I
I l Formez-Centro di Formazione Studi
ha avuto, da sempre, una particolare
attenzione per le iniziative editoriali.
Fin dai primissimi anni di attività si è
impegnato nella produzione e divulgazione
N
Carlo Flamment
Q
Presidente Formez
Formez
59
I REGIMI DI
AIUTO ALLE IMPRESE
2007-2013
F o r m e z • U f f i c i o S t a m p a e d E d i t o r i a
Il volume è stato curato da
Raffaele Colaizzo e Antonella Verro
con la collaborazione di
Ilaria Raimondi
Organizzazione editoriale
Roberta Crudele, Vincenza D’Elia, Paola Pezzuto
Premessa
Il volume è stato realizzato nell’ambito del Progetto “Reti per lo sviluppo loca-
le” (Programma Empowerment) e raccoglie gli esiti di un’azione di accompagna-
mento, con carattere formativo, svolta per la Regione Campania (in particolare
per il Tavolo di coordinamento dei referenti in materia di aiuti di Stato) e fina-
lizzata alla definizione dei regimi di aiuto alle imprese per il periodo di pro-
grammazione 2007-2013.
L’azione, volta ad integrare ed armonizzare gli interventi regionali di attuazio-
ne dei regimi di aiuto alle imprese, sul piano strategico, procedurale ed operati-
vo, ha previsto due fasi.
La prima si è incentrata su questioni di natura generale o trasversale, riguar-
danti la materia degli aiuti di Stato. In questa fase si è partiti dai concetti gene-
rali e dalle regole applicative, offrendo un quadro sull’evoluzione degli scenari
nazionali e comunitari. Uno spazio importante è stato dedicato innanzitutto
all’inquadramento degli aiuti alle imprese nelle Strategie di Lisbona e Göteborg,
fornendo gli elementi essenziali di definizione della materia e le indicazioni sul-
le fonti normative e regolamentari; quindi, si sono presi in considerazione i Ser-
vizi di Interesse Economico Generale (SIEG), inquadrandoli nelle norme sugli
aiuti di Stato, esaminandone i contratti, la trasparenza finanziaria e la determi-
nazione delle compensazioni, le partnership pubblico-private. Uno spazio rile-
vante è stato dedicato anche alla valutazione dell’efficienza e dell’efficacia degli
aiuti alle imprese ed all’autovalutazione.
La seconda fase è stata incentrata su interventi di formazione specialistica,
con l’obiettivo di armonizzare ed approfondire le conoscenze dei componenti
del Tavolo su aspetti relativi a settori, tipologie ed ambiti specifici di applicazio-
ne degli aiuti1.
Nel volume, uno spazio specifico è dedicato ai regimi di aiuto nei Progetti Inte-
grati Territoriali (PIT) e alle sperimentazioni cui essi hanno dato avvio nelle
1 Questa fase è stata realizzata in coordinamento con il Progetto “Selezione, formazione e inseri-
mento nelle Amministrazioni regionali e locali di esperti di politiche di sviluppo e coesione” (Pro-
gramma Empowerment). In particolare il Progetto “Reti per lo sviluppo locale” ha curato il coordi-
namento tecnico scientifico dell’iniziativa di formazione specialistica.
diverse Regioni, nell’ambito della programmazione 2000-2006. Di particolare
importanza sembrano essere gli strumenti e le modalità utilizzati nelle diverse
Regioni per dare attuazione ai regimi di aiuto previsti dai PIT (Contratti di inve-
stimento, bandi multimisura, Pacchetti Integrati di Agevolazione, ecc.).
Gli incentivi previsti dai regimi di aiuto, se efficacemente utilizzati, sono in
grado di produrre effetti importanti che investono aspetti diversi e sono, inoltre,
8
uno strumento di notevole rilevanza sia per promuovere il miglioramento econo-
mico-produttivo, sia per produrre vantaggi collettivi, nonché per migliorare la
qualità dei servizi e dei prodotti da parte delle imprese, costituendo un vantag-
gio a favore dell’intero tessuto economico-produttivo.
Altro elemento di primaria importanza è quello relativo all’acquisizione di com-
petenze tecnico-specialistiche all’interno delle Pubbliche Amministrazioni che ne
rafforzino la capacità di progettare e sviluppare strumenti innovativi di incentiva-
zione per le imprese e fondamentali per lo sviluppo di nuove forme di mercato,
per raggiungere livelli più alti di competitività.
Una conoscenza approfondita dello strumento degli aiuti di Stato rappresenta
un fattore qualificante per la PA. Si tratta, infatti, di un tema di elevata comples-
sità, che investe servizi importanti per i soggetti economici privati; fare dunque
un uso corretto di questo strumento rappresenta un obiettivo a cui le Ammini-
strazioni pubbliche devono tendere, rafforzando al contempo l’insieme delle
competenze richieste dalle politiche di sviluppo per il periodo 2007-2013.
In questa direzione si muovono i saggi raccolti in questo volume, redatti da
esperti del settore, con la finalità di fornire alla Regione Campania e all’insieme
delle Regioni del Mezzogiorno un contributo per la selezione e l’impostazione
dei nuovi strumenti di incentivazione delle imprese per il nuovo periodo di pro-
grammazione.
Antonella Verro
Responsabile del Progetto
9
Il termine “aiuti di Stato” è balzato agli onori delle cronache qualche anno fa
– nonostante gli incentivi alle imprese abbiano costituito in passato, soprattutto
nel Mezzogiorno, uno strumento tradizionale delle politiche di sostegno e ricon-
versione del sistema produttivo –, grazie al famoso “decreto spalmadebiti”, van-
taggio fiscale che doveva consentire la sopravvivenza delle società di calcio ita-
liane alla crisi economica in cui erano sprofondate.
Di recente è comparso nuovamente nei titoli dei giornali a proposito della pos-
sibilità da parte del Governo italiano di attivare il cosiddetto “cuneo fiscale”, e
così anche i meno esperti in materia scoprono che il Governo deve chiedere l’ap-
provazione della Commissione CE per applicare una tale misura, ritenuta di fon-
damentale importanza per il rilancio dell’economia del Paese.
Siamo un Paese a sovranità limitata? Le scelte economiche del Governo e del
Parlamento italiano devono passare per l’avallo di Bruxelles?
Il fatto è che – come sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 170
dell’8/6/1984, nel rispetto dell’articolo 11 della nostra Costituzione e della legge
n. 1203/1957 – le norme comunitarie hanno forza e valore proprio, l’ordinamen-
to interno si ritrae; pertanto, in caso di contrasto, occorre “disapplicare” le nor-
me interne incompatibili.
Gli articoli 87, 88 e 89 del Trattato attribuiscono alla Commissione CE, e per
alcuni aspetti al Consiglio, le competenze in materia di aiuti di Stato ai fini del-
la tutela delle regole della concorrenza.
L’art. 1223 della legge finanziaria 2007 recita “I destinatari degli aiuti di cui
all’articolo 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea possono avvalersi
di tali misure agevolative solo se dichiarano […] di non rientrare fra coloro che
hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto
bloccato, gli aiuti che sono individuati quali illegali o incompatibili dalla Com-
missione europea”.
Il testo, pur nell’apparente genericità, risponde all’esigenza di adeguarsi al
cosiddetto “impegno Deggendorf” – dal nome di una famosa sentenza del 1997
della Corte di Giustizia – e rappresenta l’impegno dell’Italia a non concedere
nuovi aiuti ad imprese che abbiano ricevuto aiuti dichiarati incompatibili dalla
Commissione CE e non li abbiano restituiti.
Ciò pone ancora una volta all’attenzione di tutti la drammatica realtà dei fatti:
ovvero che l’impresa destinataria di aiuti illegali è soggetta al rischio di restitu-
zione e se quegli aiuti sono poi dichiarati incompatibili, l’Amministrazione ero-
gante è obbligata a perseguire il recupero con tutti i mezzi a sua disposizione.
10
L’attenzione degli Stati membri ad una puntuale osservanza di questo obbligo
è da sempre caratterizzata da una certa “inerzia”, solo qualche volta giustificata
da difficoltà oggettive nell’applicazione della sanzione di recupero, cosicché la
Commissione ha da tempo deciso di adottare una linea di fermezza, condizio-
nando le sue valutazioni di compatibilità degli aiuti notificati all’impegno degli
Stati di garantire che dei nuovi aiuti non potranno in nessun caso beneficiare
imprese già destinatarie di aiuti incompatibili non recuperati.
Illuminanti, a tal proposito, i concetti già espressi dieci anni fa dalla Commis-
sione nella XXVII Relazione sulla politica di concorrenza 1997, di cui si riporta
qui sotto uno stralcio:
“311. Come negli anni precedenti, la Commissione ha adottato diverse decisio-
ni con le quali ha ordinato agli Stati membri di recuperare gli aiuti concessi sen-
za notifica preventiva alla Commissione e da essa ritenuti incompatibili con il
mercato comune. Ordinando sistematicamente il recupero degli aiuti concessi
illegalmente, la Commissione tutela inoltre il diritto dei terzi concorrenti di ope-
rare su un mercato in cui la concorrenza non sia falsata.
312. La Corte di Giustizia ha confermato che la soppressione di un aiuto ille-
gittimo mediante recupero delle somme versate è la logica conseguenza dell’ac-
certamento della sua illegittimità. Pertanto, il recupero di un aiuto statale illegit-
timamente concesso, onde ripristinare lo status quo ante, non può, in linea di
principio, ritenersi un provvedimento sproporzionato rispetto alle finalità delle
disposizioni del Trattato. Ha inoltre ribadito che un operatore economico dili-
gente deve normalmente essere in grado di accertarsi che la procedura di cui
all’articolo 93 (oggi art. 88, n.d.r.) sia stata rispettata. Pertanto, le imprese bene-
ficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sul-
la regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel
rispetto della procedura prevista dall’articolo 93 (art. 88 v.s.) […].
313. Inoltre, risulta da una giurisprudenza costante che le procedure previste
dal diritto nazionale non devono impedire il recupero di un aiuto illegittimo e
incompatibile. Tale principio è stato ribadito dalla Corte nella sentenza Alcan
Deutschland GmbH, nella quale essa rammenta che l’autorità nazionale compe-
tente non dispone di alcun potere discrezionale ed è pertanto tenuta, in forza
del diritto comunitario, a revocare la decisione di concessione di un aiuto attri-
buito illegittimamente, conformandosi alla decisione definitiva con cui la Com-
missione dichiari l’incompatibilità dell’aiuto e ne imponga il recupero. Tale
obbligo si applica anche qualora l’autorità nazionale abbia lasciato scadere il
termine previsto dal diritto nazionale per la revoca della decisione o qualora
tale revoca sia esclusa dal diritto nazionale, […] poiché il beneficiario dell’aiuto
non può aver riposto, a causa dell’inosservanza della procedura dell’articolo 93
(oggi art. 88), alcun legittimo affidamento nella regolarità dell’aiuto.
11
314. […] Il recupero degli aiuti accordati senza l’autorizzazione della Commis-
sione può avere gravi conseguenze per il beneficiario. Il fatto che si debba proce-
dere alla liquidazione di un’impresa a causa del recupero di un aiuto da essa
percepito non costituisce motivo sufficiente per rifiutarne la restituzione”.
Che uno Stato, o una Pubblica Amministrazione, possa ancor oggi progettare,
bandire, concedere ed erogare aiuti che si possono dimostrare “illegali” o
“incompatibili”, potenzialmente così dannosi per i soggetti che ne dovrebbero
essere i beneficiari, tanto da esporre imprese (pubbliche o private) al rischio di
onerosissime restituzioni, è un fatto incomprensibile e ingiustificabile. È una
specifica responsabilità di politici, amministratori e tecnici preservare le impre-
se da questi rischi.
Sull’altro versante, è compito delle imprese mettersi in condizione di vigilare
sulla legittimità degli aiuti che ricevono, acquisendo informazioni e consapevo-
lezza sulle norme relative ai regimi.
Tutti questi soggetti devono collaborare affinché la materia degli “aiuti di Sta-
to” sia sempre meno uno “specialismo” per pochi esperti e sempre più materia
di conoscenza diffusa.
In questo processo noi cerchiamo di fare al meglio la nostra parte.
Ottavio Costa
Coordinatore del Tavolo dei referenti
in materia di aiuti di Stato
Regione Campania
INDICE
INTRODUZIONE 17 13
di Raffaele Colaizzo
CAPITOLO 1
Disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato
e sviluppo regionale 27
di Giuseppe Mele
1. Ruolo e dimensione economica degli aiuti di Stato 28
2. Disciplina comunitaria e regole applicative 32
3. La disciplina sugli aiuti a finalità regionale 40
CAPITOLO 2
I nuovi aiuti alle imprese per ricerca,
sviluppo e innovazione e ai Servizi di Interesse
Economico Generale 61
di Giorgio Perini
1. Gli aiuti di Stato per la ricerca, lo sviluppo
e l’innovazione 64
2. I Servizi di Interesse Economico Generale (SIEG) 75
3. Conclusioni 86
CAPITOLO 3
La valutazione delle politiche di aiuto alle imprese 89
di Marco Sisti
1. Quale logica muove gli interventi di aiuto
alle imprese? 89
2. Come definire il successo degli interventi
di aiuto alle imprese? 92
3. Come valutare il successo degli interventi di aiuto
alle imprese? 99
4. Conclusioni 110
CAPITOLO 4
I regimi di aiuto nella Progettazione Integrata 113
di Alfredo Fortunato e Antonio Russo
1. I regimi di aiuto nei Progetti Integrati:
l’esperienza delle regioni dell’Obiettivo 1 113
2. Pratiche applicative dei regimi di aiuto
14
nei Progetti Integrati Territoriali: criticità e vincoli 128
3. Alcune indicazioni per il 2007-2013 132
INTRODUZIONE 15
Introduzione
di Raffaele Colaizzo*
17
1 Ministero dello Sviluppo Economico - DPS, Quadro Strategico Nazionale per la politica regionale
di sviluppo 2007-2013, marzo 2007, pag. 65.
INTRODUZIONE
spesso, si osserva come la pratica operativa sugli aiuti alle imprese si concentri
in gran parte sugli aspetti procedurali, sui dispositivi di attuazione, sui problemi
di compatibilità ed ammissibilità. Naturalmente questi aspetti sono importantis-
simi, propedeutici a qualsiasi attuazione, ma sono pur sempre strumentali rispet-
to alla necessità di conseguire risultati ed effetti strutturanti. Come componente
della politica pubblica per la coesione, gli aiuti alle imprese servono a produrre
22
capacità competitiva, accelerazione dello sviluppo, vitalità del tessuto produtti-
vo, occupazione. Per poter conseguire questi risultati, essi devono dimostrarsi
accessibili, addizionali, fattibili, ben accolti dalle imprese, di facile gestione,
capaci di colpire i bersagli giusti per determinare un cambiamento dei comporta-
menti delle imprese.
Valutare (e/o autovalutare) con continuità e correttamente questi effetti – atti-
vità complessa, come emerge dal saggio di Sisti, ma comunque praticabile all’in-
terno di un quadro metodologico rigoroso e con un forte investimento sul moni-
toraggio e l’indagine statistica – è, per le Amministrazioni coinvolte, un’azione
importante di innovazione amministrativa e di accountability.
L’ultimo capitolo del volume è dedicato ad una breve rassegna sui regimi di
aiuto nei Progetti Integrati Territoriali. In parallelo con il tema della territorializ-
zazione delle politiche di sviluppo, ha acquistato peso negli ultimi anni il tema
del decentramento programmatico ed attuativo dei regimi di aiuto. I Progetti
Integrati hanno offerto l’opportunità di fare alcune sperimentazioni interessanti
su questi aspetti. I regimi di aiuto rappresentano, al contrario di quanto si tende
a credere, una quota rilevante della dotazione finanziaria dei PIT. Sul piano stra-
tegico, l’aspetto più interessante riguarda la stretta coerenza che, in linea di prin-
cipio, deve essere stabilita fra i contenuti dell’iniziativa imprenditoriale e l’idea-
forza proposta dal Progetto Integrato. Gli aiuti non possono, quindi, essere rivol-
ti in modo generale e indistinto alle imprese (sia interne che esterne all’area), ma
devono costituire uno stimolo selettivo al tessuto produttivo, perché investa
sugli specifici potenziali di sviluppo del territorio, si integri con la componente
strutturale del Progetto e contribuisca in modo coerente al modello di trasforma-
zione strutturale dell’economia locale.
Sul piano degli strumenti, i regimi di aiuto sono stati applicati attraverso model-
li diversificati, anche se sono comunque stati attuati sempre sotto la regia regio-
nale (nell’ambito delle diverse misure di riferimento) e mai decentrati interamen-
te al livello territoriale. Aver mantenuto un esclusivo ruolo regionale nella gestio-
ne dei regimi – escludendo anche singole sperimentazioni di decentramento
attuativo, almeno nelle realtà territoriali più mature – è spiegabile in base all’esi-
genza di unitarietà attuativa, trasparenza e sollecita esecuzione dei Programmi
Operativi Regionali. Questa scelta ha però in parte compromesso il valore innova-
tivo di questa esperienza di decentramento e, secondo alcuni, ha anche ridotto i
INTRODUZIONE
27
Forse a causa del loro vasto impiego o della “normalità” con la quale si ricorre
ad essi, spesso si dimentica che gli aiuti di Stato o gli incentivi sono un vero e
proprio strumento di intervento pubblico nell’economia e, in quanto tali,
dovrebbero quindi obbedire a dei principi e rispettare delle condizioni di utiliz-
zo, per massimizzarne l’efficacia ed evitare sprechi, anche e soprattutto perché
la loro attuazione è prevalentemente sostenuta dalla finanza pubblica, cioè dalle
risorse prelevate alla collettività.
