maggio con: stefano benni, mihai mircea butcovan

Dal 1993, il giornale di strada di Bologna fondato dalle persone senza dimora
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 ( conv. in L27/02/2004 N.46) ART. comma 2 DCB - Bo (Num. 2) per Poste Spa

alla
conquista
del
welfare
05/2011
PRODURRE QUESTO GIORNALE COSTA 0,75 EURO • QUELLO CHE DATE IN PIù è IL GUADAGNO DEL DIFFUSORE
QUALSIASI RICHIESTA AL DI Là DELL’OFFERTA LIBERA NON è AUTORIZZATA
I nostri strilloni
RADU
Sono arrivato in Italia 10 anni fa dal-
la Romania. Grazie a mia cognata ho
conosciuto Piazza Grande. Ho lavora-
to per un anno in Spagna e sono sta-
to anche in Argentina. Attualmente
vivo a Bologna in una stanza in affit-
to, vendo il giornale da nove anni. Di
solito mi trovate in via Altabella.
Editoriale/
Un fiore per Ranbir
ma non basta
p mauro sarti
In copertina
Il volto in prima pagina è
quello di Mihai, uno dei pro-
tagonisti del presidio dei sen-
za dimora in piazza Maggio-
re. La sua storia è raccontata
nell’inchiesta di questo nu-
mero. L’autrice della foto è
Chiara Sibona del gruppo fo-
tografico di Bandiera Gialla
(www.bandieragialla.it).
fffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff
gerenza
05 11
Guarda chi legge
VERDISAN
Piazza Grande sfonda anche nel mondo dello spettacolo!
Sono rumeno, ho 40 anni e vivo a
Nella foto qui sopra l’attore Raul Bova impegnato nella
Bologna. Ho conosciuto Piazza Gran-
lettura del numero di marzo, accompagnato da Roberto
de sette anni fa e sono diventato un
Morgantini.
diffusore, prima ero disoccupato.
Attualmente vivo per strada, mia mo-
glie e i miei 7 figli sono rimasti in Ro-
mania. Vendo il giornale nella zona
di Piazza Maggiore.
Il
23 aprile scorso Ranbir, 21 anni, è morto in mezzo alla strada stroncato dall’al-
col e dall’indifferenza. Questa volta è toccato a lui, indiano, povero, senza la-
voro, senza una casa. Trovato in piazza dei Martiri con due bottiglie di whisky
accanto alla panchina che gli ha fatto da ultimo giaciglio. Eppure ci aveva provato: un
impiego l’aveva, ma di questi tempi non è facile mantenerlo. E la legge italiana, una iniqua
legge italiana, parla chiaro: se non hai il lavoro, non hai diritto al permesso di soggior-
no. Da lì, da “clandestino” - sempre secondo una nostra legge ora bocciata dalla Corte di
giustizia europea - è un attimo perdere la testa, sbagliare strada, inciampare al primo gra-
dino. In piazza Nettuno, a protestare contro la chiusura dei dormitori (di cui parliamo
approfonditamente su questo numero di Piazza Grande) c’era anche lui. Ora restano sol-
tanto i fiori che i suoi compagni hanno deposto su quella maledetta panchina in fondo a
via Marconi. Una storia di disperazione che non merita di essere liquidata troppo in fret-
ta ma che al contrario può diventare – nel nome di Ranbir – un grimaldello per cercare
di aprire un varco in quel tunnel senza fine dove rischiano di finire tutti coloro, e sono
sempre di più, che non hanno da mostrare tutte le carte in regola. Secondo l’ultimo re-
port del servizio mobile di sostegno di piazza grande, nell’arco di un anno i contano un
migliaio di persone nelle strade di Bologna. da febbraio 2010 a gennaio 2011 il servizio ne
ha contattate 504, in stazione o nelle vie del centro. Cinquecento persone di cui gli ope-
ratori conoscono nome, cognome e luogo di provenienza, a cui però bisogna aggiunger-
ne altrettante “invisibili”, dai rom che vivono nei campi abusivi agli stranieri irregolari.
Fra le persone entrate in contatto col servizio mobile la maggioranza è straniera (73%),
ma con regolare permesso di soggiorno. Il profilo corrisponde perfettamente a quello
di Ranbir. Persone che non amano la vita di strada, persone che cercano un lavoro, per-
sone che cercano una casa. E non la trovano. Ecco, nel nome di Ranbir, non c’è più tempo
per aspettare grandi riforme. Serve soprattutto che le promesse vengano mantenute.
Piazza Grande Redazione In redazione
Giornale di strada di Bologna fondato dalle persone senza dimora Via Corazza 7/8 40128 Bologna, tel. 051 4222046, fax 0514216961 Eva Brugnettini, Erika Casali, Ilaria Giupponi, Simone Jacca, Olga
“Tendere un giornale è meglio che tendere una mano”
COMITATO EDITORIALE Jacopo Fiorentino, Giorgio Mattarozzi,
www.piazzagrande.it | redazione@piazzagrande.it
CaporedattorE Pietro Scarnera
Massari, Giuseppe Mele, Salvatore Pio, Mauro Sarti, Donato Un-
garo.
Hanno collaborato a questo numero
Mauro Sarti Daniele Barbieri, Mauro Boarelli, Francesca Bono, Valentina Bonoli,
Direttore editoriale Leonardo Tancredi Consulenza editoriale Agenda (www.agendanet.it) Mihai Mircea Butcovan, Claudio Cannistrà, Marika Di Cristina, Fatma
Direttore responsabile Bruno Pizzica Progetto grafico Fabio Bolognini Elhabishi, Jonathan Ferramola, Gruppo fotografico Bandiera Gialla,
Distribuzione Luca Lambertini, Filippo Maltese, Ouissal Mjeri, Laura Pasotti, Mim-
stampa Industrie Grafiche Galeati Redazione Piazza Grande mo Perrotta, Luca Perticoni, Sofia Pizzo, Carmine Roccia, Paola Sapo-
Registrato presso il Tribunale di Bologna il 15/09/1995 n°6474 Abbonamenti & eventi: Eva Brugnettini, Erika Casali ri, Gabriele Sillari, Marco Trotta, Alain Verdial Rodriguez.
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giornalismo d’asfalto

Cerchiamo diffusori
r| Illustrazione
Per la prima volta
di
Pietro Scarnera

in 18 anni di
vita proviamo a
coinvolgere nella
diffusione del
giornale anche
studenti e lavoratori
precari. Ecco perché

