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Capitale sociale: Putnam e i suoi critici
di Clementina Della Pepa e Lucio Iaccarino
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Philadelphia. La sua scuola fu fondata nel 1864 durante il raduno annuale dei
Quakers (Quaccheri). Putnam racconta come i membri della setta furono
perseguitati dalla Chiesa Anglicana, molti Quaccheri dovettero rifugiarsi in
Olanda. Altri invece andarono in America, dove s’insediarono nel Rhode Island,
nel Massachusetts e soprattutto in Pennsylvania. Per queste ragioni, il numero dei
Quakers nel mondo è piuttosto ridotto ma a Philadelphia, la loro presenza è
particolarmente ragguardevole. Il college di Swarthmore divenne ufficialmente
‘non settario’ all’inizio del XX secolo, anche se l’influenza dei suoi fondatori si
fece sentire sullo stesso Putnam che, negli anni trascorsi a Swarthmore, conobbe il
teorico politico Roland Pennock e Chuck Gilbert. Erano pensatori pratici, rigorosi
e seri, dai quali Putnam attinse l’idea di poter applicare parte del rigore delle
scienze alla politica.
4. La carriera intellettuale
4
Ibidem.
5
Il programma ‘Fulbright’ è un piano di sussidi didattici sponsorizzato dal Bureau of Educational
and Cultural Affaire del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Il programma fornisce fondi per
studenti, studiosi e professionisti, per intraprendere studi di specializzazione, ricerche avanzate,
insegnamento universitario e nelle scuole elementari e secondarie all’estero. Prende il nome dal
senatore che lo ha promosso nel 1946, J. William Fulbright.
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David Butler e Donald Stokes. I due professori nel 1963 avevano iniziato uno
studio di ricerca sulle elezioni in Gran Bretagna, con lo scopo di indagare sul
cambiamento politico nel Paese. Putnam ebbe modo di confrontarsi a lungo con i
suoi colleghi, proprio negli anni in cui questi iniziavano a scrivere la prima parte
del loro lavoro, pubblicato poi nel 1974 con il titolo: Political Change in Britain.
Da Oxford si trasferì all’Università di Yale dove conseguì un Master e un
Dottorato, rispettivamente nel 1965 e nel 1970. Contemporaneamente, nel 1968,
iniziava la sua carriera accademica, presso l’Università del Michigan, come
professore incaricato di Scienza Politica. Nel giro di un paio d’anni assunse la
carica di professore assistente, per poi diventare professore associato nel 1972.
Nel 1973 fu pubblicato il suo primo lavoro: The Beliefs of Politicians.
Ideology, Conflict and Democracy in Britain and in Italy. La sua idea era quella di
comparare la Gran Bretagna con un altro Paese. Alla fine scelse l’Italia, in parte
influenzato dall’entusiasmo trasmessogli da Joe La Palombara, noto politologo,
saggista e professore di Scienza Politica all’Università di Yale. La prima
pubblicazione di Putnam fu molto apprezzata, anche se rimase un lavoro
circoscritto all’ambiente accademico. La reputazione di Putnamwww.capitalesociale.org
nel suo campo fu
ulteriormente rafforzata dal suo secondo lavoro: The Comparative Study of
Political Elites (1976).
Nel 1975 diventò professore di ruolo di Scienza Politica presso l’Università del
Michigan e conservò questa carica per quattro anni. Nel 1979, infatti, si trasferì ad
Harvard come professore di Governo e in seguito, dal 1984 al 1988, prestò
servizio come preside del Dipartimento. Nel 1974 fu professore ospite di Scienza
Politica presso l’Università di Stoccolma, e qualche anno più tardi, nel 1977,
ricoprì la stessa carica presso l’Università di Catania in Italia. Nel 1989 fu
nominato preside di facoltà della Kennedy School of Government6 e professore di
Politica. Dal 2000 è professore emerito di Politica Pubblica all’Università di
Harvard e insegna corsi universitari e di specializzazione in Politica Americana,
Relazioni Internazionali, Politica Comparata e Politiche Pubbliche. Così Robert
Putnam è stato anche presidente dell’American Political Science Association. È
membro della National Academy of Sciences e della British Academy dal 2001.
Dal 1981 è membro del Council on Foreign Relations, mentre dal 1986 è membro
dell’International Institute of Strategic Studies.
5. Verso l’Italia
6
La John F. Kennedy School of Goverment è una facoltà dell’Università di Harvard che offre
lauree di specializzazione in Politiche Pubbliche e in Pubblica Amministrazione e consente di
portare avanti ricerche condotte in varie materie relative alla politica e al governo.
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confusione, il governo decise di andare avanti con una riforma…»7. Putnam colse
in ciò che stava accadendo un elemento particolare: la nascita di un’istituzione
importante a cui si attribuivano grandi potenzialità di sviluppo. Si trattava di una
sorta d’esperimento, unico nel suo genere, che offriva la possibilità di iniziare uno
studio sistematico per valutare l’impatto della riforma regionale e analizzare la
nascita, l’evoluzione e l’adattamento delle nuove istituzioni al loro ambiente
sociale. Si trattava, in sostanza, di valutare quali cambiamenti le nuove istituzioni
avrebbero portato nel modo di fare politica e nel modo di governare. «Mi sembrò
come essere in grado di iniziare uno studio del Congresso nel 1789…essere capaci
di capire come mise le radici, quali circostanze sociali condizionarono il modo in
cui si evolse. E così iniziai con alcuni colleghi questo studio…»8
Putnam condivise la sua intuizione con il professor Alberto Spreafico, allora
docente di Scienza Politica presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”
di Firenze. Il suo collega italiano lo guidò in giro per l’Italia, facendogli conoscere
tutta la penisola. Fu proprio grazie all’incoraggiamento del professore Spreafico,
che decise di portare avanti questo progetto di ricerca sulle regioni italiane.