Ma qual è la motivazione fondamentale per la quale si ricorre all’intervento
pubblico?
Per loro natura, i sistemi economici si sviluppano in modo diseguale a livello
settoriale, territoriale e strutturale. Questa caratteristica rappresenta un anda-
mento “fisiologico” dell’economia, purché ne rappresenti una fase almeno ten-
denzialmente transitoria. Se lo squilibrio risulta permanente e inaccettabile o
tende ad aggravarsi, allora si parla di “fallimento del mercato”, cioè di una situa-
zione in cui l’azione degli operatori e/o la struttura stessa del mercato impedi-
scono di perseguire una situazione di riequilibrio.
Le cause più rilevanti di fallimento del mercato sono individuabili in:
• imperfezioni dei mercati: come la presenza di economie di scala (cioè il par-
ziale sfruttamento della capacità produttiva) e di monopoli (cioè la presenza
di concorrenti in grado di condizionare il normale andamento del mercato), o
la natura imperfetta o asimmetrica dell’informazione (cioè una situazione in
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
cui i diversi concorrenti non hanno una uguale conoscenza delle condizioni
di mercato);
• esternalità: come gli effetti di spillover (o “traboccamento”) non valutabili dai
mercati (può essere il caso della ricerca, i cui risultati possono non essere
accessibili da parte degli operatori e così generare avanzamenti tecnologici; o
dell’ambiente, i cui beni e servizi non vengono misurati economicamente e
29
non possono essere consumati da tutti in modo equilibrato), o vantaggi/svan-
taggi collettivi non incorporabili nei prezzi, nel caso di beni e servizi fuori
mercato (ad esempio, i beni pubblici);
• imperfetta mobilità “fisica” dei fattori: ossia una squilibrata allocazione terri-
toriale di capitale e lavoro in presenza di ostacoli che ne impediscono il rie-
quilibrio, generando così divari di sviluppo.
misurata la loro efficacia rispetto agli altri strumenti utilizzabili; i benefici netti
generati dagli incentivi devono cioè essere maggiori di quelli ottenibili dagli altri
strumenti.
Nel caso specifico degli squilibri territoriali e delle connesse politiche di svi-
luppo, l’utilizzo degli incentivi ha come motivazione fondamentale quella di
favorire una mobilità dei fattori produttivi in grado di contribuire alla riduzione
30
dei divari regionali di sviluppo; nel caso più frequente di utilizzo di incentivi a
finalità regionale, la motivazione fondamentale è quella della mobilità del capi-
tale, cioè dell’attrazione degli investimenti. Gli incentivi devono, quindi, essere
in grado di sostenere una determinata preferenza localizzativa, se non è incorpo-
rata nelle scelte delle imprese, per renderla economicamente vantaggiosa o alme-
no confrontabile con le sue alternative.
Ulteriori condizioni sostanziali per l’impiego degli incentivi per finalità di svi-
luppo regionale e per le loro modalità applicative riguardano:
• efficacia micro e macroeconomica degli incentivi: è la valutazione “di base”
per il “disegno” e l’introduzione di uno strumento di incentivazione, dalla
quale deve emergere la sua efficacia nel sostenere la competitività delle impre-
se, nel contribuire allo sviluppo del territorio beneficiario e nel produrre effet-
ti netti positivi per l’economia nel suo complesso;
• temporaneità degli incentivi: per definizione, gli incentivi non possono avere
un impiego permanente, perché possono generare “assuefazione” (una specie
di doping). In sostanza, le imprese continuerebbero a fare affidamento su un
sostegno esterno, anziché sulla propria capacità competitiva, per mantenersi
sul mercato;
• aggiuntività reale delle scelte localizzative incentivate: si tratta di uno dei pro-
fili più difficili da valutare, poiché la capacità degli incentivi di essere “deter-
minanti” nelle decisioni di investimento non è facilmente verificabile ex ante;
ciò nondimeno, è necessario cercare di evitare che gli incentivi non finanzino
investimenti che sarebbero stati realizzati anche senza di loro (cioè ridurre la
cosiddetta deadweight loss, o perdita lorda o perdita di “peso morto” delle
risorse pubbliche) e che si verifichino “effetti di spiazzamento” con altri stru-
menti che intervengono sulle stesse attività o localizzazioni;
• riduzione delle esternalità negative che hanno motivato l’utilizzo degli incen-
tivi: la minore attrattività del territorio è spesso determinata da situazioni “di
contesto” sfavorevoli alla mobilità del capitale (carenze di infrastrutture, ser-
vizi, sicurezza, ecc.), l’impiego degli incentivi, quindi, ha senso se contempo-
raneamente si rimuovono tali cause con opportuni investimenti e misure di
altro genere (ad esempio: di liberalizzazione e privatizzazione di servizi pub-
blici; di rafforzamento della sicurezza; di semplificazione amministrativa); in
pratica, gli incentivi possono avere una funzione temporaneamente (anche in
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
A quest’ultimo proposito, va detto che gli incentivi (o gli aiuti) all’attività pro-
duttiva (cioè non solo all’industria, ma anche all’agricoltura e ai trasporti) rap-
presentano uno strumento di politica economica molto diffuso nelle economie
di mercato, anche se, grazie agli orientamenti più restrittivi (come quelli dettati
dalla Commissione europea e condivisi dagli Stati membri), la loro dimensione
economica si è notevolmente ridotta.
Nell’UE a 15 e poi a 25 (v. fig. 1), gli aiuti si sono praticamente dimezzati nel
corso di quasi un quindicennio (tra il 1992 ed il 2004 sono passati dall’1,06%
allo 0,57% del PIL), mentre in Italia la riduzione è stata ancor più drastica,
dall’1,71% allo 0,52% del PIL.
Figura 1
Andamento degli aiuti di Stato nell’UE a 25 in rapporto al PIL
1,60%
1,71%
1,20%
1,06%
0,80%
0,57%
0,40%
0,52%
0,00%
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Italia UE a 25
manente dei regimi di aiuto esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi
le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mer-
cato comune.
L’attività di controllo è affidata alla Commissione europea, ma necessita della
collaborazione degli Stati membri, ai quali viene posto l’obbligo di “notifica pre-
ventiva” dei regimi di aiuto che intendono attuare (art. 88.3): “Alla Commissione
33
sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti
diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibi-
le con il mercato comune a norma dell’articolo 87, la Commissione inizia senza
indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente [v. oltre, l’art. 88.2]. Lo
Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima
che tale procedura abbia condotto a una decisione finale”.
Nonostante l’obbligo di notifica, non sempre gli Stati membri (volontaria-
mente o involontariamente) vi si conformano, a volte per “questioni tecniche”
(non sempre la procedura legislativa o decisionale interna agli Stati prevede o
consente di svolgere una fase preliminare di verifica della compatibilità comu-
nitaria), ma anche per i dubbi che un qualsiasi intervento di politica economi-
ca o industriale possa avere rilevanza ai fini della disciplina comunitaria sugli
aiuti di Stato. Per queste ragioni, sempre più spesso gli Stati membri (in parti-
colare il nostro) muniscono le proprie misure di intervento di una “clausola
sospensiva e condizionale”, ossia si procede ad una “notifica successiva” del
regime di aiuto, che in questo modo resta inefficace (pur essendo formalmente
in vigore) fino al parere della Commissione. In ogni caso (notifica preventiva o
successiva o assenza di notifica), la Commissione europea può aprire una “pro-
cedura d’esame” qualora rilevi (sulla base delle comunicazioni degli Stati
membri o comunque sia venuta a conoscenza dell’esistenza di un aiuto), a
seguito delle successive osservazioni richieste agli Stati, la possibile incompa-
tibilità degli aiuti e, una volta giunta ad una decisione definitiva in tal senso,
di trarne le dovute conseguenze, fino al coinvolgimento della giurisdizione
comunitaria (art. 88.2): “Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli inte-
ressati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno
Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato comune a nor-
ma dell’articolo 87, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che
lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato.
Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabi-
lito, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la
Corte di Giustizia […]”.
La richiesta di osservazioni e la successiva apertura di una procedura d’esame
possono essere accompagnate da una “sospensione” dell’efficacia del regime di
aiuto interessato e, qualora siano stati già erogati aiuti, possono anche includere
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
(nei casi più gravi di rischio per la concorrenza) una “provvisoria restituzione”
degli stessi.
Tutti questi profili contenuti nel Trattato CE trovano applicazione nella legisla-
34
zione comunitaria, principalmente a due livelli:
• regolamentazione, direttamente prevista dal Trattato (art. 89)1, in materia di:
– procedure di controllo (reg. CE n. 659/1999) e di esecuzione (reg. CE n.
794/2004);
– abilitazione (reg. CE n. 994/1998) e esenzione (regolamenti per singole tipo-
logie di aiuto) dalla notifica preventiva;
• orientamenti (o guide-line) per specifiche tipologie di aiuto.
In termini molto semplificati, si può dire che nel primo caso si tratta di vere e
proprie regole aventi direttamente vigore negli Stati membri, mentre nel secondo
si tratta di una sorta di “auto-disciplina” della Commissione in materia di inter-
pretazione del Trattato nei vari profili da esso previsti, che viene resa nota agli
Stati membri affinché essi ne tengano conto.
Dal complesso della disciplina applicativa, è possibile classificare gli aiuti di
Stato in tre principali categorie:
• Aiuti orizzontali. Sono giustificati da difficoltà di natura generale, rilevabi-
li indipendentemente dal settore di attività economica o dal territorio; la
disciplina sugli aiuti orizzontali riguarda, in particolare: ricerca e sviluppo
(GUCE C45/1996; C48/1998; C78/2001; C111/2002; C310/2005); tutela del-
l’ambiente (GUCE C37/2001); salvataggio e ristrutturazione di imprese in
difficoltà (GUCE C244/2004); capitale di rischio (GUCE C235/2001;
C194/2006)2.
• Aiuti settoriali. Riguardano determinati settori dell’attività economica, nei
confronti dei quali la posizione della Commissione in materia di aiuti è
espressa con norme specifiche (o appunto settoriali); le principali discipline
sugli aiuti settoriali riguardano: produzioni audiovisive (GUCE C43/2002);
1 Trattato CE, art. 89: “Il Consiglio, con deliberazione a maggioranza qualificata su proposta della
Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può stabilire tutti i regolamenti
utili ai fini dell’applicazione degli articoli 87 e 88 e fissare in particolare le condizioni per l’ap-
plicazione dell’articolo 88, paragrafo 3, nonché le categorie di aiuti che sono dispensate da tale
procedura”.
2 Rientrano in questa categoria anche gli aiuti a finalità regionale (GUCE C54/2006), ma, data la loro
ampiezza applicativa (in grado di ricomprendere sia aiuti orizzontali, sia aiuti settoriali seppur
limitati territorialmente), induce a considerarli come una categoria specifica.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Altro profilo importante della disciplina applicativa sugli aiuti di Stato riguar-
36 da le procedure di controllo e di esame dei (o progetti di) regimi di aiuto svolti
dalla Commissione europea in collaborazione/contraddittorio con gli Stati mem-
bri. Dalla lettera del Trattato e dalla prassi amministrativa e giurisdizionale che
ne è derivata, si possono distinguere quattro specifiche situazioni (codificate poi
nei regg. CE n. 659/1999 e n. 794/2004), classificate come aiuti:
• notificati (che adempiono alla prescrizione del Trattato);
• illegali (o non notificati);
• attuati abusivamente (che violano una decisione della Commissione);
• esistenti (riesame rispetto a cambiamenti disciplinari o a modifiche degli aiuti).
La procedura di base si articola su due fasi ben distinte e connesse tra loro:
esame preliminare e indagine formale. Questa struttura trova poi adattamenti e
integrazioni in funzione delle varie situazioni.
Aiuti notificati. Nel caso di notifica di nuovi regimi di aiuto, l’esame prelimi-
nare della Commissione viene avviato dal momento in cui vengono ricevuti gli
atti trasmessi dallo Stato membro (recentemente è stato introdotto l’invio elettro-
nico delle notifiche e delle informazioni connesse).
Box 1
Alcuni casi specifici di esenzione dall’obbligo di notifica
Se la notifica è ritenuta completa nel suo corredo informativo (cioè non vengo-
no richieste integrazioni allo Stato membro proponente), l’esame preliminare ha
una durata massima di due mesi; in caso contrario, la Commissione richiede
ulteriori informazioni da fornire entro un certo termine e la durata dell’esame
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
In quest’ultimo caso, la decisione non viene solo inviata allo Stato membro, ma
è anche pubblicata sulla GUCE, tramite la quale vengono richieste osservazioni
sia allo Stato membro interessato, sia agli altri Stati membri o soggetti interessati.
La durata dell’indagine formale ha un termine non perentorio di 18 mesi, pro-
rogabile di comune accordo, ma lo Stato membro può imporre alla Commissione
di decidere sulla base delle informazioni disponibili. La decisione della Com-
missione a conclusione dell’indagine formale può avere una quadruplice solu-
zione; oltre alle decisioni a) e b) sopra indicate per l’esame preliminare, l’indagi-
ne formale può chiudersi anche nei seguenti termini:
c) compatibilità condizionale dell’aiuto (l’aiuto è ammissibile, ma la sua attua-
zione è sottoposta ad alcune condizioni);
d) esistenza e incompatibilità dell’aiuto (l’aiuto è inammissibile e non può esse-
re attuato).
Aiuti illegali. Trattandosi di aiuti che vengono attuati senza parere della Com-
missione europea, l’esame preliminare può essere avviato senza limiti temporali
su denuncia di qualsiasi soggetto interessato (Stato membro, impresa, ecc.) o ex
officio. Data la situazione di illegalità, alla Commissione sono riconosciuti veri e
propri “poteri ingiuntivi” nei confronti dello Stato membro interessato, che van-
no oltre la ovvia acquisizione di informazioni e si spingono alla sospensione del
3 Si tratta della cosiddetta “Procedura Lorenz”, derivata dalla sentenza della Corte di Giustizia
“Lorenz contro Germania” (C-120/1973).
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Tra le discipline applicative dei principi e delle regole derivate dal Trattato alle
specifiche categorie di aiuto, quella sugli “aiuti di Stato a finalità regionale” rap-
presenta sicuramente una delle più rilevanti, in quanto, pur rientrando teorica-
mente tra le discipline “orizzontali” che regolano la materia sotto il profilo della
sua attuazione su base territoriale e per finalità di sviluppo, integra anche profili
diversi di regolamentazione degli aiuti (settoriali e orizzontali in senso stretto).
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
4 Quella che segue è un’esposizione sintetica del quadro generale e delle principali novità introdot-
te, per cui si rinvia alla consultazione del testo degli “orientamenti” per i dettagli specifici di una
disciplina divenuta, in realtà, piuttosto complessa e articolata.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
5 L’esenzione della notifica per gli aiuti a finalità regionale è condizionata innanzitutto dalla “traspa-
renza” degli aiuti medesimi, nel senso che deve essere possibile calcolarne l’intensità d’aiuto senza
dover procedere ad una valutazione del rischio, dal rispetto della “Carta” degli aiuti a finalità regio-
nale in vigore, concordata tra Commissione e Stato membro, e delle intensità d’aiuto. Tra le altre
condizioni di esenzione, si segnala in particolare il divieto di cumulo con gli aiuti “de minimis”.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Tabella 1
Massimali di popolazione beneficiaria delle deroghe regionali
per singolo Stato membro
Nel definire tali “tetti” per la deroga ex art. 87.3.c, la Commissione ha perse-
guito l’obiettivo di garantire che la popolazione complessivamente beneficiaria
delle deroghe nel periodo 2000-2006 non si riducesse al disotto del 50% (stabili-
ta come safety net o “rete di sicurezza”) nel periodo 2007-20136. In tal modo, i
Paesi che sulla base dei criteri ex art. 87.3.a e della deroga “ordinaria” ex art.
87.3.c (le cosiddette regioni a “effetto economico”) si fossero trovati una popola-
6 Rispetto alla proposta originaria della Commissione (cosiddetto Consultation Paper, del 2004) e alle
successive modifiche elaborate sulla base delle proposte degli Stati membri (cosiddetto Non Paper,
del febbraio 2005), è proprio questo il profilo del tutto nuovo, introdotto dalla bozza finale di “orien-
tamenti” del luglio 2005 che ha prodotto le modifiche più rilevanti ad una impostazione molto più
rigorosa e restrittiva, ma coerente con gli “obiettivi di Lisbona” diretti ad una riduzione del livello e
della quantità di aiuti di Stato e ad una loro concentrazione sui fattori di competitività.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
zione inferiore a tale soglia hanno ricevuto una quota addizionale di popolazio-
ne beneficiaria fino al raggiungimento della soglia medesima.
In aggiunta al tetto di popolazione beneficiaria ex art. 87.3.c così determinato,
gli “orientamenti” hanno previsto un’ulteriore quota addizionale nell’ambito di
tale deroga, dedicata a parte delle aree beneficiarie nel periodo 2000-2006 del-
l’UE a 15. In tal modo, è stato creato un sostegno transitorio (phasing out) limita-
45
to al biennio 2007-2008, che in termini complessivi equivale al 4,2% della popo-
lazione dell’UE a 15, al 3,6% dell’UE a 25 ed al 3,4% dell’UE a 27 (v. tab. 1).
Da quanto si può vedere, l’obiettivo della delimitazione e della concentrazione
delle deroghe risulta alquanto disatteso, dato che nell’UE a 27 la popolazione
beneficiaria delle deroghe regionali ammonta al 49,8% fino al 2008 e al 46,4%
dal 2009. Nel precedente periodo la popolazione complessivamente beneficiaria
delle deroghe (nell’UE a 15) è stata del 42,7%.
