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II CONGRESSO MONDIALE DEI

MOVIMENTI ECCLESIALI E DELLE


NUOVE COMUNITA’
"La bellezza di essere cristiani e la
gioia di comunicarlo"
Centro “Mondo Migliore” - Rocca di Papa, 31 maggio–2 Giugno 2006

Conferenza stampa di presentazione


Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede
Martedì, 30 maggio 2006

INTERVENTO DI S.E. MONS. STANISLAW RYLKO, Presidente del Pontificio


Consiglio per i Laici

La decisione d’incontrare i movimenti ecclesiali e le nuove comunità si situa molto


significativamente tra le prime scelte operative di Benedetto XVI. Il Santo Padre ha
infatti manifestato questo suo desiderio nel corso della prima udienza ufficiale che mi
ha concesso come presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Era il 14 maggio 2005
– per una coincidenza davvero singolare, vigilia di Pentecoste! L’appuntamento che
papa Ratzinger ha dato a movimenti e comunità per il 3 giugno prossimo è un
importante segnale di continuità con il magistero di Giovanni Paolo II, che in queste
nuove realtà aggregative vedeva doni preziosi dello Spirito alla Chiesa di oggi e un
grande segno di speranza per l’umanità del nostro tempo. Una convinzione che il
Servo di Dio fece risuonare con parole vibranti in Piazza San Pietro il 30 maggio 1998,
quando ai partecipanti a quel primo memorabile incontro diceva: «Nel nostro mondo,
spesso dominato da una cultura secolarizzata che fomenta e reclamizza modelli di vita senza Dio, la fede di
tanti viene messa a dura prova e non di rado soffocata e spenta [...] Quale bisogno vi è oggi di personalità
cristiane mature, consapevoli della propria identità battesimale, della propria vocazione e missione nella
Chiesa e nel mondo! Quale bisogno di comunità cristiane vive! Ed ecco, allora, i movimenti e le nuove
comunità ecclesiali: essi sono la risposta, suscitata dallo Spirito Santo, a questa drammatica sfida del fine
millennio. Voi siete questa risposta provvidenziale»! (Discorso, n.7). Quel giorno ha rappresentato una tappa
che ha inciso profondamente sulla vita e sull’impegno missionario dei movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità. Otto anni dopo, il nuovo Successore di Pietro ha voluto ripartire proprio da lì per riprendere il
discorso con i movimenti, convocandoli nello stesso luogo e nella stessa ricorrenza.

I rapporti di papa Benedetto XVI con i movimenti ecclesiali datano da lungo tempo e hanno una storia della
quale egli stesso ha parlato in varie occasioni. I suoi primissimi contatti con queste realtà – che si sono poi
intensificati e approfonditi, trasformandosi in una vera amicizia – risalgono alla metà degli anni Sessanta,
quando era ancora professore a Tübingen. Era il periodo difficile del post-Concilio, ma agli occhi del teologo
quei nuovi carismi si rivelano subito come un dono provvidenziale. Scriveva: «Ecco, all’improvviso, qualcosa
che nessuno aveva progettato. Ecco, che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola. E
in giovani uomini e in giovani donne risbocciava la fede, senza "se" né "ma", senza sotterfugi né scappatoie,
vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere» (J. Ratzinger, "I movimenti
ecclesiali e la loro collocazione teologica", in: I movimenti nella Chiesa, p. 24). A fianco di Giovanni Paolo II
come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger è stato interprete
autorevole del suo magistero sui movimenti ecclesiali e le nuove comunità, divenendo per loro un
interlocutore attento e prodigo di saggi consigli. Egli vede nei movimenti "modi forti di vivere la fede", nella
loro opera "qualcosa che davvero indica il futuro", nella loro funzione il ruolo di quelle "minoranze creative"
che secondo Arnold Toynbee sono determinanti per il futuro del mondo. Il suo contributo teologico alla
definizione dell’identità ecclesiale dei movimenti è fondamentale. Nel pensiero del cardinale Ratzinger, per
impostare correttamente il discorso teologico su queste nuove realtà aggregative non basta la dialettica dei
principi che contrappone istituzione e carisma, perché la Chiesa è edificata organicamente e non
dialetticamente. La giusta collocazione teologica dei movimenti nella Chiesa è da individuare nella
apostolicità, che è la dimensione dalla quale scaturisce il vincolo particolare che li unisce al ministero del
Successore di Pietro. Scrive: «Il papato non ha creato i movimenti, ma è stato loro essenziale sostegno nella
struttura della Chiesa, il loro pilastro ecclesiale [...] Il Papa ha bisogno di questi servizi, e questi hanno
bisogno di lui, e nella reciprocità delle due specie di missione si compie la sinfonia della vita ecclesiale»
(Ibidem, p.39 e 46).

Eletto papa, Benedetto XVI non ha cessato di manifestare attenzione nei confronti dei movimenti ecclesiali,
a proposito dei quali, ancora nell’agosto dello scorso anno a Colonia, diceva ai vescovi tedeschi: «La Chiesa
deve valorizzare queste realtà e al contempo deve guidarle con saggezza pastorale, affinché contribuiscano
nel modo migliore, con i loro diversi doni all’edificazione della comunità [...] Le Chiese locali e i movimenti
non sono in contrasto tra loro, ma costituiscono la struttura viva della Chiesa» (21 agosto 2005). Il desiderio
di convocarli tutti insieme a Roma per la seconda volta e di nuovo nella vigilia di Pentecoste nasce proprio
dalla grande considerazione nella quale il Santo Padre tiene queste realtà e da una sollecitudine pastorale
che si è manifestata pure nel corso dei preparativi dell’incontro, che il Papa ha seguito da vicino e con
attenzione. L’importanza che Benedetto XVI attribuisce all’evento traspare dalle parole con le quali lo ha
evocato dopo il Regina coeli di domenica, 21 maggio, quando diceva: «Ho [...] presente nel cuore e nella
preghiera l’importante appuntamento di sabato di 3 giugno prossimo, vigilia di Pentecoste, quando avrò la
gioia di incontrarmi in Piazza San Pietro con numerosi aderenti a più di cento movimenti ecclesiali e nuove
comunità. So bene che cosa significhi per la Chiesa la loro ricchezza formativa, educativa e missionaria,
tanto apprezzata, sostenuta e incoraggiata dall’amato Papa Giovanni Paolo II» ("L’Osservatore Romano",
22-23 maggio 2006, p. 1).

L’invito del Papa è stato accolto con gioia e gratitudine da movimenti e comunità che, in ogni angolo del
mondo, hanno aderito con entusiasmo al cammino di preparazione spirituale all’incontro, durato un intero
anno, e che è andato di pari passo con l’iter dei preparativi logistici e organizzativi svoltosi sotto la guida del
Pontificio Consiglio per i Laici. Un lavoro intenso, come intensa è l’attesa della parola magistrale del Papa,
nella quale queste nuove realtà ecclesiali vedono la bussola sicura che orienta la loro vita e il loro impegno
missionario oltreché un motivo di grande incoraggiamento. Anche per questo, siamo certi che la data del 3
giugno 2006 rappresenterà un’altra pietra miliare per la vita di movimenti e comunità e per il loro generoso
servizio alla missione della Chiesa.

L’incontro di Benedetto XVI con i movimenti sarà preceduto dal secondo Congresso mondiale dei movimenti
ecclesiali e delle nuove comunità, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici a Rocca di Papa dal 31
maggio al 2 giugno. Vi prenderanno parte i delegati di un centinaio di movimenti e nuove comunità, diverse
personalità invitate (cardinali, vescovi, religiosi, religiose, laici), rappresentanti di dicasteri della Curia
Romana, nonché una delegazione ecumenica. Il tema del Congresso – "La bellezza di essere cristiani e la
gioia di comunicarlo" – coincide con quello dell’incontro con il Papa e si ispira alle parole di Benedetto XVI
nella omelia di inizio del ministero petrino: «Non vi è niente più bello che essere raggiunti, sorpresi dal
Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui»
(24 aprile 2005). Nucleo dei due eventi è dunque la persona di Cristo, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal
45 [44]). E al centro della riflessione del congresso la domanda, inevitabile per i discepoli del Signore: Come
trasmettere lo splendore della bellezza di Cristo al mondo di oggi? Perché è questa la sfida che siamo
chiamati a raccogliere: essere testimoni della bellezza di Cristo e del suo Vangelo nel cuore del nostro
mondo post-moderno e, come dice qualcuno, post-cristiano. Alla domanda su quale fosse la cosa più
importante che avrebbe voluto trasmettere ai giovani convenuti a Colonia per la ventesima Giornata
mondiale della gioventù, papa Benedetto XVI ha risposto senza indugi: «Vorrei far capire loro che essere
cristiani è bello!», una frase che è divenuta quasi un motto del suo pontificato.

L’esperienza della bellezza di essere cristiani ha trovato e trova ai nostri giorni un terreno particolarmente
fertile proprio nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità. I carismi dai quali sono nati hanno infatti
generato itinerari pedagogici che continuano a formare schiere di autentici testimoni della bellezza di Cristo,
cristiani per i quali la fede è tutt’altro che una teoria aureolata di sentimentalismo, bensì scelta radicale di vita
che porta alla sequela del Signore. E così, nel grigiore del nostro mondo insidiato dalla mediocrità spuntano
luci di speranza, luoghi d’irresistibile irradiazione della Bellezza che salva il mondo, come diceva
Dostojevski. I cristiani devono annunciare al mondo che il Vangelo non è una utopia, ma cammino verso la
vita piena; che la fede non è un fardello, un giogo che piega l’uomo, ma avventura affascinante che gli
restituisce, con la sua piena umanità, tutta la dignità e la libertà dei figli di Dio; che Cristo è l’unica risposta al
desiderio di felicità che ci portiamo nel cuore. In una parola, devono far risplendere la Bellezza che tanti
hanno incontrato proprio grazie ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità.

INTERVENTO DI S.E. MONS. JOSEF CLEMENS, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici

Dopo la relazione di S.E. Mons. Stanislaw Rylko, non resta che fornirvi alcune
informazioni complementari che aiutino a comprendere meglio la struttura
organizzativa dei prossimi eventi.

L’incontro del Papa con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sarà preceduto da
due importanti appuntamenti di preparazione: il secondo Congresso mondiale dei
movimenti ecclesiali e delle nuove comunità e le veglie di preghiera nella città di
Roma che molte di queste aggregazioni stanno organizzando per la sera del 2
giugno.

Il Congresso, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, si terrà a Rocca di Papa, presso il "Centro
Mondo Migliore" dal 31 maggio - domani - alla mattina del 2 giugno, sul tema "La bellezza di essere cristiani
e la gioia di comunicarlo", ispirato, come sapete, all’omelia della Messa di inizio del Pontificato di Papa
Benedetto XVI. S.E. Mons. Rylko ha già spiegato quale sia il senso teologico ed ecclesiale della tematica
che sarà sviluppata durante il Congresso; io vorrei sottolineare i criteri che hanno determinato la struttura dei
lavori e la scelta dei relatori.

Le tre relazioni principali saranno affidate ai Cardinali Christoph Schönborn, O.P., Marc Ouellet, P.S.S. e
Angelo Scola: a loro spetterà il compito di affrontare le questioni cristologiche ("Cristo, il più bello tra i figli di
Adamo"), ecclesiologiche ("La bellezza di essere cristiani") e pastorali ("Movimenti ecclesiali e nuove
comunità nella missione della Chiesa: priorità e prospettive"). Le tavole rotonde consentiranno di avviare un
confronto su due dimensioni fondamentali dell’azione di movimenti e nuove comunità: gli itinerari educativi e
la testimonianza della bellezza di Cristo al mondo d’oggi, grazie ai contributi di iniziatori e responsabili dei
principali movimenti e comunità, nonché di alcuni esperti in questi campi. I dibattiti e i gruppi di lavoro che
seguiranno hanno lo scopo di permettere a tutti i partecipanti di arricchire il Congresso con le loro
esperienze e riflessioni.

Abbiamo ricevuto numerosissime richieste di partecipazione, ma per ragioni logistiche il numero di


congressisti sarà stato limitato a poco più di 300, in rappresentanza di oltre 100 movimenti e nuove
comunità: più del doppio, quindi, delle realtà ecclesiali rappresentate al Congresso del ’98.

L’organizzazione delle veglie di preghiera a Roma è stata affidata all’iniziativa dei singoli movimenti e
comunità, cui abbiamo indicato un duplice fine: una preparazione spirituale per i membri delle diverse
aggregazioni all’incontro del giorno successivo con il Santo Padre e un gesto di testimonianza per l’intera
città di Roma. Il Vicariato di Roma ha messo a disposizione le Basiliche e molte chiese della città, sia in
centro che in periferia. La modalità di svolgimento delle veglie varierà molto nella forma a seconda della
spiritualità dei movimenti che le organizzano, saranno però accomunate tutte dalla gratitudine e dalla fervida
attesa per l’incontro con il Pastore universale. Avete a disposizione un elenco di queste iniziative sul sito
internet che abbiamo apprestato per facilitare l’organizzazione dell’incontro di Pentecoste (www.laici.org).

Il cuore dell’incontro con il Santo Padre, il 3 giugno, sarà la celebrazione solenne dei Primi Vespri di
Pentecoste. Tutto l’evento sarà diffuso dalla Radio Vaticana in cinque lingue e la liturgia dei Vespri sarà
trasmessa in diretta dalla Radio Televisione Italiana RAI 2.

La liturgia sarà preceduta da un programma di preparazione, fatto di preghiera e riflessione, durante il quale
si rievocherà l’analogo incontro di Giovanni Paolo II con i movimenti e le nuove comunità della Pentecoste
del ’98, si richiameranno alla memoria gli interventi in quella occasione dell’allora Cardinal Ratzinger, nonché
alcuni stralci del magistero di Benedetto XVI; saranno anche illustrati brevemente i risultati del Congresso.
Un grande coro formato dai rappresentanti delle diverse aggregazioni ecclesiali animerà questa parte
dell’incontro con i canti più significativi delle maggiori realtà presenti in Piazza San Pietro; il coro inoltre
accoglierà festosamente l’arrivo del Santo Padre e accompagnerà il Papa durante l’ampio tragitto in Piazza
San Pietro previsto perché possa salutare da vicino tutti i presenti.

Alle ore 18.00 inizierà la liturgia dei Vespri, presieduta dal Santo Padre. Il coro della Diocesi di Roma aiuterà
la numerosissima assemblea a pregare in un clima di opportuno raccoglimento: è previsto il canto dei Salmi
a cori alternati, ispirato alla tradizione gregoriana; la moltitudine radunata in Piazza San Pietro, sostenuta dal
coro dei movimenti, si alternerà salmodiando con il coro della Diocesi di Roma. Al termine di ognuno dei tre
Salmi ascolteremo una riflessione di commento di tre iniziatori o responsabili di movimenti e nuove comunità.
Dopo l’attesissima omelia del Santo padre, si procederà alla memoria liturgica del Sacramento della
Confermazione, caratterizzata dal rito del fuoco, dall’invocazione dello Spirito Santo e dalla professione di
fede. La liturgia proseguirà nel modo consueto, con il canto del Magnificat in latino. Il popolo dei movimenti e
delle nuove comunità saluterà infine il Santo Padre con i canti festosi della loro tradizione.

Attualmente abbiamo ricevuto segnalazione di oltre 250.000 partecipanti, provenienti da tutto il mondo, per
cui è prevedibile una affluenza complessiva di oltre 300.000 membri di movimenti e nuove comunità.
Accanto alla massiccia presenza dei grandi movimenti internazionali, si raccoglierà intorno al Santo Padre
tutto un ampio e diversificato mondo di aggregazioni laicali diffuse a livello nazionale o diocesano. È
senz’altro ammirevole l’entusiasmo e gli sforzi di partecipazione di tanti fedeli provenienti da paesi lontani: se
la maggioranza proverrà, com’è ovvio, dall’Italia, almeno 30.000 fedeli si stanno muovendo da tutta Europa,
e tra di essi oltre 4000 dalla Germania; aspettiamo inoltre 5000 partecipanti dall’America Latina, 450
dall’Africa, 300 dall’Asia e oltre 100 dalla Chiesa che è in Oceania, che evidentemente vive questo incontro
anche come una tappa di preparazione per la Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney, nel 2008.

Vorrei infine segnalare la buona collaborazione dimostrata dal Governo dello Stato Italiano, dal Sindaco e
dal Comune di Roma, così necessario per poter organizzazione un evento tanto impegnativo.

MOVIMENTI ECCLESIALI E NUOVE COMUNITA' PRESENTI AL CONGRESSO

(in grassetto le realtà carismatiche aderenti)

Alliance of the Holy Family International


Apostolate for Family Consecration
Association Internationale Foi et Lumière
Association Les Maisons d’Adoration
Association Saint François de Sales
Associazione “Pro Deo et Fratribus - Famiglia di Maria” (PDF-FM)
Associazione Comunità “Papa Giovanni XXIII”
Associazione Cooperatori Salesiani
Associazione Laicale Memores Domini
Associazione Silenziosi Operai della Croce (SODC)
Cammino Neocatecumenale
Carmelo Misionero Seglar (CMS)
Catholic Charismatic Renewal of New Orleans (CCRNO)
Catholic Fraternity of Covenant Charismatic Communities and Fellowships
Catholic Integrated Community (KIG)
Centro de Espiritualidad Santa María
Christian Family Movement in Slovakia
Christian Life Community - Communauté de Vie Chrétienne (CVX - CLC)
Claire Amitié
Comitato Nazionale Sloveno per la Consacrazione ai Cuori di Gesù e Maria
Communauté de l'Emmanuel et Fraternité de Jésus
Communauté des Béatitudes
Communauté du “Chemin Neuf” (CCN)
Communauté Le Verbe de Vie
Compagnia dei Tipi Loschi del beato Piergiorgio Frassati
Comunidad Adsis
Comunidad Obra de María (Opus Mariae)
Comunidade Canção Nova
Comunidades Laicas Marianistas (CLM)
Comunione e Liberazione
Comunità Cattolica Palavra Viva (Lugano)
Comunità Cattolica Shalom
Comunità dei Figli di Dio
Comunità di Sant’Egidio
Comunità Missionaria di Villaregia (CMV)
Conférence Internationale Catholique du Guidisme (CICG)
Conference of International Catholic Organisations (CICO)
Consejo Católico Carismático Latinoamericano - CONCCLAT/RCC
Cooperadores Amigonianos
Cooperatori dell’Opus Dei
Coordinamento Internazionale della Gioventù Operaia Cristiana (CIJOC)
Council of Catholic Movements in Poland
Couples for Christ (CFC)
Encounters of Married Couples
Équipes Notre-Dame (END)
Família da Esperança
Familien mit Christus
Families of Nazareth Movement
Famille Marie-Jeunesse
Federación Mundial de Adoración Nocturna a Jesús Sacramentado
Fédération Internationale des Communautés de l'Arche
Fondacio. Chrétiens pour le monde
Forum Internazionale di Azione Cattolica (FIAC)
Foyers de Charité
Franciscanos de María
Fraternidad de Agrupaciones Santo Tomás de Aquino (FASTA)
Fraternità di Comunione e Liberazione (CL)
Fraternité Charles de Foucauld (FCF)
Gioventù Ardente Mariana - GAM
Gruppo Promotore del Movimento per un Mondo Migliore (GP del MMM)
Heraldos del Evangelio (EP)
Hogares nuevos - Obra de Cristo
Institute for World Evangelisation - ICPE Mission
International Kolping Society
Istituzione Teresiana (IT)
La Dieci
Legio Mariae
Living Water Community
Madonna House Apostolate
Milicia de Santa María
Milizia dell’Immacolata (MI)
Mouvement Sève
Movimento Apostolico Regnum Christi
Movimento Contemplativo Missionario “P. de Foucauld”
Movimento dei Focolari
Movimento di Spiritualità “Vivere In”
Movimento di Vita Cristiana (MVC) + Sodalitium
Movimento Fides Vita
Movimento Giovanile Salesiano (MGS)
Movimento Luce-Vita - Ruchu Swiatlo-Zycie (RSZ)
Movimento Nazareth
Movimiento Apostólico de Schoenstatt
Movimiento Apostólico Manquehue
Movimiento de la Palabra de Dios
Movimiento de Seglares Claretianos (MSC)
Movimiento de Vida Cristiana
Movimiento Teresiano de Apostolado (MTA)
Obra de San Juan de Ávila
Opera di Maria (Movimento dei Focolari)
Opera di Nazaret (ODN)
Ordine Francescano Secolare (OFS)
Organismo Mondiale Cursillos di Cristianità (OMCC)
Pain de Vie
Points-Coeur
Rinnovamento nello Spirito Santo
Schönstatt-Frauenbund
Seguimi - Gruppo Laico di Promozione Umano-Cristiana
Servizi al Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale (ICCRS)
Servizio Missionario Giovani (SERMIG)
Talleres de Oración y Vida (TOV)
Union Internationale des Guides et Scouts d'Europe - Fédération du Scoutisme Européen
Unione Internazionale Cattolica Esperantista - IKUE
World Apostolate of Fatima
World Council of Churches (WCC)

Totale: 104 Movimenti ecclesiali e nuove Comunità

DELEGAZIONE ECUMENICA AL CONGRESSO


E ALL'INCONTRO CON IL PAPA ALLA VIGILIA DI PENTECOSTE

Sono rappresentati:

- Consiglio mondiale delle Chiese (WCC):


* Dott.ssa Mary Tanner – anglicana – una dei 9 presidenti del WCC (per l’Europa) (Inghilterra)
* Prof. Fulvio Ferrario – valdese – (WCC per l’Italia(Roma)
- Chiese ortodosse
* Mr. Cristopher D’Aloisio - Presidente del “Syndesmos” (raggruppa oltre 120 movimenti e associazioni
ortodosse del mondo) – presente il 3 giugno
- Patriarcato ortodosso di Mosca
* Dolgov Alexey – laico, membro del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di
Mosca
- Chiesa apostolica armena
* Rev.do Shahinian Aren (Milano)
- Comunione anglicana
* Sig.ra Mcnaughton Pam del Movimento Fresh Expressions (Inghilterra)
- Chiesa evangelico-luterana
* Gerhard Pross – movimento Ymca - responsabile deI Convegni periodici Responsabili Movimenti e
Comunità evangelici (Esslingen-Germania)
- Comunità di Taizé
* Fratel Andreas (Francia)
* Fratel Francis (Francia)

Cronaca delle giornate

Mercoledì 31 Maggio 2006

Celebrazione eucaristica presieduta da S. E. mons. Stanislaw


8:30
Rylko

9:30 Introduzione di mons. Stanislaw Rylko


I relazione: "Cristo, il più bello tra i figli di Adamo" – S.Em. card.
10:00
Christoph Schomborn, O.P.

10:45 Intervallo

I Tavola rotonda "L’incontro con la bellezza di Cristo. Itinerari


educativi", (6 fondatori/responsabili di Movimenti Ecclesiali e
Nuove Comunità):
• Alba Sgariglia (Movimento dei Focolari)
11:00 • Kiko Arguello (Cammino Neocatecumenale)
• Giancarlo Cesana (Comunione e Liberazione)
• Patti Gallagher Mansfield (Rinnovamento Carismatico Cattolico)
• padre Laurent Fabre (Comunità Chemin Neuf)
• Jean Vanier (Comunità dell’Arca)

12:15 Altri interventi

13:00 Pranzo

Gruppi di lavoro per aree linguistiche.


15:30 • “La maturità ecclesiale: una sfida e una via da percorrere”
• “Il carisma e l’educazione alla bellezza che è Cristo”

18:00 Resoconto dei gruppi

19:00 Vespri

19:30 Cena

Dal sito: www.korazym .org:


Pentecoste 2006: la carica dei movimenti
di Stefano Caredda/ 31/05/2006

Al via il Congresso Mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità,


sabato la grande Veglia dei 300mila con il papa. La realtà di una Chiesa varia e
multicolore: il papa ringrazia, incoraggia e ricorda il dovere dell’obbedienza.

Trecentomila persone a fare Pentecoste. Trecentomila appartenenti a gruppi


laicali, movimenti ecclesiali e nuove comunità, le realtà più dinamiche e attive
della Chiesa cattolica di oggi, chiamati a Roma, a San Pietro, per una veglia
presieduta dal papa proprio nel giorno in cui si celebra la solennità della discesa
dello Spirito Santo sugli apostoli. Un grande arcobaleno di esperienze che si
incontreranno nel pomeriggio di sabato 3 giugno, con preghiere, testimonianze e
la presenza di Benedetto XVI a partire dalle ore 17.30 e fino alle 20. Comunione e Liberazione e Focolari,
Cammino neocatecumenale e Rinnovamento nello Spirito Santo, Regnum Christi e Cursillos de Cristianidad,
Comunità di Sant’Egidio, Movimento di Schönstatt e tanti altri ancora, a rendere visibile alla città di Roma "la
bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo".

L'appuntamento di sabato sarà preceduto venerdì da una serie di incontri di preghiera realizzati nei più
disparati quartieri romani dai singoli movimenti, occasione per gli aderenti ma anche per tutti coloro che lo
vorranno (giovani e anziani, romani e turisti, stranieri e italiani) di vivere un'esperienza legata ai diversi
carismi che caratterizzano le singole realtà.

Oggi invece, a Rocca di Papa, a pochi chilometri da Roma, si è aperto il Congresso Mondiale dei Movimenti
Ecclesiali e delle Nuove comunità, che andrà avanti fino al 2 giugno con un programma fitto di incontri
finalizzati alla reciproca conoscenza delle particolarità dei singoli movimenti e alla riflessione sul ruolo da
essi giocati all'interno della Chiesa. Vi partecipano anche i cardinali Christoph Schoenborn, Marc Ouellet e
Angelo Scola. E proprio in un messaggio rivolto ai partecipanti al congresso, sono arrivate oggi le prime
parole di Benedetto XVI, alquanto significative nei contenuti e anticipatrici di quanto il papa, verosimilmente,
sceglierà di affrontare nelle parole che rivolgerà loro in piazza il 3 giugno. “Nel corso dei secoli” - scrive il
pontefice agli appartenenti ai movimenti – “il cristianesimo è stato comunicato e si è diffuso grazie alla novità
di vita di persone e di comunità capaci di rendere una testimonianza incisiva di amore, di unità e di gioia”:
ebbene, “in fondo questo vale anche per voi: attraverso i fondatori e gli iniziatori dei vostri Movimenti e
Comunità avete intravisto con singolare luminosità il volto di Cristo e vi siete messi in cammino. Anche oggi
Cristo continua a far echeggiare nel cuore di tanti quel “vieni e seguimi” che può decidere del loro destino”.

La richiesta che Benedetto XVI rivolge ai “cari amici dei Movimenti” è quella di fare in modo che “essi siano
sempre scuole di comunione, compagnie in cammino in cui si impara a vivere nella verità e nell’amore che
Cristo ci ha rivelato e comunicato”. “Portate la luce di Cristo in tutti gli ambienti sociali e culturali in cui
vivete”, dice, “illuminate l’oscurità di un mondo frastornato dai messaggi contraddittori delle ideologie!”,
“diventate costruttori di un mondo migliore”, ricordando che “non c’è bellezza che valga se non c’è una verità
da riconoscere e da seguire, se l’amore scade a sentimento passeggero, se la felicità diventa miraggio
inafferrabile, se la libertà degenera in istintività”.

Papa Ratzinger definisce i movimenti ecclesiali e le nuove comunità “segno luminoso della bellezza di Cristo
e della Chiesa”. Ringraziandoli a nome di quest’ultima per l’impegno missionario e l’azione formativa,
nonché per la promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, mette in evidenza anche
l'importanza della “disponibilità ad accogliere le indicazioni operative” del papa e dei vescovi delle chiese
locali. “Confido nella vostra pronta obbedienza”, dice, ricordando che ogni problema che sorge riguardo alla
vita di queste realtà di Chiesa “deve essere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda comunione,
in spirito di adesione ai legittimi Pastori”. Infatti, “al di là dell’affermazione del diritto alla propria esistenza,
deve sempre prevalere, con indiscutibile priorità, l’edificazione del Corpo di Cristo in mezzo agli uomini”.
Come dire, necessario mantenere le proporzioni: ogni movimento guida e conduce all’interno della Chiesa,
ma non può ad essa sostituirsi. Uno dei punti, questo, sui quali si sono concentrate le critiche maggiori, nel
corso degli anni, al fiorire di movimenti e nuove comunità.

