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Aprile 2011 – 9° numero

E’ PRIMAVERA ANCHE
QUI
DI MORELLO PECCHIOLI
Sarà, forse, colpa della primavera, ma credo Se, il progetto educativo ministeriale che
che nessun altro numero del Miglio Rosso sia Roberto Bellamoli ha ben messo in evidenza,
stato pieno di poesia come questo. E non mi vuole davvero creare una “Amministrazione
riferisco soltanto ai versi di Marcello Fiore o Penitenziaria che tenda alla rieducazione del
degli altri poeti prima di lui: Alessio condannato mettendo in campo tutte le
Gelicrisio, Ignazio Fucarino, Carlo Gasperotti conoscenze pedagogiche e le risorse
e altri ancora. Ma anche a certe prose cariche strutturali allo scopo di rendere il carcere non
di emozioni, di sincerità e di umanità che un’inutile sofferenza, ma una parentesi
hanno il timbro della poesia e toccano le necessaria per la ricostruzione della persona
corde più sensibili. Parlo della commovente nei suoi molteplici aspetti, personali, culturali,
Lettera a Paolo di Pino De Col e del Frutto affettivi, sanitari e lavorativi”, si deve fare in
che viene dalla memoria di Francesco Di modo che questa “parentesi” non sia piena di
Bernardo. La lettera di Pino fa riflettere. Su vuoto, ma che serva davvero a ricostruire
quello che siamo stati e su quello che vorremo l’uomo, i suoi affetti, il suo futuro.
e possiamo essere. Ma abbiamo bisogno di In questo numero si parla anche della
aiuto per renderci conto che non siamo soli, riapertura della palestra che ha suscitato tanto
che c’è sempre qualcuno che non ci entusiasmo. Mahn, Di Bernardo e Beltrame se
abbandona anche quando pare che tutto il ne fanno portavoci. Chiude il numero il
mondo ci volti le spalle. Da Pino, da viaggio onirico di Antonio Cimino: un
Alessandro Galanti ho capito quanto bene ha florilegio artistico che ben si adatta alla bella
portato in carcere il corso sull’affettività, stagione. E’ primavera anche qui a Montorio.

Morelo Pecchioli
quanto li ha aiutati a leggersi dentro. E,
sinceramente, non capisco perché questo
corso che fa loro tanto bene non possa essere
continuato, coinvolgendoli ancora.

La redazione del Miglio Rosso


Direttore: Morello Pecchioli

Redazione: Ruggero Perer, Giuseppe De Col, Antonio Cimino, Marcello Fiore, Alessandro Galanti, Cristiano Mahn,
Francesco Di Bernardo
LA PALESTRA È RITORNATA
di Cristiano Mahn e Francesco Di Bernardo

La palestra è aperta. Dopo l’inaugurazione economico. Questa è la prova che nelle carceri
avvenuta il 2 febbraio ecco che possiamo vengono investite risorse per la modernizzazione
frequentarla usufruendo di uno spazio che ci (come l’anno scorso con il problema dell’
aiuterà a mantenere in forma il corpo ma anche acqua).
la mente. “ mens sana in corpore sano “ dicevano All’inaugurazione è stato detto “Non è il nostro
gli antichi latini. dovere giudicare e condannare i detenuti, ma
È proprio cosi. Oltre a questi aspetti, la palestra aiutarli a migliorare”. La garante ha avuto parole
ci aiuterà a socializzare e tramite i giochi, ad di ringraziamento per l’associazione “La
imparare a rispettare le regole. Lo sport dà una Libellula” e per tutti i detenuti che hanno aiutato
speranza per il futuro. volontariamente alla realizzazione di questo bel
“ La palestra è una riconquista molto importante progetto. Un grazie al direttore, all’ associazione,
“ ha sottolineato il direttore Antonio Fullone. Per al comune di Verona e a tutti coloro che hanno
la ristrutturazione della palestra è sceso in campo lavorato per questo progetto.
anche il comune di Verona con un aiuto

