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Le tecnologie didattiche e la loro evoluzione: paradigmi e

cornice storica di riferimento


Materiali per il master Progettista e gestore di formazione in rete

Antonio Calvani
Università di Firenze

Nelle sue forme progettuali ed attuative la didattica si avvale di strumenti e


metodologie che si sono affermati in specifici contesti culturali; buona parte dei
riferimenti teorici più diffusi sono stati mutuati da movimenti culturali ed
elaborazioni teoriche sviluppatesi soprattutto nel secondo dopoguerra.
Presentiamo una sintetica cornice dei concetti più significativi che hanno fatto
da sfondo alla riflessione didattica in ambito internazionale negli ultimi
cinquant'anni per poi soffermerci su alcune specificità del contesto italiano.
Intendiamo mettere in evidenza alcune connessioni tra i modelli della
conoscenza/apprendimento ed i riferimenti impiegati nella ricerca e
progettazione didattica.

Contesto internazionale
Kuhn (1978), in un suo classico lavoro, descrive gli avanzamenti della scienza
attraverso un'alternanza di fasi "paradigmatiche" e di fasi "normali"1. Dovendo
per necessità di sintesi ricorrere a formulazioni schematiche possiamo allora
dire, nel linguaggio kuhniano, che due "paradigmi", o comunque due fasi
cruciali, si impongono nella storia del pensiero didattico degli ultimi
cinquant'anni: il primo si colloca negli anni '50-'60, il secondo negli anni
'80-'90; il primo presuppone una concezione lineare e gerarchica della scienza
e trova il suo sbocco applicativo più evidente nel movimento per la
progettazione curricolare, il secondo si colloca all'interno di una concezione più
complessa e problematica della conoscenza, che oggi nel dibattito
internazionale viene comunemente definita con il termine costruttivismo e
trova le sue più forti implicazioni didattiche in concetti quali quello di
"ambiente", "comunità di dialogo", comunità di apprendimento","circoli di
apprendimento".
Vediamo di comprendere più analiticamente. Negli Stati Uniti al termine della
II guerra mondiale lo sforzo militare culminato nella bomba atomica mette in
moto un eccezionale avanzamento della ricerca scientifica; fisica e matematica
danno vita a nuove promettenti discipline2 e si presentano come il modello
indiscusso di ciò che si deve intendere per "scienza": questa si differenzia
nettamente da forme di pensiero che non sono ritenute scientifiche (arte,
filosofia, narrazione ecc.); la conoscenza in generale è vista come una
rappresentazione "oggettiva", formalizzabile, verificabile di una realtà esterna
ad essa.
Sul piano politico siamo nel clima della guerra fredda; l'alleato sovietico si è
trasformato ormai in un temibile rivale; il lancio del primo sputnik sovietico
rappresenta uno shock per gli americani confermando ai loro occhi che l'Unione
1
Il discorso di Kuhn in realtà semplifica molto quello che accade nella realtà ed in generale si presta ad essere applicato
meglio nell'area scientifica, meno in quella delle scienze umane, che rimangono fondamentalmente
"pluriparadigmatiche".
2
Come la scienza dell'informazione (Shannon) e la cibernetica (Wiener).
Sovietica ha acquisito un vantaggio sul piano della ricerca scientifica e del
sistema educativo.
Sul piano dei modelli didattici uno dei bersagli preferiti delle critiche diventano
in questi anni gli approcci pedagogici "progressivi" del periodo prebellico che
avevano trovato nell'attivismo (scheda) ed in J.Dewey il suo più significativo
esponente; la scuola attiva, con la sua indulgente attenzione all'"interesse" del
bambino, al "progetto", appare aver peccato d'ingenuità, dando vita ad
approcci basati in pratica su un laisser faire attesistico ed infruttuoso,
riconosciuti adesso come causa di un reale impoverimento culturale.
Un forte bisogno di reagire all'ambiguità ed all'intuizionismo spicciolo, una
salda fiducia nella scienza convergono in una comune direzione: occorre
definire rigorosamente concetti e contenuti, tragitti di apprendimento, obiettivi,
sistemi di valutazione; l'attenzione si sposta dagli interessi del fanciullo alla
identificazione delle idee essenziali presenti nei saperi scientifici, alla struttura
delle conoscenze, a come esse sono articolabili, alle connessioni specifiche in
cui si possono suddividere i processi per la loro acquisizione; i saperi
organizzati, le discipline incorporano in forma necessariamente sintetica
esperienze accumulate nel corso della storia che nella maggior parte dei casi è
impossibile far "riscoprire" induttivamente ai bambini; si tratta allora di
studiare i modi ottimali secondo i quali i diversi ambiti del sapere possono
essere essenzializzati ed esemplificati ai vari livelli di età.
Gli orientamenti che emergono in quegli anni, pur nella loro diversità,
concordano dunque nella esigenza di definire un approccio “scientifico-
razionale” all’organizzazione didattica, alla sua strutturazione sequenziale, alla
valutazione “oggettiva” degli apprendimenti, in altri termini di formulare
adeguate “teorie dell’istruzione”. Per far ciò, anziché procedere dall' allievo,
ricercando i suoi interessi, si trova più utile mettere in primo piano l'obiettivo e
l'analisi delle prestazioni così come vengono eseguite dagli individui abili: il
modello che si afferma è quello della task analysis cioè dell'analisi dei requisiti
di base per l'esecuzione di un compito, con la conseguente scomposizione di
funzioni e processi, dai più complessi a quelli più semplici, metodologia che
aveva già trovato applicazione durante la guerra nell'addestramento militare;
ogni compito, anche complesso, appare riducibile, si può per esso ipotizzare
una gerarchia di apprendimenti che ha alla sommità il compito-obiettivo finale.
In linea generale i criteri principali di quello che diverrà l'approccio curricolare
possono così essere sintetizzati: definire operativamente l’obiettivo da
conseguire; valutare le conoscenze in ingresso; scomporre analiticamente
l’obiettivo in sotto-obiettivi elementari sino ad incontrare le conoscenze in
ingresso; fornire un sistema di feed-back durante il processo.
In questa comune direzione confluiscono diversi apporti di segno diverso,
alcuni provenienti più espressamente dal mondo educativo, altri dall'ambito
scientifico (comportamentismo e cognitivismo, scheda). Vediamo meglio.
Negli anni precedenti la guerra un geniale educatore, Tyler, aveva capovolto la
tradizionale impostazione allora imperante nella psicometria scolastica
sottolineando che la valutazione doveva essere definita in rapporto agli
obiettivi da conseguire nel piano educativo. Nel '49 esce un suo saggio
destinato a rappresentare un riferimento per gli anni successivi (Tyler 1949) in
cui egli indica alcune domande fondamentali a cui bisogna rispondere quando
si voglia sviluppare qualsiasi curricolo o piano educativo3: Un allievo di Tyler,
Bloom, dà vita in quegli stessi anni ad alcune iniziative volte a mettere ordine
nei criteri della valutazione scolastica: allo stesso modo in cui le tassonomie si
usano nelle scienze può essere utile avvalersene come sistemi di ordinamento
e classificazione degli obiettivi didattici, per rendere meglio comparabili le
esperienze tra insegnanti (scheda Obiettivi e tassonomie). Un pò dovunque si
avverte il bisogno di ridurre l'ambiguità dell'attività didattica
"operazionalizzando" i comportamenti in uscita, vale a dire abbinando alle
parole (o concetti) impiegati per definire gli obiettivi la concreta indicazione di
prove e situazioni operative atte a misurare gli aspetti in questione, secondo
un approccio che riflette orientamenti diffusi nella fisica4: se gli obiettivi
didattici vengono accuratamente descritti, classificati e, ragionevolmente,
operazionalizzati dovrebbero essere possibili comparazioni più precise tra
esperienze diverse; ciò dovrebbe consentire anche un avanzamento della
conoscenza didattica.
Nel '54 esce un saggio fondamentale di Skinner,The science of the learning
and the art of the teaching, lavoro che darà il via ad una vasta fioritura di studi
sull'istruzione programmata e sull'impiego di macchine nei processi di
apprendimento. Skinner è il più significativo rappresentante del
comportamentismo, un orientamento che ha dominato la psicologia scientifica
statunitense dagli anni venti. Presupposto del comportamentismo è il requisito
della osservabilità del comportamento oggetto di studio: si può studiare solo il
comportamento esterno, osservabile, oggetto di dinamiche stimolo-risposta;
nulla dunque si può invece dire su quanto accade all'interno dell'individuo, in
quella scatola nera che si chiama mente. Fautore di un approccio scientifico ai
problemi dell'educazione Skinner in sostanza sostiene che si sa ormai
abbastanza su come si apprende; si tratta di applicare i principi conosciuti
sull'apprendimento, in particolare il rinforzo positivo, alla didattica nei suoi vari
contesti d'uso.
Il 1959, l'anno della famosa Conferenza di Woods Hole in cui un gruppo di
studiosi coordinato da Bruner (vedi scheda) si riunisce per progettare nuove
teorie dell'istruzione, si può prendere simbolicamente come inizio del
curriculum movement. Per Bruner una teoria dell'istruzione dovrebbe indicare
le esperienze più efficaci per favorire l'apprendimento, specificare i modi in cui
va strutturato un complesso di conoscenze per essere compreso più
prontamente dal discente, la natura e gradualità di ricompense e punizioni nel
processo; nell'intento di definire una teoria ottimale dell'istruzione, Bruner
propone i concetti di struttura e di apprendimento a spirale (l'elaborazione si
ha in Bruner 1961).
Negli stessi anni si sviluppa la rivoluzione cognitivista che via via assumerà un
ruolo dominante; è cresciuta l'insoddisfazione verso il comportamentismo che
pregiudizialmente esclude la possibilità di studio della mente; più autori
3
Le domande sono: 1) Quali sono le finalità educative che la scuola dovrebbe raggiungere? Quali esperienze educative,
verosimilmente adatte a raggiungere queste finalità sono disponibili? Come possono in concreto essere organizzate
queste esperienze? In che modo si può verificare se le finalità sono state raggiunte?
4
L'influenza viene dall'operazionalismo, un particolare orientamento sostenuto nella fisica da Bridgman, secondo cui i
concetti devono essere definiti in termini di operazioni o processi allo scopo di eliminare dalla conoscenza scientifica le
ambiguità terminologiche.
sottolineano adesso che si può conoscere anche ciò che accade all'interno del
soggetto; si può entrare nel pensiero studiando le strategie ed i processi
inferenziali di un giocatore, come fa Bruner, i piani del comportamento come fa
Miller, le strutture del linguaggio come fa Chomsky, oppure simulando i
processi mentali con un computer come fa Simon. In particolare i primi
calcolatori che risolvono problemi matematici rappresentano la prova
convincente che la mente può essere studiata e "modellizzata" con metodi
scientifici.
In sintesi alla fine degli anni cinquanta attraverso orientamenti diversi, in certi
casi anche contrapposti, quali il comportamentismo skinneriano, lo sviluppo
dell'orientamento tassonomico- curricolare e la nascita della scienza cognitiva
coi suoi risvolti cibernetico-informatici e psico- linguistici, si prendono le
distanze da una tradizione didattica prevalentemente ispirata all’attivismo
deweyano. Negli anni immediatamente successivi (anni '60), che nell'ottica
dello schema kuhniano potremmo vedere come anni di "scienza normale", si
"implementano" queste originarie formulazioni teoriche attraverso un intenso
fervore di applicazioni curricolari ed esperienze operative; suggerimenti di
provenienza comportamentistica e cognitivistica tendono ormai ad integrarsi
nella proposizione di nuovi modelli didattici e curricolari5.
Uno dei modelli più fortunati è il mastery learning (apprendimento per la
padronanza, Bloom e Block, 1971): si ritiene possibile poter portare tutti i
soggetti ad una padronanza completa degli obiettivi, purché questi siano ben
identificati sin dall'inizio agli occhi degli allievi ed "operazionalizzati", una volta
che il tragitto sia suddiviso in piccole unità e si forniscano agli allievi feed back
immediati e frequenti con brevi percorsi individualizzati di recupero di fronte
alle loro eventuali difficoltà. Il concetto di individualizzazione
dell'apprendimento è un altro elemento in evidenza nella ricerca di questi anni
in modelli quali il mastery learning e simili, che prevedono sia una forte
strutturazione degli obiettivi sia una differenziazione dei percorsi in funzione
delle specifiche difficoltà degli studenti.
Gli anni '60 tuttavia vedono anche significativi ampiamenti in altre direzioni, ad
esempio quelli di Ausubel (1968) che propone il concetto di advance organizer
o gli studi sulla creatività (Gordon, Guilford, Torrance, Barron): al di là del
pensiero "convergente" si sottolinea come esistano modalità cognitive che la
psicometria classica ha decisamente trascurato (il pensiero divergente, la

