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Pedofilia, psicanalisi e psicologia della cura


«C’est pour mieux voir, mon enfant»
Pedofilie e pedofili, psicanalisi ed etica della cura

di Giampiero Tre Re

Pubblicato per la prima volta in G. Chinnici (a cura di), Sulle tracce della pedofilia, Palermo,
2004.

“Anche dentro di noi c’è forse un fanciullino, ed è lui che s’impaurisce di queste cose; prova un
po’ tu [o Socrate] a convincerlo di non avere paura della morte, quasi non fosse che un bau bau”
(Fedone, XXIV)

La pedofilia è qualcosa di più profondo e vasto di qualsiasi perversione sessuale. L’inclusione


della pedofilia tra le perversioni sembra oggi destituita di validità, mentre il termine stesso,
“pedofilia”, in quanto termine-ombrello, è ormai vuoto di significato1. “Pedofilia” non
contrassegna una certa classe di condotte, ma piuttosto un’emergenza comportamentale di
organizzazioni mentali diverse2. Da qui l’opportunità della scelta di parlare piuttosto di
“pedofilie”.
Poiché uno degli obiettivi di questo lavoro riguarda proprio l’individuazione di possibili prospettive
unificanti, occorre aprire un linea di dialogo con la psicanalisi, che si è recentemente incamminata
in questa ricerca. La psicanalisi infatti, ha prodotto, sin dall’opera di Freud, un abbondante
materiale sulla “perversione” ed ha cercato di interpretare la pedofilia servendosi di questa
classica chiave di lettura: la pedofilia può esservi compresa, è una perversione? Pedofilia sembra
essere una galassia più vasta delle perversioni: alcune manifestazioni pedofile, infatti, non sono
iscrivibili tra le perversioni, il che ha indotto alcune recenti tendenze psicanalitiche ad accogliere
la distinzione, di provenienza psichiatrica, tra perversione pedofila e perversità pedofila.
Un’altra ipotesi di riconduzione del fenomeno a temi familiari alla psicanalisi consiste
nell’affrontarlo dal versante della sua genesi: la questione centrale diventa allora quella del trauma
«trauma che, talvolta, riproduce sé stesso»3.
Anche la nostra linea di studio mira a rinvenire il punto di fuga della prospettiva unificante delle
condotte pedofile, ma muovendosi su un piano etico-filosofico. Ciò consente, e talvolta richiede,
anche una valorizzazione di materiali di ispirazione freudiana. Per fare un esempio al di là del
determinismo che sembra essere sotteso alla teoria del ciclo della violenza, che noi respingiamo,
la ripetitività transgenerazionale di condotte perverse può leggersi come l’esatto contrario dei
processi di riproduzione, anche culturale.

L’atto pedofilo coinvolge l’affettività, la crescita, la relazionalità, vale a dire i luoghi in cui il
mistero dell’iniquità si accampa e abita la storia. Per ciascuno di questi luoghi esistono atti che
esprimono tipicamente la potenza del male e i modi in cui questa si dissemina e pervade la
convivenza umana; ma la perversità pedofila è probabilmente la sola nell’agire umano capace di
declinarne per intero il paradigma.
Essa si presenta come un agire autodistruttivo, anzitutto, perché tocca l’identità. «L’esorcismo del
male che non si vuol vedere [...] testimonia quanto il tema si presti a esprimere un’inquietudine
profonda che riguarda l’identità dei gruppi sociali, la rottura dei patti e dei vincoli
transgenerazionali, così garantita, una volta, dalla forza degli apparati simbolici collettivi [...] la
pedofilia [...] assume un valore emblematico “è” il “danno” che viene temuto e avvertito in atto
nella catena generazionale».
In secondo luogo nella relazione pedofila l’amore compare come possibilità autodistruttiva della
libertà. Come vedremo, è l’impronta dell’alterità assoluta dentro le strutture intime del sé che
spiega, in ultima analisi, l’esistenza di una possibilità reale dell’autodistruzione legata alla
perfezione umana e, al tempo stesso, il perché l’abolizione dell’altro nell’originarietà della sua
immagine infantile ne assurga ad emblema.

La pedofilia tra colpevolizzazione e patologizzazione

In tema di pedofilie esiste una polarità, dalla quale è difficile fuoriuscire, tra accettazione e
colpevolizzazione. Si tratta di un inganno autoassolutorio con alla base una rappresentazione
ingenua del male, la quale svolge la funzione utilitaristica di sollevare la collettività da ogni
responsabilità: l’eliminazione del male attraverso l’eliminazione fisica del perverso o

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responsabilità: l’eliminazione del male attraverso l’eliminazione fisica del perverso o


l’eliminazione del fantasma della perversità.
La sostituzione terminologica operata da Mc Dougall di “perversione” con “neosessualità”, ad
esempio, è criticata da Balier con la ragione che se da una parte esso toglie possibili connotazioni
moralistiche, dall’altra potrebbe indurre a legittimarle, una volta depatologizzate, come forme
normalmente praticabili di sessualità, come è avvenuto per l’omosessualità4. La disattenzione alla
pedofilia nei testi più recenti di psichiatria rimanderebbe più che a un disinteresse o
sottovalutazione o ad una annessione a titolo esclusivo della problematica da parte della
criminologia, ad una vera e propria censura di ordine moralistico5. Infatti, con la pubblicazione
delle ultime edizioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), che
classificano la pedofilia tra le parafilie, seguendo l’onda dell’interesse della pubblica opinione, si
assiste ad un’inversione di tendenza. «L’aspetto positivo legato all’abbandono di una visuale
prevalentemente etica» in psichiatria ha, però, un «contraltare», il limite, cioè, «di svuotare la
pedofilia della sua centralità psichiatrica, a vantaggio, ancora una volta, del deficit relativo al
funzionamento sociale della persona»6. Stoller ha sostenuto che classificare la pedofilia non più
come perversione ma come parafilia, cela il tentativo di “sanare” la perversione7. «Il termine
perversione andrebbe mantenuto in quanto un senso di peccato è un prerequisito di un’attività
perversa per creare eccitamento sessuale». Infatti occorre non dimenticare che il pedofilo prova
piacere nel far certe cose proprio perché fatte con i bambini, e dunque trasgressive8.
Con l’introduzione di criteri descrittivi nelle più recenti edizioni del DSM, la diagnosi che riguarda
la pedofilia risulta sostanzialmente identica a quella di ICD-10 (Organizzazione mondiale della
Sanità, 1992), nella quale si parla di preferenza sessuale per i bambini. Sfuggono a questa
definizione tutti coloro che non hanno sentimenti di colpa o non sono scoperti. La definizione del
DSM-IV non tiene conto infine di due elementi che sembrano invece di grande importanza, anche
diagnostica: che la pedofilia non è un’entità nosografia a se stante, ma un sintomo, e quello del
ciclo della violenza.

L’impressione che non si riesce ad allontanare è che non si sfuggirà a questo circolo vizioso
rimanendo ancorati al piano dei fatti per amore di una imparzialità e avalutatività, appropriata, tra
l’altro, ad una famiglia di scienze cui la psicologia rimane estranea. Ma, come vedremo subito, su
questo tema possono condursi riflessioni (e vengono di fatto argomentate) anche lungo una linea
qualitativa e valutativa, sia nel senso di uno sdoganamento, almeno parziale, delle condotte
pedofile, sia nel senso contrario di un rafforzamento dei cordoni sanitari intorno ad esse.
L’osservazione ci sembra sufficiente per convincersi, anzitutto, che non si può prescindere
dall’approccio interdisciplinare; che è necessario, in secondo luogo, interrogarsi su quali discipline
debbano entrare in questo dialogo e, infine, del perché l’etica non possa rimanerne fuori. La
discussione, infatti, non può fare a meno di prendere come propria guida la cura e la necessità di
tenere continuamente presenti i propri scopi terapeutici e che questi non vanno semplicemente ad
aggiungersi ai compiti cognitivi o diagnostici ma integra con questi due momenti un sistema di
cura. Il bambino e l’abusante devono essere trattati insieme, sostiene infatti Schinaia; la terapia
dunque non può, per le stesse ragioni, non avere un carattere “ambientale”. L’interdisciplinarietà
riguarda pertanto i saperi coinvolti in quel tipo di operatività umana che qui di seguito denotiamo
come “cura della persona”, quelle, cioè, la cui vocazione è di cooperare con la persona nella
crescita della persona stessa.
Gli approcci valutativi alla pedofilia cui si faceva prima riferimento sono anzitutto le
razionalizzazioni intellettualistiche dei presunti diritti della sessualità pedofila, la rivolta contro
ogni proibizione in nome della libertà del desiderio9. Non si tratterà, in fondo, che dell’altra faccia
del medesimo tentativo di togliere drammaticità al «conflitto potenziale tra la sessualità degli adulti
e quella dei minori e le tendenze appropriative e manipolative della prima nei confronti della
seconda»10?

Certo, l’approccio psicanalitico non è proprio sfornito, al proposito, di armi critiche. Può obiettare
che la norma difende il bambino dall’asimmetria e dal narcisismo dell’adulto; che l’espressione di
una simile sessualità non è senza ripercussioni sul bambino: «aumento dell’aggressività, presenza
di comportamenti antisociali, confusione nell’identità di genere, rischio accresciuto di diventare
anche lui un pedofilo»11; che «la pedofilia senza violenze corporee o senza costrizioni apparenti
si basa sulla forza della seduzione narcisistica, la cui portata distruttrice è altrettanto devastante
che nelle forme violente»; si può insistere sulla riduzione, o l’annullamento, dei tempi della
crescita, nella relazione pedofila:

«La risposta all’argomentazione pedofila deve essere la chiara proposizione della natura del
desiderio infantile, la sua gratuità, il suo specifico linguaggio, il suo autonomo significato ludico,
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desiderio infantile, la sua gratuità, il suo specifico linguaggio, il suo autonomo significato ludico,
che non può essere cortocircuitato in una relazione sessuale con l’adulto, pena la devitalizzazione
del desiderio infantile»12.

O, anche, su un piano più tecnico:

«L’argomentazione difensiva fa parte molto spesso del registro proiettivo. Il soggetto attribuisce
all’altro i sentimenti e i desideri che si rifiuta di vedere in sé stesso»13.

Ma, a parte il fatto che procedimenti interpretativi simili all’ultimo qui menzionato sono in
possesso della bizzarra caratteristica di poter essere applicati alla loro stessa enunciazione, chi si
batte in nome dell’ultimo passo della liberazione sessuale potrebbe comunque ancora obiettare,
sul piano etico e politico: chi traccia i confini in questione? Il giudizio negativo sulla pedofilia
sarebbe dunque l’unico a non essere condizionato culturalmente? Appellandosi a quale principio
la psicanalisi può proclamarsi non organica a quella genealogia della morale da cui dipendono
contemporaneamente tanto le affermazioni su ciò che la sessualità infantile di fatto è quanto
quelle su ciò che deve essere?
Sul medesimo piano valutativo, ma per un verso opposto, assistiamo poi ad una continua
oscillazione (tragicamente simile ad una rimozione, con tanto di censura, perturbante e ritorno
clamoroso del rimosso) tra tabù e richieste di distruzione del pedofilo, tra enfasi eccessiva
accordata ai comportamenti pedofili e insorgenza di fenomeni di pedofobia, con connesso rischio
di sostituzione della vecchia morale sessuofobica con quel permissivismo che R. Reiche chiama
“desublimazione repressiva”: esagerata attenzione al fenomeno, informazione scandalistica,
cinismo informativo. Per quanto non esclusivo della reazione sociale alle aggressioni pedofile,
verificandosi spesso anche nei casi di violenza carnale tra adulti, un altro sintomo connesso a
questi processi culturali che richiamano alla memoria la teoria della vittima sacrificale di Girard, è
quello della stigmatizzazione della vittima14.
Quanto all’immaginario collettivo si può rimandare allo studio dedicato da Schinaia ai rapporti tra
mito e pedofilia la valutazione di quanto sia tuttora persistente «tendenza da sempre radicata
nell’immaginario erotico collettivo (soprattutto maschile) a privilegiare la “carne fresca” [...]
anche come via di fuga dalle ansie e dalle difficoltà della relazione eterosessuale». Non sfugga
inoltre l’ambivalenza già sottolineata dalla psicologia filosofica tradizionale, insita nella fuga dal
nulla, nell’orrore del vuoto. Una fuga dall’ansia che non può non incorrere in ulteriori motivi di
instabilità e di sofferenza psichica, smascherata dall’intento difensivo delle strategie di
razionalizzazione messe in campo.
In queste reazioni del senso morale diffuso si legge da parte di taluni «il rinvio a conflitti inespressi
che ogni atteggiamento moralistico e spietatamente intransigente svela. L’indignazione esprime in
generale lo sforzo di controllare un’indole incline a lasciarsi andare a quelle riprovevoli gesta»15.
Anche qui, quest’ultima opinione è espressa in termini che potrebbero facilmente (forse troppo)
essere ricondotti a dinamiche controtransferali. Se la reazione della collettività comunicante si
offre ad un’interpretazione che rimanda alle stesse radici da cui nascono condotte ed
atteggiamenti perversi di tipo pedofilo, lo stesso potrebbe dirsi delle analisi di alcune linee
interpretative delle reazioni sociali, riconducibili all’approccio psicanalitico.

