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Zenit Studi - La voce della luce http://www.zen-it.com/ermes/studi/Duchamp.

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Lavoce
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luce

Maurizio Nicosia Maurizio Nicosia

La simbologia massonica e le origini Lo svanimento della luce


ermetiche della più enigmatica
opera del Novecento, il
Grande vetro di Marcel Per l'uomo occidentale la luce è principalmente, se non
Duchamp esclusivamente, una risorsa tecnica. È ormai raro che sia pensata
come una metafora della conoscenza, e rarissimo che sia concepita
come la manifestazione vivente di un ente metafisico o
dell'intelligibile nel sensibile.
I personaggi e i libri, in ordine Parimenti nel mondo dell'arte odierna la poetica della luce
d'apparizione rappresenta solo un ramo secco. La pittura di questo secolo si è così
profondamente addentrata nelle viscere della materia, nei suoi più
minuti travaglî, da perdere il senso globale della forma e lo stesso
MARCEL DUCHAMP - Del normanno antico senso della visibilità, che presuppone e implica la distanza. Da questa
ha il volto aristocratico e affilato; dopo immersione ne emergono, quasi come i reduci d'una battaglia, il
studî di filosofia approda a Parigi e gesto dell'artista e grandi campiture o tessiture cromatiche, che si
frequenta la cerchia cubista negli anni '10. propongono e affermano in luogo della narrazione e della
Allo scoppio della Grande Guerra si composizione per mezzo di forme.
trasferisce a New York. In contatto con i Non diversamente accade in quelle opere che ricorrono a mezzi
dadaisti prima e i surrealisti poi, è noto diversi da quelli pittorici; se vi appaiono tubi al neon, la luce di Wood
agli ambienti iconoclasti dell'arte per i o altro ancora, essi rappresentano poco più che protesi tecnologiche:
ready made, letteralmente 'prodotti non indicano un particolare interesse per la luce, testimoniano
pronti': oggetti d'uso comune che Duchamp semmai quanto l'artista intenda essere al passo coi tempi. La
eleva al rango d'opere d'arte firmandoli e limpidezza, la trasparenza, la visibilità non costituiscono più oggetto
apponendovi scritte sibilline. Mentre i più di ricerche poetiche nel campo delle arti visive.
erano convinti che avesse smesso di D'altronde una poetica della luce si manifesta sempre in stretta
occuparsi d'arte per gli scacchi (gioco in correlazione con una metafisica della luce, e ne sono esempî
cui eccelleva: fece parte anche della eloquenti il mosaico bizantino e la vetrata gotica, la limpida, tersa
nazionale di Alekhine), segretamente, e misura di Piero della Francesca, Vermeer e Seurat o i drammatici
per vent'anni, ha lavorato ai Dati (Étant conflitti di tenebre e luce nelle tele di Caravaggio e Rembrandt. Ogni
donnés), un complesso allestimento qual volta il fiume carsico del platonismo è riaffiorato nella storia, ha
figurativo, da osservare attraverso il buco con pazienza ritessuto i fili d'una metafisica della luce, seminando
di una porta, che compendia il suo simboli e metafore nel fecondo terreno della poesia e dell'arte.
pensiero. Si è spento nel '68 e sulla sua Ma l'oggi, così teso a monetizzare il tempo e a valutare all'impronta
tomba, per sua espressa volontà, è scritto: ciò ch'è remunerativo, non può avere interesse o anche solo
«d'altronde son sempre gli altri che attenzione per chi coltiva e custodisce una qual sia metafisica o una
muoiono». I suoi scritti sono raccolti in M. concezione poetica. Non v'è dunque da stupirsi dello svanire d'una
DUCHAMP, Mercante del segno, Cosenza metafisica e poetica della luce, ma del contrario: che ancora
1978. Per saperne di più sul personaggio qualcuno se ne occupi, mostrando sovrana indifferenza per il
propongo, dalla sterminata bibliografia, O. guadagno, il successo, la produttività, la gloria.
PAZ, Apparenza nuda. L'opera di Marcel
Duchamp, Milano 1990, per la limpidezza
del testo, di mano d'un premio Nobel, che
sa raccontare con gusto le avventure del
pensiero.
Duchamp e la luce

