definizione si prescinderà peraltro nel seguito del presente scritto, poichè essa
non è da tutti accolta, laddove lo stesso codice civile non è di ausilio sul punto,
cioè ad oggetto all’origine un bene diverso dal denaro e nelle quali il denaro
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obbligazioni di valuta), peraltro non codificata, è in realtà priva di
base al suo solo valore “nominale”, come attribuito dallo Stato alla moneta
avente corso legale e non in base al mutato potere di acquisto della moneta
medesima: art. 1277, 1° co. cc), si applica alle sole obbligazioni di valuta.
delle obbligazioni “portable”, nel senso che debbono essere “portate” e cioè
adempiute al domicilio del creditore (art. 1182, 3° co. cc), sicchè, se per detto
adempimento era fissato un termine (ma, se non lo era, il creditore può anche
anche in tal caso l’art. 1219, 2° co. n. 3 cc: cfr. es. Cass., II, 23/5/94, n. 5021),
automaticamente gli effetti della mora (“mora ex re”: art. 1219, 2° co., n. 3 cc)
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23/7/94, n. 6887). Ma le obbligazioni di valuta possono essere anche
per quella non liquida o non liquidabile in base a puro calcolo aritmetico,
domicilio del debitore (v. es. Cass., I, 13/3/91, n. 2653), per quella relativa ai
cui agli artt. 278, lett. d, 287 e 407 RD n. 827/24 (v. es. Cass., III, 14/6/95, n.
creditore aveva quando essa è sorta (ove tale cambiamento di domicilio abbia
volerla eseguire al proprio domicilio: art. 1182, 3° co, ult. parte), ecc.; in tali
(mora “ex persona”: art. 1219, 1° co. cc) al fine della produzione degli effetti
di cui agli artt. 1218 e ss. cc, sicchè gl’interessi moratori decorreranno solo da
tale momento.
Caio dandogli in prestito 1.000,00 euro, alla scadenza pattuita Caio dovrà
restituirgli esattamente 1.000,00 euro (art. 1813 cc); gli interessi che (salvo
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e sono dunque dovuti quali frutti civili sulla base del principio della naturale
fecondità del denaro (art. 1282 cc). Ove poi Caio non restituisca la somma nel
pattuito termine essenziale, questa mora (“ex re”, trattandosi per quanto già
nominalistico.
della moneta, bensì al valore del bene che deve essere reintegrato. Così, ad
una somma equivalente non al valore del bene all’epoca della sua distruzione
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cessante di cui si dirà), dovendosi dunque qui reintegrare in pieno (sotto forma
di rivalutazione monetaria) il valore del bene alla luce del mutato potere di
Come si dirà subito, difatti, anche rispetto alle prime la giurisprudenza ritiene
valuta
una somma di denaro, su detta somma nominale oggetto del credito di valuta
moratori al tasso legale, dal giorno della mora a quello dell’effettivo soddisfo,
debitore non può fornirne l’eventuale prova contraria (nè quanto alla
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Devesi ricordare che il tasso legale degl’interessi è stato pari al 5%
salvi i successivi aggiornamenti annuali disposti con D.M. cui la legge ha fatto
2) Sempre ai sensi dell’art. 1224, 1° co. cc, se prima della mora erano
(art. 1224, 2° co., ultima parte cc -detta misura può essere maggiore rispetto a
tal caso, esse avevano già stabilito di liquidare e limitare il danno da ritardo
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preventivamente e forfettariamente, secondo il meccanismo tipico della
all’art. 1224, 2° co. (ultima parte) cc non vanno però confusi con gl’interessi
forma di cui all’art. 1284, ult. co. cc-, o della stessa legge) ai sensi dell’art.