RINGRAZIAMENTO DI UN DETENUTO
di Igor Beltrame

L’ associazione “La Libellula” mi ha dato la possibilità di lavorare alcune ore, nel pitturare la
palestra. Ore preziose, perché stai fuori da un buco opprimente. Ore che ti fanno sentire ancora un
uomo, utile e vivo. Non stai apatico in cella, fai qualcosa per te e per i tuoi compagni. Vedi
cambiare qualcosa di brutto e sporco in qualcosa di bello e pulito. Una bella soddisfazione per il
proprio essere. Secondo me, essere pagati o no è irrilevante, la paga è il sentirsi quasi libero, quasi
sulla porta di uscita, del tutto realizzato.
Hai un compito da portare a termine, un obbiettivo da raggiungere entro un tot. È una sfida e una
soddisfazione personale riuscirci. Dovrebbero esserci più possibilità per noi di lavorare anche
gratuitamente, staremo tutti molto meglio.
8 MARZO
di Antonio Cimino

C’è da chiedersi se l’8 marzo sia un’altra festa consumistica


dell’immaginario collettivo o un giornata dedicata veramente
alla donna. La giornata della donna deve fornire motivi di
riflessione sulla memoria dell’emancipazione femminile e
motivi di ripresa di autoconvinzione per la strada ancora da
percorrere. Si sta imponendo anche nei media un modello di
donna oggetto che tende a non valorizzare la sua interezza.
Giustamente oggi la donna non vuole un ruolo inferiore
all’uomo nella società. E lo chiede sia esaltando l’aspetto
fisico, sia esaltando le capacità e le caratteristiche del gentil
sesso. Anche in Italia nel 2011 le donne sono lontane
dall’aver conquistato la parità effettiva in molti campi, dalla
politica ai consigli di amministrazione, alla carriera nel
pubblico impiego e anche nella dirigenza di settori carcerari.
La direttrice del Carcere di Bollate è una bella eccezione.
Pertanto la giornata della donna offre una riflessione: se non
sia ora di avviarsi verso una convivenza in armonia e
rispettosa, più ricca di cuore e bene comune che di denaro e
egoismo

LE MADRI DELLA CLASSE 1930


di Alessandro Galanti

Sono quelle persone che quando parli di orco o di Chi ha la fortuna di avere i genitori nati in quegli
mostro ti ridono in anni non può non riconoscere in
faccia. Sì, ridono queste persone coraggio e
perché l’abuso di dignità rari. Ai colloqui,
queste parole è sotto specialmente le mamme, sono
gli occhi di tutti. Loro, inesorabili con tutti, agenti
il mostro e l’orco compresi. Guai a mancare loro
l’hanno conosciuto di rispetto; per loro
veramente sulla porta l’educazione deve essere
di casa. Lo hanno visto presente dal generale fino
cadere dal cielo, all’ultimo soldato. Raramente
spuntare da dietro ho visto agenti avventurarsi in
l’angolo. Il vero litigi o discussioni con le madri
mostro è la guerra. Le “anni trenta”. Per loro avere un
madri degli anni ’30 figlio in carcere è un fatto
sono persone che non accaduto e non hanno bisogno
si spaventano; la loro di filosofia e giurisprudenza per
esperienza la capisci non da quello che dicono, sapere che chi ha sbagliato deve pagare. Ma il
ma dallo sguardo, dagli occhi. rispetto è rispetto. E si deve portare. Sempre.
DAL PROGETTO PEDAGOGICO AL PIANO EDUCATIVO
di Roberto Bellamoli