È questa la principale ragione dell'immenso stupore che suscitano


Marcel Duchamp e la sua opera. Totalmente disinteressato e al
GUILLAUME APOLLINAIRE - Muore successo e al profitto, Duchamp si accontentava del modesto
trentottenne, falcidiato dalla Spagnola che guadagno da bibliotecario per coltivare i suoi studî di metafisica e
imperversava verso la fine della Grande cosmogonia. Ha firmato un numero esiguo di opere, con grande
Guerra, dopo essere sopravvissuto alle rammarico dei suoi rari e ricchissimi collezionisti, che lo dovevano
gravi ferite in testa causate dall'esplosione letteralmente implorare per ottenerne talvolta una. Per lunghe
d'una granata. Poeta ardito, cultore del stagioni si è distolto dall'ambiente artistico, preferendo dedicarsi ai
verso libero e del calligramma, è noto tornei di scacchi e alla strategia del gioco o a ricerche del tutto
nelle cerchie artistiche per le sue improficue che gli consentissero di evitare perdite e vincite al casinò.
profonde conoscenze esoteriche, i cui L'assoluta unicità della figura di Duchamp, nel panorama artistico del
classici legge con voracità. René Nicosia si Novecento, risiede proprio nell'aver coltivato con silenziosa tenacia
fregiava della sua amicizia. Benché sia un ramo secco: una metafisica poetica della luce. Una ricerca così
stato talvolta discusso come critico, lui ha desueta, la sua, che la critica, che pure si è accanita sul suo lavoro
pronunciato i due nomi del secolo agli ricoprendolo d'una fittissima vegetazione interpretativa, raramente,
esordî: Picasso e Matisse. E scusate se è quasi mai, ne ha dato conto. Raramente, si dovrebbe aggiungere, se
poco. I libri citati sono: G. APOLLINAIRE, n'è accorta. Ha insistito sulle fonti alchemiche della sua opera, sul

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Alcool Calligrammi, Milano 1986. G. suo esoterismo, sugli aspetti psicoanalitici, inconscî e nascosti, sulle
APOLLINAIRE, Orfeo, in Il bestiario o presunte pulsioni incestuose dell'artista nei confronti della sorella; su
corteo d'Orfeo, in Opera poetica, Bergamo tutto insomma, fuorché paradossalmente su ciò che Duchamp voleva
1981. comunicare.
Eppure tracce d'un particolare interesse di Duchamp per la luce è
possibile coglierle in abbondanza sia nelle sue opere che in ciascuna
RAYMOND ROUSSEL - Dopo studî pianistici delle molteplici annotazioni che ha scritto a margine e a sostegno del
si dà alla poesia, «le parole vengono più suo lavoro. La sua più celebrata e impegnativa opera, per
facilmente della musica». Ma l'insuccesso cominciare, nota come Grande vetro, è un'apoteosi della trasparenza
lo perseguita e si rinchiude in una villa di e dunque della luminosità.
famiglia. Scoperto dai surrealisti e Tracce vistose: pochi, pur ricordando che Duchamp definì il Grande
celebrato come uno dei loro padri, li vetro «un mondo in giallo», hanno sottolineato che ciò sottende una
tratta gentilmente ma ritiene il loro lavoro propagazione della luce negli strati della materia. Pochissimi poi
«un po' oscuro»; di lui dirà Duchamp: hanno aggiunto che Duchamp ne ipotizzava «l'esecuzione per mezzo
«Roussel si credeva filologo, filosofo e delle sorgenti luminose». Nessuno, ch'io sappia, ha descritto il
metafisico. Ma resta un gran poeta». È Grande vetro per ciò che è: un cosmogramma della luce, ovvero una
morto a Palermo, nel '33, al Grande rappresentazione simbolica dell'emanazione universale della luce e,
Albergo delle Palme. D'obbligo ricordare al contempo, un viatico per tornare alle origini, alla luce stessa.
almeno R. ROUSSEL, Impressioni d'Africa,
Milano 1964.
Marcel Duchamp, Il Grande vetro o La
Sposa messa a nudo dai suoi scapoli,
ROBERTO GROSSATESTA - (Robert anche
Greathead, 1175-1253) Figlio medievale
tra i più fulgidi del platonismo,
francescano e vescovo di Lincoln, ha
allevato agli studî Ruggero Bacone. Suo il
principio secondo cui la natura procede
nel modo più breve e ordinato possibile,
ripreso da Francesco Bacone e Galileo. La
luce è per lui principio attivo della
materia, causa e forma prima d'ogni realtà
corporea e ragione ultima della bellezza
del mondo sensibile. R. GROSSATESTA, La
luce, in Metafisica della luce, Milano 1986.