«Dal punto di vista etiologico, poi, terreno da tipico “fraintendimento scientista” della psicanalisi,
per dirla con Habermas, la costruzione-ricostruzione delle vicende interne delle singole storie
personali, quando è possibile, lascia in genere ampiamente intatto il sentimento di un certo
mistero sul perché, a partire da quelle condizioni, che in genere non hanno proprio nulla di
specifico, si siano sviluppate proprio quelle storie, proprio quelle evoluzioni e non le molte altre
possibili»16.

Insomma, la psicanalisi sembra essere presa tra due fuochi, da un lato è esposta ad obbiezioni
forti come quella citata, di Barale; dall’altro, accettare una soluzione apparentemente a portata di
mano, riducendo tutto ad un «null’altro che» sarebbe solo il corrispettivo intellettualistico delle
reazioni istintive dell’uomo della strada che coglie nella cronaca di fatti di pedofilia l’occasione
ideale per sentirsi rassicurato circa la propria integrità; una tentazione in agguato anche nella
sempre possibile inadeguatezza del pregiudizio scientifico, cioè le opzioni previe legate alle
condizioni imposte dai nostri sistemi di osservazione, le quali finiscono per influire sull’oggetto e
indirizzare i risultati in senso immancabilmente verificazionista.

Psicanalisi, etica, interdisciplinarietà

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Una risposta praticabile ha da tenere conto della straordinaria complessità del paesaggio lunare
della pedofilia e lasciarsi aperta la possibilità della più ampia visuale possibile. In effetti, si nota
un’esigenza fondativa, originaria del discorso psicanalitico, che si arresta, tuttavia, ad un certo
livello d’indagine. Ad esempio, se si vuole evitare che la traduzione dell’avalutatività delle scienze
fattuali nei termini di una scienza dell’interpretazione si riduca, nella fattispecie, ad una cinica
presa d’atto di come stanno le cose nel mondo del pedofilo, non basta asserire, come fa Schinaia,
che non esiste una pedofilia buona ed una cattiva se poi le distinzioni all’interno del complesso
mondo del pedofilo servono solo ad una messa a punto di strumenti diagnostici e terapeutici più
efficaci.
Si vede, insomma, la tendenza a rimanere sul piano descrittivo, da parte della cultura
psicanalitica. Non scava, all’interno del fenomeno della reazione sociale se non fino al livello in
cui si possono osservare i meccanismi inconsci operanti a livello delle condotte individuali, messi,
per così dire, a nudo. Come e perché quello raggiunto debba essere ritenuto il livello ultimo di
indagine, rimane non dimostrato. Sembra però che la ricerca eziologica, quando si arresta al
piano esistentivo, rimanga imprigionata tragicamente nel cerchio ermeneutico del setting.
Si può scendere ancora fino a toccare il livello ontologico?
Barale dice efficacemente di dialoghi interrotti tra psicanalisi e psicopatologia, «ingenuamente
psicogenetista» l’una e ignara di psicodinamica l’altra e con la lezione di Jaspers. Ma c’è un
ulteriore dialogo, interrotto quasi subito, con l’etica e il contributo della tradizione filosofica, che
la tendenza della psicanalisi ad autoalimentarsi ha accettato di prendere in considerazione, spesso,
solo a condizione di poterli far distendere sul lettino.
Se invece si accetta che le radici del fenomeno affondano nella persona fino a implicarne le
strutture trascendentali, come crediamo, ci troveremo davanti all’accidentata vastità geografica di
un territorio inesplorato. Ad esempio, l’atto può collocarsi sul piano della condotta o degli
atteggiamenti, se ne può indagare la materia o l’intenzione, o il carattere simbolico, l’unicità o la
ripetitività. Quanto all’agente, si può prendere in considerazione il grado di avvertenza, la
deliberazione, il consenso. L’attenzione, infine, può rivolgersi all’altro in quanto tale, in quanto
sessuato, in quanto ha una storia o in quanto è situato in relazione; sulla sua identità, individualità
o soggettività o corporeità.
Una simile lista è ovviamente ben lungi dall’essere completa, e stilata limitandosi ai soli aspetti
etici della cosa, senza dire di quelli medici, psichiatrici, psicologici…
D’altra parte la psicanalisi può trarre da questa alleanza una più rigorosa definizione del proprio
statuto epistemologico e del proprio ruolo scientifico. Potrebbe servirsene per correggere la
continua esitazione che può ancora leggersi in ambito psicanalitico tra naturalismo, fattualismo,
pansessualismo, avalutatività, descrittività e prescrittività, tendenza all’infrazione della legge di
Hume: tutte conseguenze dell’arbitraria autolimitazione del discorso psicanalitico al piano
esistentivo. La discesa al livello ontologico, al contrario, fino alle vere strutture portanti
dell’esistenza personale può fornire all’osservazione clinica indicazioni su dove e cosa osservare;
la collaborazione interdisciplinare tra psicologia razionale e psicanalisi può risolversi in una
continua offerta di stimoli ed ipotesi alla ricerca di una verifica sul piano scientifico.
La discesa al piano dell’essere, l’aperta accettazione dell’attitudine valutativa del discorso
psicologico sulla pedofilia, possono far cogliere con maggiore acutezza ed efficacia aspetti
dignosticamente utili e preziosi sul piano della prevenzione e della terapia, oppure a distinguere la
curiosità morbosa -alimentata e sorretta da meccanismi sociali a loro volta perversi o, più
banalmente, indotta da una manipolazione mediatica della pubblica opinione finalizzata a prosaici
obiettivi d’interesse economico- da un istinto morale del senso comune, capace di attingere al
livello in cui la manifestazione perversa si mostra fondata sulle possibilità connesse al modo
d’essere stesso di strutture trascendentali della persona.

Per spiegarsi perché il tema sia poco dibattuto in psicologia e quasi trascurato in psicanalisi,
Schinaia ricorda che le poche considerazioni che Freud dedica al tema sono soprattutto di ordine
etico. Schinaia ipotizza un effetto di turbolenza introdotto dalla valenza etica del tema:

«Ho la sensazione che gli aspetti etici e culturali che entrano pesantemente in gioco nella
relazione con il paziente pedofilo possano assumere un ruolo rilevante nella decisione di tenersi
alla larga da questo tipo di disturbi»17

Lo scopo del presente lavoro potrebbe essere indicato nella ricerca di una conferma di questa
impressione di Schinaia. Con ciò si giustifica anche la scelta di fondo che abbiamo operato: una
scelta per l’etica in posizione di dialogo interdisciplinare con la psicanalisi, senza pretesa di
riduzione di alcuna delle due a ruoli ancillari. La tesi è che la pedofilia non può essere compresa

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riduzione di alcuna delle due a ruoli ancillari. La tesi è che la pedofilia non può essere compresa
fino in fondo nello sforzo di ricondurla ad una perversione privata, ma è un potenziale
autodistruttivo ed al tempo stesso espressione degradata, ma coerente, non di una certa
organizzazione storica delle forme del vivere associato o del sistema produttivo ma, in un certo
senso, delle strutture formali proprie della convivenza umana come tale. L’intersoggettività
integralmente assunta e l’apertura comunicativa universale all’altro ed alla città, che pure si
trovano nell’universo mentale del pedofilo, vi si trovano tuttavia come nel deflusso di una continua
degradazione. Lo sforzo è quello di trascendere il terreno preferito dell’indagine psicanalitica e
nello stesso tempo di ricomprenderlo fino a pervenire a tali strutture. Come Kant pone il criterio
della autocontraddittorietà quale criterio di verità, qui è esistenzialmente l’autodistruzione a
smascherare il nulla di verità e al tempo stesso il drammatico significato del fenomeno pedofilo18.
Abbiamo scelto Sigmund Freud e Agostino d’Ippona come guide in questo percorso. I motivi sono
legati alle analogie che possono riscontrarsi tra i rispettivi interessi di studio. In particolare due
elementi attirano la nostra attenzione: tutti e due pongono l’amore al centro della vita psichica ed
entrambi considerano la perversione un tratto distintivo della differenza umana, con caratteristiche
di universalità e dotato di un potenziale autodistruttivo. «È definitivamente impossibile non
riconoscere qualche cosa di universalmente umano e di originario nella predisposizione uniforme
verso tutte le perversioni» (Tre saggi…, 500). Testi freudiani che esprimono convinzioni analoghe
si trovano anche in opere successive e possono accostarsi a certe espressioni agostiniane che
vedono l’essere umano costituzionalmente aperto alla universalità (dei bisogni, del desiderio, della
conoscenza) e dunque anche verso tutte le perversioni. Vi sono naturalmente delle differenze tra i
due e, si potrebbe obiettare, assai più consistenti dei punti d’incontro. Ci si potrebbe chiedere, ad
esempio, se la somiglianza tra questi residui di costituzionalismo, in Freud, e certi elementi del
predestinazionismo agostiniano siano di sostanza. Tuttavia tali analogie non sono estrinseche
proprio perché le divergenze toccano i medesimi punti ora ricordati. Freud legge la perversione in
continuità con la normalità della vita psichica, per Agostino, invece, essa si instaura
esistenzialmente con una facies ambigua; si oggettiva nei conflitti storici ma anche in forme di
cooperazione tra le persone perché rimanda ad una più profonda frattura al livello ontologico. Per
Freud il male è una condizione umana, per Agostino si direbbe piuttosto una situazione; per l’uno
il male è necessario, per l’altro inevitabile; per entrambi ha un’origine intelligibile, a condizione di
riportarlo ad un suo adeguato livello profondo, vale a dire: ha un senso. Il punto di maggiore
divergenza sta proprio nella vastità della dimensione interiore, che per Agostino sembra essere
assai più estesa di quella a cui Freud rivolge l’analisi e, paradossalmente, il pessimismo
antropologico di Agostino appare per questo più drammatico di quello freudiano. A dispetto della
fama di pensiero eversivo di cui gode, l’approccio freudiano potrebbe infatti essere interpretato
come un tentativo di porre il male sotto il controllo umano, un tentativo di normalizzazione del
male più che di patologizzazione della normalità psichica. In quanto vi vede una possibilità
mancata dell’amore, invece, per Agostino il male è un’inconsistenza ontologica, indebolisce
quelle energie che dovrebbero combatterlo e la sua presenza stessa vanifica la speranza di una
sua espulsione definitiva dalla storia con il ricorso alle sole forze della natura umana.
Sarà un tema sul quale, per quanto implicitamente, toccherà ritornare.

La perversione e il male: l’approccio psicanalitico, l’approccio ontologico

S. Freud. Perversione e trauma: un percorso

In ambito psicanalitico lo studio della pedofilia non è certamente tra i temi più visitati e viene
solitamente inquadrato all’interno delle molte teorie della perversione: teorie dei conflitti non
risolti, del ritardo dello sviluppo affettivo, della ripetizione per dominare il trauma, delle relazioni
oggettuali narcisistiche, dell’evoluzione sadica dell’aggressività. Fin dall’originario pensiero di
Freud, la psicanalisi ha tenuto un atteggiamento esitante su questo tema, per certi versi analogo a
quello degli adulti che riconoscono l’abuso solo attraverso ammissioni parziali19, mentre deve
registrarsi una sostanziale disattenzione per il mondo del pedofilo, a favore dell’interesse per
l’abusato.
Un solo scritto di Freud è dedicato ex professo alla pedofilia, la quale viene a trovarsi inquadrata
nella fase centrale del processo evolutivo del suo pensiero sulla perversione. Si tratta del saggio
«Persone sessualmente immature [Geschlechtsunreife, scil.: prepuberi] e animali come oggetti
sessuali», inserito in Tre saggi sulla teoria sessuale, del 1905. Si può però affermare che nel
percorso di Freud sulla perversione è implicito anche il tragitto compiuto dalle sue opinioni sulla
pedofilia.
L’approccio freudiano alla perversione ha subito tre fasi evolutive. La prima (fino al 1896)
caratterizzata dalla teoria della seduzione; la seconda, dominata appunto dalla teoria della