Nell’autunno del 1970, con il supporto finanziario della www.capitalesociale.org
National Science
9
Foundation e dell’Università del Michigan, diresse un primo sondaggio su di un
campione di neo-consiglieri di diverse regioni. Di ritorno dall’Italia, Putnam
iniziò ad analizzare le numerose interviste effettuate con l’aiuto di due giovani
collaboratori: Raffaella Y. Nanetti e Robert Leonardi10.
Nel 1972, quando si creò il gruppo di ricerca, tutti e tre si trovavano
all’Università del Michigan. Le interviste dirette da Putnam nel 1970, oggetto di
studio del gruppo nella prima fase della ricerca, si concentrarono in cinque regioni
base: Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia e Basilicata. Nel 1975 ci furono
nuove elezioni regionali, e nel gennaio del 1976 la National Science Foundation
approvò una seconda proposta di finanziamento della ricerca. Fu deciso, allora, di
programmare un secondo ciclo d’interviste. Putnam, Nanetti e Leonardi
organizzarono un gruppo d’intervistatori, conducendo una settimana di seminari
di addestramento a Roma. L’elezioni si tennero il 20 giugno 1975. Qualche giorno
dopo l’equipe si disperse nelle sei regioni (fu aggiunto il Veneto) per condurre le
interviste a consiglieri e osservatori, mentre loro cominciarono a studiare da
vicino le istituzioni e il rendimento. Il gruppo tornò a più riprese nelle regioni: nel
1978, nel 1979 e poi ancora nel 1981-82 con un terzo gruppo di intervistatori e nel
1983 e 1985. Inoltre, mentre in Italia si andava diffondendo la conoscenza dello
studio, altre amministrazioni regionali invitarono i professori a condurre studi
paralleli sul loro rendimento.
7
Putnam R. in Edgerton R., «Bowling alone: an interview with Robert Putnam about America’s
collapsing civic life», AAHE Bulletin, 1995 (trad. mia).
8
Ibidem.
9
La National Science Foundation è un ente indipendente creato dal Congresso nel 1950 per
promuovere il progresso della scienza, favorire la salute nazionale, la prosperità e l’assistenza
sociale, per assicurare la difesa nazionale. Costituisce la fonte di finanziamento di circa il 20% di
tutta la ricerca sovvenzionata, condotta dai colleges e dalle università in America.
10
La Nanetti si era laureata in Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano nel 1967 e
aveva conseguito un diploma in Studi Internazionali al Jonhs Hopkins Schoool Bologna Center nel
1968. Nei primi anni settanta si trovava all’Università del Michigan come ricercatrice, presso
l’Istituto delle Ricerche Sociali. Più tardi, nel 1977, vi avrebbe conseguito un dottorato in
Programmazione Urbana e Regionale. Anche Leonardi aveva concluso gli studi nel 1967,
laureandosi in Scienze Politiche a Berkley, all’Università della California. Iniziò la sua carriera
accademica nel 1974, come ricercatore al Centro per gli Studi Internazionali Comparati presso
l’Università dell’Illinois, dove, nello stesso anno, conseguì un dottorato in Scienze Politiche.
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La tre domande generali, a cui la ricerca intendeva rispondere, erano: «che cosa
sono le regioni?», «quanto hanno fatto?», «come lo hanno fatto?»11. È innegabile
che con l’istituzione delle regioni prenda corpo un “nuovo modo di fare
politica”12. I colloqui con i consiglieri e con gli esponenti locali tra il 1970 e il
1989 avevano mostrato un cambiamento radicale nell’evoluzione della cultura
politica della classe dirigente. Negli anni, infatti, si era affermata una classe
politica sempre più qualificata, non solo perché altamente istruita13, il più delle
volte con una lunga esperienza nell’amministrazione comunale e in attività di
partito, ma anche e soprattutto perché c’era la tendenza a vedere la carica come un
impiego a tempo pieno. A questo va aggiunto che i vertici politici regionali
avevano subito gradualmente una depolarizzazione ideologica a cui si
accompagnava una concezione più pragmatica della gestione pubblica14. In altre
parole, le distanze ideologiche si erano accorciate (attraverso una forte
convergenza verso centro-destra su questioni che presumiblimente sarebbero state
oggetto di controversie) e ne scaturiva una maggiore tolleranza fra i partiti, i cui
rapporti nel tempo furono orientati al rispetto reciproco e alla collaborazione.
Questo cambiamento nella cultura della classe politica era www.capitalesociale.org
da attribuire alla
15
conversione dei nuovi eletti , ovvero alla socializzazione istituzionale
(praticamente più si operava in regione, più si subiva il suo effetto). Tuttavia, le
grandi aspettative iniziali con il tempo spinsero i consiglieri (ma anche i cittadini)
a giudizi critici. Il divario tra le aspettative e i risultati piuttosto scarsi, causarono
un senso di malessere (dalle interviste, infatti, emergeva che agli ideali e alle
promesse non seguissero fatti concreti).