P
iazza Grande cerca diffusori per
il proprio giornale. Per la prima
volta in quasi 18 anni di vita
abbiamo deciso di provare a coinvol-
gere non solo persone senza dimora
ma anche altri soggetti disoccupati o
in difficoltà economica. Ci rivolgeremo
infatti a studenti universitari e lavora-
tori precari alle prese con un mercato
del lavoro ancora colpito dalla crisi appoggiando allo stesso tempo una l’ultimo anno il giornale ha cambiato In questa occasione Piazza Grande
economica. buona causa. aspetto, si è rinnovato sia nella grafica rinnova l’invito, sempre aperto, rivolto
In occasione della Pasqua molti diffu- Diffondere Piazza Grande non significa che nei contenuti, abbracciando una agli ospiti dei dormitori e a tutti i sen-
sori di origine rumena tornano nel loro solo avere una piccola fonte di reddito sfera di interessi molto più ampia e za dimora, di diventare diffusori del
paese e spesso rientrano solo a fine ma anche impegnarsi in un’attività di diversificata che include in senso lato giornale e rinnovare l’immagine della
estate. In questi mesi, in via sperimen- valore sociale e interculturale. Il gior- diversi aspetti della marginalità. La distribuzione dello storico mensile di
tale, vogliamo provare ad allargare il nale, infatti, si propone come strumen- nuova versione a colori del mensile strada.
gruppo dei diffusori rivolgendoci a una to di conoscenza e di contatto con la dei senza tetto si avvale anche di firme Per proporsi come diffusori si può scri-
categoria di persone completamen- strada e con le sue problematiche oltre conosciute, sia bolognesi che naziona- vere a info@èpiazzagrande.it, telefo-
te nuove e probabilmente estranee al che come spazio per la voce dei senza li, che hanno abbracciato la causa di nare allo 051 342328 oppure recarsi
mondo dei senza dimora, ma che po- dimora che continuano a scrivere sul- Piazza Grande e la sostengono attra- personalmente in via Gandusio 11 il
trebbero trovare la possibilità di avere le pagine del giornale dando un’im- verso la propria partecipazione sulle lunedì, martedì e mercoledì dalle 10
una piccola fonte di sostentamento magine dal basso della città. Durante pagine del giornale. alle 13.

ffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff
Un tentativo di sondaggio sulle prossime elezioni, ma fra i senza dimora prevale la sfiducia

Per chi votano gli homeless?

p carmine roccia

Un mattino di fine aprile, passeggio

per le strade della città, assa-
porando il tepore del sole che finalmente
sembra essersi svestito del manto di neb-
bia che lo ha accompagnato durante tutto
il lungo inverno. La mia attenzione viene
attirata da un mio amico che non vedevo
da un po’ di tempo, Franco. Ci salutiamo
calorosamente, scambiati i convenevoli
usuali e rievocato qualche episodio tra-
scorso insieme, i nostri discorsi cadono
inevitabilmente sulle imminenti votazioni
amministrative che fra alcuni giorni si ce-
lebreranno in città. Mi colpisce la risposta
che dà alla mia domanda: “Chi voterai e
cosa pensi dei candidati a sindaco?”. Mi
risponde secco: “Non me ne frega un c...”.
È una frase che ho sentito molte volte dal-
le sue labbra e non solo dalle sue. Una
frase che mi raggela lo spirito e mi lascia
l’amaro in bocca. Mi rendo conto che la
sfiducia ormai si è appropriata del cuore
dei più poveri ed emarginati, sento che
ora come mai hanno perso ogni speranza
nelle istituzioni, percepiscono la mancan-
za di sensibilità dei politici nei confron-
ti dei più deboli, intuiscono chiaramen-
te i loro giochi per conservare il potere,
ormai sanno che le parole, le promesse
sono solo bugie. Tutto è come nebbia che
il vento e il sole diradano. Sanno ormai
che nulla cambierà nella loro esistenza
e che speranza è solo una parola, ormai
priva di significato.
In questi tempi si parla molto di “vento
della libertà” ma noi aspettiamo la brez-
za della solidarietà e dell’amore.
Il mio amico mi lascia, lo vedo allontanar-
si con passi incerti e pesanti, io rimango
in compagnia dei miei pensieri, non sono
rosei, comunque mi sento ancora vivo e
la speranza in me non è ancora morta.
Un soffio improvviso di vento solleva una
foglia secca facendola mulinare nel sole.
Sarà un presagio?
Il suo fruscio sembra sussurrarmi:
“Fa che il tempo scorra, ma non lasciar-
telo sfuggire!”.
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alla inchiesta

conquista
del welfare
Cinque giornate in piazza Maggiore
per ottenere la riapertura dei dormi-
tori. La protesta dei senza dimora, an-
data in scena a inizio aprile, sembrava
essersi chiusa con un successo. Ma il
Comune ha mantenuto le promesse?