5
Nel '62 R.Mager pubblica un suo fortunato libretto, Preparing Instructional objectives, Schwab lavora al Biological
Science Curriculum Study (BSCS), Robert Gagné nel 1965 pubblica, The condition of learning, Scriven in quegli anni
introduce il concetto di valutazione "formativa".
creatività), dimensioni che acquistano anche una particolare eco nelle critiche
avanzate dalla rivoluzione studentesca del '686.
Sul piano della psicologia clinica e della personalità autori come Rogers (1961,
1969) e Maslow (1962) sviluppano teorie sulle dinamiche della personalità che
avranno grande influenza futura, in particolare nella didattica per adulti mentre
i modelli lineari-informazionali della comunicazione (Shannon, Weaver)
cominciano ad essere messi in crisi dalle emergenti concezioni ecologiche e
pragmatiche che la scuola di Palo Alto viene formulando7.
Si può dire che è negli anni '70 che l'orientamento razionalistico alla base del
cognitivismo Information Processing tocca il suo acme; sono ormai chiare le
idee su cui esso poggia: la conoscenza è riflesso della realtà, è formalizzabile,
può essere descritta attraverso particolari tipi di elaborazione, è
implementabile in una macchina; il computer è una sorta di laboratorio della
mente che permette sia di simulare l'intelligenza umana, sia di fornire modelli
sul suo funzionamento. Allo stimolo esterno comportamentistico si è sostituita
l'informazione; questa viene ricevuta dall'esterno ed elaborata all'interno,
accolta dapprima in una memoria di lavoro, eventualmente trasferita in una
memoria a lungo termine; fioriscono modelli sul trattamento dell'informazione
e sulle tipologie delle memorie interne; queste teorie sembrano trovare
conferma nei successi che vengono nello stesso periodo conseguiti nell’ambito
dell’Intelligenza Artificiale (I.A.) e dall’allestimento di motori inferenziali
applicati nei primi sistemi esperti.
Nel frattempo il cognitivismo si viene arricchendo di altre sfaccettature. Un
campo di applicazione particolare è quello delle strategie relative alla lettura ed
alla scrittura; nel corso degli anni ‘70 - '80, anche in rapporto alla diffusione
dei personal computer i modelli cognitivistici si evolvono: attività come quelle
della lettura e della scrittura, tradizionalmente descritte come "top-down",
vengono ora viste come attività circolari da autori come Flower, Bereiter,
Scardamalia. Un altro ambito di studi, sicuramente non nuovo, ma che trova
un rinato impulso in questi anni è quello della "metacognizione", a cui danno
significativi apporti autori come Flavell ed Ann Brown. Negli stessi anni Cole,
Scribner e Bruner, estendendo alcune premesse vygotskiane, cominciano ad
occuparsi del contesto culturale dell'apprendimento e del pensiero avviando un
fruttuoso dialogo con gli apporti della psicologia interculturale destinato ad
ampliarsi sino a diventare una delle fonti di riflessione educativa più fruttuose
dei nostri giorni.
Durante gli ultimi quindici- venti anni alcuni aspetti dominanti prendono
progressivamente il sopravvento; la riflessione si accentra sempre più sul
6
Meno evidenti, anche se ugualmente importanti, sono i contributi teorici provenienti dalla Gestalt, un movimento, i cui
principali teorici furono i tedeschi Wertheimer, Koffka e Kohler, che si opponeva al comportamentismo già negli anni
venti: l'idea base è che non si reagisce semplicemente ad un insieme di dettagli distinti ma ad una complessa struttura di
stimoli. Dalla Gestalt derivano due orientamenti importanti per le problematiche didattiche: gli studi sulle caratteristiche
percettive e strutturali dei problemi che si debbono affrontare (si pensi al problem solving ed al pensiero creativo), lo
sviluppo della psicologia fenomenologica e delle dinamiche di gruppo. Nel '59 Wertheimer, in un classico lavoro sul
pensiero produttivo esalta l'insight contrapponendolo alla memorizzazione e dà un significativo contributo agli studi sul
pensiero creativo.
7
Tra i principi fondamentali della scuola di Palo Alto (località della California in cui ebbe origine questo orientamento)
ricordiamo i primi due: non si può non comunicare (qualunque comportamento, anche i silenzi, l'inattività ecc.. hanno
valore di messaggio); ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione (esiste dunque sempre anche
una "metacomunicazione").
modo in cui la mente crea conoscenza (in forma non lineare, ricorsiva, meno
prevedibile negli esiti), sul controllo cosciente del processo conoscitivo
(metacognizione), sugli aspetti negoziali ed ermeneutici della conoscenza
(ricerca valutativa), sul carattere distribuito e situato della conoscenza, sulle
molteplici forme dell'intelligenza, sul rapporto tra apprendimento scolastico e
quotidiano, formale e non formale,
sulle dinamiche (interazioni, integrazioni) del rapporto mente-media, su forme
di valutazione di tipo qualitativo ed autovalutativo (diari, contratti di
apprendimento, dossier ecc.).
E' nel corso degli anni ‘80 che diventano sempre più forti i segni di
insoddisfazione complessiva verso il "paradigma" tradizionale; quella
particolare “solidarietà” tra modello della conoscenza (come acquisizione-
elaborazione di informazioni), modello curricolare (di tipo gerarchico-
sequenziale) e modello didattico (di tipo istruttivo) che si era consolidata negli
anni '50-70, comincia adesso a vacillare; si avverte più intensamente la
necessità di uscire da una tradizione oggettivistica e razionalistica, fosse essa
di taglio comportamentistico o cognitivistico, che non appare più capace di
fronteggiare le nuove istanze emergenti.
I modelli per la rappresentazione della conoscenza si confrontano con
dimensioni più irregolari, più "narratologiche"; la visione della mente si
allontana dai modelli tipici degli anni '60, rappresentati ad esempio nelle reti
semantiche con struttura gerarchica; studi di taglio wittensteiniano come quelli
della Rosch mostrano come la struttura della mente non si articoli in categorie
e concetti del tutto nitidi, agevolmente riportabili in categorie sovraordinabili;
così, ad esempio il concetto di "mammifero" assume accezioni diverse nel
pensiero comune dove una mucca rimane comunque, a dispetto delle
tassonomie, più "mammifero" di una "balena". La scienza cognitiva ha bisogno
di ricorrere a nuove metafore, di pensare alla mente come ad un luogo in cui si
verificano eventi dai connotati più irregolari, in cui ci si avvale di modalità più
informi, più similari a copioni o canovacci situazionali8.
Conseguire una piena comprensione storica di questo passaggio è sicuramente
un'operazione complessa che esula dai nostri intenti. Non appare però
irragionevole cercare una causa "nella delusione conseguente ai fallimenti di
quanti hanno tentato di realizzare società o imprese secondo modelli ispirati
troppo esclusivamente a un metodo di pensiero di tipo scientifico o
tecnologico; oppure hanno confidato in modo troppo ingenuo sulla possibilità di
risolvere i problemi umani sulla base di approcci e metodologie di natura
esclusivamente scientifica e tecnologica" (Pellerey, 1994, p.57)9.
8
Vedi il concetto di schema che, formulato originariamente da Bartlett, viene ripreso da Rumelhart 1980 o di script,
Schank Abelson 1977.
9
Non va infatti ignorato il peso esercitato dalla delusione subentrata in un settore di punta della ricerca tecnologica,
quello dell'Intelligenza Artificiale. Da Platone, attraverso Cartesio a Leibniz e via via fino al primo Wittgenstein, la
conoscenza razionale è stata considerata la modalità superiore consentita agli esseri umani. Nel solco di questa
tradizione l' I.A. ha cercato di realizzare uno dei sogni più ambiziosi cui l'uomo potesse aspirare, quello di “ricreare la
mente”, quello di dar vita ad una macchina capace di mettere in atto comportamenti “intelligenti” o comunque tali che
osservatori esterni non potessero distinguerli da comportamenti umani, secondo la classica prova di Turing, assumendo
la conoscenza astratta come sinonimo dell'intelligenza stessa. L'impresa a cui hanno contribuito scienziati come Turing,
Newell, McCarthy, Simon, Minsky porta inizialmente a risultati entusiasmanti: la capacità di mettere un computer in
condizione di battere un campione di scacchi è indubbiamente un risultato che non può essere sbrigativamente
sottovalutato. I problemi maggiori sono cominciati quando si è cominciato a confrontare i computer con la
comprensione del linguaggio naturale. Si è scoperto ben presto che mettere un computer in condizione di
Negli ultimi anni appare dunque sempre più evidente l'impasse in cui si è
trovata la ricerca sull'intelligenza artificiale all'interno dei modelli razionalistici
di taglio logico-deduttivo; ci si rende conto che la ricerca si è chiusa in un
recinto pericoloso, ha dato vita ad una “mente disincarnata”, l'ha distaccata dal
corpo; si sente allora il bisogno di reagire cercando di dar vita a nuove
“tecnologie della mente-corpo” o integrando la tecnologia con dimensioni
proprie della fenomenologia, l’ “esserci” (Winograd, Flores, 1987) o riportando
in auge orientamenti cognitivi di tipo bottom up (quali il connessionismo), o
coniugando le nuove tecnologie ipertestuali e della rete con suggestioni già
avanzate dalla semiologia e dal decostruzionismo (Landow 1993; Bolter,
1993).
Occorre tener conto anche di altri cambiamenti recenti subentrati nel campo
della scienza e della tecnologia; gli studi sulla complessità mostrano che la
scienza non può più ricorrere a semplici catene causali e che esistono problemi
che hanno una natura multidimensionale, per i quali poco possono i tradizionali
modelli deterministici; ci si rende conto che la veste alta, razionale e
consapevole della conoscenza è una sorta di irradiazione superficiale di altre
dimensioni conoscitive che si annidano nei ventricoli oscuri del corpo10.
Si scopre che, ad esempio, operazioni di importanza fondamentale
nell'avanzamento tecnologico, come progettare una adeguata interfaccia
software non sono risolvibili matematicamente e richiedono tipi di competenze
(operative, intuitive, estetiche) che si trovano più evolute negli hacker che non
nei ricercatori provenienti dai percorsi dell'istruzione formale.
L'idea che la conoscenza scientifica sia la rappresentazione di un mondo
esterno, oggettivo, misurabile e che si sviluppi in forma lineare e progressiva
viene messa in discussione; si fa via via più diffusa la consapevolezza del suo
carattere di invenzione/ costruzione soggettiva-culturale, del fatto che tra
soggetto ed oggetto esistano forme di solidarietà più profonda diverse dal
"rispecchiamento" e del carattere multidimensionale, irriducibile della
conoscenza stessa11.
Una componente importante è costituita da ciò che Bruner chiama la
“rivoluzione contestuale”; le azioni umane non vengono più interpretate in
riferimento a disposizioni intrapsichiche, come nei modelli tradizionali
dell'intelligenza; la conoscenza non ha sede esclusivamente nella mente di una
persona ma anche negli strumenti esterni di supporto (appunti, libri ecc.), ha
una natura sia "situata" che "distribuita"12. Il concetto stesso di rete, il cui

