȦȞ ȠȣȤ µȣʌȠʌIJȒııȦȞ ȤȩȜȠȞ´6: il
dio che non ha temuto la collera degli dei e che, quindi, risulta essere a loro più inviso.

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Egli si trova ad essere solo, lontano dai mortali, incatenato su una roccia da cui, come dice Efesto, non potrà
³udire voce umana né vedere l¶aspetto di alcuno dei mortali´7 , lontano dagli dei, che ormai lo hanno in odio,
si trova solo in verbis et in rebus (non vi è nessuno come lui al suo fianco; è un tenue sollievo il riferimento
al Titano Atlante, ma la distanza da lui non permette a Prometeo di trovare conforto nella sua presenza). Da
questa solitudine deriva la necessità di un appello alla natura, una natura grandiosa, la sola in grado di
placare, parzialmente, l¶angoscia del Titano: sono il cielo splendente, la terra, il mare e il sole, i
sublimi8interlocutori di Prometeo.

Il figlio di Giapeto è incapace di aderire alla norma: egli non si comporta secondo le regole di Zeus,
disobbedisce ai suoi ordini e fino alla fine non accetta la sua punizione, né dimostra di comprendere il
motivo per il quale è condannato. ³Vedi quale ingiusto male soffro io?´9 : queste sono le ultime parole del
Titano nella tragedia eschilea, questa è l¶espressione della sconfitta e allo stesso tempo della dignità che egli
mantiene in ogni istante della sua vita.

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Nel poema epico di Lucano, ³Pharsalia´ o ³Bellum civile´ c, la figura di Catone l¶Uticense viene presentata
come modello positivo, integro e cristallino.

Difensore della virtus stoica più pura, egli non si arrende di fronte a nessun pericolo: è disposto ad
attraversare il terribile deserto libico, per ricongiungersi alle truppe del re Giuba e così contrastare Cesare,
impedendogli, dopo aver vinto Pompeo, di ottenere il potere e reprimere la libertas repubblicana. Lo sforzo
titanico di Catone non sarà di nessuna utilità: pur essendo egli moralmente integro, non riuscirà a impedire
che Cesare prenda il controllo dello Stato.

Il modello antropologico in cui l¶Uticense si identifica è lo stesso di Prometeo: egli è un Titano etico, lotta
per tutelare la libertas repubblicana e difendere le antiche leggi di Roma (antiqui ac boni mores) . Tali
elementi etici, corrispondenti ai valori classici della latinità, possono essere desunti dalle parole stesse di
Catone, nel discorso rivolto a Bruto11: ³ non mi si riuscirà a strappare via prima che io abbia avvinto il tuo
corpo esanime, o Roma, e il tuo nome, o Libertà: terrò dietro, fino in fondo, al tuo vacuo fantasma´.

Così Lucano descrive l¶Uticense come ³ padre dell¶Urbe, suo marito, osservante della giustizia, cultore
dell¶onestà più rigida, retto nell¶interesse della comunità´12.

Egli, infatti, è disposto a sopportare ogni genere di sofferenza, ad affrontare ogni sorta di fatica e anche a
sacrificare la vita, in nome di quei valori che egli ritiene possano salvare lo Stato romano, poiché ³ la virtù è
motivo di felicità tanto maggiore, quanto più alto è il suo prezzo´13 .

Secondo l¶atteggiamento tipico del Titano che lo caratterizza, Catone ritiene di essere in grado di liberare
Roma solo attraverso i suoi sforzi( ³ Se mi fosse possibile far convergere tutti i castighi sul mio capo [..]; mi
trafiggano pure gli opposti eserciti, si scagli su di me l¶orda barbara del Reno: io vi andrò incontro ed
accoglierò tutte le armi e le ferite della guerra. Possa il mio sangue riscattare le genti [..]´ e ancora
³Lanciatevi con le armi soltanto su di me[..]´14), ma allo stesso tempo è consapevole che ogni suo tentativo
sarà inutile, egli è destinato a non ottenere la vittoria su Cesare e non riuscirà a preservare il diritto romano:
³me solum invadite ferro, me frustra leges et inania iura tuentem´15.

L¶unica salvezza per il Titano è morire ³ indomita cervice ´16, senza sottomettersi , come sostiene l¶Uticense
stesso, nell¶esortazione fatta ai suoi soldati prima della spedizione in Libia.

Non manca a Catone l¶atteggiamento di sfida e ribellione verso gli dei, tipico del Titano: sempre nel discorso
che egli rivolge a Bruto, sostiene: ³sarà un crimine per gli dei aver reso colpevole anche me´17; allo stesso
modo, trovatosi in Libia, si rifiuta di consultare l¶oracolo di Ammone e conoscere il volere divino riguardo
alla spedizione che egli sta tentando , confidando nelle sue sole forze e nei valori che persegue. Gli dei,
infatti,non sono garanti dello ius, si schierano dalla parte del male, non tutelando i valori nobili per i quali il
Titano si sfinisce: per questo motivo, Catone si vede costretto a ribellarsi a loro, consapevole del fatto che la
sua sfida è destinata al fallimento.

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Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo sono due grandi autori della letteratura italiana del µ700 e dell¶inizio dell¶800,
appartenenti alla categoria etica del Titano.

Portavoce di valori preromantici, entrambi incarnano, tanto nella biografia quanto nelle opere, questo
modello antropologico: essi confidano nelle capacità della loro letteratura di trasmettere valori e, soprattutto,
di migliorare la società in cui sono inseriti.

Essi vivono, come ogni Titano, una vita irrequieta, segnata da continui spostamenti, incapaci di rimanere
ancorati in uno stesso posti, insofferenti verso ogni forma di monotonia e normalità.

Concepiscono la letteratura come mezzo di massima espressione di se stessi e del loro ³forte sentire´18 ,
mezzo per descrivere il loro giudizio su di una società che non corrisponde ai loro ideali: caratterizzati da un
rifiuto totale per le convenzioni e il servilismo, essi propongono, nelle loro opere ( per Foscolo ci si riferisce,
in particolare, alla prima fase della produzione, ovvero al romanzo epistolare ³Le ultime lettere di Jacopo
Ortis´e ai ³Sonetti´), una concezione orgogliosa di libertà individuale.

Entrambi si riconoscono come Titani etici: nei sonetti auto ritrattistici ³Sublime specchio di veraci
detti´(Alfieri) e ³Solcata ho fronte´(Foscolo), descrivono loro stessi e il loro modello antropologico ideale,
delineandone caratteristiche fisiche e morali.

I due sonetti, molto simili tra loro, descrivono efficacemente il portamento del Titano e la sua ansia interiore,
oltre che la consapevolezza che solo la morte ( ovvero la sconfitta del Titano) potrà placare il loro animo
irrequieto; essa, infatti, porta con sé la speranza di una fama postuma derivante dalla grandezza delle loro
azioni.

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I tratti fisici descritti dai due poeti sono i medesimi: entrambi si presentano come uomini prestanti e di
bell¶aspetto, con il capo chino, perché sempre intenti ad alti pensieri, entrambi coi i capelli fulvi e pallidi in
viso.