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caratterizzata dalla teoria della seduzione; la seconda, dominata appunto dalla teoria della
sostituzione dell’oggetto; l’ultima, inaugurata da Introduzione al narcisismo, del 1914, culminante
con la teoria del dualismo pulsionale di Al di là del principio del piacere (1920).
Le prime formulazioni freudiane ponevano la perversità in continuità con il normale sviluppo
psicosessuale del soggetto. L’origine è generalmente cercata in un trauma vissuto in età infantile
nel proprio corpo, ossia un’esperienza sessuale reale. Del 1896, ad esempio, è una citazione che
Freud attinge da Steckel (Coito nell’infanzia) per denunciare la scarsa vigilanza dei genitori su
questo punto.
Un altro indizio delle posizioni di Freud sulla pedofilia, già fin dal 1892-95, riguardo al caso di
Anna O., lo ricaviamo dal suo interesse per le fiabe di Andersen: cita in diverse occasioni
Cappuccetto Rosso, Biancaneve, I vestiti dell’imperatore e altre fiabe, che egli interpreta come
ricordi di copertura ed esempi tipici di romanzo familiare. Alla sua prima formulazione delle
nevrosi di difesa quale risposta ad una prematura esperienza sessuale, del 1895, dà
significativamente il titolo di Fiaba di Natale. Le favole riguarderebbero appunto l’origine dei
traumi, e favoriscono, dopo la pubertà, il ritorno controllato del rimosso, consentendo una meno
problematica gestione della manifestazione dei sintomi nevrotici.
A quell’epoca Freud riteneva che i racconti dei pazienti si riferissero in gran parte ad eventi reali:
traumi sono tutte quelle esperienze sessuali, in senso lato, da cui derivano le manifestazioni
nevrotiche dell’età adulta. Ve ne sono di due tipi: quelli che si verificano in un contesto di
aggressione e quelli invece che avvengono in un contesto di cura del bambino da parte di
bambinaie, maestri, parenti stretti. In questo secondo e più numeroso gruppo i bambini
interagiscono col seduttore o seduttrice.
Tutto ciò ancora nel 1896, anno della fredda accoglienza riservata dalla Società di psichiatria e
neurologia di Vienna all’articolo Etiologia dell’isteria, in cui Freud pubblicava per la prima volta
queste idee; ma già nel 1897 assistiamo ad una prima mutazione della sua teoria: il trauma
produce i propri effetti nevrotici solo molto tempo dopo l’accadere degli eventi e solo qualora sia
attivato retroattivamente da un elemento scatenante. Con ciò il trauma, adesso, è preferibilmente
considerato un artefatto immaginario. I motivi di fondo della perversione, invece, anche in questa
seconda fase, rimangono per Freud sostanzialmente edipici e sessuali; accenna ad un caso clinico
in cui la perversione previene dallo scivolamento lungo la china nevrotica, e dunque mantiene
l’interpretazione del significato difensivo di queste formazioni.
In Tre saggi sulla teoria sessuale come si è visto, parla della pedofilia, che però ora egli considera
un atto occasionale più che una perversione. La teoria della seduzione è rimpiazzata da quella del
bambino come oggetto sostitutivo; solo raramente vi è trattato quale oggetto sessuale esclusivo e
gioca «un ruolo secondario» rispetto alla pulsione sessuale: la teoria della sostituzione fa sì che la
pedofilia non rientri nella lettura psicodinamica della perversione come blocco dello stadismo
sessuale a epoche precoci di sviluppo.
Le posizioni di Freud sulla pedofilia dipendono qui dal lavoro su Leonardo da Vinci. Secondo la
complessa analisi freudiana, Leonardo sostituisce la seduzione materna tramite un’identificazione,
dunque gestendola vicariamente, vale a dire comportandosi come lei riguardo a giovani che
tengono il posto del bimbo che egli fu. Il bambino non riveste un interesse sessuale come tale, ma
in quanto la sua giovane età gli consente di sostituire il vero oggetto pulsionale.
Anche in questa fase, tuttavia, Freud mantiene un certo realismo. Ad esempio, sulla base degli
episodi di pedofilia narrati da Dostoevskij nei Demoni, e in Storia di un grande peccatore,
autobiografia incompiuta, conclude che l’autore è una personalità con tratti sadici, la cui pulsione
si orienta prevalentemente verso l’interno, sotto forma di senso di colpa. L’analisi sull’opera dello
scrittore russo, dimostrerebbe che anche dopo il 1896, Freud continua a tener presente la
perversione sadomasochistica nella personalità pedofila, sebbene in altri luoghi sostenga il
contrario.
Si notano ancora tracce dell’influenza del costituzionalismo nel pensiero freudiano. Il fatto che la
seduzione possa far divenire il bambino un perverso polimorfo dimostra, per Freud, che il
fanciullo è costituzionalmente predisposto «a tutte le possibili prevaricazioni» (1905), tanto più
facilmente quanto più sono ancora in sviluppo le potenze psichiche antagoniste (pudore, morale
ecc.).
L’ultimo Freud pone l’accento sul dualismo pulsionale: pulsioni sessuali da una parte e distruttive
dall’altra e queste in un rapporto di reciproca continuità. L’introduzione della pulsione di morte e
della teoria dell’impasto pulsionale, sfocia in un nuovo modello interpretativo della perversione
che viene adesso prospettata come una strutturazione forte della personalità di tipo narcisistico.
Benché in Introduzione al narcisismo Freud non torni sull’argomento, la pedofilia dovrebbe
apparire, sotto questa luce, maschera narcisistica e non sostituzione di un oggetto; dunque
implicante una vera e propria selezione oggettuale.

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implicante una vera e propria selezione oggettuale.


Anche il suo modo di ricorrere alla fiaba è mutato; adesso Freud ne fa un uso metaforico per
illustrare concetti psicanalitici. L’annullamento delle istanze reciproche di es, io e super io viene
illustrato da Freud, ad esempio, col rimando alla fiaba dei Tre desideri; in Psicologia delle masse e
analisi dell’io sostiene che l’eroe della fiaba (spesso uno sciocco o l’ultimo arrivato) sia da
accostarsi all’uccisore del padre dell’orda primitiva. Freud ha ormai abbandonato l’idea che
l’origine della fiaba debba cercarsi in un allestimento di difesa o di prevenzione dal trauma
sessuale sul piano storico bensì nelle teorie sessuali dei bambini e nelle fantasie di castrazione.
Sarebbe proprio grazie alla sua struttura narrativa, che colloca esplicitamente i fatti sul piano della
fantasia (“onestà” della fiaba), che essa perde tutto quanto può esservi di perturbante e può così
svolgere la sua funzione educativa.

Gli interpreti di Freud si sono posti l’interrogativo circa i motivi dell’evoluzione del suo
atteggiamento di pensiero nei confronti della perversione e della scarsa attenzione da lui riservata
alla pedofilia. Per conformismo e desiderio di vedere la psicanalisi affermarsi accademicamente,
secondo alcuni (Masson); con il lungimirante intento di porre in salvo la psicanalisi dal rischio di
diventare un potente strumento di repressione poliziesca, secondo altri (Lopez). L’attenzione al
bambino psicanalitico, più che al bambino reale; la successiva teorizzazione del complesso
edipico, che sembra soppiantare la fase anteriore al 1897, con il conseguente abbandono della
centralità del carattere storico del trauma in quanto causa remota del vissuto nevrotico, potrebbe
aver funzionato da schermo che ha celato le dimensioni effettive della violenza sessuale reale sui
bambini. Sono altre plausibili spiegazioni. Potrebbe non essere estraneo neppure il fatto che
l’approccio fattualistico e avalutativo, in quanto tende a riportare i fenomeni sul piano dei fatti
clinici, inclina ad osservare la pulsione indipendentemente dal suo oggetto e quindi potrebbe
addirittura condurre a una virtuale giustificazione dell’agire pedofilo, ormai nulla più che semplice
soddisfazione di un bisogno. Si aggiunga l’impatto della teoria della seduzione, secondo la quale,
in un gran numero di casi, è il bambino stesso a provocare l’adulto, a “volere” inconsciamente il
trauma. Tutto ciò avrebbe potuto costituire agli occhi di Freud una ragione sufficiente ad indurre
un prudente silenzio in materia o il suo trasferimento sul piano dell’elaborazione fantastica.
Riteniamo si possa aggiungere, a queste, una nostra congettura, che procede dalla considerazione
che l’impianto stesso della psicanalisi tende a ricondurre l’interezza dei fenomeni psichici, senza
residui, sul piano esistenziale. Con un effetto rassicurante sulla collettività, il male si presenta,
così, come qualcosa di necessario, in un certo senso controllabile, a prezzo, però, di smarrire, a
livello simbolico, il senso della drammaticità dei conflitti psichici e sociali. Ridotti al piano fattuale,
questi ultimi non rimandano più ad alcun ulteriore sistema di significati. Anche l’interpretazione
psicanalitica però, a nostro avviso, si vede costretta a rinunciare a una certa quota della sua
capacità di lettura della condotta pedofila; appare anch’essa più banale, meno “vera”, tende a
risolvere tutti i casi con il medesimo appello al narcisismo.

La pedofilia nella psicanalisi post-freudiana

La pedofilia come scelta oggettuale narcisistica viene ripresa da Fenichel (1945). Per M. Klein,
invece la frequente presenza di figure antropofagiche rimanda ai complessi rapporti oggettuali
della fase orale. A parte questi lavori, il poco d’altro che la psicanalisi ha prodotto sulla pedofilia,
a cominciare da Freud, fa riferimento per lo più all’angoscia di castrazione, e dunque alla
perversione. Le perversioni sarebbero tutte atti sostitutivi della castrazione che in tal modo
consentono di controllarla illusoriamente (compulsivamente). Al centro del dibattito psicanalitico
sulla perversione c’è sempre stata, e c’è ancora oggi, la quaestio disputata della storicità o della
psicogenesi del trauma. Come s’è detto, anteriormente al 1897 Freud ha sostenuto la prima tesi e
successivamente l’ha ritrattata (il “voltafaccia”, come è stato definito da Bowlby).
Nel 1932 Ferenczi scrive che i traumi infantili sono in larga parte da interpretare come eventi
reali. Il bambino, secondo Ferenczi, tende ad identificarsi con l’aggressore: in tal modo questi
“scompare” come agente reale e ne rimane solo la tenerezza. Solo che accade che
l’identificazione significa anche introiezione dei sensi di colpa dell’adulto. Il bambino così, da
vittima, assume il ruolo di colpevole. Il riferimento di Ferenczi è al primo Freud (1896) che, come
abbiamo appena visto, considerava il trauma prevalentemente come un fatto che si pone sul piano
dell’effettività storica. Tuttavia “identificazione” non significa affatto, di necessità, una meccanica
riedizione del dramma della violenza a parti invertite.
Cassity (1927) tra gli altri fattori eziologici indica l’elusione dell’angoscia di castrazione attraverso
la scelta di un oggetto d’amore uguale a se stesso. Nel 1959 Socarides ha sostenuto che la
scissione dell’io e quella dell’oggetto sono necessarie per passare all’atto pedofilo: la perversione
riesce a interrompere la progressione verso la psicosi. Ad esempio un paziente resisteva

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riesce a interrompere la progressione verso la psicosi. Ad esempio un paziente resisteva


all’inglobamento nella madre attraverso attività pedofile (assimilava l’oggetto nella sua mascolinità
immatura per sfuggire alla reclusione identificativa nel ventre materno: sentirsi parte del bambino
attraverso la relazione sessuale (proiezione/introiezione).
Oggi si può ancora osservare un panorama variegato. Autori come Spencer, Schafer (con la sua
narratologia) sottolineano l’importanza della dimensione interna del trauma; l’ultimo Rosenfeld ha
sostenuto invece il valore della realtà; il trauma non è solo storico, ma relazionale con centralità
riservata all’impatto intrapsichico nella patologia, secondo Schwartz. Eventi traumatogeni, oltre ai
fatti sessuali, possono essere i vissuti psichici, come l’Edipo, la sessualità dei genitori ecc. (i
“fantasmi originari” di Klutzer) ma anche di natura non sessuale (traumi fisici ecc.). La funzione
difensiva della perversione dall’angoscia di castrazione è tuttora riconosciuta. Il pedofilo può
essere rassicurato dal rapporto con una bambina perché può raggiungere l’orgasmo senza doversi
misurare con la penetrazione genitale20. Anche De Zulueta ha di recente affermato che le
manifestazioni perverse possono svolgere la funzione di alleviare il Sé dal dolore della perdita di
controllo.
Secondo taluni il rapporto trauma-pervesione può essere rovesciato (De Masi): per certi bambini il
trauma risveglia il piacere sadico. Secondo Barale, infine, proposizioni che giungono ad asserire
che «tutte le perversioni e le perversità hanno un’origine difensiva, ogni comportamento distruttivo
ha comunque le sue radici in esperienze traumatiche» sono «altamente problematiche»21. Per lui
la fragilità del sé (e conseguente disposizione al trauma) e perversione sono entrambi aspetti di
un’unica sottostante struttura solo parzialmente indagabile tramite psicanalisi. Pertanto Barale
approva la scelta strategica, nell’opera di Schinaia, di accogliere in psicanalisi la fondamentale
distinzione, di provenienza psichiatrica, tra perversione e perversità, di cui si dirà più avanti.