1224, 1° co., ultima parte cc, dato che questi ultimi sono quelli dovuti già
“prima della mora” e dunque non hanno carattere moratorio. Ne discede che,
degl’interessi moratori ex art. 1224, 2° co., ultima parte cc, bensì) a titolo
moratori siano dovuti nella stessa misura ex art. 1224, 1° co., ultima parte cc,
di cui all’art. 1224, 2° co., prima parte cc (in termini, cfr. es. Cass., II, 7/3/94,
degl’interessi moratori (di cui all’art. 1224, 1° co. cc) possa integrare il
maggior danno ex art. 1224, 2° co. (prima parte) cc: la risposta è stata
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del creditore), sicchè, al fine di poter ottenere questo risarcimento ulteriore
valuta, difatti, il danno è presunto in assoluto dalla legge entro un certo limite
(art. 1224, 1° co. cc) ed è invece da provarsi oltre il detto limite (art. 1224, 2°
co. cc). Vero è che, come già si accennava in precedenza, il danno in sè di cui
rapporta alla prima e serve solo a misurare, sotto il profilo del valore,
particolari investimenti, che sono stati resi poi impossibili per la mancanza di
bancario); oppure di essere stato costretto a vendere dei beni per sopperire al
concreto.
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Cionondimeno, secondo un primo indirizzo giurisprudenziale
affermatosi già a partire dagli anni ’50, la rivalutazione monetaria nei crediti di
maggior danno fornita dal creditore (v. es. Cass., n. 47/’51; ma, in termini
fatti notori e presunzioni (artt. 2727 e 2729 cc) collegate alle condizioni
coerenti con tali condizioni personali e professionali (cfr., es., Cass., II,
giurisprudenziale, esiste anche una più recente variante meno elastica, secondo
co. cc, “deve offrire la prova non soltanto della sua appartenenza a una
fatto cenno possono essere ricavate anche dalla sola condizione personale del
creditore di medio e/o occasionale risparmiatore (cfr. es. Cass., III, 24/9/2002,
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n. 13906; Cass., II, 2/8/2001, n. 10569) o di piccolo consumatore (Cass., III,
26/10/2000, n. 14089).
tuttavia talora di segno opposto) delle stesse ss.uu. della Cassazione. Peraltro,
negli anni ’70 l’orientamento più aperto applicava per lo più alla materia “de
5670-), senza tener conto del fatto che detto principio non è applicabile alle
mezzo presunzioni, del maggior danno di cui all’art. 1224, 2° co. cc, ma, come
tutti la concreta possibilità (cui, per l’appunto, tutti i risparmiatori fanno oggi
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quella scaturente dall’obbligazione di valuta, qualora la stessa fosse stata
more il prezzo dei beni da acquistare aumentato in misura almeno pari al tasso
di valuta pone un limite, nel senso che (a differenza che nelle obbligazioni di
1224, 2° co. cc), per cui la rivalutazione è dovuta solo per quegli anni in cui il
questi ultimi, che quindi non vanno calcolati in aggiunta ad essa; mentre, per
moratori, sono dovuti solo questi ultimi (escluso di regola l’anatocismo, salvo
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III) Interessi moratori e rivalutazione monetaria nelle obbligazioni
di valore
invece calcolati, dal giorno della mora a quello dell’effettivo soddisfo, sia la
della reintegrazione per equivalente del valore del bene perduto o danneggiato
tutto diversa da quella correlata al “maggior danno” di cui all’art. 1224, 2° co.
scaturenti da illecito aquiliano, l’art. 1224 (2° co.) cc non è neppure richiamato
dall’art. 2056 cc. Circa la diversa funzione svolta dalla rivalutazione monetaria
nei due diversi tipi di obbligazioni (di valuta e di valore), si rinvia comunque a
quella degl’interessi compensativi (art. 1499 cc: non identica, perchè nel danno
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gl’interessi costituiscono infatti un criterio equamente adottabile ed equamente
ritardo derivante dal mancato godimento (tra il tempo in cui è sorto il credito
potuto dare il controvalore monetario del bene (distrutto o leso), se fosse stato
sorgere della mora (“ex re” e dunque dal momento dell’illecito) non è
applicabile l’art. 1224, 1° co. cc (in quanto non richiamato dall’art. 2056 cc) e
dovere del debitore di risarcire al creditore il danno derivante dal ritardo con
(o leso), danno che però non è legalmente presunto (come lo è invece per l’art.
tasso che (proprio in virtù del criterio di equità) non deve necessariamente
valore.
