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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

MILANO

VIVIAN MELLO
MATRICOLA:3810280
Tutor: Michele Aglieri.

IL LAVORO INTERCULTURALE CON I MINORI


STRANIERI DEVIANTI “MESSA ALLA PROVA”:
ASPETTI CONTESTUALI E PROPOSTA DI INTERVENTO

MASTER FORMAZIONE INTERCULTURALE


a.a.2009/2010

Novembre
2010
INDICE

ABSTRACT ........................................................................................................ 3

INTRODUZIONE...................................................................................................4

PARTE I: CONTESTUALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO....................................................6

1.1. La “Messa alla prova”: informazionI generalI ...................................................6


1.2. La devianza minorile straniera in Italia e la questione identitaria................. 7
1.2.1. Dati sulla devianza minorile straniera in Italia................................... 8
1.2.2. Le problematiche della devianza minorile straniera in Italia.............9
1.3. La costruzione dell’identità e lo straniero..........................................................11
1.3.1. La questione identitaria in contesti multiculturale e i minori
stranieri..............................................................................................................12
1.3.2. La crise identitaria culturale................................................................ 13

PARTE II: SULL’INTERVENTO EDUCATIVO....................................................................15

2.1. Aspetti interculturale degli interventi con i minori stranieri Messa alla
prova............................................................................................................................16
2.2. Proposta dell’intervento................................................................................ 20
2.3. Metodi e strumenti possibili di lavoro............................................................21
2.3.1. Metodi....................................................................................................22
2.3.2. Strumenti operativi e attività possibilmente utile...............................28
2.3.2.1. Accogliere...............................................................................28
2.3.2.2. Orientare..................................................................................29
2.3.2.3. Rafforzare.................................................................................31
2.4. L’educatore ........................................................................................................32
2.4.1. Aspetti soggettivi e oggettivo dell’atteggiamento
dell’educatore........................................................................................................... 32
2.4.2. Ruolo dell’educatore........................................................................... 35
2.5 Il mediatore linguistico-culturale.........................................................................37

CONCLUSIONE............................................................................................................ 38

BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................. 40
ABSTRACT

Questo elaborato parte di un’esperienza di tirocinio in un centro


interculturale giovanile in cui il contato con dei minori stranieri devianti
inseriti nel programma Messa alla Prova della Giustizia Minorile ha indotto
al desiderio di approfondire le conoscenze sul lavoro interculturale
sviluppato con questo pubblico oltre che trovare delle direttive che
potessero servire per guidare gli interventi a loro applicabili.

In questo contesto, si ha cercato di capire la dimensione del fattore


culturale dentro del fenomeno della devianza minorile straniera per
comprendere i nodi culurali che dovrebbero essere sviluppati con i
minori sopracitati.

Perciò, oltre la consulta bibliografica pertinente all’argomento sono stati


intervistati tre professionisti dell’educazione che quotidianamente
lavorano insieme ai minori stranieri Messa alla prova, e così sono stati
individuati aspetti, metodi e attività concernenti a questo lavoro.

Il prodotto finale ha permesso di comprendere che il fattore culturale è


un elemento rafforzativo ma non determinante nel fenomeno della
devianza minorile straniera, e che in verità essa è basicamente una
maniera per cui i minori esteriorizzano le proprie debolezze, poichè
quello che hanno bisogno è di sentirsi riconosciuti, rispettati e valorizzati,
in tutte le dimensioni della sua identità: personale, sociale e culturale.

Si è concluso che per evitare che questi minori assumano


comportamenti devianti è necessario applicare un intervento che
deculturalizzi l’azione, dando il valore giusto al fattore culturale e
cercando di dare al minore un’opportunità di sentirsi riconosciuto e
valorizzato dentro la sua diversità. In questo modo si favorirà la
ricostruzione e il rafforzamento dell’autostima del giovane,
contribuendo, pertanto, alla ricostruzione della sua propria identità.

3
INTRODUZIONE

Questo elaborato parte di un desiderio nato dopo un tirocinio formativo per il


Master di Formazione interculturale, dove il contato con i minori stranieri e
italiani devianti ha indotto alla voglia di approfondire e apprimorare
conoscenze teoriche e pratiche sul lavoro con questo pubblico.La
particolarità del presente lavora avviene perchè questi minori stranieri fanno
parte di un programma rieducativo della Giustizia Minorile, denominato “La
Messa Alla prova”.

Tale programma si tratta, infatti, di un’innovazione introdotta dalla reforma


processuale di 1998 (22 settembre, 1998, d.p.r 448) stabilita a favore dei
minorenne, e comprende una modalità giuridica dove il giudice offre al minore
l’opportunità di uscira del circuito penale rapidamente dopo che questi si
sottopone a una serie di prescrizioni il cui adempimento permetterà l’estinzione
del reato.

Per avviare il presente studio, oltre la consultazione alla bibliografia pertinente,


sono stati ascoltati 3 professionista che esecutano un lavoro con questo stesso
pubblico: il primo è Bruno Costa, educatore per molti anni del Carcere Minorile
di Torino “Ferrante Aporti” e oggi Responsabile dell’area del Servizio Tecnico
del Centro Di Giustizia Minorile di Piemonte e Valle D’Aosta; il secondo è
Riccardo Agostino educatore nell’associazione ASAI – Associazione degli
Animatori Interculturale di Torino, che oltre anni di lavoro con l’educazione
informale del minore stranieri, diversi casi di lavoro con i minori Messa alla
prova, coordena un progetto chiamato Giovani al Centro nel Centro
Interculturale di Torino e per ultimo, Mimma Bodda, educatrice anche lei che
per molti hanno ha organizzato le attività che si sviluppavano dentro del
Carcere Minorile di Torino “Ferranti Aporti” e che oggi è l’unica responsabile
nella comune di Torino e insieme alle assistente sociale dell’Uffico Minore di
Torino, a fare l’inserimento dei minori negli enti e nelle associazione con cui essi
devono collaborare come parte parte del loro nuovo progetto di vita e
reinserimento social. Oltre questo è sono stata anche utilizzata l’esperienza del
tirocinio che ha permesso il contatto con 10 minori stranieri “Messa alla prova”.

Il presente documento, pertanto, ha l’obiettivo di fornire una proposta di


intervento applicabile al lavoro con i minori stranieri “Messa alla prova” dagli
enti e dalle associazioni in cui essi sono inseriti nell’intenzione di fargli
collaborare e sviluppare un’attività di utilità sociale, seguendo gli obiettivi
proposti per questa misura giuridica e descritti nella prossima sezione. In questo
ambito, per facilitare la comprensione del testo si ha scelto di utilizzare il
termine “organizzazione” per indicata siano gli enti che le associazioni.

Tenendo conto di questa proposta, il presente lavoro si struttura in due parte.


Nella Parte I, denominata “Contestualizzazione dell’intervento” si fornisce un
quadro di informazione e riflessionale sulla Messa alla prova, sulla devianza
minorile straniera in Italia e sulla questione identitaria, principalmente in quello
che riguarda lo straniero, per dare al lettore la possibilità di contestualizzare l’
intervento oltre che munire il professionista interessato di informazione che
saranno utile per adattare l’intervento proposto nella seconda parte di questo

4
documento. Essa, denominata “ Sull’intervento educativo” si dedica a
proporre, spiegare e orientare il professionista nell’applicazione dell’intervento
proposto, perciò presenta aspetti importante che devono essere considerati
durante il lavoro con i minori stranieri oltre che metodi, strumenti e attività
adeguati alla proposta della Messa alla prova. In questa seconda parte, si ha
dedicato due sezione ad una riflessione sul ruolo dell’educatore e del
mediatore linguistico-culturale dentro dell’intervento proposto.

Pertanto, questo documento cerca di dare informazioni e fornire una proposta


di lavoro con i giovani immigrati “Messa alla prova” considerando la
dimensione interculturale di questa attività che tocca la questione identittaria
del minore straniero e porta una serie di aspetti particolare al lavoro dei
professionisti di educazione, tenendo conto che l’educatore nel presente
contesto multiculturale ha un importante compito di collaborare con i propri
educandi affinchè essi riescono a portare avanti un progetto positivo di vita,
sottolineato di un’identità strutturata e rafforzata di una grande autostima.

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PARTE I: CONTESTUALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO

1.1. La “Messa alla prova”: informazionI generalI

La Messa alla prova, come già detto nell’introduzione, si tratta di una misura
giuridica a favore del minore che gli offre l’opportunità di avere cancellato
della giustizio penale il suo processo in cambio di una vera trasformazione di
vita e di comportamento.

Questa misura ha due finalità specifiche: una rieducativa e una salvarguadista.


Rieducativa perchè permette al minore aderire ad un programma di crescita,
cambiamento e reinserimento sociale. Salvaguardista perchè offre al minore
l’assistenza e gli strumenti rieducativi necessari per evitare traumi irreparabili
avvenuti nella attività processuali.

Queste due finalità riguardano il proprio sguardo che la legge ha sul minore,
cioè di un essere umano in fase evolutiva la quale identità sta in processo di
costruzione. Basata sul questo sguardo, la “Messa alla prova” propone al
giovane di assoggetarsi ad un percoso rieducativo che regolarizze i suoi
comportamenti e gli fornisca una nuova prospettiva di vita.

La scelta del giudice per l’applicazione di questa misura è guidata dalla


valutazione della gravità penale del reato, dell’età del giovane ( che nel
momento del reato deve essere minorenne) e delle caratteristiche personale
che questo minore presenta e che faciliterebbero il suo reinserimento sociale.

Per i giovani stranieri, avere l’opportunità di partecipare di una “Messa alla


prova” è veramente un grande vantaggio, poichè essa è una delle poche
misure giuridiche a loro accessibile. Questo perchè spesso i minori stranieri
hanno un quadro familiare, sociale e personale che non consenti l’accesso a
tale misura e gli costringe ad assoggettarsi alle pene detentive e altre misure
cautelari.

Il nuovo percorso di vita che il minore inserito nella “Messa alla prova’ deve
percorrere se constitui in un vero progetto rieducativo con una serie di
passaggi obbligatori che mirano soddisfare i bisogni educativi del giovane,
portarlo ad un cambiamento di vita e garantire che egli:

1) Scopra realisticamente sé stesso, la società, gli ideali ed i valori per i


quali valga la pena vivere;
2) Accette la propria persona e il proprio corpo;
3) Construisca un rapporto corretto e significativo con gli adulti;
4) Impare a responsabilizzarsi nelle relazioni con i coetanei;
5) Sia inserito e collabore in gruppi di attività;
6) Sia educato all’educazione alla progettualità, al ritmo e alla verifica del
lavoro;
7) Mire le sue azioni alla costruzione dell’autonomia e dell’independenza in
ogni attività ed in ogni impegno.

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La responsabilità sulla modalità di inserimento di questi elementi nel progetto di
vita del minore “Messa alla prova” sta a carico degli operatori dei servizi minorili
che cercano di inserire questi giovani nelle attività più adeguate alle esigenze
di ogni singoli caso, garantendo il recupero e il reinserimento sociale del
minore.

Oltre questi passaggi il percorso della Messa alla prova prevede il


coinvolgimento di diverse figure della rete sociale del minore, poichè si ritiene
che la reabilitazione di un giovani avvenga più facilmente in un ambiente di
vita quotidiano invece che dentro di un spazio istituzionale, che oltre isolarlo, lo
impoverisce e può stimolarlo negativamente.

Alla base di quella serie di passaggi obbligatori stanno gli obiettivi di insegnare
ai minori la disponibilità al dialogo, alle discussioni di gruppo, a convivere e a
confrontarsi con gli altri, oltre che orientargli all’educazione al lavoro e allo
studio. Questo ultimo elemento, infatti, è molto incentivato nella “Messa alla
prova” e a tal fine gli operatori cercano di inserire il minore in laboratori,
percorsi lavorativi di vari generi, corsi professionali, oltre che offrirgli la possibilità
di collaborare con artigiani, imprenditore, enti e associazioni.