Dei rapporti di papa Benedetto XVI con i movimenti ecclesiali aveva già parlato ieri mons. Stanislaw Rylko,
presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. “Il papa già quando era ancora cardinale vedeva nei movimenti
dei ‘modi forti di vivere la fede’" e il fatto che abbia voluto ripetere la grande esperienza che Giovanni Paolo
II decise di realizzare nel 1998 è segno che il papa “tiene in grande conto” queste realtà. E non potrebbe
essere diversamente, a guardare i numeri che fanno di questi movimenti, in intere realtà locali, un vero
motore della fede. “Nel grigiore del nostro mondo insidiato dalla mediocrità” – dice Rylko citando
Dostojevski – “spuntano luci di speranza, luoghi d'irresistibile irradiazione della Bellezza che salva il mondo”.
E pare di capire, insomma, che il ruolo e l’importanza di queste realtà sia destinato a crescere ancora.

Nota: Per il Rinnovamento nello Spirito Santo è presente il Coordinatore Nazionale Salvatore Martinez,
insieme a Corrado Di Gennaro e Lucia Alessandrini, membri del Comitato Nazionale di Servizio .

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


PER IL II CONGRESSO MONDIALE
DEI MOVIMENTI ECCLESIALI E DELLE NUOVE COMUNITÀ

Cari fratelli e sorelle,

in attesa dell'incontro previsto per sabato 3 giugno in Piazza San Pietro con gli aderenti a
più di 100 Movimenti ecclesiali e nuove Comunità, sono lieto di porgere a voi,
rappresentanti di tutte queste realtà ecclesiali, riuniti a Rocca di Papa in Congresso
Mondiale, un caloroso saluto con le parole dell'Apostolo: «Il Dio della speranza vi riempia
di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito
Santo» (Rm 15,13). É ancora vivo, nella mia memoria e nel mio cuore, il ricordo del
precedente Congresso Mondiale dei Movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma dal 26 al 29
maggio 1998, al quale fui invitato a portare il mio contributo, allora in qualità di Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, con una conferenza concernente la collocazione teologica dei Movimenti. Quel
Congresso ebbe il suo coronamento nel memorabile incontro con l'amato Papa Giovanni Paolo II del 30
maggio 1998 in Piazza San Pietro, durante il quale il mio Predecessore confermò il suo apprezzamento per i
Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità, che definì “segni di speranza” per il bene della Chiesa e degli
uomini.

Oggi, consapevole del cammino percorso da allora sul sentiero tracciato dalla sollecitudine pastorale, dall'
affetto e dagli insegnamenti di Giovanni Paolo Il, vorrei congratularmi con il Pontificio Consiglio per i Laici,
nelle persone del suo Presidente Mons. Stanislaw Rylko, del Segretario Mons. Joseph Clemens e dei loro
collaboratori, per l'importante e valida iniziativa di questo Congresso Mondiale, il cui tema – “La bellezza di
essere cristiani e la gioia di comunicarlo” - prende spunto da una mia affermazione nell'omelia di inizio del
ministero petrino. E' un tema che invita a riflettere su ciò che caratterizza essenzialmente l'avvenimento
cristiano: in esso infatti ci viene incontro Colui che in carne e sangue, visibilmente, storicamente, ha portato
lo splendore della gloria di Dio sulla terra. A Lui si applicano le parole del Salmo 44: «Tu sei il più bello tra i
figli dell'uomo». E a Lui, paradossalmente, fanno riferimento anche le parole del profeta: «Non ha apparenza
né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere» (Is 53,2). In Cristo
s'incontrano la bellezza della verità e la bellezza dell'amore; ma l'amore, si sa, implica anche la disponibilità
a soffrire, una disponibilità che può giungere fino al dono della vita per coloro che si amano (cfr Gv 15,13)!
Cristo, che è “la bellezza di ogni bellezza”, come soleva dire san Bonaventura (Serrnones dominicales 1,7),
si rende presente nel cuore dell'uomo e lo attrae verso la sua vocazione che è l'amore. E grazie a questa
straordinaria forza di attrazione che la ragione è sottratta al suo torpore ed aperta al Mistero. Si rivela così la
bellezza suprema dell'amore misericordioso di Dio e, allo stesso tempo, la bellezza dell'uomo che, creato ad
immagine di Dio, è rigenerato dalla grazia e destinato alla gloria eterna.

Nel corso dei secoli, il cristianesimo è stato comunicato e si è diffuso grazie alla novità di vita di persone e di
comunità capaci di rendere una testimonianza incisiva di amore, di unità e di gioia. Proprio questa forza ha
messo tante persone in “movimento” nel succedersi delle generazioni. Non è stata, forse, la bellezza che la
fede ha generato sul volto dei santi a spingere tanti uomini e donne a seguirne le orme? In fondo, questo
vale anche per voi: attraverso i fondatori e gli iniziatori dei vostri Movimenti e Comunità avete intravisto con
singolare luminosità il volto di Cristo e vi siete messi in cammino. Anche oggi Cristo continua a far
echeggiare nel cuore di tanti quel “vieni e seguimi” che può decidere del loro destino. Ciò avviene
normalmente attraverso la testimonianza di chi ha fatto una personale esperienza della presenza di Cristo.
Sul volto e nella parola di queste “creature nuove” diventa visibile la sua luce e udibile il suo invito.

Dico pertanto a voi, cari amici dei Movimenti: fate in modo che essi siano sempre scuole di comunione,
compagnie in cammino in cui si impara a vivere nella verità e nell'amore che Cristo ci ha rivelato e
comunicato per mezzo della testimonianza degli Apostoli, in seno alla grande famiglia dei suoi discepoli.
Risuoni sempre nel vostro animo l'esortazione di Gesù: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Portate la
luce di Cristo in tutti gli ambienti sociali e culturali in cui vivete. Lo slancio missionario è verifica della
radicalità di un'esperienza di fedeltà sempre rinnovata al proprio carisma, che porta oltre qualsiasi ripiego
stanco ed egoistico su di sé. Illuminate l'oscurità di un mondo frastornato dai messaggi contraddittori delle
ideologie! Non c'è bellezza che valga se non c'è una verità da riconoscere e da seguire, se l'amore scade a
sentimento passeggero, se la felicità diventa miraggio inafferrabile, se la libertà degenera in istintività.
Quanto male è capace di produrre nella vita dell'uomo e delle nazioni la smania del potere, del possesso, del
piacere! Portate in questo mondo turbato la testimonianza della libertà con cui Cristo ci ha liberati (cfr Gal
5,1). La straordinaria fusione tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo rende bella la vita e fa rifiorire il
deserto in cui spesso ci ritroviamo a vivere. Dove la carità si manifesta come passione per la vita e per il
destino degli altri, irradiandosi negli affetti e nel lavoro e diventando forza di costruzione di un ordine sociale
più giusto, il si costruisce la civiltà capace di fronteggiare l'avanzata della barbarie. Diventate costruttori di un
mondo migliore secondo l'ordo amoris in cui si manifesta la bellezza della vita umana.

I Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità sono oggi segno luminoso della bellezza di Cristo e della Chiesa,
sua Sposa. Voi appartenete alla struttura viva della Chiesa. Essa vi ringrazia per il vostro impegno
missionario, per l'azione formativa che sviluppate in modo crescente sulle famiglie cristiane, per la
promozione delle vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita consacrata che sviluppate al vostro interno.
Vi ringrazia anche per la disponibilità che dimostrate ad accogliere le indicazioni operative non solo del
Successore di Pietro, ma anche dei Vescovi delle diverse Chiese locali, che sono, insieme al Papa, custodi
della verità e della carità nell'unità. Confido nella vostra pronta obbedienza. Al di là dell'affermazione del
diritto alla propria esistenza, deve sempre prevalere, con indiscutibile priorità, l'edificazione del Corpo di
Cristo in mezzo agli uomini. Ogni problema deve essere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda
comunione, in spirito di adesione ai legittimi Pastori. Vi sostenga la partecipazione alla preghiera della
Chiesa, la cui liturgia è la più alta espressione della bellezza della gloria di Dio, e costituisce in qualche
modo un affacciarsi del Cielo sulla terra.

Vi affido all'intercessione di Colei che invochiamo come la Tota pulchra, la "Tutta bella", un ideale di bellezza
che gli artisti hanno cercato sempre di riprodurre nelle loro opere, la «Donna vestita di sole» (Ap 12,1) in cui
la bellezza umana si incontra con la bellezza di Dio. Con questi sentimenti a tutti invio, quale pegno di
costante affetto, una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 22 Maggio 2006

Benedetto XVI

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 31 maggio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso introduttivo
con cui monsignor Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio dei Laici, ha aperto questo mercoledì i lavori
del II Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità, che si svolge a Rocca di Papa dal 31
maggio al 2 giugno. Precedentemente monsignor Josef Clemens, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, aveva
dato lettura del lungo messaggio autografo inviato da Benedetto XVI per questa occasione.

INTRODUZIONE DI S. E. MONS. STANISLAW RYLKO

Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

Cari Amici,

1. Con il cuore colmo di gratitudine per la comunione che abbiamo vissuto attorno
all’altare del Signore, vi dò il mio caloroso benvenuto al II Congresso mondiale dei
movimenti ecclesiali e delle nuove comunità organizzato dal Pontificio Consiglio per i
Laici, il dicastero che ho l’onore di presiedere. Voi rappresentate qui il grande popolo
dei movimenti che con generosità, gioia e passione serve ormai in tutti i continenti la
missione della Chiesa. E provenite da un centinaio di movimenti ecclesiali e nuove
comunità (un numero quasi doppio rispetto alla prima edizione del Congresso), che
sono espressione concreta della straordinaria ricchezza “carismatica” della Chiesa del
nostro tempo e un messaggio forte di speranza. Saluto con riconoscenza i nostri ospiti, che con la loro
partecipazione danno grande lustro al Congresso: gli Eminentissimi Signori Cardinali, gli Eccellentissimi
Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici. Saluto cordialmente i rappresentanti dei dicasteri della
Curia Romana. Saluto i delegati fraterni di altre Chiese e Comunioni cristiane, la cui presenza ci è
particolarmente cara. Respiriamo già il clima della Pentecoste, e quando soffia lo Spirito cresce e si rafforza
dentro di noi il desiderio dell’unità. E saluto tutti coloro che si sono assunti l’onere delle relazioni o degli
interventi nelle tavole rotonde, ringraziandoli di cuore sin d’ora. A tutti voi dico con le parole di Paolo:
«Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!» (2Cor 1, 2).

Apriamo i lavori di questo Congresso in profonda comunione con il Successore di Pietro, papa Benedetto
XVI, al quale esprimiamo affetto filiale e viva gratitudine per il messaggio così denso di contenuti con cui ha
voluto rendersi presente tra noi, dando un solido orientamento alla nostra riflessione. Un gesto, che è segno
ulteriore della sua paterna attenzione nei confronti di queste nuove realtà aggregative nelle quali egli ravvisa
«modi forti di vivere la fede», frutto di «sempre nuove irruzioni dello Spirito Santo» per rispondere alle sfide
che il mondo lancia alla missione della Chiesa. La persona del Successore di Pietro ci richiama già all’inizio
di questo Congresso alla necessità di aprirci all’orizzonte della Chiesa universale, facendoci carico, oltreché
delle sue gioie e delle sue speranze, dei difficili problemi che l’affliggono. Nel corso di queste giornate il
nostro sentire cum Ecclesia dovrà essere dunque particolarmente intenso e trovare espressioni concrete.

Nella stupenda manifestazione della multiforme varietà dei doni dello Spirito Santo alla Chiesa di oggi, in
queste giornate noi faremo di nuovo l’esperienza della loro profonda unità nella comunione ecclesiale, di
quella misteriosa dinamica di cui san Paolo scrive: «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito;
vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che
opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune»
(1Cor 12, 4-7). In questa “scuola” di comunione proiettata verso la missione, noi renderemo grazie al
Signore per i frutti di santità e di dinamismo evangelizzatore che questi carismi – cifra di una primavera della
fede – generano nella vita di singoli battezzati e di comunità cristiane sparse nel mondo intero. Soprattutto –
e ciò ricapitola la ragione ultima di questo secondo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle
nuove comunità – ci porremo all’ascolto di ciò che il Signore ci chiede qui e ora (cfr. Ap 2, 7). Nella
imminenza della solennità di Pentecoste la nostra memoria fluisce verso quel cenacolo dove duemila anni fa
gli apostoli erano riuniti in preghiera insieme a Maria. Sia il nostro Congresso come un cenacolo dal quale
s’innalza la nostra preghiera a Dio affinché scenda lo Spirito e rinnovi la faccia della Terra.

2. Per leggere il significato pieno di questo Congresso è necessario tornare con la memoria alla sua prima
edizione, svoltasi nel maggio del 1998. Un evento che ha segnato profondamente la vita dei movimenti,
dando solide fondamenta teologiche alla loro identità ecclesiale e aprendo orizzonti nuovi e affascinanti alla
loro missione nella Chiesa. Vale qui la pena rileggere alcuni stralci tra i più significativi del messaggio che il
servo di Dio Giovanni Paolo II inviò ai partecipanti in quella occasione. Scriveva: «[I movimenti]
rappresentano uno dei frutti più significativi di quella primavera della Chiesa già preannunciata dal Concilio
Vaticano II, ma purtroppo non di rado ostacolata dal dilagante processo di secolarizzazione. La loro
presenza è incoraggiante perché mostra che questa primavera avanza, manifestando la freschezza
dell’esperienza cristiana fondata sull’incontro personale con Cristo». E ancora: «La vostra stessa esistenza è
un inno all’unità nella pluriformità voluta dallo Spirito e ad essa rende testimonianza. Infatti, nel mistero di
comunione del Corpo di Cristo, l’unità non è mai piatta omogeneità, negazione della diversità, come la
pluriformità non deve diventare mai particolarismo o dispersione. Ecco perché ognuna delle vostre realtà
merita di essere valorizzata per il peculiare contributo che apporta alla vita della Chiesa». E infine la frase
che tocca il punto essenziale dell’identità ecclesiale dei movimenti: «Più volte ho avuto modo di sottolineare
come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione
carismatica, di cui i Movimenti sono un’espressione significativa. Ambedue sono co-essenziali alla
costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero
di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo». Parole entusiasmanti e impegnative che hanno mantenuto
intatta, attraverso gli anni, la forza di ispirare e orientare la vita di movimenti e comunità.

Un’altra voce, a quel primo Congresso, ha lasciato una impronta indelebile nella vita di queste nuove realtà
ed è stata la voce dell’allora cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph
Ratzinger. Benedetto XVI segue da molti anni, con passione di teologo e di pastore, i movimenti ecclesiali e
le nuove comunità dei quali è sempre stato interlocutore attento e con i quali ha instaurato nel tempo un
rapporto di vera amicizia. Il cardinale Ratzinger aprì i lavori del Congresso con una conferenza sulla
collocazione teologica dei movimenti, una lezione di straordinario spessore teologico e di forte valenza
pastorale che fu accolta dai partecipanti con calorose espressioni di gratitudine. Nelle sue magistrali parole,
infatti, essi avevano visto riflessa e confermata la loro esperienza di fede, la loro identità ecclesiale più
profonda. Negli anni difficili del post-Concilio – diceva il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede – quando in molti parlavano di “inverno” nella Chiesa, «ecco, all’improvviso, qualcosa che nessuno
aveva progettato. Ecco che lo Spirito Santo[...] aveva chiesto di nuovo la parola. E in giovani uomini e in
giovani donne risbocciava la fede, senza “se” né “ma”, senza sotterfugi né scappatoie, vissuta nella sua
integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere». Per impostare correttamente il discorso
teologico sui movimenti ecclesiali, secondo il cardinale Ratzinger, non basta la dialettica dei principi:
istituzione e carisma, cristologia e pneumatologia, gerarchia e profezia, perché la Chiesa non è edificata
dialetticamente, ma organicamente. La via giusta da seguire è quella dell’approccio storico, risalendo
all’apostolicità. È la missione a costituire la base teologica dei movimenti nella Chiesa. Una missione che
oltrepassa i confini delle Chiese locali per arrivare “fino ai confini della terra”e che costituisce il vincolo che li
unisce al ministero del Successore di Pietro. Diceva il cardinale Ratzinger: «Il papato non ha creato i
movimenti, ma è stato il loro essenziale sostegno [...], il loro pilastro ecclesiale. [...] Il Papa ha bisogno di
questi servizi, e questi hanno bisogno di lui, e nella reciprocità delle due specie di missione si compie la
sinfonia della vita ecclesiale». Il fenomeno dei movimenti è una costante nella storia della Chiesa. E la sua
interessante rassegna dimostra come essi diano forma ai tempestivi interventi dello Spirito Santo in
«risposta [...] alle mutevoli situazioni in cui viene a trovarsi la Chiesa». L’appassionante lezione si
concludeva con alcune considerazioni di carattere pastorale, pratici criteri di discernimento per mettere in
guardia, da un lato queste nuove realtà contro i rischi che derivano da una condizione ancora per certi versi
“adolescenziale”, quali forme a volte eccessive di esuberanza, unilateralità di vario tipo, erronee
assolutizzazioni. E, dall’altro, i Pastori che invita a «non [...] indulgere ad alcuna pretesa di uniformità
assoluta nella organizzazione e nella programmazione pastorale [perché] – diceva – meglio meno
organizzazione e più Spirito Santo». A entrambe le parti, quindi, egli rivolgeva il pressante appello a lasciarsi
educare e purificare dallo Spirito. A rileggerle oggi, queste parole si caricano di tutta l’autorevolezza di
Pietro. Eletto papa, Benedetto XVI continua a guardare con grande sollecitudine ai movimenti ecclesiali e
alle nuove comunità, a proposito dei quali nell’agosto dello scorso anno a Colonia diceva: «La Chiesa deve
valorizzare queste realtà e al contempo deve guidarle con saggezza pastorale, affinché contribuiscano nel
modo migliore, con i loro diversi doni all’edificazione della comunità [...] Le Chiese locali e i movimenti non
sono in contrasto tra loro, ma costituiscono la struttura viva della Chiesa».

L’eredità dottrinale e pastorale che ci viene dal primo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e della
nuove comunità – dove sono risuonate le voci di due Papi – è un vero tesoro al quale attingere in
abbondanza durante i nostri lavori.

3. Ai movimenti ecclesiali riuniti in Piazza San Pietro il 30 maggio 1998, Giovanni Paolo II ha dato una
consegna impegnativa: perseguire la maturità ecclesiale. «Oggi – diceva – dinanzi a voi si apre una tappa
nuova: quella della maturità ecclesiale. Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti. È piuttosto una
sfida. Una via da percorrere. La Chiesa si aspetta da voi frutti “maturi” di comunione e di impegno». È
dunque opportuno fare un bilancio del nostro cammino negli otto anni trascorsi da allora. Una valutazione
che, nel corso del Congresso, costituirà il leit-motiv dei gruppi di lavoro.

La bussola sicura per orientarsi verso questa meta sempre da perseguire continua a essere per movimenti e
nuove comunità il magistero del Concilio Vaticano II. L’8 dicembre dell’anno passato, nella festa
dell’Immacolata, abbiamo celebrato il 40° anniversa rio della chiusura di quell’assise provvidenziale, che è
stata per la Chiesa una rinnovata Pentecoste. Questo Congresso è allora occasione propizia per innalzare
insieme a Dio il nostro rendimento di grazie per il dono del Concilio, di cui proprio i movimenti e le nuove
comunità costituiscono uno dei frutti più preziosi; per la teologia del laicato sviluppata dal Vaticano II; per la
rinnovata valorizzazione del Battesimo e del sacerdozio comune dei fedeli che da esso è derivata; per la sua
ecclesiologia pneumatologica che mette in risalto l’importanza dei carismi nella vita della Chiesa e dei singoli
cristiani; per il suo richiamo alla vocazione universale alla santità nella Chiesa; per aver reso accessibile a
tutti il mistero affascinante della Chiesa come comunione missionaria. Di tutto ciò, il popolo di Dio è debitore
verso il Concilio. E l’unico modo di saldare questo debito è l’impegno ad assimilarne fino in fondo
l’insegnamento, un compito che si ripropone a ogni nuova generazione di cattolici.

Il primo segno eloquente della maturità ecclesiale dei movimenti, come diceva Giovanni Paolo II, è il senso
della comunione. Una comunione sempre più salda con il Papa e con i pastori, entro la quale condividere le
loro ricchezze carismatiche, e una comunione fraterna tra le diverse realtà aggregative, chiamate ad aprirsi a
una sempre più profonda conoscenza reciproca e a collaborare in progetti comuni. È confortante constatare
che in questo senso si sta vivendo una stagione molto promettente. E ciò vale anche per l’accoglienza
paterna e cordiale che i pastori in numero crescente vanno riservando ai movimenti nelle rispettive Chiese
particolari, vedendo in essi un dono dello Spirito e non più una fastidiosa intrusione come a volte è stato il
caso. Sono certo che il nostro Congresso darà un valido contributo al rafforzamento di queste tendenze,
dando la rotta per scansare il rischio di collisioni che nuocciono alla causa del Vangelo.

Il secondo indice di maturità ecclesiale per movimenti e nuove comunità è l’impegno missionario. Ed essi
rendono effettivamente un grande servizio alla missione evangelizzatrice della Chiesa. La loro forza di
risvegliare nelle persone slancio e coraggio missionario è stupefacente. Come stupefacente è la loro
“fantasia missionaria”, la capacità di trovare vie sempre nuove per far giungere l’annuncio di Cristo al cuore
degli uomini del nostro tempo. I carismi dai quali sono nate queste realtà generano itinerari pedagogici di
iniziazione cristiana di straordinaria forza persuasiva e percorsi di educazione cristiana che portano a vivere
la fede con radicalismo evangelico e a un impegno missionario alimentato da una solida e profonda
spiritualità. Una dimensione da coltivare perché l’opera di evangelizzazione non venga inquinata dalla
tentazione di un superficiale attivismo, e alla quale il nostro Congresso darà tutta l’attenzione che merita.

C’è un altro aspetto sul quale vale la pena soffermarsi nel delineare i tratti costitutivi della vera maturità di
movimenti ecclesiali e nuove comunità, ed è il giusto significato da attribuire a questo termine. La maturità –
che è meta verso la quale camminare costantemente – pur legata al passare del tempo, non ha nulla a che
vedere con il grigiore di uno spirito invecchiato, non più capace di passione. Essa rappresenta, al contrario,
lo sviluppo pieno della gioia del cuore, dell’entusiasmo, dello slancio, del coraggio, della capacità di
scommettere tutto sul Vangelo... Questa giovinezza dello spirito – dono che a movimenti e nuove comunità
viene dall’Alto – è frutto della loro quotidiana fedeltà, sia a livello individuale sia a livello comunitario, al
carisma che li ha originati. Ed è richiamo a una costante metánoia, alla conversione del cuore. La fedeltà al
carisma va più che mai salvaguardata nella fase di ricambio generazionale che interessa attualmente non
pochi movimenti anche a livello di responsabili. Arriva una nuova generazione di cristiani che ha alle spalle
esperienze esistenziali, culturali ed ecclesiali diverse da quella precedente. Come passare loro il carisma del
movimento in tutta la sua freschezza e la sua forza spirituale? Come superare stanchezza e routine?
Nell’Apocalisse, san Giovanni dà una indicazione preziosa, quando all’angelo della Chiesa di Èfeso scrive:
«Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza [...] Sei costante e hai molto sopportato per il mio
nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque
da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima» (Ap 2, 3-4). L’amore di prima. Per movimenti e
nuove comunità, maturità ecclesiale vuol dire anche non lasciare che si affievolisca l’amore degli inizi, la
passione originaria per il proprio carisma, malgrado la fatica, le difficoltà e le inevitabili prove che la vita
sempre ci riserva.

4. Passiamo ora al tema del nostro Congresso: “La bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo”,
ispirato alle parole pronunciate da Benedetto XVI il giorno di inizio del suo ministero petrino. Diceva il Papa:
«Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente più bello
che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui». Mettendo in risalto la centralità della persona di
Cristo nella vita cristiana, queste parole svelano al tempo stesso il segreto più profondo della sua potente
forza attrattiva nei confronti del cuore umano: la bellezza. Oggi, quello della bellezza è un tema scottante. Il
mondo che ci circonda è un mondo dominato dal culto del brutto, soggiogato dalla forza aggressiva di false
bellezze che traggono in inganno molti, rendendoli schiavi e prigionieri della menzogna. Nella nostra epoca è
stato soprattutto Hans Urs von Balthasar, con la sua grandiosa opera di “estetica teologica”, ad aiutare il
pensiero cristiano a riscoprire nel bello una categoria determinante per la vita dei battezzati. Scrive il teologo
svizzero: «In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e
l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma
che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione,
l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto [...] In un mondo che non si crede più capace di affermare il
bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica [...] Il processo
che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non
conclude più». Quella della bellezza è perciò questione seria; la bellezza non riguarda soltanto l’aspetto
esteriore né è a esso riducibile.

La dimensione della bellezza è fondamentale per il nostro essere cristiani, come sa bene chi nella propria
vita ha incontrato Cristo. Secondo lo stesso von Balthasar, nell’esperienza dell’incontro con il mistero di
Cristo è l’“essere rapiti” dalla sua bellezza a segnare l’inizio della sequela del Maestro: «L’essere trasportato
[rapito] è l’origine del cristianesimo. Gli apostoli sono trasportati da ciò che vedono, ascoltano e toccano, da
ciò che si rivela nella forma; Giovanni (soprattutto egli, ma anche gli altri) descrive sempre nuovamente
come nell’incontro, nel dialogo, la forma di Gesù acquista risalto, si delineano in maniera inconfondibile i suoi
contorni e come all’improvviso ed in maniera inesprimibile il lampo dell’incondizionato guizzi e butti a terra
nell’adorazione l’uomo, per ricrearlo come credente alla sequela del Cristo». E qui vengono in mente le
parole del profeta Geremia: «Mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai
prevalso» (Ger 20, 7). Nei giorni che ci attendono siamo dunque chiamati a confrontarci con la bellezza di
Cristo, personalmente e come movimenti. Siamo chiamati a porre Cristo al centro delle nostre riflessioni e a
non farne un pretesto per parlare d’altro. E siamo chiamati a ravvivare dentro di noi lo stupore, quel moto
dell’animo che solo consente di riconoscere il suo mistero. Ma in che cosa consiste questa singolare
bellezza che ha attratto lungo la storia schiere innumerevoli di persone, trasformandone radicalmente
l’esistenza? Il cardinale Ratzinger lo illustrava magistralmente, mettendo a confronto due testi biblici riferiti
alla persona di Gesù: il Salmo 45 (44) – «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la
grazia» – e la profezia di Isaia: «Non ha bellezza né apparenza, l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal
dolore» (Is 53, 2). Joseph Ratzinger trova la spiegazione di questo paradosso nel cuore del mistero
pasquale, dove «l’esperienza del bello ha ricevuto una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la
Bellezza stessa si è lasciato colpire in volto, sputare addosso, incoronare di spine [...] Ma proprio in questo
Volto così sfigurato appare l’autentica, estrema bellezza: la bellezza dell’amore che arriva “sino alla fine”». È
per questo che, egli aggiunge, «l’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più
reale e più profonda della mera deduzione razionale». Al riguardo vale la pena ricordare pure le parole che il
giovane Karol Wojtyla faceva dire a fratel Alberto – pittore fattosi frate per servire i poveri – il quale di fronte
all’immagine dell’Ecce Homo, prega così: «Sei tuttavia terribilmente diverso da Colui che sei. Ti sei affaticato
molto per ognuno di loro. Ti sei stancato mortalmente. Ciò si chiama misericordia. Eppure sei rimasto bello. Il
più bello dei figli dell’uomo. Una bellezza simile non si è mai più ripetuta. O, come difficile è questa bellezza,
come difficile. Tale bellezza si chiama misericordia».