Diverso è il caso dell’elettorato, il cui giudizio era stato a lungo condizionato
dall’ignoranza. Ancora a metà degli anni settanta, nel sud del Paese, le regioni
godevano di una scarsa notorietà. Alla fine degli anni ottanta, due terzi dei votanti
meridionali e tre quarti dei votanti settentrionali avevano almeno sentito parlare
della loro regione. Dai sondaggi emergeva l’insoddisfazione degli italiani riguardo
alle amministrazioni regionali, ma il dato rilevante era che nel confronto Stato-
Regione, si era molto più critici nei confronti dello Stato e nonostante le forti
riserve, tutti erano d’accordo sull’istituzione di regioni più autonome e con
maggiori poteri legislativi. Va rilevato, però, un dato caratteristico: nel Nord della
penisola c’era una profonda insoddisfazione nei confronti del governo centrale,
ma i cittadini erano relativamente soddisfatti dei governi comunali e regionali,
mentre nelle regioni del Sud, le critiche si estendevano tanto al governo comunale
e regionale quanto a quello centrale.
In questo quadro, Putnam proponeva una sorta di bilancio per soppesare i
cambiamenti politici e amministrativi: tra le voci positive vi furono i rapporti
stretti con la popolazione, come se si trattasse di una sorta di sperimentazione
politica che aveva condotto alla nascita di un nuovo modo di fare politica; tra le
voci negative bisognava considerare la mancanza di efficienza e, cosa più
importante, che la riforma regionale aveva esasperato le differenze storiche tra il
Nord e il Sud16.
Negli anni Putnam, Nanetti e Leonardi passarono centinaia di ore insieme, nel
tentativo di dare una sistemazione all’enorme quantità di interviste realizzate. Il
11
Leonardi R., Nanetti R., Putnam R., La pianta e radici. Il radicamento dell’istituto regionale nel
sistema politico italiano, Bologna, il Mulino, 1985, pag. 16.
12
Idem, p. 32.
13
Il 77% dei consiglieri nel 1989 aveva compiuto studi universitari.
14
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 34.
15
Idem, p. 45.
16
Idem, p. 71.
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gruppo continuò a lavorare anche quando, nei primi anni ottanta, Putnam
insegnava all’Università di Harvard, Leonardi alla DePaul e Nanetti all’Università
dell’Illinois. Probabilmente Putnam non immaginava che il progetto di ricerca
sarebbe durato quasi un quarto di secolo e che avrebbe coinvolto tutte le regioni
italiane, i loro rappresentanti e i loro abitanti. I primi risultati della ricerca furono
pubblicati nel 1985 in un testo intitolato La pianta e le radici. Il radicamento
dell’istituto regionale nel sistema politico italiano.
A partire da quell’anno le pubblicazioni collegate al progetto di ricerca sono
state numerosissime. Alcune sono state firmate come opere collettive, la prima
delle quali fu Il caso della Basilicata: l’effetto regione dal 1970 al 1986
pubblicata nel 1987; altre sono state scritte indipendentemente dai tre autori,
facendo comunque riferimento ai risultati ottenuti, lavorando in gruppo, a partire
dai primi anni settanta. Il primo bilancio, a metà anni ottanta, dello studio
condotto in Italia, testimoniò che i livelli di rendimento variano notevolmente da
regione a regione. Gli enti regionali avevano reso di più, dove è più avanzato il
livello di sviluppo socio-economico, maggiore la stabilità sociale, e soprattutto
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dove le tradizioni politiche e la cultura politica accentuano la solidarietà civica, la
partecipazione politica, e valori laici invece che confessionali. Nonostante i primi
risultati e le diverse pubblicazioni, la ricerca empirica continuò costantemente fino
ai primi anni novanta.
Il punto d’arrivo di questo progetto ventennale è rappresentato dal testo scritto
da Robert Putnam e pubblicato nel 1993 con il titolo Making Democracy Work:
Civic Traditions in Modern Italy e tradotto in italiano in La tradizione civica nelle
regioni italiane17. Rispetto ai precedenti scritti quest’ultimo superava la questione
del funzionamento delle regioni per misurarsi con un problema molto più
complesso: cercare di capire perché alcune regioni rendevano di più rispetto ad
altre.
Il volume di Putnam costituiva uno dei rari casi in cui una ricerca scientifica
otteneva una vasta risonanza sulla stampa d’informazione. The Economist la
definì Making Democracy Work come «un grande lavoro di scienza sociale degno
di stare accanto a quelli di Tocqueville, Pareto e Weber»18.
Making Democracy Work è un lavoro di fondamentale importanza e non solo
perché è il frutto di ricerche meticolose durate venti anni, o perché ha contribuito
ad accrescere la reputazione di Putnam nel suo campo. In realtà, nonostante
avanzasse una tesi interessante e per certi versi provocatoria, per i primi anni
rimase un testo tipicamente accademico. Fu ben accolto dagli scienziati sociali,
ma non rappresentò, non subito almeno, la spinta verso la notorietà. Lo studio
sulle regioni italiane convinse Putnam che il capitale sociale era proprio ciò che fa
funzionare le istituzioni democratiche, in Italia, ma anche in qualunque altro Paese
del mondo. «Quando stavo per finire il mio libro sull’Italia, mi accorsi che ciò che
stavo scoprendo come studioso della politica italiana era associato a ciò che mi
preoccupava in quanto cittadino americano, vale a dire la sensazione che il nostro
esperimento di auto governo stava vacillando. Così cominciai ad indagare sugli
andamenti dell’impegno civico in America. Rimasi davvero sorpreso»19.
17
Il testo fu scritto in collaborazione con Robert Leonardi e Raffaella Y. Nanetti.
18
Dalla recensione del 6 febbraio 1993.
19
Putnam R., in Edgerton R., «Bowling alone», cit. (trad. mia).
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matematica (Isernia P., Introduzione alla ricerca politica e sociale, Bologna, il Mulino, 2001, p.
95).
25
Tra il gennaio 1977 e il dicembre 1988 fu chiesto ad un campione di cittadini per sei volte, ogni
due anni, in che misura fossero soddisfatti del governo della propria regione. Data la stabilità delle
rilevazioni fu possibile unire i dati in un’unica valutazione del tasso di soddisfazione dei cittadini
per ogni regione.