Spesso alcune di questi inserimenti sono predeterminati genericamente dal


giudice, che specifica agli operatori dei servizi minorile e al minore i tipi di
attività che dovranno essere sviluppate dentro del progetto rieducativo, un
esempio, sarebbe la richiesta del giudice di inserire il minore in contesti in cui
questo si metta in contatto con la sofferenza. In questi casi, gli operatori
cercano di inserire il minore negli enti e nelle associazioni che lavorano con un
pubblico disagiato, sia per malattia, disabilità fisica o mentale, o ancora
svantaggio sociale.

L’idea generale della “Messa alla prova” è, pertanto, segnalare i confini tra la
legalità e l’illegalità al minore oltre che dargli l’opportunità di conoscere un
altro stilo di vita e una nuova opportunità di riparare il danno che ha causato e
conscientizzarsi della sua scorrettezza.

Secondo la raccolta bibliografica usata in questo elaborato, anche se molti


giovani non capiscono e non comprendono il senso di questa misura giuridica
e la sua finalità rieducativa, l’utilizzo della “ Messa alla prova” ha permesso a
molti minori stranieri l’uscita dal circuito penale, favorendo l’avvio di un
percorso di integrazione.

1.2. La devianza minorile straniera in Italia e la questione identitaria.

Molto spesso le persone quando sentono parlare di devianza minorile straniera


affermano che la ragione per cui un minore straniero commette un reato
nasce da una crise identitaria, però gli studi dimostrano che il fattore culturale
nella devianza minorile è soltanto un aggravante, ma non un determinante.

Per spiegare questo punto, si propone la presente sezione che precisarà alcuni
punti sulla relazione tra devianza minorile ed identità culturale Saranno, perciò,

7
presentate sinteticamente informazione sul fenomeno della devianza minorile
tra i minori stranieri in Italia e sulle problematiche sociale e culturale che gli
influenziano, oltre che chiarire il concetto di identità culturale e conflitto
identitaria in quanto quello che riguarda essi pubblico.

In questo modo si augura che il professionista di educazione sia capace di


conferire al fatore culturale la meritevole importanza senza però dimenticarsi
di altri importante aspetti personali e contestuale che devono essere
considerati nel confronto con i minori stranieri devianti .

1.2.1. Dati sulla devianza minorile straniera in Italia.

Secondo il “Primo Rapporto sulla Devianza Minorile in Italia”(dicembre di 2008),


nell’anno di 2006 i minori che più hanno commesso dei reati, sia italiani che
stranieri, erano quelle nelle fascie di età tra i 16 e 18 anni, in maggioranza
maschi.

Questo rapporto afferma che nel 2006 i minore denunciati in Italia erano 72%
dall’Europa, 20 % dall’Africa, 3% dall’Asia, 5% dall’America e 0% dell’Oceania,
e che dal periodo dal 2001 al 2006 i principali paesi di provenienza di questi
minori erano Servia, Marocco, Albania, Romania, Croazia, Algeria, Bosnia e
Germania.
La predominanza dei minori proveniente dell’Europa dell’Est, principalmente
Romania, è constante e si dà in raggione del grande flusso immigratorio della
popolazione rumena verso l’Italia negli ultimi anni.

Secondo ancora questo rapporto, nell’anno di 2006, 50% dei reati dei
minorenni erano contro il patrimonio, e 29% contro la persona.

Le informazioni dell’anno di 2006 dimostrano che tra gli stranieri i reati più
frequenti sono quelli legati al patrimonio ( 64% dei casi), invece i reati contra la
persona comprendono solo 16%, situazione inversa alla degli italiani, che
presentano 45% di reati contro il patrimonio e 34% contro la persona. I crimini
contro il patrimonio più frequenti sono le rapine e i furti, che causano forte
allarme sociale. Già i crimini contro la persona più frequenti sono le lesioni
volontarie e la violenza privata ( minaccia).

Le regioni italiane che presentano un gran numero di reati di minorenni sono il


Nord Ovest con 26% e il Sud con 23%. Nel Nord Ovest nell’anno di 2006, 57%
dei reati denunciati erano stati causati dagli italiani e 43% dagli stranieri, già al
Sud il numero degli italiani denunciati cresce, raggiungendo 92% di Italiani
contro 8% di stranieri.

La concentrazione della deliquenza minorile straniera al Nord dell’Italia se


relaziona con il gran numero di stranieri ospitati nei grandi centri urbani trovati
in questa parte del paese, per esempio, Milano e Torino.

8
1.2.2. Le problematiche della devianza minorile straniera in Italia

La devianza minorile straniera in Italia presenta le sue origine in una


probematica appartenente a due dimensioni diverse: una sociale e una
culturale.

La dimensione sociale comprende un quadro di grande svantaggio socio-


economico presente anche nel fenomeno della devianza minorile italiana e
caratterizzato dai seguenti aspetti:
1. frequente situazione di povertà o di insufficienza di risorse economiche
vissuta dalle famiglie di immigrati;
2. difficoltà di accesso al lavoro e allo studio;
3. presenza di problemi di uso di stupefacenti e alcoolismo tra i membri
della famiglia;
4. domicilio in aree urbane periferiche e disagiate;
5. presenza di contesto intrafamiliare violento;
6. assenza di una figura adulta di riferimento.

La dimensione culturale comprende i diversi elementi esistente nel confronto


tra soggetti di culture diverse che difficoltano l’adattamento dei minori stranieri
alla realtà e alla cultura del paese che abitano, il cui contesto culturale è
diverso da quello di appartenenza e da quello coltivato dentro dell’ambiente
familiare. Questo tipo di disaggio comprende, pertanto, una difficoltà ad
elaborare gli influssi che vengono dalla famiglia e dalla comunità di
appartenenza, da un lato, e quelli che invece vengono dalla scuola, dai
coetanei italiani e dalle istituzioni italiane, dall’altro.

Infatti questa dimensione ha un peso molto grande per i minori stranieri, tanto
quelli nati in Italia da genitori immigrati quanto quelli ricongiunti. Essi devono
crescere tra due culture di riferimento, revedere le proprie relazione con i
genitore, con i pari e con la società, oltre che sapere gestire i diversi flussi
culturale, spesso contraditori, che ricevo dalla famiglia e della società. Questo
gli può portare un disagio psicologico, principalmente a partire dalla prima
adolescenza, quando cominciano a confrontarsi con la sfida della costruzione
della propria identità.

Questo disagio psicologico sopracitato può manisfestarsi in diversi modi:


1. tramite la chiusura, che può creare l’isolamento del minore;
2. tramite un conflitto aperto con i genitori e la comunità di origine;
3. tramite disturbi di cartattere psichico,
4. tramite lo scivolamento nella devianza.

Oltre queste due dimensioni, la devianza accoglie la problematica


adolescenziale caratterizzata da un rapporto non sempre positivo con i genitori
che si manifesta di diverse maniere che vanno dagli atteggiamenti rigidi e
basati sulla paura e la disciplina, passando per una complicità assoluta e
pericolora al senso di responsabilità del minore, fin arrivano alla situazione di
totale assenza di una figura adulta di riferimento, con rapporti affettivi distanti
e senza nessuna influenza negli atteggiamenti dei minori.

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Infatti, l’assenza di una figura di riferimento adulta e positiva che afferme
positivamente l’identità del minore, lo porterà a cercare altre maniere di farlo,
e le alternative sono:
1. Avere l’intelligenza;
2. avere un alto rendimento scolastico;
3. avere la bellezza;
4. stare in possesso di denaro o di oggetti status symbol;
5. essere disponibile ad assumere rischi.

Come si può notare, le due ultime alternative sono quelle che portarebbero più
facilmente ai atti devianti, come furti, rapine, violenza tra gruppi.

In questo senso, in termine generale, si può affermare che il scivolamento nella


devianza, anche chiamato microcriminalità, appare genericamente tra gli
adolescenti come un modo di far fronte ad un’immagine negativa di sé oltre
che ad una necessità di autoaffermarsi e sentirsi riconosciuti per gli altri.

A questo si aggiungono ancora il desiderio di essere uguale ai coetanei,


principalmente a livello materiali, e spesso al desiderio di attirare l’attenzione
dei genitori nei loro confronti, visto che essi lavorano molto e non riescono a
seguirli come dovrebbero.

La devianza minorile nelle modalità sopracitate in alcuni casi viene seguita


dagli episodi di violenza, che in questi casi viene usata come:
1. una chiave per un’affermazione di forza e per stabilire i ruoli in
gruppo;
2. un strumento che garantisca attenzione ed interesse dai coetani;
3. un strumento di compenso delle proprie debolezze;
4. un rafforzativo dei vincoli di appartenenza e di solidarietà tra i gruppi
di coetane;
5. un strumento che garantisca riconoscibilità e potere.

Tutte questi elementi influenziano l’esistenza di comportamenti devianti tra


minori stranieri, ma come si può valutare, la questione culturale non è
determinante in questo fenomeno. Il fatto è che per un minore stranieri
appartenere ad un altra cultura o essere riconosciuti negativamente come
diverso aumenta lo stato di conflittuali e ansia per approvazione, e
diventandolo suscetibile ad assumere quello tipo di comportamento.

In questo senso, contribuire per la costruzione dell’identità e per il suo


rafforzamento positiva tra i minore stranieri “Messa alla prova” riduce il rischio
di un nuovo scivolamento verso la devianza.

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1.3. La costruzione dell’identità e lo straniero.

In questa parte si usa il concetto di identità come l’insieme di caratteristiche


comportamentale, psicologiche, culturale e religiose interiorizzate da ogni
soggetto e che lo distinguono delle altre persone. L’identità nasce di un
processo di negoziazione interno fatto da ogni soggetto e definisce i modi con
cui questo si relaziona con sé stesso e col mondo che lo cerca.

Nella formazione dell’identità concorrono sia fattori soggettivi ( fattore


psicologiche per esempio) che fattori oggettivi ( contesto sociale e culturale,
per esempio), perciò il suo studio nelle diverse scienze ha individuato tre tipi di
identità distinte: identità sociale, identità personale e identità culurale.

L’identità personale include le competenze individuali, i talenti e altre capacità


che l’individuo riconosce in se stesso.

Già l’identità sociale è definita come la parte dell’immagine di sé che deriva


dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo, unita agli aspetti
motivazionali e valoriali legati a questa appartenenza. Include, pertanto,
quella parte del concetto di Sé, che deriva dalla conoscenza di essere
membro di un gruppo sociale, e si riferisce a come l’individuo vede questo
gruppo e quale le influenze che esso ha su i suoi comportamenti. Il processo
d’identità sociale comporta però anche un effetto negativo perchè spesso
porta l’individuo a considerare negativamente quelli che sono fuori del suo
gruppo.

L’identità culturale, invece, si riferisce all’insieme di caratteristiche culturale ed


etniche cha hanno rilevanza personale per gli individui e attraverso le quale
essi si riconoscono come appartenente a determinato gruppo etnico e
culturale. L’identità culturale esiste solo quando l’individuo riconosce e esplora
la propria etnicità e la sua cultura.

In questo senso, il contatto con le problematiche legate alla propria cultura


attraverso le letture, le richieste di informazioni, la partecipazione ad eventi e
tra altre modalità di partecipazione culturale, permettono ad ogni soggetto
una comprensione di ciò che può significare essere membro di un gruppo
culurale e quale l’importanza che esso occupa dentro della propria identità.

L’identità culturale, allo stesso modo che quella sociale, sta in constante
mutazione ed evoluzione, principalmente negli ambiente multiculturale, dove
riceve stimoli dall’esterno che influenziano la sua costruzione che avviene
all’interno di ogni soggetto. Questo dimonstra che la formazione dell’identità
di un soggetto dipendente in gran parte del contatto sociale che questo
stabilisce nella società a cui appartienete como cittadino.