“comprendere” un testo, ad esempio di farne una sintesi attraverso una parafrasi adeguata, pone problemi di enorme
complessità (per la dimensione metaforica, pragmatica, per le assunzioni implicite che stanno al di là del testo ecc., che
il computer non può padroneggiare).
10
Come osserva Longo (1995), “la lunga tradizione che privilegia la conoscenza logica, immersa in un'atmosfera
rarefatta in cui si staglia nitido ciò che è formale, generale e ben definito, rappresentato e pianificato in anticipo, oggi
viene messa in discussione. Addirittura si assiste ad un capovolgimento: si riconosce che la maggior parte delle
conoscenze, specie quelle vitali, sono espresse nella struttura stessa del corpo e sono dunque contestualizzate, si
riconosce che la loro matrice è storica e che sono sempre immerse in un ambiente il quale, con le sue continue
perturbazioni, lungi dall'ostacolarle, dà loro significato. Insomma il concreto non è solo un gradino verso l'astratto ma è
già conoscenza, anzi costituisce la parte fondamentale e fondante di tutta la conoscenza, compresa quella astratta. E' il
corpo, con le sue capacità di conoscenza rapida, quasi fulminea, che ci permette di salvarci in situazioni di pericolo,
dove la lentezza della mente, impacciata per di più dalla coscienza, ci sarebbe fatale” (pp. 90-91).
11
Secondo suggestioni che provengono da autori come Von Foerster, Von Glasersfeld, Goodman, Morin, Varela, Rorty.
12
Concetti sottolineati da autori come Pea, Perkins, Cole, Seely Brown, Collins, Duguid, Norman, Bruner.
esempio paradigmatico è offerto da Internet, la "rete delle reti", incarna ed
accentua la scoperta del carattere distribuito della conoscenza.
In questo quadro vari orientamenti culturali (quali teorie della complessità,
ermeneutica, decostruzionismo, pragmatismo, contestualismo,
connessionismo) confluiscono nel consolidare un nuovo paradigma all'interno
del quale si delinea una diversa visione della conoscenza che possiamo
schematizzare nel modo seguente:
Orientamento culturale Visione della conoscenza
scarsa distinguibilità tra soggetto ed
Teorie della complessità oggetto

Sistemi autorganizzati carattere della conoscenza:

Ermeneutica, decostruzionismo "emergente"

Pragmatismo "ricorsivo"

Contestualismo "transazionale", "negoziale",

Paradigma della rete ed intell. distribuita "multidimensionale"

"non riducibile"
Teorie dell'intelligenza multipla13
"corporeo- non formale"

"distribuito"

Nel nuovo paradigma la conoscenza è vista come processo reticolare, di


esplorazione e costruzione attiva di aree di senso; maggiore centralità viene
data alle connessioni e possibili diramazioni del processo, al contesto, alle
dissonanze più che alle concordanze, ad inventare piuttosto che a pianificare;
al concetto di obiettivo si sostituiscono altri concetti (metafore, scenari), vincoli
piuttosto che obiettivi, cose da evitare oltre che da raggiungere.
Un ruolo non trascurabile anche in questo passaggio continua ad avere lo
stesso Bruner che ha più volte lamentato il particolare carattere assunto dal
cognitivismo nel cui sviluppo ha prevalso “l’elaborazione dell’informazione”
rispetto alla “ricerca del significato”, laddove gli intendimenti suoi e degli altri
autori della svolta cognitiva di fine anni ‘50 erano piuttosto orientati a gettare
un ponte tra ricerca scientifica ed ermeneutica, tra linguaggio scientifico e
narratologia (Bruner, 1988, 1992).
Questi elementi si sono venuti raccogliendo in una sorta di cognitivismo di
seconda generazione, che nel dibattito internazionale è designato ormai come
costruttivismo (scheda).
Il costruttivismo continua ad accogliere anche concetti, singoli aspetti e
pratiche elaborate negli anni precedenti; sicuramente però i modelli della
conoscenza sottesi sono diversi e l'attenzione prevalente si sposta

13
Si tende a rinunciare definitivamente ad un concetto unitario di intelligenza; l'attenzione si sposta verso il manifestarsi
delle intelligenze nelle loro valenze "ecologiche". Olson ad esempio sottolinea come non esista un'unica intelligenza ma
tante intelligenze-abilità che entrano in essere all'interno di specifici media, le intelligenze sono abilità che coltiviamo o
che creiamo operando con una tecnologia. Negli ultimi lavori Bruner insiste sul carattere fondamentalmente duplice
dell'intelligenza umana: da una parte l'intelligenza paradigmatica (logico-deduttiva), dall'altra quella "narratologica".
Gardner, un eclettico creativo che sta ricevendo forse una fortuna un pò eccessiva, in diversi suoi lavori riprende la
riflessione sulle molteplicità delle forme dell'intelligenza che sarebbero, a suo avviso, sette, otto, ipoteticamente anche
nove negli ultimi lavori.
dall'allestimento curricolare con la sua organizzazione lineare-sequenziale,
all'allestimento di "comunità" ed "ambienti di apprendimento"14.

Ricerca didattica in Italia


Se ad uno sguardo d'insieme la ricerca didattica in Europa appare in buona
parte attualmente condizionata dalle trasformazioni istituzionali in atto e dall'
urgente esigenza di favorire forme di dialogo e condivisione tra sistemi
educativi diversi15, la ricerca didattica italiana da un lato si riallaccia ai
riferimenti internazionali sopra indicati, dall'altro persegue itinerari propri, vuoi
richiamandosi ad un patrimonio di esperienze e riflessioni di autori (ad esempio
quelle di Maria Montessori, di Lombardo Radice, dell'attivismo, di don Milani)
via via criticamente rivisitate, vuoi mettendo a fuoco modelli e strumenti
concettuali che hanno trovato particolare risalto in alcune congiunture
istituzionali specifiche della storia della scuola del nostro paese (decreti
delegati, riforma elementare, autonomia, riforma dei cicli, riforma
dell'Università): alcune tematiche in particolare, quali quella della metodologia
della ricerca, del curricolo, della collegialità, dell'interdisciplinarietà e della
continuità educativa hanno assorbito gran parte della riflessione didattica
dell'ultimo quarto di secolo.
In modo particolare negli ultimi anni le problematiche della didattica si
integrano con quelle della formazione, sempre più intesa nel carattere di
longlife learning, con i nuovi spazi che si generano nell'extrascuola, con le
istanze dell'intercultura, con le nuove contaminazioni tra intrattenimento ed
apprendimento, che la diffusione delle tecnologie dell'informazione viene a
favorire.
Il dibattito accademico si sofferma preferenzialmente su aspetti metodologici
quali i rapporti tra pedagogia e didattica, la natura della didattica, vista ora più
vicina alla pedagogia sperimentale ora ad approcci fenomenologici, o sul
rapporto didattica-didattiche. Per una prima valutazione degli ambiti
prevalentemente perseguiti dalla ricerca didattica accademica cfr. le
pubblicazioni della Sird (Società Italiana di Ricerca Didattica), La ricerca
didattica per la riforma della scuola, Tecnodid, Napoli, 199816 e per una visione

14
All'interno del costruttivismo fioriscono modelli didattici quali le community of learners, l' apprendistato cognitivo, i
learning circle, gli ambienti per l'apprendimento generativo, gli ambienti di apprendimento intenzionale sostenuto dal
computer (C.S.I.L.E.). Vedi scheda sul costruttivismo.
15
In ambito europeo spiccano ambiti di ricerca didattica-istituzionale: indicatori di qualità per l'educazione scolastica,
definizione di un thesaurus comune ai diversi paesi, cooperazione interculturale, programmi di apprendimento di lingue
straniere, introduzione delle nuove tecnologie nei sistemi educativi, sistemi comparativi tra paesi, formazione
professionale, formazione continua ed educazione degli adulti, sono sicuramente le voci che ricorrono con maggior
frequenza nelle banche dati e nei centri europei di ricerca educativa. Progetti strategici finanziati dalla Commissione
europea sono oggi facilmente conoscibili tramite i relativi siti Internet. Così si possono consultare istituzioni preposte a
ricerca educativa (quali il sito dei progetti della Commissione Europea, dell'Unesco, dell'Oecd-Ocde, dei vari Ministeri
dell'Educazione). Una via di accesso a tali informazioni è possibile dal sito ricerche Internet allestite presso la Facoltà di
Scienze della Formazione dell'Università di Firenze (http://www.unifi.it/unifi/scform/servizii/riceduca.htm) o da quello
della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze.
16
Un esame, che rimane puramente indicativo, degli atti sopra indicati mostra particolare attenzione alle seguenti
problematiche: lettura, tv, immagine, tecnologie e formazione a distanza, educazione interculturale, museale ed
ambientale, strategie individualizzate, costruzione e rappresentazione delle conoscenze, curricolo, modulo,
incoraggiamento della partecipazione, self monitoring, modelli organizzativi della scuola, trasmissione conoscenze,
riforma del sistema scolastico.
complessiva della diversità degli approcci tra gli autori più noti cfr. Calonghi
(1993)17.
Si tende generalmente a sottolineare i raccordi tra didattica ed altri ambiti
della pedagogia: pedagogia generale e storia della scuola, pedagogia
sperimentale, docimologia, psicologia dell'educazione, tecnologia
dell'istruzione.
Se ci chiediamo invece di sintetizzare i problemi attuali che la ricerca didattica
italiana cerca di affrontare e di superare, possiamo, per comodità di analisi,
schematizzarli nei seguenti aspetti18:

stabilire una buona integrazione tra teoria e pratica, tra ricerca e didattica viva
Il distacco tra chi fa "ricerca" e chi fa didattica "viva" (insegnanti, formatori
ecc..) rimane un nodo storico irrisolto che caratterizza da tempo il contesto
italiano della didattica. Si tratta di due mondi che vanno avvicinati, pur
mantenendo ciascuno le specificità da salvaguardare: da un lato il ricercatore,
inserito in una struttura ufficiale (Università, C.N.R., Irrsae ecc.), dall'altro
l'educatore; la ricerca viene accusata da chi vive le situazioni dirette della
didattica di affrontare problemi spesso sofisticati e di rimanere distaccata da
una comprensione reale dei problemi.
Chi vive immerso nella didattica quotidiana rischia però di rimanere schiacciato
da un "praticismo" che impedisce di valutare situazioni alternative o possibilità
più ampie, di riconoscere connessioni e legami tra l'attività pratica e
orientamenti teorici e culturali. Oltre a ciò è abbastanza diffusa l'idea che la
didattica sia un campo in cui si può "andare a naso" o che essa non rappresenti
un ambito di conoscenza con una propria effettiva autonomia ed identità:
l'eredità dell'idealismo che sosteneva che basta sapere per sapere insegnare, è
ancora viva.
Oggi si cercano forme di avvicinamento più articolate e flessibili tra ricerca ed
intervento didattico: si tratta di rinunciare a qualcosa in termini del rigore
richiesto dalla ricerca accademica guadagnando però in significatività e
concretezza dei problemi affrontati: la ricerca azione, su cui torneremo in
seguito, rappresenta ad esempio una di queste strade.

stabilire un rapporto dialettico tra didattica generale e didattiche specifiche (di


area, di disciplina ecc.)