Per quanto riguarda l¶aspetto morale, i due poeti mettono in evidenza, in particolare, la facilità all¶ira,
caratteristica propria del Titano, rabbia nel non vedere osservati i valori per i quali essi lottano assiduamente,
e sottolineano la continua tensione che c¶è in loro tra ratio e cuore (Alfieri scrive: ³la mente e il cor meco in
perpetua lite´; e Foscolo, allo stesso modo: ³ do lode alla ragion, ma corro ove al cor piace´)

Foscolo, in particolare, mette in evidenza una caratteristica fondamentale del modello titanico, la solitudine a
cui è condannato e la tristezza che da essa deriva: ³ mesto i più giorni e solo´.

La tematica della morte, affrontata da entrambi gli autori, acquista un significato rilevante: Alfieri e Foscolo,
sentendo inevitabile la sconfitta di sé e degli ideali promulgati ( sconfitta necessariamente connessa al
modello antropologico di appartenenza), sperano nella morte come rivelatrice della grandezza del loro
animo, cercando di ottenere post mortem il riconoscimento tanto agognato.


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3 Sudato, e molle di fraterno sangue

Bruto per l¶atra notte in erma sede, fermo già di morir, gl¶inesorandi

Numi e l¶averno accusa,

e di feroci note

invan la sonnolenta aura percote´19

Così Leopardi introduce il suo Titano, Bruto, il Cesaricida che dopo la sconfitta di Filippi( 42 a.C.) si uccide,
per non dover sopravvivere al tramonto della Repubblica, della libertà politica e della virtù, nella canzone
³Bruto Minore´; attraverso le parole pronunciate da questo personaggio, il poeta proclama il proprio sdegno
nei confronti del mondo, la sua sfida al fato: Bruto, in procinto di darsi la morte, scaglia una dura invettiva
contro gli dei, che tradiscono e privano di valore gli ideali nobili, rendendo la virtù e la gloria semplici
illusioni.

Nella descrizione introduttiva al discorso del Cesaricida, Leopardi sintetizza le principali caratteristiche
titaniche del suo personaggio: Bruto è consapevole del suo destino di sconfitta e accusa gli ³inesorandi
Numi´, disprezzando la morte, pronunciando invano ³feroci note´ contro un cielo che non lo ascolta, ³per
l¶atra notte in erma sede´, solo di fronte alla sorte.

Pur essendo Titano etico, in quanto combatte per difendere la libertà della Roma Repubblicana e la virtus,
egli non è immune da colpe (è ³molle di fraterno sangue´); non sono, però, queste a determinare la sua
sconfitta, ma, piuttosto, le modalità con cui egli si indirizza alla prassi: rivolge al fato una ³guerra mortale,
eterna´20 , prode guerriero incapace di cedere, ³indomito´21 , sorride alle ³nere ombre´22 , consapevole del fatto
che ³spiace agli dei chi violento irrompe nel Tartaro´23. Con questo animo, egli approderà al suicidio,
consapevole della sconfitta a cui è destinato.

Violento rivolge a Giove la grave accusa di essere tutore degli empi, di non difendere la virtus.

Fa appello, inoltre, ai figli di Prometeo, ai Titani in rebus, ai quali soltanto tra le specie del mondo ³la vita
increbbe´24 , osteggiati da Zeus, riconoscendosi come uno di loro.

Nelle ultime parole del discorso, Bruto si mostra consapevole non solo della necessaria sconfitta di sé e dei
Titani, ma anche di quella di tutto il genere umano: la stirpe degli uomini è un ³gener vano´25 e ³l¶umana
cura´ non ³scolorò le stelle´26; l¶uomo non è in grado di agire nella storia modificando il proprio destino.

Egli non trova consolazione nemmeno nell¶idea di una fama post mortem: diversamente da Foscolo e Alfieri,
Bruto( e con lui Leopardi) disprezza la generazione futura, che non avrà meno vizi di quella presente, e non ha
riguardo nemmeno per il proprio cadavere, che egli tratta con spregio, così come con spregio tratta la sua vita
(attraverso il suicidio), sostenendo con decisione che esso può essere esposto alle bestie e alle intemperie.

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Considerato il capolavoro di Alfieri, ³Saul´ è una tragedia di argomento biblico, strutturata in cinque atti,
composta e ideata nel 1782.

Il protagonista tragico, Saul, coraggioso guerriero, incoronato re di Israele su richiesta del popolo, consacrato
dal sacerdote Samuele, si allontana da Dio, compiendo atti empi e sacrileghi verso i suoi sudditi.

Samuele, seguendo l¶ordine divino, consacra re l¶umile pastore David, mandandolo alla corte di Saul,
affinché plachi con il canto il suo animo irrequieto; egli riesce ad ottenere l¶amicizia di Gionata e la mano di
Micol, figli del re.

L¶intervento di David fa nascere una forte invidia27 nell¶animo di Saul, che vede nel genero un usurpatore del
trono e, al tempo stesso, l¶immagine della propria giovinezza ormai perduta; per questa invidia profonda28 ,
Saul perseguita il giovane, costringendolo a rifugiarsi presso i Filistei.

La tragedia verte sulle ultime ore di vita del re e sul ritorno in Israele del giovane David, che accorre in aiuto
del suo popolo, oltraggiato dal vecchio re ed in difficoltà nella guerra contro i Filistei, nonostante il rischio
che comporta il rientro in patria per la propria vita.

Al ritorno in Israele, David riesce, in un primo momento, a convincere Saul - ottenendo così il controllo
dell¶esercito - del fatto che egli non mira al trono, ma solo ad eseguire gli ordini del re e aiutare in guerra gli
ebrei; quando Saul viene a sapere, però, che David è in possesso della spada sacra del santuario di Nob,
consegnatagli dal sacerdote Achimelech, ritorna acuta in lui l¶invidia per il giovane e l¶ossessione che egli lo
privi del potere, che generano lo scatto omicida del vecchio sovrano verso il giovane genero, che riesce ,
tuttavia, a mettersi in salvo.

A seguito di queste vicende, Achimelech si presenta al cospetto di Saul per annunciargli la condanna divina,
venendo poi ucciso dal re, che, ormai sempre più empio, si avvicina al delirio finale che lo porterà al
suicidio.

Nell¶ultimo atto, Saul, prevista in un incubo la morte sua e dei suoi figli, ridestatosi pieno di angoscia,
accortosi che i Filistei stanno attaccando e l¶esercito israeliano non è più in grado di difendersi, si dà la
morte, preferendo porre fine eroicamente alla propria vita in questo modo, non potendo morire in battaglia,
piuttosto che umiliato dal nemico.