In questo senso, in qualunque dimensione dell’identità, si deve sempre


considerare l’esistenza di uno spazio di relazione dove esista il confronto
quotidiano con gli altri. L’identità è pertanto, la separazione dall’altro, ma è
anche indifferenziazione, perchè l’altro è indispensabile per alla sua esistenza.

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1.3.1. La questione identitaria in contesti multiculturale e i minori stranieri.

In un contesto multiculturale l’individuo in ragione della pluralità


d’identificazione fornita dell’ambiente diventa difficile gestire la costruzione
della propria identità.

Per far esso, lo straniero mette in atto strategie di negoziazione delle proprie e
altrui differenze, cercando di trovare una forma di autocollocazione della sua
identità culturale tra i modelli culturale presentati nella realtà in cui vive.

Nei casi dei bambini e adolescenti, questo processo di gestione è ancora più
complesso, perchè normalmente essi non hanno ancora degli strumenti
psicologici e personale che gli aiutino ad equilibrare e organizzare tutti gli
stimoli dell’ambiente, oltre che stare in una fase evolutiva già abbastanza
confusa in ragione di cambiamente fisiologici.

L’identificazione con un gruppo di culturale avviene comumente intorno ai


nove anni di età quando i bambini hanno la percezione di possedere le stesse
caratteristiche psicologiche, fisiche e sociale possedute da altre membri di un
determinato gruppo.

Per questo, è molto comune che bambini arrivati molti piccoli in Italia o nati in
territorio Italiano da genitori immigrati si identifichino di più con i coetanei
italiani e presentino meno conflittualità culturale, principalmente se i propri
genitore hanno un rapporto positivo già stabilito con questo paese di
accoglienza.

Già nel caso dei minori raggiunti nella fase adolescenziale, il processo di
identificazione è più complesso e può succedere in tre maniere:
1. rifiuto della cultura di origine, che avviene di una valutazione negativa
fatta attraverso gli criteri culturali dalla cultura dominante;
2. processo di distinzione, dove l’immigrato cerca di rimanere con l’identità
culturale che possiedeva ma ancora cerca l’approvazione sociale dalla
cultura dominante, ossia, cerca di essere diverso ma accetto
socialmente;
3. e l’identità per difesa che si riferisce al processo dove lo straniero si
rifugia nel gruppo di appartenenza per sfuggire alla discriminazione,
seguendo un processo che consiste nel riaffermare e accentuare i propri
modelli culturali.

In questo senso, la seconda generazione di immigrati, vive in un contesto di


formazione identitaria diverso e più complesso da quello degli adolescenti
italian.

In generale, questi giovani stranieri hanno un sistema di aspettativa diverso dai


genitori e tendono ad non accetare l’integrazione subalterna riservata ad essi;
molti, infatti, cercano nello studio un modo di raggiungere un lavoro dignitoso.
Oltre questo, i minori stranieri seconda generazione normalmente presentano
problemi in ambito familiare, dove gli scontri generazionali, tipici

12
dell’adolescenza, sono aggravati dallo scontro culturale tra genitori e figli e da
una condizione socio-economica spesso difficile.

In questo modo, si valuta che i minori stranieri bisognano di un’atenzione


speciale in ragione della loro complessa problematica identitaria. Essi devono
avere l’accompagnamento di un adulto che gli dia una direzione positiva nel
processo di costruzione dell’identità, non rischiando l’emersione di
comportamenti devianti, come già spiegato anteriormente in questo testo.

1.3.2. La crise identitaria culturale

Come visto sopra, le seconde generazioni di immigrati, hanno un quadro di


formazione della propria identità molto complesso, che deve essere
correttamente gestito per non rischiare un scivolamento nella devianza.

Gli immigrati adulti, in termini generali, non si percepiscono come possedori di


un’identità mista, invece si guardano semplicemente come immigrati senza
considerare lo scambio tra la loro cultura e la cultura del paese di accoglienza
che avviene quotidianamente nel contatto sociale.

Già nel caso dei bambini e adolescenti la percezione su sé stesso è meno


chiara. Questo perchè l’esperienza migratoria può portare una serie di
esperienze traumatiche, legate ai vissuti di abbandono, di separazione e di
incertezza che delineano una situazione interna caotica che espone
l’individuo a momenti di crisi identitarie, tanto sociale come culturale.

Queste crisi identitarie possono essere categorizzate come sociale quando


avvengono in situazione concrette del quotidiano dove l’identità sociale
conferita agli immigrati è negativa e non fa riferimento al ruolo sociale che essi
desideravano occupare nella nuova società. Dell’altra parte, si categorizza
come una crise identitaria culturale le situazione in cui l’immigrato non riesce a
gestire internamente tutti i nuovi stimoli culturale, entra in conflitto interno con
sé stesso e inizia ad avere difficoltà di integrazione nella nuova realtà.

Infatti, principalmente nei giovani, la esperienza migratoria provoca molta


l’insicurezza, poichè i suoi comportamenti, credenze, e abitudine tra altri
aspetti sono spesso sottovalutati e la loro identità viene comumente affermata
negativamenti oppure negata.

In questa situazione d’insicurezza, inizia ad imperare l’angoscia, il


disorientamento e la rottura dell’identità che se sta costruendo, espondo il
soggetto all’alternanza di diversi stati d’ansia: ansia legata alla separazione,
alla paura dell’ignoto, alla mancanza dell’oggetto abbandonato, ai sentimenti
di confusione per l’inserimento in una societa che porta un conflitto tra il
bisogno di cambiare la propria identità e la tendenza a preservala.

Questo ambiente di insicurezza è ancora rafforzato per la situazione delle


famiglie di immigrati che normalmente non hanno tempo di dedicarsi ai figli
oppure di orientargli perchè dedicano troppo tempo al lavoro. In questo

13
modo, i giovani si avvicinano dai coetanei e diventano più suscettibile ad
assumere comportamenti devianti.

In questo processo di avvicinamento dai coetanei è comune trovare tra i


giovani una preferenza per la cultura maggiormente accetta ( normalmente
quella dominante), tendenza che tra gli adolescenti è ancora più accentuata
perchè essi stanno in una fase evolutiva dove i pari e la loro accetazione è
essenziale per l’autostima e pertanto per la propria identità.

L’avvicinamento ai gruppi di coetanei è anche un strumento di difesa e


un’alternativa opposta agli atteggiamenti di chiusura. In questa ultima i giovani
si chiudono nei ricordi del passato, nei pensieri, nelle fantasie, nei sogni, come
una maniera di permettere integrità e continuità nel processo di costruzione
della propria identità.

Pertanto, la crise identitaria culturale avviene all’interno del contesto migratorio


quando i cambiamenti e gli stimoli dell’ambiente rendono instabili l’autostima
su cui l’identità dell’immigrato si struttura, perchè essi non riesce a gestirli. Il
minore, quando è inserito in un contesto socio-economico svantaggiato, senza
una figura adulta di riferimento, ha sua situazione conflittuale aggravata e
diventa più suscettibile ad assumere comportamenti devianti.

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PARTE II: SULL’INTERVENTO EDUCATIVO

La proposta di intervento educativo sviluppata in questa parte non tiene conto


degli aspetti legali e giuridici, delle complicazioni e delle contraddizioni trovate
dentro del percorso dei minori stranieri “Messa alla Prova” perchè questo
elaborato possiede un carattere puramente educativo.

In questa parte sono fornite delle informazioni che possono servire


all’educatore per decidere la strategia di lavoro adeguata ad ogni singoli
caso, poichè definire un percorso padronizzato applicabile a tutti le situazioni
aumentarebbe la probabilità di fallimento dell’intervento.

La divisione dei contenuti in questa parte nell’idea di logica progettuale


proposta per Reggio (2007), perciò ognuna delle sezioni che seguono nel testo
si referiscono, sinteticamente, ad ognuna delle fasi progettuali, a sapere:

• definizione della situazione-problema: compreende la sezione 2.1, dove


si ha cercato di fornire informazioni sulle specificità del lavoro con i
minori stranieri “Messa alla prova” e sulle possibili problematiche che
possono presentarsene;
• prefigurazione: compreende la sezione 2.2 che partendo degli scenari
idealizzati per il percorso di ogni minori “Messa alla prova” propone
possibili obiettivi che devono guidare l’intervento. In questa parte sono
anche definite le direttive generali delle possibili tipologie di attività
applicabili all’intervento;
• programmazione: compreende la sezione 2.3 in cui sono elencati
metodi e strumenti di lavori utilizzati o suggeriti per gli operatori intervistati
e per la bibliografia consultata e chi possono essere applicati
all’intervento per raggiungere gli obiettivi educativi definiti nella
prefigurazione.

Nelle altre due sezione presente (2.4 e 2.5) si trovano una breve riflessione sulla
figura dell’educatore e del mediatore linguistico-culturale. Nella sezione
dedicata all’educatore sono fornite direttive generali per quanto riguardo il
comportamento e i ruoli di questo professionale dentro dell’intervento
proposto. Già nella sezione del mediatore linguistico-culturale si ha sviluppato
una breve riflessione sull’importanza della partecipazione di questa figura negli
interventi educativi con i minori stranieri “Messa alla prova”, la quale presenza,
secondo la bibliografia consultata e le interviste raccolte, porta una maggiore
probabilità di successo agli interventi .

15
2.1. Aspetti interculturale degli interventi con i minori stranieri Messa alla prova.

In questa sezione sono fornite informazione sui principali aspetti del lavoro
interculturali con i minori stranieri “Messa alla prova”.

Il primo aspetto è importante da sottolineare che essi minori sono adolescenti


al di là della loro cultura e pertanto hanno bisogni educativi legati
all’adolescenza, che possono essere brevemente sintetizzati in:
- necessità di un interlocutore, genitore o figura adulta sustitutiva;
- necessità di accettazione per il gruppo di pari;
- necessità di inserimento in gruppo di pari.

Pertanto, è necessario che il professionista stia attento per non confundere una
semplice crisi identitaria adolescenziale con una crise identitaria culturale,( già
spiegata nell’ultima sezione della Parte I). È necessario deculturalizzare
l’intervento, togliere le maschere culturali, perchè molti minori stranieri
condividono gli stessi problemi e la stessa realtà che i minori italiani e perciò
non vivono la dimensione “ culturale” del loro problema.

Durante l’adolescenza il minore straniero elabora l’appartenenza ad un


gruppo sociale più ampio della propria famiglia e forma la propria identità
etnica, che molte volte è più vicina ai dei coetani autoctoni che quella della
famiglia, come già detto anteriormente.

Per questa delicata situazione è importante che il sostegno educativo


progettato per i minori stranieri tenga conta la superazione delle seguenti
difficoltà:

- Sentimento d’inferiorità culturale: il confronto con i valori della cultura


del paese di accoglienza porta il minori a relativizzare i valori della
cultura d’origine e a viverli, molte volte negativamente.

- Solitudine: la mancanza di una cultura di riferimento e molte volte


anche un imperfetto bilinguismo portano i minori stranieri a isolarsi,
perchè vivona tra due mondi senza appartenere a nessuno.

- Senso di colpa: la perdita di contatto con la cultura d’origine e la perda


di prescrizioni religiose e culturali importante nel gruppo di appartenenza
possono generare senso di colpa nel minori;

- Crollo dell’autostima a causa dell’insuccesso del processo migratorio: i


minori straniero spesso portano con sé molte aspettative e speranze che
normalmente, in ragione delle poche condizione social favorevole
all’immigrato, non sono concretizzate. Loro non riescono ad avere lo
stile di vita che aspettavano e che gli coetani autoctoni sfruttano e
questo influenza il crollo della loro autostima.Questa, quando scarsa, è
tavolta compensata da atteggiamenti arroganti, spesso accompagnati

16
da sentimenti depressivi, di eccessiva timidezza, chiusura verso l’esterno,
e tendenza all’isolamento.

È anche importante considerare che molte minori sono originati di culture dove
all’infanzia è stata seguita dall’entrata nel mondo adulto e perciò questi non
hanno fatto il passaggio dell’adolescenza, fattore questo che può influenzare
molto nel loro rapporto con gli adulti.