Come trasmettere questa Bellezza al mondo di oggi? Perché è questa la sfida da raccogliere. Scriveva
Giovanni Paolo II: «Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti
di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”». Noi cristiani abbiamo
l’enorme responsabilità di non deformare, non falsificare, non offuscare, non nascondere, ma – al contrario –
di far brillare con la nostra vita la bellezza di Cristo, la bellezza della fede, la bellezza della Chiesa, la
bellezza delle nostre comunità cristiane, la bellezza delle nostre famiglie cristiane... Alla domanda su quale
fosse la cosa più importante che avrebbe voluto trasmettere ai giovani convenuti a Colonia per la ventesima
Giornata mondiale della gioventù, papa Benedetto XVI ha risposto senza indugi: «Vorrei far capire loro che
essere cristiani è bello!», una frase che è divenuta quasi un motto del suo pontificato. E la via di questa
bellezza, come egli ci ha spiegato nella Deus caritas est, la sua prima lettera enciclica, è la via dell’amore
che diventa dono incondizionato di sé all’altro.

L’esperienza della bellezza di essere cristiani ha trovato e trova ai nostri giorni un terreno particolarmente
fertile nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità. Non certo per meriti umani, ma per i doni di grazia
che sono i loro carismi essi riescono a far germogliare veri fiori di bellezza nella vita di uomini e donne
cristiani, che con la loro testimonianza lanciano una provocazione all’indifferenza, al grigiore e alla
mediocrità dell’esistenza di tanti, accendendo in loro il desiderio di qualcosa di diverso, di più bello, di più
vero. Ed è proprio questa la vocazione di movimenti e comunità: essere segno di contraddizione, sale della
terra, luce del mondo (cfr. Mt 5, 13-16), annunciando agli uomini nostri contemporanei che il Vangelo non è
una utopia, ma cammino verso la vita piena, e che essere cristiani è bello, un’avventura affascinante che dà
gioia e felicità. Lo stesso discorso sulla maturità ecclesiale dei movimenti trova qui la sua chiave di lettura
per eccellenza. Misura ultima del nostro essere cristiani e modello con il quale confrontarci in continuazione
è infatti nientemeno che la persona di Cristo, “il più bello tra i figli dell’uomo”. Facendo parlare Cristo, Pascal
scrive con parole dense di misticismo: «Non ti paragonare agli altri ma a me. Se in coloro con cui ti confronti
non trovi me, ti confronti con un essere abominevole. Se tu trovi me, confrontati. Ma che cosa paragonerai?
Te, o me in te? Se sei tu, si tratta di un essere abominevole. Se sono io, confronti me con me. Ora, in tutto io
sono Dio».

5. Il nostro Congresso, come sapete, avrà il suo culmine nell’incontro dei movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità con papa Benedetto XVI in Piazza San Pietro il 3 giugno prossimo, nella cornice della celebrazione
dei Vespri della solennità di Pentecoste. È un importante segnale di continuità che il Papa ha voluto dare,
convocando movimenti e comunità nelle stesse circostanze del loro indimenticabile incontro con Giovanni
Paolo II, il 30 maggio 1998. Il Santo Padre ha espresso questo suo desiderio nel corso della prima udienza
ufficiale che mi ha concesso come presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Era il 14 maggio 2005. Per
una coincidenza davvero sorprendente, la vigilia di Pentecoste! L’invito del Papa è stato accolto con grande
gioia, entusiasmo e gratitudine da tutti i movimenti, che hanno aderito con slancio e generosità all’itinerario
di preparazione dell’evento, immediatamente avviato dal Dicastero. Una delle tappe salienti di questa
preparazione è stato il primo Congresso dei movimenti e delle nuove comunità dell’America Latina,
organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici in collaborazione con il CELAM e svoltosi a Bogotá, in
Colombia nei giorni 9-12 marzo di quest’anno sul tema: “Discepoli e missionari di Cristo oggi”. È stato un
avvenimento ecclesiale davvero importante, specialmente in vista della V Conferenza dell’episcopato latino-
americano prevista per l’anno prossimo.

Movimenti ecclesiali e nuove comunità attendono con grande gioia l’incontro con il Successore di Pietro, per
loro punto di riferimento in certo senso costituivo, dal punto di vista ecclesiale. Siamo certi, che anche
questo nuovo incontro segnerà una importante pietra miliare nella vita dei movimenti e nella vita della
Chiesa dei nostri tempi.

Concludo, esprimendo la gioia del Pontificio Consiglio per i Laici, che in occasioni come questa, realizza
concretamente la missione affidatagli dal Papa di essere “casa comune” per tutti i movimenti ecclesiali e le
nuove comunità, nonché di essere espressione della sua paternità nei loro confronti. Auguro a tutti buon
lavoro. Che il tempo che passeremo insieme durante questo Congresso sia per tutti noi dono di una
rinnovata grazia di Pentecoste!

1. J. RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del millennio, Edizioni San Paolo, Milano 1997, p. 18.
2. J. RATZINGER, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in: I movimenti nella Chiesa, a cura del Pontificium Consilium
pro Laicis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, p. 15.
3. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, "L'Osservatore Romano", 28
maggio 1998, p. 6.
4. J. RATZINGER, I movimenti e la loro collocazione teologica, cit., p. 24.
5. Ibidem, p. 39 e 46.
6. Ibidem, p. 46.
7. Ibidem, p. 50.
8. Cfr. ibidem, p. 49.
9. BENEDETTO XVI, Discorso ai presuli della Conferenza Episcopale Tedesca, "L'Osservatore Romano", 24 agosto 2005, p. 5.
10. GIOVANNI PAOLO II, Discorso in occasione dell'Incontro con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, in: I movimenti nella
Chiesa, cit. p. 222.
11. Cfr. A. CATTANEO, Unità e varietà nella comunione della Chiesa locale, Marcianum Press 2006, pp. 215-219.
12. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Seminario "I movimenti ecclesiali nella sollecitudine pastorale dei vescovi",
in: I movimenti ecclesiali nella sollecitudine pastorale dei vescovi, a cura del Pontificium Consilium pro Laicis, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2000, pp. 15-19.
13. BENEDETTO XVI, Omelia di inizio del ministero petrino, "L'Osservatore Romano", 25 aprile 2005, p. 5.
14. H.U. VON BALTHASAR, Gloria, vol. I: La percezione della forma, trad. it. di G. Ruggieri, Jaca Book, Milano 1975, p. 11.
15. Ibidem, pp. 23-24.
16. J. RATZINGER, La Bellezza. La Chiesa, Libreria Editrice Vaticana e ITACA, Roma 2005, p. 23.
17. Ibidem, p. 17.
18. K. WOJTYLA, Fratello del nostro Dio, in: Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, p. 688.
19. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, n. 16.
20. BENEDETTO XVI, Intervista a Radio Vaticana, 16 agosto 2005.
21. B. PASCAL, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, n. 756.
Cristo, il più bello degli uomini
Card. Christoph Shoenborn, arcivescovo di Vienna

La prima delle tre relazioni fondamentali

Là dove vi è Cristo, vi è la bellezza”. “Là dove il cuore, la vita si apre a Cristo, la


bellezza si riversa, come una corrente vivificante, su un mondo avvilito dal peccato,
sfigurato dal male. E questo si verifica dopo 2000 anni. Lo ha affermato il card.
Schoenborn nella sua densa relazione. “Il significato profondo di questo convegno in
preparazione all’incontro di Pentecoste – ha detto – sta proprio nel vedere come i
semi della bellezza gettati da Cristo, crescono e portano frutto”.

Cristo è la Bellezza – E’ questa la forte affermazione al centro della relazione. Ne


riportiamo integralmente alcuni passaggi:

“Il vero, il buono, il bello, non sono attributi esteriori a Dio, ma coincidono con l’essere stesso di Dio. Dio è la
Verità, il Bene, l’Amore, la Bellezza”.

“Tutta la bellezza creata è una partecipazione alla bellezza infinita dell’”essere” di Dio. Se questo è vero,
bisogna fare un passo ulteriore e dire che il Verbo, facendosi carne, ha, per così dire, “incarnato” la bontà e
l’amore, la verità e la bellezza infinita di Dio. Cristo è ‘il più bello dei figli degli uomini non a motivo di qualità
estetiche particolari, ma perché è la bellezza incarnata di Dio. Tutto il suo essere è amore e verità, bontà e
bellezza. Cristo è lo splendore della verità, lo splendore della bontà”.

“Cristo, con la sua incarnazione, ha portato un nuovo ‘canone della Bellezza’. Non ha soltanto ristabilito la
bellezza originale della creazione, perduta e profanata dal peccato e dal male, ma ha portato, nella sua
persona, la sorgente di tutta la bellezza. Da lui si espande sul mondo l’acqua viva della bellezza. E tutte la
bellezza del mondo, sia quella della natura che della virtù o dell’arte, sono irradiazione della sua Bellezza”.

Cristo ci porta sulla via della sua bellezza – La bellezza divina di Cristo è dunque “resa accessibile dalla sua
incarnazione”. Aprirsi a Cristo è permettere che un flusso vitale di bellezza si riversi sul mondo avvilito dal
peccato, sfigurato dal male – ha ancora detto il card. Shoenborn. Ed ha indicato nella santità il frutto più
prezioso della bellezza di Cristo: “Non c’è niente di più bello al mondo che la santità. Dei santi si può dire
quanto l’epistola agli ebrei afferma di Cristo: sono come ‘l’irradiazione della gloria di Dio’”.

L’arcivescovo di Vienna non ha mancato di delineare un altro volto di Cristo, quello descritto dai salmi: il
volto dell’uomo del dolore, abbandonato dagli uomini, oggetto di scherno, quel volto senza bellezza che non
attira lo sguardo. E’ il volto del crocefisso. Ma proprio dalla croce si sprigiona un’altra bellezza, quella della
misericordia, di quell’amore che ha fatto dire a San Paolo: “Non conosco che Cristo e Cristo Crocefisso”.
“Cristo era dunque bello in cielo e sulla terra, nel seno di sua madre e quand’era stretto tra le sue braccia,
bello sul legno della croce, e quando è asceso al Cielo”.

Il card. Shoenborn ha poi parlato della bellezza nascosta del Cristo, presente nei sacramenti. “A noi andarlo
a cercare per trovare la sorgente viva nel deserto del nostro tempo”.

(il testo è in francese: Le Christ – le plus beau des hommes)

Frères et sœurs en Jésus Christ !

Nous nous préparons à la Pentecôte. Nous implorons la venue du Saint Esprit, Âme de l’Église et donateur
de Vie (cf. CEC ). En plus, c’est aujourd’hui la fête de la Visitation de Marie auprès d’Élisabeth. Avec elle
nous sommes invités à “méditer dans notre cœur” tous ces évènements dont le centre est le mystère du
Christ (cf. Lc 2, 19-51).
Je commence notre méditation avec un regard sur la fête de l’Ascension que nous venons de célébrer il y a
six jours. Aux “hommes de Galilée” qui n’arrivent pas à détacher leur regard de la nuée qui cache Jésus en
l’emportant, les anges disent : « Celui qui vous a été enlevé, ce même Jésus reviendra comme cela, de la
même manière, dont vous l’avez vu partir vers le ciel » (Ac 1, 11).

Il y a plus de 30 ans, - que le temps passe vite, et que la vie est brève !- je notais dans mon livre “L’Icône du
Christ” au sujet de cette parole des anges : « Cette promesse du retour de ‘ce même Jésus, de la même
manière, cette promesse confie à l’Église le soin de garder vivant le souvenir de sa Sainte Face, du visage
de Celui qui, depuis, intercède pour nous auprès de son Père et notre Père. Cette promesse l’incite à
confesser sa foi en l’avènement ultime du Seigneur. Or, l’icône est cette confession. Elle est le moyen terme,
pour ainsi dire, entre l’Incarnation et l’Eschatologie puisqu’elle confesse la vérité des deux. Confessant en un
même mouvement l’identité de Jésus de Nazareth, le Verbe incarné, et celle de son Seigneur qui reviendra
juger les vivants et les morts, l’icône a sa place au cœur de la confession de foi de l’Église. Elle en est
comme le résumé » (L’icône du Christ, Paris 20034, 139).

L’icône du Christ : pour beaucoup de Chrétiens, la tradition orientale de l’icône, de sa peinture, de sa


spiritualité, est devenue comme un point de ralliement, un point de rencontre pour tous les chrétiens. L’icône
est quasi omniprésente dans l’Église, de l’Orient et de l’Occident. Son langage, sa symbolique, son
rayonnement semble bien toucher les cœurs de beaucoup de nos contemporains. On s’est souvent
interrogé pourquoi, de nos jours, l’art de l’icône a pu acquérir ce statut d’une expression privilégiée de la foi
chrétienne.

Il peut y avoir un aspect de “mode” (que certains orthodoxes reprochent aux chrétiens d’occident, ayant
l’impression que leur tradition orientale soit “utilisée” abusivement par les occidentaux). Je pense qu’il y a
quelque chose de plus profond. Le sensus fidei reconnaît dans la tradition iconique de l’Orient une sorte
d’expression “canonique” de notre foi, une expression qui dépasse les modes et les fluctuations culturelles
du langage artistique chrétien. L’icône n’est pas à-temporelle, elle connaît des variations stylistiques, des
écoles, des “colorations culturelles”, elle n’est pas statique et immobile, comme on le lui a souvent reproché.
Quel est donc le secret de son attrait, la clef de compréhension de son mystère, et la raison de sa grande
stabilité d’expression ?

Je pense que la raison ultime en est le Mystère du Christ lui-même, Verbe Incarné, Dieu fait homme, devenu
“circonscriptible”, comme l’aime dire les saints défenseurs des images, S. Théodore le Studite et S.
Nicéphore de Constantinople. Au-delà de toutes les influences culturelles, des attaches à des traditions
iconographiques préchrétiennes, des variations artistiques il y a un fond commun, une source unique de l’art
de l’icône : c’est le mystère de la Sainte Face du Christ Jésus.

Il y a ce visage unique, il y a ce Jésus que les apôtres ont connu, avec qui ils ont mangé et bu, qu’ils ont vu
transfiguré et bafoué, rayonnant de la gloire divine du Tabor, et flagellé et couronné d’épines. C’est ce
visage unique, de Jésus, fils de Marie, Fils de Dieu, qui s’est gravé dans la mémoire de Pierre. C’est le
regard de Celui que Pierre venait de renier, et qui le regardait d’une façon que rien au monde n’a pu enlever
de la mémoire et du cœur de Pierre.

Ce Jésus est le fondement de l’Icône, de sa fidélité (que certains caractérisent – plus exactement
caricaturent – d’immobilisme), de son attrait inchangé. C’est parce que c’est l’icône du Christ, qu’elle attire.
C’est parce que nous voulons voir le Christ que l’icône nous parle. C’est parce que les fidèles (et même
souvent les non croyants) peuvent dire, en regardant une icône du Christ : « C’est Jésus ! » que l’icône leur
parle. Ce n’est pas tant la qualité artistique, encore qu’elle soit importante et à ne pas négliger puisqu’elle
est une vraie médiation pour la rencontre avec le Christ, ce n’est donc pas tant la hauteur de l’œuvre d’art
qui compte, mais la force de la présence du Christ lui-même qui importe dans l’art de l’icône.

Je n’entre pas ici dans les débats sur l’esthétique des icônes, sur l’aspect proprement artistique. Il y a pour
cela de bonnes études savantes. J’attire votre attention sur un fait étonnant qui m’avait frappé quand
j’étudiais la littérature du VIIIe et IXe siècle de la controverse iconoclaste, la grande lutte pour ou contre les
saintes images en christianisme. En toute cette littérature je n’ai trouvé trace d’un débat esthétique. La
question de la beauté des saintes images ne joue pratiquement pas de rôle. Du moins je n’en ai rien trouvé
(cf. mon L’icône du Christ. Fondements théologiques, Paris 20034, 235). Comment expliquer cela ? J’en ai
donné une première explication dans “L’icône du Christ” : « Cette absence de considérations esthétiques
s’explique, nous semble-t-il, par le fait que, de part et d’autre, il n’était à aucun moment question de mettre
en doute la légitimité de l’art comme tel. Le débat [de l’iconoclasme] portait uniquement sur l’extension de
l’art au-delà du domaine profane, dans le domaine sacré » (loc. cit.). Les iconoclastes admettaient l’art,
comme l’islam, mais il devait se limiter strictement au domaine profane. L’iconoclasme était, d’une certaine
façon, une sécularisation radicale de l’art, une désacralisation de l’activité artistique, réduite au pur décor, à
l’ornement de la vie profane. Mais derrière ce rejet de tout caractère de l’art il y a plus qu’une sécularisation
de l’activité artistique. Il y a une certaine conception de ce qui est “chrétien” et donc de ce qu’est le Mystère
du Christ. Il est significatif à cet égard de constater que tout le débat pour justifier l’art Chrétien, les images
sacrées du Christ et de ses Saints, a tourné autour du Mystère du Christ.

J’ai été frappé, en étudiant la controverse sur les images, par la netteté avec laquelle les défenseurs des
images ont vu en ce débat non pas une question d’esthétique, mais avant tout christologique. Les pères du
IIe Concile de Nicée (787) en étaient bien conscients. Pour eux, l’affirmation de la légitimité de l’icône du
Christ était comme le sceau apposé à la confession de sa divinité (Nicée I) et de sa divino-humanité
(Chalcédoine). L’Église Orthodoxe célèbre la victoire définitive des défenseurs des images en 843 comme
“le triomphe de l’Orthodoxie”, célébré liturgiquement chaque année le premier dimanche de Carême.

L’icône du Christ – résumé de la foi chrétienne ! Cela peut paraître exagéré. À regarder de plus près ce n’est
nullement le cas. Permettez-moi de dire brièvement pourquoi, et cela en deux étapes.

1) Un nouveau regard

À la fin de mon enquête sur les fondements théologiques de l’icône du Christ, je tirais cette conclusion : « Il y
a une corrélation entre la vision du mystère divino-humain du Christ et la conception de l’art. En effet,
l’Incarnation n’a pas seulement transformé la connaissance de Dieu, elle a également changé le regard de
l’homme sur le monde, sur lui-même et sur ses activités dans le monde. Dès lors, l’activité créatrice des
artistes ne pouvait pas ne pas être touchée, transformée par l’attrait du mystère de l’Incarnation. Si le Christ
est venu pour renouveler l’homme tout entier, le recréer selon cette image dont il est lui-même le modèle, ne
fallait-il pas que le regard, la sensibilité, la créativité des artistes soient, eux aussi, recréés à l’image de celui
‘pour qui tout a été créé’ ? Vu sous ce jour, l’effort pour cantonner l’art dans le ‘profane’ doit apparaître
comme une crise profonde de la vision théocentrique du monde et de l’homme » (op.cit., 236).

Il y a une possibilité de vérification de cette thèse, qui est d’une actualité croissante : le rapport de l’Islam à
l’art sacré. Je ne suis nullement spécialiste en cette matière, mais je fais confiance à des études
compétentes. Si l’Islam rejette, en général, l’image anthropomorphique et ne laisse de la place qu’à
l’ornement et surtout à l’écriture, cela n’est pas d’abord le résultat d’une théorie artistique et esthétique, mais
la conséquence directe de sa vision du Dieu unique qui n’a, en ce monde, aucune similitude, que rien ne
peut représenter, figurer, et même, d’une certaine façon, symboliser. J’ai été frappé, lors de mon voyage en
Iran (2001), avec quelle insistance on m’a expliqué que je ne devais pas parler de l’homme-image de Dieu.
Ce qui, pour la foi judéo-chrétienne, est une évidence, confirmée intensément par le mystère de
l’Incarnation, que l’homme soit vraiment ad imaginem et similitudinem de son créateur, l’islam le rejette
fermement. Dieu est unique et sans pareille : La Súrat al-Tawhíd (Cor. *CXII) que tout musulman prononce
chaque jour, dit ceci : « Dis : il est Dieu, l’Un, Il est Dieu, l’Unique, Il n’a pas engendré, Il n’a pas été
engendré. Il n’a nulle pareille » (plus exactement “nulle adéquation”).
Il n’y a donc aucune représentation de Dieu dans le monde. L’aniconisme de l’Islam n’est pas d’abord une
théorie esthétique. C’est une conséquence de la religion islamique d’un Dieu que rien ne peut représenter.
Seule la lumière, dans la mosquée, le nikràb, serait, selon des connaisseurs, une évocation métaphorique
du divin. Or la lumière est justement sans aucune forme ni figure (cf. Assadhullah Souren Melikien Chirrani,
L’Islam, le Verbe et l’image, dans F. Boes pflug – N. Lossky [ed.] Nicée II. 787-1987. Douze siècles d’images
religieuses, Paris 1987, 89-117).

Il en est autrement de la foi chrétienne. Parce que le Créateur parle par sa créature, les traces du divin sont
“lisibles”, non sans difficulté certes, mais réellement. C’est surtout l’homme, véritable lieu-tenant de Dieu
dans sa création, qui est à l’image de Dieu. Son œuvre parle de Lui, surtout l’homme. L’interdiction de
l’image dans l’Ancienne Alliance a un sens plus pédagogique qu’ontologique. Parce que le cœur de l’homme
est une fabrique d’idoles, il fallait extirper toute tentation d’idolâtrie. Mais fondamentalement, Dieu se fait
connaître par ses œuvres. C’est là la porte d’entrée de l’art sacré.

Le Mystère divino-humain du Christ approfondit cet ordre de la création, lui donne sa stature définitive. Il y a
vraiment un visage humain qui soit “l’icône du Dieu visible” (Col 1, 15). Parce que le Verbe s’est fait chair,
parce que le Christ, de condition divine, a pris la condition d’esclave et a fait sienne son humanité concrète,
les réalités humaines, les choses de ce monde sont devenues lieux de Sa présence, capables d’être son
expression, sa trace, son langage.

Pour moi, les tableaux du Carravaggio sont une manifestation exceptionnellement dense de ce fondement
“divino-humain” de l’art qui s’est développé sur le sol chrétien. La madonna dei pelegrini de S. Agostino à
Rome en est pour moi un exemple saisissant. Les pèlerins à genoux, pieds-nus (et pleins de poussière)
devant cette matrone avec un enfant déjà trop grand pour être tenu dans les bras de sa mère : tout cela
respire un réalisme “charnel” (dirait Charles Péguy) qui pourrait choquer (et qui a choqué) comme manquant
de sens et de dimension sacrés. Or c’est précisément le réalisme de l’incarnation qui permet d’approcher le
Saint, le Christ et sa Mère de cette façon si proche de la terre.

La foi chrétienne en l’incarnation est à la source d’un art qui se penche avec tant d’attention sur les choses
de la terre. J’ose penser que le grand développement de l’art, sacré et profane, en terre de chrétienté
s’inspire (sans renier d’autres sources) avant tout de ce oui inouï à la terre qu’est l’Incarnation du Fils de
Dieu. Ce Oui au concret, à la matière, au monde visible est à la racine de cette créativité explosive que
connaît l’art d’Occident. J’admets bien volontiers que cette thèse mérite des approfondissements que nos
groupes de travail pourront ébaucher.

2) Le Christ est la Beauté

J’ose aller encore un peu plus loin. Nous connaissons l’enseignement classique sur les “transcendantaux”,
le vrai, le bon, le beau. Tous ces attributs ne sont pas extérieurs à Dieu. Ils sont Dieu lui-même. Il est la
Vérité et le Bien, il est Amour, il est Beauté. Vérité et Bonté, Amour et Beauté sont, comme disent les
scholastiques, convertibles et coïncident avec l’Être même de Dieu.
Toute beauté créée et une participation à la beauté infinie de l’être de Dieu. Si cela est vrai, il faut faire un
pas de plus et dire que le Verbe, en se faisant chair, a pour ainsi dire “incarné” la bonté et l’amour, la vérité
et la beauté infinie de Dieu. Le Christ est “le plus beau des enfants de l’homme” non pas à cause de ses
qualités esthétiques particulières, mais parce qu’il est la beauté incarnée de Dieu. Tout son être est amour et
vérité, bonté et beauté.
S’il est donc vrai que le Christ peut dire de lui-même : « Je suis le Chemin, la Vérité et la Vie », il peut tout
aussi justement dire « Je suis la Beauté ». Le Christ peut dire de lui-même ce que seul Dieu peut dire : « Je
suis ». L’Être, le Vrai et le Bien sont, selon le terme scholastique, “convertibles”. Si le Christ est la Vérité et la
Bonté, il est aussi ce qui est leur splendeur : la Beauté : Splendor Veritatis, Splendor Boni !

Pour résumer ce deuxième pas de notre petite réflexion je dirai, en variant une parole de S. Irénée qui disait
: « Le Christ, en venant, a apporté avec lui-même, toute nouveauté » : « Le Christ, en son Incarnation, a
apporté avec lui toute Beauté. C’est Lui la mesure de la Beauté, c’est lui qui apporte, avec sa venue, un
nouveau regard sur la beauté. Il est, pour ainsi dire, “le canon de la Beauté”. Il n’a pas seulement rétabli la
beauté originelle de la création perdue et profanée par le péché et le mal, il a apporté, en sa propre
personne, la source de toute beauté. De lui s’épanchent sur le monde les eaux vives de la beauté. Et toutes
les beautés du monde, qu’elles soient beautés de la nature, de la vertu ou de l’art, sont des rayonnements
de Sa Beauté.

« Tu es le plus beau des hommes », cette parole du psaume royal, lue comme une annonce du Christ, ne
veut pas dire que Jésus serait, selon des critères préétablis par une esthétique mondaine, le plus parfait
modèle de beauté. « Tu es la source de toute beauté humaine ». En toi nous est révélé ce qu’est la beauté,
et de toi nous recevons le regard pour la voir, les critères pour la discerner et la force pour l’imiter et la
rayonner.

3) Le Christ nous entraîne sur le Chemin de Sa Beauté

Il nous faut donc regarder, contempler le Christ, source de la Beauté divine, rendue accessible par son
Incarnation.
J’ose vous proposer une conviction qui est une intuition dont je crois qu’elle se vérifie de mille manières : «
Là où est le Christ, là est la beauté ». Là où les cœurs, les esprits, les vies s’ouvrent au Christ, là les vannes
de la beauté s’ouvrent et se déversent comme des flots vivifiants sur un monde avili par le péché, défiguré
par la laideur du mal.

Depuis 2000 ans cela se vérifie, et je pense que tout le sens de notre colloque préparatoire à la rencontre de
la Pentecôte a ce sens : regarder comment les semences de beauté que sème le Christ, croissent et portent
du fruit.
Il faudra d’abord se pencher sur ce qui est le plus beau fruit de la Beauté du Christ : la Sainteté. Il n’y a de
plus forte évidence de la Vérité et de la Bonté divino-humaine du Christ que cette voie lactée, cette nuée
lumineuse des saints sans nombre que le Christ a entraînée à sa suite. Il n’y a rien de plus beau au monde
que la Sainteté. Des saints on peut dire ce que l’épître aux Hébreux dit du Christ : ils sont comme le
“resplendissement de sa gloire” (Hebr 1, 3). Je pense qu’il suffit de le dire pour qu’on se rende à l’évidence.
À maintes reprises le Cardinal Ratzinger, grand ami et connaisseur de la tradition franciscaine, a attiré
l’attention sur ce fait impressionnant : le Poverello d’Assise, en ne cherchant qu’à suivre le Christ pauvre et
humilié, a provoqué, non seulement un grand mouvement spirituel dans l’Église. Il a aussi suscité une
traînée lumineuse de beauté artistique. Giotto, Cimabue, pour ne mentionner que ces deux-là, figurent pour
une véritable explosion de créativité artistique qui constitue, jusqu’à nos jours, le plus grand trésor artistique
de l’Europe, et j’ose dire, du monde. Le Christ, en suscitant par son Esprit, tant de sainteté, est aussi la
source vive de tant de beauté artistique. Comment peut-on fermer les yeux devant cette évidence ?