Saul incarna, senza dubbio, la tipologia del Titano alfieriano, secondo la modalità anetica: egli agisce per uno
motivo non nobile, ovvero il mantenimento del trono, assecondando la sete inestinguibile di potere,
compiendo atti empi ( l¶uccisione del sacerdote Achimelech è senz¶altro il gesto più significativo di questa
caratteristica di Saul; rilevanti sono anche le parole pronunciate dal re subito dopo l¶omicidio del religioso:
³Ma è poco a mia vendetta lui solo. Manda in Nob l¶ira mia, che armenti, e servi, madri, case, fanciulli

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uccida, incenda, distrugga, e tutta l¶empia stirpe al vento disperda.´29 ), risultando terribile per i suoi stessi
figli, in particolare per Micol, che viene privata dello sposo David, per il volere arbitrario del padre( Micol
rivolgendosi a lui, afferma: ³Ah di ogni fera più inumano padre! Saùl spietato! Alla tua figlia togli lo sposo,
e non la vita?´30 ).

Come ogni Titano, egli si trova solo di fronte al destino, abbandonato dai suoi cari, che non lo seguono nelle
azioni turpi che egli compie( in particolare, di fronte all¶uccisione del sacerdote, Gionata accusa il padre
dicendo: ³ Tu resti solo a tal pugna´31; Saul gli risponde, consapevole del fatto che, per il Titano, è
inevitabile essere solo nel perseguire i propri obiettivi, esaltato dalla mania di grandezza che lo caratterizza:
³e solo io basto ad ogni pugna, qual sia [..] Io solo Saùl sarò´32)

Egli è abbandonato da Dio, che gli era stato accanto nella sua giovinezza, a causa del suo atteggiamento di
ribellione al volere divino (l¶incoronazione di David è decisa da Dio) e della sua tracotanza. Saul è conscio di
ciò, ma, nonostante questo, non rinuncia ad attaccare personalmente la divinità, disprezzandola e ritenendo di
essere in grado di agire senza il suo aiuto: ³Al Signor, io?.. Che parlo?.. Ferro ha gli orecchi alla mia voce
Iddio; muto è il mio labbro.´33Inutile è il tentativo di Achimelech, prima della morte, di far ravvedere Saul:
³D¶Iddio parlate all¶empio ho le ultime parole, e sordo ei fu´34 .

Egli è destinato a essere vinto ( la sua sconfitta viene profetizzata dallo stesso Achimelech: ³ Trema Saùl: già
in alto in negra nube, sovr¶ali di fuoco veggio librarsi il fero angel di morte: già, d¶una man disnuda ei la
rovente spada ultrice; dell¶altra il crin canuto ei già ti afferra della iniqua testa; trema Saùl.´35): consapevole
di ciò, preferisce morire di sua mano che subire l¶umiliazione di una sconfitta da parte di qualcuno di
esterno, mantenendo così fino alla fine il suo atteggiamento titanico.

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Alessandro nacque a Pella nel 356 a.C. Figlio di Filippo II di Macedonia, ebbe come maestro il filosofo
Aristotele, da cui Alessandro apprese l'amore per la medicina, per la filosofia, e per la letteratura.. Dimostrò
ben presto un carattere inflessibile, desideroso di gloria e fama. Il giovane, divenuto re, a seguito
dell¶uccisione del padre da parte di un ufficiale, Pausania , nel 336 a.C., seppe subito consolidare le
conquiste dell¶Impero Macedone e rivolgersi ad un grande progetto: condurre una spedizione di Greci e
Macedoni contro la Persia. Nel 334 a.C. diede inizio, in Asia Minore, ad un¶impresa che lo impegnò per 10
anni, fruttandogli il titolo di re dell'Egitto, re di Babilonia, re dei Persiani e un regno che, dalla Macedonia, si
estendeva fino all'Indo; per queste gesta i posteri lo chiamarono Magno. Ritenendosi il legittimo successore
di Dario III, iniziò ad adottare l'ideologia orientale del monarca divinizzato. Ciò gli procurò ostilità da parte
dei Macedoni del suo gruppo. Celebre è la così detta rivolta dei paggi, una congiura, dalla quale si salvò in
modo fortuito, ordita nel 327 a.C. dai giovani vicini ad Alessandro, restii ad accettare il costume orientale
della genuflessione. Giunto a Babilonia, di ritorno dalla spedizione fino all'Indo, fu colpito da gravi febbri,
forse frutto di una ferita che gli aveva provocato lesioni polmonari: morì il 13 giugno del 323 a.C., a 33 anni.

La sua figura eroica viene ripresa nel componimento ³Alexandros´, in Poemi Conviviali .

Alessandro viene presentato alla fine della sua impresa, dopo la conquista di tutte le terre fino ad allora
conosciute, nel momento culminante di tutta la sua vita, momento in cui egli, raggiunti tutti i suoi obiettivi,
dovrebbe provare una gioia smisurata; Pascoli non descrive un condottiero appagato e fiero delle proprie
gesta, bensì un Titano sconfitto, deluso dalla vanità dell¶esistenza, incapace di gioire per quello che ha
ottenuto, perché tutto ciò per cui ha lottato gli sembra improvvisamente privo di senso.

Egli, dopo aver passato tutta la vita tentando di ottenere un potere sempre maggiore (appartiene alla tipologia
anetica del Titano: il suo agire è volto quasi esclusivamente ad interessi privati), giunge al ³l¶ultimo fiume
Oceano senz¶onda´36 , oltre il quale non vi è altra terra da conquistare, se non la Luna: improvvisamente
coscio della vanità dei suoi sforzi, avendo capito che l¶obiettivo finalmente raggiunto è vano ( ³questo è il
Fine,è l¶Oceano, il Niente..´37 ), ³ piange dall¶occhio nero come morte, piange dall¶occhio azzurro come
cielo. Chè si fa sempre ( tale è la sua sorte ) nell¶occhio nero lo sperar, più vano; nell¶occhio azzurro il desiar
più forte´38 ; secondo Pascoli, quindi, la stessa fisionomia del Macedone rivelerebbe il carattere titanico del
personaggio: l¶occhio azzurro rappresenta l¶ansia di grandezza del Titano, che porterebbe Alessandro a
tentare l¶impossibile conquista della Luna, mentre l¶occhio nero rivela la necessaria sconfitta a cui il
condottiero è destinato, data la vanità dei suoi obiettivi, di cui egli stesso è pienamente consapevole.

Egli ha capito che ciò che affascina il Titano è il tentativo di compiere una grande impresa, lo sforzo di
raggiungere un obiettivo irraggiungibile (³Oh! più felice quanto più cammino mi era d¶innanzi; quanto più
cimenti, quanto più dubbi, quanto più destino!´39) e che, forse, se si fosse accontentato ( atteggiamento
inconcepibile per un Titano) di sognare, se fosse rimasto in ascolto nel suo palazzo, osservando ³le grandi
quercie´40, come fa la madre Olympiàs, avrebbe raggiunto quel mistero, quell¶assoluto che egli ha ricercato
in tutto il mondo, in quanto ³il sogno è l¶infinita ombra del vero´41.