S
p eva brugnettini essanta persone senza dimora che dormono in fila davanti a Palazzo D’Accursio, tra coperte, borse e sac-
fotografie di luca perticoni chetti, non si erano mai viste. Una scena poco edificante che deve aver turbato gli ultimi sonni da com-
missario prefettizio di Annamaria Cancellieri e dei suoi subcommissari, tanto da affrettarsi a soddisfare
alcune richieste dei dimostranti. Le cinque giornate di protesta, dall’1 al 5 aprile, sembravano aver raggiun-
to l’obiettivo: 60 posti in più e riapertura del dormitorio di via Lombardia. Ma secondo i dimostranti le risposte non
sono state sufficienti, la delusione serpeggia e qualcuno vorrebbe ritornare in piazza. Marouane, 30 anni marocchino,
ha dormito per la prima volta in strada durante le cinque notti di presidio. In Italia da 8 anni, è stato ricevuto dalla
Cancellieri insieme agli altri delegati: “Ci hanno detto che aprivano via Lombardia per tre mesi, invece puoi stare 7
giorni dentro e 3 settimane fuori. Hanno fatto come volevano loro”.
La delusione è tanto più cocente se si pensa a quanto è stato difficile organizzare la protesta. Un’iniziativa autonoma
e spontanea, a dir poco straordinaria per persone che abitano in strada. Mihai, ragazzo rumeno di 26 anni, dormiva
nella struttura per l’emergenza freddo di via Capo di Lucca da fine gennaio. Prima viveva a Roma, in un centro sociale
occupato dove aveva avuto esperienze con le prime dimostrazioni: “Organizzavamo manifestazioni per l’acqua pub-
blica, contro i Cie, ma anche festival di musica e mercatini di prodotti biologici”. Quando si è avvicinato il momento
di sloggiare da Capo di Lucca ha iniziato a parlare con gli altri 63 ospiti della struttura, che non erano pronti a dare
vita alla protesta. Contemporaneamente anche Djamel, algerino di quasi 40 anni, aveva iniziato a mobilitarsi. In Ita-
lia dall’età di 16 anni, ne ha trascorsi dieci a Bolzano con la compagna. Molti progetti in ballo, sfumati per problemi
familiari, Djamel è tornato a Bologna lo scorso giugno, ma non ha trovato lavoro. Dopo essere stato per mesi ospite
di un amico è finito in dormitorio “per la prima volta nella mia vita”. Anche lui ha innescato il passaparola che ha
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«Gli accordi non erano questi.
In via Lombardia e al Sabatucci si
può stare solo 7 giorni, e ora la
gente si sente tradita. Un nostro
compagno, Raffaele, ha pianto, lui
che per tutte le notti faceva la
guardia con me in piazza Maggiore.
Mi sono molto pentito di aver
lasciato il presidio»
radunato in piazza Maggiore, lo scorso 1 aprile, una sessantina di senza dimora, usciti
dai ripari chiusi dopo la fine dell’emergenza freddo.
Da settimane il Comune aveva deciso la riapertura del dormitorio di via Capo di Lucca
da venerdì 8 aprile fino al 30 giugno, in seguito alla protesta di una parte consistente
della società civile bolognese. “Per una settimana avrebbero tutti dormito all’aperto
comunque, - spiega Mihai - ma abbiamo deciso di andare in Comune per i nostri dirit-
ti. Abbiamo chiesto non solo la riapertura dei dormitori ma una casa abbandonata da
ristrutturare, tempi più brevi per un appuntamento con i servizi sociali e per ottenere
la residenza”.
Già, perché queste “cinque giornate di Bologna” sono il risultato di una lunga strada in
discesa del welfare bolognese, iniziata nel 2008 con il famigerato decentramento dei
servizi sociali. L’idea di avvicinarsi ai cittadini in difficoltà con un ufficio in ogni quar-
tiere, di fatto si è trasformata per i senza dimora in una via crucis tra una sede e l’altra,
con pratiche che passano da un capo all’altro della città, seguite a ruota dai diretti in-
teressati, in una partita che può andare avanti per mesi. Con il decentramento è arriva-
to il vincolo della residenza per l’accesso ai servizi, per tutti, compresi i senza dimora.
Ossimoro per tutti tranne che per le istituzioni. Il percorso di una persona senza tetto
passa quindi attraverso lo scoglio della domanda di residenza, che può richiedere dai
6 agli 8 mesi, dopodiché si prende un appuntamento con un assistente sociale, tempo
inchiesta
previsto 1 o 2 mesi, per avere un primo colloquio che dopo altre settimane può portare,
forse, a una sistemazione per la notte. La soluzione provvisoria a questo labirinto buro-
cratico sono i dormitori allestiti per l’emergenza freddo, aperti da novembre a marzo e
accessibili a tutti, residenti o no. Quello di via Capo di Lucca quest’anno è stato gestito
da due associazioni, Piazza Grande e Antoniano, più a basso costo delle cooperative.
Manovra al risparmio che ha suscitato polemiche e che si unisce alla complessiva po-
litica di tagli messa a punto dal Comune nel corso del lungo declino. L’elenco parzia-
le include la chiusura del Drop-In, luogo di “decompressione” per tossicodipendenti,
quella del laboratorio informatico e di costruzioni di maschere del Centro diurno di via
Del Porto, e del dormitorio di via Lombardia.
Dopo cinque notti in piazza e tre incontri con le istituzioni, i 60 homeless ne hanno
ottenuto la riapertura, insieme a Capo di Lucca e ai posti per l’emergenza nel dormito-
rio in via Sabatucci. Lasciata piazza Maggiore, i manifestanti si sono spostati nel Parco
della Montagnola, dove sono iniziati i problemi. Spiega Djamel: “In piazza avevo orga-
nizzato i turni per pulire, restavo in piedi tutta la notte per fare la guardia a borse e co-
perte, la mattina svegliavo presto gli altri per togliere cartacce e rifiuti. Avevo un posto
dove andare a dormire ma non potevo lasciarli. Ci sono stati dei litigi, ma è normale,
eravamo stressati, ma la mattina fratelli come prima”.
Dopo poco però i dimostranti si sono accorti che le promesse del Comune non erano
esattamente come avevano creduto. In via Lombardia si può stare solo 7 giorni al mese,
mentre l’apertura del dormitorio di Capo di Lucca fino a giugno è prevista solo per una
lista di 40 persone, residenti o con problemi di salute. Marouane soffre d’asma e ha
una mano ingessata, così si è assicurato il posto. Nessun problema sanitario per Da-
miano, 38 anni, rumeno, che è riuscito a entrare in via Lombardia per i fatidici 7 giorni:
“Poi Sabatucci, due settimane alla capanna di Betlemme (un dormitorio privato, ndr),
e poi si ricomincia il giro”. Djamel racconta la delusione quando hanno scoperto come
stavano le cose: “Gli accordi non erano questi. In via Lombardia e al Sabatucci si può
stare solo 7 giorni, la gente che ha combattuto per i propri diritti ora ha un tetto per 15
giorni su 30, e si sente tradita. Un nostro compagno, Raffaele, ha pianto per la faccenda
dei 7 giorni, lui che tutte le notti faceva la guardia con me in piazza Maggiore. Mi sono
molto pentito di aver lasciato il presidio”. Anche perché, dicono tutti, non si trattava
solo di avere un tetto sulla testa, per quanto necessario, ma di ridiscutere i termini della
residenza, delle file infinite agli sportelli, insomma di rifare il punto sulla situazione del
welfare con i diretti interessati. Tutte questioni sospese in attesa del nuovo inquilino di
Palazzo D’Accursio. (evabrugnettini@piazzagrande.it) f
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“La riduzione del danno era la punta di diamante inchiesta

dei servizi bolognesi, ma ora non c’è più”

C’era una volta

la bassa soglia
Scompaiono le strutture più vicine a
chi vive in strada. L’ultimo a chiudere
è il Drop in di via Paolo Fabbri, che
accoglieva soprattutto tossicodipendenti.
“La sua chiusura è una sconfitta”
p laura pasotti