L’altro aspetto che si deve considerare è il fatto che, conforme mostrato nella
Parte I nel presente lavoro, la devianza minorile sta diretamente legata
all’esclusione sociale e ad una situazione economica svantaggiata. Il fattore
culturale, come già visto, appare solo come un rafforzattivo nel contesto della
devianza minorile.

Pertanto, per progettare un intervento con i minori stranieri “Messa alla prova”
è importante valutare il rilievo che il fattore culturale occupa nella
problematica del minore.

Per valutare questo è interessante conoscere come è stato l’adattamento del


minore al sistema educativo, al mondo del lavoro, come sono le sue relazioni di
amicizia e come si costitui la sua rete di inserimento nel paese di accoglienza,
per esempio, gruppi e posti che egli frequente.

Dopo che l’influenza del fattore culturale è stata valutata è importante


considerare anche le seguenti domande:
a) Quali aspetti culturale possono farlo non accetare le proposte
dell’intervento?
b) Quale la situazone di confronto tra la cultura di accoglienza e quella di
appartenenza?
c) Quale il sentimento del ragazzo nel paese di accoglienza?
d) Come è stata la sua traiettoria migratorio?
e) Come è stato il suo processo d’acculturazione e scambi culturali?
f) Lui/Lei Ha un progetto di ritorno per il paese d’origine?

L’item “c” di questo elenco merita attenzione perchè secondo la ricerca


bibliografica esso trasmette la visione che il minore ha del mondo che lo
circonda e influenza il modo come ci interagi. Il fatto che il Paese di
Accoglienza non gli piacia più il desiderio naturale degli adolescenti di rischiarsi
e confrontare il mondo che gli circonda, sono rafforzativi per comportamenti
trasgressivi, e può trovare nella devianza una maniera di differenziarsi e
affermarsi socialmente.

Questo item “c” e l’item “b” ancora aiutano il professionista a comprendere i


possibili comportamenti di chiusura e difesa del minore straniero, che non
essendo sempre predisposto ad aderire agli schemi della società di
accoglienza, può assumere diversi comportamenti, come già spiegato più
dettagliatamente nella Parte I, che posso comprendere atteggiamenti
difensivo fino arrivare a quelli violenti.

All’interno della questione culturale dei minori stranieri è interessante anche


osservare i loro codici culturali, la distanza relazionale che stabiliscono nei

17
rapporti con le persone, la gestualità, la concezione nella cura di sé, la
differenza nel manifestare i sentimenti, e i modelli educativi a cui hanno
riferimento.

Queste informazione, oltre che permettere una conoscenza più approfondita


del minore, permette al professionista di confrontare tale dati con quelli degli
italiani, e in questo modo cercare somiglianze che possono aiutare nella
conduzione dell’intervento. Questo confronto permette al professionista di
creare una proposta educativa che riduca il livello di conflittualità ed esplore
le potenzialità condivisi tra il minore e i suoi coetani attraverso la ricerca delle
somiglianze, dell’ibridazione e della vicinanza.

Molte volte questi minori presentano un conflitto caratterizzato dalla questione


identità/cittadinanza, perchè molti si sentono italiani, ma non hanno diritto alla
cittadinanza; loro si sentono abracciati dalla cultura italiana e hanno perso
tanto il contatto con la cultura dei genitori o quella di origine che per loro non
essere considerati italiani diventa quase un’offensa. Questa situazione è
ancora più frequente nei figli di immigrati nati in Italia.

Il minore straniero, uguale a tutti adolescenti, ha bisogno di un atto di


affermazione che lo definisca positivamente; bisogna in speciale di una
valorizzazione e rispetto del suo mondo e dei suoi modelli, che non sempre
sono uguale a quelli degli italiani.

L’educatore deve ancora considerare che un intervento con un minori


straniero “ Messa alla prova” occupa due dimensioni dell’integrazione:

a) l’integrazione come assimilazione/assorbimento: i minori “Messa alla


prova” devono per forza adattarsi alla Legge Italiana, non permette
modificazioni nella sua struttura legislativa e perciò obbliga tutti a
rispettarla e assimilarla. Oltre questo all’interno delle organizzazione
dove i minori svolgono l’attività di utilità sociale loro sono indirettamente
sottomessi a altri tipi di legge che normalmente vengono come un
regolamento interno aministrattivo. Per forza, loro si devono adattare a
questo, caso contrario il loro progetto di “Messa alla prova” corre rischio
di fallimento.
b) L’integrazione come mescolamento: cioè, i minori in contatto con una
cultura da loro diversa devono cercare di elaborare il mescolamente
culturale e scoprire come contribuire con le loro conoscenze e le loro
capacità allo sviluppo dello spazio dove convivono, creando un legami
di appartenenza con la nuova cultura senza dimenticarsi delle proprie
radici culturale.

Queste dimensione dell’integrazione influenzano il modo con cui il minore vive


l’esperienza della Messa alla prova. Per esempio, i minori che sente nella Messa
alla prova più la dimensione assimilazionista vive l’esperienza come una
punizione e può presentare un atteggiamento molto sottomesso e poco
proattivo. Già coloro che vivono l’esperienza come un mescolamento si
mostrano più attivi e partecipativi. Molte volte questi minori iniziano l’attività
molto passivi e poco partecipativi e durante il percorso vanno prendendo

18
confidenza in sé stessi e nell’educatore e portano avanti di maniera molto
autonoma i loro percorsi dentro dell’organizzazione.

Tenendo conto di queste dimensioni e di tutto quello che già si conosce del
minore è importante definire la specifica interculturale più presenti nella
situazione. Le domande sul fattore culture del caso, già descritte all’inizio di
questa sezione, possono aiutare il professionista in questa definizione. Nel caso,
per esempio, di un minori seconda generazione che presente un conflitto con i
genitori perchè molte volte lui non attende alle prescrizioni religiose da essi
emesse forse merite un lavoro sull’identità e sui codici comunicativi. Già
un’altro che sembra non avere crisi identitarie culturale ma che ha un
problema di comportamento inadeguato merita un lavoro di
contestualizzazione/comprensione e empatia, per imparare ad comportarsi
d’accordo con gli ambiente che frequenta considerando che i suoi
atteggiamenti possono disturbare le altre persone ( in questo punto entra
l’elemento empatia).

L’educatore deve anche essere conscio di qualle specifica interculturale deve


lavorare su sé stesso per portare avanti l’intervento e forse domande come
quelle che seguono posso aiutare in questa valutazione: È necessario capire
meglio il quadro del minore? Aprirsi al riconoscimento delle culture altrui?
Mettersi nei pani del minore? Aprimorare la sua comunicazione interculturale?

La sensibilità dell’educatore nella scelta della specifica interculturale che sarà


svilluppata nell’intervento sta direttamente collegata a sua capacità di
percepire le differenti aspetti culturali e religiosi significativi nel caso. Questa
percezione è soltanto raggiunto con un previo contatto con informazioni
generale sulla cultura del minore, sulle sue tradizione e rituali. Questi dati
saranno aggiornata durante il contatto con il giovane, ma senza essi si corre un
grande rischio di sbagliare all’inizio dell’intervento, chiudendo le porte che
permitirebbero di portare avanti il rapporto educativo.

Stare previamente informato e aprirsi a conoscere il minore, come proposto


anteriormente, permette all’educatore di riflettere sul carattere interculturale
delle culture, cioè valutarle come elementi in constante mutazione, che ridotte
ad ogni soggetti diventano più particolare e meno omogenee, poichè ogni
soggetto processa la culture al suo modo e la vive in un maniera particolare.

Questa visione delle culture è molto importante perchè porta l’educatore a un


riconoscimento del proprio quadro di riferimento e lo allontana
dell’etnocentrismo. Questi due aspetto sono molto importanti nel lavoro
interculturale perchè il primo permette che il professionista prossiga nella
conduzione dell’intervento senza scoraggiarsi davanti gli shock culturali che
possono avvenire e il secondo azzera la possibilità dell’educatore assumere
atteggiameti generalista e discriminatori, elementi che ovviamente
rischierebbero il successo dell’intervento.

Come ultimi aspetti da considerare per partire alla progettazione


dell’intervento l’educatore deve tenere conto delle risorse e punti di forza
dell’organizzazione, oltre che coinvolgere tutti quelli che hanno potere e
dovere di influenzare nella vita del minore, anche che indirettamente. Quanto

19
più persone della rete personale del minore sono coinvolte nell’attività questo
esegue nell’organizzazione maggiore saranno le sue possibilità di successo e di
riprendere un nuovo percorso di vita. Questo perchè la sua nuova identità
socio-cultura sarà conosciuta e affermata positivamente per la sua rete
personale, in ragione dei risultalti raggiunti nell’attività sociale, rispondendo al
bisogno di riconoscimento che questi minori presentano.

Per ultimo è importante ricordare che tutti gli interventi educativi hanno dei
rischi. Lavorare con la devianza minorile significa affrontare il pericolo della
regressione e della possibilità di provocare una grande illusione per il minore, in
ragione dalla mancanza di condizione nel contesto sociale e dalle limitazioni
giuridiche che lo impediscono di portare avanti il suo progetto di vita.

Questo rischio di regressione è molto comune e si constitui come principale


questione ad essere risposta e risoluta attraverso l’intervento con i minori
stranieri “Messa alla prova”.

2.2. Proposta dell’intervento

Tenendo conto che il rischio di regressione, conforme spiegato nel fine della
sezione anteriore, è molto comune e frequente, si ritiene che il suo
superamento deva essere il primo e più generale obiettivo della proposta di
intervento che un professionista venga a progettare per i minori stranieri “Messa
alla prova”, pertanto, la tipologia dell’intervento assume un carattere socio-
educativo e riguarda più strettamente la prevenzione di atti devianti ( anche
chiamato microcriminalità).

Conforme già descritto anteriormente, il fattore culturale è un rafforzattivo per il


comportamento deviante dei minori stranieri e influenza una serie di situazioni
che generano le difficoltà descritte anteriormente (pag. 16) che richiedono
aree di intervento specifiche per evitare il rischio di regressione, a sapere:
1. investire nella autonomia dell’minore,
2. investire nell’uso dei suoi punti di forza,
3. investire nella ricostruzione dell’autostima,
4. investire nella concessione della fiducia,
5. investire nella frequente partecipazione dalla figura adulta di riferimento
in ogni decisione, successo e fallimento.

In questo modo, in termine generale, l’intervento deve accogliere, orientare e


rafforzare il minore straniero.

Il compito dell’intervento è contribuire alla nascità di soggetti nuovi, padroni di


sé, che si risconoscono e si sentono riconosciuti nella propria identità culturale e
che oltre tutto abbiano imparato ad utilizzare positivamente le proprie
capacità e potenzialità per il proprio sviluppo personale senza essere egoisti
ed egocentrichi.

L’intervento in questo modo cerca di risolvere un problema concretto presente


nella problematica dei minori stranieri “Messa alla prova”.

20
Oltre quegli elementi specifici l’intervento deve cercare di fornire ai minori un
spazio di accoglienza che trasmetta affetivitá e che gli coinvolga all’interno
della vita associativa, dandogli una dimensione di appartenenza, che inizia
nell’ambito associativo e si amplia alla appartenenza al quartiere, alla città e
poi al paese dove essi residono.

Pertanto, l’intervento deve possibilitare un spazio di socializzazione, meno


formale e costruttivo, pur sempre controllato e “sicuro”. Un spazio che
promuova una filosofia di apertura e accoglienza del diverso e che lavore per
una convivenza pacifica.

L’intervento deve anche permettere che i minorini partecipino non solo in


azione ma anche in opinione nella definizione della loro attività dentro
dell’organizzazione e in altre situazione in cui è possibile la loro partecipazione.