Agostino d’Ippona. Immagine e pericoresi trascendentale. La struttura ontologica uni-trina della


psiche

Il concetto di “immagine di Dio” tiene una posizione centrale non solo nell’antropologia teologica
ma anche nella psicologia razionale di Agostino di Ippona. La dottrina dell’esistenza di
un’immagine di Dio nell’uomo non è un’esclusiva agostiniana, né del pensiero cristiano,
trovandosi già nella produzione sapienziale del Vicino Oriente e nella letteratura sacerdotale del
giudaismo. L’immagine di Dio è già, per carattere proprio, un concetto modellato su un
paradigma storico: in qualche modo condensa in sé un nucleo narrativo. Ciò è importante per
comprendere come per Agostino il problema dell’essere e quello del tempo confluiscano in
un’antropologia incentrata sulla dimensione esistenziale.
L’originalità della posizione agostiniana consiste nel fatto che per lui è l’immagine della Trinità a
trovarsi impressa nelle strutture naturali dell’uomo o, meglio, «in noi», come «un linguaggio
segreto»22.
L’immagine della Trinità impressa in noi consiste nel fatto che «esistiamo, conosciamo di esistere
e amiamo questo nostro essere e questa conoscenza»23.
La particolare somiglianza divina dell’immagine di Dio impressa nella natura umana sembrerebbe
pertanto derivare proprio dall’autoconsapevolezza di cui gode l’essere umano e di cui ogni altro
essere sensibile è privo. L’autoconsapevolezza ha, per Agostino, due caratteristiche: la certezza e
la naturale tendenza alla felicità.
Agostino si occupa prima della certezza del fatto di esistere, conoscere di esistere e amare
entrambe le cose. Innanzi tutto spiega che la conoscenza di queste tre non viene raggiunta
attraverso l’ausilio dei sensi esterni e l’attività dell’immaginazione, ma si tratta piuttosto di
un’intuizione fondamentale che esclude qualsiasi errore dovuto all’immaginazione. Al contrario, è
questa conoscenza fondamentale certa che fonda ogni conoscenza sensibile24.
Si tratta di un esempio classico di applicazione del principio dell’interiorità. Agostino lo scoprì
leggendo i platonici e lo approfondì alla luce della dottrina creazionista25. Il filosofare inizia con il
ritorno in sé, dove il soggetto scopre una verità che lo trascende26. Essa si presenta alla mente
con carattere di oggettività, necessità e universalità. La mente coglie infallibilmente la verità con
tale carattere.
Il perché e l’importanza dell’inserimento delle condizioni di conoscibilità nel contesto
antropologico dell’immagine di Dio può essere colto solo richiamandosi alla teoria epistemologica
agostiniana dell’illuminazione. Con essa Agostino prolunga la teoria innatistica di Platone ma
respinge la dottrina della reminiscenza, perché legata a quella della preesistenza dell’anima.
Agostino sostiene piuttosto che c’è nell’interiorità della persona una verità che illumina, a priori, si
direbbe quasi, ogni apprendimento esterno. Cioè la verità interiore pone le condizioni generali
della conoscenza della verità27. Agostino sostiene così la trascendenza di questa luce interiore28.
E’ a questo punto che Agostino introduce il suo classico argomento contro gli accademici:

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E’ a questo punto che Agostino introduce il suo classico argomento contro gli accademici:

«Il questa triplice certezza non temo alcuno degli argomenti degli accademici che mi dicono: ‘e se
t’inganni?’. Se mi inganno vuol dire che sono. Poiché dunque esisto, dal momento che mi
inganno, come posso ingannarmi a credere che esisto, quando è certo che io esisto dal momento
che mi inganno? Poiché dunque, anche nell’ipotesi che io mi inganni, esisterei pure
ingannandomi, non mi inganno certamente nel conoscere che esisto…»29

Questo argomento si trova già in altre opere di Agostino30. All’obbiezione degli accademici (o
scettici) oppone l’argomento del dubbio31 che conferma l’essere: «So di vivere, so di pensare»;
«Se dubito, vivo»32.
La certezza immediatamente evidente dell’esistenza, fonda l’infallibilità della conoscenza della
propria esistenza. Dalla certezza dell’essere si passa così alla verità del conoscersi. Ma
immediatamente dopo Agostino afferma:

«…nel conoscere di conoscermi esistente non mi inganno [...] e quando amo queste due cose
(l’essere e il conoscermi) aggiungo, in me conoscente, questo stesso amore come elemento di non
minor pregio. Né mi inganno sulla realtà del mio amore perché non mi inganno sulle realtà che
amo…»33

Dalla certezza dell’essere e del conoscersi scaturisce dunque anche la certezza dell’amore di
entrambi.
La dimostrazione di questo asserto la imposta ricorrendo alla sua nozione di pondus34, ossia la
tendenza universale, intrinseca ad ogni realtà creata in quanto creata, a guadagnare il luogo
appropriato alla sua persistenza nell’essere e quindi alla sua quiete. Egli intende chiaramente
l’amore come pondus specifico dell’essere umano: dal fatto che l’amore è l’inclinazione umana
all’esistenza e alla conoscenza -«Di questo ci rende testimonianza il ben noto sentimento comune
[...] la natura aborre il nulla [...] alla natura ripugna l’essere ingannata…»35- e risultando con
certezza la propria esistenza e il conoscersi, consegue necessariamente anche la verità e la
certezza dell’amore di entrambi. Insomma, così come, sul piano speculativo, è immediata e
infallibile la conoscenza della propria esistenza, perché, come abbiamo visto, l’ipotetico dubbio
l’accerta, in modo analogo l’amore di sé è un’evidenza pratica immediata, che qualsiasi tentativo
di smentirla finirebbe per confermare. Stabilito quanto sopra, si deve tenere presente che
all’interno della triade esistenza, conoscenza, amore, quest’ultimo ha la funzione di rendere
conoscibile l’atto di conoscenza del proprio essere:

«…anche nel conoscere di conoscermi esistente non mi inganno. Infatti, come conosco che
esisto, così conosco anche di conoscere la mia esistenza»36.

La frase si spiega col fatto che non si può amare se non ciò che si conosce, amare il conoscersi e
conoscere il conoscersi sono la stessa cosa e godono della medesima certezza dell’esistere e del
sapersi esistenti.
Dobbiamo fare un ultimo passo: l’amore ha una relazione anche con l’esistenza. Tenuto presente
quanto detto a proposito dell’amore come pondus, tale relazione si configura come felicità,
beatitudine. Dal momento che «[non è] possibile essere felici senza esistere»37, non ci resta che
concludere che la relazione fra i termini della triade è una pericoresi nella quale ogni termine
scaturisce dal successivo. Inquadrando questo problema nel contesto dell’immagine di Dio, come
si è visto all’inizio del capitolo, Agostino parte dall’amore della mens38 per sé stessa: questo
amore allora implica necessariamente conoscenza (nessuno può amare senza conoscere) e si ha
così una triade che è sostanziale unità. Ma si può anche prendere come punto di partenza il
conoscersi. Nella mente che si intuisce vi è identità dell’atto di intuizione e oggetto di intuizione.
Ora, l’oggetto, cioè la mente, può essere intesa in due modi: o come sostanza o «come attualità,
come trascorrere di atti», operatività, attività di intuizione. Dal punto di vista metafisico è più
importante la prima prospettiva, dal punto di vista psicologico invece è più importante l’altra,
quella dell’atto dell’intuizione. Da questo punto di vista Agostino assoda che è nell’amore di sé
che il soggetto coglie la propria identità. L’amore è in qualche modo il soggetto intero, il principio
dell’operatività personale che cerca di unificare in sé ogni cosa, ovunque ricerca se stessa, in ogni
sua espressione esprime il fondamentale amore di sé.
Ora, quest’amore non si trova mai storicamente in questa condizione di indeterminatezza, al
contrario, esso lo si sperimenta esistenzialmente solo in un suo concreto orientamento verso un
oggetto. Ecco allora profilarsi la teoria agostiniana “dei due amori”, mediante la quale, respinto il
dualismo bene-male sul piano ontologico, Agostino lo recupera a livello esistenziale e morale.

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dualismo bene-male sul piano ontologico, Agostino lo recupera a livello esistenziale e morale.
L’amore dunque si sdoppia esistenzialmente: il primo è desiderio, radicato ontologicamente, della
verità e della felicità, la tendenza all’autopossesso nella verità; l’altro è amor sui, amor-cupiditas,
che si contrappone all’amor-caritas. Privo di una reale sostanza ontologica, il male è il risultato di
un fallimento dell’amore, esiste solo in quanto vuota affermazione della pura possibilità di una
totale assenza di bene e di verità.
Due “città” hanno origine rispettivamente da questi due amori contrapposti:

«Fecerunt civitates duas, amores duo»39;

In questa rifrazione esistenziale dell’amore c’è l’intelligibilità ultima dell’agire umano, del suo
strutturarsi in sistemi di valori, stili di vita, regole del vivere associato, motivazioni ideali della
cooperazione e dei conflitti, modelli culturali ed educativi, forme storiche della convivenza
umana40.
Particolarmente illuminante, riguardo a questo punto è la relazione tra verum e bonum già messa
in evidenza. La tensione tra il desiderio di compimento di sé e la pulsione nichilistica dell’amore
del proprio male produce un formidabile impatto sulla storia, e le sue conseguenze antropologiche
vengono interpretate da Agostino secondo il paradigma biografico della lotta interiore e del
dramma intellettuale, morale e spirituale della persona.

Una perversione della cura

Possiamo allora brevemente sintetizzare così: la mente ha una dialettica intrinseca al proprio
essere tra conoscere e amare. I tre termini sono reciprocamente in relazione di unità
trascendentale, sono dunque uno e uguali tra loro. Esiste una pericoresi il cui dinamismo fa
emergere una conoscenza intuitiva completa dell’esistenza personale di cui l’amore di sé è come
lo sfondo e ricopre un ruolo unificante la persona. Alla pericoresi esistere-conoscersi-amarsi
corrisponde quella essere-verità-bontà. In definitiva a quest’ultima deve ricondursi lo statuto delle
due città. È a tale statuto che attribuiamo qui il nome di mente (mens) o nous: un orizzonte di
senso e di intenzionalità, un punto di vista in funzione del quale è possibile una decifrazione
dell’uomo e della storia e nel quale si dischiude l’immanente coerenza con le strutture
personalistiche trascendentali. Infatti, sebbene le strutture antropologiche siano naturalmente
inscritte nella persona come verità oggettiva, tuttavia è possibile decifrarle solo in un preciso
orizzonte di intenzionalità, cui la persona aderisce come al suo bene appropriato e supremo. La
verità è dunque connessa al bene scelto, cui è ordinata la volontà della persona, una verità libera e
problematica. A questo costituirsi esistenziale della persona in un determinato orizzonte di senso e
di intenzionalità diamo qui il nome di metanoia. In questo modo il legame tra antropologia intesa
come biografia morale e spirituale della persona e la storia deve apparire come un rapporto
essenziale. La verità è, insomma, una verità che coincide dal un lato col bene per il quale la
persona storicamente si pronuncia e dall’altro con la natura profonda del suo essere41. E’
pertanto anche una verità scelta, libera, eleggendo la quale come proprio bene la persona stessa vi
si interpreta e vi si afferma, sussiste.
L’unità della mente non dice uniformità, così come la relazionalità non le è estrinseca ma
costitutiva ed originaria. La simbolica agostiniana dell’immagine della Trinità in noi afferma
innanzi tutto l’insistenza, in noi, di un segno dell’Assolutamente Altro. Così come la persona,
grazie all’introspezione, alla luce del principio di interiorità, scopre un’indisponibilità di sé, e
scopre in sé una verità che non è lui stesso a darsi, avverte altresì una nostalgia innata perché
l’oggetto originario dell’amore non è a disposizione, trascende l’amore stesso. Così come la
ragione scopre, non crea, avanza dal noto verso l’ignoto, indaga e processa perché non trae nulla
dal nulla, così l’amore è continuamente in tensione alla ricerca di stabilità ed equilibrio, che da
solo non può darsi. L’immagine dell’altro in noi è un’immagine kenotica, egli ci si presenta nella
mancanza, la sua gloria si manifesta nell’indigenza, si offre in totale gratuità nell’immagine del
puer aeternus, del fanciullino42. L’altro è come nascosto, povero di verità, vuoto di contenuto,
senza identità e si presenta come negazione del soggetto (non è me) appare come un essere
desiderante verso di me come a tutto il suo bene e indigente d’amore. L’oggetto dell’amore è
dunque innato e la pulsione, contrariamente a quanto sostiene Freud, non è mai senza oggetto
neppure ai più primitivi stadi psicodinamici. È, semmai, senza volto né nome. Il trauma, in
qualche modo, riguarda sempre l’altro, o meglio qualcosa che nell’altro mi (ri)guarda e mi tocca.
Allo stesso modo si può dire che l rimosso è sempre qualcosa che rimuovo in me dall’immagine
dell’altro in me.
È all’intrinseca doppiezza dell’immagine dell’altro in noi, infine, che Agostino demanda la
spiegazione del fenomeno dello sdoppiamento delle possibilità dell’amore, su cui si fondano le

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spiegazione del fenomeno dello sdoppiamento delle possibilità dell’amore, su cui si fondano le
due opposte visioni del mondo: l’amore dell’Assolutamente Altro fino al disprezzo di sé; l’amore
di sé fino al disprezzo dell’Assolutamente Altro.

Crescere sotto lo sguardo dell’altro. La cura

La cura della persona è un concetto che mette in evidenza l’essenza propria della dignità di
persona nella narratività e nell’intersoggettività, nel finalismo intrinseco alla vita dello spirito.
La cura è strettamente legata al modo d’essere della persona incarnata, cioè la corporeità e la
temporalità biografica. Questo è in effetti l’essere sessuato: il fatto che la persona umana è uno
spirito incarnato in continua crescita e fondato dentro un orizzonte relazionale. È anche il motivo
per cui, arrestando la ricerca delle radici delle motivazioni soggiacenti alla condotta pedofila al
piano esistentivo, si è spesso tentato di interpretarne il significato inquadrandolo tra le perversioni
della sfera sessuale. In realtà, tutte le relazioni personali fondanti sono sessuate e in quanto anche
le relazioni allargate sono relazioni tra uguali, perché passano per la radicale fratellanza tra tutti
gli esseri umani fondata sulle comuni origini parentali, anche le relazioni generazionali,
pedagogiche, politiche, sociali, economiche, amicali lo sono. Ma in quanto il senso della cura è
anche quello d’essere una forma di conoscenza, un modo d’essere della libertà fondato sul
riconoscimento dell’altro come limite, la cura si accredita come risposta originaria
all’obbligazione che scaturisce immediatamente dall’esserci dell’altro come persona.
La pedofilia, sotto questa luce, appare un ceppo di linguaggi difficili da interpretare, ma solo
perché storpiano l’ortografia della relazione sessuale e soprattutto pervertono la grammatica della
cura. Il concetto di cura, infatti, va “regolato”, come ad esempio fa H. Jonas a proposito della
responsabilità verso le generazioni future, assumendo come paradigma la cura parentale43, ma
può, anzi, deve modularsi secondo l’intero spettro delle relazioni interpersonali. La cura, nel
nostro caso, oltre che sul modello della prossimità parentale (figliolanza/fratellanza)44 assume le
movenze del patto amicale e soprattutto dell’alleanza coniugale. La patria comune a tutte le
condotte pedofile, comunque si presentino, sembra essere, invece, proprio la Babele, se si
preferisce il Bengodi o il Paese dei Balocchi delle relazioni interpersonali, l’istituzione di un’area
relazionale individuale in cui non passa il tempo e l’universo interpersonale è tendenzialmente
senza dimensioni perché si consuma per intero entro un gioco solipsistico.
Pedofilia come perversione della cura può spiegare anche il particolare assetto che assumono gli
squilibri di potere all’interno di questo tipo di relazione-non-relazione. Secondo la celebre
espressione heideggeriana, il tempo è il senso della cura. Vigilanza e perseveranza sono virtù della
cura. Esiste un’autorità, in equilibrio tra misericordia e potere, derivante dal fatto che la cura della
persona pone l’accento sulla difesa della qualità del suo tempo, un’autorità sempre minacciata
dalla tentazione di trasformarsi in dispotismo paternalistico, fino al delirio di onnipotenza.
Esistono suggestioni profonde legate all’abbreviare la vita altrui come simbolica del potere:
disporre della persona, ridurne la soggettività fino a farne un oggetto. Così come è un esercizio di
potere dispotico la pretesa di determinare il momento della fine della persona, allo stesso modo il
volerne determinare l’origine, fermarne o forzarne i tempi della crescita vorrebbe dire la sua
“cosificazione”, la sua riduzione a prodotto, cioè l’esatto contrario della logica della cura, che
mira al compimento della personalizzazione.