Dans sa pièce « Fratello del Nostro Dio » sur le Saint Frère Albert, Karol Wojtiła, le vénéré pape Jean-
Paul II, parle de « cette autre beauté, celle de la miséricorde ». Comment ne pas voir cette évidence : le
Christ a donné au monde “cette autre beauté, celle de la miséricorde”. Que serait notre monde sans la
réalité de la miséricorde ? Parce que nous en vivons tous, consciemment ou inconsciemment, nous risquons
de ne plus voir à quel point la beauté de la miséricorde rayonne en notre monde de dureté et d’inhumanité, à
partir de ce foyer inépuisable d’amour qu’est le cœur de Jésus.
Qu’il suffise ici pour la suite de nos travaux d’avoir indiqué ces trois voies lumineuses de la Beauté du Christ
: la Sainteté, l’art qui en est inspiré et la miséricorde qui en rayonne.

Pour conclure je vous propose d’abord un texte de S. Augustin, commentant le Psaume 44 (45), le verset 3 :
« Tu es beau, le plus beau des enfants des hommes ». Il y a d’autres passages que nous pourrions citer,
surtout ce texte très fort du commentaire de S. Augustin à la première lettre de S. Jean, parlant des deux
textes bibliques apparemment contradictoires, celui du Psaume 45 (44), que nous venons de citer, et celui
du 4ème Chant du Serviteur qui était « sans beauté ni éclat pour attirer nos regards, sans apparence qui
nous aurait séduits, objet de mépris, abandonné des hommes, homme de douleurs… » (Is. 53, 2-3). Le
Saint-Père les a admirablement commentés, dans un message au Meeting des Peuples à Rimini en 2002. Il
y aurait bien d’autres textes des Pères sur le contraste entre ces deux oracles prophétiques, qu’il nous
suffise de citer celui des Enarrationes in Ps 44 de S. Augustin : « même là, si tu veux considérer la
miséricorde qui l’a fait s’incarner, il est beau ».

Est beau ce qui est du Christ : c’est ainsi que nous pouvons résumer ce texte de S. Augustin. C’est beau
parce que c’est du Christ. Parce que tout en Lui rayonne la justice, la miséricorde, l’amour.
Comment rendre plus évidente cette affirmation ? Le Padre Pio était-il beau ? Sans doute non, selon les
critères du monde ; sans doute oui selon la beauté du Christ. Sorin Dumitescu, un artiste exquis (et un
éditeur courageux), peintre d’icônes contemporaines, a publié un calendrier avec douze photos en grand
plan de Starez roumains orthodoxes. La beauté de ces vieux visages aux rides profondes, est une preuve
éclatante de ce qu’est la beauté du Christ.

Je pourrais multiplier les exemples, et vous aussi. Je m’arrête là avec deux questions qui m’inquiètent :
1) Pourquoi tant d’art sacré de nos jours est si laid ? Le musée du Vatican pour l’art sacré moderne me
laisse perplexe et même interdit. Que s’est-t-il passé pour que l’art sacré soit si loin de ses grandes
expressions du passé ? Est-ce la crise générale de l’art, de la culture de notre temps ? Faut-il réapprendre à
trouver les expressions du Mystère du Christ chez des artistes qui peuvent sembler loin de la foi ? Y a-t-il
des signes d’une reprise authentique de l’art inspiré par le mystère du Christ ?

2) Pourquoi la liturgie a-t-elle tellement perdu du sens de la beauté ? Pourquoi tant de mauvais goût dans
tout ce qui entoure la célébration du Mystère de la foi ? Ne devrait-il pas générer la plus belle des beautés ?
D’où vient ce “paupérisme”, ce “misérabilisme” dans tant de nos expressions liturgiques ? Est-ce la perte du
sens du sacré ? Ou est-ce plus profondément un affaiblissement de la présence, de la perception du
Mystère du Christ ? Manquons-nous d’enracinement dans le Christ, source de la Beauté, Beauté-même ?
Deux questions qui ne laissent dans la perplexité. Il ne faut pas les esquiver, il ne faut pas non plus s’en
laisser emprisonner. Car il se peut que la beauté du Christ soit cachée dans la pauvreté de nos expressions
culturelles. Peut-être faut-il creuser plus profondément, pour retrouver la source de la Beauté. Elle ne cesse
de couler, mais elle peut être plus cachée, plus obscure en ces temps d’obscurcissement. Laissez-moi
terminer avec un souvenir-clef pour moi : [ Dominique Pomeau, lors d’un colloque sur l’art sacré au Mans :
“C’est la messe” ]
Oui, le Christ est là, toute sa Beauté est là, cachée sous le voile des pauvres signes de ses sacrements ;
enfoui sous le tas de nos misères pécheresses, mais réellement présent. À nous d’aller à sa recherche, de
creuser pour trouver la source vive dans les déserts de notre temps. La beauté du Christ est là. J’ose
paraphraser une parole du Seigneur : N’allez pas dire : elle est ici, elle est là. Ma beauté est au milieu de
vous !

Nel corso della mattinata si è svolta anche una tavola rotonda sul tema: “L’incontro con la bellezza di Cristo.
Itinerari educativi”, alla quale hanno preso parte Alba Sgariglia (Movimento dei Focolari), Kiko Arguello
(Cammino neocatecumenale), Giancarlo Cesana (Comunione e Liberazione), Patti Mansfield
(Rinnovamento Carismatico cattolico), padre Laurent Fabre (Comunità Chemin Neuf), Jean Vanier
(Comunità dell’Arca).

Rocca di Papa, 31 maggio 2006

Tavola rotonda

Sgariglia (Movimento dei Focolari), Arguello (Cammino Neocatecumenale), Cesana (Comunione e


Liberazione), Mansfield (Rinnovamento Carismatico cattolico), padre Fabre (Comunità Chemin Neuf), Vanier
(Comunità dell’Arca)

La mattinata di lavori del II Congresso Internazionale in corso a Rocca di Papa si è


conclusa con una tavola rotonda, che ha visto come protagonisti responsabili e
iniziatori di alcuni dei movimenti e nuove comunità presenti. Chiamati ad intervenire sul
tema “L’incontro con la bellezza di Cristo. Itinerari educativi”, i sei relatori sono stati
introdotti da Matteo Calisi, responsabile dell’International Catholic Charismatic
Renewal Services (ICCRS), il quale ha affermato che i movimenti e le nuove comunità,
«dono straordinario dello Spirito», sono «una risposta al secolarismo e alle necrosi
spirituali del nostro tempo» attraverso cui «tante persone hanno riscoperto il gusto
della fede».

I movimenti e le nuove comunità nella Chiesa cattolica, «dono straordinario dello


Spirito», sono «una risposta al secolarismo e alle necrosi spirituali del nostro
tempo» attraverso cui «tante persone hanno riscoperto il gusto della fede»: lo ha
detto a Rocca di Papa, introducendo la prima tavola rotonda al congresso mondiale
che si è aperto stamane, Matteo Calisi, responsabile dell’International Catholic
Charismatic Renewal Services (ICCRS). Sul tema “L’incontro con la bellezza di
Cristo. Itinerari educativi”, sono intervenuti vari responsabili e iniziatori di movimenti.
Alba Sgariglia, del movimento dei Focolari, ha spiegato che l’esperienza di fede
avviata da Chiara Lubich ha portato a essere presenti in oltre 180 Paesi di tutti i
continenti e a coinvolgere centinaia di migliaia di persone. “Una comunità cristiana -
ha chiesto KiKo Arguello del Cammino Neocatecumenale - che novità porta? Che cosa abbiamo da dire alla
società? Dobbiamo portare l’amore di Cristo che ha salvato la nostra vita”. Per Giancarlo Cesana, di
Comunione e Liberazione, “il cristiano non è uno che fa le cose di tutti gli altri, come tutti gli altri, ma un po’
meno; il cristiano - ha detto - è uno che vive di più. Perché il problema di Dio non è un problema morale, ma
un’esigenza forte come la fame, la sete”.

A prendere per prima la parola è stata Alba Sgariglia del movimento dei Focolari, la quale, prendendo
spunto dall’enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas est, ha raccontato l’esperienza di fede del movimento
fondato da Chiara Lubich, «un itinerario di fede - ha detto -, di formazione personale e comunitaria che ci ha
insegnato a scoprire sempre e ovunque l’amore di Dio per noi, norma che deve informare il nostro agire. Il
fine del nostro itinerario educativo è essere Amore, essere Gesù per portare il suo modo di pensare, agire e
volere». “In questa nuova vita, che il Carisma è andato via via suscitando, si è evidenziata la caratteristica
essenziale di quell’amore che Gesù ha portato sulla terra: l’amore stesso della Trinità. Un amore che è
incondizionato reciproco dono di sé, e dunque totale comunione. Questa unità realizzata ha come effetto la
presenza di Gesù promessa a coloro che sono uniti nel suo nome (cf Mt 18,20) , presenza che ci fa uno in
Cristo (cf Gal 3,28), “non una cosa sola, ma uno, un unico soggetto nuovo”, come afferma Benedetto XVI
che conclude: “Se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo” . L’impeto di questa esperienza di fede
ha portato i Focolari a essere presenti in oltre 180 Paesi di tutti i continenti e a coinvolgere centinaia di
migliaia di persone.

Alla testimonianza del movimento dei Focolari è seguita quella di Kiko Arguello,
iniziatore del Cammino Neocatecumenale. Reduce da un incontro con alcuni
aderenti alla comunità «in preparazione a una missione ad gentes rivolta ai non
battezzati», Kiko ha ricordato, citando alcuni dati statistici relativi a Francia e
Germania, il numero sempre più crescente di persone che non hanno più alcun tipo
di rapporto con la Chiesa. «La bellezza salverà il mondo» ha detto citando
Dostoevskij, «ma dobbiamo impegnarci, per portare alla gente, e presentare al
mondo la bellezza che è Cristo. Nei quartieri delle nostre città - ha proseguito - la
gente normale dove può incontrare Cristo?». Constatando le tante occasioni di
collaborazione e aiuto tra i diversi movimenti in quest’opera di missione, Kiko ha
ribadito la responsabilità che ogni cristiano ha di portare la propria esperienza di fede in ogni ambiente per
dare a tutti la possibilità di incontrare Cristo. Ha quindi ricordato come «nei tanti Paesi in cui siamo, ciò che
colpisce chi ci incontra è la bellezza del nostro stare insieme, l’amicizia che mostra l’amore di Cristo». «Una
comunità cristiana - ha chiesto quasi provocatoriamente ai presenti - che novità porta? Che cosa abbiamo
da dire alla società? Dobbiamo portare l’amore di Cristo che ha salvato la nostra vita. Dobbiamo proporre a
tutti un itinerario di formazione alla fede che faccia scoprire questo amore che ci ha cambiato la vita».

Giancarlo Cesana, responsabile di Comunione e Liberazione, ha iniziato il suo


intervento ricordando come, all’inizio della storia del movimento fondato da don
Giussani, una delle cose che fece più scalpore fu la presenza nell’allora Gs di
gruppi misti di ragazzi e ragazze. «Davanti a questa obiezione - ha ricordato
Cesana - don Giussani rispondeva che se a messa si separano ragazzi e
ragazze, questi finiscono per non guardare più davanti, verso l’altare, ma girano
la testa un gruppo verso l’altro. Perché il problema è che devono avere
qualcuno davanti a loro di persuasivo che li colpisca, che interessi». La bellezza
di Cristo come evidenza della verità e del bene, «è su questo che Giussani ha
puntato tutto», perché «il cristiano non è uno che fa le cose di tutti gli altri, come tutti gli altri, ma un po’
meno; il cristiano ¬- ha detto Cesana ¬- è uno che vive di più. Perché il problema di Dio non è un problema
morale, ma un’esigenza forte come la fame, la sete». Due sono state poi le parole su cui ha insistito nel suo
intervento: l’amicizia come virtù, come «compromissione affettiva», come «esperienza di un amore vissuto in
prima persona», che fa scoprire sé e lega agli altri; e il desiderio, «perché l’uomo, in tutto ciò che fa desidera
tutto, l’infinito».

Tra le testimonianze della tavola rotonda odierna a Rocca di Papa, in avvio del II
Congresso mondiale dei movimenti e delle nuove comunità, quella di Patty Mansfield,
tra le iniziatrici del Rinnovamento Carismatico cattolico, ha colpito per la sua
immediatezza. Ha ricordato proprio i giorni iniziali da cui è sorta quell’esperienza di fede
che oggi coinvolge migliaia di cristiani in tutto il mondo. «Io non sono una fondatrice,
ma una testimone di una grazia che non è proprietà nostra, del Rinnovamento
Carismatico, ma che è data e rinnovata ogni giorno dallo Spirito». Ricordando
l’esperienza di preghiera e di domanda che caratterizzò i primi ritrovi ad Ann Arbor
(Michigan - Usa) nel 1970, da cui prese il via la storia del Rinnovamento Carismatico
cattolico, la Mansfield ha detto: "Io mi sono fidata incondizionatamente di Dio e in quei
giorni mi dicevo che se questo poteva accadere per un persona normale come me, poteva accedere per
tutti".

Cosa che è avvenuta negli anni per diversi cristiani sparsi nel mondo, come ha
raccontato Padre Laurent Fabre, della comunità Chemin Neuf (CNN), che è nata a
Lione nel '73 proprio come gruppo di preghiera del Rinnovamento Carismatico.
Riprendendo l’intervento di Patty Mansfield e ricordando il loro primo incontro di 30 anni
fa, padre Fabre ha raccontato l’esperienza del CNN nei suoi primi anni di vita e nel
profondo legame con il Concilio Vaticano II.
Jean Vanier ha concluso la tavola rotonda raccontando l’esperienza della Comunità
dell’Arca da lui fondata. Come già accadde nell’incontro della Pentecoste del ’98, dove
intervenne in piazza San Pietro davanti a Giovanni Paolo II in occasione del primo
incontro con i movimenti, Vanier ha reso in modo semplice e appassionato la sua
testimonianza. Ha ricordato l’inizio dell’Arca definendolo ironicamente come un «incidente
di percorso», che lo ha portato a incontrare i poveri e i sofferenti come «una benedizione
di Dio». «Per noi - ha detto - non si tratta di fare cose generose e buone, ma di diventare
amici. Non è un problema di generosità, di dare il nostro superfluo, ma di incontrare
persone che hanno un cuore. Non si tratta di idealizzare i poveri, ma di scoprire la nostra
povertà incontrando la loro, scoprire il nostro bisogno di Cristo incontrando il bisogno di chiunque, senza
distinzione di appartenenza, di fede e di provenienza».

Triduo di preparazione del RnS con Padre Raniero Cantalamessa

I GIORNO - 31 maggio 2006

ore 20.30 Accoglienza


ore 21.00 Preghiera comunitaria carismatica
ore 21.30 Roveto Ardente di lode e di giubilo

Animerà il Comitato regionale del Lazio


Luogo: Basilica di San Lorenzo in Lucina – Piazza S. Lorenzo in Lucina - ROMA

Giovedì 1 Giugno 2006

Celebrazione eucaristica presieduta da S. Em il card. Carlo


8:30
Caffarra

II relazione: "La bellezza di essere cristiani" – S.Em. card. Marc


9:30
Ouellet P.S.S.

10:15 Intervallo

II Tavola rotonda "Dare ragione della bellezza di Cristo negli


scenari del mondo contemporaneo", (6 fondatori/responsabili di
Movimenti Ecclesiali e Nuove Comunità):
• di fronte a una apostasia di massa (Vittorio Messori,
giornalista)
• tra sette e forme diverse di new age (don Bernard Peyrous,
Comunità dell’Emmanuel)
10:30
• nel rapporto con l’Islam (S.E. mons. Fouad Twal)
• tra le nuove generazioni (Luis Fernardo Figari, Movimento di
Vita Cristiana)
• nella presenza pubblica dei cattolici (Dino Boffo, direttore di
Avvenire)
• in situazioni di povertà e di violenza (Andrea Riccardi,
Comunità di Sant’Egidio)

12:15 Dibattito
13:00 Pranzo

Gruppi di lavoro per aree linguistiche.


15:30 • “La maturità ecclesiale: una sfida e una via da percorrere”
• “Misurarsi con gli scenari del mondo contemporaneo”

18:00 Resoconto dei gruppi

19:00 Vespri

19:30 Cena

21:00 Serata di amicizia

RADIOVATICANA:
LA BELLEZZA DI CRISTO DIA UN NUOVO SLANCIO AI MOVIMENTI ECCLESIALI
NEL SERVIZIO ALLA CHIESA: COSI’ IL CARDINALE MARC OUELLET
NELLA SECONDA GIORNATA DEL CONGRESSO MONDIALE
DEI MOVIMENTI A ROCCA DI PAPA

Seconda giornata del Congresso mondiale dei Movimenti e comunità ecclesiali, al centro Mondo Migliore a
Rocca di Papa, in vista dell’incontro con Benedetto XVI per la Veglia di Pentecoste. La mattina è iniziata con
la Messa celebrata da mons. Vincenzo Paglia. Il vescovo di Terni ha sottolineato come la bellezza e la gioia
siano iscritte nella storia dei movimenti. I lavori sono stati introdotti da una relazione del cardinale Marc
Ouellet; quindi, la tavola rotonda sul tema “Rendere ragione della bellezza di Cristo nel mondo di oggi”. Da
Rocca di Papa, il nostro inviato, Alessandro Gisotti:

**********

E’ nella bellezza di Cristo che i movimenti possono trovare nuova linfa e nuovo
slancio: si può sintetizzare così il significato dei diversi interventi che hanno
caratterizzato questa seconda giornata del Congresso mondiale dei nuovi movimenti.
Il cardinale Marc Ouellet, nella relazione introduttiva, ha rivolto l’atten-zione al tema
dell’incontro: “La bellezza di essere cristiano e la gioia di comunicarlo”, passo,
questo, tratto dalla Messa di inizio di pontificato di Benedetto XVI. L’arcivescovo di
Québec ha sottolineato che proprio la bellezza del volto di Cristo può dare nuovo
slancio ai movimenti ma questo slancio, ha avvertito, deve sempre essere vissuto
con spirito di comunione al servizio della Chiesa. Vivere sotto il segno della bellezza
e dell’amore di Cristo – ha proseguito il porporato canadese – non è un programma,
ma una grazia, un dono dello Spirito Santo. Uno dei compiti dei movimenti e comunità – è stato il suo
richiamo – è allora quello di educare alla pienezza dell’umanità. Ancora: la crescita dei movimenti deve
sempre essere armoniosa, operare nell’unità per dare testimonianza dell’amore di Cristo. Un amore che
riconcilia. Ecco, dunque, che le nuove realtà ecclesiali sono chiamate all’impegno ecumenico, passaggio –
questo – applaudito dai congressisti. Il cardinale Ouellet ha concluso affermando che, in definitiva, la
bellezza dei cristiani discende da Cristo e da Maria, che è piena di grazia perché è amata dal Signore.

Sintesi della relazione del cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Quebec e primate del Canada
“La bellezza di essere cristiani”

La giornata di giovedì 2 giugno è iniziata con la relazione del cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Toronto
e primate del Canada, che ha parlato su: “La bellezza di essere cristiani”. Egli si è domandato: «È l’estetica
una via davvero feconda per la Chiesa di oggi? Per certi aspetti il cristianesimo attuale, sradicato dalle sue
forze vive, non rischierebbe di irrigidirsi in una situazione di residuo culturale di un’altra epoca? Oso
azzardare come ipotesi o come scommessa che la via della bellezza mi sembra essere quella dei movimenti
ecclesiali e delle nuove comunità. All’inizio del terzo millennio non siamo (forse) chiamati a ripartire dalla
bellezza di Cristo?».

Citando Hans Urs von Balthasar, l’arcivescovo di Toronto ha sottolineato come «la via del bello vada
incontro alle aspirazioni più profonde del cuore umano mirando ».
Commentando il brano iniziale dell’enciclica di Benedetto XVI («All’inizio dell’essere cristiano non c’è una
decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita
un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»), il cardinale ha detto che «questa fondamentale
affermazione conferisce alla sua enciclica un orientamento decisamente estetico nel senso teologico più
forte, che invita prima all’adorazione, ma che include il dono totale di sé alla sequela di Cristo».

Ha quindi notato che «è urgente oggi esplorare questa via della bellezza dal momento che il punto di vista
della verità e della bontà raggiungono con meno vivezza l’uomo attuale imbevuto di scetticismo e di
relativismo. Il compito dei cristiani consiste nel restaurare quest’armonia tra la verità, la bontà e la libertà, a
partire dall’incontro vivo di Cristo che risvegli il cuore dell’uomo e dia un senso alla sua vita aprendolo alla
totalità del reale».
«L’amore divino che risplende sul volto di Cristo e dei cristiani suoi discepoli», ha proseguito, «rende
ciascuno unico ed originale. Esso risveglia l’”io” di ciascuno e ciascuna in ciò che essi possiedono di più
personale e libero. Diciamo ancora di più. L’unicità del cristianesimo in rapporto ad ogni altra religione
consiste nel fatto paradossale che esso assolutezza in qualche modo l’”io” d’ogni persona nel momento in
cui lo relativizza, vale a dire in cui lo rende pienamente relazionale».

Il cardinale Ouellet si è poi soffermato sulla bellezza di Maria, il cui «fiat immacolato e senza limiti
accompagna l’avvenimento dell’incarnazione totale del Figlio di Dio», introducendo il tema della «bellezza
della Chiesa-comunione, pienezza di umanità». E ha aggiunto: «Uno dei compiti dei movimenti ecclesiali e
delle nuove comunità nell’ora presente del mondo e della Chiesa è quello di educare all’umanità. Educare ad
una pienezza di umanità che comincia con la famiglia, che comporta il rispetto integrale della persona e la
solidarietà con l’intera umanità salvata in Gesù Cristo. Quanti santi laici, sante coppie e sante famiglie si
richiedono per questa grande missione!».

Il primate del Canada ha così concluso: «La bellezza di essere cristiani è una grazia, che discende dalla
bellezza di Cristo e di Maria-Chiesa, per il dono dello Spirito Santo. L’amore non è solo un sentimento, è una
persona, una visione, un impegno che illumina tutte le dimensioni dell’essere umano, senza trascurarne la
ragione e la sensibilità. Il posto che Dio ha preparato per i cristiani è così bello che non è loro consentito
lasciarlo vuoto. Restiamo dunque al posto».

Rocca di Papa, 1 giugno 2006.

Testo dell’intervento del card. Ouellet (in francese)

Qui dit beauté évoque spontanément soit un paysage, une œuvre d’art, un exploit sportif, un geste d’amour
ou soit d’autres symboles qui attirent et mobilisent le cœur et les énergies des êtres humains. Le beau est ce
qui plaît et attire, écrivait jadis Platon. La beauté évoque l’harmonie, la singularité et même l’unicité, et en
même temps elle implique la diversité car on ne peut apprécier l’unicité d’un geste ou d’une œuvre qu’en
fonction d’un ensemble dans lequel ce geste ou cette œuvre se détachent et ressortent avec un caractère
d’exception, de splendeur, en un mot de miracle. Pensons à la Pietà de Michel-Ange ou à la Symphonie
Jupiter de Mozart.

La beauté de la relation d’amour entre la mère et l’enfant ressort sur le fond des multiples relations sociales
d’échange, de partage et de service qui n’ont pas l’intimité, la permanence et l’intensité du rapport mère-
enfant. Il en est de même des noces qui demeurent, malgré les difficultés croissantes à notre époque, l’un
des symboles les plus beaux de la vie humaine, tant par la relation d’amour qu’il suppose que par le sens de
la vie qu’il célèbre. Dieu s’en sert de préférence pour dire son mystère d’alliance avec la créature sortie de
ses mains.
Au plan théologique, la perception du beau (la gloire) dépend de la révélation divine et des conditions qu’elle
pose et suppose pour être saisie par l’esprit humain. Hans Urs von Balthasar estime que c’est précisément
sous l’angle de la beauté que la manifestation de Dieu dans l’histoire apparaît dans sa spécificité absolue.
L’action de Dieu dirigée vers l’homme dans le Christ, écrit-il, « n’est digne de foi qu’au titre de l’amour, nous
voulons parler du propre amour de Dieu dont la manifestation est celle de la gloire divine» ; le christianisme,
dans sa réflexion sur lui-même, «ne peut être compris que comme l’amour divin se glorifiant lui-même» .

Les conditions de perception de cet amour requièrent, dans le langage de Saint Thomas, une certaine
connaturalité entre le sujet et l’objet. Pour percevoir l’amour divin en sa gloire spécifique, il faut plus que la
capacité naturelle d’admirer la beauté des choses, des œuvres d’art ou des relations humaines. Il faut un
don de l’Esprit Saint qui suscite en l’homme la foi, la foi de l’Église, une foi divine et catholique. Une foi qui
n’est pas seulement l’assentiment de l’esprit à des vérités abstraites ou un élan affectif de pure confiance
dans le mystère. Une foi christologique, qui participe à la manière de voir de Jésus, à son attitude foncière
d’accueil de la volonté du Père et d’obéissance d’amour jusqu’à l’extrême. Une telle foi ne s’acquiert pas par
imitation mais par communication gratuite de l’Esprit Saint. Elle est un don jaillissant de la beauté du Christ,
de sa résurrection d’entre les morts.

Car la résurrection du Christ est le resplendissement de la Gloire trinitaire. Elle témoigne d’un excès d’Amour
au cœur de la Trinité qui fait irruption dans l’histoire. Répondant au don du Père qui engendre et livre son
Fils par amour, et au don du Fils en retour, l’Esprit Saint fait éclater et resplendir dans la chair du Christ, la
Gloire de Dieu comme Amour absolu. Le rayonnement de cette gloire sur la face du Christ annonce du
même coup la réussite de l’Alliance entre Dieu et l’homme, la naissance de l’Église comme Épouse et Corps
du Christ, et sa mission évangélisatrice embrassant tout l’univers.

On m’a assigné le thème de la beauté d’être chrétiens, au pluriel, car l’identité du chrétien n’est jamais
purement individuelle, elle implique toujours les autres puisque nous sommes créés et recréés en Jésus
Christ, à l’image et ressemblance du Dieu trinitaire. Ce thème est fascinant mais peu fréquenté et redoutable
parce qu’on préfère traditionnellement présenter le christianisme sous l’angle de la vérité et de la bonté
plutôt que sous celui de la beauté. Je ne pouvais l’aborder sans l’introduire comme je viens de le faire, en
évoquant au moins la Gloire de Dieu manifestée dans la résurrection du Christ.

Mais l’esthétique est-elle une voie vraiment féconde pour l’Église d’aujourd’hui ? Kirkegaard a mis en garde
contre la superficialité du stade «esthétique» de l’existence, celui du dilettante qui n’engage pas sa personne
de façon profonde et durable. Certains aspects du christianisme actuel, déraciné de ses forces vives, ne
risquerait-il pas alors de rester figé dans une situation de résidu culturel d’un autre âge ? La beauté a-t-elle
assez de poids pour faire redémarrer en force l’évangélisation, dans un monde assoiffé de valeurs mais
détourné d’un Dieu qu’il suppose connu et dont il ignore en fait la Parole et le visage ? Je pose cette
question comme un défi auquel nous sommes tous confrontés et qui met en jeu non seulement un
engagement social pour une cause mais une réponse dramatique de toute la personne et de toute l’Église à
l’amour absolu manifesté en Jésus Christ.