Pertanto, I metodi e le metodologia adottate nell’intervento devono orientare


e accogliere il minore, preoccupandosi in trovare un equilibrio tra rigidità
assoluta e passività davanti i loro comportamenti per non perdere la credibilità
e l’influenza nel loro confronto.

Alla fine, importante che l’intervento possieda sempre una figura adulta di
riferimento molto chiara e legittimata dentro dell’organizzazione. Questo
professionista, normalmente un educatore, sarà come un tutor e deve
rispondere per il giovane, aiutandolo davanti le situazioni difficile che possono
avvenire.

2.3. Metodi e strumenti possibili di lavoro.

Come detto nella sezione anteriore, la scelta del tipo di intervento per i minori
“Messa alla prova” deve dipendere di una valutazione delle risorse e dei punti
di forza dell’organizzazione e, principalmente, di una valutazione dei bisogni e
delle rirsose del minore.

Deve anche essere accompagnata di un’osservazione dei diversi aspetti


descritti della sezione 2.1 e di una analisi dei bisogni del minore, per poi, capire
quale altri micro-obiettivi possono essere estratti del macro-obiettivi che
comprende evitare il rischio di regressione.

É dentro dei micro-obiettivi che il fattore culturale appare più chiaro, perciò è
focalizzando l’attenzione in questi elementi che si deve partire alla scelta dei
metodi, degli strumenti e della tipologia delle attività che saranno utilizzate
nell’intervento.

Tenendo conto di queste particolarità, in questa sezione si ha cercato di


elencare i metodi di lavoro, gli strumenti operativi e le attività che sembrano
più adeguati al lavoro con i minori stranieri “Messa alla prova” in quantio
riguarda la situazione particolare in cui essi si trovano.

21
In questo processo di scelta sono state definite le possibili ipotesi per i micro-
obiettivi concernenti al fattore culturale presente nella problematica della
devianza minorile straniera.

Per ultimo importante informare che il materiale presente in questa sezione è


stato pensato considerando che l’intervento sia applicato nellle organizzazioni
delle aree socio-educativo e culturale dove i minori stranieri “Messa alla
prova” vengono a collaborare; questo perchè si ritiene, con base nella
raccolta bibliografica e nelle testimonianze, che questi spazi organizzativi
forniscono molti stimoli positivi ai giovani stranieri nel confronto con gli altri e
perciò possono influenziare i loro atteggiamento e la propria visione che hanno
di sé stessi.

2.3.1.Metodi

I metodi sottodescritti sono stati scelti perchè oltre la loro adeguatezza alla
proposta dell’intervento e alle sue particolarità ( il pubblico target e il
contesto), sono adattabile all’uso della Pedagogia Interculturale, intesa come
un metodo di lavoro educativo che obiettiva la creazione di canale di
conferma dell’identità culturale di ognuno senza riduzionismi, affermando e
valorizzando le differenze culturali.

L’uso della Pedagogia Interculturale viene anche applicato nella visione delle
culture e nel modo con cui il professionista deve gestire in contatto con i
lminore straniero. Questa pedagogia richiede una prospettiva fluida e
interattiva del fattore culturale in cui le culture sono intese come qualcosa in
continua trasformazione, riformulate negli scambi tra le persone. In questo
caso, il professionista deve considerare che ogni contesto trova dati culturali e
sociale mescolati e riletti da ogni persona d’accordo con le sue scelte
personali, dinamiche familiari e sociali. Avere questo sguardo interculturale sul
fattore culturale impedisce di ridurre le persone a stereotipi culturali e induce
ad una curiosità sull’altro, che sarà sempre un’incognita nel repertorio delle
certeza di un professionista.

Oltre questo, si ritiene che un contesto basato attivamente sulla Pedagogia


Interculturale favorisce il consolidamento di immagini positive di sè oltre che
ridurre il senso di minaccia dato dalla condizione multiculturale. In questo
contesto si fa necessario capire come sono vissute le differenze culturali, e
cercare di avvicinare le culture attraverso il confronto e il dialogo interculturale,
per poi farle interagire, senza però usare di assimilazionismi riduttivi.

La conferma identitatia proposta dalla Pedagogia Interculturale è quello che


bisognano i minori stranieri “Messa alla prova” per ricostruire la loro autostima e
aiutargli ad integrarsi nei ambiente che frequentano. Secondo Santerini (2007) i
canali attraverso i quali avviene questa conferma sono creati per il contatto
diretto che permette il confronto tra le differenze e attraverso la descostruzione
dei pregiudizi, oltre che l’ampliamento del campo cognitivo e l’esercizio
dell’empatia.

22
Santerini (2007) elenca tre livelli di comprensione del percorso dello straniero
che, leggermente adattati, servono al professionista come direttive per l’uso
dei metodi e strumenti dentro del percorso con i minori stranieri a favore della
ricostruzione della loro autostima. Tale livelli già adattati a questa proposta
sarebbero:

1. Livello fenomenico: lo straniero entra in contatto con altra cultura e ha


la sensazione di straneità. Si trova in um momento di confusione interna,
che lo può portare a sentirsi troppo diverso e senza direzione. In questa
fase, si deve mettere accanto i pregiudizi ( sia quelli che partono dal
professionista, sia quelli che partono dallo straniero), lasciare che
l’immigrato sia sé stesso e cercare di dialogare molto affinchè questo
possa capire i nuovi codici culturali attivi nel nuovo spazio che occupa.
É un livello dove si può trovare molti comportamenti di difesa e chiusura.
2. Livello segnico: è quello in cui lo straniero percepisce l’altro come
differente di sé e inizia a trovare delle somiglianze. É la fase in cui inizia il
processo di empatia e deve essere seguito di dialogo aperto e
piacevole ad entrambe parte, oltre che un grande incentivo alla
partecipazione e i momenti di gruppo e di scambio. É la fase che
permette l’ampliamento cognitivo;
3. Livello della rilevanza dell’altro: si ritiene che in questo ultimo livello, oltre
che attribuire l’importanza all’altro, lo straniero sarà capace di attribuire
importanza a sé stesso, cioè, sarà capace di valorizzarsi, riconoscendo le
differenze dell’altro senza appropiarsi, mantendendo, in questo modo, la
propria identità culturale ma imparando ad interagire positivamente col
mondo che lo cerca. É in questo livello che egli riuscirá a ricostruire la
propria autostima.

Alcuni metodi che si ritiene adeguati alla proposta dell’intervento con i minori
“Messa alla prova” e all’utilizzo con l’educazione interculturale sono elencati
in seguito. Sono metodi che si ritiene siano complementare e che devono
essere usati d’accordo con i micro-obiettivi dell’intervento, a sapere:

1. Metodo partecipativo: In questo metodo educandi ed educatore


dialogano per decidere le direttive dell’intervento; scambiando
informazione, punti di vista, si rafforza Il diritto del minore in partecipare
alle decisioni che lo riguardana, e perciò dá al percorso un maggiora
senso di responsabilità. Oltre questo é un metodo che rafforza
l’importanza dell’ascolto e la necessità di comprendere l’altro per
potere decidere, ossia, esercita la comprensione reciproca e il senso di
cooperazione.
É un metodo che aiuta nella valorizzazione delle conoscenze e delle
potenzialità del minore, oltre che creare un spazio di confronto, sempre
importante per la percezione delle differenze e delle somiglianze tra le
persone. É un’opportunità di svolgere col minore la fiducia sul se stesso e
stabilire un rapporto fiducioso tra egli e l’educatore.

2. Metodo “delle somiglianze”: Non esiste veramente nella letteratura


scientifica un metodo delle somiglianze, però si ritiene che l’educatore
possa mantenere presente nella conduzione del lavoro una constante
riflessione sulle somiglianze tra i minori italiani e i minori stranieri. Questa

23
riflessione oltre che permettere all’educatore prendere le decisioni più
corrette per il percorso, principalmente in momenti critici, perchè aiuta
ad avvicinare i modelli educativi applicati con italiani e stranieri,
deculturalizzando l’intervento e rafforzando agli immigrati il senso di
appartenenza e ugualianza insieme al rispetto della diversità.

3. Metodo dell’autonomia: Questo è un altro metodo che non esiste nella


letteratura scientifica, ma è stato creato come un’idea in questo lavoro
basata sulla Pedagogia dell’Autonomia (Freire, 2004). Questo richiede
che l’educatore abbia il rispetto dell’indipendenza di giudizio e della
libertà d’azione del minore “ Messa alla prova”, senza però dimenticarsi
di proporre dei limiti che sono adeguati al contesto organizzativo. Esso
significa, che l’educatore deve farsi presente come figura di riferimento
anche riconoscere la capacità di questi minori di gestire e portare
avanti le proprie attività con moderata libertà e senza che qualcuno ci
stia seguendo a tutto momento. Richiede anche che l’educatore si
riconosca come essere incompiuto e non onisciente e perciò rispetta la
curiosità del minore, la sua inquietudine, il suo linguagio e il suo modo di
espressarsi.

È un metodo che rafforza l’identità del minore oltre che il suo senso di
responsabilità, perchè gli chiede di gestirsi da solo in modo a portare dei
risultati positivo tanto per sé stesso come per l’attività sociale che
realizza.

Usare di questo metodo di lavoro richiede all’educatore un’attenzione


speciale ai comportamento dei minori, perchè si deve valutare i tipi di
attività in cui essi riescono ad essere autonomi d’accordo con la propria
maturità e capacità pratica. Importante rafforzare che molti di questi
minori hanno un comportamento falsamente adulto che ispira grande
capacita di autonomia, ma in verità sono imaturi e ancora hanno
bisogno di una persona che li segua vicinamente durante le loro attività.

4. Il metodo del Problem-solving: Questo metodo applicato all’intervento


con i minori stranieri “Messa alla prova” cerca di definire insieme a essi
un problema che loro devono risolvere quanto alla propria
problematica e la cui soluzione avrà attivazione dentro spazio di tempo
dedicato all’attività dell’organizzazione; in questo modo è possibile
coinvolgere il minore nell’attività oltre che dare l’opportunità che
sviluppe un aspetto che ritenga sia importante per il suo proprio
percorso.

Attraverso di questo metodo si deve cercare una risposta ad una


specifica richiesta del minore, che può essere l’inserimento in una
attività, l’acquisizione di una nuova conoscenza tra altre.

L’idea del problem solving in questo intervento è convertere i problemi


stabiliti per i minori in piccoli obiettivi, personalizzando la loro azione
dentro dell’organizzazione in maniera a tranquilizzare ed abbassare i

24
livelli di tensioni frequentemente presente in questi contesti. Questa
tensione non favorisce ne la convivenza ne il coinvolgimento del minore
nell’attività sociale e contribuisce per un scivolamento nell’indifferenza
quanto al processo della Messa alla prova.

Applicare questo metodo è anche un’opportunità di aiutare il minore a


dare i primi passi per la progettazione della propria vita.

5. Metodo conciliante e pacifico: questo metodo si trata dell’uso della


comunicazione non violenta, e deve essere usato principalmente
davanti gli atteggiamenti di chiusura e difesa che sono spesso presentati
dai minori stranieri “Messa alla prova”.

Tali atteggiamentI quando avvengono insieme agli episodi di agressività


e indisciplina alle regole dell’organizzazione rappresentano molto spesso
una autoaffermazione del minore quando si sente agreditto oppure
offeso. Può anche avvenire come un atteggiamento menefreghista.

L’importante è che l’educatore sappia gestire la situazione faccendo


uso della comunicazione non violenta, cercando di assumere un
atteggiamento conciliante, esplicativo e amichevole, ma determinato e
sicuro di sé. L’educatore deve cercare di chiarire il perchè
dell’atteggiamento agressivo insieme al minore ed i punti stano alle
radici del comportamento.

Questo atteggiamento pacifico ma determinato normalmente induce il


minore ad tornare indietro nel proprio comportamento e cercare di
convivere armoniosamente.