17
Tra gli autori più noti particolarmente vasta è la produzione di Scurati, orientata essenzialmente a mettere in risalto i
principi pedagogici e valoriali che sovrintendono all'azione didattica (1997) e di Frabboni (direttore della rivista La
Didattica, trimestrale di didattica generale e di didattica disciplinare, Laterza Editore), più rivolta ad individuare la
struttura concettuale di una didattica come progettualità ed integrazione teorico- pratica (1992, 1994, 1999); Gennari
(1996) in un ampio lavoro cerca di definire in forma sistematica l'infrastruttura teorica e metodologica delle didattica
nel quadro di una concezione che ne sottolinea allo stesso tempo il carattere semiotico ed ermeneutico; sul versante
fenomenologico si colloca il gruppo di Bertolini e dei suoi collaboratori (1994), che evidenzia la natura critica e non
"riducibile" della didattica. Riccardo Massa propone una "clinica della formazione" caratterizzata da una aderenza alle
realtà concrete ed individuali, esplorate anche e soprattutto nelle loro dimensioni affettive, come superamento della
contrapposizione tra livello teorico ed empirico- sperimentale. Rosati si sofferma principalmente sui raccordi tra
didattica e cultura (1988, 1993), didattica e didattiche (1995) mentre più recentemente Laneve ha aperto la strada ad un
orientamento in cui la riflessione teorica si integra con una originale analisi degli ambiti applicativi della ricerca
didattica (1993, 1997), testi ai quali faremo riferimento anche in seguito.
18
Cfr.Laneve 1998.
Secondo alcuni disciplinaristi la didattica generale non esisterebbe o avrebbe
comunque scarso significato, avrebbero senso solo le didattiche particolari che
acquistano il loro connotato in rapporto agli specifici contenuti. Dall'altro canto
esiste la tendenza opposta, quella di chi muovendo in genere da studi di natura
filosofica o pedagogica, o comunque da approcci di natura più speculativa,
vede con una certa diffidenza il "chiudersi" della didattica in aree specifiche, il
suo "venire a patti" con le logiche disciplinari.
In tal modo da un lato si trascura il carattere criteriale e trasversale della
didattica come luogo di raccordo, incontro, problematizzazione che riguarda, in
forme similari o analoghe, una pluralità di contesti e situazioni anche diverse di
apprendimento, dall'altro l'apporto vivificatore che una didattica siffatta può
ricevere dall'incontro con specifici contesti e contenuti: tra i due piani può
infatti sussistere un gioco dinamico di interscambi e retroazioni che occorre
accogliere in tutta la sua complessità19.

accogliere la dimensione ermeneutica e costruttivistica all'interno di vincoli


intersoggettivi e di forme comunicative che garantiscano l'affidabilità delle
conoscenze
Oggi nessuno assimila più la ricerca educativa e didattica ai modelli di
sperimentalismo rigido secondo cui queste sono trattabili alla stregua di
scienze naturali; si tratta di accettare con tutta tranquillità che agendo in un
campo in cui si ha a che fare con esseri umani, i margini di approssimazione
non possono che rimanere più sfumati.
Il fatto poi che i problemi rimangano aperti, o vengano "riaperti", nel corso di
una ricerca può rappresentare un aspetto di vitalità della ricerca stessa.
Apporti interessanti al momento vengono dall'approccio ermeneutico che nel
costruttivismo contemporaneo si ammanta di una componente sociale ed
interpersonale di particolare interesse; è attraverso forme di interpretazione
ricorsiva che si tende a far emergere la complessità e la pluridimensionalità dei
problemi in gioco.
Se, concludendo questa sintetica introduzione storica e teorica, ci chiediamo
infine, se la didattica abbia una sua struttura logica, se sia articolabile in ambiti
e sezioni interne, si possono certamente formulare delle distinzioni e
classificazioni, anche se occorre aggiungere che alcune di queste rimangono
ancora approssimative e saranno sottoposte in futuro a riconfigurazioni
ulteriori. Nella articolazione in aree sicuramente entrano in gioco alcune
distinzioni in funzione dell'ambito e della tipologia applicativa; da questo punto
di vista si riescono ad individuare abbastanza agevolmente alcune aree
discretamente marcate: possiamo dire che accanto alla didattica scolastica, la
didattica extrascolastica, la didattica degli adulti, la didattica tecnologica, la
didattica speciale hanno assunto ormai connotati chiaramente identificabili.

19
Esistono senz'altro problematiche che sono trasversali alle varie didattiche: criteri per progettare, organizzare un
curricolo, il rapporto tra obiettivi pedagogici e didattici, le modalità di presentazione delle informazioni in una lezione,
la gestione del flusso comunicativo, le modalità di valutazione degli apprendimenti, il ruolo delle preconoscenze, della
motivazione, dell'autostima (e potremmo continuare ancora), sono tutti aspetti che entrano a far parte di riflessioni
proprie della didattica nei suoi aspetti generali. Allo stesso tempo non si dovrebbe cadere nell'ingenuità di credere che la
didattica generale metta in condizione di affrontare ogni problema indipendentemente dal contenuto e dal contesto
specifico di applicazione.
Ad esse si vengono aggiungendo altre didattiche "emergenti", in cui gioca un
ruolo caratterizzante una particolare metodologia o approccio culturale di
riferimento, che possono anche incrociarsi con gli ambiti sopra indicati20, quali
la didattica della cooperazione, la didattica metacognitiva, la didattica
interculturale, anche se al momento questi rimangono settori meno definiti.
All'interno delle varie didattiche, in particolare dall'incrocio con le componenti
contenutistiche, vengono poi alla luce approcci e tecniche specifiche, proposte
da un singolo autore o gruppo di autori: didattiche lineari, non lineari, per
mappe concettuali, per significati, per sfondo integratore, didattica breve ecc.21
: si produce così un complesso armamentario di attrezzature, variamente
adattabile ai contesti.
La didattica, in qualunque sua forma o tipo, si avvale comunque di un
complesso di orientamenti e strategie d'intervento su cui sarà opportuno
soffermarsi (vedi cap.4).
Tra le tipologie di interventi e prodotti didattici più comuni, a cui la ricerca e la
progettazione didattica danno luogo, troviamo una varietà di soluzioni:
valutazione della fattibilità di ipotesi e progetti, indicazione di criteri e
strumenti di valutazione, concreto allestimento di ambienti didattici, di
curricoli, corsi, unità didattiche, courseware o software didattico, specifiche
lezioni, studio di atteggiamenti e percezioni di attori coinvolti, monitoraggio di
apprendimenti, valutazione in itinere e finale di apprendimenti o di sistemi di
istruzione nel loro complesso.

20
Sono didattiche che possono riguardare sia la scuola, l'extrascuola, gli adulti, la didattica tecnologica ecc.
21
Non è nostra intenzione in questo lavoro entrare in un esame analitico a questo riguardo.
SCHEDE

Orientamenti teorici e riferimenti tematici di rilievo:

Comportamentismo
Il comportamentismo nasce agli inzi del '900 all'insegna dell'affermazione che si può
studiare solo ciò che è oggettivamente osservabile e misurabile; esso dunque evita il
ricorso a concetti come introspezione, intenzionalità, volontà, immaginazione ecc.;
parallelamente dà molta importanza ai fattori ambientali come agenti del
comportamento e soprattutto al "rinforzo", al fatto cioè che determinate conseguenze
esterne ai propri atti si riflettano sul soggetto stesso modificando la probabilità del
ripetersi di determinati comportamenti; in particolare il rinforzo positivo (del tipo lode,
premio, cenno di approvazione ecc.) è giudicato da Skinner come lo strumento più
potente di cui la psicologia dispone per influenzare l'apprendimento.
Un settore di applicazione specifica alla didattica che deriva dal comportamentismo
sono le teaching maching e l'istruzione programmata. Le prime sono dispositivi che
presentano materiali autodidattici strutturati in sequenze programmate di
presentazione, che ricevono e registrano le risposte dell'allievo, adattabili al suo ritmo
di lavoro, con un feed-back22 immediato. L'istruzione programmata è una metodologia
di organizzazione del processo di insegnamento che si può avvalere di
"implementazioni23" di vario tipo (teaching maching, libri mischiati, calcolatori ecc.); si
basa sul presupposto della progressiva scomponibilità dei contenuti di apprendimento
in particelle via via più analitiche sino ad arrivare nelle unità informative a quesiti
presentabili al discente ad un livello di semplicità che consenta a questi di affrontarli
con ragionevole successo.
Nella sua forma tipica dunque l'allestimento di un programma di istruzione
programmata avviene attraverso un processo del tipo: a) si isola il concetto o nozione
o frase che si vuol fare apprendere; b) si analizza il suo contenuto elencando tutti i
singoli termini/ concetti che entrano in gioco c) si analizza nuovamente il contenuto di
ogni concetto nozione o frase emerso dal livello precedente e si continua il processo
sino ad arrivare agli atomi della materia da insegnare, che si presuppongono
affrontabili dagli allievi. Una volta che la scomposizione è ultimata si tratta di
riorganizzare la sequenza; i livelli ultimi (le unità elementari) saranno dunque i primi
nell'ordine di presentazione del percorso di apprendimento che, di norma, viene
immaginato come un percorso lineare dal semplice al complesso, anche se quella della
sequenzialità lineare non è l'unica soluzione. In questa metodologia di base si
rispettano alcuni principi, quello della partecipazione attiva per cui le risposte devono
essere formulate esplicitamente dai discenti, della conoscenza immediata dei risultati
(feed-back ), dell'individualizzazione intesa come rispetto del ritmo di apprendimento
personale24.
Macchine per insegnare ed istruzione programmata sono nate prima dell'avvento del
computer. Anzi il momento del loro massimo successo si colloca intorno agli anni
'60-'70, in un periodo in cui i calcolatori esistevano solo nei grossi centri attrezzati. E'
stato tuttavia nei moderni computer (personal) che l'istruzione programmata ha

22
Il concetto di feed-back, da non confondersi con quello di rinforzo, è un'informazione di ritorno (che una macchina o
un essere umano) fornisce ad un soggetto che sta affrontando un problema, che permette al soggetto di regolare il suo
comportamento in vista dell'obiettivo. Il concetto di feed-back trova essenzialmente risalto nel modello dell'interazione
uomo- computer.
23
Il termine implementazione significa applicazione all'interno di qualche supporto materiale.
24
Altre regole dipenderanno dal tipo di modello di istruzione programmata cui intendiamo aderire. Ad esempio si può
stabilire che dinanzi ad ogni errore si attivi un percorso di correzione specifica (branching, come accade nel modello di
Crowder, oppure no). Questo tipo di diramazione si arricchisce di diverse possibili varianti nei recenti programmi
multimediali (ad esempio presentazione in un formato diverso attraverso video, animazioni ecc.).
trovato il supporto più congeniale. Quando si è posto il problema della utilizzazione dei
personal in ambito educativo il modello più praticabile è apparso quello derivato
dall'istruzione programmata (C.A.I., Computer Assisted Instruction) sulla base di
esempi realizzati su grossi computer sin dagli anni '60 (come il famoso Plato
dell'Illinois); in quest'ottica la macchina diventa una sorta di sostituto dell'insegnante.
L'ottica tutoriale ha accolto successivamente anche alcuni suggerimenti provenienti
dalle ricerche sull'intelligenza artificiale che ha cercato di mettere in condizione i
computer di generare, in funzione della tipologia di errore del discente, percorsi di
apprendimento sensibili alle sue necessità (I.C.A.I., Intelligent Computer Assisted
Instruction, Persico, Sarti, 1988), applicazioni che però hanno avuto successo solo in
domini ristretti. Lo sviluppo della ipertestualità e multimedialità ha oggi generalmente
spostato l'attenzione verso forme d'istruzione in cui il controllo rimane in mano
all'utente: questi non si trova dinanzi un sistema che guida e controlla quanto
piuttosto ad un ambiente che offre più risorse di lavoro e suggerimenti diversificati di
utilizzo.
Per una descrizione classica delle tecniche comportamentistiche applicate alla
conduzione della classe cfr. Meazzini 1978.