Perversione e perversità

La perversità ha un suo aspetto psicologico45 ed uno etico, congiunti dal fatto che essa tende
comunque alla frantumazione dell’io, mentre la salute morale tende all’equilibrio ed
all’armonizzazione, anche psichica, della persona. Allo stesso modo non si dovrebbe escludere
neppure che un cammino di comprensione della complessità oggettiva e della genesi dell’atto sia
un elemento imprescindibile della guarigione, anche morale, dell’abusante. L’approccio etico, a
nostro avviso, può dare, tra l’altro, un prezioso contributo su quello snodo, strategico per la
comprensione del fenomeno della pedofilia, rappresentato dalla distinzione tra perversione e
perversità, ricorrendo alla distinzione tra atteggiamento buono/cattivo e comportamento
retto/scorretto.
Qui di seguito proveremo a porre in dialogo la suddetta fondamentale distinzione, familiare nel
discorso etico, con i criteri di classificazione delle pedofilie operate sulla base delle diverse linee di
confine che in campo psicanalitico sono state tracciate tra perversione e perversità. Nel tentativo
di un’integrazione dei due punti di vista, etico e psicanalitico, useremo le espressioni personalità
perversa/pedofila, per indicare il piano degli atteggiamenti e/o della perversità; condotte
perverse/pedofile per indicare il piano del comportamento e/o della perversione.
Abbiamo già incontrato, nel corso del presente lavoro, distinzioni basate su criteri eziologici.

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Abbiamo già incontrato, nel corso del presente lavoro, distinzioni basate su criteri eziologici.
L’angoscia di castrazione sembra essere condizione necessaria per lo sviluppo della perversione
pedofila. Questo dato sembra potersi accostare al fatto che il male, agostinianamente è mancanza,
deprivazione di sostanza sul piano ontologico: amore mancato, possibilità mancate. La mancanza
può essere vissuta fantasmaticamente come “differenza” tra i sessi, dissoluzione del sé o distanza
generazionale ecc. Ma si può escludere che il senso di mancanza tocchi il sé indipendentemente
dalle competenze cognitive; ne tocchi, cioè, una particolare dimensione, che rimanda al tempo
stesso all’affettività ed alla relazionalità, all’autorealizzazione e all’elemento biografico-
esistenziale, alla crescita? L’angoscia di castrazione potrebbe esserne semplicemente
l’interpretazione delle sue manifestazioni sul piano esistentivo. L’amore mancato, infatti, è
qualcosa di più ampio del timore di castrazione che potrebbe essere, al limite, solo uno dei modi
in cui si manifesta la terribile frustrazione del senso di perdita di sé, del mancare a se stessi, di
sentirsi inconsistenti, del vedersi perduti o, peggio, del sentimento della propria perdizione.
Incontriamo poi distinzioni basate su caratteristiche della condotta46: pedofili inibiti, etici,
integrati; la pedofilia non è attuata, tuttavia conserva la sua inestricabile connessione con la
violenza e la morte; e pedofili che operano il tentativo di bloccare la relazione e la crescita
(espressa sotto la forma dell’incorporazione, del potere, della fissazione dell’asimmetricità
relazionale. Ciò che qui sembra rilevare è l’assenza o presenza di qualsiasi forma di violenza, in
realtà è solo ciò che appare in quanto adattato al sistema di osservazione impiegato, la griglia di
lettura, modellata sulla soggettività dell’abusante. Se consideriamo la relazione osservata nel suo
versante oggettivo, cioè il vissuto del fanciullo coinvolto, la violenza assassina c’è sempre, anche
se non sempre vi è la soppressione o l’aggressione fisica della controparte.
Nel caso di Love, il pedofilo protagonista dell’omonima novella di S. Tamaro, ad esempio, gli
aspetti sadici sembrano non comparire solo perché l’abusante li seleziona accuratamente e li
esclude dai propri atti, ma non crediamo li si possa escludere dalla percezione della sua vittima
(introiezione della colpa, vergogna ecc., che implicano una certa quota di sofferenza psichica,
difensivamente negata, schermata, dall’abusante. Si veda, ad esempio, la metafora della porta
chiusa nel racconto della Tamaro). La perversità non emerge però tanto dalla connessione con
elementi sadici. Una personalità perversa può manifestarsi in condotte in cui non v’è traccia
apparente di sadismo e in cui il piacere promana dalla fruizione dell’atto sessuale, piuttosto che
dalla sofferenza del bambino. La perversità, dal punto di vista etico, non consiste nel trarre
piacere dal dolore, proprio o dell’altro, ma nel perseguire abitualmente il proprio bene a
deliberato discapito dell’altrui (amore di sé fino al disprezzo dell’altro), ossia per mezzo o
addirittura nel danno -che è appunto sadomasochismo- ma anche semplicemente a costo di
procurare male a chicchessia, (il male altrui, o anche il proprio stesso, come mezzo, come fine,
come effetto).
Altre classificazioni delle perversioni, che assumono come criterio la funzione, distinguono
perversioni difensive47 (la perversione mira allora ad evitare l’attacco di paure psicotiche
soggiacenti) o restaurative (in tal caso si intende la perversione come strategia attuata per
restaurare o prevenire la dissoluzione del sé)48. Nel secondo caso ci si identifica con la negazione
e la soppressione dell’altro, il perverso è ripiegato sul proprio nulla, ancorandosi sempre più
ossessivamente, tragicamente, alle ragioni dal proprio male.
Se da una parte, dunque, la semplice presenza, a livello di condotte, non consente di inferire
alcunché di certo sul piano degli atteggiamenti morali, cioè sul piano della scelta abituale
(opzione) per il bene o il male, neppure può escludersi la possibilità che un’opzione fondamentale
moralmente perversa possa in taluni casi indurre processi patologici e dunque costituire la base
eziologica ultima del quadro patologico perverso. Le strategie messe in campo dal medesimo
soggetto possono essere al tempo stesso difensive e restaurative. Il Sé vulnerato reclama tentativi
disperati di autocura49, rappresentati paradossalmente proprio dagli agiti perversi che possono
giungere fino all’(auto)distruttività esplosiva. Una logica autodistruttiva che va sotto il nome di
legge della degradazione.
La personalità perversa, nel senso etico indicante l’atteggiamento della scelta di sé fino al
disprezzo dell’assolutamente altro, può effettivamente esprimersi nella sfera della condotta
all’interno di un quadro che presenti le forme esteriori tipiche del narcisismo. Ricordiamo che
Freud in Introduzione al narcisismo, sostiene che il perverso non ama altri che se stesso e che la
sua perversione è piuttosto un’espressione della pulsione di morte50. Ma gli elementi sadici
dell’atto sono oggettivi nel vissuto del bambino perciò non li si può assumere come criterio
distintivo tra perversione e perversità tanto più che la personalità perversa non presenta deficit
cognitivi quindi non ignora gli elementi oggettivi dei propri atti e dunque ad esempio la sofferenza
psichica che procura all’altro.
A fronte di ogni possibile classificazione, occorre tenere anzitutto presente che non vi è verità

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nell’amore pedofilo; il male non ha consistenza ontologica, non “consiste” in nulla, neppure nella
violenza ma in qualche modo “sta” in qualsiasi tipo di mancanza; a più forte ragione nel nulla di
verità come altra faccia della moneta dell’essere: «l’imposizione sia essa dolce o violenta, della
sessualità dell’adulto, e la risposta del bambino, anche quando è apparentemente collusiva e
seduttiva, è la trasformazione di un bisogno di accadimento che non riesce a trovare un recettore
adeguato»51. A conferma di quanto sosteniamo, ad esempio, va considerato che l’asimmetria di
potere, sempre negata, rimane comunque, anche nella funzione puramente fantastica dell’atto
pedofilo, nella quale l’oggetto pulsionale fa esattamente quello che vuole l’autore della fantasia e
ne diviene un docile strumento.
La psicanalisi tende a interpretare gli atti come espressioni di strutture profonde sottostanti, e in
ciò può forse leggersi una certa sottovalutazione della operatività umana sul piano della realtà; ma
lo scambio di significati tra ambiente e interiorità può avvenire nei due sensi: così come la
perversione può precedere il trauma (De Masi), il trauma può essere anche un agito reale
dell’operatività deliberata del medesimo soggetto che al tempo stesso lo subisce.
La perversità intesa come orientamento della libertà al male non può dunque semplicemente
dedursi dal comportamento perverso, dalla sua genesi, o comunque indagando sul piano
esistentivo. Quand’anche questo tipo di condotta si instaurasse effettivamente in un quadro di
reale perversità in senso morale ciò avverrebbe sempre come una sorta di allusione attraverso la
capacità anche di uno solo di tali atti di costituire un segno efficace in grado di costituire un intero
universo di fini.
Perciò ci sembrano più convincenti quelle distinzioni che prendono in considerazione la
Weltanschauung pedofila, se così si può dire, come una massa informe di valori. La personalità
pedofila è integralista nel senso della convinzione della giustezza e liceità delle proprie condotte
mentre l’ingiustizia è ribaltata sulla società, o comunque su qualcos’altro, che gli impedisce
indebitamente la fruizione della propria sessualità. Il pedofilo percepisce il mondo come un
universo di relazioni sessualizzate in cui anche i bambini sono pieni di desiderio (De Masi).
L’atteggiamento perverso, la perversità si distingue effettivamente per il suo nous perverso, come
si vede, ad esempio, nell’episodio di pedofilia, probabilmente autobiografico, di Stavrogin e
Matrë_a, narrato da F. Dostoevskij in I demoni. Nel contesto di una confessione Stavrogin rivela
al monaco Tichon l’episodio centrale della propria vita, rimasto sempre ignoto a tutti, dell’abuso
perpetrato ai danni della piccola Matrë_a, poi suicidatasi per la vergogna. Come si vede dal fatto
che la pedofilia qui è attuata una sola volta, la recidiva non è necessariamente legata alla gravità
della perversione né è un spia infallibile della presenza di una personalità perversa, la quale, in
questo caso, attendeva solo l’occasione per precipitare in un atto di straordinaria intensità
simbolica; la presenza di elementi sadici, pur non assenti, è secondaria (ne veniamo a conoscenza
da altri episodi non essenzialmente legati al fatto); la distruttività non è attuata direttamente dal
pedofilo, che si limita a non impedire il suicidio della piccola e a trovarvi un momentaneo conforto
psicologico: tuttavia Stavrogin è una personalità perversa e noi ne veniamo a conoscenza solo
perché egli stesso realizza l’atto della propria soggettività in uno con la propria azione pedofila:
egli è un distruttore di mondi.

L’autodistruzione per sostituzione vicaria52

«Psichicamente rifiutato [...] l’abbandono da parte degli adulti significa emotivamente, se non
fisicamente, la morte per un bambino che dipende da loro per l’affetto, l’autostima e
l’identità»53.
La sessualità del bambino ha un significato diverso (bisogno di gratificazione, protezione e cura)
rispetto a quella dell’adulto (Lanotte); ma è il punto di vista del vissuto del bambino che è da
assumere qui come “oggettivo”. Quali che siano i rimandi dalla parte del pedofilo, le motivazioni,
l’eterogenesi delle cause, le strutture di personalità che la sostengono, dal punto di vista oggettivo
la pedofilia rimane una perversione della cura. La complicità, l’esibizione di comportamenti
sessualizzati, da parte del bambino, chiamati spesso in causa dal pedofilo con funzione di
razionalizzazione difensiva, sono da ricondurre a loro volta a funzioni di tipo difensivo allestite dal
fanciullo, di ritiro della personalità a scopo di lenire il dolore e prevenire il sopraggiungere di altro
dolore legato alla vergogna, al senso di colpa introiettato.
La morte dell’altro non sempre è intesa ma è un aspetto comunque sempre presente nella
perversità pedofila. Da caso in caso cambiano gli aspetti che vengono centralizzati nell’asimmetria
del rapporto. Tuttavia sembra che tali aspetti si conservino tutti ben visibili. Così l’operazione di
isolare uno o più aspetti può diventare importante per interpretare il vissuto e la gravità soggettiva
dell’atto senza che questo perda la sua gravità o distruttività sul piano oggettivo. Qui l’atto non
avviene per la paura, non per l’horror vacui, né per il suo fascino: il puro vuoto del nulla.