Dal Ministero è giunta ai Provveditori Regionali e ai Direttori Generali del personale e della
formazione delle carceri la direttiva per redigere e attuare il “Piano educativo di Istituto” per il
2011.
E’ una prassi che si ripete da vari anni, ma che, secondo il Ministero stesso, si è risolta quasi sempre
in un adempimento burocratico che si limitava ad elencare le attività educative che si
intendevano attuare. Quest’anno però il Ministero vuole dare una spinta nuova perché nel piano
siano valutati i bisogni e la priorità di interventi.“L’Amministrazione Penitenziaria deve tendere alla
rieducazione del condannato mettendo in campo tutte le conoscenze pedagogiche e le risorse
strutturali allo scopo di rendere il carcere non un’inutile sofferenza, ma una parentesi necessaria per
la ricostruzione della persona nei suoi molteplici aspetti, personali,culturali,affettivi, sanitari e
lavorativi”. E subito dopo c’è un richiamo esplicito affinché il personale si muova efficacemente:
”Per non burocratizzare la proposta educativa occorre vivere la vita delle varie sezioni respirandone
l’aria, trascorrere tra i detenuti il periodo di servizio, utilizzando l’ufficio solo come punto di
appoggio per le indispensabili attivitàamministrative.
C’è gestione corretta dell’area educativa quando il detenuto è persona al centro di un progetto”.
Sarebbe utile scambiare le nostre riflessioni e proposte di detenuti e volontari con chi è chiamato ad
attuare la direttiva ministeriale. Abbiamo chiesto di incontrare qualche educatore in redazione.
Stiamo ancora attendendo una risposta. Accontentiamoci, intanto, di dibattere sull’incontro ufficiale
che il Direttore ha avuto con le organizzazioni educative che operano in carcere e le associazioni
di volontariato. Il 25 febbraio il direttore Alberto Fullone ha esposto un progetto che a larghe linee
dovrebbe ricalcare e completare quello dell’anno precedente. Nel 2010 era al suo primo anno a
Verona. E’ stato anche il primo con la presenza della Garante. Nell’anno passato, dunque, c’è stato
un buon impegno: assicurata l’erogazione dell’acqua, ristrutturazione della palestra, colloqui al
Femminile con spazi ludici per i bambini, interventi di Amia, Medici per la Pace, spettacoli con
cantanti significativi. Purtroppo restano limiti in aree di disagio: stranieri per i quali si attiveranno
mediatori culturali, malati psichici per i quali si provvederà alla presenza di uno psichiatra. E resterà
il disagio dell’affollamento. Ci si aspettava qualcosa di più per il 2011: forno del pane, palestra
attiva, campo di calcio non solamente una volta al mese, ma con tornei, attività didattiche anche
estive. Qual è la difficoltà? L’organizzazione interna: orari che chiudono le celle alle tre del
pomeriggio, mancanza di agenti di sorveglianza, distribuzione degli spazi alle varie sezioni,
mancanza di fondi. Purtroppo questi limiti sono dati come irremovibili. Si era illuso il redattore
della direttiva che si augurava che “Chi guida l’attività penitenziaria, se ci crede, riesce a
comunicare e trasmettere questa fiducia”?
Speriamo di no.

UN FRUTTO CHE VIENE DALLA MEMORIA


di Francesco Di Bernardo

Facilmente si volta pagina. Facilmente si accumulano cose, persino persone, esperienze, incontri,
pensieri. Facilmente si prende e si lascia, si conosce e si dimentica, si incontra e si abbandona. Ma i
suoni della vita si odono solo con un orecchio speciale, le verità dell’ esistenza si registrano con
occhi diversi. Non tutto ha lo stesso valore, non tutto dura allo stesso modo.
Ci cono eventi (carcere) che costringono a lasciare tutto, anche ciò che si custodiva con attenzione.
Nulla, tuttavia, è perduto. Tutti gli affetti non si perdono. Cosi quando si ricomincia un nuovo ciclo,
non è difficile che accada di riuscire a sentire e a riconoscere emozioni vissute molto tempo
addietro, come se accadesse nel preciso istante in cui si è presenti in un oggi totalmente nuovo e
diverso, persino lontano.
Non sarà difficile, per chi sa andare ad ascoltare i suoni che riempiono la vita, la coscienza, riuscire
a riconoscere anche le proprie fragilità, incertezze e paure. Non spaventa il nuovo che viene, però
non sarà facilmente dimenticato il giorno che è passato.
LETTERA A PAOLO
di Pino De Col