J’ose toutefois risquer comme hypothèse ou comme pari que la voie de la beauté entendue en ce sens
radical me semble être celle des mouvement ecclésiaux (ME) et des communautés nouvelles (CN). Au
début du troisième millénaire ne sommes-nous pas appelés à repartir de la beauté du Christ ? Ne devons-
vous pas notre élan et notre force d’attraction à une nouvelle perception de la beauté du Christ ? À l’exemple
de Saint François au Moyen Age, qui s’est mis à réparer la beauté de l’Église après sa rencontre du Crucifié
de Saint Damien ! Je suis très honoré et profondément reconnaissant d’avoir la chance de participer à ce
congrès. Puisse-t-il marquer une nouvelle étape dans la croissance des ME et des CN au service de la
mission de l’Église.

LA BEAUTÉ DE L’ÉGLISE, UN PROGRAMME ?

D’entrée de jeu je dirais que le thème de la beauté qui encadre la réflexion de cette assemblée revêt une
valeur récapitulative et programmatique, d’autant plus qu’il a été tiré de la première homélie de notre bien-
aimé Saint Père Benoît XVI.
Une valeur récapitulative parce qu’il suppose les acquis mis en lumière lors de son intervention magistrale
au Congrès de 1998. Sa leçon théologique sur la les charismes dans la tradition a servi alors à mieux situer
théologiquement les mouvements et les communautés nouvelles et à faire reconnaître universellement leur
identité et leur apport original. Les balises qu’il a posées demeurent capitales pour mener à bien la réforme
et le renouveau actuel de l’Église dans la ligne conciliaire d’une «herméneutique de la continuité» .
Dans sa première encyclique, Benoît XVI a choisi de miser sur la beauté en traitant de l’harmonie entre
l’amour divin et l’amour humain. L’écho très positif qu’il a reçu indique la pertinence de son choix qui veut
«susciter dans le monde un dynamisme renouvelé pour l’engagement dans la réponse humaine à l’amour
divin» . Nous sommes donc entraînés par lui à vivre sous le signe de la beauté de l’amour et à communiquer
la joie de croire qui nous habite. Mais n’appelons pas cela un programme car il s’agit d’une grâce, la grâce
de la sainteté. Le Saint Esprit la donne à qui Il veut et il ne la refuse pas à qui en fait son humble prière
quotidienne.

APERCEVOIR ET ÊTRE RAVI PAR LA FIGURE DE JÉSUS CHRIST

Hans Urs von Balthasar a longuement médité la révélation chrétienne du point de vue de la beauté. Son
Esthétique théologique en sept volumes a été écrite pendant qu’à Rome les Pères du Concile Vatican II
vivaient la grande Pentecôte qu’il a appelée : Le Concile de l’Esprit Saint. Balthasar a choisi d’envisager la
révélation chrétienne sous cet angle avec la ferme conviction que le point de vue de la gloire (le nom
théologique de la beauté) est le plus englobant et permet de mettre en évidence l’originalité et la force
d’attraction de l’expérience chrétienne : «Celui qui à son nom, fait la moue, écrit-il, comme si elle était le vain
ornement d’un passé bourgeois, on peut être sûr que –en secret ou ouvertement—il ne peut déjà plus prier,
et bientôt ne pourra plus aimer» .

Son intuition centrale est résumée dans le petit livre intitulé L’Amour seul est digne de foi où il montre
comment la voie du beau rencontre les aspirations les plus profondes du cœur humain mais en visant, par
delà ses besoins affectifs et rationnels, la dimension la plus profonde de l’être où la personne répond à
l’appel de l’amour gratuit manifesté en Jésus Christ. Suivons-le sur cette voie en commençant par deux
autres considérations préliminaires, l’une d’ordre méthodologique et l’autre d’ordre historique afin de situer
notre démarche dans le contexte actuel des cultures sécularisées. Von Balthasar introduit ainsi sa méthode
esthétique : «Si tout ce qui est beau se trouve objectivement au croisement de deux facteurs que saint
Thomas appelle species et lumen, figure et éclat, la rencontre de la beauté est caractérisée par ces deux
facteurs : apercevoir et être ravi» .

Apercevoir la figure de la gloire de Dieu sur la face du Christ et être ravi par son éclat au point de sortir de
soi-même, d’être désapproprié et mis au service de l’amour trinitaire dans l’Église. Voilà en quelques mots
l’expérience chrétienne du beau qui consiste en une perception et un ravissement jaillissant d’une véritable
rencontre personnelle. «À l’origine du fait d’être chrétien, écrit Benoît XVI dans sa première encyclique, il n’y
a pas une décision éthique ou une grande idée, mais la rencontre avec un événement, avec une Personne,
qui donne à la vie un nouvel horizon et par là son orientation décisive» . Cette affirmation fondamentale dès
le premier paragraphe donne à son encyclique une orientation résolument esthétique dans le sens
théologique le plus fort, qui invite d’abord à l’adoration, mais qui inclut aussi le don total de soi à la suite du
Christ, la diakonia, pouvant aller jusqu’au martyria .

Il est urgent aujourd’hui d’explorer cette voie de la beauté car le point de vue de la vérité et de la bonté
rejoint moins vivement l’homme actuel imbu de scepticisme et de relativisme. Il lui semble en effet, à tort ou
à raison, que l’affirmation de la Vérité a engendré historiquement l’intolérance et que l’imposition d’un Bien
moral universel est incompatible avec sa liberté. Entre la Vérité, la bonté et la liberté, l’harmonie est rompue
et la tâche des chrétiens consiste à restaurer cette harmonie à partir de la rencontre vivante du Christ qui
éveille le cœur de la personne et donne sens à sa vie en l’ouvrant à la totalité du réel .

Le problème le plus grave qui affecte les cultures sécularisées est le repli sur soi narcissique qui vicie les
rapports humains authentiques et pollue l’atmosphère générale de la société . Il suffit par exemple de
constater la dérive des coutumes, des mœurs et des lois touchant la famille pour mesurer les conséquences
sociales et culturelles de la rupture de relation vivante avec le Dieu de Jésus Christ.

Cela m’amène à l’autre considération d’ordre historique pour aborder le thème de la beauté d’être chrétiens
à partir de leur condition dans le monde. Cette condition est dramatique, elle implique une lutte jamais finie
avec l’esprit du monde. La Lettre à Diognète nous la décrit d’une façon qui n’a rien perdu de son actualité.
Extérieurement, la condition des chrétiens est identique à celle de leurs contemporains mais intérieurement
ils se trouvent souvent en situation de tensions et de conflits avec le monde ambiant: «Ils aiment tout le
monde, et tout le monde les persécute. On ne les connaît pas, mais on les condamne ; on les tue et c’est
ainsi qu’ils trouvent la vie. Ils sont pauvres et font beaucoup de riches. Ils manquent de tout et ils ont tout en
abondance. On les méprise et dans ce mépris, ils trouvent leur gloire». Les chrétiens «sont dans la chair
mais ils ne vivent pas selon la chair», « ce que l’âme est dans le corps, les chrétiens le sont dans le
monde». «L’âme aime cette chair qui la déteste, ainsi que ses membres, comme les chrétiens aiment ceux
qui les détestent». Et l’auteur conclut d’un mot qui résume tout : «Le poste que Dieu leur a fixé est si beau
qu’il ne leur est pas permis de le déserter» .

Ayant déblayé un peu le terrain, venons-en maintenant au cœur du sujet, au cœur de la beauté d’être
chrétiens au pluriel, tout en étant conscient que ce pluriel ne s’oppose pas à l’unicité, car l’amour divin qui
rayonne sur la face du Christ et des chrétiens ses disciples, rend chacun unique et original. Il éveille le «je»
de chacun et chacune en ce qu’il a de plus personnel et libre.

Disons encore davantage. L’unicité du christianisme par rapport à toute autre religion consiste dans le fait
paradoxal qu’il absolutise en quelque sorte le «je» de chaque personne tout en le relativisant, c'est-à-dire en
le rendant pleinement relationnel. Je m’explique. L’image trinitaire de Dieu en l’homme, déjà perceptible
dans les rapports familiaux naturels, appelle les personnes en communion à une donation mutuelle toujours
plus grande. Cet amour mutuel tend à faire coïncider au maximum ---noblesse trinitaire oblige !—personne
et amour, don de soi et réalisation de soi . Le «je» se trouve en se perdant dans le nous, où il se retrouve
plus consistant qu’en lui-même. Demandez aux amoureux ce qu’ils ressentent quand ils sont contraints de
se séparer et de renoncer à un amour impossible. Ils préfèrent la mort. Tristan et Yseult, Roméo et Juliette,
en sont des expressions célèbres.

Revenons toutefois au cœur du sujet. Il porte un nom propre, un nom singulier mais en même temps
universel, un nom auquel chaque chrétien et l’ensemble des chrétiens sont redevables. Un nom vénéré
même par d’autres religions qui aspirent elles aussi à une plénitude que nous chrétiens sommes heureux et
conscients d’appeler Grâce : Comblée de grâces !

COMBLÉE DE GRÂCES

«De génération en génération, écrit Benoît XVI, on continue de s’émerveiller devant ce mystère ineffable (de
l’incarnation). Imaginant s’adresser à l’Ange de l’Annonciation, Saint Augustin demande : « Dites-moi donc,
ange de Dieu, d'où vient à Marie cette faveur ? » La réponse, dit le Messager, est contenue dans les paroles
mêmes de la salutation : « Je vous salue, pleine de grâce » (cf. Sermo 291, 6). Effectivement, l’Ange, en «
entrant chez Elle », ne l’appelle pas par son nom terrestre, Marie, mais par son nom divin, comme Dieu la
voit et la qualifie depuis toujours : « Pleine de grâce – gratia plena », qui dans l’original grec est «
kecharitoméne », « pleine de grâce », la grâce n’étant rien d’autre que l’amour de Dieu, nous pourrions à la
fin traduire cette parole par : « aimée » de Dieu (cf. Lc 1, 28). Origène observe que jamais un tel titre ne fut
donné à un être humain, que rien de semblable n’est décrit dans l’ensemble des Saintes Ecritures (cf. In
Lucam, 6, 7). Il s’agit d’un titre exprimé sous forme passive, poursuit le Saint Père, mais cette « passivité »
de Marie, qui est depuis toujours et pour toujours l’« aimée » du Seigneur, implique son libre consentement,
sa réponse personnelle et originale : en étant aimée, en recevant le don de Dieu, Marie est pleinement
active, car elle accueille avec une disponibilité personnelle la vague de l’amour de Dieu qui se déverse en
elle. En cela également, elle est la parfaite disciple de son Fils, qui à travers l’obéissance à son Père réalise
entièrement sa propre liberté et précisément de cette manière exerce la liberté, en obéissant».

Évoquant ensuite la Lettre aux Hébreux, le pape fait ressortir la beauté de la structure sponsale de la
nouvelle alliance : « Aussi, en entrant dans le monde, le Christ dit :… Me voici, mon Dieu, je suis venu pour
faire ta volonté » (He 10, 5-7). Face au mystère de ces deux « me voici », le « me voici » du Fils et le « me
voici » de la Mère, qui se reflètent l’un dans l’autre et forment un unique Amen à la volonté d’amour de Dieu,
nous demeurons stupéfaits et, remplis de reconnaissance, nous adorons» .

Kecharitomenè en grec, Gratia plena en latin, Comblée de Grâces. Pourquoi avoir choisi ce nom au cœur de
notre démarche ? Parce qu’on trouve en elle la beauté du «Tout dans le fragment», pour reprendre un autre
titre du grand maître suisse. Le tout, c’est-à-dire Dieu, l’Église, l’humanité, la famille, en une femme
préservée de toute tache originelle, parfaitement transparente de l’amour divin, couronnée d’étoiles au milieu
des douleurs d’enfantement de la vie éternelle en nous. Une femme, Marie de Nazareth, Mère de Dieu et
Mère de l’Église, qui vit en nous, ses enfants, et qui déverse en nous sa beauté incomparable.

Beauté de Marie, beauté d’être chrétiens dans l’unité avec elle, car ce qu’elle possède comme privilège
unique, elle le répand sur nous intégralement par sa parfaite correspondance à l’Esprit trinitaire qui l’habite.
L’Esprit Saint est en Dieu la Gloire de l’Amour (Saint Grégoire de Nysse). Il se donne et s’efface entre le
Père et le Fils pour glorifier leur amour mutuel. Ainsi Marie, la Fille de Sion, vit dans l’unité de l’Église, en
perichorèse avec le peuple de Dieu, depuis qu’elle a été élevée à son statut d’Épouse de l’Agneau par sa
station debout au pied de la Croix. Marie communia alors profondément, dans la nuit de la foi, à l’abandon
du Fils de Dieu, devenant ainsi associée à son abandon et donc féconde en lui et par lui de toutes les
grâces qui procèdent de la croix et se déversent sur les âmes.

La beauté d’être chrétiens au pluriel passe ainsi d’elle en nous par osmose, moins par imitation que par
enfantement, car les reproductions que nous sommes de sa beauté chrétienne, le sont par sa médiation
efficace qui est l’œuvre de l’Esprit Saint. Cette expérience unique de Marie, expérience archétypique , est la
réponse vivante de son Cœur immaculé à la grâce d’amour de Dieu : «la réponse de «l’épouse» qui,
poussée par la grâce, s’écrie : «Viens» (Ap 22, 17) et «qu’il m’advienne selon ta parole» (Lc 1, 38) ; de
l’épouse qui «porte en elle le germe divin» et par conséquent «ne pèche pas» (1 Jn 3, 9), mais «conserve
avec soin tous ces souvenirs et les médite en son cœur» (Lc, 2, 19, 51) ; de l’épouse toute pure, que l’amour
de Dieu a rendue dans son sang «toute glorieuse, immaculée» (Ep., 5, 26-27 ; 2 Co., 11, 2), et qui, placée
en face de lui «comme humble servante» (Lc 1, 38, 48), «le regarde avec respect et soumission» (Ep. 5, 24.
33 ; Col., 3, 18) .

Le fiat immaculé et illimité de Marie accompagne l’événement de l’incarnation totale du Fils de Dieu, c'est-à-
dire tous ses mystères depuis sa conception, sa naissance, sa passion et sa mort, jusqu’à sa résurrection,
son don de l’Esprit Saint et finalement son Eucharistie qui engendre son corps ecclésial. La «Comblée de
grâces», Vierge pure et féconde, est rendue passivement disponible et activement offerte par l’action
prévenante de l’Esprit Saint, qui fait passer la fécondité divine du Christ en elle et d’elle en nous. En tous ces
mystères qu’elle épouse et médite en son coeur, Marie «est désappropriée au profit de la communauté
universelle», «son expérience elle-même lui est retirée en faveur de l’Église et des chrétiens : «Voilà ton fils»
.

BEAUTÉ DE L’ÉGLISE – COMMUNION, PLÉNITUDE D’HUMANITÉ

Au long des siècles l’expérience chrétienne de la beauté s’est exprimée dans d’innombrables œuvres d’art
d’ordre architectural, pictural ou musical, mais elle s’est incarnée avant tout dans la prière et l’action, par des
gestes, des formes de vie, des vocations personnelles et communautaires, en un mot dans l’Église-
communion, dont la mission est de rendre témoignage de l’Espérance qui l’habite. Les martyrs et les saints
rendent un tel témoignage par leur fidélité à la forme archétypique originelle du témoignage de l’Église .
Cette forme originelle est trinitaire, christologique et mariale : «C’est la gloire de mon Père que vous portiez
beaucoup de fruit et deveniez mes disciples. Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés.
Demeurez dans mon amour» (Jn 15, 8-9).

Trois moments complémentaires de l’existence de Marie montrent cette forme en acte et le paradigme
nuptial qui marque les rapports entre Dieu et son peuple : 1) le fait d’être aimé et d’accueillir la volonté divine
; 2) l’expérience de la fécondité dans l’Esprit Saint ; 3) l’accompagnement actif du Verbe incarné tout au long
de sa trajectoire terrestre et de sa vie céleste. Les saints reproduisent en quelque sorte ce modèle qui
éclaire toute la vie du peuple de Dieu et qui montre l’impact de la foi sur le sens et la beauté de l’existence
humaine.

La communion aux mystères du Verbe incarné jette en effet une lumière décisive sur la beauté et la joie de
l’existence humaine. Dieu au cœur de la vie humaine, la lumière de l’Amour qui confirme et accomplit
l’humanité de l’homme et de la femme, à l’exemple de la Sainte Famille de Nazareth. Quelle bonne nouvelle
pour notre monde en voie de déshumanisation ! Qu’il est beau de répondre à l’appel de l’Amour en chaque
état de vie et d’être ainsi pleinement humain ! Qu’il est beau d’aimer chrétiennement sans retour sur soi,
d’étudier, de travailler, de se marier, de se donner à Dieu dans le sacerdoce et la vie consacrée, de se
dévouer pour les pauvres, les malades, les affligés. Sainte Gianna Beretta Molla confiait à son mari en
feuilletant un magazine de beaux vêtements à la mode, peu avant son ultime sacrifice, qu’elle désirait une
belle robe, si toutefois elle survivait à son épreuve. Les saints sont proches des petites choses de la vie. Le
mystère de l’Incarnation les protège des spiritualités ésotériques. Car toutes les réalités de la vie humaine
sont illuminées, nourries et transformées par la présence de Jésus au milieu de nous et par la splendeur de
son mystère eucharistique : Dieu avec nous, l’Époux qui vient consacrer toute réalité humaine et tout
rassembler dans l’unité d’un seul Corps et d’un seul Esprit.

Une des tâches des ME et des NC à l’heure présente du monde et de l’Église est d’éduquer, d’éduquer à
une vie authentiquement humaine. Éduquer à une plénitude d’humanité qui commence par la famille, qui
implique le respect intégral de la personne et la solidarité avec toute l’humanité sauvée en Jésus Christ. Que
de saints laïcs, de saints couples et de saintes familles sont requis pour cette grande mission !

BEAUTÉ À RESTAURER : L’UNITÉ DES CHRÉTIENS

«Je vous exhorte donc, moi le prisonnier dans le Seigneur», écrit l’Apôtre Paul aux Ephésiens, «à vous
comporter d’une manière digne de la vocation que vous avez reçue, en toute humilité, bonté et patience,
vous supportant les uns les autres avec amour, et cherchant à garder l’unité de l’Esprit par le lien de la Paix.
Un seul Corps, un seul Esprit…un seul Seigneur, une seule foi, un seul baptême. Un seul Dieu Père de tous,
qui est au-dessus de tous, qui agit par tous et est présent en tous» (Eph. 4, 1-6).

C’est pour cette croissance dans l’unité qu’existent et se développent les ME et les CN, comme l’a rappelé le
Saint Père Jean Paul II à la Pentecôte de 1998. Œuvrer dans l’unité pour témoigner du Dieu Amour qui s’est
fait Parole et Sacrement dans l’Église. Œuvrer à l’unité par le signe de l’amour mutuel auquel on reconnaît
les disciples de Jésus. Cet amour unit et réconcilie, il est une tâche et une responsabilité œcuménique, dans
le respect des diversités légitimes et la repentance pour les blessures causées par la division des Églises.

Je vous livre un souvenir de la visite d’une délégation de l’Église grecque orthodoxe à Rome en mars 2002,
la première visite officielle en mille ans, que j’ai eu le bonheur d’accueillir et d’accompagner au Vatican
pendant une semaine. On ne pouvait pas prier ensemble, car d’un point de vue orthodoxe strict, on ne prie
pas avec les hérétiques. Mais après l’audience avec le Saint Père Jean Paul II, nous sommes allé visiter la
magnifique chapelle Redemptoris Mater, la chapelle de l’unité. Quand les six membres de la délégation ont
vu et reconnu les saints d’Orient, leurs saints, avec les saints d’Occident qui encadraient la Mère de Dieu au
centre, ils ont été ravis et ils se sont mis à chanter avec nous une hymne mariale que je n’oublierai jamais.
Ce fut le sommet de la visite ! N’est-ce pas une invitation à rechercher l’unité par la beauté du mouvement
œcuménique, ressourcé à l’école des saints et d’abord à l’école de Marie, la Mère de l’unité ?

UNE PÉDAGOGIE DE LA BEAUTÉ : L’EXEMPLE DES BREBIS DE JÉSUS

Avant de conclure, permettez-moi de récapituler en donnant un exemple de pédagogie de la beauté à partir


d’un mouvement fondé à Québec il y a vingt ans et qui se répand maintenant dans une vingtaine de pays : le
mouvement des Brebis de Jésus, fondé par une religieuse de Saint François, dont je reproduis ici le
témoignage.

«Viens, tu compte pour moi, tu as du prix à mes yeux et je t’aime»

«Viens ! Au commencement, il y un appel, l’appel de l’Amour. À chaque réunion, une Brebis de Jésus
s’entend appeler ainsi par son Berger. Tout origine dans le cœur de Dieu. C’est lui qui prend l’initiative.
Viens ! Il y a là une invitation. La réponse à cette invitation fait entrer dans la beauté de l’amour qui l’inspire.

Tu comptes pour moi. Chaque enfant est appelé personnellement par son nom avec tendresse. Il est connu
de Dieu. L’accompagnateur est invité à prononcer le nom de l’enfant au nom même du Christ. À chaque fois,
il demande au Christ la grâce suivante : qu’en prononçant son nom, il puisse faire surgir le meilleur de lui-
même. Qu’il puisse faire naître à ce qu’il y a d’unique en lui, à son identité profonde de créature et de fils de
Dieu. Chaque enfant est un «original». La beauté de l’amour se traduit dans l’unicité.

Tu as du prix à mes yeux, un prix de très grande valeur, le prix du rachat qui la revêt d’une splendeur de
gloire, d’une merveilleuse beauté. La Brebis de Jésus est invitée à se regarder dans le regard même du bon
Berger qui a donné sa vie pour elle. C’est un long cheminement. Il ne faut pas se surprendre qu’un des fruits
des rencontres soit la conversion de son propre regard sur soi-même. L’enfant dit : «Je m’aime davantage,
j’ai plus confiance en moi».

Je t’aime. S’ouvrir à l’amour dont elle est aimée est l’objectif premier de la pédagogie des Brebis de Jésus.
Cette déclaration d’amour traverse toute la bible et veut traverser la vie de toute personne.

«Qui regarde vers lui resplendira. Sur son visage, il n’y aura plus de honte».
Toutes les rencontres de Brebis de Jésus s’appuient sur la Parole de Dieu, une Parole entendue, accueillie,
partagée, expérimentée. Guidé par l’Esprit Saint, l’accompagnateur se fait serviteur de la Parole. Il s’efface
devant elle pour qu’Elle se donne à l’enfant et produise en lui les fruits du Royaume. C’est une école du
regard, de décentrement de soi-même pour laisser la lumière d’en haut illuminer le fond de l’être.
L’iconographie veut toujours traduire la lumière de la résurrection. Ainsi le baptisé, une Brebis de Jésus, est
appelé à devenir une icône du Christ. C’est la grandeur et la beauté de sa vocation divine.

Comme elle est belle la Brebis de Jésus toute illuminée par la lumière de l’amour ! Resplendir cette lumière
est aussi sa responsabilité. Il y a une étape dans le cheminement qui s’appelle «être reçu Brebis de
lumière». C’est en même temps une lutte tellement difficile à mener. Il y a une fidélité personnelle à vivre
pour garder sa lampe allumée. Bien des obstacles se dressent sur sa route pour éteindre sa lumière. ‘Tu
exerces mes mains pour le combat. Tu m’entraînes à la bataille’. Il y a une beauté dans cette lutte. C’est
celle de la fidélité ou de l’infidélité pardonnée, de l’abandon, de la remiser constante de soi à Dieu dans la
confiance.

Il y a aussi cet engagement à rayonner la lumière, à la partager, malgré l’épreuve du chemin. Le chrétien est
dans le monde mais n’est plus de ce monde. Il y a des Brebis de Jésus qui acceptent avec sérénité de faire
rire de soi à cause de leur fidélité aux rencontres. Elles disent : «S’ils rient de moi, c’est parce qu’ils ne
connaissent pas Jésus. S’ils connaissaient l’amour de Jésus, ils viendraient aux réunions, et ils seraient
peut-être plus fervents que moi». Il y a une beauté dans ce regard sur l’autre, fait de pardon, de
compréhension, porteur d’espérance. Plusieurs Brebis de Jésus vivent déjà un mystère de persécution. Le
Christ flagellé et couronné d’épines est divinement beau. Seul l’amour peut contempler cette beauté.

Pour les grandes Brebis de Jésus qui persévèrent, un fil conducteur les guide. Elles entendent battre le
Cœur de l’Agneau qui les invite à Le suivre. Cette intimité les met en communion profonde avec l’Église,
notre Mère. Elles se cachent en son sein pour être nourries, pardonnées, vivifiées. Elles ne jugent pas
l’Église, elles l’aiment et se livrent avec elle. Elles font partie des petits à qui les mystères du Royaume sont
révélés. Elles ne font pas de bruit mais leur offrande quotidienne unie à celle du Christ élève le monde et
hâte le retour de Jésus. Elles vivent la beauté de la vie eucharistique rendue possible par le sacrifice de
l’Agneau».

Voilà ce témoignage des Brebis de Jésus, pris comme un exemple entre mille, qui recoupe sans doute,
modestement, l’expérience pédagogique de plusieurs mouvements ecclésiaux et communautés nouvelles.
Toute évangélisation féconde passe par l’appropriation personnelle et ecclésiale du Verbe fait chair qui
transforme le regard du croyant sur Dieu, sur autrui et sur soi-même. Cette transformation réelle commence
toujours par une vraie rencontre de Jésus et par la prière, la prière personnelle, la prière liturgique, laïque et
monastique, dont la beauté éprouvée et toujours renouvelée, porte tant de fruits de paix, de conversion et
d’espérance. Une transformation nourrie surtout de l’Eucharistie, source et sommet de l’évangélisation et de
la vie de l’Église.

Et la prière ouvre aux pauvres et aux blessés de la vie, qui deviennent alors plus que les bénéficiaires de
notre charité, mais nos bienfaiteurs et même nos maîtres, comme en témoigne Jean Vanier. Les pauvres
sont depuis les origines la richesse de l’Église (Saint Laurent). Ne nous révèlent-ils pas silencieusement le
visage du Crucifié, son appel à la compassion et le chemin de la première béatitude ?

«Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés. Demeurez dans mon amour» (Jn 15, 8-9). Être aimé
de Dieu en Jésus, demeurer dans son amour et porter ainsi beaucoup de fruit pour la joie de Dieu, voilà la
beauté d’être chrétiens. L’amour de Jésus est donné en abondance et de façon très variée aux ME et aux
CN, dans la joie de l’Esprit Saint, pour témoigner ensemble de la beauté du Christ et de l’Église. Chers amis,
par votre réponse généreuse à l’appel universel à la sainteté, par votre adhésion ferme et sereine au
Magistère de l’Église et par votre disponibilité enthousiaste pour évangéliser, vous êtes un beau et grand
signe appelé à grandir et à se répandre dans le monde entier. Que vos charismes particuliers se
développent dans l’unité et la paix, avec une vive conscience que l’amour divin toujours plus grand nous
convoque à un vibrant témoignage qui soit digne de foi ! J’attends de vous ce témoignage à Québec, à
l’occasion du Congrès eucharistique international du 15 au 22 juin 2008, auquel vous êtes tous très
cordialement invités.

CONCLUSION
La beauté d’être chrétiens est une grâce qui découle de la beauté du Christ et de Marie-Église par le Don du
Saint Esprit. Saint François résumait la grâce de sa vie par deux mots : Jésus et Marie ! Cette grâce est
aussi une responsabilité, une mission, la mission d’évangéliser qui devient dans le monde actuel la priorité
des priorités. Évangéliser en rayonnant la lumière de l’Amour par la prière, l’action, la passion et aussi par la
raison et par l’art, comme en témoignait si bien Don Luigi Giussani, de regrettée mémoire. Évangéliser par le
témoignage de foi et par l’exemple d’une vie pleinement humaine. Évangéliser aussi dans la persécution et
l’épreuve, car notre maturité chrétienne et apostolique se mesure à notre disponibilité à souffrir pour le Nom
de Jésus. L’amour n’est pas qu’un sentiment, il est une Personne, une vision et un engagement dans un
mystère d’Alliance. C’est pourquoi la beauté d’être chrétiens culmine toujours et se ressource sans cesse
dans le mystère eucharistique de l’Église.