Attivismo
La didattica non può prescindere dalla conoscenza di esperienze storiche, in
particolare di tentativi di innovazione che in particolari periodi e contesti sono stati
realizzati, per il corredo di modelli organizzativi e didattici da essi mutuabili. Tra i più
significativi di questo secolo troviamo quelli attuati all'interno di quel movimento
sviluppatosi sia in Europa che in America che va sotto il nome di "scuola attiva", i cui
tratti più evidenti sono così sintetizzati da Cambi (1995): puerocentrismo,
valorizzazione del "fare", motivazione dell'apprendimento, studio dell'ambiente,
socializzazione, antiautoritarismo, antiintellettualismo.
J.Dewey (1859-1952) è il filosofo dell'educazione che ha maggiormente influenzato le
scuole attive dei diversi continenti. Come noto Dewey è fautore di un progetto di
società democratica, del superamento della separazione tra lavoro manuale ed
intellettuale, dell'abbandono del nozionismo scolastico, dell'integrazione tra la
concreta esperienza del fanciullo e l'ambiente naturale e sociale circostante. In sintesi
in Dewey sono presenti teamtiche che ritroviamo nei più recenti orientamenti
costruttivistici: il carattere situato della conoscenza, il ruolo delle interazioni e
negoziazioni sociali nell'apprendimento, la necessità di avvicinare l'apprendimento
interno ed esterno alla scuola, l'apprendimento formale ed informale.
Nel contesto dell'attivismo americano le esperienze più significative, influenzate dal
pensiero di J.Dewey, sono quelle di Kilpatrick, Washburne e Parkhust,: in questi
approcci si mette al centro l'alunno con la sua personalità, la possibilità di apprendere
a ritmi a lui congeniali, all'interno di una strutturazione degli spazi più aperta e
flessibile; così negli anni '20 Helen Parkhust nella scuola di Dalton modifica la
tradizionale organizzazione scolastica sostituendo le aule con un sistema di laboratori
specializzati, abolendo l'orario scolastico e la centralità della lezione, suddividendo il
programma in blocchi mensili, a loro volta frazionati in unità di lavoro più piccole,
stipulando contratti di lavoro con gli alunni, evidenziando i loro progressi attraverso un
sistema di tabelle di computo delle unità svolte.
Una particolare attenzione allo sviluppo di materiali didattici (workbook), che
permettono a ciascuno di progredire alla velocità che gli è propria, caratterizza in
particolare l'esperienza condotta da Washborne a Winnetka (a 30 Km da Chicago); in
caso d'errore l'allievo è rinviato a rileggere la spiegazione e ad eseguire altri esercizi
similari finché un gruppo di esercizi non venga eseguito senza errori; se un alunno
non riesce a completare il programma dell'anno non viene bocciato; semplicemente
l'anno dopo riparte da dove è rimasto.
In Europa un posto particolare per lo sviluppo di specifiche tecniche didattiche
(tipografia in classe, testo libero, corrispondenza scolastica, tecniche autocorrettive)
occupa Freinet, che sostiene l'importanza dell'esperienza tatonnée, che procede "a
tentoni", caratterizzata da un'apertura sperimentale. Tratti abbastanza comuni alle
diverse esperienze attivistiche sono l'individualizzazione, la cooperazione, il metodo
dei progetti25.
Alle critiche provenienti dai tradizionalisti e da Bruner si sono aggiunte negli anni
'60-'70 le critiche provenienti da studiosi di orientamento marxista e dal movimento
studentesco che hanno accusato l'attivismo di riformismo borghese, di eludere l'analisi
dei fattori sociopolitici che stanno alla base della discriminazione scolastica.
Come già accennato oggi si assiste invece ad un ritorno di alcune istanze che hanno
animato l'attivismo; i modelli costruttivistici nordamericani più recenti, anche se non
sempre consapevolmente, riprendono alcune componenti dell'attivismo (conoscenza
come produzione attiva del soggetto, cooperazione ed enfasi sul gruppo- comunità,
integrazione apprendimenti astrattivi e situati) anche se con un più accorto rifiuto
verso forme di banale spontaneismo, con maggiore attenzione alla dimensione
metacognitiva ed alla diversificazione tecnologica degli apprendimenti.

Cognitivismo
Come abbiamo già detto nella cornice introduttiva il cognitivismo assume una sua
precisa identità negli anni '56-'60 come reazione al comportamentismo allora
dominante e come ambito di convergenza interdisciplinare di vari apporti (cibernetica,
informatica, linguistica, neurologia)26.
Le attività della mente vengono descritte come processi di elaborazione
dell'informazione prendendo come modello le attività di un calcolatore (Information
Processing); il computer diventa sia il mezzo che ci fornisce un modello della mente
sia lo strumento nel quale si possono sperimentare le forme dell'intelligenza27;
25
L'insegnamento individualizzato, che poi verrà ripreso in un contesto più "tecnologico" negli anni '60, fu
innanzitutto teorizzato e sperimentato dai fautori della scuola attiva nel periodo prebellico. Un punto di riferimento è
dato da una conferenza di Claparède tenuta all'Università di Ginevra nel 1920 e pubblicata sotto forma di saggio con il
titolo L' école sur mesure, Lausanne, Payot, 1920 (La scuola su misura, La Nuova Italia, 1952). Claparède preconizzava
una scuola adatta alla mentalità dei singoli, una scuola così ben rispondente alle forme delle intelligenze come un
vestito o una calzatura a quella del corpo o del piede. L'organizzazione in gruppi di apprendimento e classi cooperative
è molto evidente nel metodo di Winnetka ed in quelle di Freinet. Il metodo dei progetti in particolare fu messo a punto
da H. W. Kilpatrick, collega di Dewey alla Columbia University di New York, nel periodo della I guerra mondiale. In
Italia l'attivismo comincia ad essere conosciuto negli anni del II dopoguerra soprattutto grazie agli studi di E.Codignola,
L.Borghi, A.Visalberghi, F.De Bartolomeis dando vita al Movimento di Cooperazione Educativa (M.C.E.).
26
La seconda guerra mondiale aveva dato un impulso notevole alla necessità di progettare macchine più precise per la
difesa antiaerea. In questo contesto era nata la cibernetica ad opera di Norbert Wiener che stabiliva analogie tra i
meccanismi di retroazione e i processi omeostatici per mezzo dei quali il sistema nervoso sostiene l'attività intenzionale.
Altri autori come Warren McCullogh, e lo psicologo Karl Lashley avevano sottolineato la necessità e possibilità di
spiegare comportamenti complessi interni alla mente umana come il linguaggio. Nello stesso periodo Bruner svolgeva
ricerche sulla percezione in un'ottica funzionalistica mostrando il ruolo dei fattori personali nella percezione.
27
Il sogno di allestire una mente meccanica risale molto lontano. Charles Babbage nell'Ottocento aveva immaginato una
macchina calcolatrice automatica. Un altro matematico britannico George Boole cercava di derivare le leggi del
pensiero da leggi elementari di logica. Per eliminare le ambiguità del linguaggio naturale che avevano dominato la
logica del tempo Boole usò un insieme di simboli arbitari (a,, x, y). Questi elementi simbolici potevano essere
combinati o dissociati attraverso operazioni come somma, sottrazione, moltiplicazione; questi procedimenti
equivalevano ad una sorta di algebra mentale, in cui il ragionamento poteva essere condotto in termini astratti positivi o
negativi, senza essere inquinato dalle particolari associazioni connesse a contenuti specifici. Boole osservò che la sua
logica era un sistema a due valori o vero-falso; qualsiasi espressione logica per quanto complessa poteva essere espressa
come 1 (che stava per tutto o vero) o come 0 (che stava per nulla o falso). L'idea che l'intera ragione umana potesse
essere ridotta a una serie di domande con risposta sì-no trovava le sue prime formalizzazioni; poi Shannon nel 1938
dimostrò che circuiti del tipo di quelli che si trovano in una macchina elettronica potevano essere espressi nei termini di
equazioni di tipo booleano: il sistema vero/falso poteva allora essere fatto corrispondere agli stati chiuso e aperto di un
immagazzinamento in memoria, recupero, elaborazione sono attività che sono viste
essere proprie di attività cognitive complesse quali il comprendere, il ricordare, il
ragionare, lo studiare testi, attività che costituiscono gran parte del comune lavoro
scolastico.
Caratteri fondamentali del cognitivismo Information Processing sono dunque:
l'importanza attribuita alla rappresentazione formale dei processi cognitivi e
l'assunzione del calcolatore come modello base del funzionamento mentale. Da questo
momento sono numerosi i modelli formali volti a rappresentare la struttura della
conoscenza. Si può ad esempio cercare di descriverla come reticolo di nodi (i concetti)
e di nessi (relazioni): aggiunta e cancellazione di nodi comportano modifiche nei
sistemi di conoscenza posseduti (si vedano, ad esempio, le modellizzazioni attraverso
le reti semantiche, del tipo sotto riportato):

piume
animale
è un
ha è un
uccello
allatta i
cuccioli è un
mammifero balena
peli

è un
ha
cane
abbaia
coker è un

è un

Stellina

Esempio classico di rete semantica. I nodi rappresentano i concetti, gli archi le relazioni;
l'esempio è di tipo gerarchico in cui grazie ai meccanismi di ereditarietà sono possibili
inferenze. Così, se ad una macchina che possegga questo sistema di rappresentazione della

circuito, si poteva realizzare un supporto fisico ad una macchina in grado di compiere operazioni logiche.
Alcuni eventi particolari caratterizzano l'avanzamento del cognitivismo nel secondo dopoguerra: nel '56 in un convegno
al M.I.T. Allen Newell ed Herbert Simon offrono la prima dimostrazione completa di un teorema eseguito da un
calcolatore dando il via all'I.A., una componente di fondo della scienza cognitiva a cui concorrono anche autori come
John McCarthy, Marvin Minsky. Nello stesso periodo Noam Chomsky (in Three Models of language) dimostra che il
modello di produzione linguistica derivato dalla teoria dell'informazione di Shannon non può essere applicato con
successo al linguaggio naturale ed illustra il proprio approccio fondato su trasformazioni linguistiche; Bruner, Goodnow
ed Austin, A study of thinking, usano il concetto di strategia, un metodo decisionale variabile e modificabile, che ci
serve per affrontare un compito (si avvicina a quello di piano), Bruner prende a dedicarsi alla formazione dei concetti, ai
modi di categorizzare, alle strategie cognitive. Nel 1958 appare The computer and the Brain di John von Neumann. Nel
'60 Bruner e Miller fondarono ad Harvard il Center for Cognitive Studies. Negli anni '60 si comincia a pensare con
maggiore insistenza al fatto che che il cervello possa essere considerato un servomeccanismo di tipo cibernetico. Nel '60
viene pubblicato Piani e Strutture del comportamento, manifesto delle scienze cognitive; vi collaborarono tre scienziati,
uno psicolinguista George Miller, uno psicologo matematico (Eugene Galanter) ed un neuropsicologo (Karl Pribram); si
applica un approccio cibernetico, basato su azione, retroazione e correzione dell'azione e si individua un' unità di analisi
che sostituisce il vecchio riflesso comportamentista stimolo-risposta, il TOTE (Test Operator Test Exit).
Ripensando criticamente a quel periodo Bruner così commenta: "Ben presto .. l’interesse cominciò a spostarsi dal
“significato” all”informazione”, dalla costruzione del significato all’elaborazione dell’informazione (Bruner 1992 , p.
21).
conoscenza tramite un linguaggio di programmazione logica (come il Prolog), si chiede cosa
sappia di Stellina essa è in grado di "inferire" che Stellina è un cocker, che abbaia, che allatta i
cuccioli ecc.(cfr Persico Sarti 1988).

Sul finire degli anni '60 cominciano ad essere avanzate critiche sostanziali al
cognitivismo I.P.; nel corso degli anni '70 i sistemi di rappresentazione della
conoscenza si allontanano dai modelli gerarchici tipici delle reti semantiche; appaiono
nuovi concetti come il concetto di schema, che viene ripreso da Rumelhart (1980)
quello di frame (Minsky) o di script, Schank e Abelson (1977).
La nostra mente si avvale di modelli (frame, cornici, ad esempio quello di "stanza") di
carattere generale che vengono "implementati" su casi specifici, impiegando un
insieme di attributi variamente connotabili nel concreto. Simile è il concetto di script
(Schank e Abelson, 1977) con cui si indica una struttura tipica di eventi (ad es. gli
script: "andare al ristorante", "andare ad una festa" ecc.), che ha funzione di guida
nell'organizzazione e nel riconoscimento delle informazione in arrivo.
Negli stessi anni si studiano la produzione e comprensione di storie (Stein e Glenn,
1979), gli elementi strutturali di una storia, le forme macro-microstrutturali del
discorso (Kintsch e Van Dijk, 1978). Nuovi studi sulla scrittura (Hayes e Flores,
Bereiter, Scardamalia) mettono in risalto la sua natura ricorsiva; le pratiche di
"revisione" del testo, tradizionalmente identificate come le fasi della eliminazione degli
errori, assurgono a funzione nuova: sono i momenti in cui la struttura del testo è
rimessa in discussione, in una concezione ciclica e ricorsiva che tira in gioco il rapporto
scrittura-pensiero.
Più recentemente gli approcci di scienza cognitiva e di I.A. si sono spostati verso il
connessionismo, un approccio secondo cui si può produrre cognizione "dal basso",
attraverso le interazioni delle reti neuronali, prescindendo dunque dai processi logici e
deduttivi tipici della I.A. classica28.