26
Anche in questo caso, una volta raccolti i giudizi degli esponenti locali sull’operato della propria
regione, si sono unite le diverse valutazioni in un indice unico, per avere un’ulteriore indicazione
del livello di efficienza dei governi regionali.
27
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 95.
28
La modernità economica è, in questo caso, data da un indice basato su una serie di fattori:
reddito pro capite, prodotto regionale lordo, aliquota della forza lavoro nell’industria e
nell’agricoltura, aliquota di valore aggiunto agricola e industriale, in tutto il periodo 1970-1977.
29
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 97.
30
L’idea di valutare la buona riuscita di un governo democratico sulla base dell’ambiente in cui
opera (della comunità civica) è stata utilizzata per la prima volta da Gabriel Almond e Sidney
Verba. Il loro lavoro The Civic Culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nations
pubblicato nel 1963 è considerato da Putnam una pietra miliare sull’argomento.
31
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 104.
32
Gli indicatori considerati sono: la presenza di associazioni sportive e culturali; la lettura dei
giornali (chi legge di più è meglio preparato a partecipare alla vita civica, perché più informato);
l’affluenza alle urne per i referendum (in questo tipo di consultazione l’attenzione è focalizzata su
questioni di interesse pubblico, quindi difficilmente i votanti potevano subire pressioni
clientelistiche o da parte del partito); la percentuale del voto di preferenza (indicativo
dell’arretratezza della comunità civica perché segnale di personalismi, faziosità e clientelismo).
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33
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 115.
34
Idem, p. 128.
35
Di fronte a questa condizione, emerge la frustrazione, la diffidenza, il forte senso di impotenza e
di insoddisfazione dei cittadini delle regioni meno civiche, un malessere che è più forte soprattutto
tra i meno istruiti.
36
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 141.
10
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9. Da studioso a consulente
Nel gennaio 1995 pubblicò un articolo sul Journal of Democracy dal titolo
Bowling Alone: America’s declining social capital. L’articolo era allarmante: la
vitalità della comunità civica in America era notevolmente diminuita nel corso
degli ultimi decenni39, il capitale sociale in America stava diminuendo. Putnam
continuò ad affermare fermamente la sua tesi anche in un secondo articolo
comparso in The American Prospect intitolato The Strange Disappearance of
Civic America. Inaspettatamente l’articolo catturò l’attenzione di moltissima
gente. Le parole di Putnam ebbero un impatto che andò ben oltre quello che
succedeva normalmente per gli scritti di un accademico, tanto che di lì a breve,
l’allora presidente Bill Clinton lo invitò a Camp David.
Per mesi i quotidiani americani (e non solo) furono pieni di riflessioni sulle
parole di Putnam da parte di commentatori, politici, moralisti. Making Democracy
Work, che fino a quel momento era rimasto in ombra, almeno quanto il suo autore,
fu recensito dal New York Times e nel giro di qualche anno fu tradotto in quasi
tutte le lingue: spagnolo, svedese, polacco, portoghese, russo, coreano, rumeno,
giapponese, cinese, lituano, persiano, croato.
Senza neanche rendersene conto, Putnam si ritrovò ad essere una celebrità. Il
People Magazine volle fotografarlo con la moglie e dedicargli un profilo (per
intenderci People è quella rivista americana che dedica i suoi numeri agli attori e
ai cantanti più in vista). Per la stampa divenne l’intellettuale pubblico. Inoltre, da
quel momento cominciò ad essere invitato a discutere della sua teoria nei talk
show più seguiti dalle emittenti televisive americane. La notorietà improvvisa fu
37
Putnam sottolinea anche come non sempre i meridionali hanno accettato passivamente il proprio
destino. Nel tardo Ottocento scoppiarono violenti movimenti di protesta (compreso il
brigantaggio) ma, dal punto di vista associativo, non portarono a nessuna organizzazione
permanente e a nessuna forma di solidarietà collettiva.
38
Putnam R., Leonardi R., Nanetti R., op. cit., p. 178.
39
Putnam R., «Bowling alone: America’s declining social capital» in Journal of Democracy, vol.
6, n. 2, 1995, pag. 65 (trad. mia).
11
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inspiegabile per lo stesso Putnam: «Fino al gennaio del 1995 ero un accademico
in ombra. Sebbene avessi pubblicato numerosi libri e pubblicazioni nei precedenti
trenta anni, molti dei quali ritengo di maggiore eleganza erudita, nessuno aveva
attratto la più scarsa attenzione pubblica. Adesso venivo invitato a Camp David,
trattato come una celebrità dai padroni di casa dei talk show e ritratto con mia
moglie Rosemary sulle pagine di People…»40. Col tempo iniziò a credere che, se
le sue ricerche e le relative conclusioni avevano avuto una tale risonanza, era stato
perché aveva toccato un problema politicamente centrale, percepito e vissuto
direttamente dagli americani.