Logicamente, non sempre il minore reagisce positivamente ad un


contatto amichevole, ma l’importante è che l’educatore sappia
equilibrare tra un discorso non violento ( scegliere le parole usate, il tono,
l’assenza di pregiudizi e di minaccie) e la disciplina necessaria affinché il
minore possa continuare a cooperare nell’organizzazione e impare un
nuovo modo di comunicarsi.

6. Il Metodo narrativo: Questo metodo, si basa sulla creazione di spazi e


momenti di informalità e chiaccheri, dove si possono raccontare i propri
percorsi, la propria storia e sentire le storie e i racconti di altri del gruppo.
Si basato sulla disponibilizzazione di momenti di scambi di racconti tra i
minori “Messa alla prova” e gli altri membri dell’organizzazione,
compreso l’educatore.

Attraverso questo metodo si raccoglie la diversità e si apre una possibilità


di esercitare l’empatia, perchè il racconto e la narrativa, sono sempre
cariche di emozione che possono coinvolgere l’interlocutore e farlo
mettersi nei pani di chi racconta. É un’opportunità di dare voce e senso
ai comportamenti che fino a quello momento non sono stati mai intesi
completamente, principalmente nella relazione fra quelle che sono di
origine diversa.

25
7. Metodo decostruttivo: Questo metodo inteso come la promozione della
della capacità di mettersi in questione, di ri-visitare e ri-vedere le proprie
idee, può essere utilizzato insieme al metodo narrativo, basta
l’educatore intervenga nei momenti dello scambio diracconti e porte a
un processo di riflessione più direzionata dei contenuti che emergono
nel dialogo.

È un metodo che applicato al dialogo interculturale permette che esso


sia veramente una relazione di reciprocità.

L’educatore può anche usare questo metodo attraverso dell’attività


ricreattive e dinamiche di gruppo che lavorino con la decostruzione dei
pregiudizi, degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle immagini deformanti,
delle categorie linguistiche etnocentriche e inserire i minori “Messa alla
prova”. É un’opportunità di aiutarlo a ricostruire la propria identità
culturale e valutare più realisticamente le idee che ha sulle culture altrui,
inclusa quella italiana. É ancora una maniera di lavorare sui sentimenti
che questi minori hanno in quanto riguarda la miscelanea culturale in cui
si trovano interiormente.

Il metodo decostruttivo, pertanto, può aiutare nella decostruzione delle


idee deformate che i minori stranieri hanno su sé stessi e sulle culture
altrui, favorendo positivamente la ricostruzione della propria immagine e
la costruzione della propria identità culturale.

8. Metodo del decentramento o del rovesciamento del punto di vista:


Questo metodo cerca di aiutare i minori a sviluppare la propria
capacità di decentrarsi. Per loro il decentramento è importante perchè
gli aiuta ad accettare i prori limiti, essere disponibile all’ascolto e alla
collaborazione, caratteristiche molto importanti per fargli collaborare
nell’attività sociale. Il decentramento anche gli obbligarà a togliere la
maschera di vittima sociale che spesso portano con sé come parte
della propria identità e che ostacola la ricostruzione della propria
autostima.

Come già in sezione anteriore, i minori stranieri spesso si chiudono dentro


della loro cultura come un modo di difendersi e affermarsi davanti il
mondo che li cerca. Questa chiusura gli rende troppo centratti sui propri
punti di vista e sulle proprie idee, e molte volte portano allo isolamento.

Attraverso, pertanto, il decentramento è possibile anche fargli capire


che non devono per forza assumere un punto di vista rigido dentro di
una determinata cultura solo per affermarsi socialmente, ma che
diventano soggetti con un’identità propria e particolari esattamente
perchè elaborano la loro cultura e gli altri stimoli culturali dell’ambiente
di maniera personale e meravigliosamente unica.

9. Metodo dell’azione: L’educazione interculturale lavora molto con il


cambiamento degli atteggiamenti, che sono lo spechio del mondo

26
interno di ogni persona, perciò si può affermare che sta basata sulle
azioni dei soggetti. Questo metodo dell’azione parte di questa stessa
preoccupazione e cerca di incentivare e valorizzare le azioni e i
comportamenti che promuovono il dialogo interculturale.

Dentro dell’attività sociale i minori “Messa alla prova” devono portare


risultati positivi per riuscire ad avere i loro processi penale cancellati della
giustizia, perciò la base motivazionale dell’attività già è sull’azione
positiva; oltre questo, incentivarli ad utilizzare le loro competenze e le
loro capacità a servizio dell’organizzazione gli permette di acquisire
nuove competenze che gli serviranno nella loro vita.

La dimensione interculturale di questo metodo viene esattamente nel


scambio di competenze e conoscenze tra i minori, l’organizzazione e il
proprio educatore. Riconoscere i risultati positivi e valorizzare le azione
fatte dai minori “Messa alla prova” è anche un’opportunità di fargli
sentirsi utile e riconosciute nelle loro competenze e particolarità
culturale, contribuendo, pertanto, ad una ricostruzione dell’autostima e
ad una ricostruzione dei modi con cui loro interagiscono col mondo che
li cerchia. L’attività sociale contribuisce per fargli vedere che le loro
identità e capacità possono essere valorizzate e utile, basta che loro
sappiano usarle per il bene comune, cioè per il benessere proprio e degli
altri con cui convivono. Alla fine è anche un’opportunità di lavorare il
senso della responsabilità e l’importanza dei propri atti, che va
d’incontro con l’idea della giustizia riparativa.

Oltre questi metodi si ritiene che sia importante utilizzare l’educazione tra pari,
cioè, integrare il minore con altre giovani che frequentino l’organizzazione.
Questo metodo deve essere applicato con molta cura, perchè l’educatore
deve essere un strumento di avvicinamento tra i minori “messa alla prova” e il
nuovo gruppi di pari. Importante è anche scegliere quelli gruppi che possono
portare prospettive positive e arrichire il minore di nuova conoscenze e punti di
vista.

L’educazione tra i pari è anche importante perchè l’educatore è sempre visto


come un adulto per i minori che alla fine non sempre sono sinceri nei suoi
racconti e nel suo comportamento. Oltre questo con un coetaneo è più facile
che il minore si apra e stia più attento ad ascoltarlo, aumentando le possibilità
che impare nuovi e positivi modi di relazionarsi col mondo.

In questo metodo, un attento lavoro di mediazione fatto dall’educatore è


necessario per guarantire che le differenze e divergenze che vengono a
apparire in questo rapporto non siano motivi per differenziazione e
ghettizzazione, perchè l’idea prima dell’educazione tra i pari è la
socializazione e la condivisione.

27
2.3.2. Strumenti operativi e attività possibilmente utile

Gli strumenti e attività proposti in questa sezione sono stati divisi nei tre compiti
principali dell’intervento con i minori stranieri “Messa alla prova già descritti
anteriormente, ossia, accogliere, orientare e rafforzare.

Ogni sub-sezione presenta alcune proposte di attività e di strumenti che


possono aiutare l’educatore in questo percorso educativo interculturale. La
ripetizione di proposte avviene quando esse hanno diverse applicazioni dentro
dell’intervento proposto.

2.3.2.1. Accogliere.

Il momento di accoglienza dell’intervento è importante perchè è la porta di


entrata del minore dell’organizzazione e perciò un momento molto delicato
dal punto di vista emozionale.

Cercare di accoglierlo significa non solo riceverlo dentro dello spazio fisico
dell’organizzazione ma provare di coinvolgerlo nella mission nell’organizzazione
e nel progetto dove possibilmente sarà inserito.

Questa accoglienza, pertanto, consiste in farlo comprendere di cosa si tratta


l’organizzazione, il suo funzionamento, le sue attività e le possibile aspettative
quanto alla collaborazione che dovrà svolgere.

È anche il momento per cercare di conoscere meglio il minore, perciò si


propone l’applicazione di un questionario di domande di riconoscimento che
può essere usato per conoscere le concezioni che il minore ha sugli argomenti
che normalmente sono le origini dei conflitti identitari e che possono creare
destabilizzazioni identitarie. Questi argomenti sono:

1. la concezione di famiglia;
2. la concezione egualitaria o inegualitaria del rapporto uomo/donna;
3. la concezione dell’educazione, dei diritti dell’infanzia o della proprietà
( autoritarismo/permissivismo);
4. la libertà religiosa e la laicità ( il religioso e il magico soo al centro della
vita);
5. la concezione del corpo, della malattia e della salute;
6. la sessualità;
7. la concezione del tempo;
8. la concezione del sacro e del profano.

L’applicazione di questo strumento deve avvenire all’inizio dell’intervento, per


potere fornire all’educatore informazione che serviranno di supporto per le
altre attività del percorso del minore.

28
Un altro strumento che può facilitare il lavoro di accoglienza è l’elaborazione di
un accordo, scritto e firmato, tra le parti denominato “ Contratto di pace”
dove l’organizzazione individua le regole di convivenza che il minore deve
rispettare durante la sua attività nell’spazio organizzativo e il giovane delimita
alcune delle sue regole personale affinchè possa sentirsi rispettato. Questo
contratto è per guarantire l’intendimento tra le parte coinvolta nell’intervento,
e dare un senso di rispetto alle richieste del minore. In questo senso il
“contratto di pace” è un modo simbolico e informale di definire regole comuni,
per facilitare la comprensione reciproca e disponibilizzare l’altro all’ascolto.

Un altro strumento possibile di uso in questo primo momento del contatto coi
minori è il coinvolgimento di altre persone della sua rete sociale nel momento
dell’accoglienza. Questo perchè molte volte questi minori non sono abituati
ad avere la parola, ad essere ascoltati e non riescono ad esprimere bene i suoi
bisogni. La presenza di un’altra persona, di preferenza un adulto, che
partecipe di questo primo momento è importante per mediare l’inizio di questo
rapporto fra il minore, l’organizzazione e l’educatore.

2.3.2.2. Orientare

La fase di orientamento dei minori stranieri “ Messa alla prova” comprendi


diversi momenti di scambio di idee e punti di vista, pertanto è un momento
basato nel dialogo.

Questo dialogo deve nascere di un rapporto informale ma rispettoso tra


l’educatore e il minore, e deve cercare di rispondere a tutte le domande da
essi che sembrino portare interesse e curiosità per la cultura altra e forse per la
propria cultura. È attraverso il dialogo che sarà possibile creare la fiducia tra la
figura di riferimento e il minore, inoltre promuovere momenti di riflessione in
gruppo in quanto riguarda le problematiche portate dal minore.

La partecipazione del minore nelle attività che richiedono una dimostrazione


della sua cultura di appartenenza, attraverso eventi, laboratori, aiuto
nell’arredamento, nell’insegnamento di nuovi modi di fare le cose, e nei
momenti di condivisione della lingua é anche un’opportunità di scambio
molto valida in questa fase.

Si ritiene che la creazione di spazi dove i minori stranieri riescano a vivere la


loro cultura positivamente permetterebbe il superamento del sentimento di
inferiorità e di minaccia che spesso nutriscono e gli dia la possibilità di
riconoscere la propria cultura e rispettarla, contribuendo per una ricostruzione
della autostima e dell’identità culturale. Questo tipo di attività permette anche
che il minore riduca il senso di colpa quanto alla pratica delle sue convenzioni
culturale e religiosa, perchè dentro di un contesto di rispetto e curiosità lo
permette di mettere in pratica tale prescrizione, anche se per poco tempo.

Le atttività di condivisioni, di conoscenze reciproca delle culture e delle


tradizioni dei minori, sia italiani sia stranieri, con la conduzione di laboratori

29
interculturale e con lo stimolo al constante confronto, è anche un’opportuntà
di esercitare il decentramento e incentivare la curiosità per il diverso.

Nei casi di minori che presentano un conflitto identitario molto accentuato


quanto all’ appartenenza e alla cittadinanza, principalmente la seconda
generazione, il confronto tra culture potrà portare a una consapevolezza che
la loro identità non è definita di un documento che gli confere una
cittadinanza o altra, ma sí del modo come si sentono in relazione a queste
culture.