Se vi è una cosa che ho sempre cercato di fuggire, è il mio passato. Mi riporta immancabilmente nella
condizione di quel bambino che non voleva più essere tale, che è entrato troppo precocemente in conflitto
col mondo degli adulti. So di avere un conto aperto con una parte della mia vita, che è tensione e sofferenza,
violenza e odio. La vita di un bambino che non aveva serenità e sicurezza. Però giunge sempre un momento
in cui situazioni impreviste obbligano la persona a porsi il problema: percorrere il sentiero della menzogna
o cercare di ripercorrere e accettare con pazienza e speranza la storia che non avrebbe mai voluto vivere.
Lo sai Paolo come si sente un bambino di cinque anni quando viene messo in collegio? Si sente
abbandonato.
Il collegio esisteva solo per ricordarmi che avevo fatto qualcosa di male. La mia educazione alla colpa è
cominciata lì. Lì ho sentito per la prima volta dalle suore la parola “inferno”. All’inferno andavano i
bambini che non si comportavano bene. Ai loro occhi io ero una persona cattiva, mia madre una prostituta,
mio padre malato di schizofrenia, rinchiuso in un manicomio. Io ero il figlio del peccato e hanno fatto di
tutto per non farmelo dimenticare. Non credo che a loro sia mai venuto in mente che con
quell’atteggiamento avrebbero condizionato la mia vita.
Non ho avuto un’infanzia degna di questo nome. L’infanzia è piena di bisogni, ma gli adulti che mi
circondavano erano troppo presi dai loro per pensare anche a quelli miei. E così sono cresciuto in fretta.
Troppo in fretta. Ho capito abbastanza presto che la vita offre diversi modi per attirare l’attenzione ed io ho
scelto il peggiore. Grazie al tuo insegnamento, Paolo, ho potuto ritornare in questo “luogo” di origine,
l’infanzia, con un bagaglio diverso. E’ stata una sofferta ripresa di dialogo con i conflitti che avevano
lasciato profonde ferite riuscendo a ristabilire relazioni più chiare e sensate. E’ stato un viaggio di ri-
significazione. Mi hai insegnato che è più importante il “tu” dell’”io”. L’importanza della non violenza.
Che l’uomo è, esiste, attraverso gli altri. E solo per essi è ciò che è. E se non hai nessuno con cui
relazionarti non sei niente. Io sono se tu esisti.
Siamo portatori di bisogni e alcuni non possono essere soddisfatti dalle cose materiali che sono solo dei
sostituti. La vera lotta da ingaggiare, innanzitutto, è contro se stessi, contro le proprie passioni, istinti,
pulsioni. Cioè contro il proprio egoismo che affiora quando entriamo in relazione con le persone e in
rapporto con le cose: soldi, droga, sesso, alcool. La forma più alta di felicità non dipende solo da noi, ma
anche dall’altro. Eì l’amare ed essere riamati.Una volta che una persona si chiude, e a cinque anni non lo fa
per sua scelta, è morto.
Ora posso perdonare e soprattutto perdonarmi. Troppo fissato su me stesso non ho saputo prendermi cura
nemmeno della famiglia che mi ero fatto nel tempo. Non sono stato migliore degli altri. Adesso so quanto sia
difficile essere Umani. Mi hai insegnato il rispetto per gli altri, per quello che sono: miei simili. Che prima
del “cosa fare” occorre sapere chi vuoi essere. Ora so chi voglio essere e cosa devo fare per arrivarci. Non
tutto della mia vita è da gettare. Vi sono state anche cose buone. Ed è da queste cose che voglio ricostruirla.
Sapendo di non essere più solo. E che non sono l’unico artefice del mio destino. Con affetto.

CORSO DI AFFETTIVITA’
di Alessandro Galanti

E’stato un successo: questa è la cosa buona e assodata del corso di affettività appena concluso.
Proprio perché è stato un successo e non stiamo parlando di una festa, questo non esclude che si sia
verificato ciò che temevo: il corso è diventato una parte integrante, colmando il totale vuoto
istituzionale, del percorso psicologico dei detenuti. Chiunque può capire quanto sia importante
avere un sostegno nel bisogno di buttar fuori quell’immondizia che il carcere ti obbliga sopportare.
Le ottime Lara e Paola e ultimo, ma non per ultimo, il geniale Paolo Bottura sono riusciti a mediare
tra le differenze anche culturali, a volte aspre e a istaurare un dialogo costruttivo ed, ebbene sì,
diciamolo pure, terapeutico.
ale è stata la forza di alcune discussioni a livello introspettivo che alla fine del corso si è sentito un
grosso vuoto, difficilmente colmabile, se non con un percorso da affiancare “per acta” a tutti o quasi
i detenuti. La violenza che può subire l’”io” di alcune persone in carcere è devastante. Nel corso di
affettività non ci sono né vincitori né vinti, non ci sono giudici né avvocati, solo il coraggio e a
volte la disperazione di chi partecipa. Può accadere che svaniscono certezze, tabù e complicate
elaborazioni mentali. L’umiltà e la fiducia che Lara, Paolo e Paola hanno dimostrato sono state
commoventi, tanto da scuotere ulteriormente gli “assi” interni di più di qualcuno. Complimenti alla
associazione “La Fraternità” per l’iniziativa che pone un’ulteriore certezza che il “sistema” ha e
avrà sempre più difficoltà a schiacciare chi non ha la forza di resistergli.
L’ARTE, VIAGGIO D’EVASIONE
di Antonio Cimino