Quando Clinton arrivò alla Casa Bianca, nel 1993, tra le sue innumerevoli
proposte, c’era l’ambizione di rianimare lo spirito volontario: l’America aveva
bisogno di una generazione più aperta, meno individualista. E Clinton non era il
solo a pensarlo. Erano, infatti, gli anni in cui il “comunitarismo” di Amitai
Etzioni41 si andava affermando con forza e molti andavano in cerca di modi per
ricostruire le comunità che erano state rovinate dalla disoccupazione, dal crimine
e da tutte le molteplici fonti di decadimento sociale. Le preoccupazioni del
professor Putnam sulla salute della comunità civica in America www.capitalesociale.org
collimavano
proprio con le ansie del presidente Clinton (così come coincidevano con le ansie
dei teorici politici e sociali europei). Questa coincidenza fortuita ha inciso
notevolmente nel definire il suo successo: è un po’ come se avesse scritto le cose
giuste al momento giusto. Il presidente Clinton convocò Putnam e un cospicuo
numero d’accademici a Camp David nel gennaio del 1995. Evidentemente, stava
pensando a ciò che avrebbe detto nel messaggio sullo Stato dell’Unione di
quell’anno. «L’incontro a Camp David fu proprio come un seminario a
Swarthmore o ad Harvard, un dibattito intelligente, in cui venivano proposti
argomenti validi e ci si ascoltava l’un l’altro»42.
Le sue idee influenzarono pesantemente due discorsi di Clinton sullo Stato
dell’Unione e furono in parte responsabili dell’incontro, che ebbe luogo nel
maggio del 1995 a Philadelphia, sul futuro dell’America. L’incontro a Camp
David fu decisivo anche per i successivi sviluppi teorici di Putnam. In quella sede,
infatti, iniziò a chiedersi come potesse essere risolto il fenomeno bowling alone.
A partire dalla convocazione di Clinton, le sue idee hanno rapidamente attratto
l’attenzione della classe politica internazionale. Putnam è diventato l’ospite
d’onore d’incontri organizzati dal Primo Ministro Britannico Tony Blair a
Downing Street. Le sue idee saltarono fuori nei discorsi di William Hague, leader
del partito conservatore britannico. Fu consultato anche dal Primo Ministro
irlandese Bertie Ahern e dai Leaders nazionali di Germania, Nuova Zelanda e
Finlandia. Più di recente è stato persino convocato dallo staff di George Bush per
la stesura del discorso inaugurale. Non a caso, il testo era punteggiato di termini
come civility (cortesia, educazione), responsabilità, comunità. Infine, ma non
meno importante, nel 2004 è stato insignito dal Presidente della Repubblica
Ciampi del titolo di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà
Italiana.
40
Putnam R., in Ryan A., «My way», agosto 2000, http://www.nybook.com, dalla ricerca in
Internet del 10 aprile 2005 (trad. mia).
41
Per un maggiore approfondimento si veda: Etzioni A., Nuovi comunitari. Persone, virtù e bene
comune, Bologna, Arianna Editrice, 1998.
42
Putnam R., in Zengerle J., «Investing social capital», cit. (trad. mia).
12
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43
Dal sito ufficiale del Saguaro Seminar: http://www.ksg.harvard.edu/saguaro.
44
Il testo fu stampato due volte: la prima nel 2000 e, la seconda dopo l’attentato alle Torri Gemelle
dell’11 settembre del 2001 con una nuova introduzione.
13
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ricerca, fu pubblicato anche Bowling alone. The collapse and revival of american
community, in cui Putnam rielaborava il contenuto dell’omonimo saggio
pubblicato cinque anni prima.
14
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tratta, però, di una crescita dettata dalla coscienza civica, quanto piuttosto dalle
spedizioni postali. I soci reclutati con questo sistema tendono a ritirarsi più
facilmente, non come nelle vecchie organizzazioni articolate in sedi periferiche,
dove gli aderenti erano uniti non solo da legami simbolici, ma anche dal capitale
sociale. Sul fronte opposto si registra, invece, un aumento significativo delle
attività delle organizzazioni evangeliche conservatrici. La terza controtendenza è
rappresentata da nuovi media, in particolare Putnam si sofferma sul contributo del
telefonino e di Internet. Da una parte riducono la solitudine, dall’altra
comprimono la socializzazione diretta. In linea di massima, comunque, si può dire
che il telefono è utilizzato per «mantenere relazioni personali separate da una
distanza»48, non per crearne di nuove. E che dire del capitale sociale virtuale?
Putnam ritiene che bisognerebbe superare almeno cinque sfide: garantire l’accesso
allo spazio cibernetico a tutti; sconfiggere la depersonalizzazione49 attraverso la
costruzione della fiducia anche nello spazio cibernetico; superare la
balcanizzazione cibernetica50 (non limitare la nostra comunicazione alle sole
persone che condividono esattamente i nostri interessi); cercare di capire se
Internet è uno strumento di comunicazione sociale o «un mezzo
51
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di divertimento
passivo e privato» . Queste sfide sono la chiara dimostrazione che la
comunicazione telematica sarà «complementare, non alternativa alle comunità
reali»52. Emerge così la distanza generazionale di Putnam rispetto all’avvento
delle nuove tecnologie.
48
Idem, p. 210.
49
Idem, p. 218.
50
Idem, p. 220
51
Idem, p. 221.
52
Idem, p. 222.
53
Putnam ritiene che l’espansione dei sobborghi sia stata, ed è nociva per tre ragioni: aumenta il
tempo trascorso da soli in automobile per spostarsi “da casa al lavoro, ai negozi, a casa”; riduce il
capitale sociale che apre (le periferie disordinate si associano sempre più ad una sorta di
isolamento sociale); distrugge i confini della comunità (il pendolarismo è un male collettivo che
incide sulla vita dell’intera comunità e riduce il coinvolgimento civico anche tra i non pendolari).
54
Ogni famiglia dispone di più di un apparecchio televisivo, mediamente si guardano quasi quattro
ore al giorno di televisione e la visione si svolge sempre più in completa solitudine.