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avviene per la paura, non per l’horror vacui, né per il suo fascino: il puro vuoto del nulla.
Come tutti gli atti umani anche l’atto pedofilo è portatore di un’interpretazione del mondo, degli
altri, di sé. L’atto umano è intrinsecamente linguistico: l’atto umano parla, e costituisce il proprio
uditorio.
La distruttività insita nell’asimmetria della seduzione pedofila può talvolta ricevere una
convincente quanto paradossale spiegazione riconducendola, da parte dell’abusante ad una attività
di costruzione del proprio oggetto di piacere nel bambino.
L’affermazione del potere del pedofilo sulla vittima è diversa da quella che avviene nello stupro
per la presenza di un processo di abolizione della diversità, la quale invece viene sottolineata nello
stupro. È possibile che il pedofilo allora cerchi non di rimarcare l’asimmetria ma di eliminarla,
forzando il bambino ad essere il suo contrario, negando il modo d’essere proprio della sessualità
infantile e imponendogli una sessualità adulta, precoce e senza conflitti, o facendosi bambino egli
stesso, comunque inchiodando l’altro all’immagine idealizzata dell’infanzia eterna: in ogni caso
negandogli la fatica e il diritto della crescita, eliminando l’altro per quello che è davanti a lui e
quello che potrebbe essere per sé.
In questa impresa il pedofilo può trovare incoraggiamento nella plasticità affettiva infantile.
Possiamo individuare suggestioni di questo fenomeno nella letteratura romanzesca, nelle
numerose fiabe e racconti mitologici che ruotano attorno alla metamorfosi del bambino. Humbert
Humbert, il protagonista del romanzo Lolita, di V. Nabokov, definisce “ninfetta” la natura non
umana ma demoniaca delle fanciulle in trasformazione, tra i nove e i dodici anni. I bellissimi
fanciulli rapiti per amore dagli dei sono spesso trasformati in fiori o frutti, come accade a Giacinto
ed Ampelo, alberi sempreverdi (Ciparisso) o addirittura in costellazioni (Ganimede): tutte
simbologie dell’infanzia che sembrano appartenere a quella faccia tragica e perturbante
dell’immortalità che è l’eterno ritorno. Nella fiaba Pelle d’asino, il sacrificio vicario dell’animale è
richiesto per consentire alla protagonista di sfuggire alla tentazione pedofila del padre. La pelle
dell’asino che fa da maschera e vestito sembra indicare la degradazione, perdita dell’identità
umana. Anche in Pinocchio, nell’episodio del Paese dei Balocchi, a sfondo pedofilo, secondo
l’interpretazione di F. Pezzoni e C. Schinaia, i bimbi si trovano trasformati in ciuchini. Usare la
pelle dell’asino per rivestire l’essere umano è il ridurre a una condizione o il fare qualcosa di
degradante, simili all’asservimento o alla schiavitù. Nelle fiabe si affaccia spesso anche l’elemento
della metanoia, in quanto morte simbolica di un essere umano, nel trovarsi richiuso in un
involucro subumano prima di poter tornare al proprio aspetto naturale, alla luce ed alla perfezione
della bellezza dell’essere personalistico.
Un’altra polarizzazione di contrari nella tipologia delle relazioni pedofile si può riscontrare tra la
serialità della condotta pedofila e la relazione pedofila vissuta come apax, del tipo di quella tra
l’imperatore Adriano e Antinoo, descritta nel romanzo di M. Yourcenar. Tale polarizzazione
riproduce uno schema ambivalente la cui chiave è, ancora una volta, l’asimmetria di potere e in
cui comportamenti apparentemente opposti afferiscono ad uno stesso significato di fondo: l’essere
di valore per sé dell’altro in quanto altro. Nella relazione pedofila narrata da M. Yurcenar, in
Memorie di Adriano, tra l’imperatore, «padrone assoluto una sola volta e di un solo essere», ed il
suo favorito Antinoo, intento ad esistere per interposta persona, l’individualità indisponibile
dell’altro è mortificata dal fatto di valere solo in virtù della pretesa accampata dalla personalità
narcisistica di costituirla eleggendola, chiamandola all’essere, quasi facendola sorgere dal nulla,
davanti a sé. Il collezionismo pedofilo, invece, talvolta caratterizzato da distruttività assassina,
com’è nel caso di Gilles de Rais, compagno d’arme di Giovanna d’Arco, preso da Tournier a
protagonista del suo romanzo Gilles et Jeanne, può essere mosso dalla ricerca sempre frustrata
dell’unicità del volto amato. Il bambino è pura individualità senza volto né nome, cui si cerca
continuamente e invano di sovrapporre il volto agognato. La ricerca è continua fonte di
frustrazione giacché il fanciullo, qui, è qualcosa di profondamente diverso dell’Unico degno
d’amore perché immagine fedele e rovesciata del Sé (Gilles, un gigante dal cuore di bambino;
Giovanna, una fanciulla dal cuore gigantesco), e perciò da cercare e al tempo stesso negare in
ogni volto. Anche qui l’asimmetria è un fantasma inquieto che vorrebbe essere esorcizzato e
ritorna invece ogni volta54. Noia, ripetitività, sadismo, conformismo, coerenza paranoica,
teatralità, ritualismo, fissità di morte: lo spettro della recidiva. Non c’è da essere del tutto
d’accordo con Schinaia quando afferma che agiscono in questo caso pulsioni completamente
diverse dal senso infantile di onnipotenza di cui parla Freud, vale a dire compulsività o mancanza
di libertà. “Onnipotenza” non è lo stesso che “creatività” e “libertà”. Ne è piuttosto una grottesca
caricatura, l’ebbrezza di controllare l’essenza dell’altro, facendone un burattino delle proprie
fantasie, ottenendo rassicurazione dalla messa in scena di liturgie dall’esito scontato.
Assuefazione alla noia ed escalation fino a raggiungere il parossismo dell’orgasmo perverso, che
coincide con il piacere del potere di uccisione55.

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Specchiarsi nel doppio: distruzione come autodistruzione.

L’autodistruttività implicita nelle condotte pedofile è più difficile da cogliere, ciò nonostante non è
meno essenziale.
Nell’attività creatrice del proprio oggetto, di cui si è detto, c’è l’umiliazione della persona
dell’altro ma anche un’occasione catartica che l’attore pedofilo si procura56. Si tratta, in realtà, di
un autoannichilimento tramite la consumazione di un olocausto per sostituzione vicaria.
Nell’autoaffermazione della personalità pedofila c’è ad un tempo anche l’autoannientamento.
Non solo confusione ed evanescenza dei confini dell’identità (soggettività impossessata; predata;
incorporata; vedi le metamorfosi mitologiche e letterarie dell’infanzia (rin)negata, di cui abbiamo
già parlato), riduzione del soggetto altrui a oggetto (“soggettività ridotta”); ma anche
“sganciamento” della pulsione dalla propria soggettività, quasi agisse autonomamente,
meccanicamente57, in maniera spersonalizzata e spersonalizzante. A questo processo devono
ricondursi pure tutte le osservazioni sul pedofilo “vittima”58 e anche le scuse e le giustificazioni a
base di autovittimizzazione e seduzione agita dal fanciullo accampate solitamente dal pedofilo
quando si sente sotto giudizio59.
La personalità pedofila ama il suo doppio narcisistico (Szwec), vale a dire l’immagine kenotica
dell’altro: è davvero sacerdote e vittima sacrificale, nel doppio senso dell’identificazione confusiva
e manipolativa e nel senso dell’autodistruzione. Il pedofilo perverso occupa tutti i ruoli possibili
nella liturgia apocalittica della propria catastrofe. Spesso il pedofilo ricorda la propria infanzia
come un’età dell’oro interrotta bruscamente per un tradimento da parte degli adulti. Il rifiuto di
crescere è il rifiuto di diventare qualcosa come la sua figura adulta svalutata (De Masi). Il pedofilo
non solo si rifiuta di crescere, come Peter Pan, ma al pari di questi, il suo delirio può anche
presentarsi nella forma del sentimento di un’investitura messianica rivolta ai suoi “coetanei”, di
cui si crede il redentore. In realtà i pedofili sono stati spesso bambini isolati ed invidiosi della
vitalità degli altri bambini, cosa che attribuisce loro una «disposizione vampiresca», per
contrastare il sentimento di depressione e morte che lo risucchia (De Masi). Nei ragazzi cerca se
stesso (Thomä e Käkele): un bambino che cerca un altro bambino e vuol essere senza legami e
paure, come gli altri bambini. Un dettaglio che fa pensare a un delirio mistico-comunionale del
pasto espiatorio.

Come abbiamo visto, per Balier «la perversità sessuale fa appello ad un processo di abolizione
della natura oggettuale dell’altro e insieme di desoggettivizzazione, che permette al paziente di
sfuggire ad una catastrofe psicotica, riducendo, però, la propria esistenza -per un periodo più o
meno lungo- alla pulsione stessa e al suo manifestarsi nel mondo circostante, magari nella sua
portata estrema di tipo omicida»60. Allora l’atto (anche omicida) benché privo di senso esprime
qualcosa o piuttosto, benché non esprima nulla, non è privo di senso. Il soggetto si nega come tale
per sottrarsi alla catastrofe del sé ed identificarsi col processo regressivo stesso, con una parte
inanimata di esso -la forza- o col suo esito, il niente, la distruzione. La perversità sessuale sarebbe
allora contigua alla psicosi vedi poco sopra ed alla violenza pura, che porta ad un annientamento
dell’altro ed alimenta l’impossessamento narcisistico. L’organizzazione perversa, invece mantiene
un funzione difensiva: essa, agita momentaneamente, consente al feticista, al masochista, al
guardone, all’esibizionista di controllare la violenza. L’identificazione col bambino potrebbe
essere allora una parte del meccanismo di dissoluzione nel senso che l’abusato rappresenterebbe
in maniera perversa il soggetto agente/agito, mentre il pedofilo agisce su di lui in nome di una
ritualità impersonale.
Di fondamentale importanza il dato che proviene dall’esperienza clinica circa l’incapacità di
simbolizzazione costantemente connessa alla strutturazione perversa della personalità (perversità).

«Uno stupratore pedofilo [...] nella maggior parte dei casi apparirà una persona banale, non
troppo intelligente, noiosa [...] non vi è stata autentica ricerca del piacere negli abusi, ma solo del
potere; potere di [...] degradare l’oggetto, attraverso un processo di disumanizzazione
indispensabile per attivare l’eccitamento [...] Difficilmente quest’uomo, almeno fino a quando non
viene scoperto, sarà in grado di fermarsi e di rinunciare alla sensazione di trionfo che gli proviene
dai suoi atti criminosi, perché sentirebbe intollerabile, banale, il niente di cui è preda».

L’amore, infatti, come s’è detto, è una dimensione dell’immagine dell’altro, è essenzialmente un
simbolo; la sua rimozione equivale a lasciare vigente un vestigio che rimandi solo a se stesso, vale
a dire alla sua ormai inutilizzabile capacità di rimandare a qualcos’altro. Ciò che rimane,
insomma, è solo un’immagine pornografica, però tutta interiore; ridotta all’indigenza dei suoi
mezzi espressivi, esprime il nulla emotivo e affettivo cui l’amore si è votato. Perché la verità
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mezzi espressivi, esprime il nulla emotivo e affettivo cui l’amore si è votato. Perché la verità
subisca attacchi da parte del pedofilo, come è stato osservato di frequente nei comportamenti
difensivi di questo tipo, si spiega rimandandola al suo statuto di dimensione trascendentale
dell’essere e dunque in rapporto di pericoresi con l’amore. Degradare l’oggetto richiama alla
memoria le espressioni di Agostino sul disprezzo dell’assolutamente altro. Il pedofilo che si eccita
solo amando se stesso fino al disprezzo dell’altro, al suo annientamento, degrada, così, come il
suo oggetto, verso il nulla ontologico del proprio male. Il racconto biblico della caduta di Adamo
ed Eva mostra che la cooperazione al male, l’istigazione e la manipolazione dell’altro, sono
connessi all’iniquità stessa dell’azione, così come del resto, la tendenza ad occultare la colpa
(segretezza, omertà) ed a scaricarla sull’altro. Sono tutti elementi che troviamo nell’atto pedofilo,
subiti o praticati, ricorrendo a tattiche disparate, che vanno dalla mossa convenzionalistica alla
mossa di Humpty Dumpty61, tutte comunque miranti a negare il rapporto tra sé e l’essenza
umana dell’atto, cioè la propria responsabilità, per esempio negandone appunto l’essenza etica, o
il suo carattere trasgressivo, o semplicemente negando l’azione stessa. Tragicamente la via
d’uscita intrapresa dal pedofilo conduce il soggetto all’identificazione autodistruttiva col proprio
nulla. Così, via via, fino a negare se stessi in quanto capaci di tali azioni o di azioni morali in
generale, fino ad identificarsi con la negazione di sé quale agente responsabile, fino a fare di sé e
della propria biografia psicologica e morale un tutt’uno con la propria dissoluzione62.