N
ovembre 2006 - luglio 2010. Tre
anni e mezzo o poco più. Ecco
quanto è rimasto attivo il Drop
in di via Paolo Fabbri, il servizio speri-
mentale istituito dal Comune per garan-
tire un’accoglienza a bassa soglia di ac-
cesso alle persone che, principalmente
tossicodipendenti, affrontano il disagio
quotidiano di una vita in strada. “Era un
servizio importante – racconta Andrea Al-
bano, operatore che dopo la chiusura del
Drop in continua a seguire i tossicodipen-
denti con l’unità di strada – perché era un
luogo di presa in cura della persona: la
sua chiusura è una sconfitta”. Aperto tutti
i giorni (tranne il giovedì e la domenica)
dalle 10 alle 14, il Drop in ha registrato in
media 60 passaggi giornalieri. Colazione
con brioche, tè e caffè, doccia, tv. Una tre-
gua dalla strada, insomma. Di quel servi-
zio oggi non rimane che l’unità di strada,
quattro operatori che offrono agli ex uten-
ti una parte dei servizi che ricevevano in
via Paolo Fabbri. “Diamo siringhe sterili,
facciamo profilassi, informiamo sui servi-
zi e indirizziamo le persone al program-
ma di bassa soglia del metadone di strada
dell’Ospedale Maggiore – spiega Albano –.
Lavoriamo avendo in mente una rete che
in realtà non c’è più”. In media l’unità di
strada – gestita dalle cooperative Nuova
Sanità e Carovana (ma dal primo mag-
gio, con l’accorpamento del servizio mo-
bile previsto dal bando Asp, entrerà an-
che Piazza Grande) – “aggancia” in media
20/25 persone al giorno. “A volte ne in-
contriamo anche 50 – dice Albano –. Ora
sono tutti in piazza Verdi o al massimo vi-
cino alle Coop di periferia, dove riescono
a fare un po’ di colletta”. Si tratta in gran
parte di immigrati non in regola, mentre
gli italiani sono pochi, soprattutto non re-
sidenti in città. “La riduzione del danno
era la punta di diamante dei servizi bolo-
gnesi e ora non c’è più”, dice Albano. Ma,
come ricorda il presidente della Consulta
per l’esclusione sociale, Paolo Klun, sono
spariti anche altri servizi di bassa soglia.
“Penso ai laboratori del Centro diurno di
via del Porto – spiega – veri e propri luo-
ghi di socializzazione, frequentati da tos-
sico e alcol-dipendenti: quei servizi, e il
Drop in, erano ciò che rimaneva di un si-
stema che si è frantumato”. Il vero proble-
ma, conclude, “è che manca una cultura
della riduzione del danno”. Ora non resta
che vedere che cosa accadrà con la nuova
amministrazione.

I tagli al welfare colpiscono anche chi nel sociale ci lavora: la denuncia di Sold Out

Gli operatori? in cassa integrazione

p gabriele sillari

I
tagli al welfare colpiscono anche gli operatori so-
ciali. A spiegarlo è Massimiliano Salvatori della
rete Sold Out, che riunisce molti operatori bologne-
si. “Molti di noi sono finiti in cassa integrazione – dice
Salvatori -. È una situazione vergognosa, hanno smesso
di occuparsi dei bisognosi e anche di chi si occupa di
loro. Stanno lasciando a casa un sacco di gente perché
non vogliono investire nel welfare. L’amministrazione
non sta facendo niente per il sociale, se fa qualcosa è
per applicare dei tagli”.
A farne le spese non sono solo i senzatetto o i tossico-
dipendenti, ma anche chi per lavoro si occupa di loro.
La situazione degli operatori sociali, sempre più spesso
inseriti in cooperative, si fa complicata. Stipendi molto
inferiori rispetto a quelli dei dipendenti pubblici, figure
ibride tra socio e lavoratore, senza contratto nazionale
in quasi tutte le regioni. In una parola: precari.
I tagli hanno colpito anche i progetti a cui lavorava lo
stesso Salvatori. Nel 2010 infatti sono stati chiusi i labo-
ratori del progetto “Prova e Riprova”, tra i quali quello
informatico che aveva dato vita al blog dei senza di-
mora “Asfalto”. “Con il laboratorio informatico – spiega
Salvatori - le persone che vi accedevano, apprendevano
un mestiere. C’era la possibilità di ricevere borse lavo-
ro, inoltre svolgevano un’attività che favoriva l’integra-
zione sociale. Al momento la situazione è ferma, non è
stato annunciato nessun cambiamento di programma”.
La convenzione di 80.000 euro, annualmente elargita
dal Comune per i laboratori, non è stata rinnovata. La
cooperativa La Strada, che gestiva il laboratorio infor-
matico, aveva messo in vendita il proprio blog su ebay:
con 15.000 euro si poteva acquistare “Asfalto” e tutta
l’attrezzatura annessa, personale compreso. Una pro-
vocazione, certo, ma anche un grido d’aiuto lanciato
a tutta la cittadinanza. “Abbiamo un quinto del bilan-
cio di cui solitamente disponevamo – spiega Salvatori
-. Ci sono state diverse gare d’appalto e adesso tutta le
gestione dei bisognosi, di qualsiasi sorta, è in mano
alle Asp (associazioni servizi alla persona). Da giugno
dell’anno scorso il nostro centro ha chiuso i battenti, e
sembra che resterà chiuso a lungo, almeno per il mo-
mento”.
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Intervista ad Adriana Scaramuzzino
Inchiesta
“Ai servizi sociali
manca una guida”
Vicesindaco nella giunta
Cofferati, è l’autrice del
decentramento dei servizi.
Oggi difende la sua scelta e
spiega cosa non ha funzionato
p pietro scarnera

Si
dice favorevole alla creazione di un “pron-
to soccorso sociale” e all’accesso ai dormi-
tori anche per i non residenti, ma difende
la riforma dei servizi sociali e il loro decentramento.
Adriana Scaramuzzino, vicesindaco e assessore ai ser-
vizi sociali durante la giunta Cofferati, spiega che cosa
non ha funzionato a Bologna negli ultimi anni.
Dalla morte di Devid Berghi alla protesta contro
la chiusura di Capo di Lucca, nel 2011 i servizi
sociali bolognesi sono stati spesso sotto accusa.
Lei che idea si è fatta della situazione?
Penso che la città soffra, come tutto il paese, per un
maggiore impoverimento, di cui fra l’altro c’erano già
state avvisaglie alla fine del mio mandato. Oggi vedo i
servizi sociali bolognesi altamente in difficoltà.
Quali sono le cause di questa difficoltà?
Il problema è che il decentramento dei servizi ha coin-
ciso con la mancanza di una regia forte. Con risorse
finanziarie inferiori, è sempre più necessario un forte
coordinamento, che invece evidentemente non c’è sta-
to. Non parlo solo del commissariamento, bisognereb-
be anche andare a vedere che cosa si è fatto nell’anno
della giunta Delbono.
Molti hanno criticato il decentramento dei ser-
vizi. Lei pensa ancora che andasse fatto?
Il decentramento in realtà avrebbe dovuto dare mag-
giori risorse al sociale, snellendo la struttura dei servi-
zi. Per farlo funzionare però serviva una direzione, un
progetto, delle linee per gli operatori. Per esempio: si
può anche decidere di chiudere un dormitorio, a pat-
to di avviare dei percorsi con le persone che ci vivono.
Io ho chiuso Villa Salus, e sono convinta di aver fatto
bene.
A risentire di più dei tagli è stata di certo la bas-
sa soglia: a questo proposito si è parlato più vol-
te di un “pronto soccorso sociale”. Lei cosa ne
pensa?
Credo che sarebbe molto utile, perché darebbe acces-
so ai servizi quando gli sportelli non sono aperti. E
per gestire l’accesso di certo gli operatori sociali sono
più indicati delle forze di polizia, per quanto efficienti.
Vista dall’esterno, l’impressione è che con il di-
minuire delle risorse si sia deciso che Bologna
non poteva prendersi carico di tutti: secondo lei
c’è stata davvero una scelta di questo tipo?
Mi sembra che in questi mesi siano stati fatti dei tagli
“in orizzontale”, un po’ come si è fatto a livello nazio-
nale. Però mi sembra chiaro che non può essere la re-
sidenza il discrimine: i minori stranieri per esempio la
residenza non ce l’hanno, ma se non si interviene su
di loro il rischio è che siano “reclutati” dall’illegalità.
Che consigli darebbe al prossimo assessore ai
servizi sociali?
Intanto penso che quando si fanno le nomine bisogna
pensare a persone che abbiano le competenze per oc-
cuparsi di certi temi. Poi, chiunque sia il futuro asses-
sore, credo che dovrà affrontare un certo atteggiamen-
to “conservatore” che è presente anche nel mondo del
sociale. Bologna ha avuto una grande tradizione, però
le cose cambiano: bisogna comportarsi di conseguen-
za. (pietroscarnera@piazzagrande.it)