ERMETE TRISMEGISTO - Figura leggendaria,


è splendidamente intarsiata nel pavimento
del Duomo di Siena. Corpus Hermeticum, Una base in «massoneria»
Pimandro, Milano 1991. Scritto forse ad
Alessandria verso il II° secolo d.C.,
sintetizzando motivi pitagorico-platonici, Nella stagione delle avanguardie il Grande vetro cresce lentamente,
stoici, persiani ed ebraici, il Corpus corroborato da una sostanziosa quanto criptica elaborazione teorica e
Hermeticum ebbe particolare fortuna nella progettuale. Questa poderosa mole di note viene raccolta da
Firenze medicea, dove lo tradusse Marsilio Duchamp in due «scatole» che verranno pubblicate in tiratura
Ficino. Stampato per la prima volta nel limitata. È ai testi e disegni contenuti in queste scatole che l'artista
1471, conobbe sedici edizioni sino alla fine francese ha consegnato i cardini della sua concezione metafisica.
del Cinquecento. Cfr. A. J. FESTUGIÈRE, La Ampî capitoli, considerando la sua laconica ed ermetica scrittura,
Révélation d'Hermès Trismégiste, Parigi sono dedicati a temi o soggetti inerenti la luce: a uno dei due
1950-54; F. A. YATES, Giordano Bruno e la principali elementi del Grande vetro, cioè il «gas illuminante», o alla
tradizione ermetica, Bari 1985. Apollinaire «illuminazione interna» e alle ombre, o all'apparenza e
aveva letto l'edizione di L. MÉNARD, all'apparizione, che presuppongono ambedue la luce. Nella prima
Hermès Trismégiste. Traduction complète, scatola, che raccoglie le riflessioni e i progetti dal 1912 al '14, è
précédée d'une étude des livres contenuto uno schizzo, vergato di slancio su carta da musica, con un
hermétiques, Paris 1886, comprendente i ciclista che sale un pendio. In calce, a matita, Duchamp ha scritto:
primi quattordici trattati e l'Asclepio. «Avere l'apprendista nel sole».
La frase, forse perché è per i più astrusa e priva di senso, non ha
suscitato adeguata attenzione. Eppure rappresenta un altro nitido ed
esplicito segno dell'interesse di Duchamp per la luce e risulta chiara a
chi ha dimestichezza con i rituali massonici: essa allude alla fase
conclusiva dell'iniziazione, al momento in cui finalmente
l'apprendista riceve la luce. Il ciclista che affronta con sforzo e
slancio la salita si cimenta in realtà con l'ascesa iniziatica.
Bisogna aggiungere che Duchamp, in un'altra nota per il Grande
vetro, spiega che questo congegno ha una base in «maçonnerie»,
parola che in francese -giova dirlo?- non significa solo la muratura. Se
avesse voluto indicare esclusivamente una base edilizia, senza
incorrere in fraintendimenti, il Francese gli offriva l'inequivocabile
termine 'murage'. Che invece giocasse sul doppio senso della parola
«maçonnerie» lo suggerisce anche l'uso, in alcuno dei suoi scritti, dei
tre punti massonici. Dunque, secondo il suo autore, il Grande vetro
ha un fondamento in «massoneria» e il tema sotteso a quest'opera è
analogo al percorso massonico: l'ascesa iniziatica che conduce alla
luce.