Apporti alla didattica:


Varie sono le implicazioni sul piano didattico. Richiamiamo succintamente tre aspetti:
a) Sistemi di raffigurazione delle conoscenze utilizzabili in ambito didattico Tra questi
troviamo le mappe concettuali che, proposte inizialmente nel 1984 (Novak, Gowin
1989) rappresentano una tecnica di rappresentazione grafica delle relazioni
semantiche che una parola o concetto evoca; le parole-concetto rappresentano i nodi
della mappa mentre le parole legame sono rappresentate con archi. Questi supporti
possono risultare in qualche caso utili come supporto alla memoria personale o come
mezzo per far esplicitare le preconoscenze agli alunni; nel contesto delle attività
didattiche rientrano nella vasta categoria degli schemi e brogliacci di cui l'insegnante
deve fare un uso parsimonioso e problematizzante. Diventano più dubbie come
strumenti comunicativi o di programmazione didattica specialmente se confrontate
con domini complessi; formalizzare oltre misura i contenuti di una disciplina ha effetti
del tutto controproducenti sul piano della motivazione e della creatività29.
b) Preconoscenze e comprensione significativa. Uno degli apporti più significativi del
cognitivismo alla didattica riguarda l'importanza delle preconoscenze nel processo di
apprendimento, una dimensione a cui ha rivolto molta attenzione Ausubel che già
28
Una rete neuronale artificiale è formata da un certo numero di nodi computerizzati, legati da interconnessioni
flessibili, le unità attive eccitano o inibiscono altre unità imparando reciprocamente dai propri errori.
29
L'ambito di riflessione delle mappe concettuali non è esente da varie ingenuità. Qualcuno ad esempio ritiene che le
mappe concettuali siano un veicolo in sintonia con la progettazione ipertestuale; costruire una mappa concettuale
rappresenterebbe la fase teorica di avvio a cui seguirebbe l'implementazione ipertestuale. Mappe concettuali ed ipertesti
in realtà non hanno molto da spartire; un ipertesto deve essere infatti essenzialmente un oggetto comunicativo, esso
richiede che si segua sin dall'inizio una sintassi e che esista una coerenza ed omogeneità di fondo nella organizzazione
dei contenuti, che non è la stessa della mappa concettuale.
negli anni '60 introduce la nozione di advance organizer (anticipatori). Con questo
termine ci si riferisce ad ogni tipo di schema, sintesi, quesito ecc. che offre in forma
comprensibile un "assaggio" di quelli che saranno i punti essenziali da acquisire,
mobilitando allo stesso tempo nell'allievo le preconoscenze che potranno servire per la
comprensione. In un'ottica cognitivistica un atto di apprendimento scaturisce dal
mettere in rapporto elementi che sopraggiungono dall'esterno con preconoscenze già
possedute dal soggetto. Che dinamiche si possono generare tra le informazioni in
arrivo e quelle già esistenti? In generale si può affermare che tanto maggiori sono le
preconoscenze che si hanno in un ambito tanto maggiore sarà l'apprendimento
ulteriore; le preconoscenze agiscono da selettori, come "antenne" sensibili ai nuovi
segnali in arrivo30.
Facciamo un esempio banale: una persona si reca per un mese in un paese straniero.
Se questa persona non conosce assolutamente niente della lingua del paese
probabilmente tornerà in patria con un apprendimento linguistico scarso o nullo: non
le sarà stato possibile usufruire in alcun modo dell'apporto linguistico in cui si imbatte
occasionalmente nel paese in questione. Diversa è la situazione di chi riesce già a
cavarsela; questi ha già delle "griglie mentali" pronte per afferrare nuove parole,
strutture lessicali e quindi riesce a progredire.
Se andiamo a vedere più analiticamente in che modo le preconoscenze possono
entrare in relazione con le nuove informazioni, secondo un autore come Ausubel le
nuove conoscenze in arrivo favoriscono un processo di differenziazione; più
analiticamente nell'emergere dei nuovi significati può prevalere un rapporto di
subordinazione (le nuove idee si presentano come esempi o casi di concetti generali
già posseduti), di sovraordinazione (le nuove idee formano un cappello più generale
all'interno del quale si collocano molte conoscenze già possedute) e di combinazione
(le nuove idee si avvalgono di varie idee già apprese, senza riferirsi ad idee
particolari).
Sempre secondo Ausubel l'apprendimento può essere mnemonico o significativo; egli
sottolinea come anche l'apprendimento derivato da mezzi tradizionali (libri) possa
essere significativo in quanto ciò che genera la significatività è il modo più o meno
profondo con cui le nuove conoscenze si integrano nel sistema delle preconoscenze
possedute e non tanto la tecnica o il mezzo impiegato.
In tempi più recenti molti autori si sono dedicati a studiare i sistemi di preconoscenze
degli alunni e come questi possano interagire con gli apprendimenti formali; molte
ricerche mostrano che conoscenze di senso comune in palese contrasto con
l'insegnamento scolastico sopravvivono nella mente degli allievi nonostante la
didattica scolastica31.
Perché gli studenti non sanno padroneggiare ciò che hanno studiato? I modi propri
della conoscenza scientifica contrastano spesso con quelli dell'esperienza comune. Il
fallimento della scuola sul piano cognitivo è legato in gran parte al fatto che essa si
limita a fornire una patina superficiale di conoscenze, senza intervenire a rimettere in
discussione i modi profondi della mente infantile. Una vera educazione al comprendere
può attuarsi solo se gli educatori diventano capaci di far affiorare i modi ingenui,
sottostanti, metterli criticamente a confronto con i modi scientificamente più evoluti:

30
"Se dovessimo condensare in un'unico principio la psicologia dell'educazione direi che il singolo fattore più
importante che influenza l'apprendimento sono le conoscenze che lo studente già possiede. Accertatele e comportatevi
in conformità nel vostro insegnamento" (pref. Ausubel 1978).
31
Gardner, ad esempio, ha presentato una vasta gamma di distorsioni e stereotipi che si mantengono nella visione della
realtà di studenti scolarizzati. Ad es. studenti che hanno studiato fisica alle superiori sono incapaci di rispondere
correttamente ad una domanda del tipo "Quali sono le forze che agiscono su un oggetto lanciato in aria?"; in scienze si
vede il processo evoluzionistico sotto la spinta di tendenze orientate alla perfezione, o si continua a dare interpretazioni
scorrete del meccanismo delle stagioni ecc. (Gardner 1993).
occorre identificare consapevolmente i "passaggi cruciali" tra le preconoscenze
(infantili) ed i modi propri del pensiero scientifico.
c) metacognizione Il concetto di metacognizione, con cui si indica la consapevolezza
relativa ai propri processi cognitivi, sviluppato soprattutto dagli studi di Flavelle e di
Ann Brown, rappresenta un altro riferimento tipico dell'apporto cognitivistico che
riceve attualmente una forte attenzione in tutti gli ambiti della didattica; esso può
essere variamente articolato:

Obiettivi Esperienze
cognitivi metacognitive

conoscenza Azioni
metacognitiva cognitive

Sono ad esempio obiettivi cognitivi leggere e comprendere un testo; le esperienze


metacognitive sono idee, pensieri relativi all'attività cognitiva (ad esempio
l'impressione di non capire il senso di un discorso..); le azioni cognitive o strategie
sono comportamenti in vista di particolari obiettivi (ad esempio scegliere una strategia
basata sulla presa di appunti); la conoscenza metacognitiva è la riflessività su ciò che
succede quando si impara, la capacità di scegliere la strategia adatta (Boscolo 1986
p.201). Sviluppare la metacognizione, vale a dire indurre gli studenti ad essere
consapevoli delle scelte compiute attraverso specifiche sollecitazioni (schede,
consegne specifiche di lavoro, stimoli alla autovalutazione ecc.) è un aspetto ormai
diffuso della didattica metacognitiva che, nata soprattutto per aiutare alunni in
difficoltà di apprendimento, tende ormai a diventare un tratto generale che
accompagna le situazioni di apprendimento-studio in vari contesti (Ashman, Conway
1991, Ianes 1996, Albanese et al. 1998).
Per un approfondimento sulle tematiche generali del cognitivismo cfr Luccio 1997 e
Boscolo 1986.

Obiettivi e tassonomie32
La riflessione sugli obiettivi ha rappresentato una sorta di sezione speciale della
ricerca didattico-curricolare nel corso degli anni '50-'80. Durante questo periodo sono
stati sottolineati due concetti essenziali: solo se sappiamo bene cosa vogliamo che
l'allievo acquisisca sarà possibile che egli vi ottenga il risultato; solo se sappiamo bene
come verificare ciò che l'allievo ha appreso potremo attribuire un qualche grado di
affidabilità all'istruzione.
Si tratta dunque di "operazionalizzare" gli obiettivi, vale a dire di non limitarsi a
descriverli verbalmente ma di indicare le prove concrete ed i criteri di valutazione che
assumiamo come indicatori del conseguimento dell'obiettivo stesso.
Secondo Mager (1972) le caratteristiche di un obiettivo efficace possono essere
indicate nei seguenti aspetti:1. Performance: ciò che l'allievo deve essere in grado di
fare; 2. Condizioni nei cui limiti ci si aspetta che la performance si realizzi; 3. Qualità
32
Per un esame delle tassonomie cfr.De Landsheere, De Landsheere, 1977 e Birzea, 1981. Per la tassonomia di Bloom
cfr. Bloom, 1984.
o il livello di performance che si può considerare accettabile. Così ad esempio un
obiettivo del tipo "capire un testo" risulta del tutto generico, scarsamente definito se
ad esso non si aggiunge l'indicazione di ciò che concretamente l'allievo deve saper
fare, con quali strumenti e in quali condizioni verrà misurata la sua abilità finale.
La riflessione sugli obiettivi ricevette un forte impulso dal classico lavoro di Bloom
sulle tassonomie33. La tassonomia di Bloom è solo un grosso schema nato per
necessità pragmatiche del cui carattere convenzionale gli autori erano ben
consapevoli; essa tuttavia ha avuto un'influenza storica rilevante in tutta la riflessione
didattica dei decenni seguenti. Schematicamente la struttura di questo modello
(peraltro facilmente criticabile per alcuni difetti evidenti quali una certa imprecisione
terminologica, l'eccessiva enfasi posta alla conoscenza, una scarsa attenzione alle
dimensione creativa) si può così riassumere: le nozioni vengono richiamate dalla
memoria nella loro forma originaria (conoscenza); queste subiscono alcune modifiche
nella mente dello studente che cerca di renderle più significative (comprensione);
nozioni comprese possono essere trasferite in contesti diversi, non familiari
(applicazione); all'interno di nozioni comprese (ed eventualmente trasferite) si può
operare una scomposizione in parti per trovare connessioni interne (analisi); con le
parti analizzate si possono creare nuove strutture (sintesi); su nozioni così
padroneggiate si possono esercitare giudizi con un consapevole impiego dei criteri di
valutazione (valutazione).
Dopo la tassonomia di Bloom modelli e schemi classificatori di classificazione degli
obiettivi didattici non si contano più34 e lo stesso Blom ha proposto soluzioni
tassonomiche più pratiche35. In generale si va verso orientamenti che tengono conto
anche di obiettivi emozionali-motivazionali e di crescita più generale della personalità
(immagine, stima di sé ecc.).
Non esiste un modo unico di classificare gli obiettivi didattici né è importante una
tassonomia in se stessa come necessariamente migliore di un'altra; è piuttosto utile
che il ricercatore o progettista sia capace di dare una chiara strutturazione al
problema, in funzione del livello di concretezza e di esplicitezza con cui intende
lavorare, presentando un quadro razionale di riferimento; in generale oggi si concorda
sul fatto che solo una parte limitata dell'apprendimento può essere operazionalizzata;
è opportuno che altre finalità rimangano più indeterminate, con la possibilità che esse
vengano definite in itinere.
Un altro quesito che si pone oggi con maggiore forza è quello della
autoresponsabilizzazione degli allievi alla loro determinazione: in che misura è