Oltre questo la formazione di spazi di dibattito e gruppi di discussione di temi


vari, sia formalmente o non, ma sempre orientato dall’educatore, sono altri
tipi di attività interessanti per la questione dell’isolamento e dell’integrazione tra
i pari. Queste attività, oltre che favorire lo scambio di idee e possibilitare
l’esercizio dell’educazione tra pari, permette l’allargamento della rete sociale
del minore, togliendolo dello stato di isolamento dove spesso si trova.

I gruppi di discussione generali e tematici hanno ancora la possibilità di offrire


al minore straniero un’opportunità di comprendere l’esistenza di differenti
atteggiamenti nei suoi riguardi, smarcherando l’immagine negativa che forse
ha nutritto dell’italiani e di persone di altre nazionalità in ragioni delle proprie
esperienze di vita.

Faccendo uso ancora della dimensione del gruppo, promuovere momenti o


attività specificamente per il racconto e la narattiva di maniera orientata
dall’educatore, favorisce la conoscenza e la scoperta delle somiglianze,
piuttosto che le differenze.

Nel lavoro educativo con minori stranieri “Messa alla prova” è fondamentale
la ricostruzione del percorso di vita, i significati delle esperienze vissute, il
racconto degli incontri importanti, l’individuazione degli episodi autobiografici
critici, perchè questi sono elementi che contribuiscono per la formazione di una
personalità e di un’identità.

I momenti di racconti, come già detto nella sezione anteriore, sono anche
un’opportunità di esercitare l’empatia.

Il lavoro sulla dimensione del gruppo, nel caso degli adolescenti è molto
importante, perchè loro si specchiano uno negli altri e una delle prime misure
necessari per cambiare il comportamento devianti di un minore è coinvolgerlo
in altri gruppi di pari dove il fattore di devianza non sia presenti, perchè in
questo modo, egli cercherà di adeguarsi alla nuova situazione, prendendo di
riferimento il nuovo gruppo di coetanei.

Tutte le altre attività che vengono a favorire la creazione di legami, la


socializzazione e il confronto tra i gruppo di pari sono importante e valide in
questa fase dell’orientamento, principalmente perchè insegnano al minori
straniero a gestire i diversi flussi culturale, mantenendo i legami con le radici
culturali delle famiglia d’origine ma prosseguendo nel suo inserimento nella
società italiana, senza cadere nell’assimilazionismo o nell’esclusione.

30
2.3.2.3. Rafforzare

L’ultimo compito dell’intervento è essenziale per il successo del percorso


educativo con i minori stranieri “Messa alla prova”, perchè è attraverso il
rafforzamento dell’identità e dell’autostima del giovane che si potrà ridurre le
possibilità di nuovi comportamenti devianti.

Il rafforzamento avvenire in ogni momento del percorso del minore attraverso il


riconoscimento dei risultati, l’avvicinamento dei legami, la trasmissione di
responsabilità e il rapporto di fiducia con il nuovo gruppo di riferimento e con
l’educatore.

Infatti, un rapporto di fiducia con l’educatore è molto importante come


rafforzzativo perchè questo professionista, nel suo ruolo di figura di riferimento,
ha potere di influenzare positivamente l’identità del minore.

Altri modi di rafforzare l’identità e la multipla appartenenza di questi minori


sarebbero la valorizzazione delle loro conoscenza linguistica attraverso delle
attività specifiche che permettano l’uso di queste competenze.

Caso l’educatore parle, almeno discrettamente, la lingua di origine o di


riferimento del minore è interessante provare di usarla dentro del dialogo, tanto
per chiarire punti che con l’italiano hanno lasciato dei dubbi come per
rafforzare al minore l’importanza della sua lingua. L’uso del linguagio del
minore dimostra a questo che la sua lingua è ugualmente importante quanto
l’italiano e merita essere imparata e praticata.

Oltre questo, per l’educatore, usare la lingua di appartenenza del minore è


una maniera di esercitare l’empatia e il decentramento, sfuggendo dal
etnocentrismo e dall’assimilazionismo.

Un altro punto che deve essere constantemente rafforzzato insieme al minore


è il senso di responsabilità.

Per rafforzalo l’educatore deveinvestire nell’autonomia del minore affidandogli


delle attività di relativa importanza dentro dell’organizzazione o dentro del
progeto dove è stato inserito. Oltre questo si deve chiarire col minore che i
risultati che portarà all’organizzazione durante l’attività svolta faranno parte
della sua valutazione finale, che influenza significativamente nel successo della
sua “ Messa alla prova”. Con questo si aumentano la responsabilità che il
minore assuma il compito con responsabilità, eseguendo correttamente le
attività proposte.

Questa è un’opportunità di lavorare la responsabiltà di questi minori oltre il


proprio mondo, offrendo l’opportunità di avere un nuovo sguardo su sé stessi e
sulla dimensione dell’apparteneza.

31
Alla fine del percoso si ritiene che il rafforzamento possa venire come un
riconoscimento delle competenze e delle capacità del minore che può essere
fatto tramite l’applicazione del bilancio di competenze.

Il bilancio di competenza può servire come un prodotto finale del percorso del
minore, aiutandolo non solo a conoscere le competenze e le capacità che
possiede al fine del percorso, ma anche fornendo delle informazioni che gli
permetteranno di dare prosseguimento al suo progetto di vita. Attraverso
questo strumento il minore potrà conoscere anche quale sono le sue debolezze
e i punti che deve continuare a rafforzare, come per esempio, imparare meglio
la lingua, lavorare le competenze interpersonale e così via.

2.4 L’educatore

2.4.1. Aspetti soggettivi e oggettivo dell’atteggiamento dell’educatore

In questa sub-sezione si usa come concetto di atteggiamento la definizione di


Rodrigues(2005), che considera esso l’insieme degli aspetti comportamentale,
cognitivi e affettivi che ogni persona porta con sé.

Gli aspetti comportamentale sono le azioni concrette attraverso le quali le


persone stabiliscono rapporti con gli altri e con l’ambiente, perciò si tratta di un
aspetto oggettivo.

Gli aspetti cognitivi e affettivi si trattano delle idee che le persona hanno del
mondo, il quadro di riferimento di ognuno, e il sentimento che nutriscono
quanto a questo quadro.

Tenendo conto che i risultati ottenuti nel lavoro di un educatore dipendono


molto dell’atteggiamento che esso ha assunto durante i suoi interventi
educativi, si ha ritenuto importante riflettere sugli aspetti sopracitate dentro
della pratica educativa di questo professionista.

Gli aspetti soggettivi e oggettivi a che si fa riferimento comprendono un


quadro di competenze interculturali, indispensabili per chi attua nell’ambito
interculturale e negli interventi proposti nel presente lavoro. Questo perchè
tale competenze permettono al professionista di interagire con le persone,
comprendere i loro bisogni e le loro aspettative, intervenendo poi di maniera
più efficace nelle situazioni-problema identificate.

Per definire gli aspetti soggettivi, cioè che riguardano il mondo interno
dell’educatore, si parte dalla premessa che la pratica educativa richiede al
professionista un lavoro su sé stesso. In ambito interculturale questa richiesta ha
importanza rafforzata, perchè in questi contesti l’autoconoscenza è il primo
elemento che permette il riconoscimento del proprio quadro di riferimento sulle
culture altrui, perciò un è elemento essenziale per impedire la creazione di
ostacolli alla comprensione dello straniero con cui si interagi.

32
Conforme proposto per Cohen(2007), l’educatore deve prima di tutto
conoscere la propria cultura, i modi e gradi secondo i quali essa è stata
assorbita e interiorizzata, capendo gli adattamenti di essa che sono stati fatti in
funzione della sua traiettoria di vita, poichè la comprensione dell’altro e della
sua identità richiede ad ogni persona la scoperta della sua propria identità
sociale, culturale e professionale.

Questa autoconoscenza deve allargasi alla consapevolezza delle idee


radicate sulle ragioni della devianza minorile, poichè anche esso porta il
professionista ad un atteggiamento di onniscienza in quanto riguarda la
problematica di ogni singoli minori con cui deve lavorare. Questo crearebbe
un ostacolo all’ascolto attivo e toglierebbe dall’educatore la possibilità di
conoscere i veri bisogni dei minori.

In questo senso, conoscere il proprio quadro di riferimento significa anche che


l’educatore deve rintracciare i possibili pregiudizi e stereotipi che porta con sé;
questo significa anche disvelare ogni atto che nasconda il razzismo e che
possono generare diffidenza nel rapporto col minore.

Oltre che autoconoscersi l’educatore deve stare attento all’etnocentrismo,


assumere una posizione attenta per evitare di usare la propria cultura e i propri
valori come base critica nel rapporto col minore straniero. Per l’educatore
essere conscio del rischio dell’etnocentrismo gli permette di aprirsi all’ascolto
della cultura altrui e così cercare di capire gli atteggiamenti degli altri a partire
della loro realtà culturale.

Questi due elementi (autoconoscenza e attenzione al rischio


dell’etnocentrismo) aiutano esattamente nella apertura all’ascolto dell’altro e
nella consapevolezza di che nessuno è portatore di una verità definitiva,
neanche l’educatore, perciò questa situazione comprende la superazione
della propria individualità in favore di una comprensione più fedele del minore.

Questa apertura sopracitata porta l’educatore al decentramento, ossia,


portalo a guardare oltre il proprio quadro di riferimento e perciò essere capace
di ridurre l’influenza che la propria cultura esercita sul suo modo di vedere gli
altri e sul suo modo di operare.

Tutti questi aspetti soggettivi della pratica educativa interculturale permettono


all’educatore di creare empatia col minore e riuscire a stabilire una
comunicazione più efficace e che aiute della conduzione dell’intervento.

Quanto agli aspetti oggettivi, legati al comportamento, si ritiene importante


sottolineare quelli che riguardano la comunicazione interculturale e la gestione
dei rapporti coi minori e con le altre persone della sua rete sociale e familiare.

Nella consulta bibliografica e nelle testimonianze raccolte per questo


elaborato si ha trovato spesso il bisogno dei minori stranieri di stabilire legami
fiduciosi con figure adulte, e esso può soltanto avvenire quando c’è una
comunicazione dialogica basata su un rispetto e una comprensione reciproca
fra le parte coinvolte.

33
Gli educatori non ricevono dagli operatori dell’Ufficio Minore molte
informazioni sulle particolarità dei casi nel momento dell’inserimento dei minori
“Messa alla prova” nelle organizzazioni, perciò una comunicazione efficace,
diventa l’unico strumento di conoscenza sul minore, principalmente nei primi
contatti.

L’educatore per avere questo atteggiamento fino qui descritto deve


primariamente lavorare sugli aspetti soggettivi della sub-sezione anteriore,
perchè sono essi che lo permetteranno di mettere in moto due azioni
importante : l’ascolto attivo e l’esercizio della toleranza.

L’ascolto attivo sarebbe ascoltare i bisogni dell’altro e discuttirli di modo ad


aiutare l’interlocutore. Questo è essenziale per creare il legami con i minori e
con suo circolo sociale, ma è principalmente l’unico modo di conoscere i veri
bisogni dell’altra parte, potendo dopo intervenire correttamente nella sua
situazione-problema.

L’ascolto attivo è anche un esercizio di decentramento perchè per praticarlo


l’educatore deve imparare a rispettare la diversità culturale e gli interesse del
minore, oltre tutto deve essere disposta a rispettare le scelte del giovane,
anche se non condividendole.

Questo tipo di ascolto, oltre tutto, porta l’educatore a richiamara la tolleranza,


cioè, a essere disponibile a comprendere e a rispettare idee e comportamenti
diversi dai propri, senza smettere di dialogare. Esso è possibile solo se
l’educatore ha fatto primariamente l’autoconoscenza del suo quadro di
riferimento, perchè caso contrario potrà entrare in shock culturale davanti il
discorso del minore e non riuscire a ragionare insieme a questo, oppure
attacarsi alle parti del discorso dell’adolescente che non trasmettono il senso
generale del messagio ma rappresentano solo fragmenti di quello che è stato
detto.