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Esaltatore della filosofia Nietzschiana, grande letterato di fine Ottocento- inizio Novecento, D¶annunzio è
fortemente persuaso della necessità, a fronte del vuoto metafisico con cui l¶uomo si trova a doversi
confrontare, della presenza di un ³superuomo´, un uomo in grado di affrontare la vita con forza e audacia,
che fondi il suo agire esclusivamente su di sé, un Titano, che si rivelerà essere anetico.

Questa figura fondamentale viene incarnata dall¶autore stesso nella maggior parte delle sue opere.

³L¶incontro con Ulisse´, in Maia, primo libro delle Laudi42, rappresenta metaforicamente l¶iniziazione di
D¶Annunzio a questo ruolo, da parte di Ulisse, considerato dal poeta come Titano per eccellenza.

L¶eroe greco viene presentato mentre attraversa, da solo, sulla nera nave, il ³Mare´( in rebus mare
dell¶assoluto o del vuoto, simbolo dell¶esistenza e della vita); egli viene incontrato dall¶autore e dai suoi
amici, in viaggio attraverso le isole della Grecia ; dopo il vano tentativo dei compagni del poeta di ottenere
l¶ascolto dall¶eroe ( che ³ come a schiamazzo di vani fanciulli, non volte il capo canuto´; i compagni di
D¶annunzio non son, infatti Titani, e per questo non meritano che venga loro prestata attenzione ), è il poeta
stesso a parlare ad Ulisse, il quale si volgerà a lui ³men disdegnoso´, designandolo, con lo sguardo, suo
successore ( ³e il folgore degli occhi suoi mi ferì per mezzo alla fronte´).

E¶ proprio D¶Annunzio a venire scelto, in quanto egli si presenta come ³il più forte´, secondo la peculiare
presunzione titanica che lo caratterizza, facendosi riconoscere come degno di essere definito ³superuomo´.

Il poeta, riconosciuto come Titano, manifesta il suo carattere anetico, sostenendo che , da quel momento (
ma si potrebbe dire che questo valga anche prima dell¶ ³incoronazione´ a superuomo) egli non credette ³ad
altra virtù se non a quella inesorabile d¶un cuore possente´, attenendosi solo ai suoi desideri e alle sue
pulsioni ( ³E a me solo fedele fui, al mio solo disegno´)

D¶Annunzio sottolinea come sia inevitabile per il Titano la solitudine: come l¶eroe omerico viene incontrato,
mentre naviga da solo, così anche l¶autore si trova a essere solo, di fronte al Mare, simbolo panico
dell¶energia vitale: ³E io tacqui in disparte, e fui solo; per sempre fui solo sul Mare´.


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Il ³Manifesto del Futurismo´ viene pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti, nella forma di un editoriale in
francese, con il titolo ³ Le Futurisme´ , nel 1909, sulla prima pagina del quotidiano parigino ³Le Figaro´. Il
testo verrà ripubblicato, seguito dalla traduzione italiana, nel fascicolo di febbraio-marzo della rivista
internazionale ³Poesia´, fondata da Marinetti stesso nel 1905.

Lo scritto è costituito da due parti: ³Fondazione del Futurismo´ e ³Manifesto del Futurismo´, a sua volta
diviso in due sezioni.

Il primo testo è costituito da una narrazione allegorica, che ricostruisce in modo simbolico la nascita del
Futurismo: un gruppo di giovani coraggiosi (Titani), dopo aver vegliato tutta la notte, decide, seguendo
l¶imperativo di Marinetti, all¶alba, di uscire per la città, in corsa sulle loro automobili, rincorrendo la Morte
ad una velocità smisurata; l¶incidente stradale a cui Marinetti andrà incontro sarà il pretesto per dettare le
regole del Futurismo.

La prima sezione del ³Manifesto´ contiene le undici volontà43 dei letterati Futuristi, dettate da uomini
³contusi´ con ³braccia fasciate ma impavidi´44: si tratta in particolare di un¶esaltazione della velocità, della
guerra, del pericolo, dell¶automobile, accompagnata dal disprezzo dell¶arte tradizionale esposta nei musei,
considerati come cimiteri delle opere.

L¶ultima sezione è un commento dei ³comandamenti´ oltre che una ripresa della narrazione,che si trova nella
prima parte.

I Futuristi descritti da Marinetti sono Titani, orgogliosi e coraggiosi, che gettano la loro sfida al destino e alla
morte, senza paura: ³noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero e maculato di pallide
croci, che correva via per vasto cielo violaceo, vivo e palpitante´45.

Irrequieti, secondo la tipica modalità titanica, vivono la vita ³impazientemente, in furia, senza contare, senza
mai esitare, senza riposar[e] mai, a perdifiato´46.

Essi non temono la loro sorte, si ribellano a ogni tipo di autorità, scagliando intrepidi la loro ³sfida alle
stelle´47 , nonostante la consapevolezza di essere destinati a venire vinti e sostituiti da altri Titani, che
arriveranno dopo di loro, più giovani e più forti: ³ altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure
nel cestino, come manoscritti inutili. ± Noi lo desideriamo!´48.

Come tutti i Titani, si ritrovano soli di fronte alla vita, ma fanno di questa solitudine oggetto di orgoglio,
esaltando l¶unicità del loro destino : ³ Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo
soli[..]´49.

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La tipologia di questi titani è quella anetica: con la nona regola, esaltano la guerra come ³igiene del
mondo´50 e il disprezzo della donna. Il fondamento del loro agire e della loro letteratura è la ³ forte e sana
Ingiustizia´51 , la loro arte è ³violenza, crudeltà´52.

L¶odio, per i propri predecessori, per la cultura tradizionale, così come l¶amore, per se stessi e per l¶assoluto,
per i loro ideali e per la loro sfida, estremi opposti di uno stesso sentimento, caratterizzano il loro essere.


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Antitetico rispetto a quello titanico, il modello antropologico antititanico presenta alcune caratteristiche
comportamentali che determinano la sua riuscita, se non nel piano storico,almeno a livello metastorico e
culturale : i valori promossi dall¶Antititano, segnano la società, che, rifiutandoli in un primo tempo, finisce
per farli propri.

Egli potrebbe essere considerato il superamento del Titano, in quanto mantiene alcune delle sue peculiarità,
ma presenta delle modalità di azione opposte.

Come il Titano, egli è solo nella sua eccezionalità, odiato o amato dai suoi contemporanei -senza alternative
intermedie - ed è disposto a soffrire e, addirittura, a morire pur di attenersi ai suoi ideali.

Ciò che lo differenzia dal modello antropologico finora trattato è, in particolare, l¶assenza dell¶ansia di
grandezza e assoluto: l¶Antititano promuove i suoi valori senza aspettarsi che questi siano il mezzo per
raggiungere la perfezione e la fama.

Egli non è insofferente, è pago dello stato in cui si trova, è capace di accettare i cambiamenti della sorte (
sorte che molto spesso si ribalta, come avviene per il protagonista de ³Il codice di Perelà´ di Aldo
Palazzeschi), senza accanirsi contro di essa.