«Nous sommes incessamment occupés à transformer et à réformer cette église d’après les besoins du
temps, d’après les critiques des adversaires et nos propres modèles», écrit encore Von Balthasar; «mais ne
perdons-nous pas de vue l’unique modèle parfait, l’archétype ? Ne devrions-nous pas, dans nos réformes,
garder constamment le regard fixé sur Marie, nullement pour multiplier dans notre église les fêtes, les
dévotions mariales, a fortiori les définitions, mais simplement pour savoir nous-mêmes ce que sont en réalité
l’Église, l’esprit ecclésial, le comportement ecclésial ?» .

Le poste que Dieu a fixé aux chrétiens est si beau qu’ils ne peuvent pas le déserter, même s’il leur en coûte
de communier à la passion du Seigneur pour entrer dans sa gloire. Restons donc au poste, oeuvrons
ensemble dans la charité et l’unité, et pour croître en splendeur eucharistique, ouvrons-nous encore plus
profondément à l’Esprit Saint afin que sa grâce, donnée en abondance, soit reversée par l’Église, Sacrement
du Salut, sur l’ensemble de l’humanité. Comme le dit merveilleusement Saint Basile dans son traité sur le
Saint Esprit, et je conclus avec lui : «De l’Esprit viennent la prévision de l’avenir, l’intelligence des mystères,
la compréhension des choses cachées, la distribution des dons spirituels, la citoyenneté céleste, la danse
avec les anges, la joie sans fin, la demeure en Dieu, la ressemblance avec Dieu, et le comble de ce que l’on
peut désirer : devenir Dieu» .

DALLA RADIOVATICANA:
E’ stata poi la volta della tavola rotonda sul tema: “Rendere ragione della bellezza di Cristo nel mondo di
oggi”. Don Bernard Périoud, della Comunità dell’Emanuel, si è soffermato sulla minaccia alla bellezza
cristiana rappresentata dalle sètte e diverse forme di new age, segno di una fuga dalla realtà, tipica dei
nostri tempi. Dal canto suo, mons. Fouad Twal, vescovo coadiutore di Gerusalemme, ha raccontato dello
stupore dei giovani musulmani quando incontrano i coetanei dei movimenti ecclesiali che lasciano la
ricchezza dei loro Paesi per passione di Cristo e dell’uomo. Luís Fernando Figari, del movimento di vita
cristiana, ha messo l’accento sull’importanza del trasmettere la bellezza di Cristo alle nuove generazioni,
tema caro a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; riflessione riproposta da Dino Boffo, direttore del quotidiano
“Avvenire”, che ha affermato: “Tutti i fedeli, laici compresi, sono chiamati a servire la bellezza della Chiesa, e
ciò attraverso l’amore, affinché anche i lontani possano essere affascinati da questa bellezza”.

L’ultimo intervento è stato dedicato alla bellezza del cristianesimo in situazioni di povertà e violenza. Andrea
Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, citando la Deus caritas est, ha ribadito che nel sostegno ai
poveri e ai sofferenti non si può rinunciare alla preghiera e alla bellezza di Cristo.

Dal Centro “Mondo Migliore” di Rocca di Papa, Alessandro Gisotti, Radio Vaticana.

SINTESI DELLA TAVOLA ROTONDA

Tavola rotonda su:


Dare ragione della bellezza di Cristo negli scenari del mondo di oggi:
sette e New Age – rapporti con l’Islam – educazione dei giovani – cattolici nella società situazione di
povertà e violenza
Si è svolta questa mattina la seconda tavola rotonda prevista nel programma del II Congresso mondiale dei
movimenti ecclesiali e delle nuove comunità che si sta svolgendo a Rocca di Papa. A intervenire sul tema
Dare ragione della bellezza di Cristo negli scenari del mondo di oggi, sono stati padre Peyrous della
Comunità dell’Emmanuel, mons. Twal, arcivescovo coadiutore di Gerusalemme (ved. comunicato n. 7), Luis
Fernando Figari, iniziatore del Movimento di Vita Cristiana (Mvc), Dino Boffo, direttore di Avvenire, e Andrea
Riccardi. Fondatore della Comunità di Sant’Egidio. A ognuno dei cinque relatori è stato affidata la trattazione
di un aspetto specifico della complessa realtà odierna in cui i cristiani sono chiamati a vivere.

A prendere per primo la parola è stato padre Peyrous il cui intervento ha affrontato la diffusione delle sette e
della New Age, “un fenomeno che ha raggiunto tutto il mondo, attraverso forme organizzate, ma anche come
un grande mercato delle credenze in cui trova spazio una forma di spiritualità generica da cui tutti possono
attingere elementi anche in modo contraddittorio”. Padre Peyrous ha descritto questo fenomeno come “una
grande fuga dalla realtà”, frutto di quel percorso, iniziato nell’800 per cui “Dio non esisteva o non centrava
con l’uomo”, ed esploso nel XX secolo con il fallimento dei tentativi dell’uomo di darsi la felicità da solo.
Senza demonizzare la modernità, padre Peyrous ha concluso invitando ad “accogliere gli aspetti interessanti
del XX secolo, le novità e le scoperte che devono essere riconosciute” e, nel contempo, a non dimenticare
che è stato un secolo che ha visto l’intervento costante di Dio attraverso “il dono fatto a uomini e donne di
avere il coraggio di essere cristiani in un mondo difficile”.

Mons. Twal ha definito la crisi che Gerusalemme vive oggi, “come la più grave in
duemila anni di storia”. Ha parlato delle tentazioni di “scoraggiamento, di vivere alla
giornata, di dimenticare i progetti di Dio”. Ed ha aggiunto:

“Molti uomini e donne oggi si sentono sradicati, persi, bloccati. Gli europei parlano di
crollo delle ideologie. Noi arabi del Medio Oriente sappiamo come la
mondializzazione, il materialismo e l’ingiustizia internazionale, che hanno fatto del
Medio Oriente un “supermarket” di interessi e di intrighi, sono una delle cause del
nostro smarrimento e delle reazioni in difesa dell’identità religiosa o culturale, certo
eccessive. Ma Gerusalemme resta la città delle sorprese, a cominciare da quella
della Resurrezione di Cristo. Speriamo di assistere un giorno alla nostra
resurrezione, una maggiore gioia, giustizia e pace”.

“Ma i cristiani – ha affermato – cantano l’Alleluja anche in questo cammino di croce, di questo venerdì santo
che sembra non aver fine. Le gente che vive attorno a noi è scioccata dalla nostra serenità e si chiede: come
mai i cattolici sembrano possedere una capacità di adattamento superiore alla media, malgrado la grande
diversità delle loro origini? una pace interiore in mezzo alla tormenta? un’attitudine pacifica e contemplativa,
tra i vortici della storia? Come fanno questi religiosi, questi laici, a sentirsi famiglia ovunque lo Spirito li invia?
Forse il segreto non sta nella passione per Cristo e per gli uomini? Passione che provoca e mette in crisi,
che attira e che intimorisce?

E’ questa l’esperienza vissuta da mons. Fwad anche nel Maghreb. E’ stato vescovo di Tunisi sin dagli inizi
degli anni ’90: “Avevo trovato una comunità apparentemente fragile, ma in realtà questa comunità era solida,
abituata a vivere nella provvisorietà. Era forte nel suo radicamento in Dio. Per darle una maggiore visibilità e
fierezza di essere, ciò che noi siamo senza alcun complesso: “discepoli di Cristo”, c’è stata una piccola
riconversione, per riscoprire le esigenze del Battesimo nella verità, evitare il “basso profilo” e abituarci a una
vita ecclesiale degno e visibile, costantemente rivolta verso la Chiesa universale e il Magistero. Un nuovo
sangue era indispensabile.

I movimenti ecclesiali e le nuove comunità hanno risposto al nostro appello: Comunione e Liberazione,
Neocatecumenali e il Focolare. La nostra Chiesa ha cominciato così a ringiovanire e a vivere di più la sua
universalità attraverso la diversità dei carismi. Avvolti tutti dalla tenerezza di Dio e condividendo l’apostolato
e i diversi compiti e i misteri gioioso che i misteri dolorosi abbiamo approfondito la bellezza della nostra
vocazione. Era evidente che nessuno aveva il monopolio di tutta la verità nel vivere il proprio carisma. Era
un piccolo lievito nella grande massa musulmana. Mentre i giovani arabi musulmani, sognavano di partire
per l’Europa per fuggire da un contesto dove regna la violenza, la paura e l’assenza di sicurezze per
l’avvenire, giovani europei, entusiasti e impegnati, membri dei movimenti ecclesiali, lasciavano i comfort, la
libertà e cominciavano a lavorare con generosità e discrezione, mostrando così la bellezza e la grandezza di
coliche li aveva inviati nel mondo arabo. Era uno shock per i musulmani, ma uno shock salutare che
interroga e invita a riflettere. E’ l’inizio di un dialogo. L’inizio di una conversione interiore.

Così l’annuncio della buona novella diventa possibile. La nostra presenza è già Parola e testimonianza. La
cattedrale, ben restaurata, è visitata regolarmente da un certo numero di musulmani. Diviene anch’essa
Parola, testimonianza, una bella occasione per tessere legami di amicizia con i musulmani.

Mons. Twal non manca di ricordare i monaci di Tiberine che nel 1996 furono massacrati da fondamentalisti
islamici. Ed ha aggiunto “Non c’è stato alcuni grido di vendetta, di odio, ma preghiera e suppliche affinché il
sangue versato sia seme d’amore e di riconciliazione tra i popoli.

Con queste parole vorrei solo invitare a meditare sul mistero della Chiesa, una Chiesa umano-divina, capace
di lasciarsi sconvolgere dallo Spirito e dunque di evolversi e di adattarsi, senza perdere le sue radici e la sua
identità.

A Luis Fernando Figari è stato affidato il tema dell’educazione dei giovani che
l’iniziatore del Mvc ha affrontato ricordando come “il soggetto dell’educazione
cristiana è il soggetto umano completo, ferito e nel contempo salvato”.
Nell’individuare il percorso pedagogico a cui invitare i giovani di oggi lungo un
cammino di educazione alla fede, Figari ha proposto all’attenzione dei presenti due
dimensioni fondamentali della fede: “la fede nel cuore dell’uomo e la fede nella
mente”. La prima dimensione evidenzia “che non basta afferrare cognitivamente la
fede, - ha detto Figari - ma bisogna sperimentarla come dono in cui nasce
un’affezione verso chi annuncia Cristo”; la seconda pone invece l’accento sulla “
ragionevolezza della fede” in cui “è dato rispetto reale alla libertà”.

Chiamato ad intervenire sulla presenza dei cattolici nella società, Dino Boffo, direttore
di Avvenire, ha preso le mosse per il suo intervento dal Concilio Vaticano II. Citando la
Lumen Gentium al numero 32 ha posto l’accento sul brano in cui viene affidato ai laici
“di illuminare ed ordinare tutte le cose temporali” vivendo immersi nella realtà
quotidiana. “Due verbi (illuminare a ordinare) che ci chiamano ad una responsabilità
specifica ed esaltante insieme” e che si associano ad altri due, presenti nella Gaudium
et Spes al numero 37, con cui si descrive il compito del laico nella società come
dedizione alla gloria di Cristo “usando e godendo delle cose del mondo”. “La
spiritualità a cui noi laici siamo chiamati, non è quella dalla fuga dal mondo - ha detto
Boffo - , ma della simpatia verso il mondo e le sue bellezze”

Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, ha rivolto il suo


intervento alla testimonianza del cristianesimo dentro le situazioni di povertà e
violenza. “ È un interrogativo grave quello che si pone al cristiano davanti alla
guerra, alla violenza, al dolore. Perché sono situazioni dove quasi si teme il
contagio della tristezza e della sofferenza altrui”. “ Ma l’amore per i deboli - ha
detto Riccardi - non è legato alle mode o alle ideologie, e la fedeltà a situazioni
difficili non è possibile se non con una fede reale e vissuta”. Ricordando
rapidamente i numeri dei conflitti e della povertà nel mondo, Riccardi ha poi
messo l’accento sulla parola pace: “La preghiera per la pace è la grande forza dei credenti ed è espressione
della certezza della fede”. “Siamo chiamati tutti - ha concluso il fondatore di Sant’Egidio - a comunicare di
cuore in cuore la bellezza della pace”.

RADIOVATICANA:
A ROMA 10 MILA ADERENTI AL RINNOVAMENTO CARISMATICO
PER LA PENTECOSTE CON IL PAPA
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Circa 10.000 membri delle comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico (RCC), provenienti
da più di 70 Paesi, sono pronti ad accogliere la sfida in un mondo assetato di speranza e a vivere a Roma
una nuova Pentecoste con rinnovato slancio di preghiera, santità, comunione e annuncio. L’occasione è
rappresentata dall’invito rivolto da Benedetto XVI - come già fece Giovanni Paolo II nel 1998 - a tutti i
Movimenti Ecclesiali e alle Nuove Comunità a celebrare con lui il 3 giugno prossimo i Vespri di Pentecoste in
Piazza San Pietro. Per questa occasione l'ICCRS (International Catholic Charismatic Renewal Services), un
organismo di diritto pontificio il cui compito è quello di coordinare e promuovere lo scambio di esperienze e
di riflessioni tra le comunità carismatiche cattoliche, oltre a collaborare fattivamente con il Pontificio Consiglio
per i Laici per la realizzazione della Veglia con il Papa, ha organizzato una serie di eventi spirituali dal 5
all’11 giugno, che renderanno ancora più ricca e feconda questa imminente festa di Pentecoste. Sabato 3
giugno i membri del RCC mondiale si riuniranno a partire dalle ore 16.00 in Piazza San Pietro insieme agli
altri Movimenti per pregare in attesa dell'arrivo del Santo Padre alle ore 18.00. Con lui ci sarà
successivamente la recita solenne della preghiera dei Vespri, che dovrebbe concludersi intorno alle ore
20:00. Domenica 4 giugno nella solennità di Pentecoste, dopo aver partecipato in mattinata alla Santa
Messa con il Papa in piazza San Pietro, i membri del RCC si sposteranno al Palaghiaccio di Marino per
“celebrare” insieme lo Spirito Santo in maniera tutta speciale. La manifestazione avrà come titolo “L'anima
mia magnifica il Signore” e come scopo il voler dare gloria a Dio per l'opera che quotidianamente Egli
continua a compiere in ognuno dei suoi fedeli per mezzo dello Spirito Santo, oltre a diffondere la “cultura di
Pentecoste”. Dal 5 al 9 giugno si vivrà al Palatenda di Fiuggi una conferenza aperta dal titolo ‘Il
Rinnovamento Carismatico: Ieri, Oggi e Domani’, alla quale prenderanno parte più di mille delegati da circa
70 diversi Paesi del mondo e con la quale l'ICCRS intende dare avvio alle celebrazioni del 40° Anniver sario
del RCC dai suoi esordi, che si terranno nel febbraio del 2007.

Zenit - Codice: ZI06060109

Data pubblicazione: 2006-06-01

Il rapporto tra movimenti e parrocchie

Intervista a padre Segura, Rettore del Centro di Studi Superiori della Legione di Cristo a Roma

ROMA, giovedì, 1° giugno 2006 (ZENIT.org ).- Com’è o come dovrebbe essere il rapporto tra i nuovi
Movimenti e Comunità ecclesiali e le parrocchie?

A questa domanda, la cui risposta ha dato luogo a vari dibattiti in passato, ha risposto padre Miguel Segura,
Rettore del Centro di Studi Superiori della Legione di Cristo a Roma.

Molti dei suoi seminaristi collaborano in parrocchie di Roma e di altre diocesi. Quale apporto al
binomio “parrocchia-movimenti” possiamo attenderci da questo incontro promosso dal Santo Padre
Benedetto XVI?

Padre Segura: La Chiesa intera riflette già da vari anni su questa domanda che lei mi ha posto. Abbiamo vari
discorsi di Papa Giovanni Paolo II su questo rapporto tra i movimenti e le parrocchie. Anche Papa Benedetto
XVI ha offerto molteplici riflessioni su questo punto prima della sua elezione al pontificato. Più recentemente,
il Pontificio Consiglio per i Laici ha continuato ad approfondire il tema. Le risposte si danno sia in ambito
teologico-canonico che nella vita di tutti i giorni.

Credo che l’apporto che possiamo attenderci ora sia la crescita in questa reciproca comprensione e
accettazione, nel continuare ad imparare come tutti insieme facciamo la Chiesa. Si tratta di una realtà
vissuta in prima persona da molti parroci e cristiani appartenenti a diversi movimenti. Questa collaborazione
cresce e si moltiplica, offrendoci da un lato una gamma molto ampia di esperienze positive, dall’altro una
serie di difficoltà normali per ogni realtà in crescita. A volte le difficoltà, i timori e i rischi diventano l’unico
punto di vista dal quale si affronta il rapporto tra le parrocchie e i movimenti, offuscando l’evidenza di tutto
ciò che di positivo stanno vivendo tanti parroci e Vescovi.

Credo che uno degli apporti fondamentali dell’incontro dei movimenti con il Santo Padre e del Secondo
Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità sarà il darci la prospettiva giusta per
affrontare il rapporto tra queste due realtà.
Ha trovato parroci interessati a far parte dei movimenti?

Padre Segura: Sicuramente. Come si è commentato nelle riunioni dell’ARCER (Associazione dei Rettori dei
Collegi Ecclesiastici di Roma), un’elevata percentuale delle vocazioni diocesane presenti attualmente nei
collegi romani proviene dai nuovi movimenti. Partendo da questo, molti parroci stanno invitando i movimenti
a partecipare dall’interno alla vita parrocchiale. Dall’altro lato, conosco personalmente numerosi sacerdoti
diocesani, tra cui alcuni parroci, che aderiscono alla spiritualità di qualche movimento per rafforzare la
propria amicizia personale con Gesù Cristo e potenziare la loro azione apostolica con l’ampia gamma di
iniziative che i movimenti apportano alla realizzazione dei piani di pastorale di ogni diocesi.

Aderendo ad un movimento particolare, però, una persona che dovrebbe rimanere super partes non
corre il rischio di “schierarsi”?

Padre Segura: In qualche parroco ci può essere del partitismo, ma ritengo che non dobbiamo generalizzare.
Tanti casi dimostrano il contrario. Tutti formiamo un solo corpo in Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo. I
parroci cercano i mezzi più adeguati per la loro vita spirituale e per realizzare il loro ministero. Se si sentono
chiamati da Dio a vivere la loro vocazione e missione secondo un carisma approvato dalla Chiesa, non può
essere se non per il loro bene personale e per quello dei fedeli che Dio ha affidato loro. I movimenti non
sono né devono essere gruppi chiusi o chiese parallele; non sono altro che cammini o veicoli per avvicinare
persone a Cristo e la parrocchia è il ponte. E’ vero che in questo ponte ci possono essere problemi di traffico
e una soluzione possibile sarebbe proibire la circolazione, ma un’altra sarebbe allargare il ponte e
organizzare il traffico. Per questo si parla spesso dalla parrocchia come della “comunità di comunità”. Se la
meta della parrocchia è avvicinare tutti gli uomini a Cristo e renderli partecipi della sua amicizia, la soluzione
sembra evidente. Dall’altro lato, la testimonianza luminosa di tanti parroci ci insegna che non sono meri
amministratori o guardiani di questo ponte, ma pastori che infondono nella vita parrocchiale un clima
costruttivo di carità e di comunione ecclesiale. E tutti i fedeli, appartengano o meno a movimenti o
associazioni laicali, devono collaborare con il loro parroco con un autentico atteggiamento di servizio,
promuovendo l’unità, realizzando la missione comune di andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo.

Quali frutti positivi riscontra nella collaborazione tra movimenti e parrocchie?

Padre Segura: Torniamo all’esperienza. Di fatto sono molto numerose le parrocchie che accolgono al loro
interno i nuovi movimenti e personalmente sono stato testimone dei frutti positivi che producono: vivere in
modo più consapevole il proprio battesimo, impulso missionario, aumento di vocazioni al sacerdozio e alla
vita consacrata. I membri dei movimenti non sono altro che cristiani battezzati che desiderano condividere la
loro esperienza di fede in Cristo. In base alla loro spiritualità sottolineano l’uno o l’altro aspetto, ma tutti sono
importanti. Alcuni sottolineano l’approfondimento della fede, altri il vivere attraverso la carità, altri ancora
l’annuncio con la proclamazione della Parola o l’esempio. Molti parroci hanno saputo approfittare di questo
fiume di “fede vissuta” per rivitalizzare le loro parrocchie e moltiplicare i loro sforzi di evangelizzazione. Ogni
movimento è una grande fonte di risorse per la parrocchia, soprattutto quando parliamo di volontari,
catechisti, animatori parrocchiali, risorse formative e programmi di apostolato.

A quali timori e rischi si riferisce quando parla delle difficoltà tra movimenti e parrocchia?

Padre Segura: A volte si percepiscono in alcuni parroci sfiducia e reticenze nei confronti dei nuovi
movimenti, ma debbo riconoscere che attualmente questo fenomeno sta diminuendo. Il fatto è che,
erroneamente, hanno visto i movimenti come alternative alla parrocchia, quasi come se la parrocchia fosse
destinata ad essere sostituita da loro. E’ anche certo che in altre occasioni ad alcuni membri dei movimenti è
mancata una maggiore umiltà e disponibilità ad integrarsi nell’organizzazione parrocchiale. Sono convinto,
tuttavia, che possibili conflitti devono essere risolti con umiltà, in dipendenza dall’Ordinario del luogo e alla
luce della carità evangelica e del mandato di Cristo che ci invia ad evangelizzare. Come ha appena detto il
Santo Padre nel suo messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali riuniti a
Rocca di Papa: “Ogni problema deve essere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda comunione,
in spirito di adesione ai legittimi Pastori”. Essendo tante e così urgenti le necessità della società e della
Chiesa, nulla dovrebbe pesare di più sulla bilancia della missione comune che Dio ci ha affidato. In questo
senso sono molto illuminanti le parole della conferenza “I movimenti ecclesiali e la loro collocazione
teologica”, dettata dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, che a mio parere ha già dato molto frutto, anche
se bisogna continuare a meditarla e ad applicarla.

Non esiste il pericolo di una separazione all’interno della parrocchia? Alcuni si muovono secondo un
carisma, altri in base ad un altro… Non porterà ad una frammentazione?
Padre Segura: Ritengo che i carismi in sé non siano fonti di disgregazione. Tutti loro provengono dallo
stesso Spirito Santo che guida la Chiesa. Egli ha voluto suscitare dentro la Chiesa, e secondo le necessità di
ogni epoca, ordini, congregazioni, istituti secolari e movimenti laicali, facendone rami e fiori dello stesso ed
unico albero che è la Chiesa. Credo che non ci si debba preoccupare perché ogni fiore ha un colore diverso,
se tutti, con sincero spirito di comunione, contribuiscono alla bellezza dell’albero. In questo modo ogni
movimento contribuisce al grande insieme del lavoro parrocchiale.

L’incontro con Benedetto XVI di sabato prossimo potenzierà la collaborazione tra movimenti e
parrocchia?

Padre Segura: Ne sono convinto. I movimenti non sono un problema, ma un dono per la parrocchia e per
tutta la Chiesa. Questo evento sarà per i movimenti una grande occasione per incontrare il Papa e per
manifestare la loro adesione a lui e agli altri Vescovi. Metterà in maggiore evidenza che la Chiesa di Cristo è
una comunione, in cui la diversità di doni arricchisce l’unità di vita e di missione. Anche per le parrocchie
sarà un beneficio, perché il messaggio del Santo Padre promuoverà, senza alcun dubbio, i movimenti e le
nuove realtà ecclesiali ad intensificare, nelle parrocchie in cui sono presenti, la vita cristiana e lo zelo
evangelizzatore.

Gesù Cristo ha paragonato il Regno di Dio a varie realtà in crescita: il lievito, un seme, un granello di senapa
che diventa un arbusto e un albero frondoso. A volte il seme o l’embrione non rivelano nitidamente tutto ciò
che saranno al raggiungimento della maturità, e ciò può provocare una comprensibile inquietudine, ma nel
caso dei movimenti approvati dalla Chiesa abbiamo la garanzia di conoscere il seminatore. La realtà che lo
Spirito Santo semina in questi momenti nella Chiesa e nelle parrocchie non può essere nociva se porta la
sua firma.

Triduo di preparazione del RnS con Padre Raniero Cantalamessa

II GIORNO - 1 giugno 2006

ore 20.30 Accoglienza


ore 21.00 Preghiera comunitaria carismatica
ore 21.30 Roveto Ardente di intercessione e di guarigione

Introdurrà e guiderà Salvatore Martinez


Luogo: Basilica di San Lorenzo in Lucina – Piazza S. Lorenzo in Lucina - ROMA

Venerdì 2 Giugno 2006

8:30 Lodi

III relazione: "Movimenti ecclesiali e nuove comunità nella


9:30 missione della Chiesa: priorità e prospettive" – S.Em. card.
Angelo Scola

10:30 Eventuali interventi liberi

11:15 Intervallo

11:30 Conclusioni (S.E. mons. Stanislaw Rylko)

12:00 Celebrazione eucaristica (S.E. mons. Josef Clemens)

13:00 Pranzo
L’ultima giornata del Congresso dei movimenti e nuove comunità di venerdì 2 giugno è stata segnata dalla
relazione del patriarca di Venezia, il card. Angelo Scola, che ha delineato priorità e prospettive nella
missione della Chiesa.