Infine, si segnala il divieto di cumulo con gli aiuti “de minimis” (corrispon-
dente ad analoga previsione nella disciplina su questi ultimi, recentemente
approvata, v. box 1), se l’aiuto regionale riguarda le stesse spese ammissibili ed il
cumulo produce il superamento del massimale regionale.
Nello specifico, i nuovi massimali di aiuto previsti dagli “orientamenti” sono
stati così modificati:
46
• deroga ex art. 87.3.a (comprese le regioni incluse per “effetto statistico”); le
intensità di aiuto sono articolate su tre fasce, in funzione del ritardo:
– 30% ESL: regioni con PIL pro capite inferiore al 75% della media dell’UE a
25 (comprese le regioni incluse per “effetto statistico” fino al 2010);
– 40% ESL: regioni con PIL pro capite inferiore al 60% della media dell’UE a 25;
– 50% ESL: regioni con PIL pro capite inferiore al 45% della media dell’UE a 25;
– maggiorazione per le regioni ultraperiferiche del 10% o del 20% ESL (se il
PIL pro capite è inferiore al 75% della media dell’UE a 25);
– riduzione al 20% ESL per le regioni incluse per “effetto statistico” a partire
dal 2011 (a meno che non continuino a rientrare nei criteri della deroga);
• deroga 87.3.c; intensità di aiuto unica pari al 15% ESL, ridotta al 10%:
– se la regione ha buoni livelli di PIL e disoccupazione (rispetto alla media
dell’UE a 25), salvo che per le regioni confinanti con regioni 87.3.a o con
Paesi EFTA (comunque beneficiarie del massimale ordinario);
– per le regioni ammissibili alla deroga 87.3.c nel periodo 2000-2006 e che
beneficiano della transizione (phasing out) fino al 2008.
Gli aiuti al funzionamento (cioè alla gestione corrente delle imprese) sono nor-
malmente vietati. Sono eccezionalmente concessi solo nelle regioni 87.3.a, se
vengono dimostrate la loro importanza per lo sviluppo regionale e la loro capa-
cità di compensare gli svantaggi delle regioni che ne devono beneficiare.
In quanto diretti a compensare maggiori costi di trasporto e altri maggiori costi
economici (art. 299, par. 2, del Trattato CE), la loro efficacia deve essere limitata
nel tempo e deve essere decrescente, salvo che nelle regioni ultraperiferiche. È
comunque escluso, in base alle regole generali, il sostegno alle esportazioni tra
Stati membri.
Per “Grande progetto” si intende un investimento iniziale il cui costo sia supe-
riore a 50 milioni di euro, per cui, date le potenzialità di impatto sulla concor-
renza, viene posta come regola generale la loro notifica, per singolo progetto, alla
Commissione.
Tale disciplina sugli aiuti regionali ai Grandi progetti era originariamente det-
tata in forma autonoma, per regolare il coordinamento con le discipline specifi-
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
che sui cosiddetti “settori esclusi” (trasporti, agricoltura, pesca, carbone) e “set-
tori sensibili” (industria automobilistica, siderurgica, cantieristica, fibre sinteti-
che). Con gli “orientamenti” 2007-2013 viene quindi creata un’unica regolamen-
tazione nell’ambito degli aiuti a finalità regionale, che riprende le ultime modifi-
che di semplificazione della disciplina multisettoriale.
I massimali di aiuto per i Grandi progetti sono fissati rispetto al massimale
48
regionale applicabile, ridotto come segue:
• 100% del massimale, fino a 50 milioni di euro di investimento;
• 50%, tra 50 e 100 milioni di euro;
• 34%, oltre 100 milioni di euro.
Gli “orientamenti” hanno introdotto anche una nuova forma di aiuto dedicata
all’insediamento e alla crescita di nuove piccole imprese (cioè con meno di 50
addetti, v. box 1).
Le spese ammissibili riguardano quelle sostenute per: personale, ammortamen-
ti, interessi su debiti esterni, dividendi su impieghi di capitale proprio ad un tas-
so di riferimento, affitti, leasing per attrezzature, energia, acqua, riscaldamento,
tasse e altre spese amministrative diverse dall’IVA e dalle imposte sui redditi
d’impresa. L’entità dell’aiuto complessivo può arrivare a un massimo di 2 milio-
ni di euro per impresa nelle regioni 87.3.a e di un milione di euro nelle regioni
87.3.c. Su base annuale, l’aiuto non può superare il 33% di tali importi comples-
sivi. Per i primi tre anni, l’intensità di aiuto è pari al massimo al 35% dei costi
ammessi nelle regioni 87.3.a e al 25% nelle regioni 87.3.c. Nei successivi due
anni le intensità passano al 25% e al 15%.
Le intensità sono incrementabili del 5% se la regione ha un PIL pro capite infe-
riore al 60% della media dell’UE a 25 o è scarsamente popolata e nelle isole
minori o nelle zone isolate con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. L’aiuto si
può aggiungere a quello concesso all’investimento ed agevola le spese effettiva-
mente sostenute nei primi cinque anni di vita dell’investimento iniziale nelle
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
7 Va precisato che i dati qui indicati differiscono parzialmente da quelli della precedente tab. 1, in quan-
to la base statistica utilizzata dalla Commissione europea (triennio 2000-2002) è diversa da quella poi
impiegata dalle Autorità nazionali nel definire la proposta di Carta degli aiuti di Stato (2004). Nello
specifico, la popolazione delle Regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, a suo tempo quantificata
pari al 29,2% (16,7 milioni di abitanti) della popolazione nazionale (dati 2000-2002), con la base stati-
stica (dati 2004) utilizzata come riferimento della Carta degli aiuti, risulta pari al 28,9% (16,9 milioni
di abitanti); a sua volta, il 3,9% di plafond di popolazione stabilito per la deroga ex art. 87.3.c, che
ammontava a 2,2 milioni di abitanti, corrisponde in realtà a 2,3 milioni di abitanti. Nel complesso, si
tratta di un aumento di popolazione beneficiaria, da 19,5 a 19,8 milioni di abitanti, pur essendosi
ridotta, in realtà, la quota percentuale sul totale nazionale (dal 34,1% degli “orientamenti” al 33,8%).
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Tabella 2
Distribuzione del massimale di popolazione tra le zone 87.3.a e 87.3.c
nel periodo 2007-2013
Figura 2
Ipotesi di Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013 per l’Italia
(deroghe e quote % di popolazione regionale beneficiaria)
19,2
Legenda
Deroga 87.3.a (4)
6,7 1,1 Deroga 87.3.a phasing out (1)
Deroga 87.3.c phasing in (1)
1,3 Deroga 87.3.c (12)
Fuori deroga (2)
1,2
3,1
1,9 1,8
3,0
6,6 21,2
55,3
100,0 100,0
100,0
55,1
100,0
100,0
Fonte: Elaborazione provvisoria sulla base dell’accordo di massima tra Governo e Regioni sull’attribuzione della
popolazione beneficiaria e su dati Istat (popolazione residente 2004). Le quote percentuali di popolazione benefi-
ciaria sono indicate dalle cifre riportate entro i confini amministrativi
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Dalle prime stime svolte dalla Commissione europea e dal Governo italiano sul-
le zone ammissibili alla deroga 87.3.c, è infatti emerso un ammontare di popola-
zione potenzialmente beneficiaria pari a 6,1 milioni di abitanti (cioè il 10,4% del-
la popolazione nazionale, rispetto al 3,9% stabilito dalla Commissione), di cui 1,7
milioni della Sardegna e 4,4 milioni delle province che risultano rientrare nelle
tipologie di più immediata identificazione (trattandosi di regioni NUTS 2 o 3)
52
indicate dagli “orientamenti”. Il passaggio successivo è stato, quindi, di ridimen-
sionare la popolazione potenzialmente beneficiaria della deroga 87.3.c non solo
entro il “tetto” fissato dagli “orientamenti” comunitari, ma anche di riservare quo-
te di popolazione alle altre tipologie di area considerate dalla disciplina8.
In questo modo, la definizione della Carta degli aiuti di Stato è divenuta neces-
sariamente un esercizio di “mediazione politica”, più che di derivazione delle
analisi sulle problematiche dello sviluppo regionale. In questo, la Commissione
europea ha lasciato ampi margini di autonomia decisionale agli Stati membri,
nel definire soluzioni equilibrate su scala nazionale, purché compatibili coi prin-
cipi e criteri della disciplina. Nella sostanza, si è trattato di ripetere un esercizio
particolarmente difficoltoso, come dimostrato nelle passate esperienze di “map-
patura” delle zone beneficiarie degli aiuti regionali.
In primo luogo, è stato necessario accettare, da parte delle Amministrazioni
regionali, che il plafond nazionale di popolazione beneficiaria (3,9%) non fosse
strettamente vincolato alle zone più direttamente individuabili dagli “orienta-
menti”: in particolare, che la Sardegna rinunciasse a veder inclusa nella deroga
tutta la propria popolazione (come “regione ad effetto economico”), ma anche
che le altre Regioni non pretendessero che le proprie province individuabili
come beneficiarie della deroga 87.3.c non venissero interamente incluse.
Il risultato di questa “mediazione” (v. tab. 2 e fig. 2) ha consentito di attribuire
quote di popolazione beneficiaria anche ad altre regioni del Centro-Nord (in par-
ticolare, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e
Marche), sia pure di entità molto modesta9. Con ciò, la “zonizzazione” della
deroga ex art. 87.3.c non è ancora conclusa e, al momento, è in corso di elabora-
zione l’individuazione delle zone “interne” a ciascuna regione corrispondente ai
plafond regionali così attribuiti.
Anche questo è un esercizio tutt’altro che semplice, che dovrà comunque
rispettare i criteri stabiliti dagli “orientamenti”, per la definitiva approvazione,
8 La stima di 6,1 milioni di abitanti fa riferimento solo ai criteri indicati alle lettere a), c), d) e g) del
par. 30 degli “orientamenti” (in base ai quali sono state individuate la Regione Sardegna e le Pro-
vince di Udine, Gorizia, Trieste, Massa-Carrara, Grosseto, Viterbo, Rieti, Latina, Frosinone, L’Aqui-
la, Teramo, Chieti, Pescara, Isernia e Campobasso), cioè non considera anche i criteri indicati alle
lettere e), f) ed h) del par. 30 ed al par. 31, anch’essi applicabili all’Italia.
9 Grazie anche alla rinuncia di popolazione beneficiaria nella deroga ordinaria 87.3.c da parte della
Regione Lombardia, in cambio di un aumento di popolazione in phasing out.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
da parte della Commissione europea, della Carta degli aiuti di Stato a finalità
regionale 2007-2013 per l’Italia. In particolare, per le regioni alle quali sono stati
attribuiti plafond di popolazione “standard” (50.000 abitanti o 20.000 o anche
meno), cioè direttamente inquadrabili in alcuni criteri comunitari, la “zonizza-
zione” risulterà sicuramente difficoltosa e fortemente vincolata10.
A questo complesso esercizio sono collegati, in parte, l’applicazione dei massi-
53
mali di aiuto e, come visto, i termini di intervento dei regimi di agevolazione
attivabili con la Carta degli aiuti a finalità regionale.
Nel periodo 2007-2013, le intensità di aiuto applicabili alle regioni e alle zone
rientranti nelle deroghe a finalità regionale subiranno una sensibile riduzione di
base (v. tab. 3).
Nel complesso, l’impatto sull’Italia dei nuovi “orientamenti” della Commissio-
ne europea, oltre a ridimensionare le zone di intervento (come, del resto, era da
attendersi sulla base delle finalità di carattere generale poste dall’UE), compor-
terà un notevole assestamento riguardo la “competitività territoriale” delle regio-
ni italiane rispetto a quelle dell’allargamento.
11 In sostanza, la Calabria dovrebbe subire una riduzione del massimale nominale (cioè indipenden-
temente dalla sua espressione in ESN o in ESL) di 20 punti percentuali (dal 50% al 30%), mentre
il meccanismo di adeguamento le consentirà di beneficiare di un massimale del 40% dal 2007 al
2010 e del 30% dal 2011 in poi.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Tabella 3
Intensità di aiuto per le zone 87.3.a e 87.3.c dell’Italia nel periodo 2007-2013
Si tratta di una soluzione che cerca di rendere meno drastico il passaggio dal-
l’attuale disciplina a quella futura, ma che non muta una situazione sostanzial-
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
Nonostante queste attenzioni, non si può fare a meno di rilevare un’altra criti-
cità nelle nuove intensità di aiuto riguardo la riduzione del differenziale tra le
deroghe, che si ripercuote anche all’interno dei singoli Stati membri.
L’intensità massima di aiuto prevista per la deroga ex art. 87.3.c è del 15% in
ESL, a meno che le regioni o le zone beneficiarie non presentino indici di reddi-
to o di disoccupazione peggiori dei valori medi (secondo i casi) comunitari e/o
nazionali, nel qual caso si riduce al 10% in ESL. In ogni caso, tali valori risulta-
no molto più vicini alle intensità per la deroga ex art. 87.3.a di quanto non risul-
tassero nel periodo 2000-200613.
Concentrando l’attenzione sull’Italia, nel periodo 2000-2006 l’intensità massi-
ma era applicata alla Calabria (50% in ESN, mentre nelle altre regioni 87.3.a era
12 Anche per le altre regioni italiane rientranti nella deroga ex art. 87.3.a si viene a verificare una situa-
zione di penalizzazione, dovuta all’approccio responsabile seguito dall’Italia per l’applicazione dei
massimali nel periodo 2000-2006, che seguendo le indicazioni della Commissione non ha applicato
l’intensità massima (40%), ma una più bassa (35%); in pratica, queste regioni hanno subito da ben
prima del 2007 gli effetti di un differenziale maggiore rispetto alle regioni meno sviluppate.
13 Inoltre, la trasformazione delle intensità da ESN a ESL contribuisce ulteriormente alla riduzione
del differenziale, in termini reali, tra le deroghe. L’aiuto in ESN, come già evidenziato, è valutabi-
le in una maggiorazione di circa 1/3 dell’agevolazione in ESL.
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
del 35% in ESN) e quella minima alle zone 87.3.c del Centro-Nord (8% in ESN);
nel periodo 2007-2013, la Calabria avrà un’intensità del 40% in ESL (e poi del
30% dal 2011) e le zone beneficiarie del Centro-Nord del 10% in ESL (o del 15%,
secondo gli indici di sviluppo socioeconomico).
Un ulteriore effetto riguarda la riduzione dell’intensità vera e propria, che nel-
le zone beneficiarie di un’intensità del 15% in ESL (in particolare di Friuli-Vene-
57
zia Giulia, Toscana e Lazio) risulterà, anche in termini reali, superiore a quella
applicata nel periodo 2000-2006 (8% in ESN), mentre in tutte le altre regioni e
zone italiane beneficiarie risulterà ridotta in termini reali e nominali.
Come si può notare, l’impostazione dei nuovi “orientamenti” risulta piuttosto
articolata e non priva di problematiche attuative, soprattutto con riferimento alla
politica di sviluppo regionale sostenuta dall’UE (con i Fondi strutturali) e dagli
Stati membri. In tale contesto non va, infatti, dimenticato che gli aiuti a finalità
regionale rappresentano uno strumento operativo di notevole importanza, che
dovrebbe risultare coerente con l’impostazione comunitaria complessivamente
indirizzata per gli anni 2007-2013 allo sviluppo della competitività, secondo
quanto definito dalla Strategia di Lisbona.
Una disciplina quale quella contenuta negli “orientamenti”, pur essendo forte-
mente concentrata sulla definizione di criteri e modalità operativi, in realtà può
svolgere un ruolo significativo a vari livelli, per la competitività del territorio e
delle imprese. L’approccio prevalentemente “orizzontale” indotto dalla Strategia
di Lisbona implica di per sé una visione della politica di sviluppo regionale più
ampia, nella quale l’obiettivo della “concentrazione territoriale” possa essere
esaltato e non disperso su una molteplicità di tipologie di aree beneficiarie, o,
addirittura, ridimensionato da differenziali di aiuto molto modesti tra le varie
intensità di aiuto applicabili.
Questo (non facile) esercizio di “sovrapposizione” e integrazione tra Fondi
strutturali e aiuti a finalità regionale sembra essere stato svolto dalla Commissio-
ne (ancora una volta) in modo parziale. La nuova disciplina conferma, infatti, l’i-
dentità (certamente più agevole) tra criteri di ammissibilità dell’Obiettivo “Con-
vergenza regionale” dei Fondi strutturali e della deroga ex art. 87.3.a sugli aiuti a
finalità regionale, che potrà certamente agevolare, grazie a finalizzazioni di inter-
vento ben identificate sui fattori di competitività, una strategia di sviluppo coe-
rente ed efficace.
Meno agevole, in tal senso, è certamente un’impostazione coerente della dero-
ga 87.3.c con l’Obiettivo “Competitività regionale” dei Fondi strutturali, soprat-
tutto in un caso come quello dell’Italia, in cui i criteri di intervento degli aiuti a
finalità regionale hanno determinato una delimitazione territoriale molto ridotta
(e ciò sarebbe plausibile, nel perseguire una maggiore concentrazione), ma fram-
mentata (a causa della necessaria zonizzazione) su un numero di micro-realtà
DISCIPLINA COMUNITARIA SUGLI AIUTI DI STATO E SVILUPPO REGIONALE
61
* Responsabile dell’ufficio di Bruxelles della Regione Friuli-Venezia Giulia, già esperto nazionale
distaccato alla Commissione europea, DG Concorrenza, Direzione Aiuti di Stato.
