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C’ è qualcosa di strano...di nisshin m.

claus

C’è qualcosa di strano, di magico nella musica. È inutile negarlo, la musica è il regalo di un dio. Ha il potere di
alleviare le sofferenze umane con la sua sola presenza. C’è qualche cosa al suo interno che riesce ad entrare
in noi senza toccarci. Forse potremmo dire lo stesso della magia, ma allora entreremmo in campo esoterico.
Da musicista ho provato il desiderio di andare oltre queste affermazioni, scoprire cosa ci fosse dietro questo
magico potere della musica. Ho incominciato allora a fare delle accurate ricerche su cosa sia in realtà il suo-
no.
A questo riguardo si aprono talmente tanti punti di vista che uno rischia di perdersi all’interno di questi
“gironi”. Ho provato a cercare una definizione dentro di me, ma ben presto ho dovuto ammettere che se
l’avessi avuta non avrei avuto motivo di cercarla.
Arrivato a questo punto l’unica strada da percorrere era quella di provare i suoni sulla mia pelle e aspettare
che attraverso i pori mi arrivasse fino al cuore: soltanto a questo punto avrei potuto avere, che è diverso di
dare, una definizione.
Sarebbe stata la mia, d’accordo, ma comunque una definizione più profonda, reale e non contaminata da
l’opinione di altri: una prima esecuzione, libera dalla schiavitù di altre versioni. La strada che a questo punto
mi si è presentata innanzi è molto lunga.
Spesso lungo le ricerche, per via del diradarsi della nebbia, si ha l’impressione di vedere la fine, ma poi con il
bel tempo si capisce che bisogna preoccuparsi di un passo alla volta e non della meta, perché soltanto così
si ha la certezza di arrivare.
Accettato questo punto fondamentale, inevitabilmente si ha da subito un rispetto differente verso la musica,
al punto che ti succede di renderti conto che la musica che suoni in realtà non è come credi tu, solo
un fatto tecnico che varia dal tuo grado di abilità, ma anche la tua proiezione. Quando suoni, capisci allora
che dovresti dare tutto te stesso, ma ogni volta che ti si presenta l’occasione, anche solo il fatto di avere una
persona davanti ti blocca, o perlomeno non riesci a dare il massimo di te stesso.
Noi musicisti in realtà ci preoccupiamo più di eseguire un brano correttamente che di riuscire a dare tutto
noi stessi alla musica che suoniamo. Il sentimento che abbiamo solitamente in primo piano al momento
dell’esibizione è un insieme di paura, mista a timidezza e un po’ di arroganza. È questa miscela la causa della
tensione provata al momento di suonare. Diamo a chi ci ascolta il ruolo di inquisitore: essendo noi impegna-
ti
a far vedere quanto siamo bravi invece di pensare a far stare bene chi ci è davanti, ci sentiamo guardati
come attraverso un microscopio. Questo ci terrorizza perché mette sull’attenti tutte le nostre debolezze.
Cambiando il nostro punto di vista nei riguardi della musica e della gente che ci ascolta, quell’istinto di prote-
zione
che scatta nel caso precedente non ha ragione di esistere.
Se cambiassimo il ruolo che diamo al pubblico, cosa succederebbe? Se riuscissimo a vedere l’ascoltatore o
l’estraneo come un amico, cosa avverrebbe dentro di noi? Se invece di suonare per Avere suonassimo per
Dare, cosa otterremmo? Se invece di ascoltare musica per ricevere, provassimo a mettere tutti noi stessi
nell’ascolto?

© 2000 - 2008

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