Pedofilie e coesistenzialità

Esiste una connessione tra incesto e pedofilia ed incorporazione cannibalica (Nicolaïdis e


Nicolaïdis) tenuta insieme da una sorta di inclinazione all’autodistruttività che si può vedere in
azione sul piano storico o oggettivata nella cultura. L’ingestione dell’altro ha un significato
assimilativo e fusionale che può leggersi anche nel farsi penetrare e nella seduzione reciproca.
L’incorporazione è al tempo stesso essere incorporato e incorporare, assimilare ed essere
assimilato; così come la paura dell’incorporazione è anche fascinazione, desiderio.
L’incorporazione è il residuo simbolico della fase orale del desiderio di identificazione. Nella
relazione pedofila come nell’incesto, e nel cannibalismo è presente la paura del ritorno al
medesimo, all’origine, all’indistinto. Per Freud l’elaborazione del lutto ha il proprio modello
metapsicologico nell’incorporazione antropofagica.
Il nesso costante tra il tabù dell’incesto e dell’antropofagia e la relazione pedofila suggerisce
l’esistenza di una valenza del fenomeno che coinvolge le strutture della coesistenza umana. Non è
da escludere la prassi di sacrifici umani (di bambini) in Grecia63, che in seguito lascia il posto a
riti di sostituzione vicaria. Nel passaggio dalla mitologia titanica a quella olimpica potrebbe esservi
la traccia del passaggio dall’antropofagia alla pedofilia; citano Pindaro, che «non vuole chiamare
gli dei antropofagi, preferisce immaginarli pederasti»64.
Un desiderio arcaico di incorporazione si evolve dallo stadio di cannibalismo rituale alla pratica
socialmente accettata della pedofilia. Zeus incorpora l’embrione di Dioniso, dio-bambino
pedofilizzato e omosessuale in posizione passiva. Si passa da una fase orale nella
rappresentazione simbolica e ritualizzata dell’impossessamento, della conoscenza, del potere, ad
una fallica, in cui troviamo una rappresentazione delle stesse pulsioni giocate su un registro
sessuale. Il nesso di base tra antropofagia e pedofilia rimane nella distruttività insita nell’abolizione
delle differenza e del limite, nell’annullamento di ogni elemento distintivo dell’identità. I fanciulli
rapiti e pedofilizzati dalle divinità olimpiche maschili, ad esempio, ricevono in dono l’immortalità e
l’eterna infanzia.
Il fantasma dell’antropofagia e del suo nesso incorporativo-distruttivo con la pedofilia, sopravvive
nelle fiabe in cui agiscono lupi ed orchi: il padre che divora il figlio; pulsioni cannibaliche primarie
dei genitori verso i figli. Sia la madre (durante il periodo del parto dell’allattamento) sia il padre
(proiezione dei propri desideri parricidi e incestuosi) possono avere fantasie pedofile di questo
genere.
Anche nella fiaba Cappuccetto Rosso troviamo la sovrapposizione di motivi antropofagici e
pedofili. Il tema centrale sarebbe, secondo taluni, sarebbe la paura di essere divorati. Le allusioni
sessuali verrebbero, in tal caso, subordinate simbolicamente al terrore di essere reinghiottiti nel
nulla. Nella versione di Perrault, tuttavia, il lupo è una trasparente metafora del pedofilo. La
bambina agevola il lupo ed è attratta da lui (Bettelheim); lo stesso accade in Hänsel e Gretel. Nel
bambino esiste una disposizione a sedurre come ad essere sedotto65.

«Si può immaginare un intrico fra desiderio fusionale, affascinazione e timore della distruzione
che ben giustifica la dizione bioniana di “terrore senza nome”. Sull’importanza di questi primi
accadimenti esiste una sostanziale convergenza tra le varie scuole psicoanalitiche, sia che si voglia
privilegiare una lettura kleiniana, winnicottiana, mahleriana o bioniana. Sono qui in gioco aspetti
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privilegiare una lettura kleiniana, winnicottiana, mahleriana o bioniana. Sono qui in gioco aspetti
variamente definiti nei processi di separazione-individuazione e di scissione-idealizzazione in cui
si abbozza la differenza tra i sessi»66.

Comunque sia, l’infrazione del patto generazionale è presentato nelle fiabe come un evento
possibile in entrambi i sensi di marcia, ma non è l’unico aspetto rilevante dal punto di vista etico.
In questo duplice nesso tra pedofilia e incorporazione da un lato e relazioni intergenerazionali
dall’altro l’ambiguità dello sguardo, sembra giocare un suo ruolo. «Il guardare come mezzo per
catturare e incorporare l’altro [...] segno di un fortissimo bisogno di esistere e opporsi al senso
tragico del nulla»67. Freud ha associato le tendenze voyeuristiche a una fissazione della scena
primaria, la visione del rapporto sessuale dei genitori.
Lo sguardo può essere simbolo, ad un tempo, della sollecitudine della cura e del suo contrario, la
seduttività predatoria («Che occhi grandi che hai…», dice Cappuccetto Rosso al Lupo travestito
da nonna; «Per guardarti meglio, bambina mia», le risponde il lupo), proprio perché l’attimo in cui
gli sguardi umani si incrociano è il kairos dell’identità, in cui si costituisce coesistenzialmente il
Sé, in quanto reciproco riconoscimento dell’essere-per-l’altro.
Non è un caso che i movimenti pedofili che vanno in cerca di una legittimazione morale almeno
parziale, limitata ad alcune forme “dolci”, insistano sui caratteri “culturali” coi quali questi
comportamenti sessuali si sono sempre manifestati.
La propagazione di tali condotte non può avvenire solo lungo la linea transgenerazionale68 se nel
frattempo non si instaurano anche dinamiche culturali sincroniche. Certe condotte pedofile sono
sorrette dalla trasgressione: l’abusante vuole trasgredire, e la relazione col bambino assume una
funzione puramente strumentale rispetto al vero oggetto capace di scatenare o soddisfare
l’impulso libidico; in certe altre, invece, il pedofilo cerca, allestendo diverse strategie, di
controllare o di abolire gli aspetti trasgressivi dei propri atti, per esempio, appunto, attraverso un
allargamento della rispettabilità a condotte sessuali che ne sono attualmente escluse (vedi il
tentativo di assimilare ideologicamente le lotte per orgoglio omosessuale e quelle per la conquista
della libertà sessuale estesa alla pedofilia). Si può così osservare l’intellettuale intento a
propagandarne la valorizzazione, vale a dire il tentativo di redimerle dalla prigione della
trasgressività. Non solo il conformismo sessuale della società ma anche la trasgressione è
ansiogena, porta con sé rischi non minori di quelli, inscindibilmente legati alle responsabilità,
all’impegno all’irriducibilità dell’altro, cui va soggetto necessariamente un rapporto simmetrico tra
adulti, da cui il pedofilo fugge.
Anche qui può leggersi un’ambiguità, che del resto pervade tutto il fenomeno, e che dunque non
appartiene primariamente al discorso sulle pedofilie, ma alla cosa stessa. Il superamento del senso
di colpa e dell’ansia può essere anche cercato attraverso la costituzione di gruppi in cui il singolo
può integrarsi trovando e prestando consenso alla condotta perversa. L’operazione mentale di
scissione patologica può essere alla base di un’ideologia condivisa da tali gruppi e della
conseguente ossessiva monotonia tematica e dell’estenuazione del senso di appartenenza alla
collettività comunicante69; ma ciò può spiegarsi anche semplicemente sulla base del fatto che il
vicendevole riconoscimento sotto l’egida del medesimo vissuto pedofilo diviene la “ragione
sociale” di questo genere di comunità. Questo ha di significativo l’avvento della pedofilia
organizzata, un altro dei tratti di differenza tra questa ed altre forme di perversione sessuale è la
forma assunta nello stadio attuale, nell’era della tecnologia e della comunicazione di massa, del
continuo processo d’inculturazione della pedofilia.
Le società industriali non si limita produrre merci, ma anche il consumatore adatto, sosteneva già
K. Marx. L’attitudine della tecnica a produrre valori porta, nelle sue ultime conseguenze a una
trasformazione del senso dell’umano. L’evoluzione indotta dalla Rete nelle strategie di
adescamento, nello scambio di informazioni e materiali, ecc. pone davanti ad un nuova tappa
evolutiva di questo processo osservato da Marx. Da una parte troviamo che il consumo spinge una
domanda sulla qualità, che influisce poi sui sistemi produttivi e sull’offerta, dall’altra se ne osserva
una ricaduta perversa: la ridefinizione della persona all’interno del processo di lavorazione e il suo
assoggettamento al rango di prodotto finito e oggetto di consumo. Una società che esprime il
vecchio fenomeno della pedofilia in questa nuova veste è una società che consuma esseri umani e
anche una società che consuma se stessa. Le nuove forme della pedofilia sono dunque anche un
segnale di una pericolosa deriva verso il nulla.
Sulla presenza di un verso degradante oltre che regressivo dei processi che manifestano una
sottostante perversità sono tutti d’accordo. Al suo fondo ben potrebbero trovarsi gli esiti
distruttivi/autodistruttivi radicati sulle possibilità mancate dell’amore di sé. Il fatto che la
personalità pedofila, dall’interno del proprio orizzonte di senso possa comprendersi insignita della
dignità d’essere espressione estrema del cammino verso una sessualità liberata dagli ultimi orpelli

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dignità d’essere espressione estrema del cammino verso una sessualità liberata dagli ultimi orpelli
moralistici, è un fatto che, a questo punto appare del tutto trasparente ad una coerente lettura
culturale. La pedofilia è un sintomo ma non uno qualsiasi. Essa, al tempo stesso è l’espressione
del significato regressivo ed autodistruttivo del male come mancanza di senso, di verità, di bene;
ma anche del legame originario che il male intrattiene con la relazione interpersonale in virtù dei
meccanismi di autoaffermazione attraverso la soppressione dell’indisponibilità dell’altro, la sua
riduzione a oggetto o anche a parte estranea e tuttavia incorporata nel sé. L’abolizione dell’altro
come autonoma totalità di senso.
1 Se non si fosse imposto, a partire dalla psichiatria ottocentesca, come sinonimo di
“omosessualità” e sodomia, il termine “pederastia” sarebbe preferibile per rendere il concetto di
relazione sessuale tra adulto e bambino, cioè il significato minimo comune di condotte che
possono altrimenti essere tra loro assai diverse, qualora se ne considerassero i rispettivi nuclei di
senso. Per le stesse ragioni andrebbero distinte, ad esempio, anche pedofilia ed incesto
(quest’ultimo spesso assai più disastroso, per il bambino, se guardiamo agli effetti psicologici,
dell’abuso da parte di estranei).
2 «Il comportamento pedofilo, insomma, ad un’analisi più accurata si presenta come un
epifenomeno di funzionamenti mentali lungo un arco che va dalla normalità alle più gravi
patologie psicotiche o del carattere, passando per il ritardo mentale, i quadri demenziali e
involutivi, le organizzazioni più o meno gravemente perverse, i quadri di discontrollo degli
impulsi» F. BARALE, Prefazione, in C. SCHINAIA, Pedofilia pedofilie, La psicoanalisi e il
mondo del pedofilo, Bollati Boringhieri, Torino 2001, 17.
3 F. BARALE, cit, 16
4 C. SCHINAIA, op. cit., 174
5 Con Weitbrecht le vecchie concezioni organiciste sono affiancate da un approccio
psicoterapeutico (la pedofilia provocata, ad esempio, da encefalite può accompagnarsi ad una
regressione a stadi precedenti la libido puberale). Una sintesi tra psichiatria ed altre discipline
viene tentata da Ey, Bernard e Brisset, che parlano di pedofilia nei termini di «deformazione
dell’immagine del compagno».
6 E. AGUGLIA e A. RIOLO, La pedofilia nell’ottica psichiatrica, Il Pensiero Scientifico, Roma
1999.
7 R. J. STOLLER, La perversione. La forma erotica dell’odio, 1985.
8 AGUGLIA e RIOLO, cit., p. 11
9 A. BUSI, Scusi, mi dà una caramella?, in Luther Blisset, 1997; A. GIDE, Corydon, 1924; M.
FOUCAULT, L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2, Feltrinelli, Milano 1984.
10 C. ROCCIA e C. FOTI (a cura di), L’abuso sessuale sui minori. Educazione sessuale,
prevenzione, trattamento, Unicopli, Milano 1994, 20s
11 J. BONNETAUD, Critique de l’argumentation pédophilique, Evol. Psychiat., vol. 63, N. 1-2,
83-102 (1998).
12 C. SCHINAIA, cit., 59, S. Ferenczi, Confusione delle lingue tra adulti e bambini (1932) in
Fondamenti di psicoanalisi, vol. 3, Guaraldi, Rimini 1974.
13 G. DUBRET, Pervers, perversion, perversità: continuum ou altérité, Evol. Psychiat., vol. 61, N.
1, 137-145, (1996), 144.
14 ROCCIA e FOTI, cit.
15 G. BRANDI, Un’amicizia ostile, Il reo e il folle, N. 2, 109-120 (1998) 111
16 BARALE, cit., 19.
17 Con questo lavoro dichiariamo di contrarre un consistente debito con C. Schinaia, op. cit., e i
suoi collaboratori. Il suo trattato sulla pedofilia è qui assunto come punto di partenza per lo studio
degli aspetti del fenomeno con i quali l’etica entra in dialogo: dalla psichiatria, alla psicanalisi, alla
disamina delle fonti letterarie, scritte e orali, che pongono al loro centro il problema rappresentato
questa condotta umana.
18 «La perversione, alla continua ricerca di una conferma sociale che la renda presentabile, in
quanto accettata come una delle varianti della sessualità ordinaria al giorno d’oggi, è indice di una
degradazione della vita civile, dove la necessaria e matura tolleranza è stata sostituita dalla
licenza, dal misconoscimento dei limiti e dalle loro linee di demarcazione» (SCHINAIA, cit., 57).
Anche Freud in al di là del principio del piacere, considerava regressiva una sessualità licenziosa
deprivata di ogni conflittualità; il punto è perché, dal punto di vista etico: può fondarsi un etica
sulla clinica? D’altra parte può fare a meno la psicanalisi di una visione qualitativa e valutativa
delle condotte umane? Il nesso degradazione sociale-pedofilia compare nell’opera di L. Visconti
(La caduta degli dei); R. Rossellini (Germania anno zero).
19 VASSALLI, Prefazione, ROCCIA e FOTI, op. cit., 8.
20 ROCCIA e FOTI, cit.,
21 Barale, cit., 20.
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21 Barale, cit., 20.