1 L’“approccio economico” è lo strumento per concentrare meglio determinati aiuti di Stato e indi-
Questo programma era già stato parzialmente anticipato, per quanto riguarda
l’antitrust propriamente detto, dall’adozione del cosiddetto pacchetto di
“modernizzazione”, consistente nella sostituzione del vecchio regolamento
62
17/19622 con l’1/20033 e nell’adozione di una serie di comunicazioni connes-
se, nonché dall’adozione del regolamento 139/20044, per il settore delle con-
centrazioni.
Il percorso di riforma degli aiuti di Stato, tuttavia, non si è ancora concluso,
bensì è in pieno svolgimento, essenzialmente per due ragioni: la prima risiede
nella necessità di ridurne il volume complessivo e di riorientarli verso finalità
di aiuto soprattutto orizzontali, assicurandone nel contempo la coerenza con
la politica regionale, in modo particolare in vista del nuovo periodo di pro-
grammazione 2007-2013. Non meno importante è poi l’opportunità di condivi-
dere con i nuovi Stati membri il processo di elaborazione ed adozione delle
nuove regole.
In quest’ottica e a seguito dell’allargamento dell’Unione, prima a 25 e poi a 27
membri, la Commissione intende concentrare le proprie risorse sulle misure
maggiormente suscettibili di avere un impatto significativo sulla concorrenza a
livello comunitario, attraverso un atteggiamento “proattivo” piuttosto che “reat-
tivo” rispetto alla grande quantità di notifiche provenienti in prospettiva da 27
Stati membri.
Ciò implica necessariamente l’attribuzione di un peso maggiore all’analisi eco-
nomica, come elemento di discrimine da affiancare all’analisi giuridica: ma la
stessa analisi economica è destinata ad assumere un peso crescente nella reda-
zione degli atti normativi – anche atipici, quali gli orientamenti e le discipline –
della Commissione, volti a facilitare agli Stati membri l’applicazione delle nor-
me del Trattato.
Il Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato (anche noto con l’acronimo
SAAP dall’inglese State Aid Action Plan) esplicita il piano di lavoro della Com-
missione europea, in particolare della DG Concorrenza, in materia di riforma
degli aiuti di Stato, sia sotto l’aspetto sostanziale, sia sotto quello procedurale
nel periodo dal 2005 al 2009.
2 Regolamento (CEE) del Consiglio n. 17/1962 del 6 febbraio 1962, pubblicato in GUCE n. 13 del
21.2.1962, pag. 204.
3 Regolamento (CE) del Consiglio n. 1/2003 del 16 dicembre 2002, pubblicato in GUCE L1 del
4.1.2003, pag. 1.
4 Regolamento (CE) del Consiglio n. 139/2004, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle con-
centrazioni tra imprese, pubblicato in GUCE L24 del 29.1.2004, pag. 1.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
Questo lasso di tempo non è stato scelto a caso. Infatti le regole di concorrenza
indirizzate alle imprese (antitrust, abusi di posizione dominante, fusioni ed incor-
porazioni), la cui applicazione è ormai ampiamente decentrata ad autorità indi-
pendenti negli Stati membri e al giudice ordinario, sono già state sottoposte ad un
processo di modernizzazione entrato in vigore in concomitanza con l’allargamen-
to dell’UE da 15 a 25 membri, in modo da renderlo applicabile uniformemente fin
63
dal primo giorno di ingresso dei nuovi membri.
Nel caso delle regole di concorrenza indirizzate agli Stati (quelle sugli aiuti di
Stato appunto), si è ritenuto giustamente che la loro revisione dovesse vedere i
nuovi Stati attori a pieno titolo, e questo anche in vista del nuovo periodo di pro-
grammazione 2007-2013 che con il controllo degli aiuti di Stato ha non pochi
punti in comune (basti pensare alle sovrapposizioni tra aree di applicazione dei
diversi obiettivi dei Fondi strutturali e deroghe degli aiuti di Stato a finalità
regionale previste dall’art. 87.3 del Trattato alle lettere a) e c).
Il Piano d’azione prevede che la quasi totalità delle norme in materia di aiuti
di Stato sia sottoposta a radicale revisione e ciò per quanto riguarda diversi ambi-
ti: quelli finora scarsamente normati (aiuti conseguenti al verificarsi di calamità
naturali o alle attività culturali o ancora ai Grandi progetti di interesse europeo)
o la cui sottoposizione alle regole di concorrenza sembrava più dubbia (come
quello dei servizi pubblici); quelli la cui normativa era particolarmente risalente
nel tempo (tipicamente la disciplina che regola gli aiuti alla ricerca e sviluppo,
che era del 1996); quelli le cui normative sono piuttosto recenti (ed innovative
per molti aspetti) come la partecipazione al capitale di rischio delle imprese e gli
aiuti per l’ambiente e l’energia.
Allo stesso modo, sia le normative atipiche (ovvero non direttamente applica-
bili negli Stati membri, come quelle appena citate) che quelle direttamente appli-
cabili come i regolamenti di esenzione, per esempio nel campo degli aiuti alle
PMI, all’occupazione e alla formazione, saranno riviste, ammodernate e in qual-
che caso accorpate, se gli indirizzi resi noti finora troveranno conferma.
Infine, anche le norme procedurali subiranno una revisione tendente a sempli-
ficare e velocizzare il trattamento dei dossier da parte della Commissione e nello
stesso tempo a responsabilizzare gli Stati membri e a decentrare per quanto pos-
sibile il loro controllo in materia di aiuti, per esempio ampliando sempre più
l’ambito di applicazione dei regolamenti di esenzione e incoraggiando il ricorso
al giudice nazionale.
Nelle note che seguono si prenderà in considerazione il pacchetto normativo
relativo ai servizi pubblici economici (Servizi di Interesse Economico Generale),
il primo sistema normativo organico adottato nell’ambito del piano d’azione, e la
nuova disciplina sugli aiuti di Stato alla ricerca e sviluppo (R&S), recentemente
adottata dalla Commissione europea.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
Come noto gli aiuti di Stato si dividono attualmente in due grandi famiglie:
quelli soggetti ad obbligo di notifica preventiva ex art. 88.3 del Trattato e quelli
64
esentati da questo obbligo ai sensi dell’art. 89.
La normativa sugli aiuti di Stato alla R&S è a cavallo tra queste due categorie;
infatti entrambe le discipline comunitarie sugli aiuti di Stato alla ricerca e svi-
luppo, quella appena adottata e la precedente, del 1996, in vigore fino alla pub-
blicazione della nuova, prevedono l’obbligo di notifica preventiva. Tuttavia esse
si applicano ormai quasi esclusivamente ai progetti di aiuto riguardanti grandi
imprese o agli aiuti sopra soglia, in quanto l’esenzione dall’obbligo di notifica
degli aiuti di Stato alle PMI per investimenti, prevista dal regolamento 70/20015,
è stata estesa agli aiuti alla R&S per effetto dell’adozione del regolamento
364/20046, mutuando quasi completamente le disposizioni della precedente
disciplina. Questi aiuti pertanto non devono più da tempo essere notificati pre-
ventivamente alla Commissione europea e non richiedono alcuna autorizzazione
per poter entrare in vigore, ma devono semplicemente essere comunicati alla
Commissione, secondo formulari predisposti, molto sintetici.
Ciò non toglie che l’adozione di una nuova disciplina, applicabile anche alle
grandi imprese, che tenga conto della realtà attuale in cui si colloca la ricerca euro-
pea, anche in vista dell’avvio del 7° Programma Quadro Comunitario di RST, fosse
una delle priorità della DG Concorrenza e della Commissione nel suo insieme.
A questo scopo la Commissione aveva lanciato uno studio per preparare la
revisione della disciplina risalente al 19967, ormai la più vecchia in assoluto tra
tutte le norme sugli aiuti di Stato, con la finalità di sostenere l’obiettivo del rag-
giungimento della percentuale del 3% del PIL dell’Unione destinato alla ricerca
e sviluppo, come indicato dal vertice di Barcellona8.
Successivamente la Commissione ha proposto una bozza di nuova disciplina
(aprile 2006) accompagnata da un memorandum (maggio 2006), disponibile solo
5 Regolamento (CE) n. 70/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001, relativo all’applicazione
degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese, pub-
blicato in GUCE L10 del 13.1.2001, pag. 33.
6 Regolamento (CE) n. 364/2004 della Commissione del 25 febbraio 2004 recante modifica del rego-
lamento (CE) n. 70/2001 per quanto concerne l’estensione del suo campo di applicazione agli aiuti
alla ricerca e sviluppo, pubblicato in GUCE L63 del 28.2.2004, pag. 22.
7 Disciplina comunitaria per gli aiuti di Stato alla ricerca e sviluppo, pubblicata in GUCE C45 del
17.2.1996, pag. 5.
8 Consiglio europeo di Barcellona, 15 e 16 marzo 2002, Conclusioni della Presidenza (SN 100/1/02
REV 1).
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
in lingua inglese, che illustra la ratio alla base della nuova proposta, anche alla
luce dell’introduzione di una maggiore analisi economica nella valutazione degli
aiuti di Stato, poi ha sottoposto agli Stati membri una bozza emendata alla luce
delle loro osservazioni (settembre 2006) e infine adottato il nuovo testo (22
novembre 2006).
Al contrario del regolamento 364/2004, si tratta in questo caso di una fonte ati-
65
pica del diritto comunitario, come tale non direttamente applicabile negli Stati
membri ma adottata a scopo di trasparenza, prevedibilità dell’azione della Com-
missione e, in conclusione, maggiore certezza giuridica.
10 Commission Staff Working Document, Community rules on state aid for innovation. Vademecum
[SEC(2004) 1453, 15.11.2004].
11 Attualmente regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione del 15 dicembre 2006, relativo
all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato agli aiuti di importanza minore (“de minimis”),
pubblicato in GUUE L379 del 28.12.2006, pag. 5.
12 Comunicazione della Commissione COM(2005) 436 def del 21.9.2005 “Documento di consulta-
zione sugli aiuti di Stato all’innovazione” http://ec.europa.eu/comm/competition/state_aid/
reform/cdsai_it.pdf
13 L’“effetto incentivante” si ha quando l’aiuto riesce a modificare il comportamento delle imprese
beneficiarie. L’aiuto è inoltre considerato proporzionale quando viene concesso nell’ammontare
minimo necessario ad indurre il cambiamento desiderato del comportamento delle imprese.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
III. La distorsione della concorrenza e degli scambi che ne deriva deve essere
inferiore ai vantaggi.
14 http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=MEMO/06/441&format=HTML&aged=
0&language=EN&guiLanguage=en
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
con risorse pubbliche. Lo scopo è di rendere più trasparenti le norme già pre-
viste in merito dalla vecchia disciplina, obiettivamente obsolete e di difficile
comprensione.
Nel primo caso la sottoposizione o meno degli enti di ricerca al controllo degli
aiuti di Stato si rifà ai principi generali sugli aiuti e quindi alla natura economi-
ca o meno delle attività svolte, contemperata, tuttavia, dall’elencazione di una
69
serie di attività tipiche degli enti di ricerca, con carattere non commerciale.
Nel secondo caso, vengono presi in considerazione due aspetti dell’attività di
ricerca – quella effettuata per conto di imprese (ricerca contrattuale e servizi di
ricerca) e la collaborazione tra imprese e organismi di ricerca – per verificare se
essi comportino o meno un vantaggio per le imprese. Nel primo caso si esclude
in linea di principio l’esistenza di aiuto se il servizio è fornito ad un prezzo che
rifletta il più possibile quello di mercato; nel secondo, la Commissione prefigura
tre opzioni15, al verificarsi di una sola delle quali il vantaggio può essere escluso
e con esso la configurazione di aiuto indiretto, ma non si esclude che lo Stato
membro possa dimostrare l’assenza di vantaggio per altra via.
III.Compatibilità ex lege
Il capo 4 riguarda la compatibilità ex lege prevista dall’art. 87.3, lettera b), rela-
tivo agli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto
di comune interesse europeo e le sue condizioni di applicabilità; vengono previ-
ste quattro condizioni che devono essere soddisfatte “cumulativamente” (com-
patibilità ex lege infatti non equivale a sottrazione dall’obbligo di notifica). Le
riportiamo brevemente di seguito sintetizzando il testo della Commissione:
• la proposta di aiuti riguarda un progetto di cui sono chiaramente definite le
modalità di esecuzione, i partecipanti e gli obiettivi […];
• il progetto deve essere di comune interesse europeo […];
• l’aiuto è necessario per conseguire l’obiettivo definito di interesse comune e
costituisce un incentivo per l’esecuzione del progetto, che deve comportare
un grado di rischio elevato […];
• il progetto riveste grande importanza tenuto conto della sua natura ed entità;
deve avere un obiettivo significativo ed essere di dimensioni considerevoli.
15 “1) I costi del progetto sono integralmente a carico delle imprese partecipanti; 2) i risultati che
non fanno sorgere diritti di proprietà intellettuale possono avere larga diffusione e l’organismo
di ricerca è titolare di tutti i diritti di proprietà intellettuale sui risultati ottenuti dalla sua atti-
vità di RSI; 3) l’organismo di ricerca riceve dalle imprese partecipanti un compenso equivalen-
te al prezzo di mercato per i diritti di proprietà intellettuale derivanti dall’attività svolta dal-
l’organismo di ricerca nell’ambito del progetto e che sono trasferiti alle imprese partecipanti. Il
contributo delle imprese partecipanti ai costi dell’organismo di ricerca sarà dedotto da tale
compenso” (pag. 12).
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
sono accedervi soltanto se collaborano con PMI e queste ultime sostengono alme-
no il 30% dei costi.
Per quanto riguarda gli aiuti ai servizi di consulenza e di supporto all’innova-
zione, solo le PMI possono beneficiarne, ma la grande novità è che la soglia di
aiuto, anziché come intensità, è espressa in valore assoluto. Quest’ultimo non
può superare i 200.000 euro in tre anni (è una sorta di duplicazione del “de mini-
72
mis”, dal momento che i due sono cumulabili – naturalmente non per le stesse
spese ammissibili – fatto salvo l’obbligo di notifica che contraddistingue questo
“de minimis per la ricerca” da quello vero) e può coprire fino al 100% del costo
dei servizi se forniti da un prestatore in possesso di certificazione nazionale o
europea (75% in caso contrario, che comunque rimane un’intensità di tutto
riguardo, tra l’altro sensibilmente elevata rispetto a quella in vigore precedente-
mente).
Non meno interessante è la possibilità di finanziare la messa a disposizione di
personale altamente qualificato, quasi uno strumento di appoggio ai programmi
di mobilità dei ricercatori (si veda per esempio il programma “People” del 7°
Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo, direttamente finanziato dalla Com-
missione europea), calibrato però sulle esigenze delle PMI (il personale deve
provenire da organismi di ricerca o da grandi imprese dove deve aver lavorato
per almeno due anni ed essere impiegato per ricerche presso le PMI). Questo
strumento consente di coprire fino al 50% del costo del personale, come definito
nella disciplina (si tratta di una definizione piuttosto ampia che copre per esem-
pio anche l’indennità di mobilità del personale messo a disposizione o le spese
dell’agenzia di collocamento), per un periodo di tre anni.
Certamente, la possibilità di concedere aiuti ai poli di innovazione per investi-
menti, ma anche per il funzionamento, non mancherà di essere utilizzata dagli
Stati membri. Questi aiuti prevedono rispettivamente la possibilità di interveni-
re con il 15% dei costi degli investimenti (elevabile al 20 e 30% rispettivamente
nei casi di regioni “ad effetto statistico” dal 1° gennaio 2001 e, fino a quella data,
regioni ammissibili alla deroga dell’art. 87.3.a) della fascia tra 60 e 75% del PIL
pro capite medio dell’UE a 25) relativi a: i) locali destinati alla formazione e al
centro di ricerca; ii) infrastrutture di ricerca ad accesso aperto: laboratorio e cen-
tro prove; iii) infrastrutture di rete a banda larga.
Ulteriori elevazioni dell’intensità di 10 e 20 punti percentuali sono ammesse
se i beneficiari sono rispettivamente medie o piccole imprese, mentre la tipolo-
gia di spese ammissibili è quella classica per gli investimenti, rappresentata da
terreni, edifici, macchinari ed impianti.
Gli aiuti al funzionamento finalizzati all’animazione dei poli (marketing per
attirare nuove imprese nel polo, gestione delle installazioni, organizzazione di
programmi di formazione, seminari e conferenze, anche per facilitare il lavoro in
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
rete del polo stesso) sono in generale limitati ad una durata di cinque anni e
devono avere intensità decrescente da 50% a zero.
A questo proposito vale però la pena di ricordare che il finanziamento di infra-
strutture di innovazione contraddistinte da accesso aperto nell’ambito di organi-
smi di ricerca senza scopo di lucro deve piuttosto essere valutato alla luce del
capo 3.1 della disciplina, che indaga sulla natura o meno di aiuto di Stato ai sen-
73
si dell’art. 87 del Trattato, potendo anche condurre alla conclusione che non si
tratti di aiuto di Stato tout court, e che come tale non sia soggetto ad alcun con-
trollo o procedura autorizzativa sotto l’aspetto della concorrenza.
V. L’effetto di incentivazione e il principio di necessità dell’aiuto
Affinché sia considerato presente l’effetto di incentivazione occorre innanzi-
tutto che l’attività oggetto della domanda di finanziamento sia avviata soltanto
dopo la presentazione della domanda stessa.
Ma non sempre basta: se in taluni casi l’effetto sarà considerato automatica-
mente presente (aiuti al progetto e a studi di fattibilità tecnica a PMI fino a 7,5
milioni di euro per progetto e per impresa, aiuti alle spese per diritti di proprietà
intellettuale, aiuti alle nuove imprese innovatrici, aiuti alla consulenza e al sup-
porto all’innovazione, aiuti per la mobilità dei ricercatori) in tutti gli altri occor-
rerà che lo Stato membro ne dimostri la presenza di volta in volta attraverso una
valutazione ex ante degli effetti dell’aiuto pubblico su almeno un elemento signi-
ficativo tra quelli proposti dalla Commissione (aumento delle dimensioni del
progetto, aumento della portata, aumento del ritmo, aumento dell’importo totale
della spesa di RSI), o altri fattori quantitativi o qualitativi proposti dallo Stato
membro stesso ed accettati dalla Commissione. Nel caso di esame dettagliato, la
Commissione, tuttavia, si riserva di chiedere prove supplementari.