13/11/89, n. 4791); in tal modo, però, il creditore riceveva più del danno subìto,
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perchè il lucro cessante da mancata disponibilità del controvalore monetario
del bene veniva ad essere rapportato non al valore iniziale di questo bene (o
dovessero computarsi sul valore originario del bene, rivalutato anno per anno
secondo indirizzo. I princìpi dettati dalla citata Cass., n. 1712/95 (come già
della Suprema Corte (da ultimo, cfr. es. Cass., L, 26/1/2002, n. 958; Cass., III,
momento della mora (in materia d’illecito aquiliano, vi è mora “ex re” ex art.
tutte le circostanze del caso concreto (magari anno per anno, o in base ad indici
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di cui all’art. 1283 cc ed anzi non essendo estensibile la disciplina degli
tasso legale) e salva, come ripetesi, l’eventuale specifica prova da parte del
comunque spettante “ex se” nelle obbligazioni di valore), sotto il già cennato
(sub b), si ottiene così la somma complessiva finale, che il debitore dovrà
valuta, sicchè sulla stessa andranno infine computati gli ulteriori interessi al
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IV) Interessi moratori e rivalutazione monetaria nei crediti (di valore)
da danno biologico
risarcitori correlati alla misura (in punti) dei postumi permanenti ed all’età del
il valore del punto d’invalidità fino all’epoca del fatto dannoso e poi lo si
rivalutasse fino all’epoca della liquidazione, tale valore del punto risulterebbe
difatti invariato.
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quella risultante dalla liquidazione tabellare del danno emergente, così
sulla somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale (morale), posto che lo
stesso viene in genere calcolato in percentuale (da 1/3 alla metà o da 1/4 alla
all’attualità.
lavoro (oltre che sui crediti previdenziali ed assistenziali) dei dipendenti privati
normativa e giurisprudenziale.
realtà, dei crediti di valuta, in quanto aventi sin dall’origine ad oggetto una
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somma di denaro (quella dovuta dal datore di lavoro al lavoratore, in cambio
Proprio partendo dai crediti di lavoro, una terza corrente (fatta propria
ad esempio da Cass., sez. un., 29/1/2001, n. 38) sostiene che la nozione dei
tutti quei crediti che, a seconda delle diverse contingenze storiche, il legislatore
3) Quanto ai crediti di lavoro, gli artt. 429, 3° co. cpc e 150 disp. att. cpc
liquidati al lavoratore, con decorrenza dal giorno di maturazione del diritto, sia
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illegittimo l’art. 442 cpc, estese l’applicazione di detto principio (del cumulo)
co. della L. n. 724/94 estese tale principio (del divieto di cumulo) anche ai
motivo del divieto di cumulo stabilito dalla citata normativa per i dipendenti
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Secondo il precedente indirizzo maggioritario (che sostanzialmente
andrebbero computati sull’importo del capitale già rivalutato (così es. Cass., L,
contestabile, anche alla luce dei già esaminati (sub III) diversi criteri di
legalmente presunto ex artt. 429 cpc e 150 disp. att. cpc) analoga funzione
rispetto a quella di cui all’art. 1224, 2° co. cc (così es. Cass., L, 24/7/99, n.