Il congegno del Grande vetro

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Il Grande vetro è agli antipodi della pittura dell'epoca, vibrante di


segni e pasta cromatica, protesa a rappresentare il movimento o lo
sfaccettarsi dello spazio in una miriade di piani. In quest'opera,
invece, severamente tratteggiate e circoscritte da filo di piombo, le
nitide e curiose figure sono imprigionate tra due lastre di vetro, di
quasi tre metri, come gl'insetti nell'ambra. Sospese nel vuoto spazio,
sembrano sospendere il tempo. Il Grande vetro è un ritratto
dell'immobilità.
Il titolo originale, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche,
indica che i singolari marchingegni congelati nel vetro
racconterebbero il denudamento d'una sposa, il suo disvelamento.
Nella zona inferiore è minuziosamente descritto «l'apparecchio
celibe», composto da un mulino ad acqua e una improbabile macina
montata su un tavolo in stile Luigi XV, che raccolgono sforzi e desideri
di nove «stampi maschili»; nella zona superiore «il regno della sposa»
si distingue per una nube, la «via lattea», che sembra sprigionarsi da
un meccanismo di vaghissimo aspetto umano.
Il Grande vetro è dunque il disegno di un congegno di cui le scatole di
annotazioni di Duchamp spiegano il funzionamento. Sopra vi è la
multiforme: Vergine, Sposa, Iside ed Euridice, la «Signora suprema
del mondo» -avrebbe detto Goethe- l'eterno elemento femminile che
ci trae verso l'alto, cioè l'idea: in questa regione, annota Duchamp,
«le forme principali non hanno più una commensurabilità». Sotto,
invece, alberga la chiusa società degli uomini che ha una base in
«massoneria».

Il regno della sposa (metà superiore)


1. La Sposa e i suoi vestiti; U (1) e seguenti: pistoni di corrente d'aria inscritti nella nube che
è la 'via lattea'; i punti contrassegnati col 17 e 18 sono i 'nove spari', sotto cui, in
corrispondenza del triangolo, vi doveva essere il 'quadro di ombre proiettate'; Duchamp
lavorò otto anni a quest'opera e la lasciò incompiuta

Apparecchio scapolo, o una base in «massoneria» (metà inferiore)


A sinistra, contrassegnati dal 2, i nove 'stampi maschi', dietro il 'mulino ad acqua'; al centro
la 'macinatrice di cioccolato', posta su un tavolo Luigi XV, sovrastata dalle 'forbici (5), e dai
setacci: i coni in semicerchio; a destra le forme elleittiche a raggera o ad anelli sono i
'testimoni oculisti'.