Egli rispetta fino alla fine i valori in cui crede, ma non pretende che essi siano accettati dagli altri. Spesso gli
ideali di cui è convinto sono estremamente innovativi per il contesto sociale in cui vive ( Perelà promuove il
valore della leggerezza, incomprensibile per la maggior parte degli uomini in carne e ossa).

L¶Antititano, inoltre, si attiene alle norme, rispettando le leggi della società in cui vive, anche a costo di
morire per esse.

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La personalità di Socrate segna un momento fondamentale, non solo della filosofia greca, ma dell¶intera
storia intellettuale dell¶Occidente: la vita e la parola di quest¶uomo hanno avuto, nei secoli successivi alla sua
morte, un¶eco profonda, talora paragonata a quella di Cristo.

Nato ad Atene, nel 470 a. C. circa, non abbandonò mai la sua città, se non per compiere il servizio militare,
dovere di ogni cittadino.

Trascorse la vita interrogando gli uomini circa la verità, attraverso l¶arte dell¶ironia e della maieutica ( intesa
dal filosofo come capacità di aiutare gli intelletti a ³partorire´ un punto di vista veritiero sui fenomeni),
asserendo che l¶unica forma di sapienza fosse il ³sapere di non sapere´. Egli sosteneva di ubbidire ad un
³demone´ interno, che lo consigliava sulle azioni da compiere; Socrate riteneva che la virtù fosse ³scienza e
ricerca´, ovvero una conquista dell¶uomo, resa possibile dall¶indagine critica da lui operata sull¶esistenza; la
virtù è unica e da essa deriva per l¶uomo la felicità. Da queste convinzioni derivano i due ³paradossi
socratici´: nessuno pecca volontariamente, in quanto il vizio è ignoranza di ciò che è bene, ed è preferibile
subire il male piuttosto che commetterlo.

Condannato a morte dalla città, in seguito all¶accusa di corrompere i giovani e non rispettare gli dei,
introducendo nuove divinità, morì nel 399 a. C. .

La figura socratica presenta diverse caratteristiche del modello antropologico antititanico.

Egli viene percepito dai contemporanei come diverso, la sua persona ha qualcosa di strano e inquietante; la
stessa apparenza fisica non si adatta all¶ideale ellenico di un¶anima saggia in un corpo bello e armonioso: si
dice che egli assomigliasse al satiro Sileno, il che era in contrasto con il carattere morale del suo agire.

Come ogni Antititano, propone degli ideali estremamente rivoluzionari, in disaccordo con i valori della
società: in particolare, il concetto di vizio come ignoranza del bene risulta difficilmente accettabile in una
società strutturata come quella Greca, in cui coloro che commettono ingiustizie e crimini vengono
condannati pesantemente. Egli, attraverso l¶ironia e l¶arte del dubbio, smaschera tutte le presunte certezze dei
finti sapienti, incorrendo quindi nell¶ostilità dei potenti.

Socrate non pretende di ottenere gloria o successo grazie alla sua arte: egli sa di non sapere, non pretende di
essere in possesso dell¶unica verità, ma è disponibile ad ascoltare obiezioni e critiche.

Non tradisce le leggi della città, si attiene ad esse anche quando queste lo condannano a morte, rimanendo
fedele ai suoi principi, nonostante abbia la possibilità di fuggire da Atene e di salvarsi, grazie all¶aiuto dei
suoi amici e discepoli.

L¶Antititano, sconfitto sul piano storico, forzato a bere la cicuta, risulta vincente nei suoi ideali:
l¶insegnamento socratico, rifiutato dai più durante la vita del filosofo, costituirà la base della cultura
Occidentale, segnando una svolta fondamentale dalla filosofia naturale, ad una filosofia che ha come oggetto
d¶indagine l¶uomo.





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Gesù di Nazareth, figura centrale del Cristianesimo, che lo riconosce come il Cristo (Messia) atteso
dalla tradizione ebraica, il Dio fatto uomo, svolse la sua attività di predicatore, nella Provincia romana della
Giudea.

Secondo la tradizione cristiana, le principali fonti testuali relative a Gesù sono i quattro Vangeli
canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni).

Essi descrivono la predicazione del Cristo, focalizzata sull'annuncio del Regno dei Cieli e sull'amore verso il
prossimo, la passione, la morte in croce, la risurrezione e l¶ascensione al cielo. I Vangeli e gli altri scritti
del Nuovo Testamento identificano Gesù con il Messia e il Figlio di Dio. La successiva
tradizione cristiana lo ha dichiarato seconda persona della Trinità, assieme al Padre e allo Spirito Santo, e
"vero Dio e vero uomo".

La predicazione e l'operato di Gesù riscossero nella società ebraica contemporanea un limitato successo,
conseguito principalmente tra i ceti più bassi. Il breve periodo della sua predicazione si concluse con la
morte in croce, richiesta dalle autorità ebraiche del Sinedrio, ma stabilita dall'autorità di Roma (che riservava
agli schiavi una tale sorte), su decisione finale del prefetto romano Ponzio Pilato, che si era appellato al
popolo per confermare la sentenza. La predicazione del Cristo viene diffusa, dopo la sua morte, dai discepoli.

Gesù incarna la figura dell¶Antititano per eccellenza: non apprezzato dalla società in cui vive, egli propone
un messaggio che, inizialmente, riscuote successo solo in una parte limitata della popolazione (il ceto più
basso e gli emarginati sociali), ma che dopo la morte diverrà di fondamentale importanza per la cultura
occidentale. Sconfitto sul piano storico, in quanto crocifisso, egli ottiene una vittoria metastorica ( la
risurrezione e l¶ascensione al cielo ) e culturale, in quanto i suoi valori influenzeranno il pensiero occidentale
a lui successivo.

Gli ideali promossi dall¶Antititano sono estremamente innovativi e, per questo motivo, non vengono
accettati dalla società, che rimane, però, profondamente colpita da essi: il centro della sua predicazione è,
oltre all¶amore per Dio (elemento rivoluzionario rispetto alla concezione giudaica del rapporto Yahweh,
incentrato sull¶ubbidienza sottomessa del credente agli ordini divini ), l¶amore per il prossimo, secondo la
morale del ³porgere l¶altra guancia´ (³Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite
coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche
l¶altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non
richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.´53 ).

Gesù si attiene alle regole dello Stato: condannato alla crocefissione, supplizio atroce, non ricorre al suo
potere divino o all¶aiuto di Dio per salvarsi, ma accetta ciò che gli viene ordinato dalle leggi, senza ribellarsi.

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³Il codice di Perelà´, di Aldo Palazzeschi, viene pubblicato per la prima volta, dalle edizioni futuriste di
³Poesia´. Il testo viene sottoposto a successive revisioni da parte dell¶autore, venendo ripubblicato più volte,
subendo modifiche anche nel titolo( diverrà ³Perelà uomo di fumo´, per poi ritornare quello originario).

La vicenda è, con le parole stesse dell¶autore, una ³favola aerea, il punto più elevato della [..] fantasia´54 ,
storia inverosimile ed estremamente originale, con caratteristiche proprie di un¶ opera teatrale, narrata
attraverso un continuo alternarsi di voci non introdotte dal narratore.