Cons. Stato, ad. plen., 15/6/98, n. 3, rifacendosi tra l’altro ai citati artt. 16, 6°
co. L. n. 412/91 e 22, 36° co. L. n. 724/94, i quali, nello stabilire il divieto di
vanno computati non sull’importo del capitale già interamente rivalutato, bensì
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dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del
quello sulla determinazione equitativa del saggio d’interesse, che non viene qui
in discussione perchè l’art. 429 cpc fa espresso riferimento agli interessi dovuti
lavoro maturati prima dell’entrata in vigore delle leggi nn. 412/91 e 724/94.
del quale calcolo gl’interessi così ottenuti vanno a cumularsi con l’intero
capitale rivalutato-) è applicabile tanto che detti crediti siano maturati prima
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quanto che siano maturati dopo l’entrata in vigore della normativa medesima
dipendenti privati, maturati sia prima che dopo l’entrata in vigore delle leggi
anzidette (al pari dei crediti di lavoro, previdenziali ed assistenziali dei pubblici
tipo di obbligazioni (cfr. sub III), eccezion fatta che per la determinazione del
tasso d’interesse.
alla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 459/2000, ha finito per creare
categorie (oltre che con le rimanenti di cui all’art. 409 cpc) di lavoratori
(sulla quale esigenza, cfr. l’espresso l’inciso di cui al punto 7 della motivazione
di Corte Cost., n. 459/2000; e, tra le altre, v. pure ad es. la parte finale della
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sufficientemente valorizzare la circostanza che il legislatore ben potrebbe
invece fare ricorso ad altre forme di contenimento della spesa pubblica (tra cui,
della Repubblica, ecc.), viene a ragione ritenuto dalla maggior parte dei
costituzionale), che con esso non possono contrastare pena la loro stessa
Costituzionale, nella recente sentenza 27/3/2003, n. 82, ha escluso che l’art. 22,
36° co. L. n. 724/94 sia in contrasto (tra gli altri) con l’art. 3 Cost., sotto il
profilo della disparità di trattamento così venutasi a creare tra pubblici e privati
dipendenti, non rifacendosi più qui alle esigenze di contenimento della spesa
pubblica (che però, a sommesso giudizio dello scrivente, sono e restano quelle
estranea a quel possibile intento speculativo (rispetto al quale essa Corte volle
porre una remora, con la citata sentenza n. 459/2000) che potrebbe invece
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rendimento dell’investimento ed il tasso di svalutazione. Senonchè, al di là di
quale possa essere o non essere stato il mero intento soggettivo di questo o quel
debitore (compresa la P.A.), è a tutti ben tristemente noto come l’Erario sia
molto sollecito allorchè deve riscuotere dei crediti e molto lento allorchè deve
pagare dei debiti, sicchè anche rispetto alla P.A. s’impone (per i crediti di
lavoro dei pubblici dipendenti) una non minore esigenza di remora di questa
dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia sia sotto il profilo del suo
ammontare che della puntualità della sua corresponsione (al fine del
discendere per i primi il corollario della necessità di accordare loro “una tutela
la natura di crediti di valore dei primi), per i crediti di lavoro dei pubblici
fatto che il legislatore abbia accordato a questi ultimi una tutela meno
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sarebbe davvero ardito ricercare una tutela costituzionale prevalente rispetto a
il maggior danno ex art. 1224, 2° co. cc. In mancanza, non possono essere
concessi, pena ultrapetizione della sentenza, nè gli uni (v. es. Cass., III,
10/11/98, n. 11310) nè a maggior ragione l’altro (v. es. Cass., III, 19/1/95, n.
591), posto che quest’ultimo abbisogna anche di essere dimostrato (sia pure a
4/8/2000, n. 10263, posto che (al di là del tenore della relativa massima), dalla
calcolata d’ufficio e può esserlo anche per la prima volta in appello (ove non vi
abbia provveduto il giudice di prime cure), salvo che il danneggiato non abbia
stante qui la loro già cennata natura prossima a quella compensativa, la SC, in
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maniera altrettanto costante, ne sostiene l’attribuibilità anche d’ufficio da parte
Vincenzo Di Giacomo
((Consigliere della Corte di Appello Di Campobasso
Referente distrettuale per la formazione civile)
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