15
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meno impegnati di quelli di mezza età. A partire dagli anni ’90 non è stato proprio
così. In ogni tipo d’attività, infatti, il disimpegno risulta concentrato nelle coorti
più giovani (ed è meno consistente tra i nati prima della Seconda guerra
mondiale). Un’analisi più approfondita dell’andamento, descrive una lunga
generazione civica, nata tra il 1910 e il 1940, che si contrappone alle generazioni
che hanno raggiunto l’età adulta dagli anni ’50 in poi e che si sono impegnate
molto meno rispetto ai loro predecessori. La generazione del baby boom (i nati tra
il 1946 e il 1964) costituisce più di un terzo della popolazione adulta e nonostante
l’elevata istruzione è meno informata di politica rispetto ai genitori e cerca di
eludere i doveri civici. La generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980) ha accelerato
le tendenze individualiste dei suoi predecessori: «l’azione collettiva – e in
particolare la politica – è estranea alla generazione X persino più che ai
boomers»55. Negli ultimi dieci anni, però, si è registrata una notevole crescita del
volontariato da parte dei giovani e questo testimonia che il fattore generazionale
non ha inciso in egual misura sulle varie forme di disimpegno civico e sociale.
55
Putnam R. D., Capitale sociale e…, op. cit., p. 315.
56
Idem, p. 346.
57
Idem, p. 347.
16
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58
Idem, p. 466.
59
Idem, p. 469.
60
Idem, p. 225.
61
Mutti A., Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, il Mulino, Bologna, 1998.
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grande enfasi è stata riposta sulla permanenza dei legami comunitari all’interno
delle società complesse, mostrando quanto la reciprocità sia una condizione di
partenza indispensabile tanto all’agire politico quanto all’impresa economica. Il
tema del cambiamento sociale assume allora una centralità assoluta per
comprendere dove si nascondono le permanenze della tradizione ed interrogarsi
eventualmente sul come valorizzarle.
Nella sociologia weberiana è il processo di razionalizzazione ad affermare le
strutture moderne del capitalismo e dello stato. Non si tratta di un’evoluzione
scevra da incertezze, poiché l’ordine burocratico può a sua volta minacciare la
forza dei legami sociali, costringendo le relazioni umane entro i vincoli delle
prescrizioni amministrative. All’opposto, la comunità è intesa come insieme
ideal-tipico di relazioni animate affettivamente, dotata di valenza valoriale,
contrapposta ai freddi rapporti associativi. Non giova, quindi, esagerare la portata
della dicotomia comunità/società, dato che nella realtà è difficile riscontrare forme
pure sia dell’una che dell’altra62.
Al contrario, il cambiamento sociale, per essere compreso, non può ridursi
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arbitrariamente all’innovazione o all’adozione di sistemi di prevedibilità, ma deve
contemplare comportamenti devianti, esiti inattesi, vuoti organizzativi e paradossi
istituzionali63. Puntando l’osservazione sulla razionalità e sulla prevedibilità, si
rischia, quindi, di etichettare i contesti tradizionali in termini di modernità
interrotta, riproducendo in ambito analitico un determinismo difficile da
debellare, che occulta le dinamiche profonde dell’agire sociale.
Mentre il premoderno si presentava continuamente minacciato dai pericoli del
mondo fisico e dallo scarso controllo del potere politico, nella modernità i vincoli
sociali sono affidati sia a rapporti impersonali sia alle decisioni individuali di
compiere investimenti cognitivi in termini di fiducia. Cresce, infatti, l’importanza
delle interazioni anonime, fondate sulla stabilità di sistemi astratti (il denaro, la
tecnica, l’informazione), e gli esperti si legittimano socialmente quando riescono a
tradurre le loro elaborazioni numeriche in prescrizioni apprezzabili nella vita
quotidiana. Il passaggio dal premoderno al moderno e poi alla tarda modernità si
compie nell’indebolimento delle strutture parentali, della comunità locale, delle
cosmologie religiose e della tradizione. E nel postmoderno si esauriscono anche le
capacità di sintesi delle grandi narrazioni, della storia universale o degli approcci
comportamentisti che tendono a presentare la realtà nei termini di un prodotto
misurabile. Tuttavia, quanto più si stringe la lente su fenomeni micro tanto più si
riscontra una coesione sociale che continua ad affidarsi a strutture profonde e
primordiali64.
62
Weber Max, Economia e Società. Vol. I: Teoria delle categorie sociologiche, Comunità, Torino,
1999, pp. 38-40.
63
Il vecchio istituzionalismo condivide con il nuovo un certo scetticismo nei confronti dell’attore
razionale e della regolazione statuale, enfatizzando il rapporto tra organizzazioni e ambiente e
mitigandone gli aspetti formali. Sul cambiamento istituzionale cfr. March e Olsen [1992].
64
Una considerazione che, peraltro, trova eco in elaborazioni macro: quando all’organicità e alla
complessità si sovrappongono segmenti di solidarietà meccanica, che riproducono appartenenze
tradizionali o quando la storia è pensata come regno delle permanenze piuttosto che come
processo lineare e cumulativo [Macry, Paolo, La società contemporanea. Una introduzione
storica, il Mulino, Bologna, 1992]. I debiti delle scienze sociali nei confronti della gemeinschaft
non si fermano alla sociologia weberiana ma sono molto ricorrenti, come in Durkheim, dove la
solidarietà meccanica delle società semplici è contrapposta all’organicità delle società complesse.
Il passaggio tra le due solidarietà comporta l’indebolimento dell’integrazione comunitaria a favore
del consenso e si compie in nome della divisione sociale del lavoro, funzionale allo sviluppo della
società stessa [Durkheim Emile, La divisione sociale del lavoro, Comunità, Torino, 1996, pp. 73-
91].