33
Come ricorda lo stesso Bloom l' idea della tassonomia degli obiettivi cognitivi (a cui seguì anche quella degli obiettivi
affettivi) ebbe origine a Boston nel '48 durante una semplice riunione di esaminatori di scuola superiore. Si mise
all'opera un gruppo di lavoro le cui analisi furono dapprima comunicate nel '51 fino a che nel '56 apparve la tassonomia.
Lo schema prodotto per la versione cognitiva prevede una articolazione in sei classi, articolabili a loro volta in
sottocategorie:1) conoscenza 1.1 Contenuti specifici 1.1.1 Termini, 1.1.2 Fatti specifici, 1.2 Modi e mezzi per trattare
contenuti specifici, 1.2.1 Convenzioni, 1.2.2 Tendenze e sequenze, 1.2.3 Classificazioni e categorie, 1.2.4 Criteri, 1.2.5
Metodologie, 1.3 astrazioni, 1.3.1, principi, 1.3.2, teorie.
2)Comprensione. 2.1 Traduzione, 2.2 Interpretazione, 2.3, estrapolazione
3) Applicazione.
4) Analisi 4.1 Elementi, 4.2 Relazioni, 4.3 Principi organizzativi
5) Sintesi 5.1 Comunicazione scritta, 5.2 Piano o sequenza di operazioni, 5.3 Derivazione di relazioni astratte
6) Valutazione 6.1 Giudizi in termini di criteri interni, 6.2 Giudizi in termini di criteri esterni.
34
Un modello interessante è anche quello di D'Hainaut, in cui le tipologie degli obiettivi (riproduzione,
concettualizzazione, applicazione, mobilitazione di associazioni, risoluzione di problemi) si integrano con altri aspetti (i
criteri di successo, la tipologia del transfert: scolastico, operativo, integrale). cfr. De Lansheere, De Lansheere 1977 e
Birzea 1981. Anche da noi sono state formulate varie tassonomie, ad es. da Frabboni Arrigo (1992), in cui si
distinguono apprendimenti elementari (come fissazione, riproduzione di informazioni), intermedi (come prima
elaborazione delle informazioni acquisite), superiori convergenti, superiori divergenti.
35
Conoscenza dei termini; conoscenza dei fatti; conoscenza di regole e principi; capacità di effettuare trasformazioni ed
adattamenti; capacità di effettuare applicazioni (cfr. Bloom et al 1972).
possibile mettere chi apprende in condizione di definire gli obiettivi stessi? Come
stimolare gli allievi a pensare di più intorno alla meta che dovrebbero raggiungere?

Costruttivismo
L’approccio comportamentistico- cognitivista che ha dominato negli anni '70 ha
sottolineato l'importanza di una strutturazione ordinata, razionale del percorso di
apprendimento, con un consapevole perseguimento di obiettivi definiti
operazionalmente. Il suo punto maggiore di debolezza, emerso nel tempo, consiste
nella difficoltà di frammentazione di apprendimenti complessi, nel riduttivismo a cui
può portare e nel rischio costante della perdita di significatività per chi apprende.
Nel corso degli anni ‘80, dunque, il paradigma tradizionale, basato sull'idea che la
conoscenza possa essere esaustivamente “rappresentata” in particolare avvalendosi di
modelli logico- gerarchico e proposizionali entra in crisi; gradualmente un nuovo
quadro teorico si fa luce; il termine con cui si contrassegna la svolta, rispetto ai
tradizionali modelli della conoscenza è “costruttivismo”, un “vessillo” sotto la cui egida
si vanno attualmente raccogliendo epistemologi, studiosi dell’area cognitiva,
progettisti educativi, tecnologi36.
I concetti principali che caratterizzano l'attuale costruttivismo possono essere
ricondotti a tre: la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha
carattere “situato”, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso particolari
forme di collaborazione e negoziazione sociale (Jonassen 1994). Al centro viene posta
la “costruzione del significato”, sottolineando il carattere attivo, polisemico, non
predeterminabile di tale attività.37All'interno del costruttivismo si possono individuare
diverse varianti, con accentuazioni più interazioniste o socio-culturali (Steffe, Gale,
1995).
In questo contesto sono nati alcuni modelli didattici. Quelli attualmente più noti sono i
seguenti: community of learners (Brown, Campione, 1994), apprendistato cognitivo
(Collins, Brown, Newman, 1995), ambienti per l'apprendimento generativo (Cognition
& Technology Group at Vanderbilt, 1993), ambienti di apprendimento intenzionale
sostenuto dal computer (C.S.I.L.E., Scardamalia e Bereiter, 1993-1994).
36
Come abbiamo già accennato nella cornice storica al cuore del costruttivismo c'è una confluenza di orientamenti, la
componente cognitivistica che ha sempre mantenuto diffidenza verso il cognitivismo informazionale s' incontra con il
costruttivismo epistemologico (Von Foerster, von Glasersfeld, Bateson, Goodman), con il pragmatismo (Rorty), con il
contestualismo (S.Brown, Resnick), con le teorie dell'autopoiesi (Maturana, Varela), del pensiero complesso (Morin),
senza escludere suggestioni provenienti dall’ermeneutica, dal decostruttivismo e dall'intertestualismo.
37
Affermando che tutto quello che possiamo sapere è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, i costruttivisti
possono essere accusati di “idealismo”, anche se un costruttivista cercherebbe di difendersi sostenendo che non si nega
una “realtà”, ma che questa, kantianamente, non è conoscibile, e che comunque l’approccio vuol assumere un carattere
pragmatico e non ontologizzante. Per dirla in termini rortiani per i costruttivisti perde di significato pensare alla
conoscenza come ricerca di una verità esterna, vedere la conoscenza come "specchio della natura"; è più conveniente
spostare l’attenzione dalla realtà al processo attivo di costruzione dei significati e vedere questo processo secondo altri
criteri e metafore. Si usa ad esempio il concetto di viabilità. Se si sostiene che tutto quello che possiamo sapere è
prodotto di una costruzione attiva del soggetto, come possiamo comunicare? I costruttivisti sottolineano il carattere
sociale della costruzione del significato, prodotto di una continua negoziazione culturale.
I denigratori di questo orientamento hanno buon gioco nel mostrare che il costruttivismo ha caratterizzato la propria
identità “costruendosi” un bersaglio negativo, contrapponendosi ad un oggettivismo dai connotati esagerati a bella posta
a scopo polemico e che gli “ingredienti” del costruttivismo, sia sul piano teorico che didattico sono tutt’altro che nuovi:
esso infatti recupera un mix di ingredienti, alcuni dei quali risalgono agli inizi del secolo ed hanno seguito la
progressiva crisi del positivismo e del neopositivismo: la conoscenza come costruzione attiva del soggetto è un concetto
presente in gran parte della ricerca di questo secolo. Dewey, Piaget e Vygotskij possono essere considerati costruttivisti;
del resto, secondo Von Glaserfeld , Giovanbattista Vico è il primo costruttivista. Altri (Merril) sostengono che le
proposte del costruttivismo non sono in contraddizione con quelle cognitiviste e che, nell’insieme, le suggestioni e la
vis polemica del costruttivismo possono rappresentare un utile fertilizzante all’interno del quadro cognitivistico.
L'espressione “community of learners” si riferisce ad un progetto educativo a forte
apertura antropologica, attivo da diversi anni sotto la direzione di Ann Brown e Joseph
Campione (1994) presso l'Università di Berkeley (California). Una comunità di
apprendimento è un particolare ambiente di ricerca cooperativa che, prendendo a
modello le comunità scientifiche, fa della riflessione problematica sulla conoscenza e
della mutua condivisione delle risorse intellettuali il principio ispiratore di ogni attività.
Riassumendo i principi che connotano questo progetto troviamo i seguenti aspetti:
natura attiva delle strategie di apprendimento; importanza degli aspetti metacognitivi;
zone multiple di sviluppo prossimale; natura dialogica dell'acquisizione della
conoscenza; rispetto, valorizzazione delle differenze; sovrapponibilità ed
intercambiabilità dei ruoli; carattere distribuito della conoscenza. L'ambiente educativo
è visto come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo prossimali in cui si
vengono a disporre possibili impalcature (scaffolding) che assistono, stimolano,
orientano in vario modo, lasciando tuttavia forte spazio alla responsabilizzazione
autonoma del soggetto; i partecipanti si muovono così attraverso differenti strade e a
differenti velocità, in un clima di condivisione e scambio reciproco; la partecipazione è
sempre basata su negoziazione situata e rinegoziazione del significato nel mondo.
Il modello dell'apprendistato cognitivo, sviluppato soprattutto da Allan Collins, da John
Seely Brown e da Susan Newman (1995), nasce dalla constatazione del fallimento
della scuola tradizionale, che non consente agli studenti una piena padronanza degli
utensili cognitivi che essa introduce: si tratta allora di realizzare un'integrazione tra i
caratteri dell'apprendistato, dominante in tutte le società prima dell'avvento della
scolarizzazione e quelli della scuola formale. L'apprendistato tradizionale impiega
quattro importanti strategie per promuovere la competenza esperta: modelling
(l'apprendista osserva ed imita il maestro che dimostra come fare); coaching (il
maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l'attenzione su un
aspetto, dà feedback, agevola il lavoro); scaffolding (è un aspetto particolare del
coaching: il maestro fornisce un appoggio all'apprendista, uno stimolo, preimposta il
lavoro, ecc.); fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a
chi apprende uno spazio progressivamente maggiore di responsabilità).
L'apprendistato cognitivo si differenzia però dall'apprendistato tradizionale per la
maggiore attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo, ed alla
variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali:
articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza); riflessione
(si spinge a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto); esplorazione (si
spinge a porre e risolvere problemi in forma nuova).
All'interno della stessa cornice teorica dell'apprendistato cognitivo si muove la
sperimentazione attuata dal Cognition & Technology Group at Vanderbilt (1992, 1993)
sugli ambienti di apprendimento generativo. Anche qui si parte dal presupposto che la
conoscenza appresa nei curricoli scolastici astratta dal contesto rimane conoscenza
“inerte”: gli alunni non sono capaci di reimpiegarla attivamente in altri contesti. Ne
deriva una linea di ricerca che valorizza un tipo di istruzione ancorata o situata, in cui i
problemi siano innanzitutto presentati attraverso l'illustrazione di situazioni
autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli studenti sono introdotti nella
situazione e propongono, generalmente con la discussione di gruppo, vari modi di
soluzione personale (per questo gli ambienti sono definiti generativi), con la possibilità
poi di esaminare le modalità proposte dagli esperti o le soluzioni in diversi contesti38.