bologna e i nidi a rischio

p valentina bonoli
“Gli asili nido sono l’ennesima vittima dei tagli al welfare dell’amministrazione comunale”. La pensa così il coordinamento cittadino di donne “Salviamo
i nidi”, riunito in assemblea lo scorso 14 aprile. Dopo varie manifestazioni di mamme ed educatrici si vuole fare il punto su una situazione che rischia
di minare il sistema educativo infantile della fascia 0-3 anni. Con la ristrutturazione del commissario Cancellieri, approvata il primo aprile, si sono ap-
portati numerosi cambiamenti all’organizzazione interna di questa già fragile realtà. Il coordinamento (di cui fanno parte: Donne in Nero, Associazione
Orlando, Altra Città, Armonie, Mujeres Libres, Ida, Udi, Sos donne, Tavola delle donne, La Meta, e 450 donne prime firmatarie) vuole porre l’attenzione
sull’importanza che queste strutture hanno all’interno della società cittadina, non solo per i bambini ma anche per le donne. Circa il 60 % delle cittadi-
ne bolognesi ha un’occupazione e questo grazie anche alle strutture che si sono sempre occupate dei loro figli. Attualmente si corre il rischio che la
domanda negli asili non sia più proporzionale all’offerta. Infatti, l’amministrazione comunale ha deciso di chiudere alcune strutture, nell’immediato e a
settembre, e di avviare un nuovo sistema tariffario che prevede degli aumenti. “Una difficoltà finanziaria c’è - dice il coordinamento - ma ci sono delle
priorità a cui non dobbiamo rinunciare e che non possono essere cancellate da una politica che nell’ultimo decennio è tesa solo al risparmio”. Un’altra
conseguenza possibile è la precarizzazione dei lavoratori. Nonostante si tratti di educatori altamente specializzati, più di 100 lavoratori a tempo determi-
nato si troveranno senza un impiego. Il rischio viene anche dal passaggio di molte strutture dalla gestione pubblica a quella privata: in queste ultime si
registrano salari più bassi e ricorso al precariato. La ristrutturazione in atto prevede anche la chiusura anticipata alle 16.30, estendibile alle 18.30 su ri-
chiesta delle famiglie. A Bologna è nato il primo progetto di asili nido in Italia, era il 1969, e da allora i nidi si sono sempre distinti come un’eccellenza eu-
ropea anche grazie alla collaborazione con l’università. “Li ho visti crescere e non vorrei vederli morire”, dice un’educatrice. Il coordinamento si augu-
ra “una presa di posizione da parte dei cittadini che hanno il diritto di vedere realizzata una pedagogia a misura di bambino, non a misura di bilancio”.
(valentinabonoli@piazzagrande.it)
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L’intervento degli autori di “Bologna al bivio” q| La copertina di “Bologna al bivio”

E se il welfare
non fosse uno spreco?
Fra immigrazione e invecchiamento della popolazione
la domanda di servizi continua a crescere. Proviamo
per un attimo a uscire dalla “logica dei tagli”
p Mauro Boarelli, Luca Lambertini e Mimmo Perrotta*

Da
molti anni ormai ci vie-
ne detto e ripetuto che
per tenere in ordine i
bilanci dello stato e degli enti locali è
necessario tagliare. E tra le prime spe-
se da tagliare ci sono la scuola, la sani-
tà, il welfare. Da anni servizi importanti
vengono cancellati, perché bisogna “eli-
minare gli sprechi”, in un’ottica per cui
il pubblico, più che come erogatore di
welfare (cioè di benessere), è visto come
un baraccone disorganizzato di privilegi
e sperperi, a cui si contrappone il priva-
to, che sarebbe invece a priori efficiente
e funzionale.
Questo discorso ha fatto presa anche a
Bologna, una città il cui tratto più carat-
teristico e innovativo è stato proprio la
ricchezza dei servizi sociali ed educativi.
Un territorio in cui il sistema di welfare –
dagli asili nido al tempo pieno, dall’assi-
stenza domiciliare agli anziani ai servizi
per i disabili – da un lato costruiva istitu-
zioni aperte e spazi pubblici di socialità
e dall’altro lato liberava risorse che dalla
famiglia potevano essere impiegate sul
mercato del lavoro (non a caso l’Emilia
Romagna ha i più alti tassi di occupa-
zione femminile); un sistema di welfa-
re costruito negli anni attraverso conflitti
sociali, partecipazione ed elaborazione
“dal basso”, a cui la politica rispondeva
intelligentemente, individuando e gene-
ralizzando le esperienze più interessan-
ti. A partire dagli anni novanta questa
situazione è cambiata e il sistema dei
servizi ha subito una progressiva erosio-
ne. Governi nazionali e amministratori
locali incontrano ostacoli crescenti nel
costruire politiche di spesa originali ed
efficienti, nel quadro di un’Europa atten-
ta per lo più al vincolo dei bilanci. Ma le
domande di welfare non sono diminui-
te, anzi: basti pensare all’invecchiamen-
to della popolazione (a Bologna il 20%
della popolazione ha più di 65 anni),
alla domanda di asili nido, alle esigen-
ze della popolazione immigrata (su cui
la sinistra non è mai riuscita a elaborare
una politica complessiva da contrappor-
re a quella securitaria delle destre).
In questa situazione, la principale rispo-
sta bolognese ed emiliana è stata il ri-
corso ai privati, attraverso il subappal-
to dei servizi a cooperative sociali e altri
soggetti: un lavoratore del privato socia-
le costa il 30% in meno di un dipenden-
te pubblico. Tuttavia, accade spesso che,
in un’ottica di concorrenza al ribasso,
per ottenere gli appalti i privati risparmi-
no sul costo del lavoro: e servizi affidati
a lavoratori precari sono spesso soggetti
a turnover, discontinui e quindi poco ef-
ficienti. E servizi inefficienti provocano
una disaffezione nei confronti del pub-
blico, la percezione che si tratti davve-
ro solo di sprechi e una tendenza alla
“guerra tra poveri”.
Queste tendenze sembrano irreversibili.
Siamo convinti che “ci saranno sempre
meno soldi” e i tagli sono necessari. Ma
è proprio così semplice? A noi pare che
la logica dei tagli non sia una necessità
storica; essa si è imposta perché il ceto
politico di sinistra, a Bologna come al-
trove, ha rinunciato alle proprie espe-
rienze e alla propria cultura e non è riu-
scito a (o non ha voluto) contrapporre a
quella logica una politica diversa. È in-
vece necessario ricominciare a costruire
– a partire dalle amministrazioni locali –
una politica differente, che veda i servizi
sociali ed educativi non come un costo,
ma come uno dei fondamenti di una so-
cietà più giusta e aperta.
* Per approfondimenti si rimanda a
“Bologna al bivio. Una città come le al-
tre?”, Edizioni dell’Asino, 2010, a cura
di M. Boarelli, L. Lambertini e M. Per-
rotta, in particolare al saggio di F. Cos-
sentino, “Il welfare e l’erosione del mo-
dello emiliano”.