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Più di recente Anthony Giddens si è soffermato sul nesso che lega la fiducia
alla modernità. Quest’ultima, oltre a coincidere con l’ascesa del capitalismo e
dello stato-nazione, si manifesta attraverso la distanziazione spazio temporale, in
base alla quale, la vita sociale degli individui è sempre meno determinata dai
vincoli spaziali poiché si affida a soluzioni tecnologiche che riducono
drasticamente i vincoli temporali. «Nell’epoca moderna il livello di distanziazione
spazio temporale è molto più elevato che in qualsiasi altro periodo precedente e le
relazioni tra forme ed eventi sociali locali e distanti subiscono di conseguenza uno
stiramento»65. Nella tarda modernità, quindi, alla fede incondizionata nel
progresso scientifico e nella sicurezza nazionale si sono presto sostituite numerose
incertezze legate all’inasprirsi di problematiche tradizionali (conflitti geo-politici,
instabilità dei mercati, guerre, terrorismo), oltre che all’emergere di questioni più
recenti (cambiamenti climatici, nuove ed incontrollabili epidemie, crisi del
welfare, esaurimento delle risorse naturali, processi di recentrage territoriali).
L’assunzione del rischio, tra le variabili decisionali, ha generato un disincanto
diffuso e ha accresciuto l’importanza della fiducia e della sua promozione a livello
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sociale.66 Sintomo della tarda modernità è anche la crisi delle autorità di governo,
messe sempre più in discussione dai cittadini che rifiutano di assecondare la
completa autonomia del personale politico, richiedendo programmi elettorali
sempre più dettagliati, vincolando il loro mandato, ritirando la delega
incondizionata sulla quale si basa l’idea stessa di democrazia rappresentativa.
65
Giddens A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Bologna,
Il Mulino, 1990, pp. 70-71.
66
«Per la modernità è fondamentale che i rischi si possano valutare in linea di principio nei termini
di una conoscenza generalizzabile dei pericoli che comportano: una visione in cui l’idea di fortuna
sopravvive per lo più entro forme marginali di superstizione. Quando si sa che il rischio è un
rischio, lo si vive in maniera diversa rispetto alle circostanze in cui prevalgono le nozioni di
fortuna. Il fatto di riconoscere l’esistenza di un rischio o di una serie di rischi significa non solo
accettare la possibilità che le cose possano andare storte, ma che questa possibilità non si può
eliminare» [Giddens, 1990, p. 112]. Sulle diverse dimensioni in cui articolare lo studio della
fiducia cfr. Luhmann [2002].
67
Robert D. Putnam, Robert Leonardi, Raffaella Y. Nanetti, Making democracy work. Civic
Tradidion in Modern Italy, Princeton University Press, 1993. Trad. it. La Tradizione civica nelle
regioni italiane, Mondadori, Milano 1993.
68
Il riferimento qui è alla più recente opera di Robert D. Putnam, Bowling Alone. The Collapse of
American Community, Simon & Shuster, New York, 2000. È opportuno ricordare che la notevole
mole di critiche mosse a Making Democracy Work riguardavano aspetti tanto statistico
metodologici quanto a storico-politici. Putnam, per molti versi, nella stesura di Bowling Alone ha
tenuto conto del dibattito esploso a seguito della sua prima opera pur mantenendo la peculiare
tensione a ricercare numerose e originali variabili.
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69
Sidney Tarrow , «Making Social Science Work Across and Time: A Critical Reflection on
Robert Putnam’s Making Democracy Work», American Political Science Review, vol. 90, n. 2,
June 1996, pp. 389-397.
70
Diamanti I., Ramella F., Trigilia C., Cultura e Sviluppo. L'associazionismo nel Mezzogiorno,
Meridiana Libri, Catanzaro 1995. Nello stesso filone di studi sull’associazionismo meridionale mi
sia consentito rinviare anche a Iaccarino L., La Rigenerazione. Bagnoli: politiche pubbliche e
società civile nella Napoli post-indistriale, l’ancora del mediterraneo, Napoli, 2005.
71
Le prime reazione all'opera di Putnam sembrano alquanto scettiche sulla portata esplicativa
dell'opera: David D. Laitin, «The Civic Culture at Thirty», in American Political Science Review,
n. 89, Marzo 1995; Joseph La Palombara «Review of Making Democracy Work» in Political
Science Quarterly, n. 108, 1993; Arnaldo Bagnasco, «Regioni, tradizione civica, modernizzazione
italiana: un commento alla ricerca di Putnam » in Stato e Mercato, n. 40, Aprile 1994; Samuel K.
Cohn, «La storia secondo Robert Putnam» in Polis, n. 8, Agosto 1994; Paolo Feltrin, «Review of
La tradizione civica delle regioni italiane» in Rivista italiana di scienza politica, n. 24, Aprile
1994; Gianfranco Pasquino, «La politica eclissata dalla tradizione civica» in Polis, n. 8, Agosto
1994; Francesco Ramella «Mezzogiorno e società civile: ancora l'epoca del familismo?» in Il
Mulino, n. 44 Maggio-Giugno 1995.
72
Ilvo Diamanti colloca l’affermazione della Lega Nord nel biennio 1990-1992 dove da fenomeno
privo di reali possibilità d’ingresso nella comunità della politica diviene espressione di una parte
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crescente della popolazione settentrionale. (Ilvo Diamanti, La Lega. Geografia, storia e sociologia
di un soggetto politico, Donzelli, Roma 1993, p.92).