Movimenti ecclesiali e nuove comunità nella missione della Chiesa: priorità e prospettive
(TESTO PROVVISORIO )

+ Angelo Card. Scola, Patriarca di Venezia

1. Inviati dallo Spirito di Gesù Cristo

«Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni (tà dógmata) prese dagli


apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. Le comunità
intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni
giorno. Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo
Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.
Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo
permise loro; così, attraversata la Misia, discesero a Troade» (At 16, 4-8).
Con pennellate rapide ma decise san Luca schizza i tratti essenziali della
missione apostolica di Paolo, accompagnato, in questa fase, da Sila e Timoteo.
Dall’impeto missionario costituivo dell’esistenza dell’apostolo – il mandato, appunto - vengono generate le
prime comunità dinamicamente presentate in questo passaggio del capitolo 16 e la cui vita è descritta dai
famosi sommari iniziali del libro degli Atti: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento (didakē) degli
apostoli e nell’unione fraterna (koinōnía), nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore
era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti
stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva
parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano
il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il
popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 42-47) .
Ogni realizzazione della vita ecclesiale – come documenta la storia bimillenaria del popolo di Dio – è
caratterizzata dal permanente riproporsi dell’avvenimento personale e comunitario dell’incontro con Gesù
Cristo. Per questo sarebbe del tutto illusorio riflettere insieme, seppur sommariamente, su priorità e
prospettive dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità nella missione della Chiesa, senza chinarsi
ancora una volta sui lineamenti costitutivi delle comunità cristiane all’opera nella storia.

a) Il protagonista: lo Spirito di Gesù Cristo


Protagonista indiscusso della nascita e della missione della Chiesa - il racconto di san Luca lo ribadisce
continuamente - è lo Spirito Santo, che è sempre lo Spirito di Gesù Cristo . Il Concilio Vaticano II,
richiamando una potente analogia coniata dai Padri della Chiesa, riprende con forza e sviluppa
quest’insegnamento: «perché poi ci rinnovassimo continuamente in lui (cfr. Ef 4,23), ci ha resi partecipi del
suo Spirito, il quale, unico e identico nel capo e nelle membra, dà a tutto il corpo vita, unità e moto, così che i
santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che il principio vitale, cioè l'anima, esercita nel
corpo umano» .
Infatti il Signore Gesù edifica la Chiesa, Sua Sposa, per opera dello Spirito Santo che a partire da Maria,
icona della Chiesa tutta, rende possibile l’annuncio del Vangelo, la grazia della fede e la generazione
sacramentale della nuova creatura. Lo Spirito di Gesù è il dono per eccellenza che, immettendoci nella
comunione di amore tra il Padre e il Figlio, ci rende partecipi della vita stessa di Dio . La Chiesa, scrive san
Cipriano, è il «popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» .
Concretamente questa vita donata dallo Spirito ai cristiani si manifesta attraverso la testimonianza personale
e comunitaria. I fedeli possono invitare gli uomini e le donne di ogni tempo all’incontro con il Risorto nella
comunità ecclesiale: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39). In tal modo alla libertà di ogni singolo, sempre
storicamente situata, è assicurata la possibilità, per opera dello Spirito, di incontrare il Risorto, accogliere la
grazia della fede ed il dono della salvezza.
È significativo che, nel racconto di san Luca, l’insegnamento degli apostoli – il testo greco di At 16, 4 usa il
termine dógmata (decisioni), che rimanda all’imprescindibile contenuto veritativo di questo insegnamento –
sia connesso alla loro chiamata ad andare di città in città, in tutto il mondo. Viene qui messa in evidenza la
doppia dimensione dell’apostolicità, cioè della missione . Essa è sempre ed inscindibilmente apostolicità di
dottrina e di invio. Ad essa ha fatto riferimento nel Convegno Mondiale dei Movimenti Ecclesiali del 27-29
maggio 1998 l’allora Cardinal Joseph Ratzinger quando affermò che l’esistenza dei movimenti ha favorito un
approfondimento dell’apostolicità della Chiesa . Non a caso il papato, garante ultimo dell’apostolicità, ha
sempre mostrato lungo la storia particolare cura per queste nuove realtà, ai fini di mantenere le Chiese locali
«ad immagine della Chiesa universale» .
Un’attenta cristologia pneumatologica consente di comprendere in che modo la cosiddetta stagione dei
movimenti ha offerto a tutta la Chiesa una miglior autocoscienza della propria apostolicità. Un elemento
portante del magistero di Giovanni Paolo II circa i movimenti documenta la bontà di quest’affermazione: «Più
volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la
dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i Movimenti sono un'espressione significativa.
Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono
insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo» .

b) La co-essenzialità di dimensione istituzionale e dimensione carismatica


La genesi della Chiesa, come ben ci mostrano i Vangeli e gli Atti, sta nel gratuito incontro personale con
Gesù Cristo che affascina l’uomo al punto da deciderlo ad una sequela radicale. Ne scaturisce una
esperienza di amore per Cristo e per i fratelli carica di una bellezza che urge alla missione, la quale, in ultima
analisi, sfocia sempre nell’invito al “vieni e vedrai”. Si capisce allora perché della Chiesa si debba parlare in
prima e non in terza persona. La domanda ecclesiologica, adeguatamente posta, suona così: Chi è la
Chiesa? E non già: Cos’è la Chiesa? .
Infatti l’iniziativa dello Spirito di Cristo chiama in causa la libertà del singolo e chiede la sua personale
testimonianza . Possiamo immaginare la Chiesa come un’ellisse , i cui due poli sono: a) lo Spirito di Gesù
che viene incontro e chiama; b) la libertà dell’uomo ad aderire. Le celebri parole di Ireneo identificano con
chiarezza questo dinamismo pneumatologico della Chiesa: «In ecclesia posuit Deus (...) universam
operationem Spiritus (…) Ubi enim Ecclesia, ibi et Spiritus Dei; et ubi Spiritus Dei, illic Ecclesia et omnis
gratia» .
Ritornando ai due passaggi del libro degli Atti (16, 4-8 e 2, 42-47) che danno preciso conto di chi è la Chiesa
nascente, che cosa vi troviamo? Oltre all’insegnamento degli apostoli, essi fanno riferimento alla
koinōnía che sgorga dall’Eucaristia (frazione del pane) e dalla preghiera costante.
Il racconto dell’istituzione eucaristica (riportato nei Sinottici – cfr. Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22, 14-20 –
e magistralmente proposto da Paolo in 1Cor 11, 23-26) mostra come in concreto si attua l’incontro, nello
Spirito, tra Gesù Cristo e la libertà della persona. «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore – scrive Paolo – quello
che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23). Nell’Eucaristia gli apostoli trasmettono autorevolmente, in
quanto testimoni diretti, l’insegnamento ricevuto da Gesù invitando uomini e donne alla koinōnía che
implica la tendenza libera e gioiosa a mettere in comune la propria esistenza a partire dalla preghiera per
arrivare fino ad aspetti non trascurabili della vita materiale.
Il dinamismo sinteticamente descritto è il nucleo costitutivo di ciò che in sana dottrina si chiama Traditio .
Nella Catechesi dell’Udienza Generale del 10 maggio u.s. Papa Benedetto XVI ha efficacemente ricordato
che questa Traditio «è la presenza permanente della parola e della vita di Gesù nel suo popolo». La Traditio
pertanto, alla luce del libro degli Atti e dei racconti dell’istituzione eucaristica, si rivela come l’unità organica
di un dinamismo permanente di natura ultimamente sacramentale (per questo oggettivo ed istituzionale) e di
una dimensione personale (perciò non semplicemente individuale, ma sempre, in qualche modo,
comunitaria) pure, in se stessa, permanente, ma le cui forme variano (dimensione carismatica legata al
soggetto). Lo Spirito con la sua grazia le promuove entrambe. Con la prima garantisce l’oggettività della
Tradizione ecclesiale, con la seconda ne favorisce la persuasività per il soggetto che la incontra e vi
partecipa. Da una parte con i doni sacramentali ed istituzionali assicura permanentemente la presenza
stabile della persona di Gesù Cristo; dall’altra, non lasciando mai mancare la dimensione carismatica mostra
che Gesù muove persuasivamente la libertà dell’uomo nella varietà delle sue aspirazioni e nella pluriformità
delle condizioni storico-culturali in cui egli vive . L’unica Traditio mediante il sacramento, la Parola e il
regimen communionis assicura che lo stesso Gesù Cristo è annunciato a Calcutta, a Roma o a Douala;
attraverso la pluriformità dei doni carismatici – ad esempio il carisma di Francesco piuttosto che quello di
Domenico – persuade uomini dalle più diverse sensibilità.
L’affermazione del Santo Padre Benedetto XVI ben esprime il modo con cui lo Spirito del Risorto opera ed
assicura la permanenza della presenza della parola e della vita di Gesù (dimensione sacramentale-
istituzionale) in favore della vita del popolo di Dio guidato e sostenuto dallo stesso Spirito (dimensione
carismatica). L’insegnamento di Giovanni Paolo II circa la co-essenzialità di dimensione istituzionale e
dimensione carismatica costituisce un prezioso approfondimento della dottrina del Concilio Vaticano II -
contenuta nella costituzione Dei Verbum – circa la “crescita” della Tradizione apostolica mediante
l’assistenza dello Spirito Santo .
In proposito è importante notare che quando si parla di co-essenzialità di dimensione istituzionale e
dimensione carismatica non si deve in alcun modo pensare a “due componenti” dalla cui sintesi dialettica
scaturirebbe la realtà della Chiesa. La parola co-essenzialità indica, al contrario, l’unità duale propria
dell’evento Chiesa in quanto tale: la Chiesa è sempre e in modo insuperabile l’evento ellittico (due fuochi,
ma una sola ellisse!) di incontro tra la grazia di Cristo e la libertà dell’uomo che lo Spirito del Risorto assicura
nella storia. Questo significa che quella istituzionale e quella carismatica sono dimensioni di ogni
realizzazione della Chiesa: dalla Chiesa universale a quella locale, dalla diocesi alle parrocchie e dalle
classiche aggregazioni di fedeli fino ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità. Ognuna di queste realtà,
secondo la propria specifica natura, vive delle due dimensioni. È quindi pretestuoso, e alla fine errato, ridurre
i movimenti nell’ambito della pura dimensione carismatica e relegare diocesi, parrocchie e aggregazioni
classiche a quella istituzionale. Entrambe le dimensioni, con diverse gradazioni, sono costitutive di ciascuna
e di tutte queste realtà .
Riconoscere, almeno in linea di principio , nella vita e nell’auto-coscienza della Chiesa, il dato della co-
essenzialità della dimensione istituzionale e di quella carismatica significa far emergere con più chiarezza il
chi della realtà ecclesiale. Si vede meglio il nesso antropologia ed ecclesiologia. Se ce ne fosse il tempo
potremmo contemplare in proposito il mistero di Maria. È la prospettiva da cui Balthasar definisce la Chiesa
come «l’unità di coloro che, schieratisi intorno al Sì immacolato di Maria (…) e in questo Sì formati, sono
disposti e pronti a fare in modo che abbia a realizzarsi la volontà di salvezza di Dio su loro stessi e su tutti i
fratelli» .
Superate le tentazioni derivanti dalla contrapposizione e dalla mera giustapposizione tra dimensione
carismatica e dimensione istituzionale sarebbe ora necessario approfondire maggiormente la loro co-
essenzialità in chiave sacramentale. Ciò consentirebbe di illuminare come l’avvenimento cristiano permane
nella storia implicando la libertà dell’uomo . Giovanni Paolo II ha aperto questo fronte parlando di ratio
sacramentalis della Rivelazione e di forma eucaristica dell’esistenza cristiana .

c) Due corollari di natura pastorale


Prima di passare alla seconda parte della nostra riflessione mi permetto di formulare qualche rilievo di
carattere pastorale.
Abbiamo già detto che la vita dei movimenti e delle nuove comunità ha favorito la consapevolezza della
natura della Chiesa come evento donato alla libertà di ogni uomo. Nati perché un carisma donato
personalmente ad un fedele diventa principio educativo ed aggregativo di altri fedeli cristiani (movimento),
essi continuano a rivelare la persuasività dell’evento cristiano. Testimoniano la possibilità del permanere del
carattere originario di evento proprio dell’incontro con Cristo, inesauribile fonte di bellezza per la libertà
umana. Non si appartiene alla Chiesa per puro dovere o per pura inerzia sociale, ma perché si riconosce nel
Risorto Colui che ha la capacità di mobilitare dal di dentro la persona affinché si decida al dono totale di sé,
cioè all’amore. La sequela del carisma consente di riscoprire l’oggettività del proprio Battesimo, che ci
incorpora a Cristo e ci fa diventare membra gli uni degli altri (cfr. 1Cor 12,12ss; Rm 12, 4-5). Il nostro essere
uomini si compie, per grazia dello Spirito, nell’accoglienza del dono gratuito dell’incontro con Gesù Crocifisso
e Risorto che ci invita a seguirLo nell’eucaristica comunità cristiana. Nello stesso tempo la realtà del
movimento o nuova comunità rivela che la dimensione istituzionale è altrettanto co-essenziale ed è
intrinseca al movimento stesso. Infatti proprio in forza della dimensione istituzionale, ultimamente garantita
dai Vescovi in comunione con il Successore di Pietro, è possibile riconoscere che questo o quell’altro
movimento costituiscono un’autentica esperienza di Chiesa. Da qui la necessità di non estinguere i carismi,
ma anche quella di un loro adeguato discernimento.
In quest’ottica si possono evitare fastidiosi unilateralismi.
In primo luogo mi riferisco ad una interpretazione schematica della celebre affermazione di Giovanni Paolo
II: «la Chiesa stessa è un movimento» . Essa ha condotto talora a considerare nella pratica le forme
specifiche della propria esperienza di movimento come criterio di validità su cui misurare tutte le altre
aggregazioni di fedeli, parrocchie e diocesi comprese. Se la dimensione carismatica è coessenziale e non
derivata, oggettivamente chi incontra un movimento autenticamente ecclesiale vi compie un’esperienza
integrale di Chiesa. Tuttavia la natura sempre contingente del carisma di fondazione, e ancor più del
movimento che ne deriva, deve mettere in guardia dal rischio, anche indiretto, di imporli come modelli per
l’intera vita della Chiesa. Un’espressione dannosa di questo rischio può derivare dal tentativo,
apparentemente generoso, di creare, di fatto o di diritto, un organismo generale di coordinamento tra nuovi
movimenti come se il problema della maturità ecclesiale, di cui parlava Giovanni Paolo II , potesse essere
risolto dall’organizzare unitariamente i nuovi movimenti attraverso piani operativi per poi interloquire con le
diocesi, le parrocchie e le aggregazioni classiche di fedeli.
Una seconda considerazione è relativa alle modalità riduttive e parziali, ancora assai diffuse, di proporre la
formazione, la spiritualità e le conseguenze etiche connesse all’esperienza cristiana. Come si evince
dall’enciclica Deus caritas est questi decisivi elementi conseguono obiettivamente all’avvenimento
dell’incontro con la persona di Gesù Cristo . È questo avvenimento che, in forza della grazia della fede,
chiama la libertà del cristiano, sorpresa dallo splendore del Risorto, alla sequela. Quelle enucleate sono
conseguenze necessarie, da cui non si può assolutamente prescindere; ma sono appunto conseguenze.
Nessuno può illudersi che siano in grado di “produrre” direttamente l’esperienza cristiana. In effetti, il
cristianesimo, come ogni autentico evento, si comunica solo attraverso un altro evento, che non è mai
riducibile alle sue conseguenze. In questo senso nessuna “strategia pastorale” può di per sé generare il
popolo santo di Dio.
In particolare i pastori debbono resistere alla tentazione, comprensibilmente indotta da gravi urgenze
pastorali, di concepire i movimenti come mera “forza lavoro”. Coloro cui è stato dato il compito di reggere il
popolo di Dio ed ai quali spetta l’autorevole missione del discernimento, sono chiamati a saper riconoscere
la libertà dell’azione dello Spirito Santo (cfr. At 10,1-11,18), senza voler imporre piani né programmi pastorali
così rigidi da risultare mortificanti per i diversi carismi . D’altra parte deve essere premura dei movimenti
assumere con la loro propria specificità la proposta pastorale del vescovo.
Queste avvertenze, a prima vista fin troppo specifiche, sono in realtà significative modalità di attuazione del
principio metodologico della communio, autorevolmente proposto dall’Assemblea Straordinaria del Sinodo
dei Vescovi del 1985 in occasione del ventennale della chiusura del Concilio Vaticano II: la varietà e la
pluriformità nell’unità .

2. La missione nel Terzo Millennio

Con potente lungimiranza Giovanni Paolo II ha ricordato a tutta la Chiesa al n. 29 della Lettera Apostolica
Novo Millennio Ineunte: «Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è
quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo
stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al
suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle
culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace.
Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio».
In quest’ottica, che intende rispettare la natura di evento propria della Rivelazione, parlare di prospettive e
priorità significa indicare le condizioni essenziali cui movimenti e nuove comunità debbono restar fedeli se
vogliono che l’origine gratuita della loro esperienza diventi sorgente permanente della libera adesione di ogni
loro membro all’incontro con il Signore e strada grata per la missione ai nostri fratelli uomini.

a) Un soggetto ecclesiale personale e comunitario


La prima di queste condizioni, di gran lunga la più urgente, è il porsi del “soggetto ecclesiale” personale e
comunitario, luogo del «venite e vedrete» (Gv 1, 39), cioè della proposta viva del fascino di Gesù Cristo per
qualunque uomo. Riemerge qui la portata pneumatologica, ecclesiologica ed antropologica di quanto detto
circa la coessenzialità della dimensione carismatica e di quella istituzionale, che permette l’incontro
persuasivo fra la bellezza di Cristo e la singola persona. Anzitutto occorrono persone e comunità tese a
testimoniare la rilevanza dell’incontro con Cristo - nel dono dello Spirito - per l’esperienza elementare di ogni
uomo. Basta pensare agli incontri di Gesù descritti nei Vangeli (Zaccheo: Lc 19, 1-10; la Samaritana: Gv 4,
1-42), che si prolungano poi in quelli degli apostoli narrati dagli Atti (At 3, 1-10; 8, 26-40; 9- 10-19). I carismi,
soprattutto quelli di fondazione che vengono partecipati da migliaia di persone nei vari movimenti e
comunità, mostrano così loro fecondità nella misura in cui concorrono efficacemente a rendere reperibile
Gesù Cristo oggi.
Illuminante in proposito è risalire dalla descrizione della comunità primitiva, più volte richiamata (cfr. Att 2 e
16), alla genesi del soggetto personale e comunitario descritta dai Santi Vangeli. Nel Vangeli incontriamo
Gesù che, dopo i trent’anni di permanenza silenziosa a Nazareth, per ben due anni – sono i sinottici a
darcene precisa documentazione – si limita ad annunciare il Regno tra Cafarnao, dove prende dimora
presso Pietro, Corazim e Betsaida (cfr. Mt 11, 20-23) – un territorio di pochi chilometri quadrati – chiamando
all’amicizia con Sé Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo… (cfr. Lc 5, 1-11). Ogni sabato, da buon ebreo, si
recava in sinagoga come segno inequivocabile del primato di Dio nella sua vita. Lì leggeva la Parola di Dio,
pregava con i Salmi (cfr. Lc 4, 16-27). Lì gradualmente inserì la proposta del regno per cui il Padre Lo aveva
inviato. Con tutta probabilità il pomeriggio dello stesso sabato, secondo l’usanza giudaica, Gesù lo passava
nelle case dei suoi e discorreva con loro (cfr. Mc 4, 10ss). Sono sempre i Vangeli, con i loro logia, a darcene
testimonianza. Poi, man mano che cresceva l’interesse, Egli parlava, soprattutto in parabole (cfr. Mt 13, 1-
51), alla gente che sempre più numerosa accorreva per ascoltarlo. Questo fu in concreto l’inizio delle Sua
missione. Di cosa si tratta? Del prendersi cura di una trama di amici, liberi e coscienti. Uomini e donne che in
Lui trovavano il proprio centro affettivo. In seguito, dopo due anni, Gesù è sostanzialmente costretto
all’esilio, al di là del lago; e da lì, con la cerchia più ristretta dei suoi, si spinge su fino a Tiro e a Sidone (cfr.
Mt 15, 21). Per sei mesi il soggetto comunitario suscitato dall’incontro con il Maestro infittisce il rapporto con
Lui. Stanno insieme ventiquattro ore su ventiquattro: così cresce e si consolida la loro koinōnía. Infine
in altri sei mesi, dopo «aver deciso fermamente» (cfr. Lc 9, 51: ipse faciem suam firmavit!), li porta con Sé a
Gerusalemme (cfr. Mc 10, 1; Mt 19, 1; Lc 9, 51) dove la Sua missione si compie tragicamente, ma dove
eucaristicamente il soggetto ecclesiale prende la forma definitiva che giunge fino a noi, proprio in forza di
quei fatti (passione, morte e risurrezione), base dell’evento che per grazia anche oggi gli uomini incontrano,
se un soggetto trasformato dallo Spirito di Cristo lo propone loro come evento.
Diventa in tal modo “comprensibile e praticabile” ai fedeli l’esperienza che «Cristo, che è il nuovo Adamo,
proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli
manifesta la sua altissima vocazione» . Porre il soggetto, ad un tempo personale e comunitario, è la priorità:
fondamentale per tutta la Chiesa. Questo hanno saputo indicare persuasivamente tutti i movimenti e le
nuove comunità. Questa deve essere pertanto la loro assoluta priorità. Sarà come per i primi apostoli, strada
concreta per vivere le dimensioni del mondo (evangelizzazione ed inculturazione).
Questa “cura” del soggetto, che scaturisce dalla coessenzialità di dimensione carismatica e dimensione
istituzionale, permette di recuperare concretamente il dato elementare, oggi spesso smarrito, che la vita è, in
se stessa, vocazione. Ogni circostanza, ogni rapporto, altro non sono che il quasi-sacramento mediante il
quale lo Spirito di Gesù chiama il cristiano a coinvolgersi col disegno del Padre che conduce la storia di ogni
persona e di tutta la famiglia umana. La vita come vocazione precede la vocazione ad uno specifico stato di
vita. Ogni autentico carisma, infatti, risulta persuasivo non perché “aggiunge qualcosa” ai normali contenuti
dell’esistenza, ma perché rende consapevoli di come il mistero di Dio, che in Gesù Cristo si è piegato
sull’umana condizione, si fa presente attraverso la normalità dell’esistenza in quanto tale svelandone il
carattere di vocazione. In ogni istante il Deus Trinitas si offre a noi e ci chiama a fare sì che tutta la nostra
vita sia una logikē latreía (Rm 12, 1), un culto ragionevole (spirituale) gradito a Dio. Il valore del
Battesimo (cfr. 1Pt 3, 21) e la forma eucaristica della vita cristiana brillano qui in pienezza. Il cristiano è
chiamato (vocazione) attraverso tutte le circostanze della vita ad assumere il compito (missione) di dilatare,
mediante il dono di sé, il regno di Dio, senso ultimo della storia e di ogni storia, già realizzatosi nella storia
singolare di Cristo e non ancora manifestatosi pienamente nella storia di ognuno, ma presente come caparra
nel mistero della Chiesa.
Conviene, a questo punto, richiamare con forza un dato oggi gravemente trascurato. La coscienza che la
vita è vocazione richiede che il fedele sia stabilmente educato al pensiero di Cristo (1Cor 2, 16). Infatti, se
non si vuole “dare per scontato” il soggetto dell’azione missionaria, ogni comunità cristiana è tenuta a
promuovere una permanente educazione alla fede intesa come criterio vitale con cui affrontare tutta la
realtà. Nella vita del cristiano il paolino «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21) perché
«tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22-23) non può essere un dato automatico,
ma richiede un organico lavoro di educazione (cfr. Gv 6, 45). A documentarcelo sono, ancora una volta, le
prime comunità cristiane: l’annuncio del Vangelo vissuto nell’Eucaristia e testimoniato nella vita domanda
l’immedesimazione accurata con la fede intesa come abbandono a Cristo (fides qua) e professione della sua
verità (fides quae): «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella
frazione del pane e nelle preghiere» (At 2, 42).
Dato che Gesù Cristo è la Verità vivente e personale – la Rivelazione non ha anzitutto la forma di un
discorso, ma di una persona - è impossibile separare, nell’educazione cristiana, “ciò” che Gesù insegna da
“come” lo insegna. Il pensiero di Cristo è indisgiungibilmente esperienza e logos. La genesi della comunità
apostolica, brevemente richiamata, mostra che per poter assimilare la verità che Egli propone è necessario
coinvolgersi in un rapporto stabile con Lui ed i fratelli. Seguire Gesù è la strada per poter entrare nel
contenuto vivo e presente della Rivelazione. Così i diversi movimenti e comunità ecclesiali, animati dallo
Spirito, saranno luoghi di sequela ecclesiale se renderanno possibile e praticabile l’educazione permanente
al pensiero di Cristo (1Cor 2, 16) che sgorga dall’idem sapite, dal tò autò phroneite (2Cor 13, 11) di cui parla
Paolo.