Nel caso di regimi di aiuto, tuttavia, è sufficiente che lo Stato membro si impe-
gni a concedere gli aiuti solo dopo aver verificato l’esistenza di tale effetto e a
dimostrare, nelle relazioni annue, come ha realizzato tale valutazione.
VI.Misure soggette ad esame dettagliato
Oltre che in caso di esplicito obbligo di notifica individuale in base ad un rego-
lamento di esenzione, l’esame dettagliato scatta quando siano superate determi-
nate soglie di aiuto, differenziate a seconda che si tratti di aiuti al progetto e a
studi di fattibilità (da 20 a 7,5 milioni di euro a seconda della vicinanza al mer-
cato), aiuti all’innovazione di processo e di organizzazione e aiuti ai poli di inno-
vazione (5 milioni di euro per impresa o per polo, nonché per singolo progetto
nel caso dell’innovazione).
L’esame dettagliato non implica necessariamente l’apertura della procedura
d’indagine formale, ma certamente aggrava gli oneri a carico dello Stato membro
e comporta, potenzialmente, un allungamento dei tempi necessari per l’approva-
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
zione, come emerge dalla metodologia per l’esame dettagliato illustrata nella
disciplina stessa, di cui si offre qui solo una visione sintetica.
La Commissione effettuerà il suo esame pesando una serie di elementi, positivi
e negativi, in rapporto alla natura specifica del caso.
• Tra i primi (cioè gli elementi positivi), vi è l’esistenza di imperfezioni del mer-
cato, rispetto alle quali la Commissione prenderà in considerazione i seguenti
74
elementi: le ricadute della conoscenza, le asimmetrie e imperfezioni del-
l’informazione e la mancanza di coordinamento, più alcuni aspetti specifici
legati alle aree assistite.
• Ancora tra gli elementi positivi figurano: l’analisi dell’effetto di incentivazio-
ne e necessità dell’aiuto, aggravata rispetto a quella già descritta attraverso
una serie di valutazioni che comprendono sei aspetti aggiuntivi di analisi; la
verifica della proporzionalità dell’aiuto attraverso informazioni fornite dallo
Stato membro sulle procedure di selezione aperta adottate e su come sia stato
calcolato il mantenimento dell’aiuto al minimo indispensabile; infine, l’anali-
si comparativa, che dimostri che l’aiuto di Stato è lo strumento più appropria-
to nel caso di specie, rispetto agli strumenti alternativi d’intervento a disposi-
zione (valutazione d’impatto della norma).
• Quanto agli elementi negativi, in termini di rischio della distorsione della con-
correnza e degli scambi, la Commissione prenderà in considerazione in parti-
colare: la distorsione degli incentivi “dinamici”16 dei concorrenti dei beneficia-
ri dell’aiuto ad investire; l’eventuale variazione in aumento del potere di mer-
cato dei beneficiari; il rischio di mantenimento di strutture di mercato ineffi-
cienti. In modo particolare per i primi due, la disciplina elenca tutta una serie
di fattori che la Commissione potrà prendere in considerazione per la sua valu-
tazione.
Alla luce del bilancio negativo o positivo degli elementi considerati dalla Com-
missione, quest’ultima potrà o adottare la decisione di non sollevare obiezioni
(senza apertura della procedura formale d’esame), ovvero di approvazione della
misura così come notificata dallo Stato membro, oppure imporre condizioni vol-
te a limitare le distorsioni alla concorrenza o gli effetti sugli scambi, condizio-
nando al loro rispetto la decisione favorevole. Alcune di queste condizioni sono
già ipotizzate nella disciplina.
VII.
Norme sul cumulo, relazioni annuali, misure opportune
Rispetto alle regole sul cumulo sembra opportuno segnalare in particolare che
eventuali aiuti “de minimis” non sono più cumulabili con quelli previsti dalla
16 Quando un’impresa riceve aiuti per attività di ricerca e sviluppo è possibile che accresca la sua
presenza sul mercato, inducendo i suoi concorrenti a ridurre la portata dei loro programmi di
investimento.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
presente disciplina, quando si riferiscono alle stesse spese ammissibili, ciò per
evitare che vengano eluse le intensità massime di aiuto.
Le regole relative alle relazioni annuali sono naturalmente più dettagliate e
complesse rispetto al passato e i relativi contenuti differiscono leggermente nel
caso di aiuti fiscali, aiuti ai poli di innovazione, aiuti a grandi imprese nel qua-
dro di regimi autorizzati.
75
Ai fini di garantire trasparenza e accesso, la Commissione chiederà sistemati-
camente di pubblicare su Internet il testo integrale di tutti i regimi di aiuto defi-
nitivi e di non darvi attuazione prima della pubblicazione. È opportuno dunque
prevedere questo aspetto fin dalla fase di notifica.
Inoltre, ogni aiuto il cui importo ecceda tre milioni di euro, ma non sia sogget-
to ad obbligo di notifica individuale, dovrà essere comunicato alla Commissio-
ne, utilizzando il modulo allegato alla disciplina, entro i 20 giorni successivi alla
concessione dell’aiuto.
I regimi di aiuto alla R&S esistenti devono, in generale, essere adeguati alla
nuova disciplina entro un anno dalla sua entrata in vigore, salvo per aspetti spe-
cifici che prevedono scadenze diverse (dalla data stessa di entrata in vigore della
disciplina per quanto riguarda la soglia dei Grandi progetti individuali, a sei
mesi successivi per l’obbligo di presentare le nuove relazioni dettagliate e le
schede informative di cui al paragrafo precedente, fino a 24 mesi per le disposi-
zioni di cui al punto 3.1.1 (finanziamento pubblico di attività non economiche).
La nuova disciplina è entrata in vigore il 1° gennaio 2007 e, salvo verifiche in
itinere, è destinata a restare in vigore fino alla fine del 2013. Anche le notifiche
pendenti alla data di entrata in vigore saranno esaminate in base ad essa. Agli
aiuti non notificati sarà applicata la normativa comunitaria in vigore al momen-
to della loro concessione (cosiddetta consecutio legis).
In secondo luogo, si era avviato un grande dibattito sul tema al momento del-
l’introduzione, nel Trattato CE (con il Trattato di Amsterdam), dell’art. 16; que-
sto articolo, infatti, sottolinea l’importanza dei SIEG, ma deve contemperarsi
con il preesistente articolo 86.2 relativo alla sottoposizione – di fatto pratica-
mente totale – delle imprese che gestiscono tali servizi alle norme del Trattato
ed in particolare a quelle sulla concorrenza. Ciò aveva dato luogo in particolare
76
ai Rapporti di Laeken (2001), prima e di Siviglia (2002) poi, ed era infine sfocia-
to nel Libro verde (2003)18 e nel successivo Libro bianco19 sui Servizi di Interes-
se Generale (2004).
Il dibattito era stato inoltre tenuto particolarmente vivace dalla ricca e tutt’al-
tro che univoca giurisprudenza comunitaria, che aveva costretto la Commissione
a rivedere periodicamente la sua posizione in merito20.
A seguito della sentenza Altmark (2000), è stata precisata la posizione della
Commissione, anche allo scopo di cristallizzare per quanto possibile la posizio-
ne della giustizia europea in merito.
Il risultato è stato un pacchetto di tre documenti, adottati a novembre 2005,
che si inquadrano nel processo di incremento della certezza del diritto nel setto-
re specifico già previsto dal Rapporto di Laeken.
Più precisamente, tale pacchetto si compone: i) della decisione della Commis-
sione di esenzione di taluni aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione
degli obblighi di servizio pubblico; ii) della disciplina comunitaria degli aiuti
concessi per la medesima finalità, ma non esentati dall’obbligo di notifica pre-
ventiva; iii) nonché, dell’emendamento alla direttiva sulla trasparenza, che
impone alle imprese incaricate della gestione di SIEG, che ricevano per tali ser-
vizi una compensazione sotto qualsiasi forma e che esercitino anche altre atti-
vità, di tenere per ciascuno dei SIEG di cui è incaricata una contabilità separata.
2.1 Background
le, verso il loro territorio, in maniera diretta (il Trattato, e di conseguenza la Com-
missione, sono del tutto neutrali rispetto alla proprietà pubblica e privata e quin-
di non spingono né verso la privatizzazione, né al contrario verso la nazionaliz-
zazione, ma pretendono che quando attori pubblici e privati giocano entrambi
sullo stesso campo – inteso come “mercato” – rispettino le stesse regole).
È stata la stessa azione statale o pubblica (per la Commissione sono la stessa
78
cosa) ad aver progressivamente condotto servizi e soggetti che precedentemente
non potevano considerarsi commerciali (tra i servizi: la formazione, in qualche
misura anche l’istruzione – soprattutto quella superiore –, la sanità, ecc.; tra i
soggetti: le ex municipalizzate, per esempio, o gli enti di gestione delle fiere) da
una realtà non concorrenziale ad una sempre più vicina al mercato.
Il processo è irreversibile e non consente naturalmente, neanche a chi volesse
fare diversamente, di tenersene fuori; i mercati, infatti, anche di modeste dimen-
sioni, sono ormai fortemente integrati a livello intracomunitario, nell’interesse
dei consumatori o degli utenti. Non resta altro che prenderne atto, se non si vuo-
le restare negativamente e tardivamente sorpresi dall’intervento comunitario in
settori considerati “al riparo”.
Ciò non toglie che i punti di vista sull’argomento siano ancora molto diversi e che
in particolare i cittadini siano preoccupati che la qualità dei SIEG possa deteriorar-
si e che gli operatori tradizionali (che beneficiavano di “rendite di posizione”) e le
autorità pubbliche che li sostengono affermino che l’applicazione del diritto comu-
nitario potrebbe mettere a repentaglio le strutture destinate a questo tipo di servizi
e quindi pregiudicare la qualità dei SIEG, mentre i concorrenti – effettivi o anche
solo potenziali – affermano che gli accordi esistenti favoriscono in modo sleale gli
operatori tradizionali e che tali accordi sono contrari al diritto comunitario.
Per non lasciare troppo nell’ombra la categoria dei SIG vale la pena di precisa-
re che per la Commissione si tratta solo di quei servizi che appartengono stretta-
mente alle funzioni essenziali dello Stato, quali l’amministrazione della giusti-
zia, la difesa nazionale (forze armate), la sicurezza interna (polizia), le funzioni
esecutiva e legislativa (le assemblee parlamentari per esempio). Questo per dire
che in realtà non vi è alcuna possibilità di distinguere nell’ambito dei servizi
pubblici (come intesi normalmente) tra quelli soggetti e quelli sottratti alle nor-
me comunitarie, ma che è molto più pragmatico considerarli tutti soggetti.
2.2 Definizioni
21 Regolamento (CEE) n. 1191/1969 relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi ine-
renti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via
navigabile, pubblicato in GUCE L156 del 28.6.1969, pag. 1, come modificato da ultimo dal regola-
mento (CEE) 1893/1991 del 20 giugno 1991, pubblicato in GUCE L169 del 29.6.1991, pag. 1.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
Invece, per l’applicabilità in generale delle norme sulla concorrenza e sul mer-
cato interno vi sono tre fattori principali da tenere in considerazione:
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
Per quanto riguarda il primo fattore, a tutti i servizi di interesse generale non
costituenti un’attività economica non si applicano le norme sulla concorrenza e
81
sul mercato interno. Questa affermazione va interpretata alla luce della giuri-
sprudenza costante della Corte, secondo la quale “costituisce attività economica
qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi in un determinato merca-
to”. Al contrario, dare una definizione astratta di servizio non economico è mol-
to difficile (ma dalla prassi costante della Commissione, confermata univoca-
mente su questo punto dalla giurisprudenza, solo “funzioni” essenziali dello
Stato vengono certamente fatte rientrare in questa categoria).
Quanto all’incidenza sugli scambi, l’importo relativamente modesto degli aiuti
o le piccole dimensioni delle imprese beneficiarie non escludono, di per sé, una
possibile ripercussione sugli scambi intracomunitari. Infatti, secondo una giuri-
sprudenza costante, perché il criterio della distorsione degli scambi sia applica-
bile è sufficiente che l’impresa beneficiaria svolga un tipo di attività economica
che comporta scambi tra Stati membri, anche se essa non esporta né importa
direttamente. La Commissione ha tuttavia fissato delle soglie, al di sotto delle
quali le norme in materia di aiuti di Stato non sono applicabili (“de minimis”)
ed in ciò consiste la politica della Comunità sui casi di importanza minore.
22 Decisione della Commissione del 28 novembre 2005, riguardante l’applicazione dell’articolo 86,
par. 2 (rectius 3, n.d.r.) agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio
pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economi-
co generale, pubblicata in GUUE L312 del 29.11.2005, pag. 67.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
La sentenza Altmark
Ecco il motivo della forte aspettativa per la sentenza nella causa Altmark, che
doveva pronunciarsi sulla medesima problematica, auspicabilmente dirimendo
perplessità e timori di un’ulteriore fase di incertezza giuridica rispetto alla valuta-
zione dei casi di presunti aiuti di Stato, potenzialmente incompatibili, pendenti
presso i servizi della Direzione generale della Concorrenza della Commissione
europea. Tale aspettativa sembrerebbe essere stata percepita dalla stessa Corte di
Giustizia, che ha deliberato solo il 24 luglio 2003, dando la sensazione di voler
valutare approfonditamente tutte le possibili implicazioni delle deliberazioni.
La sentenza ha sostanzialmente confermato l’impostazione “Ferring”, consen-
tendo alla Commissione di avviarsi al ripristino della prassi antecedente la sen-
tenza FFSA, ma consigliandole anche di fissare per quanto possibile i principi
fondamentali della sentenza Altmark in alcune basi giuridiche, anche se atipi-
che, in quanto non direttamente applicabili negli Stati membri, né recepibili, ma
adottate a soli fini di trasparenza e certezza giuridica verso gli Stati membri. Ciò
è appunto avvenuto con il pacchetto qui analizzato.
23 Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi
di servizio pubblico pubblicata in GUUE C297 del 29.11.2005, pag. 4.
24 Direttiva 2005/81/CE della Commissione del 28 novembre 2005 che modifica la direttiva
1980/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro
imprese nonché fra determinate imprese, pubblicata in GUUE L312 del 29.11.2005, pag. 47.
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
La decisione di esenzione
La disciplina
Passiamo ora alla seconda delle basi giuridiche adottate – senza considerare la
sentenza stessa –, ovvero la disciplina degli aiuti ai SIEG non esentati dall’obbli-
go di notifica, che illustra i criteri di valutazione da parte della Commissione
I NUOVI AIUTI ALLE IMPRESE PER RICERCA, SVILUPPO E INNOVAZIONE E AI SIEG
della compatibilità degli aiuti ai SIEG, quando questi ultimi non sono coperti
dalla decisione di esenzione (tipicamente il caso delle compensazioni che ven-
gono notificate a soli fini di certezza giuridica, perché lo Stato membro che li
vuole mettere in atto ha qualche perplessità sul fatto che rientrino nella decisio-
ne di esenzione e vuole chiarirlo assieme alla Commissione).
La disciplina non si differenzia sostanzialmente dalla decisione di esenzione,
85
quanto ai criteri in base ai quali la Commissione valuta la compatibilità dei pro-
getti di aiuto sotto forma di compensazione di obblighi di servizio pubblico.
Soprattutto due sono gli aspetti interessanti: la proposta agli Stati membri di
misure utili che comportano l’obbligo di adeguamento di tutti i regimi già esisten-
ti alle nuove norme, entro 18 mesi dalla pubblicazione di queste ultime, e quindi
entro il 19 giugno 2007: ecco l’estrema attualità dell’argomento, dal momento che
tutti i regimi che non rientrino nei criteri della decisione, né in quelli della disci-
plina, anche se in vigore da ben prima dell’adozione delle nuove regole, saranno
soggetti, a partire da tale data, al rischio di indagine della Commissione e, qualora
giudicati incompatibili, saranno soggetti ad ordine di recupero degli aiuti erogati
fino a dieci anni antecedenti l’apertura del dossier da parte della Commissione.
La disciplina, inoltre, chiarisce il divieto di dirottare aiuti sotto forma di com-
pensazione di OSP, nella misura in cui configurino sovracompensazione, a fina-
lità diverse, come per esempio gli aiuti agli investimenti o alla protezione
ambientale.
3. Conclusioni
25 Vedi circolare 19 ottobre 2001, n. 12727 – GU n. 264 del 13.11.2001, a firma Buttiglione e più
recentemente l’art. 13 della “legge Bersani”, con il suo tormentato iter parlamentare.
CAPITOLO 3 87
La valutazione delle politiche
di aiuto alle imprese
di Marco Sisti*
89
Il primo passo consiste nel ricostruire la logica degli interventi in esame dal
peculiare punto di vista di chi si pone il compito di valutarne il successo. Si trat-
Si offre di seguito (fig. 1) una rappresentazione grafica del modello che descri-
ve un generico programma d’aiuto alle imprese nelle sue componenti basilari.