73
Tarrow prova a sintetizzare così i tratti salienti dell'opera, sottolineando come effettivamente
Making Democracy Work mostri: a) come le innovazioni istituzionali siano tradotte nella pratica;
b) che le perfomances istituzionali non dipendano tanto dalla politica pubblica considerata ma si
presentano in forma coerente a seconda del settore di policy e si mantengano stabili nel tempo; c)
come gli stessi semi delle innovazioni istituzionali generino diverse piante a seconda del luogo in
cui vengono coltivate (Sidney Tarrow , «Making Social Science Work Across… » op. cit. pp. 389-
390.
74
La mancanza delle strategie statuali, l'assenza dell'intervento dal centro, sono, quindi, la carenza
più eclatante della sua opera. «For him, as for Banfield, the charcter of the state is external to the
model, suffering the results of the region's associational incapacity but with no responsibility for
producing it». (ibidem. p. 395);
75
«È nel quadro del nascente stato liberale che si pongono le condizioni per il riconoscimento
delle differenze come differenze legittime; così come è la tolleranza delle minoranze e il
riconoscimento dei loro diritti che definisce uno Stato come liberale» [Graziano L., Lobbying ,
pluralismo…, op. cit. p. 149].
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76
Robert D. Putnam, Bowling alone. The collapse and revival of American community, New
York, Touchston – Simon& Schuster, 2000, trad. it. Capitale sociale e individualismo. Crisi e
rinascita della cultura civica in America, il Mulino, Bologna, 2004.
22
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L’apporto di James S. Coleman alla teoria del capitale sociale è per molti versi più
utile rispetto a quello di Putnam. In questa teoria si evidenzia la natura complessa
del concetto che può consistere sia nelle caratteristiche specifiche di una certa
struttura sociale e sia nelle strategie tese al raggiungimento di fini specifici da
parte dei singoli. L’elemento strutturale concerne l’individuo, i suoi scopi, il
rapporto interpersonale ed eventuali relazioni interorganizzative. L’azione non è
mai solo individualista ma si giustifica in base alle diverse appartenenze sociali in
cui essa si manifesta. Ogni individuo è inserito in una molteplicità cerchie sociali,
costruite all’interno di tessuti relazionali tendenzialmente chiusi e che spingono
77
M. E. Warren (eds.), Democracy and Trust, Cambridge University Press, 1999.
78
Fukuyama F., Trust. The Social Virtues and Creation of Prosperity, Hamish Hamilton, London,
1995.
79
Warren Mark E., (a cura di), Democracy…, op. cit. pp. 318-319.
23
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80
Jedlowski P., Il mondo in questione. Introduzione alla storia del pensiero sociologico, Carocci,
Roma, 2003, p. 117.
81
A. Bagnasco, Società fuori squadra. Come cambia l’organizzazione sociale, il Mulino, Bologna,
2003, p. 24.
82
Bagnasco A., «Teoria del Capitale sociale e political economy comparata», in Stato e Mercato,
n. 57, dicembre 1999, p. 354.
83
Ibidem.
24
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84
Coleman J. S., Foundations of Social Theory, Harvard University Press, Cambridge, Mass.,
1990, p. 313, (mia la traduzione). Il testo è stato tradotto recentemente in italiano J. S. Coleman,
Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civia in America, il Mulino,
Bologna, 2004.
85
Bagnasco A., Società fuori squadra… op. cit. p. 24.
86
Cartocci, Diventare grandi in tempi di cnismo, il Mulino, Bologna, 2002. L’autore ripercorre i
riferimenti teorici di Putnam richiamandosi a A. O. Hirschman, Contro la parsimonia: tre modi
facili di complicare alcune categorie del discorso economico in L. Meldolesi, (a cura di),
L’economia politica come scienza morale e sociale, Liguori, Napoli, 1987.
25
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87
«Il capitale sociale è l'insieme delle risorse attuali o potenziali che sono legate al possesso di una
rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate di inter - conoscenza e di inter -
riconoscimento o, in altri termini, all'appartenenza a un gruppo, inteso come insieme di agenti che
non sono soltanto dotati di proprietà comuni (suscettibili di essere percepite all'osservatore, da gli
altri o dal loro stessi) ma sono anche uniti da legami permanenti e utili…Il volume di capitale
sociale posseduto da un particolare agente dipende dunque dall'ampiezza dei legami che egli può
efficacemente mobilitare e dal volume di capitale (economico, culturale e simbolico) detenuto da
ciascuno di coloro cui egli è legato» (Pierre Bourdieu, Le capital social. Notes provisoire in
«Actes de la recherche en sciences sociales», n. 31, 1980, p. 2, cit. in Cartocci, Diventare
grandi…op. cit. p. 38)..
88
«Se dal punto di vista del singolo individuo i legami deboli costituiscono un’importante risorsa
per la mobilità volontaria, da un punto di vista più macroscopico risultano svolgere un’importante
funzione di coesione sociale. Quando un individuo cambia lavoro, non si sposta soltanto da un
reticolo di legami ad un altro, ma stabilisce anche un collegamento tra questi reticoli, che è spesso
dello stesso tipo di quello che ha facilitato il suo spostamento. Soprattutto nel caso di
specializzazioni professionali e tecniche ben delimitate, e con relativamente pochi membri, la
mobilità interaziendale porta all’istituzione di elaborate strutture di legami deboli, che fanno da
ponte tra i più coesi aggregati di relazioni che si sviluppano nell’ambito delle specifiche situazioni
lavorative. In tal modo le informazioni e le idee fluiscono più facilmente all’interno della
particolare professione (speciality), ispirando tra i suoi membri un certo “spirito di comunità” che
viene attivato in occasione di riunioni e conventions. È facile infatti ipotizzare che la conseguenza
più importante di questi incontri è proprio la preservazione dei legami deboli» (Granovetter M., La
forza dei legami deboli, Liguori, Napoli, 1998, p. 134).
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