Duchamp ha descritto il Grande vetro come un motore, alimentato


dal desiderio d'amore, che produce lo «sboccio» della Sposa. Come il
ciclista impegnato nell'ascesa iniziatica è il motore umano di un
mezzo costituito da due parti, le due ruote, così il Grande vetro
consta di due parti e può essere paragonato, secondo Duchamp, a
un'auto che sale un pendio: «la macchina desidera sempre più la
vetta della salita, e sempre accelerando lentamente (per gradi, vien
d'aggiungere, N.d.A.) come stanca di speranza, ripete i colpi di
motore regolari a una velocità via via maggiore fino al rombo
trionfale».
La strada percorsa da questo singolare veicolo iniziatico non è
dissimile da una piramide. È ben definita in larghezza e spessore al
suo inizio, avverte Duchamp, e diventa progressivamente senza forma
topografica, una «linea pura geometrica senza spessore,
avvicinandosi a quella retta ideale che trova il suo sbocco verso
l'infinito». L'inizio del viatico ha la sostanza della «selce sfaldata»,
cioè si approssima alla pietra grezza, e alla fine si sbriciola in
«polvere d'oro» in sospensione, più leggera dell'aria: in purissima
materia luminosa. È il viaggio dell'apprendista.
A innescare questo veicolo iniziatico concorrono due elementi, la
caduta d'acqua e il gas illuminante. Essi consentono di determinare
secondo Duchamp «le condizioni del Riposo istantaneo di una
successione di fatti diversi per isolare il segno della concordanza tra
questo Riposo, da una parte, e dall'altra una scelta di Possibilità».
Duchamp ha affermato che «l'arte è uno sbocco su regioni dove non
dominano né il tempo né lo spazio»: è questo il luogo del «Riposo
istantaneo». A sostituire «Riposo» con l'Uno platonico e «scelta di
Possibilità» con il concetto di molteplice, si può dunque leggere una
variante epocale del principio ermetico che tutto è Uno: caduta
d'acqua e gas illuminante servono a isolare il segno della concordanza
tra l'Uno e il molteplice.
Non è difficile a questo punto individuare nella caduta d'acqua e nel
gas illuminante quella via discendente e ascendente che Eraclito
ricordava essere una sola e la stessa. Principî universali, come
segnala il titolo d'un'altra opera dell'artista, Acqua e gas a tutti i
piani, cioè presenti in ogni grado di manifestazione dell'essere: la
caduta d'acqua e il gas illuminante sono i due poli della cosmogonia
ermetica che ha per origine la luce. Ma per intenderne il senso è
necessario tornare alle radici del Grande vetro e il lettore mi
perdonerà: la strada comincia a inerpicarsi.

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Le origini del Grande vetro

Il progetto del Grande vetro prende corpo intorno al 1912 nel


multiforme crogiolo della Parigi d'avanguardia, dopo un viaggio che
Duchamp effettua nelle montagne del Giura in compagnia del pittore
Picabia e del celebre poeta Guillaume Apollinaire, il critico e
sostenitore dei cubisti. Al ritorno Duchamp appunta i primi pensieri
sul Grande vetro e tratteggia la strada iniziatica che si trasmuta in
pura linea, in polvere d'oro, precisando che è un «fanciullo-faro» a
compiere l'operazione.
Il fanciullo-faro non è altri che lo stesso Apollinaire, che nella
raccolta di poesie Alcool, pubblicata proprio dopo il viaggio con
Duchamp, vanta nobili genetliaci («la luce è mia madre») e luminosi
compiti («E io brucio portatore di soli al centro di due nebulose») che
richiedono un adeguato nutrimento: «a grandi sorsate trangugiavo le
stelle». Di lì a qualche mese il poeta annuncerà la nascita
dell'«orfismo», movimento con cui l'arte, dichiara, arriva «in piena
poesia alla luce». E Duchamp ne è uno dei principali protagonisti.
Non poteva essere altri che Apollinaire il fanciullo-faro, la guida
verso la luce: anche Savinio, il meno noto ma non meno creativo
fratello di De Chirico, riconosceva all'occhio di Apollinaire la virtù
magica trasmessa dalla «polvere solare». È il sapiente occhio di
Apollinaire a condurre Duchamp ad assistere alla pièce teatrale di
Raymond Roussel Impressioni d'Africa, che l'artista ricordò in seguito
come l'origine del Grande vetro.
In questa macchina teatrale disseminata di ordigni meccanici,
costituita da nient'altro che una sequenza ininterrotta di congegni
simbolici, Apollinaire probabilmente additò a Duchamp un curioso
marchingegno chimico-musicale che nessuno ha finora notato essere
il diretto antenato del Grande vetro.