Perelà, uomo di fumo, è cresciuto in un camino, ascoltando le voci di tre vecchie riunite davanti al focolare:
Pena, Rete e Lama.

Alla loro scomparsa, Perelà decide di scendere attraverso la canna fumaria, per cercare le tre donne; indossati
degli stivali che si trovano alla base del camino nel quale è ³nato´, Perelà si incammina verso il regno del
sovrano Torlindao.

Le prime persone che incontra, una vecchia e dei soldati, si accorgono subito che il personaggio è un essere
strano, un piccolo uomo fatto solamente di fumo, che alle loro domande risponde: "io sono... un.. molto
leggero, sì, un uomo molto leggero ". La sua storia si conosce dai brevi dialoghi con chi incontra sul suo
cammino.
Giunto in città, attira la curiosità di tutti, per il suo modo ondeggiante di camminare, per la materia
impalpabile di cui è fatto, per la semplicità e il candore con cui parla.
Quando giunge al palazzo del re, viene degnamente ospitato e ha occasione di ricevere una lunga schiera di
persone autorevoli che vengono ad esporgli i loro progetti e i loro pensieri. Perelà risponde a tutti con brevi
monosillabi e lunghi silenzi; prende il tè con le più importanti dame di corte, fra le quali c'è Oliva di
Bellonda, che, convinta di aver trovato in Perelà l'anima gemella che aveva tanto e inutilmente cercato,
accompagnerà Perelà, standogli accanto anche nel momento della condanna.
L¶atteggiamento dell¶uomo di fumo, le risposte che dà a chi lo interroga, le domande che pone, sono per i
suoi interlocutori spiazzanti: ne deriva un effetto di straniamento per il lettore.
Egli è per gli uomini della città un mistero.
Il re, che sembra stimare molto Perelà, gli affida il compito di compilare il nuovo Codice, per compilare il
quale, Perelà si reca a visitare suor Marianna Fonte, peccatrice pentita e suor Colomba Messerino, vergine
pura. Si reca, inoltre, al camposanto, al Prato dell'amore, al carcere nel quale è tenuto prigioniero l'ex re Iba,
al manicomio di Villa Rosa, dove ha modo di conoscere il principe Zarlino, pazzo volontario.
Ovunque Perelà rimane attento e disponibile ascoltatore, ma sempre silenzioso.
Ad un tratto, la sua posizione favorevole alla corte si ribalta,in quanto il domestico Alloro, impazzito e
voglioso di imitare Perelà, si dà fuoco per diventare anche lui di fumo.
Il re ordina che l¶uomo di fumo venga processato e condannato ad essere rinchiuso in una minuscola cella in
cima al monte Calleio.
Durante il processo, tutti i personaggi da Perelà incontrati, che avevano dimostrato immediatamente simpatia
e ammirazione, lo accusano senza pietà, chi mosso da invidia, chi semplicemente perché lo fanno gli altri.

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Oliva di Bellonda, dopo molte implorazioni, ottiene dal re che sia consentito a Perelà di avere, nella sua
cella, un caminetto e un pertugio dal quale ricevere legna da ardere.
Dopo aver attraversato per l'ultima volta la città, tra gli sputi e gli insulti della folla, l¶uomo di fumo,
rinchiuso nella cella, si toglie gli stivali e, attraverso il camino, scompare nel cielo sotto forma di una nuvola
di fumo.
Perelà, in conformità con il modello antropologico dell¶Antititano, è un diverso, solo nel suo genere,
incompreso dagli uomini tra i quali si trova: egli ³di fumo!´, di uomo ³sembra che non [abbia] che le
scarpe´.
Abbandonato dalle tre vecchie che lo hanno generato (³perché mi avevano lasciato solo?´), egli non trova
rispecchiato, negli uomini, quell¶ideale su cui egli basa la propria vita, la ³leggerezza´.
La leggerezza, di fondamentale importanza per Perelà, è il filtro attraverso il quale l¶uomo di fumo legge la
realtà; egli ha concezioni particolari riguardo alle azioni degli uomini: la guerra,ad esempio, nell¶ottica
³leggera´, dovrebbe essere combattuta da uomini nudi, leggeri e agili, non con ferro e piombo, che con il
loro peso schiacciano gli uomini a terra. ( ³ma non cadono essi schiacciati dal peso dei loro arnesi?´).
Questo ideale non viene compreso dagli uomini che, se, in un primo tempo, risultano affascinati da esso, in
seguito, ne vengono spaventati: Perelà, portatore di questo valore, diviene, ai loro occhi, pericoloso, non
gestibile e viene, addirittura,creduto ³Figlio di Satana´.
L¶uomo di fumo presenta diverse caratteristiche in comune con il Cristo: egli è uomo-non uomo, promotore
di ideali rivoluzionari, vittima di una società che non vuole cambiare; inizia la vita pubblica all¶età di
trentatré anni e muore su di un monte, isolato da tutti, lasciando il suo ³sepolcro´ vuoto, ³ascendendo´ al
cielo.
Perelà, improvvisamente odiato dai suoi ex ammiratori, non si ribella al loro volere, anche se profondamente
addolorato dal loro atteggiamento; particolarmente rilevante, a questo proposito,è la descrizione dell¶uomo di
fumo, in balia dei bambini, che, incontratolo per strada, si divertono a strattonarlo e a giocare con lui come
con una palla, non potendo egli opporre resistenza alcuna a causa della sua leggerezza: ³ Perelà in mezzo,
livido, umiliato, senza difesa contro lo sciame terribile, si sentiva travolgere dai piccoli urti, e le grida, le risa
gli ferivano il cuore.´.
Le leggi della città non vengono mai trasgredite dall¶uomo di fumo, che le accetta anche a prezzo
dell¶incarcerazione a vita: egli si lascia rinchiudere nella cella costruita appositamente per imprigionarlo.
L¶ideale della leggerezza è ciò che permette a questo Antititano la riuscita e la vittoria, nonostante la
sconfitta storica( ovvero sconfitta come uomo ): egli, rinchiuso nella cella, riesce a uscirne attraverso il
camino, divenendo una nuvola di fumo. Perelà si mantiene fedele, fino alla fine,a questo valore e, non
dimenticando il compito che gli era stato affidato, e poi rimosso, dagli uomini della città, ovvero la
compilazione del Codice, sostiene: ³ questo solo può essere il Codice, ch¶io vi lascio, esso custodiva la mia
sola virtù. In questo tramonto una piccola nube grigia in forma di uomo[..], volerà su su, traverserà
l¶orizzonte verso il sole, nessuno la scorgerà´.

