Massimiliano Vaira
L’università
italiana è davvero
inadeguata?
Gennaio 2011
L’università italiana è davvero
inadeguata?
Si discute a senso unico sul fatto che ci posizioniamo male nei
rankings internazionali, derivandone automaticamente un
giudizio sulla qualità dell’università italiana negativo.
Questi giudizi ignorano altri dati che raccontano una storia
diversa.
Per chi ha voglia di seguirmi, prometto, dopo qualche
considerazione sui rankings, qualche interessante sorpresa.
Contenuti
1. Università: dibattito poco informato
2. Critiche ai World University Rankings
• European University Association
• Dibattito internazionale
3. Siamo davvero inadeguati?
• Formazione
• Ricerca
4. I veri problemi dell’Università italiana
• Frenesia riformista
• Bassi finanziamenti
• Mancanza di valutazione
Note sull’Autore
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1. Università: dibattito poco informato
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2. Critiche ai World University Rankings
Se n’è accorta
anche l’Europa tramite
l’European University
Association che giudica
non del tutto affidabili e
adeguati quei rankings e si sta muovendo per predisporre un
contro-ranking europeo [http://www.eua.be/News/09-01-
29/EUA_launches_rankings_working_group.aspx].
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Dibattito internazionale
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istituzioni; tuttavia questi attori non possono avere che
un’idea vaga e generale della qualità delle attività
svolte in ciascuna istituzione e in ciascuna loro
articolazione su cui esprimono i loro giudizi. Di
conseguenza, spesso queste valutazioni si fondano su
un’immagine ricevuta e piuttosto tradizionale delle
istituzioni;
4. si fondano su un’idea di conoscenza tradizionale
(disciplinare, prevalentemente teorica) che esclude
altri tipi di conoscenza (interdisciplinare,
multidisciplinare, applicata) e sono language-biased,
cioè escludono tutta la produzione scientifica
prodotta in lingue diverse dall’inglese;
5. sottostimano il ruolo economico, sociale e culturale
delle istituzioni universitarie diverse per modello, per
tipo di conoscenza prodotta e trasmessa e per tipo di
mission rispetto a quelle considerate dai rankings;
6. usano una metodologia definita “pesa e somma” con
cui si valutano le diverse dimensioni considerate e
poi si fa la somma dei punteggi. Una metodologia
tanto semplice quanto fuorviante rispetto a ciò che
vorrebbe misurare. La mera somma aritmetica di
punteggi nasconde differenze interne a livello delle
articolazioni di ateneo (es.: tra dipartimenti, tra corsi
di studio, ecc.) spesso molto forti.
Questa aggregazione fonde insieme indicatori di
input, output e processo come se fossero la stessa
cosa, costruendo un indicatore totale di qualità
pseudo-scientifico;
Il fatto di usare punteggi aggregati come indicatore
totale di eccellenza è fuorviante perché enfatizza e
ingigantisce differenze minime e marginali; ad
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esempio: che differenza ci può essere tra un’istituzione
collocata al 10° posto e una al 17°? Gli studi hanno
dimostrato che le diverse posizioni in classifica si
fondano su differenze statisticamente non
significative;
7. evidenze empiriche mostrano che i rankings producono
sulle istituzioni effetti disfunzionali e perversi. Esse
sono spinte a migliorare la loro posizione nelle
classifiche attraverso strategie manipolative anziché
attraverso processi di miglioramento delle attività;
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Le imprese italiane sono ultime per spesa in ricerca e sviluppo e hanno scarsa
propensione all’innovazione.
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3) sempre il THES usa come indicatore la presenza o
meno nel sistema di istituzioni definite flagship
(ammiraglie). Queste istituzioni sono quelle altamente
selettive ed elitarie (ad esempio: alcune Grandes
Écoles francesi come l’ENA o l’École Politechnique,
Oxford, Cambridge e il sistema federato dei college
londinesi, in Inghileterra, l’Ivy League negli USA).