b) Un soggetto chiamato ad autoesporsi: la testimonianza cristiana


La seconda condizione che diventa priorità e prospettiva per la missione ecclesiale dei movimenti e delle
nuove comunità è intrinseca alla natura e all’esistenza del soggetto ecclesiale personale e comunitario. Il
soggetto cristiano è chiamato a rendere testimonianza all’evento incontrato, cioè ad autoesporsi nella
sequela di Gesù Cristo sulle tracce del carisma partecipato ed oggettivamente garantito dall’autorità. Per
inciso conviene richiamare che questa è la strada maestra suggerita dal concludersi della parabola della
cosiddetta teologia del laicato nel binomio vocazione-missione .
Da dove in concreto hanno origine le comunità primitive cui abbiamo fatto riferimento? Dagli Apostoli avvinti
dalla potenza dello Spirito del Risorto che, in piena comunione con Sua Madre e tra loro, da cristiani
spaventati sono, per grazia, trasformati in testimoni fino all’offerta totale di sé. Un’imponente metamorfosi
che era stata promessa da Gesù: «mi sarete testimoni» (cfr. Lc 24, 48; At 1, 8), «andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).
Il Vangelo di Giovanni descrive la grazia profonda di questa straordinaria novità sperimentata dai pescatori
di Galilea, che documenta la genesi pneumatologica della Chiesa: «perché ho detto queste cose, la tristezza
ha riempito il vostro cuore (…) è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a
voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, Egli convincerà il
mondo» (Gv 16, 6-8). L’apostolo non è tale finché lo Spirito del Risorto non lo manda, non fa di lui il
testimone. L’etimologia più probabile di questo vocabolo lo fa derivare da ter-stis, il terzo che sta tra i due.
Tutti i Suoi (dai primi su su fino a noi) sono il terzo che sta tra Lui ed il nostro fratello uomo che - magari
senza saperlo, forse addirittura bestemmiandolo - anela alla Sua salvezza.
La testimonianza è, alla fine, la gioiosa garanzia di una vita buona trasformata dal fascino di Gesù. Essa
muove la persona e la comunità ad obbedire a ciò che la Provvidenza gli chiede qui ed ora. Infatti è della
natura di ogni movimento, in quanto realizzazione della Chiesa, essere una costante “pro-vocazione” alla
persona in vista della propria maturità personale ed ecclesiale. Una comunità non sostituisce mai la persona,
ma la urge alla maturità fino alla sua figura adulta e compiuta. La spinge alla responsabilità nei confronti del
dono della fede che ha incontrato o che è stato risvegliato nell’incontro da un carisma persuasivo.
Come si declina questa chiamata personale e comunitaria ad auto-esporsi?
A livello personale possiamo descriverla, nella sua dinamica interna, almeno con due tratti. Da una parte
auto-esposizione significa permanente docilità a quanto lo Spirito opera nella vita della Chiesa e nel mondo.
Dall’altra significa assunzione di uno stabile stile testimoniale di vita a partire dalla propria comunità cristiana
fin dentro ogni ambito dell’umana esistenza. Sono due dimensioni che si richiamano l’un l’altra e non si
possono mai separare: non c’è possibilità di testimonianza se non nasce dalla docilità all’opera dello Spirito
che rende testimonianza in noi, perché anche noi possiamo testimoniare al mondo (cfr. Gv 15, 26-27).
Questa urgenza di auto-esposizione personale si giocherà inevitabilmente a partire dallo specifico stato di
vita. Il modo con cui un fedele laico sposato, partecipando al carisma incontrato, si esprimerà concretamente
nella vita della Chiesa e nella società, non sarà identico a quello di quanti seguono Gesù nella verginità
consacrata. Quello di un sacerdote appartenente ad una società di vita apostolica o a forme analoghe nate
dall’esperienza di un movimento non sarà lo stesso di quello di un sacerdote diocesano che pur partecipa
dello stesso carisma. Ancor diversa sarà la sequela di un carisma per quanti appartengono a famiglie
monastiche, a congregazioni ed ordini religiosi o ad istituti secolari. Sono aspetti non secondari su cui molti
movimenti e nuove comunità vanno riflettendo e in merito ai quali la testimonianza chiede anche il coraggio
del de iure condendo .
La testimonianza come urgenza intrinseca all’autenticità di ogni carisma è esigita in modo radicale
dall’inevitabile trapasso dei fondatori di movimenti e nuove comunità. In questo caso, per assicurare la
fedeltà al carisma stesso, è decisiva anzitutto l’auto-esposizione di coloro che hanno incontrato il carisma, e
questo vale in modo del tutto particolare per coloro che hanno ricevuto la missione di continuare la guida
delle comunità quali successori dei fondatori. Nel rischio della testimonianza personale si diventa sempre più
figli e, quindi, fedeli alla grazia ricevuta: figli e non semplici imitatori.
Se consideriamo ora l'auto-esposizione della comunità in quanto tale, mi preme indicare due criteri
fondamentali. Parlando di priorità e prospettive occorre evitare il grave rischio di indebite omologazioni. Per
la missione dei movimenti e delle nuove comunità non esiste un’unica strada che tutte queste realtà
debbano percorrere. Senza questa avvertenza si ricadrebbe nella tentazione di voler catturare movimenti e
nuove comunità nelle maglie del “già noto”, facendo loro perdere la provvidenziale e provocante diversità cui
lo Spirito li chiama. In linea di principio non si deve precludere allo Spirito la più grande varietà di
configurazioni testimoniali, purché si resti dentro l’oggettivo alveo del regimen communionis della Chiesa .
Questo indica, tra l’altro, che è maturo il tempo di riconoscere che l’azione e la riflessione sulla missione dei
nuovi movimenti nella Chiesa non può più essere ritenuta un capitolo a sé stante, ma deve necessariamente
svolgersi, all’interno della Chiesa universale e delle Chiese particolari, nella comune sinfonia di tutte le
aggregazioni di fedeli, incluse quelle classiche.
Questo – ed è il secondo rilievo – impone il coraggio e la pazienza di sapere reperire nuove forme. Anche a
questo proposito la fisionomia giuridica di ogni singolo movimento dovrà essere guadagnata passo passo
nella storia concreta di auto-esposizione di ogni realtà all’interno della vita della Chiesa.
Se prestiamo attenzione alla vicenda concreta dei diversi movimenti e comunità mi sembrano emergere – è
una lettura del tutto personale - due tendenze che non sono in alternativa, anche se esprimono diversi
orientamenti .
Da una parte in talune di queste realtà si sviluppa la coscienza che la sequela del carisma intende
semplicemente esprimere una modalità persuasiva della normale appartenenza alla Chiesa. Simili
movimenti vogliono educare alla “logica sacramentale” propria dell’esistenza cristiana in quanto tale. Essa
consente di affrontare le condizioni di vita comuni a tutti i fedeli senza enfatizzare forme ed organismi
specifici di impegno, di testimonianza e di organizzazione. Un simile orientamento favorisce una concezione
ed una pratica di movimento inteso come luogo di fraternità e amicizia cristiana capace di assumere con
agilità le istanze proprie di ogni luogo e tempo. L’accurata vigilanza circa un’intensa comunione ed una
generosa missione aiuterà la fedeltà stabile al carisma e la sua destinazione alla missione della Chiesa.
Questo atteggiamento di forte autoesposizione può trovare sostegno in forme giuridicamente appropriate, o
già esistenti o da reperire.
Mi sembra, però, di poter rilevare nei fatti anche un altro orientamento. Quello di concepire l’appartenenza al
movimento o alla comunità, luoghi persuasivi di vita cristiana, in analogia con forme monastiche e di ordini e
congregazioni religiose all’ombra delle quali molte nuove comunità sono nate. Questa scelta può favorire
una precisione di proposta ed un’attenta sequela del cammino dei singoli aderenti. Proprio sulla scorta della
plurisecolare esperienza delle forme monastiche e religiose, queste realtà dovranno cercare forme giuridiche
appropriate per le mutue relazioni con le realizzazioni ordinarie della vita ecclesiale.
c) Un soggetto testimone nel mondo
Come ci ha ricordato Benedetto XVI esiste un’obbiettiva corrispondenza tra la bellezza dell’incontro con
Cristo, in forza del dono dello Spirito, e la gioia di comunicarlo . La missione non è anzitutto un’attività
specifica, ulteriore rispetto alla vita quotidiana. Al contrario in forza della “logica sacramentale” della
Rivelazione, ogni circostanza e rapporto è quasi-sacramento dell’incontro con Cristo. La persona stessa,
affascinata dalla bellezza dell’incontro con Cristo in forza di un carisma persuasivo, comunica, piena di gioia,
questa bellezza nella trama quotidiana dell’esistenza - affetti, lavoro e riposo - dove avviene il dia-logo di
salvezza con il Risorto. Qui sta la radice dell’essenzialità e dell’universalità della missione cristiana . La
missione ecclesiale non ha, come sappiano, altri confini che quelli del mondo: «il campo è il mondo» (Mt 13,
38). La missione è propria di tutti i chiamati cioè, potenzialmente, di tutti gli uomini.
Ancora una volta potremmo descrivere i tratti di questo vivere in favore del mondo (propter nos et propter
nostram salutem) riferendoci agli Atti degli Apostoli. Basti richiamare la tensione libera a mettere in comune
beni materiali e spirituali (cfr. At 4, 32-37), praticando la koinōnía come concreto principio di
organizzazione dell’esistenza. O riferirsi a Paolo che fermandosi a Corinto, lavora come fabbricatore di tende
(cfr. At 18, 1-4), o allo stesso che riceve amici in casa, prigioniero a Roma, vivendo così secondo uno stile
singolare il suo “riposo” (cfr. At 28, 16-22). O ancora al carceriere di Filippi che, passato il momento di grave
turbamento, si fa battezzare, fa salire Paolo e Sila in casa, apparecchia la tavola… e si ritrova «pieno di gioia
insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» (cfr. At 16, 27-34). Veramente ogni circostanza della vita e in
essa ogni rapporto – circostanze e rapporti formano infatti la trama di cui è intessuta la realtà – sono il luogo
dell’annuncio testimoniale di Gesù Cristo da parte del soggetto ecclesiale personale e comunitario.
Parlando di missione oggi si deve avere il coraggio di riconoscere che, per il grande travaglio in cui versa
l’uomo post-moderno, è decisivo mostrare come l’evento di Gesù Cristo intercetti concretamente l’anelito di
libertà e di felicità inscritto in ogni uomo ma avvertito in modo singolarmente acuto dai nostri contemporanei.
Ciò deve giungere fino a mostrare le implicazioni antropologiche e sociali della novità di vita generata dal
Battesimo e resa affascinante dalla sequela del carisma partecipato nella vita della Chiesa . Siamo chiamati
a mostrare che non è vera la terribile accusa del poeta Eliot: «Il genere umano / non può sopportare troppa
realtà» .
Quando parlo di urgenze antropologiche mi riferisco alle modalità concrete con cui la forza dei movimenti
educa a vivere gli affetti e ad affrontare l’esperienza esaltante dell’amore sponsale e verginale, che è
sempre fecondo. Rendere visibile nel mondo la possibilità di amare per sempre ed in modo esclusivo nel
matrimonio e quella di generare ed educare figli costituisce una strada decisiva per ridare speranza ai nostri
fratelli uomini. Quella speranza di cui sono segno privilegiato ed escatologico coloro che sono stati chiamati
a seguire Gesù Cristo attraverso la professione dei consigli evangelici o attraverso il sacramento dell’Ordine.
Sul piano sociale urge proporre concretamente una nuova civiltà dal volto umano, fatta di affetti, lavoro,
riposo concepiti come generatori di “vita buona” personale e civile.
Amando e lavorando in Cristo e per Cristo senza temere sacrificio e dovere, il desiderio e la libertà trovano
la via sicura del compimento. Si diventa uomini condotti dalla logica dell’Incarnazione a condividere le forme
più elementari del desiderio, a partire dal bisogno (cfr. At 4, 32-35; Rm 15, 25-27; 1Cor 16; 2Cor 8). Ed è del
tutto naturale che più il bisogno è imponente e radicale più provochi la libertà di condivisione del cristiano.
In questo modo si verrà configurando una cultura sociale imperniata sui principi della solidarietà e della
sussidiarietà, costantemente approfonditi dal Magistero sociale della Chiesa. Si sarà capaci di incontrare e
collaborare con uomini e donne di tutte le latitudini e longitudini nell’edificazione di forme sostanziali di
democrazia e di buon governo.
Non è un caso che il Santo Padre, nell’enciclica Deus caritas est, abbia richiamato i fedeli laici a percorrere
la strada della purificazione dell’amore. Una strada che va simultaneamente dall’eros all’agape e dalla
giustizia alla carità . I cristiani - dice il Papa - in quanto «cittadini dello Stato, sono chiamati a partecipare in
prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare “alla molteplice e svariata azione
economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e
istituzionalmente il bene comune”» . L’importanza di questa testimonianza nel sociale, in grado di distinguere
i diversi ambiti nell’unità vitale del soggetto, è segnata da una chiara coscienza del rapporto tra diritti, doveri
e leggi. In proposito è significativo il peso che ultimamente ha avuto il dibattito su cosa sia “religione” e
“laicità”, almeno in Europa e negli Stati Uniti.
Da una parte vi è chi assolutizza il rapporto cittadino-Stato, relegando nel privato ogni appartenenza o
identità (culturale, religiosa). Si giunge così ad un’ipertrofia dei diritti, sganciati dai doveri e dalle leggi, e alla
separazione tra pubblico e privato... Essa porta inevitabilmente con sé una concezione formalistica della
democrazia. Censurando la dimensione religiosa dell’uomo l’ordinamento statuale tende ad occupare il
posto di Dio.
Dall’altra parte assistiamo ad un’enfatizzazione delle “differenze” culturali, religiose ed etniche fino a renderle
tra loro incomunicabili. Da qui l’impossibilità di pensare la comune appartenenza alla famiglia umana. Non si
riesce a fondare l’universalità e, quindi, a stabilire un termine di paragone fra le diversità sulla base
dell’esperienza elementare di ciascuno e di tutti.
L’antropologia che nasce dall’incontro con il Risorto, proprio perché rispettosa della natura specifica
dell’esperienza elementare, permette di non lasciarsi irretire in simili posizioni. L’uomo, costitutivamente
religioso, è capace di ospitare tutto il reale che a sua volta, nei suoi lineamenti essenziali, è conoscibile. La
società è sempre correlata alla persona, pertanto la separazione tra pubblico e privato è arbitraria. Il
cristiano propugna una visione dell’uomo e della società a misura di tutti, non teme la natura plurale delle
moderne realtà civili perché stima i corpi intermedi in cui il singolo è sempre inserito. È così aiutato a non
vivere individualisticamente i diritti, perciò stima il dono della vita, l’oggettiva natura dei rapporti affettivi,
familiari e sociali, ed è convinto che si possano coniugare giustizia e carità.
Movimenti e nuove comunità sono chiamati quindi ad una testimonianza integrale che giunga fino a queste
implicazioni. Solo così saranno fedeli alla natura essenzialmente missionaria del cristianesimo.

3. «Guai a me se non annunciassi il Vangelo!»

Il brano degli Atti degli Apostoli con cui abbiamo aperto questa riflessione prosegue con un episodio molto
significativo: «Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava:
“Passa in Macedonia e aiutaci!”. Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la
Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi (il testo greco dice “evangelizzare”,
euangelisasthai) la parola del Signore» (At 16, 9-10).
Il Macedone del racconto degli Atti, non è forse la figura di ogni nostro fratello uomo che, magari sotto la
forma della ribellione o addirittura dell’ostilità, non cessa di interpellarci? E noi, che per pura grazia abbiamo
conosciuto il Risorto e per il dono del Suo Spirito siamo parte viva del popolo cristiano, non ci metteremo
subito in movimento riconoscendo in questo l’invito di Dio che ci urge all’evangelizzazione? «Guai a me se
non annunciassi il Vangelo!» (1Cor 9, 16).

Conclusioni
di S.E. Mons. Stanislaw Rylko, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici

“Il Congresso è stato una particolare esperienza della Chiesa nella varietà e diversità dei carismi che lo
Spirito Santo le elargisce oggi; in questi giorni non si è trattato solo o soprattutto dei Movimenti ecclesiali e
nuove comunità. Abbiamo avuto sempre davanti agli occhi la grande causa della Chiesa, l’evangelizzazione
del mondo contemporaneo.” Così l’arciv. Rylko ha iniziato il suo intervento conclusivo. “A questo congresso
abbiamo fissato lo sguardo sulla più bella icona della Chiesa, quella del Cenacolo con gli apostoli riuniti
insieme a Maria su cui è sceso lo Spirito Santo.

Il messaggio del Papa: un programma di vita e di azione


Mons. Rylko ha sottolineato la comunione con il successore di Pietro “fondamentale pilastro di ecclesialità
dei movimenti”. Ha quindi riproposto, quale “programma di vita e di azione” per il cammino futuro, il
messaggio inviato da Papa Benedetto XVI ai partecipanti al Congresso. Ne ha evidenziato alcuni punti:
1. i movimenti “siano sempre scuole di comunione, compagnie in cammino in cui si impara a vivere nella
verità che Cristo ci ha rivelato e comunicato per mezzo della testimonianza degli Apostoli”;
2. “portate la luce di Cristo n tutti gli ambienti sociali e culturali in cui vivete”;
3. “portate in questo mondo turbato la testimonianza della libertà con cui Cristo ci ha liberati. La straordinaria
fusione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo rende bella la vita e fa rifiorire il deserto in cui spesso ci
ritroviamo a vivere”;
4. “diventate costruttori di un mondo migliore secondo l’ordo amoris in cui si manifesta la bellezza della vita
umana”;
5. “I Movimenti sono un segno luminoso della bellezza di Cristo e della Chiesa sua Sposa: voi appartenete
alla struttura viva della Chiesa”;
6. “ogni problema deve essere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda comunione, in spirito di
adesione ai legittimi Pastori”.

La bellezza di essere cristiani

Si manifesta nel modo più forte attraverso la santità di vita - Soffermandosi sul tema del Congresso: “La
bellezza di essere cristiani e la gioia ricomunicarla” mons. Rylko ha affermato che ha aperto prospettive
affascinanti. Della bellezza di Cristo non bisogna essere solo ammiratori, ma bisogna “lasciarsi rapire”,
sedurre per arrivare a decidersi per la sequela. Come si comunica agli altri uomini la bellezza di Cristo? E’
nella santità che si manifesta in modo più forte. Basta guardare a Maria, la ‘tota pulchra’”.
La bellezza di essere cristiani. Mons. Rylko ha sottolineato il plurale: “Il cristiano non è mai un essere
solitario. I Movimenti e nuove comunità creano nelle persone un senso di appartenenza alla Chiesa
totalizzante, un’appartenenza che cambia e forma le persone, permette una iniziazione cristiana profonda e
autentica. Questo è un enorme contributo che i movimenti ecclesiali danno alla vita della Chiesa.

I Movimenti: rispondono all’esigenza degli uomini di “avere una casa” – “Grazie ai Movimenti, schiere di
cristiani hanno una casa, una famiglia. La Chiesa come istituzione di dimensione mondiale potrebbe
sembrare una realtà lontana che ci sovrasta”.

La maturità ecclesiale dei movimenti e nuove comunità


oggetto di riflessione al Convegno

Fedeltà al carisma originario - “La stanchezza, la routine sono sempre in agguato. I movimenti non sono
immuni da questi rischi. Quel primo slancio generato dal carisma originario deve durare. Non deve mai
perdere di forza la passione per il regno di Dio. Per questo ci vuole una costante conversione del cuore:
bisogna riscoprire sempre di nuovo questo primo amore che ha spinto alla sequela radicale di Gesù Cristo”.

La memoria degli inizi - “Conversione vuol dire mantener viva la memoria delle origini, della storia del proprio
carisma, memoria che diventa sfida e impegno” a mantener sempre viva la “giovinezza spirituale”. Anche
quando arriva l’ora del “ricambio generazionale” e si pone l’interrogativo su come trasmettere il carisma del
proprio movimento alle nuove generazioni.

I movimenti come sana provocazione

Nel mondo - “Una funzione importantissima è quella di essere una sana provocazione, essere ‘segno di
contraddizione’ nel mondo di oggi, dove è in atto una forte azione omologante della cultura contemporanea.
Nonostante si parli tanto di tolleranza, questa cultura non tollera chi è diverso, chi va contro la corrente del
‘politicamente corretto’. Già il card. Ratzinger insisteva molto sul fatto che noi cristiani dobbiamo ribellarci
contro questo tipo di falsa tolleranza.”

Nella Chiesa – “I Movimenti hanno la funzione di essere una sana provocazione anche all’interno delle
comunità cristiane, delle parrocchie, delle diocesi. E’ questo un grande compito, un enorme contributo. Ad
un ‘cristianesimo stanco’ – come diceva Papa Benedetto XVI - a un cristianesimo scoraggiato, i movimenti
propongono un altro modo di essere cristiani, pieni di slancio, di gioia, di felicità. A comunità cristiane chiuse,
i movimenti propongono il coraggio dell’annuncio anche negli ambienti difficili”.

Nuovo appello all’invio missionario

“Siamo venuti qui non solo per riflettere, ma per dire alla fine: ‘Ecco, Signore, manda me’. E’ nella missione
che si trova la verifica della maturità ecclesiale dei movimenti. Sarà il Papa domani a dirci le parole dell’invio
missionario. E’ la Chiesa che ci manda, è Cristo che ci manda per la missione.”

Telegramma a Sua Santità Benedetto XVI


a conclusione del Congresso Mondiale dei Movimenti e Nuove Comunità - 2 giugno 2006

Santità,

a nome di oltre cento movimenti ecclesiali e nuove comunità abbiamo partecipato al II Congresso mondiale
a Rocca di Papa dal 31 maggio al 2 giugno, in preparazione alla grande Veglia di Pentecoste. Le diciamo
grazie per il messaggio che ci ha inviato, segno di una paternità che conferma la fede e sostiene la speranza
di noi che siamo stati attratti dalla bellezza di Cristo attraverso l’incontro con un carisma, che ha reso più
persuasiva la proposta cristiana come risposta affascinante al cuore di ciascuno di noi.

In questi giorni ci siamo interrogati su che cosa significhi rendere ragione della bellezza di Cristo e
dell’essere cristiani in un mondo segnato dal nichilismo, da diverse forme di povertà e di violenza e dalla
riduzione della fede a una vaga religiosità che allontana dalla realtà.
Più volte nelle relazioni e nei dialoghi sono risuonate la prime parole della Vostra Enciclica: «All’inizio
dell’essere cristiani non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con
una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».

Sentiamo il legame diretto con la Santità Vostra come fondamento della libertà di approfondire il carisma che
rende Cristo contemporaneo alla nostra vita e, nello stesso tempo, come possibilità di venire autorevolmente
sollecitati a spenderlo per l’edificazione del Corpo di Cristo.
Il fatto che Vostra Santità riconosca che apparteniamo alla «struttura viva della Chiesa» diventa una
rinnovata responsabilità a manifestare la carità di Cristo come «passione per la vita e il destino degli altri,
negli affetti e nel lavoro, fino a diventare forza di costruzione di un ordine sociale più giusto».
Ben consapevoli della sfida che il relativismo porta fin dentro la fragilità delle nostre esistenze, ci sentiamo
confortati nell’avventura del cammino quotidiano dalla continua verifica della verità di ciò che la Santità
Vostra ci ha affidato all’inizio del pontificato: Cristo «non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il
centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita».

Per questo riconsegniamo la nostra vita e quella degli amici di tutti i nostri movimenti e della nostre comunità
nelle Sue mani di padre, affinché la nostra fede, fondata sulla roccia di Pietro, possa fiorire come
testimonianza di speranza e opera di carità per i nostri fratelli uomini.

Rocca di Papa, 2 giugno 2006

DALLA RADIOVATICANA

E domani all’incontro con il Santo Padre in piazza San Pietro, sarà presente, anche una folta
rappresentanza del Rinnovamento dello Spirito. In Vaticano, presso il Palazzo della Cancelleria, ha sede
l’organismo di collegamento, o di servizio, per meglio dire, per tutto il Rinnovamento carismatico nel mondo,
con la sua sigla ‘ICCRS’ (International Catholic Charismatic Renewal Services). Al direttore generale
dell’Organismo, Oreste Pesare, Giovanni Peduto ha chiesto in cosa consiste esattamente la peculiarità del
Rinnovamento:

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R. – Consiste nel fare un’esperienza personale con lo Spirito Santo e quindi con la signoria di Gesù. Perché
lo Spirito Santo, quando tu fai l’esperienza con Lui nel tuo cuore, ti porta a riconoscere nella tua vita che
Gesù è il Signore. E quindi, tu riesci a vivere la tua vita con una gioia tutta nuova perché ti rendi conto che ti
senti un salvato, ti senti trasformato e senti che il Signore ti accompagna in ogni momento della tua vita.

D. – Tante nuove forme di vita religiosa laicale si rifanno al Rinnovamento o si richiamano al Rinnovamento.
Vuole dirci qualcosa, in proposito?

R. - Il Rinnovamento, per se stesso, non è un movimento, non vogliamo accorpare delle persone, non siamo
una ‘associazione’, nel senso più stretto; siamo persone che hanno fatto questo tipo di esperienza. Chi fa
questa esperienza dello Spirito, poi, si sente spinto dallo Spirito stesso a organizzarsi in vite comunitarie: ci
sono molte vocazioni religiose, ci sono sacerdoti che hanno visto la loro vita trasformata, rinvigorita dallo
Spirito Santo. E’ quindi lo Spirito che genera nuove forme di associazionismo.
**********

MESSAGGIO DEL PAPA PER L’80 GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

CITTA' DEL VATICANO - "La missione se non è orientata dalla carità, se non scaturisce cioè da un profondo atto di
amore divino, rischia di ridursi a mera attività filantropica e sociale". E' questo il passaggio più significativo del messaggio
di Benedetto XVI per la 80ma Giornata Missionaria Mondiale che si celebrerà il 22 ottobre sul tema: "La carità, anima
della missione". "Essere missionari - scrive il papa - significa amare Dio con tutto se stessi sino a dare, se necessario,
anche la vita per Lui". Benedetto XVI ricorda così i sacerdoti, religiosi, religiose e laici che, "pure in questi nostri tempi"
hanno "reso la suprema testimonianza di amore con il martirio". Dunque, "essere missionari è chinarsi sulla necessità di
tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi - scandisce ancora il pontefice - perché chi ama con il cuore di Cristo non
cerca il proprio interesse". Animata da questo spirito, "ogni comunità cristiana è chiamata a far conoscere Dio che è
amore" e questo rappresenta una missione "che costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente".

Il testo integrale del messaggio

Cari fratelli e sorelle!


1. La Giornata Missionaria Mondiale, che celebreremo domenica 22 ottobre p.v., offre l’opportunità di riflettere
quest’anno sul tema: "La carità, anima della missione". La missione se non è orientata dalla carità, se non scaturisce
cioè da un profondo atto di amore divino, rischia di ridursi a mera attività filantropica e sociale. L'amore che Dio nutre per
ogni persona costituisce, infatti, il cuore dell’esperienza e dell’annunzio del Vangelo, e quanti l’accolgono ne diventano a
loro volta testimoni. L’amore di Dio che dà vita al mondo è l’amore che ci è stato donato in Gesù, Parola di salvezza,
icona perfetta della misericordia del Padre celeste. Il messaggio salvifico si potrebbe ben sintetizzare allora nelle parole
dell’evangelista Giovanni: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel
mondo, perché noi avessimo la vita per lui" (1 Gv 4,9). Il mandato di diffondere l’annunzio di questo amore fu affidato da
Gesù agli Apostoli dopo la sua risurrezione, e gli Apostoli, interiormente trasformati il giorno della Pentecoste dalla
potenza dello Spirito Santo, iniziarono a rendere testimonianza al Signore morto e risorto. Da allora, la Chiesa continua
questa stessa missione, che costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente.

2. Ogni comunità cristiana è chiamata, dunque, a far conoscere Dio che è Amore. Su questo mistero fondamentale della
nostra fede ho voluto soffermarmi a riflettere nell’Enciclica "Deus caritas est". Del suo amore Dio permea l’intera
creazione e la storia umana. All’origine l’uomo uscì dalle mani del Creatore come frutto di un’iniziativa d’amore. Il
peccato offuscò poi in lui l'impronta divina. Ingannati dal maligno, i progenitori Adamo ed Eva vennero meno al rapporto
di fiducia con il loro Signore, cedendo alla tentazione del maligno che instillò in loro il sospetto che Egli fosse un rivale e
volesse limitarne la libertà. Così all’amore gratuito divino essi preferirono se stessi, persuasi di affermare in tal modo il
loro libero arbitrio. La conseguenza fu che finirono per perdere l’originale felicità ed assaporarono l’amarezza della
tristezza del peccato e della morte. Iddio però non li abbandonò e promise ad essi ed ai loro discendenti la salvezza,
preannunciando l’invio del suo Figlio unigenito, Gesù, che avrebbe rivelato, nella pienezza dei tempi, il suo amore di
Padre, un amore capace di riscattare ogni umana creatura dalla schiavitù del male e della morte. In Cristo, pertanto, ci è
stata comunicata la vita immortale, la stessa vita della Trinità. Grazie a Cristo, buon Pastore che non abbandona la
pecorella smarrita, è data la possibilità agli uomini di ogni tempo di entrare nella comunione con Dio, Padre
misericordioso pronto a riaccogliere in casa il figliol prodigo. Segno sorprendente di questo amore è la Croce. Nella
morte in croce di Cristo - ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est - "si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel
quale egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale. E’ lì che questa verità può
essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano
trova la strada del suo vivere e del suo amare" (n. 12).

3. Alla vigilia della sua passione Gesù lasciò come testamento ai discepoli, raccolti nel Cenacolo per celebrare la
Pasqua, il "comandamento nuovo dell’amore – mandatum novum": "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri" (Gv
15,17). L’amore fraterno che il Signore chiede ai suoi "amici" ha la sua sorgente nell’amore paterno di Dio. Osserva
l’apostolo Giovanni: "Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio" (1 Gv 4,7). Dunque, per amare secondo Dio
occorre vivere in Lui e di Lui: è Dio la prima "casa" dell'uomo e solo chi in Lui dimora arde di un fuoco di divina carità in
grado di "incendiare" il mondo. Non è forse questa la missione della Chiesa in ogni tempo? Non è allora difficile
comprendere che l’autentica sollecitudine missionaria, primario impegno della Comunità ecclesiale, è legata alla fedeltà
all’amore divino, e questo vale per ogni singolo cristiano, per ogni comunità locale, per le Chiese particolari e per l’intero
Popolo di Dio. Proprio dalla consapevolezza di questa comune missione prende vigore la generosa disponibilità dei
discepoli di Cristo a realizzare opere di promozione umana e spirituale che testimoniano, come scriveva l’amato
Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio, "l'anima di tutta l’attività missionaria: l’amore che è e resta il
movente della missione, ed è anche l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non
cambiato. E’ il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo
alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono" (n. 60). Essere missionari significa allora amare Dio
con tutto se stessi sino a dare, se necessario, anche la vita per Lui. Quanti sacerdoti, religiosi, religiose e laici, pure in
questi nostri tempi, Gli hanno reso la suprema testimonianza di amore con il martirio! Essere missionari è chinarsi, come
il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo
non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità
apostolica dell’azione missionaria, che travalica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi
confini del mondo.

4. Cari fratelli e sorelle, la Giornata Missionaria Mondiale sia utile occasione per comprendere sempre meglio che la
testimonianza dell’amore, anima della missione, concerne tutti. Servire il Vangelo non va infatti considerata un’avventura
solitaria, ma impegno condiviso di ogni comunità. Accanto a coloro che sono in prima linea sulle frontiere
dell’evangelizzazione - e penso qui con riconoscenza ai missionari e alle missionarie - molti altri, bambini, giovani e
adulti con la preghiera e la loro cooperazione in diversi modi contribuiscono alla diffusione del Regno di Dio sulla terra.
L’auspicio è che questa compartecipazione cresca sempre più grazie all’apporto di tutti. Colgo volentieri questa
circostanza per manifestare la mia gratitudine alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ed alle Pontificie
Opere Missionarie [PP.OO.MM.], che con dedizione coordinano gli sforzi dispiegati in ogni parte del mondo a sostegno
dell’azione di quanti sono in prima linea alle frontiere missionarie. La Vergine Maria, che con la sua presenza presso la
Croce e la sua preghiera nel Cenacolo ha collaborato attivamente agli inizi della missione ecclesiale, sostenga la loro
azione ed aiuti i credenti in Cristo ad essere sempre più capaci di vero amore, perché in un mondo spiritualmente
assetato diventino sorgente di acqua viva. Questo auspicio formulo di cuore, mentre invio a tutti la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 29 Aprile 2006

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