Figura 1
Come funziona un programma d’aiuto alle imprese
Imprese ammissibili
Effetti complessivi
sul sistema economico
re, o meno, la richiesta di finanziamento in base ad una loro stima sulla conve-
nienza del contributo concesso. In seguito, tra tutte le richiedenti, vengono
ammesse al contributo soltanto quelle imprese che presentano i progetti più
“promettenti”. Tali imprese, ottenuto l’incentivo finanziario, avviano quindi l’o-
pera di realizzazione dei progetti che, almeno nelle attese dei policy maker, pro-
durranno effetti positivi sia sulle stesse imprese beneficiarie che, più complessi-
92
vamente, sul sistema economico di cui esse fanno parte.
2.5 L’addizionalità
Un modo ulteriore per valutare il successo di una politica d’aiuto alle imprese
consiste nel verificare la capacità dell’intervento di attivare progetti che in sua
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
1 Nella letteratura relativa alla valutazione dei Fondi strutturali comunitari si parla di addizionalità
con riferimento all’ammontare degli investimenti effettuati, piuttosto che al numero dei progetti
realizzati come in questo caso: “si tratta di stabilire se la presenza di finanziamenti comunitari sti-
moli degli investimenti aggiuntivi rispetto a quelli che comunque sarebbero stati effettuati in loro
assenza” (Ires-Piemonte, Assi e misure – La valutazione dei Fondi strutturali comunitari: l’obietti-
vo 2 in Piemonte, Torino 1996). Concettualmente il problema è analogo, ciò che cambia sono le dif-
ficoltà di rilevazione delle informazioni sulle due variabili.
2 Il concetto di deadweight, a volte tradotto come fattore inerziale, o effetto inerziale (Ciravegna et al.,
La valutazione delle politiche attive del lavoro: esperienze a confronto, in “Economia Pubblica”, n.
6, 1995, pagg. 23-52), mette in evidenza come il fenomeno, sul quale l’intervento intende incidere
abbia una sua dinamica spontanea. Con riferimento a questo caso specifico è possibile ritenere che
una parte delle imprese finanziate avrebbe comunque realizzato i progetti d’investimento, anche in
assenza delle agevolazioni. Le agevolazioni concesse hanno rappresentato per queste ultime un’op-
portunità non per realizzare l’investimento quanto per abbassare i costi dello stesso.
3 Si definisce qui il numero di progetti finanziati dall’intervento come successo lordo, in quanto è
utile sottolineare come sovente (e in modo alquanto superficiale) esso venga interpretato come
unica misura del successo dell’intervento e quindi come si tenda ad ignorare completamente l’esi-
stenza del deadweight.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
4
Bardach, The Eight-Step Path of Policy Analysis (A handbook for practice), Berkeley CA, 1996.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
5 Per “effetto”, è bene ripeterlo, si intende il contributo, al netto del deadweight, che l’intervento ha
apportato nella modifica del fenomeno su cui si intendeva incidere (l’occupazione, il fatturato, le
esportazioni, ecc., delle imprese finanziate).
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
6 Su questo tema nel 2006 è stato pubblicato dal Formez, nella collana “Materiali”, un volume dal
titolo Valutare gli effetti delle politiche pubbliche: metodi e applicazioni al caso italiano, a cura di
Alberto Martini, Luca Mo Costabella e Marco Sisti. Se ne consiglia la lettura a chi intendesse
approfondire gli aspetti di natura metodologica.
7 Per una sintetica rassegna sulle tecniche utilizzabili e su alcune concrete applicazioni empiriche
si veda Bartik, Bingham, Can economic development programs be evaluated?, Staff Working Paper
95-29, Kalamazoo MI, 1995, e Ires-Piemonte, Assi e misure, cit.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
Da un punto di vista teorico, però, sono ipotizzabili effetti positivi, non solo
sulle imprese beneficiarie, ma anche sull’intero sistema economico sul quale
interviene la politica. Ad esempio, le imprese beneficiarie possono aumentare la
loro domanda di beni intermedi nei confronti delle non beneficiarie; oppure i
nuovi occupati presso le imprese beneficiarie, grazie ad una maggiore disponibi-
lità di reddito, possono incrementare la loro domanda di beni di consumo a van-
99
taggio di tutte le imprese. Possono, inoltre, esistere effetti secondari di verso
negativo: un tipico caso, a cui spesso viene fatto riferimento in letteratura, è il
cosiddetto effetto di spiazzamento, che si presenta “quando gli aumenti nelle
vendite, nella produzione e nell’occupazione delle imprese assistite sono ottenu-
ti direttamente a spese delle vendite, della produzione e dell’occupazione delle
sue concorrenti non assistite”8. I benefici concessi alle imprese beneficiarie, per-
ciò, “spiazzano” le imprese non beneficiarie, riducendo di fatto la loro produzio-
ne ed occupazione.
Ben più difficile è passare da una definizione teorica degli effetti secondari alla
loro osservazione empirica e conseguente misurazione. Il calcolo globale di tali
effetti, oltre a richiedere una mole notevole di informazioni e, quindi, ad essere
molto costoso, può dare risultati deludenti: molti studi hanno infatti dimostrato
come tali effetti, se presi singolarmente, siano di ampiezza molto limitata e, ana-
lizzati complessivamente, tendano sovente ad elidersi. In particolare, l’effetto
spiazzamento tende ad essere compensato dagli effetti secondari di verso positi-
vo. Rimane, perciò, un dubbio di fondo sull’opportunità di addentrarsi, con costi
così elevati, nell’analisi degli effetti secondari di questo tipo di politiche.
9 Hatry et al., Practical Program Evaluation for State and Local Governments, Washington, 1981.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
10 Gli indici di variabilità riducono gli svantaggi determinati dalla perdita d’informazione a cui si va
incontro nel momento in cui si sintetizza la distribuzione statistica attraverso medie; ciascun
indice misura un aspetto particolare della variabilità della distribuzione.
11 Neri, Sisti, La valutazione di una politica regionale di aiuto all’imprenditoria giovanile: la legge
27/93 della Regione Toscana, Firenze, 2000.
12 Bianchini, Martini, Romano, La valutazione di una politica pubblica a sostegno della ricerca
industriale: il caso della legge 598 in Piemonte, Torino, 2006.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
può essere rapportato a due grandezze diverse: il totale dei fondi disponibili e il
numero totale delle imprese che soddisfano i requisiti richiesti per l’accesso ai
finanziamenti. Si avranno, quindi, due indicatori: il rapporto fondi richiesti/fondi
disponibili e il rapporto imprese richiedenti/totale imprese aventi diritto. Il primo
è spesso definito come tasso di tiraggio; il secondo può essere definito tasso di
partecipazione (take-up rate).
102
Il calcolo del numeratore dei due tassi non comporta la ricerca di informazioni
ad hoc; tutte le informazioni sono già presenti all’interno degli uffici incaricati
di seguire la procedura di assegnazione ed erogazione dei finanziamenti. La stes-
sa considerazione vale per il denominatore del tasso di tiraggio (entità dei fondi
disponibili). Leggermente più complesso è il calcolo del denominatore del tasso
di partecipazione, per il quale deve essere stimato il numero di imprese che han-
no diritto al finanziamento. Questa è un’operazione non banale nel caso in cui
esistano restrizioni all’accesso ai finanziamenti (ad esempio, sulla base del fattu-
rato o del numero di dipendenti), ma i dati disponibili sulle imprese non siano
già disaggregati secondo gli stessi criteri. In questo secondo caso è necessario
avere accesso ad archivi che contengano dati sulle singole imprese, in modo da
poter eseguire una tabulazione incrociata che riproduca i criteri di restrizione
imposti dalla legge.
Quale può essere l’interpretazione dei valori dei due tassi? Una prima (ma
parziale) lettura suggerisce che il successo dell’intervento dipende da quanto
questi due tassi si avvicinano al 100%. Nel caso del tasso di tiraggio, il supera-
mento del 100% sta ad indicare razionamento, mentre valori vicini allo zero
possono rivelare che l’intervento non interessa ai potenziali beneficiari (o che
le risorse stanziate sono eccessive rispetto al “problema” che si vuole risolvere).
Un tasso di partecipazione molto basso può avere un significato analogo a quel-
lo di un basso tasso di tiraggio, ma rappresenta un’informazione più facilmente
interpretabile, in quanto il denominatore non è frutto di una decisione di stan-
ziamento, bensì dipende dalla distribuzione delle caratteristiche delle imprese.
Un tasso di partecipazione molto alto può d’altro canto essere sintomo di pro-
blemi diversi: ad esempio, del fatto che i criteri di ammissione non sono stati
compresi correttamente dalle imprese, le quali hanno presentato domanda pur
non avendone diritto.
Per valori intermedi dei due tassi, trarre dai dati un’interpretazione univoca si
fa più difficile. Quando si è lontani dai valori estremi, l’interpretazione di questi
indicatori richiede la disponibilità di benchmark, cioè di termini di paragone,
derivati dall’esperienza storica di simili interventi. Senza questi benchmark,
l’informazione sui due tassi diventa di limitata utilità.
Va aggiunto che il tasso di partecipazione, a differenza di quello di tiraggio,
può essere utilmente disaggregato territorialmente. Differenze territoriali (ad
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
Per comprendere se, e in che misura, sono state beneficiate le imprese “giu-
ste”, cioè quelle imprese che si trovano davvero in una situazione di svantaggio
rispetto al mercato, o, al contrario, se la distribuzione degli incentivi si è con-
centrata su un sottogruppo “privilegiato” di imprese ammissibili (che hanno il
maggiore numero di dipendenti, o che presentano fatturati particolarmente ele-
vati oppure che operano in un determinato settore produttivo o altro), occorre
procedere al confronto delle caratteristiche più rilevanti tra campioni estratti
sia dalla popolazione dei beneficiari che da quella dei non beneficiari e rilevare
le eventuali differenze. Studi valutativi di questa natura sono chiaramente più
utili nell’ambito di interventi “a regime”, quando, cioè, è trascorso un po’ di
tempo dall’avvio del programma e dopo che si sia realizzato un “naturale” pro-
cesso di selezione e le eventuali differenze tra i due gruppi si siano pienamente
consolidate14. I risultati di un’analisi di questo tipo permettono di giudicare il
corretto funzionamento del processo di selezione e possono fornire utili indica-
zioni ai fini di un suo successivo aggiustamento o modifica (con la revisione dei
criteri di ammissibilità o di quelli di scelta dei progetti da finanziare oppure
con la previsione di incentivi aggiuntivi per le imprese più bisognose ed esclu-
se dall’intervento).
Il modo più usuale per accedere alle informazioni necessarie a realizzare que-
sti confronti è l’effettuazione di indagini campionarie ad hoc (sample survey),
con una singola rilevazione nel tempo, attraverso le quali sia possibile determi-
nare l’incidenza, la distribuzione e l’interrelazione delle caratteristiche nelle due
popolazioni (beneficiari e non beneficiari). Alternativamente alle indagini cam-
pionarie è ipotizzabile l’utilizzo di informazioni provenienti da archivi già esi-
13 Anglois, Battiloro, Martini, Aiuti alle imprese in Valle d’Aosta: caratteristiche e tendenze nel
quinquennio 2000-2004, Torino, 2006.
14 Martini, Valutazione dell’efficacia di interventi pubblici contro la povertà: questioni di metodo e
studi di caso, Roma, 1997.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
stenti; ovviamente, nella misura in cui essi contengano dati relativi alla popola-
zione delle imprese destinatarie, per tutte le variabili d’interesse, e nei quali sia
possibile riconoscere e distinguere le imprese che hanno ricevuto il finanzia-
mento pubblico da quelle che non lo hanno ricevuto.
Molti dei dati necessari per rispondere ai quesiti sulla corretta realizzazione
dei progetti possono essere generati dalla normale procedura amministrativa.
Controlli di regolarità successiva vengono presumibilmente svolti su ogni singo-
lo procedimento d’erogazione a fini di rendicontazione, tramite la presentazione
di fatture e di altre attestazioni di pagamento. Tuttavia, per effettuare uno studio
di valutazione, deve essere fatta di queste informazioni una lettura diversa
rispetto a quella che ne viene fatta a scopo gestionale. Il valutatore deve filtrare i
dati generati dalla procedura amministrativa per darne una lettura e un’interpre-
tazione complessiva. Inoltre, è molto probabile che le informazioni prodotte da
tali fonti amministrative si rilevino inadeguate o insufficienti e debbano essere
completate con informazioni generate attraverso indagini specifiche.
L’elemento di maggior interesse per una valutazione del funzionamento del-
l’intervento è la misura in cui i progetti presentati sono stati realizzati rispettan-
do gli obiettivi fissati nella domanda di ammissione al finanziamento. La possi-
bilità di usare dati generati dalla procedura amministrativa va giudicata caso per
caso. Chiaramente l’informazione contenuta nelle varie attestazioni di pagamen-
to è molto povera; ciò che è possibile fare è infatti verificare formalmente che i
fondi erogati siano effettivamente serviti per acquistare servizi e prodotti e maga-
ri evidenziare di che tipo sono i servizi e i prodotti acquistati.
Informazioni di questo tipo non possono però aiutare nel trovare risposte a
domande più di sostanza, quali ad esempio: i progetti realizzati hanno effettiva-
mente le caratteristiche (di innovatività, di compatibilità ambientale, ecc.) che il
policy maker desidera e che forniscono una giustificazione all’intervento stesso?
Al di là della rendicontazione formale, cosa è davvero successo nel corso della
realizzazione dei progetti? Ad esempio, se si trattava di introdurre un nuovo pro-
dotto, il nuovo prodotto è stato effettivamente creato ed è disponibile sul merca-
to? Se il progetto aveva lo scopo di far conseguire la certificazione di qualità
all’impresa, la certificazione è stata davvero conseguita e per quanto tempo è sta-
ta mantenuta? Se l’impresa aveva l’obiettivo di ridurre il suo impatto sull’am-
biente, questo è stato realmente ridotto? E in che modo? Cosa ha determinato l’e-
sito positivo del progetto?
In molti casi nel tentativo di ottenere risposte a domande di questo tipo, si
impone a tutte le imprese che si sono aggiudicate il finanziamento di redigere
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
3.5 L’addizionalità
15 Ministero dell’Industria, Relazione sulle leggi e i provvedimenti di sostegno alle attività economi-
che e produttive, Roma, 1999; Bianchini, Martini, Romano, op. cit.
16 Un ulteriore, e non trascurabile, problema nella conduzione di indagini di questo tipo consiste
nell’individuazione dell’effettivo responsabile delle decisioni strategiche dell’impresa (indivi-
duazione relativamente più facile nel caso di piccole imprese).
17 Trochim, Research Design for Program Evaluation: The Regression-Discontinuity Approach,
Beverly Hills, 1984; Mohr, Impact Analysis for Program Evaluation, Pacific Grove CA, 1988.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
18 Heckman, Robb, “Alternative Methods for Solving the Problem of Selection Bias in Evaluating the
Impact of Treatments on Outcomes”, in Drawing Inferences from Self-Selected Samples, Berlin,
1986; Moffit, Program Evaluation with Nonexperimental Data, in “Evaluation Review”, n. 15,
pagg. 291-314, 1991.
19 Lobascio, Mura, Rapporto Tecnico di Valutazione della Legge Regionale n. 15 del 1994, Cagliari,
2006.
20 Un confronto di questo tipo è stato condotto con notevole successo nella valutazione, condotta da
un gruppo di ricercatori indipendenti, della legge 44/86, cosiddetta legge De Vito (Battistin, Gavo-
sto, Rettore, Why do subsidized firms survive longer? An Evalutation of a Program Promoting
Youth Entrepreneurship in Italy, Working paper n. 1, Padova, 1998).
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
21 Per una trattazione in italiano, Bondonio, La valutazione d’impatto dei programmi d’incentivo
allo sviluppo economico, in “Economia pubblica”, n. 6, 1998, pagg. 23-52; Martini, Mo Costabel-
la, Sisti, op. cit.
LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI AIUTO ALLE IMPRESE
4. Conclusioni
113
* Si ringraziano i collaboratori delle task force regionali del Progetto SPRINT che hanno contribui-
to alla ricostruzione delle informazioni sugli strumenti regionali e all’aggiornamento dei dati.
** Esperto, Coordinatore della task force Calabria del Progetto SPRINT (Sostegno alla Progettazione
Integrata) del Formez.
*** Esperto, Coordinatore della task force Campania del Progetto SPRINT (Sostegno alla Progettazio-
ne Integrata) del Formez.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Grafico 1
Destinazione risorse per regimi d’aiuto nei PIT Ob. 1 (valori %)
50
40,3 37,3
40
33,2 34,0 34,0
31,4
30
114
20
10
4,2
0
Totale Ob.1 Basilicata Calabria Campania Puglia Sardegna Sicilia
Grafico 2
Destinazione risorse per categoria di intervento nei PIT Ob. 1 (valori %)
80
60
40
20
0
Totale Ob.1 Basilicata Calabria Campania Puglia Sardegna Sicilia
1 Secondo il QSN, “per progetto territoriale si intende un insieme di azioni e interventi che sono
definiti e messi in atto per il perseguimento di un obiettivo chiaramente identificato di sviluppo e
promozione di un sistema territoriale. Un progetto vero e proprio assume quindi finalità specifi-
che, ha un inizio e una fine in quanto progetto, se ne possono valutare i risultati” (pag. 124).
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
rire un’informazione più organica nei confronti del territorio, rendendo maggior-
mente visibile il Progetto Integrato a livello locale ed il rapporto di funzionalità
tra le azioni rivolte ai privati e gli investimenti pubblici.
Gli elementi rappresentati rendono l’impianto dell’Avviso pubblico portatore
di elementi di interesse rimasti tuttavia piuttosto incompiuti, per rispondere in
modo soddisfacente agli obiettivi che si erano posti.