“lavorare stanca”
rischia la chiusura
p filippo maltese

N el novembre 2007, dopo otto anni di chiusura forzata, riapriva “Lavorare stanca”, il negozio
dell’Istituto penale minorile di Bologna.
La collaborazione della direzione del carcere con le associazioni Terra Verde, che ha gestito i
laboratori creativi al “Pratello” (il carcere, ndr) sino al 2010, e U.v.a.P.ass.A., che presta servizio
di volontariato nello stesso istituto, aveva creato le condizioni per fare di “Lavorare Stanca” un
punto espositivo dove i prodotti artigianali realizzati dai ragazzi detenuti acquistassero visibilità
e creassero un osmosi tra chi è “fuori” e chi è” dentro”, oltre a farne un punto informativo sui
temi della giustizia minorile.
Il negozio di via del Pratello 32 è tuttora aperto un giorno alla settimana, il sabato pomeriggio,
da un volontario e un ragazzo “ristretto”. Insieme sensibilizzano chi entra in quelle mura alla
realtà dei ragazzi che vivono nell’istituto di pena, scambiando qualche parola e vendendo le
opere in esposizione.
In questo frangente di crisi economica e di politiche di welfare miopi però, “lavorare stanca”
rischia la chiusura.
Il Comune, o meglio, il commissario, ha ritenuto opportuno azzerare i fondi a Terra Verde. Senxza
il lavoro di questa associazione il progetto del negozio del “Pratello” non può sviluppare il suo
percorso teso ad abbattere le mura d’indifferenza tra il carcere minorile e la città, a responsabi-
lizzare chi gode della libertà e chi ne è suo malgrado privato.
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referendum/1
Tutto sul nucleare
in attesa della Corte
p ilaria giupponi
Il referendum sul nucleare c’è ancora. L’emendamento che rimanderebbe di un
anno la decisione sulla costruzioni di nuove centrali nucleari in Italia deve infatti
seguire l’iter costituzionale. Affinché un quesito venga tolto da un referendum, infatti,
devono essere venute meno le condizioni, cioè cancellare o modificare la legge. Ciò
significa che fino al 30 maggio, data in cui la Corte di Cassazione si esprimerà sul dl
modificato dalle Camere, il quesito non potrà essere tolto dal referendum. La morato-
ria proclamata dal governo è una superficialità pericolosa, perché rischia di far arrivare
gli italiani impreparati a una presa di responsabilità enorme. Per quello che sappiamo
ora, il 12 e il 13 giugno saremo interpellati a dire la nostra sul ritorno alla già declinata
energia nucleare. Ma per decidere, bisogna conoscere. Il nucleare è dal punto di vista
economico, e ancor più da quello sanitario-ambientale, un abbaglio carico di nocività.
Prima di Fukushima, la questione della sicurezza delle nuove centrali tarpava le ali alla
discussione, facendo sembrare le opposizioni di ambientalisti e ricercatori internazio-
nali paure di esaltati allarmisti anti-innovatori. Ora purtroppo sappiamo che non è così.
Il nucleare viene promosso come l’unica soluzione possibile per ridurre i consumi di
CO2 e produrre energia pulita. “Pulita”, ma radioattiva. Una indagine epidemiologica
del governo tedesco, che copre tutte e 17 le sue centrali in un periodo dal 1980 al 2003,
ha dimostrato la dipendenza dell’insorgenza di patologie infantili (tumori embriogene-
tici e leucemie infantili) in tutte le zone intorno alle centrali nucleari. Entro il 2021 la
Germania avrà eseguito lo smantellamento del nucleare. Per mantenere la produzione
mondiale di energia al livello attuale bisognerebbe costruire un reattore ogni 40 gior-
ni fino al 2015. Dopo, quando inizierà a esaurirsi la vita dei reattori esistenti, uno ogni
19 giorni fino al 2025. Ma per costruire una centrale nucleare ci vogliono dai 10 ai 20
anni, al costo di almeno 7 miliardi l’una. Il tutto per ridurre le emissioni di CO2 del 5%.
In Italia, i nostri 4 reattori Epr produrrebbero solo il 10% dell’energia nazionale. Senza
contare i costi di stoccaggio, bonifica del terreno, manutenzione e decostruzione delle
vecchie centrali a carbone che dovremmo sostenere. Stiamo ancora pagando, nelle no-
stre bollette, il primo tentativo in breve tempo abortito (col referendum del 1987) del
primo nucleare in Italia. Il nucleare non è così rapido dunque, né economico come si
annuncia. Non è un caso se, nonostante gli incentivi di Bush, negli Usa non si costrui-
sce una centrale nucleare dal 1974. Info su www.greenpeace.it/stopnucleare.
Kilometri zero riflessioni a filiera corta
p jonathan ferramola
Gli eretici del vino
Da alcuni anni, gli appassionati di vino e colture contadine posso-
no godere di diversi appuntamenti dedicati al mondo dell’enologia
indipendente e di qualità, saltando le patinate fiere del settore dove
spesso la vetrina luccica ma negli scaffali il prodotto è scarso o so-
pravvalutato. Uno di questi eventi off è nato nel cuore di Bologna,
sotto il quadriportico di vicolo Bolognetti, e si chiama Gusto Nudo,
fiera dei vignaioli eretici. Il suo fondatore è Teo Gattoni, grande ap-
passionato di gusti, culture e colture in via d’estinzione. Gusto Nudo
e i suoi vignaioli eretici hanno deciso di diventare una manifestazio-
ne diffusa e prolungata che sostituisce per quest’anno la tradiziona-
le fiera cittadina: una risposta alla necessità di prendersi una pausa
rif lessiva/educativa di fronte a un mondo del vino naturale in vorti-
cosa e un po’ confusa trasformazione. Sono 17 gli eventi tra la fine di
aprile e maggio, in diverse osterie ed enoteche della città, per risco-
prire il gusto primordiale del vino naturale e biologico o proveniente
da vigne autoctone e spesso molto antiche, salvate dall’oblio grazie
al coraggio e alla dedizione di vignaioli eretici appunto, che scelgo-
no di produrre poco ma buono, con metodi tradizionali, non invasivi
e rispettosi della biodiversità del territorio. Gusto Nudo non è però
solo degustazioni, ma anche presentazioni di libri, serate di assaggi
musicali con vignaioli che si trasformano in DJ, racconti e leggende
provenienti dalle tradizioni contadine del nostro piccolo mondo anti-
co. Info su www.gustonudo.net.
referendum/2
Acqua pubblica,
un bene comune
p marco trotta
P oco più di un anno fa, simbolicamente il 25 aprile, cominciava la raccolta di firme
per chiedere l’abolizione del decreto Ronchi, approvato nel novembre 2009 ,che
vuole definitivamente privatizzare un bene essenziale come l’acqua. Un milione e 400
mila firme raccolte da una delle più composite e riuscite campagne che si siano mai
viste in Italia. Dalle parrocchie ai centri sociali, dai sindacati alle associazioni hanno
chiesto di poter far pronunciare il paese su due quesiti: l’affidamento della maggio-
ranza delle quote delle società che si occupano di servizi idrici ai privati e l’abolizione
della remunerazione del capitale, ovvero di quella quota aggiunta in bolletta per ga-
rantire che queste società possano fare profitti sull’acqua. Se passasse il sì non solo si