La voce della luce

Anche il congegno di Roussel è un'enorme «gabbia di vetro»,


condotta in scena dal chimico «Bex», atta a contenere «un immenso
strumento musicale formato da diffusori a tromba di rame, corde,
archetti circolari, tastiere meccaniche d'ogni sorta». Ad azionare
questa polimorfica orchestra automatica è l'energia prodotta da due
grossi cilindri, uno rosso e uno bianco -come le colonne dei templî
francesi. Il cilindro rosso contiene «una sorgente di calore di
eccezionale potenza», quello bianco produce «un freddo intenso
capace di rendere liquido qualsiasi gas».
È un peccato che finora la critica non abbia sondato il lavoro di
Roussel. Avrebbe riconosciuto nei cilindri rosso e bianco le colonne
del mondo e gli avi del gas illuminante e della caduta d'acqua di
Duchamp, e invece d'insistere sul presunto dualismo del Grande
vetro, avrebbe viceversa individuato nella caduta d'acqua uno stato
di condensazione del gas: una variazione della stessa sostanza
originaria.
Sostanza luminosa, a considerare le osservazioni di Duchamp sugli
oggetti: «l'oggetto è illuminante. Il corpo dell'oggetto è composto di
molecole luminose… ogni materia nella sua composizione chimica è
dotata di una «fosforescenza» e s'illumina». E nello stesso testo,
quando sottolinea la «massa di elementi di luce», s'intravede
nuovamente il motivo della polvere d'oro e s'intuisce una visione
monista che forse si radica nella metafisica di Roberto Grossatesta,
che coglie nella luce «la prima forma corporea».
Il congegno chimico musicale di Roussel, in particolare le colonne
rossa e bianca, si prestava a una lettura ermetica nel solco del
Pimandro che certamente Apollinaire non si lasciò sfuggire. Ermete
Trismegisto è figura molto cara al poeta, sovente attraversa i suoi
versi. Ma Apollinaire lo cita testualmente nel Corteo d'Orfeo,
pubblicato poco prima del viaggio con Duchamp, a incipit di ciò che
chiamerà orfismo:

Ammirate l'insigne potere


E la nobiltà della linea:
Essa è la voce che la luce fece udire
E di cui parla Ermete Trismegisto nel Pimandro

Nelle note esplicative Apollinaire insiste: «Presto -si legge nel


Pimandro- discesero le tenebre e ne uscì un grido inarticolato che

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pareva la voce della luce». Questa «voce della luce» non è il disegno,
ovvero la linea? E quando la luce si esprime pienamente tutto si
colora. La pittura è in verità un linguaggio luminoso».
Così Duchamp, da buon orfista, ipotizza l'esecuzione del quadro per
mezzo di sorgenti luminose, congela le sue figure nella trasparenza
del vetro e immagina la strada iniziatica come una base spessa e
solida, in «maçonnerie», con un vertice che sfuma in una «linea pura
senza spessore», immersa in una nube di polvere d'oro più leggera
dell'aria. Alla vetta del viatico iniziatico comincia la linea, ovvero la
voce della luce di Apollinaire, cioè d'Ermete: Duchamp ha messo a
frutto le meditazioni sul Pimandro.