In Italia, a parte le piccole eccezioni della Normale e
del S. Anna di Pisa, dello IUS di Pavia e della Scuola
Superiore di Catania (dipendenti dalle rispettive
università), non ci sono istituzioni di quel tipo. Si può
discutere se sia il caso o meno di istituire questo tipo di
università nel nostro sistema, ma si dovrebbe anche
discutere se questo indicatore abbia o meno senso.
Formazione.
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Come sistema universitario nel suo complesso, in
termini di qualità, il nostro si colloca al 12° posto nel
mondo.
Un po’ paradossale non trovate? non abbiamo
istituzioni nelle prime 200 ma siamo al top per la qualità
della formazione. Detto per inciso, una recentissima
pubblicazione dell’UNESCO sostiene che il sistema di
istruzione superiore americano, le cui istituzioni di vertice
egemonizzano i ranking, risulta essere
di bassa qualità quanto a
formazione erogata []
Il motivo è che le
istituzioni americane hanno un
certo numero di centri di
ricerca ben finanziati ed
efficienti, mentre sul lato
della didattica le cose non
funzionano così bene come si
pensa e si è indotti a
concludere da una lettura
acritica dei rankings.
Tornando all’Italia, il
http://www.unesco.org/new/en/natural-
sciences/science- paradosso di cui sopra, si
technology/prospective-studies/unesco- spiega in base a due fattori.
science-report/unesco-science-report-
2010/ Primo: il nostro non è
un sistema differenziato e stratificato in cui un certo
numero di istituzioni eccellenti vengono individuate,
come ad esempio in USA, Gran Bretagna e Francia (se
guardate quali istituzioni di questi paesi occupano le parti
alte dei rankings vi accorgerete che sono quelle selettive e
di élite) e non ha istituzioni pubbliche che reclutano gli
studenti attraverso la selezione ( a parte i casi di Pisa, Pavia
e Catania).
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Secondo: il finanziamento al sistema non si fonda
sulla valutazione delle performance delle università ma è
tutt’ora ancorato al modello della spesa storica degli
atenei.
Un finanziamento differenziato sulla base della
valutazione individua se non l’eccellenza l’alta qualità di
un’istituzione. Noi su questo siamo in alto mare. Colpa
dell’università o della politica che vuol fare “riforme
epocali” a costo zero, anzi definanziando?
Giusto per dare l’idea: tra il 2000 e il 2007 la spesa
pubblica per l’istruzione superiore in Gran Bretagna è
cresciuta del 50%, in Italia del 12%. Sfido che le istituzioni
britanniche occupano posizioni elevate.
E permettetemi un po’ di polemica: ma la Gelmini
pensa davvero che con la trasformazione dei 15 atenei
virtuali (notate che la Gran Bretagna ne ha solo 1, la Open
University di Birmingham, pubblica), di cui una decina
accreditati dalla Moratti, e del CEPU (!!!) in atenei reali
privati possa innalzare il livello qualitativo dell’università
italiana?
http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2010/11/18SI94007.PDF
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Ricerca.
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finanziamento (pubblico e privato) dell’università e della
sua ricerca nettamente più alto del nostro.
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ne sono tre che ritengo fondamentali e che riguardano in
primis la politica: la frenesia riformistica, il basso
finanziamento e mancanza di valutazione.
Frenesia riformista
Basso finanziamento
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Germania e Inghilterra stanno puntando sull’eccellenza,
mettendoci soldi extra (Francia circa 10 miliardi e Germania
circa 2 miliardi nel 2005 e 2,7 miliardi quest’anno) o
aumentando il finanziamento soprattutto alla ricerca
(Inghilterra: + 7,7% pari a 1,9 miliardi di euro per la ricerca,
nel 2009) [F. Corradi Alla ricerca dell’eccellenza, Milano LED
Edizioni, 2009];
Mancanza di valutazione
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