abolirebbe il pilastro principale sul quale poggia il decreto Ronchi, ma anche quelle
norme che hanno permesso un paradosso che si sta già verificando sui nostri territori.
Grazie a un uso più oculato delle risorse nel biennio 2008-2010 i consumi sono calati
di circa 5 milioni di metri cubi all’anno. La società per azioni Hera, però, per mantenere
inalterati i suoi introiti (130 milioni di euro) ha chiesto un aumento delle tariffe del 10%
all’ATO5, ovvero l’organismo presieduto dai sindaci della provincia che stabilisce le
politiche di gestione pubbliche sul territorio. Una decisione fino a ora rinviata a causa
delle polemiche e della pressione fatta anche dal comitato che ha denunciato pubbli-
camente questa situazione. Solo una vittoria del referendum, però, potrebbe davvero
invertire questa tendenza. Il governo e le lobby economiche interessate ad un mercato
che vale 6 miliardi di euro lo sanno. E per questo mirano al fallimento con il mancato
raggiungimento del quorum. Contro questa ipotesi il comitato ha chiesto ai candidati
alle amministrative di sottoscrivere un appello per promuovere il sì ai referendum e
l’acqua bene comune, ma soprattutto alla cittadinanza di sensibilizzarsi e sensibiliz-
zare con dibattiti, banchetti, volantinaggi, discussioni nelle scuole, nelle famiglie, nelle
parocchie e nei luoghi di lavoro. A questo scopo è stato aperto anche un conto per le
donazioni e, chi vuole, può comprare spille e bandiere della campagna da mettere ai
balconi per testimoniare il proprio impegno a favore dell’acqua pubblica. Tutte le info
su: http://acquabenecomunebologna.wordpress.com. Banca Popolare Etica Filiale di
Bologna. Intestazione: Carmela Grezzi per Comitato Referendario 2 Si per l’Acqua Bene
Comune. IBAN: IT09E0501802400000000136069. Causale: “Finanziamento Campagna
Referendaria Acqua Bene Comune”.
fffffffffffffffffffff
Sedici anni senza quorum
p i.g.
In Italia, il referendum abrogativo è previsto dall’art. 75 della Costituzione, ed
è pensato per proteggere l’ordinamento dello stato. Non serve ricordare che
le maggiori conquiste civili avvennero passando da questo varco: istituzione della
Repubblica (2 giugno 1946, festeggiato ancora oggi), legge sul divorzio (12 maggio
1974), legge che impediva il finanziamento pubblico dei partiti (1978 e 1993), difesa
della legge 194 sull’interruzione di gravidanza (1981). È l’attuazione di quella so-
vranità popolare ormai confusa e disattivata dal populismo. Sbagliando, si ritiene
il referendum una forma di espressione secondaria. In realtà è l’unico che ci resta
per esprimere la nostra opinione direttamente. Una forma di democrazia diretta.
È una forma di responsabilità. Da 16 anni in Italia non si raggiunge un quorum:
facciamo la nostra parte.
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il quinto alimento
Buone e giuste:
ecco le birre artigianali
p francesca bono e sofia pizzo
D iversi sono i birrifici artigianali emi-
liani, dall’anima rivolta al sociale
o al territorio, nati dalla passione per
la birra e dal desiderio di offrire un pro-
dotto di alta qualità, fatto con ingredien-
ti naturali. Vecchia Orsa di Crevalcore è
gestito dalla Cooperativa Sociale “Fatto-
riabilità”, che coinvolge persone disabili
con lo scopo di dargli un’opportunità di
lavoro. Beltaine, nato da un progetto di
valorizzazione del territorio montano tra
i comuni di Granaglione e Monghidoro,
utilizza per le sue birre la castagna, in
quanto prodotto tipico. Dal 2007 il bir-
rificio è gestito dalla Cooperativa Socia-
le Campeggio Monghidoro, impegnata in
attività socio-educative e socio-assisten-
ziali.
Altri birrifici locali sono White Dog e
Statalenove. White Dog, di Steve e Kelly
Dawson, è situato in un edificio di pietra
risalente al diciassettesimo secolo, im-
merso nella cornice dell’Appenino mo-
denese, dove è possibile anche pernot-
tare o seguire la produzione. Statalenove
di Crespellano ha una forte identità bo-
lognese, subito evidente dal logo e dal
nome di alcune delle sue birre: Kartola,
Alma Mater, Levante e Ponente, come le
direzioni della via Emilia su cui ha sede.
Non della zona ma dall’animo sensibi-
le, il birrificio svizzero Bad Attitude sta
sostenendo l’Associazione Amici di Piaz-
za Grande devolvendo gli utili della birra
Rudolph. Il nome di questa birra non è
quello della famosa renna di Babbo Na-
tale, ma di un cane che si sente renna e
come tale vuole vivere. Rudolph rivendi-
ca il diritto di ogni cane ad essere renna,
di ogni uomo ad essere se stesso senza
dover subire il giudizio degli altri.
Queste birre a Bologna si possono gusta-
re a La Tana del luppolo e a Lortica.
Per questo articolo ringraziamo uno dei
fondatori e Presidente di Brewlab Bo-
logna, Gianfranco Sansolino, che ci ha
concesso un’intervista. (www.commune-
ating.com)
sempreverdi
Alla scoperta
degli ecovillaggi
p olga massari
Il ritorno alla natura è spesso ogget-
to di fraintendimenti. Ma badiamo
bene: tornare alla natura non significa
ritornare alle caverne, ma ricominciare
a basare la propria vita sull’etica della
natura. Non è facile rinunciare ai “lussi”
a cui siamo abituati ed essere più “so-
bri”, ma a volte, tentar non nuoce.
È quello che si prova a fare negli eco-
villaggi che stanno nascendo a macchia
di leopardo in tutta Italia. Ma cosa sono
di preciso? In poche parole, si tratta di
comunità di persone che decidono di
vivere insieme, in un contesto condivi-
so, ispirandosi a criteri di sostenibilità
ecologica, spirituale, socioculturale ed
economica. A volte si condividono i pa-
sti e la vita quotidiana, in altri casi ogni
famiglia abita in una casa da sola, ma
partecipa attivamente alla vita della co-
munità.
Un luogo, spiega il manifesto della Rete
Italiana Villaggi Ecologici, “che unisce
l’uomo con la natura, considera la terra
come un valore  il ritorno ad essa una
tendenza da sostenere nella funzione
dell’autosufficienza”.
Il confine con altri tipi di vita in comune
non è sempre chiaro e ben marcato e
spesso la questione è solo linguistica. 
Un ecovillaggio molto vicino a noi, in
provincia di Parma, è Granara nel co-
mune di Valmozzola in Val di Taro. Era
un villaggio abbandonato come se ne
vedono molti sparsi per il Bel Paese,
vuoi perché gli abitanti si sono trasfe-
riti in città, vuoi perché in montagna è
difficile arrivare. Nel 1993 un gruppo di
ragazzi ha deciso di far rivivere le pietre
di questo villaggio e ci è riuscito anche
grazie alle numerose iniziative come un
festival teatrale a impatto zero, campeg-
gi estivi di educazione ambientale.
Ma la cosa più curiosa che si fa a Gra-
nara per non sprecare proprio niente è
il compostaggio a secco degli escremen-
ti umani: per la serie, tutto serve a qual-
cosa. (www.sottobosco.it)
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Non parlate al conducente