22 De Civ., XI,24; 628.
23 Ibid., XI,26; 631.
24 Ibid., XI,26; 631.
25 Cfr. Conf., 7,10,16.
26 Cfr. De Vera Rel., 39,72.
27 Cfr. De Magistro, 38,40.
28 Cfr. De Civ., X, 2.
29 De Civ., XI,26; 632.
30 Cfr. De Trin., IX, 2-5; XIV, 8-11; In Ep. Johann., tract., 8,6; Serm. 43,3; Conf., XIII, 32,47.
31 Cfr. Contra Acad., 3,11,26.
32 De Beata Vita, 7; Solil., 2,1,1; De Trin., X, 10,14; XV, 11,21.
33 De Civ., XI, 26; 632.
34 Cfr. Ibid., XI, 27; 633.
35 De Civ., XI,27; 633-634.
36 De Civ., XI,26; 632.
37Ibid., XI, 27; 632.
38 Vi è sostanziale convergenza tra la terminologia impiegata da Agostino nel De Trinitate IX,
2,2-5; X, 11,17-22; XIV, 8,11-12,16 (mens, notitia, amor; memoria -Dei/sui-; intelligentia,
voluntas/amor) e quella usata nel De Civ. che abbiamo analizzato. Secondo E. Gilson, la
terminologia del De Trinitate è desunta da S. Paolo: Ef 4,23; Rm 12,12; 1Cor 14,14. Cfr. E.
GILSON, Introduction à l’étude de Saint Augustin, Paris 19493.
39De Civ., XIV,1; 28; XV,1,1. Cfr. anche Enarr. in Ps. 64,2;
40E. GILSON, Les métamorphoses de la Cité de Dieu, Louvain-Paris 1952, 51.
41 Cfr. Contra Acad., 1,5. Abbiamo già visto l’identità, nell’uomo, di amore/pondus e beatitudine.
Anche secondo E. Gilson per Agostino l’inseparabilità di beatitudine e verità è una evidenza di
fatto. Cfr. E. GILSON, Introduction…, op. cit., 136.
42 Platone, Fedone, XXIV.
43 Cfr. H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, tr. it., Einaudi,
Torino 1993.
44 La prossimità parentale è complessa. Comprende, oltre alla figliolanza, anche la fratellanza,
per escludere il rischio di paternalismo.
45 La perversità è l’attrazione e il desiderio di fare il male (Ey); deliberata tendenza a compiere
atti cattivi e aggressivi al solo scopo di nuocere (Dubret). Secondo la metapsicologia della pulsione
parziale perversione può difendere dalle fantasie omicide. Nei casi gravi, invece accade che la
parte distruttiva dell’impulso prende il sopravvento su quella sessuale si assiste al fenomeno della
perversione della perversione, vale al dire il cambiamento di segno della funzione di controllo che
diventa invece un propulsore della violenza. Si va allora verso la perversità sessuale. Accade, ,
che: il soggetto perde la capacità di simbolizzazione e va verso la violenza pura. L’elemento
distintivo per Meltzer è invece l’organizzazione: perversione è un’organizzazione mentale che può
essere espressione di una perversità; mentre per Balier c’è una netta distinzione e nessuna
continuità tra le due: nella perversità sessuale il soggetto è talmente coinvolto nella
rappresentazione da scomparire come tale ed essere agito da essa. Kernberg le distingue anzitutto
per gradi: perversi nevrotici (perversione), borderline e psicotici (perversità): sono di volta in volta
diverse le difese e possono esservi occasionali manifestazioni trasversali o oscillanti tra un livello e
l’altro. La perversità si distingue dalla perversione perché la perversità è intenzionale
trasformazione di qualcosa di buono in cattivo: l’amore in odio, il senso in insignificanza, il cibo in
feci; ma soprattutto nella perversione è conservata la capacità, seppure ridotta, del pensiero, cosa
assente nella perversità sessuale, come anche la capacità di simbolizzazione. Schinaia, su base
clinica ritiene «utile e opportuno distinguere situazioni in cui vi è presenza di aspetti comunicativi
e oggettuali, da altre in cui si può parlare di Thanatos puro, di distruttività primaria, distinguendo
pertanto la perversione dalla perversità». Nella perversione prevale il narcisismo a-oggettuale;
nella perversità, invece, è in atto una destrutturazione del Sé. A De Masi che dissente perché
ritiene che la sindrome sadomasochistica sia da tenere distinta tanto rispetto alla perversione che
alla perversità risponde che si può andare alla ricerca delle radici traumatiche della difesa
rappresentata dalla perversione anche più oggettuale.
46 A. MARTORELL e R. COUTANCEAU, Des conduites pédofiliques. Considérations cliniques
et sociales, Evol. Psychiat., vol. 63, N. 1-2, 35-67 (1998)
47 Glover, Bergler
48 Goldberg, Storolow
49 F. BARALE, Prefazione, in F. DE MASI, La perversione sadomasochistico, Bollati

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49 F. BARALE, Prefazione, in F. DE MASI, La perversione sadomasochistico, Bollati


Boringhieri, Torino 1999
50 cfr. SCHINAIA, cit., 160
51 Ibid., 200
52 Meltzer distingue: a) la perversione abituale; b) la perversione tossicomanica, c) la perversione
criminale. Gli elementi di a) «sono l’attacco alla verità; la scomposizione dell’oggetto per formare
il balocco feticistico; la sensualità autoerotica, la difesa dal dolore depressivo, la trasformazione
della relazione con il dolore in masochismo con il trucco dell’identificazione proiettiva con la
vittima della fantasia sadica. Ma è assente la passività che nasce dalla difesa dal terrore». Gli
elementi di b) «Mentre la parte adulta della personalità può continuare a controllare il
comportamento in aree relativamente non traumatiche e non emozionali, queste vengono
sperimentate come vuote di significato, come cornice per la perversione tossicomaniche. Dietro
questo schermo la disperazione, con la sua componente suicidarla, porta la persona verso forme e
relazioni ancora più pericolose nell’espressione della perversione, tendendo ad essere assassinata
dalla parte distruttiva del Sé quale estrema riparazione-burla per la legge del taglione». C) le
perversioni criminali «sono il risultato della scissione e della identificazione proiettiva della parte
infantile buona in una persona del mondo esterno, soprattutto nell’infanzia, in un fratello più
piccolo. Se l’esecuzione tipicamente oscillante del gioco [tra gioco e realtà] sadomasochistico dà
luogo a un coerente modello di comportamento sadico e masochistico, il partner attivo può
trovarsi sempre più schiacciato nell’attività. Quando ciò si verifica, il gioco comincia a svanire e
non è più molto lontana la violenza. Al posto della violenza contro il vecchio partner può
verificarsi un rivolgersi alla seduzione e alla degradazione in perversioni tossicomaniche di più
giovani “innocenti”, come a una travolgente passione. Questa è nell’essenza la psicopatia, una
categoria della psicosi nella quale la capacità intellettuale è inalterata e la capacità morale
inesistente».
53 SCHINAIA, op. cit., 96
54 Il libro Gilles et Jeanne, di M. Tournier sembra presentare una situazione analoga a quella di
partenza della fiaba: la ricerca di una sostituta della moglie morta e idealizzata. Gilles de Rais si
abbandona ad orribili atti di pedofilia che culminano nel massacro dei giovinetti. «Questa forma di
collezionismo insaziabile che cerca di fissare l’essere desiderato nell’immobilità della morte e che
necessita intrinsecamente di sempre nuove vittime, non potendosi placare mai, è la caratteristica
saliente delle fiabe che presentano fantasie pedofile di tipo orale-incorporativo».
55 F. DE MASI, Il mondo del pedofilo, Famiglia oggi, N. 12, 20-27 (1998)
56 AGUGLIA e RIOLO, cit., 1999.
57 La griglia elaborata da Schinaia (op. cit., 197) forse non tiene conto in misura sufficiente
dell’autodistruttività e della riduzione, -pure sott’intese- nel narcisismo. Quattro ordinatori: a)
pedofilia tra desiderio e atto; b) presenza sulla scena dell’altro come soggetto di diritti
c)singolarità/serialità d) grado di commistione tra pedofilia dell’oggetto e sadismo
58 Anche di questo fenomeno P. Peloso, C. Schinaia e G. Tabò, (in SCHINAIA, cit., 195-196) ci
forniscono puntuali esempi letterari nell’opera di I. Allende L’Usignolo, e in quella di Vargas
Llosa, Elogio della matrigna.
59 La seduzione invece di riconoscere le differenze si sclerotizza come relazione narcisistica
sessualizzata, al tempo stesso captatrice e rifiutante (Racalbuto). La pedofilia riempie il vuoto
intollerabile della mancata accoglienza, attraverso regole precise: segreto e colpa, facilmente
introiettate dal bambino in quanto regole condivise dai modelli primari di riferimento (Lanotte).
Bouchet-Kervella sostiene che la pedofilia sostituisce la rappresentazione inversa: l’insopportabile
visione di un bambino indesiderabile, da eliminare, un fantasma infanticida appena velato.
Intervengono di nuovo fantasie di eterna giovinezza. La pedofilia appare come l’abolizione delle
differenze generazionali: il pedofilo si fa bambino per cancellare differenze e conflitti di crescita
(Camarca e Parsi);
60 C. BALIER, Psicoanalisi dei comportamenti sessuali violenti, Centro Scientifico Torinese
(1996) 205.
61 «Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, «quella significa ciò
che io voglio che significhi – né più né meno». «La questione è» disse Alice, «se lei può
costringere le parole a significare così tante cose diverse». «La questione è» replicò Humpty
Dumpty, «chi è che comanda – ecco tutto». (L. CARROLL, Attraverso lo specchio).
62 «Quest’ultimo punto appare di particolare rilievo in rapporto a ricerche che tenderebbero a
dimostrare in molti pedofili distorsioni cognitive ad effetto sostanzialmente negatorio che
svolgerebbero un ruolo protettivo rispetto al sentimento di colpa: negazione del danno,
spostamento su altri o sulla situazione della responsabilità, autoconvincimento di un effetto
positivo della pedofilia sul bambino» (SCHINAIA, cit.,150).

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positivo della pedofilia sul bambino» (SCHINAIA, cit.,150).


63 Indizi in tal senso nell’Iliade; vedi anche il mito del Minotauro. A Sparta si compirono sacrifici
di bambini in onore di Artemide.
64 SCHINAIA, cit., 77, cita G. NICOLAÏDIS e N. NICOLAÏDIS, Incorporation, pédophilie,
inceste, Re. fr. Psychanal., vol. 57, N. 2, 507-514 (1993).
65 (J. C. ARFOUILLOUX, Laïos cannibale, Re. fr. Psychanal., vol. 57, N. 2, 495-505 (1993)
66 cita D. DE MARTIS, La perversione, in A. A. Semi (a cura di), Trattato di psicanalisi, vol. 2,
Cortina, Milano 1989.
67 DE MASI, La perversione…, cit., 96.
68 Per Camarca e Parsi l’abuso subito nell’infanzia è una menzogna di cui i pedofili si servono
come espediente autogiustificatorio e rischia di condannare in anticipo bambini abusati per cose
che mai commetterano. Secondo altri studi il bambino vittima diviene a sua volta abusante in più
del 50% dei casi (Lopez, 1997). Altre statistiche riferiscono dati che toccano addirittura l’80%.
Nella biografia del pedofilo si trovano comunemente gravi disfunzioni della coppia parentale; gravi
traumi o abusi sessuali infantili, diventando a loro volta abusanti. «L’essenza del trauma è il fatto
che l’Io viene messo fuori combattimento [...] sperimenta una condizione di impotenza,
costituendosi come la vittima centrale dell’episodio traumatico». Il trauma può dare luogo ad una
distorsione o ad un arresto dello sviluppo. Secondo Raskovsky il mito insegna che le pulsioni
parricide sono generate da quelle figlicide. Evidente il nesso tra pedofilia e antropofagia. Il
bambino ridotto in pezzi, sacrificato, dato in pasto al padre per estinguere la fame di vendetta o
per umiliare l’avversario; talvolta, forse in un estremo tentativo di camuffare la violenza e sfuggire
al senso di colpa o alla condanna, offerto agli dei (Licaone e Nittimo, Dioniso, Zagreo).
69 G. DI CHIARA, Sindromi psicosociali. La psicoanalisi e le patologie sociali, Cortina, Milano
1999.

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