Il Pimandro di Ermete Trismegisto

Apollinaire non dovette mancare nel far notare a Duchamp come il


Pimandro non sia meno spettacolare del congegno di Roussel, anzi. E
come nei due cilindri di Roussel, l'uno sorgente di calore, l'altro
capace di rendere liquido ogni gas, si potessero riconoscere i poli
della genesi ermetica, la natura umida e il puro fuoco.
Nel Pimandro è descritta la visione d'Ermete: all'iniziato appare il
nous, l'intelletto supremo, che con una visione lo avvia alla
conoscenza degli esseri. A Ermete appare uno spettacolo infinito in
cui tutte le cose sono diventate luce, e s'innamora di questa visione.
Però sopravviene un'oscurità che scende verso il basso e si muta «in
una sorta di natura umida agitata in un modo indicibile e che produce
una specie di suono, un gemito indescrivibile»: la caduta d'acqua di
Duchamp.
Questa natura umida «subito dopo emise un grido di aiuto,
inarticolato, che somigliava alla voce della luce. Dalla luce un santo
Logos si diresse verso la natura e dalla natura umida un puro fuoco si
sprigionò dirigendosi verso l'alto»: ecco il gas illuminante, che ha per
Duchamp «un'idea fissa ascensionale».
La luce è l'intelletto supremo, «che esiste prima della natura umida
emersa dall'oscurità», ed esorta Ermete: «Orsù, volgi il tuo intelletto
a questa luce e impara a conoscerla». Ermete ha un'ulteriore visione:
«vidi nel mio intelletto la luce consistente in un numero infinito di
potenze, vidi sorgere un mondo privo di limiti, vidi che il fuoco era
imprigionato da una forza immensa e manteneva forzatamente
l'immobilità. Mentre io stavo lì sbalordito, di nuovo mi si rivolse: «Tu
hai visto nel tuo intelletto la forma archetipa, il principio del
principio, che non ha fine»».
La voce della luce è dunque l'accorato appello che proviene dalla
«natura umida», divenuta tale per essere 'caduta in basso', immersa
nell'oscurità; ed è proprio questa la condizione primigenia degli
elementi del Grande vetro: «Dati (nell'oscurità) 1° la caduta d'acqua;
Sia, dati 2° il gas illuminante, nell'oscurità». Condizione ripetuta due
volte da Duchamp e circoscritta nel manoscritto da segni rossi.
Si noti come la sequenza dei «Dati» di Duchamp rispetti l'ordine del
Pimandro: prima l'oscurità, scendendo, si tramuta in natura umida, o
caduta d'acqua, come si preferisce. Quindi dalla natura umida, che
invoca aiuto e lo riceve dalla Luce prima, si sprigiona un puro fuoco
che si dirige verso l'alto: il gas illuminante s'innalza successivamente.
Ma Pimandro, oltre l'educazione alla visione interiore della genesi
cosmica, invitava calorosamente Ermete a volgere il suo intelletto a
quella luce «di natura maschile e femminile» che esiste prima della
natura umida. E per Duchamp il Grande vetro manifesta il «segno
della concordanza» tra gli opposti, il principio generatore immobile e
il mondo in moto.
Il Grande vetro è una macchina desiderante, ma ciò che la muove
verso la vetta, sino al «rombo trionfale», è un anelito alla luce.
Quest'opera non poteva dunque essere che la trasparente apparizione
di «un mondo in giallo», epifania di quella «retta ideale» che
annuncia «la voce della luce». Non poteva non essere un
cosmogramma della luce androgina, un sigillo metafisico che attende
la transustanziazione: «il processo creativo -ha dichiarato Duchamp
nel '57- assume tutt'altro aspetto quando lo spettatore si trova in
presenza del fenomeno della trasmutazione; con il cambiamento
della materia inerte in opera d'arte una vera e propria
transustanziazione ha luogo».
Ripensando al suo ultimo lavoro, l'Etant donnés, alla donna che
solleva la fiamma a gas, alla «natura umida» da cui si sprigiona il gas
illuminante, non dispiace ricordare il ruolo che assegnava all'artista:
«mantenere vive le grandi tradizioni spirituali con cui la stessa
religione sembra aver perso il contatto. Credo che oggi più che mai
l'Artista abbia questa missione da compiere: tenere accesa la fiamma
di una visione interiore di cui l'opera d'arte sembra essere la

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traduzione più fedele per il profano».

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