118
2 Il testo dell’Accordo di Programma è stato approvato con deliberazione di Giunta regionale della
Basilicata n. 8383 del 15 maggio 2003.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
modelli di sviluppo locale sostenibile; (b) dalla legge n. 140/1999, che ha asse-
gnato alle Regioni a statuto ordinario dell’Obiettivo 1 anche l’aliquota statale
delle risorse rivenienti dalle aree di estrazione petrolifera per il finanziamento di
strumenti di Programmazione negoziata.
Il PO Val d’Agri, dunque, pur non rientrando nella Progettazione Integrata Ter-
ritoriale del POR Basilicata, rappresenta in questa regione una “derivazione”
120
significativa del percorso di lavoro e di sperimentazione compiuto dai cinque
PIT (Val d’Agri, Alto Basento, Marmo-Platano-Melandro, Montagna Materana,
Lagonegrese-Pollino) che compongono l’area interessata dalle attività di estra-
zione e su cui si intende convogliare le disponibilità finanziarie.
La struttura del programma prevede l’investimento su quattro linee di inter-
vento: per la salvaguardia ed il miglioramento del contesto in termini di vivibi-
lità ambientale, per il potenziamento della dotazione di infrastrutture essenziali,
per il miglioramento della qualità della vita della popolazione e per il sostegno
alle attività produttive ed alla occupabilità.
Proprio riguardo a quest’ultimo obiettivo, si afferma, anche in questo contesto
regionale, una linea operativa volta a promuovere azioni di sostegno alle impre-
se, a scala territoriale, in tre direzioni:
• fornitura di agevolazioni e servizi in forma integrata, con riferimento al modu-
lo dei Programmi Integrati di Agevolazioni, di concerto con programmi nazio-
nali ed europei per il sostegno alla ricerca ed alla innovazione tecnologica
applicata;
• fornitura di attività formative e di servizi funzionali alla messa a regime di
progetti di ricerca e sviluppo nelle piccole e medie imprese;
• promozione di iniziative di partenariato pubblico/privato per la valorizzazione
di opportunità localizzative e attività commerciali e di servizio alle imprese.
Con la legge 10/2004, la Regione Puglia ha normato la materia dei regimi regio-
nali di aiuto alle piccole e medie imprese singole e/o consorziate, predisponen-
do regolamenti attuativi per la disciplina dei procedimenti di agevolazione3 e, in
3 Si veda la Delibera di G.R. n. 2087 del 29/12/2004 – LR n. 10/2004. Procedure per l’ammissibilità
ed erogazione di incentivi per Programmi Integrati di Agevolazioni da realizzare nell’ambito dei
Progetti Integrati Territoriali (PIT). Regolamento n. 7: Incentivi per il sostegno agli investimenti in
servizi reali alle imprese. Regolamento n. 8: Incentivi regionali per lo sviluppo produttivo. Regola-
mento n. 9: Incentivi per interventi di ingegneria finanziaria – attività commerciali. Regolamento
n. 10: Incentivi per l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo per le PMI. Regolamento
n. 11: Incentivi per programmi integrati di agevolazioni da realizzare nell’ambito dei Progetti Inte-
grati Territoriali (PIT). Regolamento n. 12: Incentivi per interventi di ampliamento della base pro-
duttiva – attività commerciali.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
4 Nel Bollettino Ufficiale regionale n. 152 supplemento del 7 dicembre 2005, sono stati pubblicati
gli Avvisi che definiscono le modalità, le procedure e la relativa modulistica per la presentazione
delle domande relative ai PIA. I bandi, approvati con determinazioni del Dirigente del Settore
Artigianato e PMI, sono relativi ai PIT: PIT n. 2 Area Nord Barese, PIT n. 3 Area Metropolitana di
Bari, PIT n. 4 Area della Murgia, PIT n. 5 Valle d’Itria, PIT n. 6 Area di Taranto, PIT n. 7 Area di
Brindisi, PIT n. 9 Territorio Salentino Leccese.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Particolare attenzione è stata rivolta, infine, alla definizione, con lo stesso ban-
do pubblico, delle modalità di gestione dell’iter amministrativo di attuazione,
con la fissazione di termini per l’adempimento delle diverse fasi (avvio, SAL,
controlli, ecc.), al fine di garantire maggiore rispetto delle regole della concor-
renza e della trasparenza.
Le risorse pubbliche programmate dai PIT calabresi sulle operazioni a regime di
aiuto ammontano complessivamente a 135,5 milioni di euro, a cui si dovrebbero
accompagnare altrettante risorse private. Al 31 dicembre 2006, i bandi emanati
dalla Regione hanno impegnato quasi 61 milioni di euro di risorse pubbliche. I set-
tori di intervento sono quelli della rete ecologica; dell’artigianato artistico; della
valorizzazione del patrimonio culturale; del rafforzamento dei sistemi produttivi
esistenti, ed in via di formazione, localizzati sul territorio regionale e della società
dell’informazione; dello sviluppo imprenditoriale in ambito urbano; dei servizi
alle persone; della pesca. Le domande pervenute sono complessivamente 842.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Per gli interventi afferenti alla Misura 4.1 “Crescita e competitività delle imprese
industriali, artigiane, del commercio e dei servizi” e alla Misura 4.4 “Reti e sistemi
locali di offerta turistica”, che rappresentano, tra l’altro, le Misure con la maggiore
incidenza di risorse, è in corso un’attività di confronto con i soggetti responsabili
dei PIT e i Dipartimenti interessati finalizzata a definire le procedure attuative.
124
1.6 I Contratti di investimento della Regione Campania
Una prospettiva più ampia e sistematica nel ricondurre i regimi di aiuto a favo-
re delle piccole e medie imprese ai sistemi di sviluppo locale è riconoscibile nei
Contratti d’investimento attivati dal POR Campania5 nell’ambito della Progetta-
zione Integrata Territoriale, cui è stata assegnata una consistente riserva finanzia-
ria pari a 75 milioni di euro.
Con questa formula, l’Amministrazione regionale ha scelto d’adottare lo sche-
ma di Programmazione negoziata del Contratto di Programma, come modello di
riferimento per ricondurvi, a livello regionale, la formazione dello strumento del
Contratto d’investimento per il finanziamento delle imprese ed il sostegno all’oc-
cupazione. L’ultima revisione del disciplinare, approvato dalla Giunta regionale
nel mese di aprile 20046, con cui sono state definite, in forma specifica, le proce-
dure regionali del Contratto d’investimento, ha fissato lo stretto ed esclusivo col-
legamento tra il Contratto d’investimento, i PI e le regole dei regimi d’aiuto del
POR Campania 2000-2006.
Il Contratto d’investimento si caratterizza per essere un piano progettuale orga-
nico di sviluppo a favore di piccole e medie imprese, nel quale è prevista la pos-
sibilità di realizzare numerose forme d’intervento: dagli investimenti per la rea-
lizzazione di nuovi impianti e/o di ristrutturazioni ed ammodernamenti dell’esi-
stente, ad opere infrastrutturali materiali ed immateriali legate agli investimenti
delle imprese da un nesso funzionale di stretta causalità, ad investimenti per
l’attivazione di servizi comuni per reti d’imprese. Quest’ultima ipotesi può costi-
tuire, da sola, oggetto di un Contratto d’investimento.
Al Piano progettuale si possono riconnettere anche programmi di supporto per
la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica e per l’internazionalizzazione,
da finanziarsi con risorse aggiuntive rispetto al Contratto d’investimento.
5 Tra le modalità attuative in ambito PIT delle Misure 1.10, 1.12, 4.2 e 4.5, il POR Campania prevede
il cofinanziamento dei Contratti d’investimento per le PMI. Va comunque ricordato che la Regione
Campania ha destinato alle imprese dei Progetti Integrati ampie risorse finanziarie anche attraver-
so bandi “tradizionali”, destinati a singoli Progetti Integrati e con particolare riferimento alle risor-
se ambientali (Asse I), alle risorse culturali (Asse II), alle Misure di sviluppo produttivo e turistico
(Asse IV) e alle città (Asse V).
6 Regione Campania, Deliberazione n. 578 della Giunta regionale pubblicata sul BURC n. 23 del 10
maggio 2004.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
7 Il decreto legislativo 123/1998 disciplina gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle
attività produttive, individuando tre modalità di attuazione e moduli organizzativi, di tipo automati-
co, valutativo e negoziale. La procedura negoziale si applica ad interventi di sviluppo territoriale e
settoriale, anche se realizzati da una sola impresa o da un gruppo di imprese, nell’ambito di forme di
programmazione concertata. L’art. 6 prevede, in aggiunta, che una quota degli oneri derivanti dagli
impegni connessi alla formazione delle intese possa essere messa a carico del procedimento.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
sabile di Misura del POR, corredata da una documentazione istruttoria che dia
conto, tra l’altro, del piano progettuale, della disponibilità d’istituti di credito al
cofinanziamento degli investimenti delle singole imprese e della documentazio-
ne attestante i contenuti dei programmi d’investimento di queste ultime.
I passaggi successivi essenziali sono:
• la valutazione istruttoria del Responsabile di Misura, sulla base della qualità
126
della proposta e della sostenibilità tecnica, ambientale, economica e gestionale;
• l’attivazione della fase negoziale con il soggetto proponente, per gli eventuali
adeguamenti del piano progettuale;
• la stesura negoziale dei progetti, in collaborazione con l’istituto di credito che
si è dichiarato disponibile a cofinanziare l’intervento;
• l’invio degli esiti finali dell’esame di fattibilità all’Assessore competente, che
propone il Piano Progettuale alla Giunta regionale per l’approvazione;
• la stipula del Contratto di investimento, nel quale sono fissati i termini per la
realizzazione del piano, le modalità di erogazione degli aiuti, i controlli e le
modalità di monitoraggio e di valutazione, e tutti gli altri oneri derivanti dalla
gestione del Contratto.
A marzo 2007 si rileva un avanzamento diverso per Misura dei contratti d’in-
vestimento approvati dalla Giunta regionale campana. Per le nove procedure
attivate nell’ambito della Misura 4.2 – per i Progetti Integrati Sistemi Industriali –
si è proceduto all’individuazione dei soggetti ammessi alla fase negoziale e all’e-
manazione con decreto dirigenziale n. 679/2006 dell’atto d’ammissione provvi-
soria alle agevolazioni ed al relativo impegno di spesa. Per queste procedure è
adesso in corso, pertanto, la cosiddetta fase negoziale del progetto che porterà, a
seguito di altre modifiche del piano progettuale, alla stesura definitiva della boz-
za di contratto ed alla successiva approvazione in Giunta. Relativamente alle
procedure a valere sulla Misura 4.5, si evidenzia, nel caso della proposta di rea-
lizzazione del campo da golf, nell’ambito del Progetto Integrato Piana del Sele,
una buona performance d’attuazione, infatti, sono già iniziati i lavori.
Il Contratto d’investimento del Progetto Integrato Filiera turistica enogastrono-
mica ha superato la fase di valutazione delle proposte e ha individuato l’unico
soggetto ritenuto ammissibile dalla commissione preposta alla valutazione.
Rispetto alla Misura 1.10 è stata approvata e finanziata la proposta di Contratto
d’investimento “Ospitalità da favola” che ha subìto, a seguito di una decurtazio-
ne della dotazione finanziaria della Misura, una rimodulazione della fonte finan-
ziaria perciò, con la deliberazione di Giunta regionale n. 314 del 7 marzo 2007,
tale intervento sarà finanziato con le rinvenienze del POR 2000-2006. La ridu-
zione della dotazione finanziaria della Misura 1.10 non ha consentito di attivare
l’altro intervento previsto dal Progetto Integrato Parco Regionale dei Monti
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Picentini che è in questo momento sospeso. Rispetto alla Misura 1.12, si registra
un ritardo nell’attivazione delle procedure del Contratto d’investimento, perciò,
dati i tempi, si potrebbe decidere di abbandonare l’utilizzo di tali procedure e di
adottare modalità attuative più snelle e veloci.
Occorre sottolineare come l’approccio con cui la Regione Campania dimostra
di voler affrontare il tema delle politiche d’impresa nell’ambito della program-
127
mazione comunitaria 2000-2006 rifletta il prevalere di un forte orientamento per
una visione sistemica dei modelli di sviluppo locale, anche con specifico riferi-
mento ai temi dell’occupazione e del sostegno alle imprese.
L’opzione per un intervento organico a favore di forme organizzate di picco-
le e medie imprese, riconducibili ad integrazioni produttive funzionali, sem-
bra anche rispondere all’esigenza di rafforzare i processi di concentrazione
territoriale e di cooperazione tra imprese, sempre molto deboli nelle regioni
meridionali.
Più in generale, il meccanismo prospettato propende per un rilancio delle
politiche di distretto industriale a favore delle piccole e medie imprese, pro-
muovendo soluzioni di snellimento e di semplificazione degli adempimenti
amministrativi, concentrati in capo alla struttura consortile e la formazione di
un’offerta di terziario qualificato con un accesso semplificato per le imprese
consorziate8.
In questo quadro, i Contratti d’investimento sono un’utile sperimentazione per
tentare una ricostruzione funzionale di almeno due questioni:
• la selezione e la qualificazione della partecipazione delle imprese, in ragione
dell’idea centrale di sviluppo. Infatti, il meccanismo del Contratto d’investi-
mento, nel quale l’accesso delle PMI al contratto è ricondotto ad una procedu-
ra negoziata, consente di misurare la effettiva funzionalità e validità del pro-
getto riguardo all’unicità dell’idea di sviluppo ed alla integrazione funzionale
con l’intero sistema delle imprese;
• la formazione delle intese con gli istituti bancari, con la preliminare assun-
zione della disponibilità di questi ultimi a mettere a disposizione il credito
per il cofinanziamento del programma d’investimento. Questa modalità, oltre
a costruire in modo trasparente il rapporto tra banca ed impresa rispetto alla
vita del progetto, consente di facilitare il superamento delle diffidenze verso
lo strumento del Contratto d’investimento e della Progettazione Integrata Ter-
ritoriale che, altrove, ha trovato alimento nella mancata o scarsa conoscenza
dei suoi meccanismi interni.
8 Si veda Sylos Labini, Riformiamo i distretti per scuotere le imprese, in “Il Sole 24 Ore”, 16 luglio
2005.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Come appare evidente dalla presentazione delle esperienze regionali, gli aiuti
alle imprese nei Progetti Integrati Territoriali sono risultati tra i nodi più problema-
tici per l’attuazione. Questo rimane vero anche nei sistemi locali in cui c’è stato il
128
maggiore sforzo di rendere effettivamente operativo il nesso tra il livello territoria-
le nel quale si forma l’iniziativa imprenditoriale ed il livello amministrativo regio-
nale cui è affidata la gestione delle procedure per l’assegnazione delle risorse.
Le questioni che si sono andate prefigurando non riguardano solo la “dimen-
sione tecnica” dell’impianto procedurale, bensì una pluralità di aspetti, attorno
ai quali i Progetti Integrati Territoriali offrono un’occasione per la riflessione. Se
ne propongono qui alcuni.
I PIT sono nati attorno ad una domanda sociale per uno sviluppo armonico del
territorio che non si riconnette più solo alla localizzazione di imprese espressio-
ne del tradizionale sistema manifatturiero e dell’edilizia, ma che vede la crescita
progressiva di nuove priorità, dovute ad un crescente aumento di bisogni collet-
tivi e ad una maggiore domanda di welfare. In questo articolato orizzonte, il para-
digma della qualità sociale si propone come elemento di sviluppo e fattore di
produzione di ricchezza per i sistemi locali, nell’ottica della sostenibilità dello
sviluppo. Le politiche per le imprese ed i sistemi di incentivazione devono,
quindi, innovare i propri obiettivi e strumenti, per promuovere la crescita di un
sistema produttivo articolato, imperniato su un uso sostenibile e responsabile
delle risorse territoriali9.
9 Sul rapporto fra imprese e sistema locale e sul radicamento territoriale dei sistemi locali, si veda Vin-
ci (a cura di), Il radicamento territoriale dei sistemi locali, Milano, 2005. In particolare, Vinci intro-
duce una distinzione interessante fra “sistemi economici territoriali”, in cui le attività produttive
sono spazialmente e funzionalmente collegate alla presenza (su scala locale) di particolari dotazioni
territoriali, in possesso di un valore posizionale e/o culturale; e “sistemi economici locali”, fra cui
ricadono ad esempio molti distretti industriali, in cui il legame (spaziale e funzionale) fra attività
produttive e risorse immobili locali è più debole o inesistente. Fra i sistemi territoriali, le esperienze
recenti di sviluppo (e di progettualità) più interessanti sono quelle collegate ai caratteri di tipicità e
di origine dei prodotti e dei servizi offerti, ovvero all’esistenza di fattori materiali ed immateriali che
traggono il loro valore dall’essere posizionati esattamente in quel luogo ed in nessun altro. Fra i siste-
mi economici locali, le pratiche migliori dello sviluppo vanno invece individuate alla luce della
capacità dei sistemi stessi (e dei distretti in particolare) di radicarsi territorialmente, ovvero di inglo-
bare la “culturalità” e la tradizione locale, di saldare il sistema produttivo e la società locale, di
rispettare l’ambiente e di rigenerare i fattori (soprattutto immateriali) necessari ai processi economi-
ci. Proprio questa capacità è stata deficitaria in molte aree della “Terza Italia”, dove si è assistito ad
un progressivo scollamento tra la sfera della produzione, il patrimonio di beni comuni e la società
civile, che ha prodotto deterritorializzazione, degrado ambientale e disagio sociale.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
I deficit di programmazione
La valutazione dei primi esiti dei bandi riservati alle imprese nelle aree PIT fa
registrare: carenze nella previsione “territoriale” e “per Misura” della domanda
di aiuti e nella conseguente “prenotazione” di risorse; scarsa selettività delle
priorità e dei criteri aggiuntivi (generalmente imperniati su natura dei destina-
tari, iniziative consortili, ambiente ed occupazione); attivazione degli aiuti in 129
comparti produttivi generalmente tradizionali; frammentazione delle procedu-
re a dispetto degli Avvisi multimisura; complessità delle procedure innovative
e nell’inserimento degli aiuti PIT in un quadro già frammentato degli strumenti
agevolativi.