Come un alieno mi ritrovo davanti all’ “Ingresso del metro”, in ferro


battuto, dai motivi floreali, con la scritta in caratteri Art Nouveaux: la
dogana. E’ l’ingresso per entrare nel viaggio. Mi ferma il Doganiere di
Jean Rousseau che mi chiede: “Chi sei?” “Un viaggiatore”, rispondo,
“approdato in questo punto per esplorare l’oltre”. Mi lascia passare.
La città mi rimanda alle atmosfere metafisiche delle città di De Chirico.
Sono davanti alla Casa della Palma di proprietà Joan Mirò. Attorno a me
orti lavorati da Contadine che vangano (Van Gogh) e dalle metalliche
Mietitrici del colono Malevic. Dalla stalla una Lattaia si avvicina: “Salve visitatore, venga pure”. Il
mio sguardo cade sullo stupore di una Fanciulla con l’orecchino di perla. Mi pare di riconoscerla, è
forse la figlia di Jan Vermeer? Esclamo: “Mai vista tanta
meraviglia”.
La porta d’ingresso della casa è aperta. Un’elegante Dama con
l’ermellino mi sorride, accanto a lei una signora dal sorriso
sornione: Monna Lisa. Che magnificenza! La curiosità di
esplorare la casa e varcare l’ingresso è tanta. Odo da una delle
stanze la voce di un uomo. Chi è? Il maggiordomo di Hogart,
sconvolto dal disordine della serata inoltrata con un’umile
sguardo di una cagna che mi fissa. Scene da Il matrimonio alla
moda. Il disordine inquieta persino il gatto di Lorenzo Lotto, che
inarca la schiena, come se nell’aria volassero demoni e streghe.
Sopraffatto, esco. Ma entro in un’altra stanza enorme. Oh mio
Dio! Dal soffitto cola vernice colorata, sul pavimento telato che
lascia chiazze di colore di varie dimensioni. Il segno è
inconfondibile: Jackson Pollock che si diverte ad imbrattare il
pavimento. Sulle pareti tagli. Il famigerato autore è Lucio
Fontana.
Non oso attraversare la stanza. La vernice è ancora fresca. Sono sconcertato come la malinconica
Gilles (Watteau). Un altro personaggio lancia un Grido che resta impresso sulla parete. Munch. In
fondo alla stanza c’è Hitler inginocchiato, assorto anch’egli da quanto succede. Maurizio Cattelan
l’ha immobilizzato in quel punto, a riflettere sugli orrori della guerra da lui causata. Alle sue spalle
una lampadina fioca illumina Guernica bombardata. Sulle pareti i Sacchi di Burri, a ricucire le
ferite dei soldati.
Esco dalla stanza, riprendo il percorso. Attirato dal volume di una televisione accesa, entro. Seduto
su una poltrona Frau, Max Beckman, guarda una partita di Rugby. Non oso disturbarlo, credo che
non si sia accorto della mia presenza. Di strano noto il vetro rotto della finestra. E’ un’illusione, è la
finestra di Magritte. Mi sento male, colto forse dalla sindrome di Sthendhal. Catapultato in un lungo
corridoio con una porta rossa in fondo. In due nicchie, una di fronte all’altro, ci sono il Cristo morto
del Mantenga e la Venere del Botticelli. Sono stordito. Rifletto: la morte e la nascita.
Raggiungo la porta rossa. E’ un’uscita dalla casa. L’ambiente esterno è notturno. Una luce al neon
di Joseph Kosuth, con la scritta Bar attira la mia curiosità.
Lungo la strada scalpitano cavalli. Riconosco due fantini: Umberto
Boccioni e Carlo Carrà, che inseguono il Cavallo azzurro di Franz Marc.
Raggiungo il bar, l’atmosfera è quella di Edwand Hopper. Mi siedo ad un
tavolo. Un uomo in strada si diverte a staccare manifesti cinematografici.
E’ Mimmo Rotella. La cameriera del Folies-Berger, con lo sguardo vacuo
e assente mi osserva stranito. Cosa ordina? Renoir la chiama: “Suzanne
cosa ordina l’alieno?” Sull’elenco gran parte delle parole sono cancellate.
Qualcuno in attesa di essere servito ha trascorso così il suo tempo,
lasciando la propria firma, Emilio Isgrò.
Ordino una cioccolata calda e dei pasticcini, serviti dopo un po’ in una tazza della Illy. I pasticcini
hanno forme bizzarre. C’è lo zampino dello svizzero Marti Guixè, designer originale. Dopo aver
consumato, riprendo il viaggio. Incontro per la strada la signora Erna Schillings in compagnia del
pittore Kirchener, che saluto. Dall’altro lato della strada la signora Anita Berber e Otto Dix
leggono il manifesto di uno spettacolo tenuto al Mouline de la Galette, regia di Renoir. Di fianco un
altro manifesto con lo spettacolo al Mouline Rouge tenuto da Toulose-Lautrec. Odo della musica e
vado a curiosare: trovo danzatori di Matisse che ballano in cerchio ed
omini colorati e buffi, amici di Haring, si divertono a seguire il ritmo
della Danza .Scalciando Barattoli di latta Campbell di Warhol.
Signore dal collo lungo assistono assorte allo spettacolo, con loro un
signore dal nome Modigliani. Un Fumatore di nome Guttuso mi
suggerisce di andare ad ascoltare della musica classica al Teatro del
mondo poco distante. Lo spettacolo è diretto da Sir Thomas Beecham
amico di un certo Sickert, i musici sono in prestito dalla compagnia di
Pietro Longhi. L’idea non spiace, ma andare da solo mi secca. Potrei
invitare la bella ragazza bionda che tengo d’occhio da quando sono
arrivato qui. Mi colpisce molto il suo sorriso. E’ la ragazza riportata sui
manifesti di Andy Woirlo in stile Pop-art, rappresentata in differenti
colori. Mi avvicino a lei presentandomi e chiedendole se ha piacere di
venire con me a vedere lo spettacolo al Teatro del Mondo. Lei ha
un’aria allegra e mi risponde: “Preferirei andare a vedere i Fuochi d^artificio, vicino al fiume.
Accetto l’invito. La Notte stellata è meravigliosa. Guardo le stelle con la mia Marilyn. Esprimo il
desiderio di continuare il viaggio in dolce compagnia. Mi piacerebbe anche fotografare il ricordo di
questa avventura. Con uno scatto di Man Ray, naturalmente.
L'angolo dele poeie