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Essere Titano è una tensione profonda, alla quale è arduo, per gli animi irrequieti e grandi, rinunciare;
convertire la propria modalità di azione da titanica in antititanica, accettando i limiti imposti, promulgando i
propri ideali, senza cercare di ottenere da questi una vittoria, è il presupposto essenziale per il successo del
proprio operato, ma essa risulta inaccettabile per molti Titani.
Essi trovano, nella modalità antropologica titanica, votata alla sconfitta, la condizione essenziale per
un¶esistenza vissuta intensamente, il mezzo attraverso cui raggiungere quell¶assoluto a cui aspirano, che si
traduce nella grandezza derivante dal vano e fatale tentativo di affermare i propri ideali, in un mondo
indifferente ai loro sforzi.
Questa tensione è una componente ineliminabile nell¶uomo; per questo motivo,nella storia, continueranno a
esistere, inevitabilmente, dei Titani, che si scontreranno con la realtà circostante, costruendo essi stessi la
loro punizione, preparando ³la loro rupe´- con le parole di Pavese- e forgiando, così, il loro destino.

Parlano Eracle e Prometeo

Eracle - Prometeo, sono venuto a liberarti


Prometeo - Lo so e ti aspettavo. Devo ringraziarti, Eracle. Hai percorso una strada terribile, per salire fin
qua. Ma tu non sai cos¶è paura.
Eracle - Il tuo stato è più terribile.
Prometeo - Veramente tu non sai cos¶è paura? Non credo.
Eracle - Se paura è non fare quel che debbo, allora io non l¶ho mai provata. Ma sono un uomo, Prometeo, e
non sempre so quel che debbo fare.
Prometeo - Pietà e paura sono l¶uomo. Non c¶è altro.
Eracle - Prometeo, tu mi trattieni a discorrere, e ogni istante che passa il tuo supplizio continua. Sono
venuto a liberarti.
Prometeo - Lo so, Eracle. Lo sapevo già da quand¶ eri un bimbo in fasce, quando non eri ancora nato. Ma
mi succede come a un uomo che abbia molto patito in un luogo ± nel carcere, in esilio, in un periodo ± e
quando viene il momento d¶uscirne non sa risolversi a passare quell¶istante, a mettersi dietro le spalle la
vita sofferta.
Eracle - Non vuoi lasciare la tua rupe?
Prometeo - Devo lasciarla, Eracle ± ti dico che ti aspettavo. Ma, come uomo, l¶istante mi pesa. Tu sai che
qui si soffre molto.
Eracle - Basta guardarti, Prometeo.
Prometeo - Si soffre al punto che si vuol morire. Un giorno anche tu saprai questo, e salirai sopra una rupe.
Ma io, Eracle, morire non posso. Nemmeno tu, del resto, morirai.
Eracle - Che dici?
Prometeo - Ti rapirà un dio. Anzi una dea.
Eracle - Non so, Prometeo. Lascia dunque che ti sleghi.
Prometeo - E tu sarai come un bambino, pieno di calda gratitudine, e scorgerai le iniquità e le fatiche, e
vivrai sotto il cielo, lodando gli dèi, la loro sapienza e bontà.
Eracle - Non ci viene ogni cosa da loro?
Prometeo - O Eracle, c¶è una sapienza più antica. Il mondo è vecchio, più di questa rupe. E anche loro lo
sanno. Ogni cosa ha un destino. Ma gli dèi sono giovani, giovani quasi come te.
Eracle - Non sei uno di loro anche tu?

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Prometeo - Lo sarò ancora. Così vuole il destino. Ma un tempo ero un titano e vissi in un mondo senza dèi.
Anche questo è accaduto«..Non puoi pensarlo un mondo simile?
Eracle - Non è il mondo dei mostri e del caos?
Prometeo - Dei titani e degli uomini, Eracle. Delle belve e dei boschi. Del mare e del cielo. E¶ il mondo di
lotta e di sangue, che ti ha fatto quel che sei. Fin l¶ultimo dio, il più iniquo, era allora un titano. Non c¶è
cosa che valga, nel mondo presente o futuro, che non fosse titanica.
Eracle - Era un mondo di rupi.
Prometeo - Tutti avete una rupe, voi uomini. Per questo vi amavo. Ma gli dèi sono quelli che non sanno la
rupe. Non sanno ridere né piangere. Sorridono davanti al destino. Io stesso, Eracle, se oggi vengo liberato,
lo devo a qualcuno.
Eracle - Ne ho vedute di peggio, e non ti ho ancora liberato.
Prometeo - Eracle, non parlo di te. Tu sei pietoso e coraggioso. Ma la tua parte l¶hai già fatta.
Eracle - Nulla ho fatto, Prometeo.
Prometeo - Non saresti un mortale se sapessi il destino. Ma tu vivi in un mondo di dèi. E gli dèi vi hanno
tolto anche questo. Non sai nulla e hai già fatto ogni cosa. Ricorda il centauro.
Eracle - L¶uomo-belva che ho ucciso stamane?
Prometeo - Non si uccidono, i mostri. Non lo possono nemmeno gli dèi. Giorno verrà che crederai d¶aver
ucciso un altro mostro, e più bestiale, e avrai soltanto preparato la tua rupe. Sai chi hai colpito stamattina?
Eracle - Il centauro.
Prometeo - Hai colpito Chirone, il pietoso, il buon amico dei titani e dei mortali.
Eracle - Oh Prometeo«..
Prometeo - Non dolertene, Eracle. Siamo tutti consorti. E¶ la legge del mondo che nessuno si liberi se per lui
non si versa del sangue. Anche per te avverrà lo stesso, sull¶Oeta. E Chirone sapeva.
Eracle - Vuoi dire che si è offerto?
Prometeo - Certamente. Come un tempo io sapevo che il furto del fuoco sarebbe stato la mia rupe.
Eracle - Prometeo, lascia che ti sciolga. Poi dimmi tutto, di Chirone e dell¶Oeta.
Prometeo - Sono già sciolto, Eracle. Io potevo essere sciolto se un altro prendeva il mio posto. E Chirone s¶è
fatto trafiggere da te, che la sorte mandava. Ma in questo mondo che è nato dal caos, regna una legge di
giustizia. La pietà, la paura e il coraggio sono solo strumenti. Nulla si fa che non ritorni. Il sangue che tu
hai sparso e spargerai, ti spingerà sul monte Oeta a morir la tua morte. Sarà il sangue dei mostri che tu vivi
a distruggere. E salirai su un rogo, fatto col fuoco che io ho rubato.
Eracle - Ma non posso morire, mi hai detto.
Prometeo - La morte è entrata in questo mondo con gli dèi. Voi mortali temete la morte perché, in quanto
dèi, li sapete immortali. Ma ciascuno ha la morte che si merita. Finiranno anche loro.
Eracle - Come dici?
Prometeo - Tutto non si può dire. Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la
paura che t¶incutono. Così è degli dèi. Quando i mortali non ne avranno più paura, gli dèi spariranno.
Eracle - Torneranno i titani?
Prometeo - Non ritornano i sassi e le selve. Ci sono. Quel che è stato sarà.
Eracle - Ma foste pure incatenati. Anche tu.
Prometeo - Siamo un nome, non altro. Capiscimi, Eracle. E il mondo ha stagioni come i campi e la terra.
Ritorna l¶inverno, ritorna l¶estate. Chi può dire che la selva perisca? O che duri la stessa? Voi sarete i
titani, fra poco.
Eracle - Noi mortali?
Prometeo - Voi mortali ± o immortali, non conta.