L’ascolto attivo e l’esercizio della tolleranza permettono all’educatore di


concrettamente riconoscere e rispettare le differenze culturale, oltre che
prendere contatto col quadro di riferimento del minore per poi veramente
stabilire una relazione educativa.

Dopo che questi elementi del processo comunicativo hanno messo i radici di
un rapporto fiducioso è necessario che l’educatore inizi a gestire le relazioni col
minore.

Secondo le testimonianze raccolte per il presente lavoro, l’informalità è una


grande chiave nella consolidazione di un rapporto positivo coi minori perchè
permette un avvicinamento più sincero senza gli ostacoli presenti in un
contesto formale. L’informalità sta nel linguaguio utilizzato, nella battuta fatta,
nel racconto dell’educatore di parte della propria vita che lo avvicine del
minore.

Questa informalità è anche un modo di aggancio e accoglienza però deve


essere stabilita con confini abbastanza delimitati, che proteggano la credibilità

34
dell’educatore come figura adulta di riferimento ( ruolo che sarà meglio
spiegato nella sezione seguinte).

Da questa informalità l’educatore dà i primi passi per l’inserimento e


l’integrazione del minore dentro dell’organizzazione e dei gruppi da essa
frequentanti; riesce anche a promuovere insieme ai minori una riflessione sulle
possibilità di partecipazione dentro dello spazio organizzativo e sulle regole
interne che devono essere rispettate.

L’attività quotidiana con i minori stranieri deve essere portata avanti con il
constante rivedere di questo atteggiamento da parte dell’educatore che
deve facilitare l’esperienza ai ragazzi, ma anche renderla costruttiva e
promozionale, accrescendogli di fiducia in sé e nel mondo che gli circonda,
contribuindo per rendergli attivi rispetto ai propri progetti e più consapevole
dei loro diritti e dei loro doveri come cittadini socialmente inseriti.

2.4.2. Ruolo dell’educatore

L’educatore di riferimento dentro dell’organizzazione dove i minori “Messa alla


prova” sono inseriti, è uno dei pochi professionali di questo generi con cui
questi giovani hanno contatto dentro di questa misura giuridica, e nella
relazione che si stabilisce questo professionista può assumere tre tipi di ruoli
distinti:

1) quello di figura adulta di riferimento;


2) quello di facilitatore della comunicazione e dell’inserimento sociale;
3) e quello di mediatore di conflitti.

Il ruolo di figura di riferimento è più svolto quando i minori non hanno in altre
circoli sociale altre figure adulte in cui possano rispecchiarsi e confrontarsi,
come genitori o altri parenti, in questo ambito diventano figure adulte di
riferimento gli affidatari, gli educatori e gli assistente sociali.

In questo ruolo, l’educatore deve trasmettere una immagine adulta positiva


nel confronto delle situazione che condivide coi minori e dove essi si possono
ispirarsi.

Oltre questo davanti i bisogni educativi legati alla adolescenza descritti nella
sezione 2.1 è importante che l’educatore supporte questi giovane nel loro
processo di costruzione dell’identità e nelle sue spinte progettuali restituindo ai
minori un’immagine fedele della nuova identità in costruzione, ossia il
professionsita deve stabilire una relazione sincera e aperta dove valute insieme
ai minori i suoi comportamenti e gli aiuti ad identificare l’identità che stanno
costruendo. Questo comprende, pertanto, mobilizare le loro risorse per
rispondere ai suoi propri bisogni. Fargli conoscere le proprie capacità e
potenzialità attraverso l’attività che svolgeranno.

In questo ruolo, l’educatore deve anche assicurare che le decisioni quanto al


percorso del minori dentro dell’organizzazione siano prese nel suo miglior

35
interesse e sempre con la sua consulta. Essere una figura di riferimento è anche
consultare e consigliare il minore, stando attenti però affinchè non trasmetta la
responsabilità per tutte le sue scelte al professionista.

Nel ruolo di facilitatore della comunicazione e dell’inserimento sociale


l’educatore sviluppa una funzione di ponte tra i minori e l’ambiente
organizzativo in cui questi sono inseriti, perciò questo ruolo si svolge a livello
soggettivo e collettivo. Esso significa facilitare le relazione tra i minori e le altre
persone che frequentano lo spazio organizzativo, come gli utenti e altri
collaboratori. In questo senso, l’educatore deve attentare alle dinamiche di
rifiuto, di separazione e d’ostilità cercando di trasformarle in un desiderio di
conoscenza reciproca, inducendo i minori e gli altri membri del gruppo e
dell’ambiente organizzativo ad una curiosità reciproca sulla diversità. Il
confronto aperto delle diverse letture del mondo che ognuno ha, aiuta in
questo processo di riconoscimento reciproco, perchè apre le porte a questa
curiosità poichè accende la scintilla di interesse sul perchè l’altro ha
determinata opinione sul determinato argomento.

Come facilitatore della comunicazione e comprensione fra le persone è


essenziale dissipare i malintesi che avvengono nell’interazione interculturale e
perciò si deve fare uso di una comunicazione chiara, usando spesso il
linguagio non verbale e qualsiasi altro strumento per farsi capire. L’educatore
deve chiarire anche espressione, punti di vista e idee che non sono stati chiari
e che possono essere l’inizio di un conflitto tra i membri del gruppo.

Questo ruolo di facilitatore è molto collegatto al terzo ruolo svolto per


l’educatore: il mediatore dei conflitti.

La parola “conflitti” in questo contesto circonda l’ambiti sociale, culturale e


valoriali, e si svolge a livello soggettivo e collettivo.

La mediazione di conflitto svolta dall’educatore con i minori “ Messa alla


prova” cerca di aiutarli a risolvere i propri conflitti identitari e anche a
promuovere dentro del gruppo in cui essi sono inseriti il rispetto alla diversità
culturale, pertanto, oltre che essere un facilitatore della comunicazione, questo
professionale deve mediare i rapporti all’interno del gruppo in cui i minori
stranieri sono inseriti.

In alcune situazioni l’educatore media anche un conflito tra il minore e la sua


famiglia. In questo caso, l’educatore è la figura adulta che aiuta la famiglia
ad interpretare il mondo in cui il minore è inserito, allo stesso tempo in cui aiuta
il giovani acomunicarsi con i propri genitore.

L’educatore deve essere per natura un mediatore già che fa il legami tra i
minori e gli ambienti e gruppi che li circondono. In questo tipo di mediazione
l’educatore aiuta nel riconoscimento della fluidità delle culture e delle relazioni,
e permette al minore una ridefinizione di sé, favorendo gli aggiustamenti
identitari. Oltre questo, l’educatore svolge un ruolo di interprete dei codici di
appartenenza e esercita un tipo di mediazione identificato per in cui l’atto di
mediare diventa un processo di trasformazione e di creazione di norme che

36
guidino le relazione fra le parti sulla base dall’interdependenza e dalla
collaborazione(Cohen, 2007).

2.5 Il mediatore linguistico-culturale

Secondo la bibliografia consultata, negli interventi educativi con i minori


stranieri la figura del mediatore culturale-linguistico, insieme alla figura
dell’educatore di riferimento riduce alcuni degli ostacoli allo stabilimento di un
rapporto di fiducia e di intesa che deve discorrere durante tutto il percoso di
questi minori.

Allo stesso modo, la presenza di una equipe educativa mista, composta di


autoctoni e stranieri, porta più tranquilità al lavoro coi minori stranieri.

La mediazione linguistica-culturale offre all’educatore una preziosa opportunità


di conoscere più approfonditamente i minori ed evitare che la differenza
culturale divente un rischio di inferiorizzazione che sarebbe un ostacolo alla sua
costruzione identitaria del minore.

Il lavoro dell’educatore, insieme al mediatore lingistico-culturale, diventa allora


un intervento che promuove la tolleranza e l’intercultura, cioè, la convivenza
della diversità cultura senza la sovraposizione di una sull’altra.

La mediazione lingustica-culturale rappresenta uno strumento molto utili


perchè oltre che tradurre i codici culturali e linguistici fornisce all’educatore le
chiavi di lettura che le permiteranno di interpretare con correttezza gli
atteggiamenti e le storie di vite presentate dai giovane; giè per essi minori, il
mediatore darà possibilità di conoscere meglio il contesto e di avere
l’affiancamento di un adulto durante il processo di creazione di una relazione
di fiducia con gli altri adulti di riferimento, nel caso l’educatore.

La figura del mediatore è molto più significativa in contesti di lavori in cui la


diversità culturale tra l’educatore, il minore e la sua famiglia creino degli
ostacoli alla proposta dell’intervento.

In questi casi, il mediatore attuarà nella risoluzione di conflitti valoriali, che si


verificano fra le famiglie migranti e la società d’accoglienza, o all’interno delle
famiglie che attraversano il processo d’acculturazione e in cui contesto è
avvenuta la problematica di devianza dei minori.

37
CONCLUSIONE

Lavorare con gli adolescenti, siano italiani che stranieri, non è un compito
facile, poichè questa è un’età evolutiva piena di trasformazione fisiche,
psicologiche e sociale. Il corpo cambia, la mente cambia, le relazionI
cambiano.

La devianza minorile appare in questo contesto come il risultato di tutti i conflitti


interni degli adolescenti e come un loro modo di farsi affermare nel confronto
con la realtà.

Il minore straniero attraverso i comportamenti devianti ha lo stesso desiderio di


farsi riconoscere e rispettare nella società di accoglienza. Però, molto diverso
da chi dice il senso comune, non sempre questo desiderio di riconoscimento e
di rispetto avviene per una questione culturale, infatti, molto spesso, le ragioni
hanno una dimensione socio-economica. Il fattore culturale viene come un
aggravante ma mai come un determinante della conflittualità presente nel
minore devianti.

Tenendo conto delle riflessioni sopracitate e della proposta rieducativa della


“Messa alla prova” è importante che l’intervento applicato ai minori “Messa
alla prova” non faccia uso di metodi riduzionisti, assimilazionistai, etnocentristi e
autoritari, perchè questi farebbero persistere i comportamenti devianti, poichè
non valorizzano e neanche riconoscono l’importanza dell’altro.

L’intervento adeguato ai minori stranieri “Messa alla prova” e applicato in


contesti di informalità, come per esempio, nelle organizzazione dove essi vanno
a collaborare in un’attività sociale, devono:
1. potenziare la partecipazione attiva di questi giovani;
2. incentivare l’uso delle loro capacità e competenze;
3. creare spazi di confronto culturale e di scambio di esperienze;
4. favorire l’assunzione di responsabilità e di autonomia;
5. fornire una figura adulta di riferimento che possa affermare e supportare
le loro identità che stanno in processo di trasformazione.

Oltre questo, la figura dell’educatore nel tipo di intervento sopracitato è molto


importante. Questo professionista deve avere consapevolezza di sé stesso,
della sua cultura, delle sue credenze e dei possibili pregiudizi che possieda sulle
culture altrui. Deve anche lavorare molto su sé stesso, sulla sua capacità di
decentrarsi, di creare empatia e sulla sua capacità di stabilire una
comunicazione efficace e che apra le porte per un rapporto di fiducia con il
minore.

Questo rapporto di fiducia è importantissimo tanto per portare avanti


l’intervento quanto per aumentare le sue possibilità di raggiungere i risultati
desiderati.

In questo senso, lavorare con i minori stranieri devianti “Messa alla prova” è un
compito complesso, perchè coinvolge tanto i fattori presente nel fenomeno

38
della devianza minorile in generale, come i fattori culturali, ma in verità si
semplifica quando si capisce, che al di là della cultura, questi giovani cercano
soltanto di trovare un modo di essere riconosciuto e valorizzato nel mondo. Un
modo che gli piacia e che gli permetta di sentirsi soddisfatti con sé stessi e con
la propria identità.

39
BIBLIOGRAFIA

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2007.
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