a cura di Marcello Fiore

Un vecchio campanile S-ciak La mia stella

Tra le valli, Esco di casa In questa notte buia


circondate da montagne con dei mocassini ai piedi. osservo le migliaia
e una fitta vegetazione E camminando e migliaia di stelle
si innalza verso il cielo su un terreno che illuminano la terra.
un vecchio campanile. arso dal sole Ti cerco invano
L’eco delle sue campane cerco di ascoltare senza vederti
funge da richiamo i miei passi. forse
e una volta giunto sul posto Ma improvvisamente perché ti sei spenta
rimango sbalordito. il cielo si oscura oppure
Le pietre che lo circondano e un forte acquazzone perché io ho perso
lo rendono freddo si abbatte sul terreno il punto di riferimento.
e dalla porta socchiusa arso dal sole. Così
fuoriesce il profumo d’incenso. Dopo pochi istanti trovo una nuova strada
Un anziano frate riesco ad ascoltare che sembra non avere fine.
mi fa cenno di entrare i miei passi E continuando a camminare
ed io s-ciak, s-ciak. non faccio altro che pensare
con un po’ di paura di ritrovarti là
e di timore Nuvole ad aspettare
varco la porta.
All’istante Il cielo
vengo avvolto è ricoperto da nuvole
da un calore d’amore che nascondono il sole.
e il mio timore Nuvole
e la mia paura che sembrano dipinte,
svanisce nel nulla. Nuvole
che si muovono velocemente
prendendo vita
nelle forme più strane.
Nuvole
che cambiano
come il nostro umore
alte e basse.
Ma il vento
che soffia insistente
spazza via le nuvole.
E il cielo
torna ad essere
d’azzurro intenso .
E il sole
torna a splendere
sul tuo viso.

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