Va però anche registrato il discreto “tiraggio” complessivo dei regimi, così
come la spinta all’innovazione degli strumenti e delle procedure e la tendenza
ad una maggiore responsabilizzazione dei soggetti locali nei casi di decentra-
mento della gestione.
La funzionalità del ruolo regionale con riferimento alla gestione dei regimi di
aiuto è stata sostenuta soprattutto in rapporto all’utilità di ridurre la frammenta-
zione degli strumenti agevolativi a sostegno delle imprese e di introdurre un mag-
giore controllo del rispetto delle regole della concorrenza e della trasparenza.
Tuttavia, la questione ha assunto un carattere fondamentale nel dibattito
perché la centralizzazione della gestione dei regimi di aiuto è stato il primo
10 Si veda anche Fazio (a cura di), Materiali per il seminario “I regimi di aiuto nei PIT”, tenutosi a
Roma il 25 maggio 2004.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
I regimi di aiuto attivati dai PIT hanno concorso sul territorio con una plura-
lità di altri strumenti, alcuni con livelli di contribuzione più convenienti, come
nel caso degli strumenti di Programmazione negoziata (Accordi di Programma,
Patti Territoriali, ecc.) e con gli stessi bandi POR “a regia regionale”, di identica
forma e contenuto, facendo dei Progetti Integrati Territoriali una modalità di
agevolazione concorrente con altre e, in aggiunta, priva di fattori di particolare
attrazione. Alla fine si è determinata un’accentuazione ulteriore dell’effetto di
spiazzamento tra i differenti canali attraverso i quali lo Stato eroga i soldi
all’impresa.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
La questione dei tempi nella attivazione dei regimi di aiuto, dal momento in
cui un meccanismo di agevolazione è stato assunto ed è stato avviato fino alla
effettiva erogazione del contributo, è fondamentalmente il risultato del sistema
di competenze e della capacità di tenuta della macchina burocratica regionale.
Nella media, lo scarto tra il momento della conclusione della gara con il ricono-
scimento del contributo e quello della prima erogazione, ha oscillato tra i 12 ed i
24 mesi, sia nel caso in cui gli uffici regionali abbiano assunto direttamente l’o-
nere della gestione della gara che nel caso di affidamento esterno della valuta-
zione ad istituti di credito.
Il problema ha carattere generale ma, riguardo ai Progetti Integrati, la difficoltà
a soddisfare un parametro essenziale come il fattore tempo, per la valutazione
della funzionalità di un meccanismo già giudicato complesso, ha accentuato la
diffidenza degli imprenditori.
Naturalmente il fattore temporale ha incrociato il tema delicatissimo del
rapporto con le regole di mercato cui l’impresa deve rispondere. In una pro-
spettiva di mercato globale, in cui i connotati dell’attività imprenditoriale
potrebbero doversi modificare in modo rapidissimo, una visione imprendito-
riale molto legata alla dimensione locale dei PIT, e condizionata dai tempi
lenti del sistema regionale di agevolazione, può determinare l’avvio dell’inve-
stimento quando ormai sono superate le condizioni di mercato che lo avevano
sostenuto, inducendo un possibile effetto di spiazzamento per la vita stessa
dell’impresa.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
La programmazione 2000-2006 nel campo degli aiuti alle imprese, come rico-
nosciuto nello stesso QSN, ha evidenziato una ridotta capacità di far fronte alle
criticità rilevate, di creare discontinuità, di innescare processi virtuosi e duratu-
ri di sviluppo. In particolare, si è registrato un sensibile scarto tra la fase di pro-
132
grammazione delle azioni e degli interventi, basati su elementi di forte innovati-
vità rispetto alle passate esperienze di programmazione, e quella di attuazione,
focalizzata sulla concessione di incentivi alle singole PMI attraverso il prevalen-
te ricorso alla strumentazione nazionale e, in parte, come evidenziato preceden-
temente, attraverso l’attuazione di strumenti regionali non in grado di risponde-
re efficacemente ai fabbisogni delle imprese operanti in specifici ambiti territo-
riali, come quelle attive nelle aree PIT, e settoriali.
Per il post 2006, sembra opportuno che le Regioni riorientino la politica degli
aiuti verso i sistemi produttivi locali tenendo conto della necessità di:
• aumentare l’efficacia degli aiuti favorendone la concentrazione su investi-
menti in grado di contribuire con maggiore forza allo sviluppo dei territori
interessati;
• razionalizzare gli strumenti di aiuto, assicurandone la complementarità e l’in-
tegrazione con la strumentazione esistente, migliorando il targeting, differen-
ziando gli obiettivi e le finalità;
• migliorare fortemente l’integrazione con gli interventi in materia di R&S e for-
mazione, cercando di assicurare una soddisfacente declinazione della Strate-
gia di Lisbona;
• razionalizzare e migliorare l’applicazione dei criteri di selezione. Questo
implica l’applicazione dei criteri intesi come strumento di orientamento
“selettivo” della strategia, nonché l’aumento del grado di coerenza ed integra-
zione degli investimenti produttivi rispetto all’idea guida e agli obiettivi degli
specifici progetti territoriali;
• incentivare un forte coinvolgimento del settore bancario e dare maggiore spa-
zio agli interventi di ingegneria finanziaria su scala territoriale (forme di age-
volazione e meccanismi di erogazione che tengono conto delle debolezze rela-
tive alla disponibilità di capitali propri);
• sostenere la nascita di nuovi soggetti imprenditoriali in grado di dare un con-
tributo significativo al sostegno dei processi di sviluppo locale, quali le impre-
se ad alta tecnologia e ad alto contenuto innovativo promosse da giovani ricer-
catori, attraverso i collegamenti con le università e i centri di ricerca, o le
imprese sociali, essenziali per favorire l’integrazione e la coesione sociale e
sostenere processi di sviluppo socioeconomico sostenibile.
I REGIMI DI AIUTO NELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA
137
Quaderni
1. Quarto rapporto nazionale sulla formazione 14. Governare lo sviluppo locale – Le aree pro-
nella p.a. – Lo scenario della formazione nel tette marine della Sardegna
sistema delle autonomie locali (giugno 2003)
(maggio 2001)
15. Le Agenzie di sviluppo al Centro Nord – Stra-
2. La riforma del welfare e le nuove competen- tegie di rete e comunità professionali
ze delle amministrazioni regionali e locali (giugno 2003)
(giugno 2001)
3. Patti territoriali e Agenzie di sviluppo 16. Contabilità ambientale negli Enti locali
(giugno 2001) (giugno 2003)
4. Il ruolo delle Agenzie locali nello sviluppo ter- 17. Le Agende 21 Locali
ritoriale (giugno 2003)
(luglio 2001)
18. Integrazione dell’offerta formativa – Normati-
5. Comuni e imprese – 56 esperienze di Spor- va regionale
tello unico
(luglio 2003)
(ottobre 2001)
6. Progetto Officina – Sviluppo locale e eccel- 19. Piani di azione e politiche di innovazione – Il
lenza professionale caso dello Sportello unico
(febbraio 2002) (dicembre 2003)
7. Quinto rapporto nazionale sulla formazione 20. Le autonomie locali nelle Regioni a Statuto
nella p.a. - Lo scenario della formazione nel speciale e nelle Province autonome
sistema delle autonomie locali (marzo 2004)
(maggio 2002)
21. La pubblica amministrazione e il sistema del-
8. Lezioni sul nuovo ordinamento amministrati- le imprese – Rapporto di ricerca
vo italiano (marzo 2004)
(ottobre 2002)
22. La comunicazione pubblica – Linee operative
9. Le Province nell’attuazione del Piano di (giugno 2004)
e-government
(novembre 2002) 23. La semplificazione amministrativa nelle Regioni
(giugno 2004)
10. Integrazione dell’offerta formativa – La nor-
mativa nazionale 24. Settimo rapporto nazionale sulla formazione
(aprile 2003) nella p.a. – Lo scenario della formazione nel
11. Sesto rapporto nazionale sulla formazione sistema delle autonomie locali
nella p.a. – Lo scenario della formazione nel (luglio 2004)
sistema delle autonomie locali
25. La formazione nella p.a. che cambia – L’e-
(maggio 2003)
sperienza del Ministero dell’Ambiente
12. L’amministrazione liberale – Appunti di lavoro (luglio 2004)
(giugno 2003)
26. L’attrattività dei territori nelle politiche di inter-
13. La valorizzazione sostenibile della montagna nazionalizzazione
(giugno 2003) (ottobre 2004)
27. La governance dell’internazionalizzazione 44. Sostenibilità urbana e decentramento – La
produttiva – Il laboratorio Rete dei Municipi di Roma per Agenda 21
(ottobre 2004) Locale
(febbraio 2006)
28. La governance dell’internazionalizzazione
produttiva – L’osservatorio 45. Scenari e tendenze della formazione pub-
(ottobre 2004) blica
(marzo 2006)
29. La comunicazione interna nella p.a. regio-
138 nale e locale 46. I livelli essenziali delle prestazioni – Questioni
(novembre 2004) preliminari e ipotesi di definizione
(giugno 2006)
30. La public governance in Europa (7 voll.)
(dicembre 2004)
47. Nono rapporto nazionale sulla formazione
31. Nuovi soggetti della governance esterna nella p.a. – Lo scenario della formazione nel
(dicembre 2004) sistema delle autonomie locali
(luglio 2006)
32. L’analisi di impatto della regolazione in dieci
Paesi dell’Unione europea 48. L’amministrazione per sportelli
(gennaio 2005) (ottobre 2006)
33. Le risorse culturali – Studi di fattibilità ed 49. I confronti di performance tra Comuni come
esperienze di gestione strumento di apprendimento
(gennaio 2005) (ottobre 2006)
34. Scenari per il ‘buon governo’ delle Regioni 50. La semplificazione tra Stato, Regioni e Auto-
(aprile 2005) nomie locali – Il caso della legge 241
(novembre 2006)
35. Qualità nei Servizi per l’Impiego – Sistemi
locali e nuovi strumenti di rilevazione
51. Note e commenti sul sistema amministrativo
(aprile 2005)
italiano in contesto internazionale. 2006
36. Ottavo rapporto nazionale sulla formazione (3 voll.)
nella p.a. – Lo scenario della formazione nel (dicembre 2006)
sistema delle autonomie locali
(luglio 2005) 5 2 . La finanza innovativa negli Enti locali – Un’in-
dagine sugli strumenti
37. L’empowerment degli Sportelli unici (gennaio 2007)
(settembre 2005)
5 3 . Le risorse umane nelle pubbliche ammini-
38. Note e commenti sul sistema amministrativo strazioni – Vincoli e opportunità
italiano – 2004 (3 voll.) (febbraio 2007)
(ottobre 2005)
5 4 . La comunicazione istituzionale e la gestione
39. Autonomia tributaria e federalismo fiscale delle risorse umane
(novembre 2005) (marzo 2007)
40. Nuovi profili di accountability nelle p.a. (2 5 5 . La programmazione comunitaria 2007-2013
voll.) negli Enti locali del Mezzogiorno
(novembre 2005) (marzo 2007)
41. Il governo della salute – Regionalismi e diritti
di cittadinanza 5 6 . Archeologia, turismo e spettacolo
(dicembre 2005) (marzo 2007)
42. Autonomia regionale e unità della Repub- 5 7 . I sistemi di governance dei servizi sanitari
blica regionali
(dicembre 2005) (aprile 2007)
43. La contrattazione integrativa nei comparti 5 8 . Le relazioni sindacali nel pubblico impiego
della p.a. – Quadriennio 2001/2004 in Europa
(febbraio 2006) (aprile 2007)
Strumenti
1. Il contenzioso nel lavoro pubblico 16. Il sistema normativo della Protezione civile
(maggio 2001) (novembre 2003)
2. Modello e strumenti di valutazione e monito- 17. Il ruolo delle Province in materia di viabilità
raggio dei corsi RIPAM (febbraio 2004)
(luglio 2001)
18. Investimenti pubblici e processo decisionale 139
3. Appunti di programmazione, bilancio e con- (maggio 2004)
tabilità per gli Enti locali 19. Manuale per il responsabile dello Sportello
(gennaio 2002) unico – Regione Campania
(maggio 2004)
4. Project Cycle Management – Manuale per
la formazione 20. Manuale per il responsabile dello Sportello
(marzo 2002) unico – Regione del Veneto
(luglio 2004)
5. Il governo elettronico – Rassegna nazionale
e internazionale 21. Il contratto di servizio – Elementi per la reda-
(marzo 2002) zione e la gestione
(luglio 2004)
6. Il governo delle aree protette
(aprile 2002) 22. Guida alla progettazione dell’offerta formati-
va integrata
7. Il contenzioso nel lavoro pubblico – L’arbi- (luglio 2004)
trato
(aprile 2002) 23. Programmazione e gestione della formazio-
ne – Il sistema Informal
8. Common Assessment Framework – Uno stru- (novembre 2004)
mento di autovalutazione per le pubbliche
amministrazioni 24. Manuale per il responsabile dello Sportello
(giugno 2002) unico – Regione Piemonte
(dicembre 2004)
9. Il controllo di gestione negli Enti locali
(luglio 2002) 25. La governance locale – Linee guida per i
Comuni
10. Comunità di pratiche, di apprendimento e (agosto 2005)
professionali – Una metodologia per la pro-
gettazione 26. Il lavoro coordinato e continuativo nella p.a.
(dicembre 2002) – Linee guida
(settembre 2005)
11. Modello e strumenti web based di valutazio-
ne e monitoraggio dei corsi RIPAM 27. La finanza di progetto – Esperienze a confronto
(marzo 2003) (ottobre 2005)
12. L’impresa artigiana e lo Sportello unico per 28. La governance locale – Linee guida per le
le attività produttive Province
(marzo 2003) (novembre 2005)
13. Programmazione e realizzazione di progetti 29. La governance locale – Linee guida per le
pubblici locali – Un sistema di monitoraggio Comunità montane
degli interventi (dicembre 2005)
(giugno 2003)
30. Le garanzie nel sistema locale delle comuni-
14. Manuale per il responsabile dello Sportello cazioni: le deleghe ai Co.Re.Com. – Linee
unico – Regione Lombardia guida per le materie delegate
(giugno 2003) (dicembre 2005)
15. Manuale per il responsabile dello Sportello 31. Manuale per il responsabile dello Sportello
unico – Regione Emilia-Romagna unico – Regione Lazio
(settembre 2003) (dicembre 2005)
32. Le misure del cambiamento nella p.a. – Indi- 34. Scenari della riforma dell’Unione europea
catori di performance (dicembre 2006)
(febbraio 2006)
35. Costruzione e uso di un modello di compe-
33. La governance locale – Strumenti e buone tenze - Il caso Agenzia delle Entrate
pratiche (3 voll.) (febbraio 2007)
(maggio 2006)
1. Sportello unico e servizi alle imprese – Le 15. L’esperienza dei PIT – Studi di caso
azioni delle Regioni (aprile 2004)
(novembre 2002)
16. La formazione continua nella p.a. – L’ap-
2. L’impatto economico dello Sportello unico proccio integrato di Gymnasium
(novembre 2002) (aprile 2004)
3. Scambio di innovazioni tra amministrazioni 17. Lavoro pubblico e flessibilità – Manuale ope-
(aprile 2003) rativo
(maggio 2004)
4. Il Bilancio di Competenze – Una proposta
per la pubblica amministrazione 18. Gestione delle procedure telematiche di
(giugno 2003) acquisto nelle p.a. – Linee guida sul market-
place
5. Progetti integrati e sviluppo territoriale – (maggio 2004)
Regioni Obiettivo 1
(luglio 2003) 19. Sistemi informativi per i Progetti Integrati Terri-
toriali
6. L’attuazione della riforma del welfare locale (luglio 2004)
(2 voll.)
(agosto 2003) 20. Percorsi evolutivi dei Piani Sociali di Zona –
Analisi di sfondo
7. Le politiche di incentivazione del personale (novembre 2004)
nella p.a.
(agosto 2003) 21. Riforma del welfare e gestione dei servizi socia-
li – Quadro normativo e strumenti di lavoro
8. Lo sviluppo delle risorse umane – Casi di (dicembre 2004)
sistemi premianti
(agosto 2003) 22. Lo sviluppo dei sistemi turistici locali – Regio-
ni Obiettivo 1
9. Lo Sportello unico e le politiche regionali per (dicembre 2004)
le imprese
(dicembre 2003) 23. Gli osservatori provinciali sociali
(febbraio 2005)
10. Modelli di gestione per i Progetti Integrati Ter-
ritoriali 24. Strategie di utilizzo del marketplace nelle
(dicembre 2003) amministrazioni pubbliche
(marzo 2005)
11. Governance e sviluppo territoriale
(dicembre 2003) 25. Sviluppo territoriale, Agenzie e pubblica
amministrazione – Interpretazioni e pratiche
12. Le competenze delle Agenzie di sviluppo – innovative
Sperimentazione in Calabria e Sardegna (maggio 2005)
(dicembre 2003)
26. La programmazione sanitaria – Metodologie
13. Il partenariato socioeconomico nei Progetti e strumenti di valutazione per le Regioni e le
Integrati Territoriali Aziende Sanitarie
(dicembre 2003) (giugno 2005)
14. Apprendimento e cambiamento organizzati- 27. Dai sistemi di qualità alla qualità di sistema –
vo nella p.a. – Tre casi europei a confronto La domanda-offerta di formazione per la p.a.
(aprile 2004) (dicembre 2006)
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