38
In particolare il Cognition & Technology Group si è occupato della didattica della matematica, realizzando una serie
di unità video note come le avventure di Jasper Woodbury. L'unità di lavoro inizia con un filmato interattivo che dura
mediamente 15-20 minuti al termine del quale si puntualizza il problema da risolvere: così ad esempio, al termine di
una movimentata spedizione in barca, il protagonista dovrà valutare se potrà rientrare a casa prima del tramonto e per
far ciò dovrà ricercare riesaminando il filmato i dati sulla distanza, desumere il tempo, valutare il carburante ed il
denaro rimasto ecc..
In uno spirito analogo, ma più orientato ad arricchire le forme della comunicazione
collettiva si muove il progetto C.S.I.L.E. (Computer Supported Intentional Learning
Environments) di Bereiter e Scardamalia (1993-1994). Come sostengono gli autori,
“le scuole hanno bisogno di essere ristrutturate come comunità in cui la costruzione
delle conoscenze è sostenuta come obiettivo collettivo ed il ruolo della tecnologia
dell'educazione dovrebbe rimpiazzare i modelli discorsivi della classe con quelli che
hanno più immediata e naturale estensione alle comunità di costruzione di conoscenza
al di fuori della scuola"; in un progetto di comunità di costruzione delle conoscenze
(knowledge building communities) si mira a cambiare il modo di cooperare, in una
filosofia di distribuzione della conoscenza vale a dire accettando il fatto che le
competenze sono e rimarranno dislocate in forma differenziata tra studenti piuttosto
che perseguendo l'obiettivo che ciascun studente sappia e debba sapere le stesse
cose. Il termine “intenzionale” con cui si designa questo apprendimento intende
sottolineare l'importanza della dimensione metacognitiva (ad esempio gli alunni sono
indotti non solo ad apportare note o associazioni aggiuntive, ma anche a dare
giustificazione di queste), aspetto che tradizionalmente è al centro dell'attenzione di
Bereiter e Scardamalia.
Una nuova teoria dell'istruzione, che si basa sull'impiego degli ipertesti, è la Cognitive
Flexibility Theory, da cui dipende la tecnologia Cognitive Flexibility Hypertexts (CFHs)
(Spiro et al. 1995), un approccio costruttivistico secondo cui gran parte dei fallimenti
delle teorie dell'istruzione tradizionali dipendono dal fatto che esse si basano su
rappresentazioni troppo semplificate della realtà e su una visione troppo statica
dell'attività cognitiva; la teoria della flessibilità cognitiva mette in risalto la
complessità del mondo reale, il carattere a struttura debole di molti settori conoscitivi
e la necessità di far apprendere in una varietà di modi differenti e per una diversità di
scopi favorendo così il prodursi di rappresentazioni multiple della conoscenza; ci si
ispira ad una metafora di Wittgenstein, quella della conoscenza come attraversamento
non lineare e multiprospettico di un territorio, per cui occorre passare più volte dallo
stesso luogo, ma da direzioni diverse, per favorirne il possesso. I contenuti devono
essere riusati più volte; è fondamentale per una reale padronanza rivisitare lo stesso
materiale in tempi differenti, in contesti modificati.
Il modello teorico sotteso si contrappone ai modelli cognitivistici che vedono la
conoscenza come ritrovamento in memoria di pre-conoscenze e loro implementazione
su nuovi dati (schemata, frames), ed esalta invece l'attività conoscitiva come
riadattamento flessibile della preesistente conoscenza in funzione dei bisogni posti
dalla nuova situazione.
Il computer, ed in particolare gli ipertesti, appaiono agli autori particolarmente adatti
per sviluppare la flessibilità cognitiva, in virtù della loro agilità di funzionamento che
può consentire di pervenire ad una determinata unità informativa da diverse direzioni.
Il costruttivismo per molti aspetti è dunque un déjà vu, la miscela degli elementi che
riscopre ha una lontana origine: sul piano didattico non si può evitare di mettere in
rapporto il costruttivismo con l’attivismo. L’enfasi sulla strutturazione attiva delle
conoscenze è ben nota in una tradizione europea: il cooperative learning richiama il
lavoro di gruppo, le communities of learners hanno analogie con la “metodologia della
ricerca” che ha avuto in Italia la sua stagione negli anni ‘70. L' esigenza di uscire da
un apprendimento formale, astratto e decontestualizzato, a favore di un
apprendimento basato su compiti autentici, situato, rimanda inequivocabilmente alle
riflessioni sul ruolo dell'esperienza in educazione presenti in tutta l'opera di Dewey.
Bisogna però anche comprendere che le proposte didattiche di taglio costruttivistico
hanno ben poco a che fare con un banale spontaneismo attivistico; in ogni progetto la
costruzione di una “impalcatura” (scaffolding), in particolare il complesso di regole
comportamentali e sociali, è molto forte e strutturata: si dà spazio allo studente
agendo più energicamente sul contesto con norme cooperative molto precise, forte
intervento di responsabilizzazione, presenza ed impiego analitico di dispositivi e
strumentazioni, ecc; nel costruttivismo infine l'insistenza sul carattere poliprospettico
della conoscenza rispecchia una consapevolezza epistemologica decisamente più
moderna.
Una bibliografia dettagliata sul costruttivismo è reperibile tra le bibliografie del site
LTE Firenze:
www.scform.unifi.it/lte/#bibliografie.

Autori

Vygotskij
Partecipa alla rivoluzione russa e muore ancor giovane nel ‘34; le sue opere furono
messe al bando dallo stalinismo. Il centro dei suoi interessi è il processo di
appropriazione culturale da parte degli individui ed il ruolo che l'introiezione del
linguaggio esercita nella formazione del pensiero. La "cultura" fornisce concetti, idee e
teorie di cui il soggetto si appropria fino a renderli elementi interni; è da questo
processo di internalizzazione che si sviluppa il pensiero e quella dimensione che
tradizionalmente i filosofi chiamano "coscienza".
Il suo lavoro principale è "Pensiero e linguaggio" pubblicato in Russia nel 1934, pochi
mesi dopo la sua morte; è uno dei testi che maggiormente continua ad influenzare la
riflessione psicoeducativa contemporanea, specie statunitense; affronta l'evoluzione
dei concetti e il rapporto tra concetti spontanei e concetti scientifici, il rapporto
pensiero linguaggio, i fattori culturali dello sviluppo, l'origine della coscienza39.
Particolare attenzione rivolge al rapporto tra concetti spontanei e concetti scientifici; i
primi sono appresi nell'esperienza comune in forma vivida e concreta. I concetti
scientifici sono appresi in ambito scolastico, attraverso procedimenti formali; gli uni
devono integrarsi con agli altri.
Particolare fortuna ha avuto la sua idea di zona di sviluppo prossimale: ciascuno di
noi, rispetto a quanto sa fare al momento ha un potenziale nascosto che potrebbe
consentire di arrivare molto più in alto se opportunamente aiutato e facilitato (da
adulti, compagni più esperti, supporti tecnici ecc..); tanto più un bambino sa
avvantaggiarsi del rapporto con qualcuno più esperto, tanto più ampia è la sua zona di
sviluppo prossimale; la scuola deve offrire supporti sociali idonei a facilitare
l'emergere di processi acquisitivi nel discente.

Piaget
Epistemologo nato nel 1896, morto nel 1980, allievo di Claparède al quale succedette
alla direzione dell'Istituto delle Scienze dell'Educazione dell'Università di Ginevra, ha
affrontato sistematicamente lo studio dello sviluppo dei processi di pensiero dalla
nascita all'età adulta. Paradossale il suo ruolo nei confronti dell'educazione; pur
avendo voluto prendere la parola assai raramente in questa materia e pur non
considerandosi neanche uno psicologo è l'autore più accreditato per la psicologia
dell'educazione. Si oppone da un lato alla tradizione empiristica, associazionistica e
comportamentistica, dall'altro al vitalismo bergsoniano, dal quale per altro nei lavori
giovanili fu anche sensibilmente influenzato. I suoi lavori principali (a partire dal 1925)
sottolineano come l'attività cognitiva si sviluppi in una dimensione relativamente
autonoma dai due condizionamenti di base che agiscono nella crescita, rappresentati

39
In epigrafe al suo lavoro principale riporta un passo di Bacone che ben lascia intuire lo spirito del suo approccio:
"Nec manus nisi intellectus, sibi permissus, multum valent: instrumentis et auxilibus res perficitur"(da sole né la mano
né la mente bastano allo scopo; il compito si consegue con strumenti protesici).
dallo sviluppo biologico e dall'ambiente, secondo modalità che possono essere
descritte attraverso specifiche fasi: la mente si sviluppa attraverso equilibri tra
assimilazione (adattamento degli schemi interni alla realtà esterna) ed
accomodamento (ristrutturazione degli interni schemi posseduti) tendendo a livelli via
via più complessi di organizzazione logica.
Alla base c'è il concetto che l'intelligenza deriva dall'azione, è interiorizzazione
dell'azione. Il soggetto costruisce attivamente le strutture della mente verso le forme
dell'intelligenza logica e sperimentale. Da questo punto di vista Piaget si può
considerare un precursore del più recente costruttivismo.
Alcune critiche state rivolte a Piaget riguardano il fatto che egli avrebbe sottovalutato i
fattori sociali ed in particolare il ruolo del linguaggio nello sviluppo del pensiero;
famosa la sua polemica con Vygotskij sul linguaggio egocentrico del bambino: per
Piaget questo è espressione del generale egocentrismo del bambino e quindi destinato
a decadere in funzione di uno sviluppo che procede dall'egocentrismo al
decentramento, per Vygotskij è espressione dell'internalizzazione del linguaggio e
segnala l'apparire delle prime forme della coscienza interiore.
Però Piaget affronta il problema del conflitto socio-cognitivo, dando rilevanza ai
confronti e controversie che portano i bambini a coordinare i loro punti di vista in una
visione più evoluta della realtà e numerose sono oggi le ricerche in una prospettiva
interazionista neopiagetiana (sviluppata ad esempio da autori come Doise e Mugny,
Perret-Clermont e Damon).
Altre critiche sono state mosse al metodo usato da Piaget nella raccolta dei dati,
metodo che egli definisce "clinico", con colloqui ed esercizi preimpostati. Spesso la
difficoltà linguistica e la difficoltà del bambino a decontestualizzare possono aver
portato a sottovalutare le effettive potenzialità della mente infantile che Piaget tende,
forse con troppa facilità, a evidenziare nei suoi tratti di egocentrismo.
Gran parte dei lavori di Piaget esistono in versione italiana. Per una sintetica
introduzione agli aspetti essenziali del suo pensiero conviene rifarsi a Lerbet 1972. Per
una visione più approfondita cfr. Camaioni 1982, per un approccio sistematico
cfr.Flavell 1971.
Conviene anche un avvicinamento diretto al suo pensiero, in particolare con volumi
quali Piaget 1967 e Piaget Inhelder 1970.

Bruner
Bruner è uno degli psicologi contemporanei che più ha condizionato gli sviluppi della
psicologia dell'educazione, e quindi anche la didattica, nella seconda metà del '900; il
suo pensiero ha percorso un lungo itinerario dagli studi giovanili sul funzionalismo
percettivo, al cognitivismo degli anni '60, ai più recenti interessi in ambito
costruttivistico ed ermeneutico.
Su di lui hanno esercitato grande influenza sia Piaget che Vygotskij, in particolare
quest'ultimo per i concetti di cultura come insieme di congegni protesici, di zona di
sviluppo prossimale, e per il ruolo del linguaggio nello sviluppo del pensiero.
Deve gran parte della sua notorietà iniziale al fatto di aver sintetizzato la conferenza
di Woods Hole del 1959 in cui diversi ricercatori studiarono i modi in cui l'educazione
scientifica poteva essere migliorata, dando un forte impulso alll'avvio del curriculum
movement.
L'idea base che Bruner sviluppa in quegli anni è che le discipline (quali matematica,
fisica, storia ..) non siano semplici depositi di nozioni quanto piuttosto complessi
organizzati e coerenti di conoscenze; occorre pertanto afferrare le idee basilari che
stanno sotto le diverse informazioni; questo è possibile con un movimento a spirale:
dapprima si tratta di afferrare la conoscenza in forma intuitiva, ulteriori passi per
mezzo dei quali si ritorna sulla materia a livelli di approfondimento diverso
permetteranno ciclici approfondimenti; in quest'ottica si afferma anche che ogni
problematica può essere insegnata a chiunque in ogni età.
L'insistenza sul carattere protesico della cultura è un altro aspetto caratteristico della
sua riflessione; la cultura è essenziale per l'umanità perché è un mezzo per
trasmettere la conoscenza accumulata dalle precedenti generazioni. Col passare dei
secoli sono stati messi a punto numerosi e potenti dispositivi che permettono di
avvalerci e di espandere il patrimonio depositato nella cultura; l'uomo si serve di
amplificatori della capacità motoria (leve, ruote, coltelli), comunicativa (segnali di
fumo, radar, cuffie), cognitiva (linguaggio, teorie, modelli).
Più recentemente (anni '80-'90) sulla scia di Goodman40 è diventato fautore di una
concezione costruttivistico- culturale (la cultura è vista come un "forum" in cui si
negoziano costantemente i significati); sostiene anche che esistono due tipi di
pensiero fondamentali, quello paradigmatico, logico deduttivo formale e matematico,
e quello narrativo. La narrazione è dunque una modalità conoscitiva fondamentale;
l'uomo è essenzialmente uno story teller. Per un primo avvicinamento a Bruner
conviene passare alla lettura delle sue opere tradotte in italiano, in particolare "La
mente a più dimensioni (1988) e "La ricerca del significato"(1992).

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Secondo Goodman gli uomini costruiscono, in una stipulazione continua, una irriducibile pluralità di mondi; non
esiste una realtà originaria con cui si possa confrontare un mondo possibile per stabilire una qualche forma di
corrispondenza tra questo e il mondo reale (Goodman 1988).

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