Cesare Pavese - Dialoghi con Leucò

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Poi che divelta, nella tracia polve
Giacque ruina immensa
L'italica virtute, onde alle valli
D'Esperia verde, e al tiberino lido,
Il calpestio de' barbari cavalli 5
Prepara il fato, e dalle selve ignude
Cui l'Orsa algida preme,
A spezzar le romane inclite mura
Chiama i gotici brandi;
Sudato, e molle di fraterno sangue, 10
Bruto per l'atra notte in erma sede,
Fermo già di morir, gl'inesorandi
Numi e l'averno accusa,
E di feroci note
Invan la sonnolenta aura percote. 15

Stolta virtù, le cave nebbie, i campi


Dell'inquiete larve
Son le tue scole, e ti si volge a tergo
Il pentimento. A voi, marmorei numi,
(Se numi avete in Flegetonte albergo 20
O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
È la prole infelice
A cui templi chiedeste, e frodolenta
Legge al mortale insulta.
Dunque tanto i celesti odii commove 25
La terrena pietà? dunque degli empi
Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta
Per l'aere il nembo, e quando
Il tuon rapido spingi,
Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi? 30
Preme il destino invitto e la ferrata
Necessità gl'infermi
Schiavi di morte: e se a cessar non vale
Gli oltraggi lor, de' necessarii danni
Si consola il plebeo. Men duro è il male 35
Che riparo non ha? dolor non sente
Chi di speranza è nudo?
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Guerra mortale, eterna, o fato indegno,
Teco il prode guerreggia,
Di cedere inesperto; e la tiranna 40
Tua destra, allor che vincitrice il grava,
Indomito scrollando si pompeggia,
Quando nell'alto lato
L'amaro ferro intride,
E maligno alle nere ombre sorride. 45

Spiace agli Dei chi violento irrompe


Nel Tartaro. Non fora
Tanto valor ne' molli eterni petti.
Forse i travagli nostri, e forse il cielo
I casi acerbi e gl'infelici affetti 50
Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
Non fra sciagure e colpe,
Ma libera ne' boschi e pura etade
Natura a noi prescrisse,
Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra 55
Sparse i regni beati empio costume,
E il viver macro ad altre leggi addisse;
Quando gl'infausti giorni
Virile alma ricusa,
Riede natura, e il non suo dardo accusa? 60

Di colpa ignare e de' lor proprii danni


Le fortunate belve
Serena adduce al non previsto passo
La tarda età. Ma se spezzar la fronte
Ne' rudi tronchi, o da montano sasso 65
Dare al vento precipiti le membra,
Lor suadesse affanno
Al misero desio nulla contesa
Legge arcana farebbe
O tenebroso ingegno. A voi, fra quante 70
Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
Figli di Prometeo, la vita increbbe;
A voi le morte ripe,
Se il fato ignavo pende,
Soli, o miseri, a voi Giove contende. 75

E tu dal mar cui nostro sangue irriga,


Candida luna, sorgi,
E l'inquieta notte e la funesta
All'ausonio valor campagna esplori.
Cognati petti il vincitor calpesta, 80
Fremono i poggi, dalle somme vette
Roma antica ruina;

©D
Tu sì placida sei? Tu la nascente
Lavinia prole, e gli anni
Lieti vedesti, e i memorandi allori; 85
E tu su l'alpe l'immutato raggio
Tacita verserai quando ne' danni
Del servo italo nome,
Sotto barbaro piede
Rintronerà quella solinga sede. 90

Ecco tra nudi sassi o in verde ramo


E la fera e l'augello,
Del consueto obblio gravido il petto,
L'alta ruina ignora e le mutate
Sorti del mondo: e come prima il tetto 95
Rosseggerà del villanello industre,
Al mattutino canto
Quel desterà le valli, e per le balze
Quella l'inferma plebe
Agiterà delle minori belve. 100
Oh casi! oh gener vano! abbietta parte
Siam delle cose; e non le tinte glebe,
Non gli ululati spechi
Turbò nostra sciagura,
Né scolorò le stelle umana cura. 105

Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi


Regi, o la terra indegna,
E non la notte moribondo appello;
Non te, dell'atra morte ultimo raggio,
Conscia futura età. Sdegnoso avello 110
Placàr singulti, ornàr parole e doni
Di vil caterva? In peggio
Precipitano i tempi; e mal s'affida
A putridi nepoti
L'onor d'egregie menti e la suprema 115
De' miseri vendetta. A me dintorno
Le penne il bruno augello avido roti;
Prema la fera, e il nembo
Tratti l'ignota spoglia;
E l'aura il nome e la memoria accoglia. 120

©[


-   2



‘L¶incontro con Ulisse ( passim )

Incontrammo colui
che i Latini chiamano Ulisse,
nelle acque di Leucade«

«.E reggeva
ei nel pugno la scotta
spiando i volubili venti,
silenzioso; e il pileo
testile dei marinai
coprivagli il capo canuto,
la tunica breve il ginocchio
ferreo, la palpebra alquanto
l¶occhio aguzzo; e vigile in ogni
muscolo era l¶infaticata
possa del magnanimo eroe.
«
Sol con quell¶arco e con la nera
sua nave, lungi dalla casa
d¶alto colmigno sonora
di industri telai, proseguiva
il suo necessario travaglio
contra l¶implacabile Mare.

3 O Laertiade´ gridammo,
e il cuore ci balzava nel petto
«
3 o Re degli Uomini,eversore
di mura, piloto di tutte
le sirti, ove navighi? A quali
maravigliosi perigli
conduci il tuo legno nero?
Liberi uomini siamo
e come tu la tua scotta
noi la vita nostra nel pugno
tegnamo, pronti a lasciarla
in bando o a tenderla ancora.
Ma, se un re volessimo avere,
te solo vorremmo
per re, te che sai mille vie«´

Come a schiamazzo di vani


fanciulli, non volte egli il capo
©0
canuto..
3 Odimi 3 io gridai
sul clamor dei cari compagni
3 odimi, o Re di tempeste!
Tra costoro io sono il più forte.
Mettimi a prova.E,se tendo
L¶arco tuo grande,
qual tuo pari prendimi teco.
Ma, s¶io nol tendo,ignudo
tu configgimi alla tua prua´.
Si volse egli men disdegnoso
a quel giovine orgoglio
chiarosonante, nel vento;
e il folgore degli occhi suoi
mi ferì per mezzo alla fronte.
«.
E io tacqui
in disparte, e fui solo;
per sempre fui solo sul Mare.
E in me credetti.
Uomo, io non credetti ad altra
virtù se non a quella
inesorabile d¶un cuore
possente.E a me solo fedele
io fui, al mio solo disegno.
O pensieri, scintille
dell¶Atto, faville del ferro
percosso, beltà dell¶incude!



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