Ma la mia Tunisia Un antidoto

accoglie i rifugiati al razzismo
p ouissal mejri p Donato Ungaro

S ono in attesa del mio autobus in via Rizzoli; alla fermata

Da
tunisina immigrata a
Bologna da undici anni,
tutti mi chiedono ul-
timamente della situazione in Tunisia
dopo la rivoluzione di gennaio. La liber-
tà acquisita dopo la caduta di Ben Ali sta
dando uno slancio allo stesso momento
distruttivo e costruttivo. Sono cresciuta
con il regime corrotto di Ben Ali accom-
pagnato dalla censura dei media e di in-
ternet. Uno Stato di Polizia, nel quale la
libertà significava divieto della parola e
del pensiero personale. Oggi, nonostante
tutte le difficoltà, per la ricostruzione del
paese e la riscrittura di una nuova Costi-
tuzione, per quanto mi riguarda non può
che essere un momento positivo.
La rivoluzione nei paesi arabi, come tut-
te le rivoluzioni, porta a una fase di caos,
di lotta e di instabilità che piano piano
lascerà spazio a nuove forme di confi-
gurazioni politiche, sociali e soprattutto
culturali. Attualmente, si parla molto de-
gli sbarchi degli immigrati “clandestini”
tunisini a Lampedusa.
Delle partenze prevedibili di persone di-
sagiate che sognano l’Italia come il pae-
se-mito dipinto nelle menti con una se-
rie di cliché. L’impossibilità da anni di
ottenere un visto per l’Europa, sia di stu-
dio o di lavoro sia per turismo, accom-
pagnata dall’assenza dei controlli delle
coste, ha portato a numerose partenze
clandestine attraverso il mare. Nei bar-
coni non ci sono soltanto tunisini ma an-
che somali, eritrei e libici scappati dalla
guerra in corso.
Tutti rifugiati che chiedono asilo politi-
co per ragioni umanitarie secondo gli ac-
cordi di Ginevra.
Nonostante la precarietà del governo tu-
nisino, in questo momento, i tunisini a
loro volta stanno accogliendo i rifugiati
libici che sono molti di più di tutti quelli
che stanno varcando le acque di Lam-
pedusa. Quasi 200 mila migranti hanno
scelto di passare la frontiera tunisina e
sono accolti con una solidarietà straor-
dinaria in un paese in fase di ricostru-
zione. Non è la prima volta che la Tuni-
sia accoglie i rifugiati. Quando si parla
di immigrazione degli italiani si pensa
soltanto al Belgio, alla Germania, alla
Svizzera o all’America e nessuno ricorda
quella nei paesi del nord Africa. All’ini-
zio del ‘900 si contavano più di centomi-
la italiani sbarcati su quelle coste clan-
destinamente. Purtroppo di questa bella
convivenza etnica, culturale e religiosa si
parla poco e si sono perse le tracce.
Quello che accade oggi in Europa è sol-
tanto il risultato dell’appoggio dell’Occi-
dente per anni ai vari regimi dittatoriali
nei paesi arabi. Francia e Italia si trova-
no in disaccordo totale sulle procedure
per affrontare il flusso di immigrati ar-
rivati dalla Libia e dalla Tunisia. Da un
lato l’Italia accorda un visto provvisorio
ai “clandestini” e dall’altro Parigi vuole
sospendere provvisoriamente gli accordi
europei di libera circolazione. Anche qui,
l’equilibrio finirà per essere raggiunto.
tanta gente. Focalizzo la mia attenzione su una donna di
una certa età e fantastico sul suo passato. Un’ottantina di anni,
sicuramente bolognese, sguardo sveglio: una staffetta partigia-
na, mi immagino, una donna che ha fatto l’Italia. L’abbraccerei,
ma si avvicina un uomo, capelli corti e baffetti neri; fisionomia
meridionale, un po’ alla Giancarlo Giannini di “Pasqualino Set-
tebellezze”: mi ricorda il mio papà, pugliese di Cerignola, e mi
vien voglia di abbracciare anche lui. “Ha visto, signora? In mi-
gliaia sono su quell’isola; e vogliono venire tutti qua”. I due si
conoscono, parlano senza freni. “Non c’è lavoro per i nostri e
ora bisognerà darlo a questi mao-mao”.
Cerco il profilo delle Due Torri, per ave-
re la certezza di essere a Bologna. “I no-
stri padri hanno conquistato i diritti: al
lavoro, alla casa, alla scuola per i figli. E
adesso bisogna garantire tutto questo a
loro”. La donna annuisce. “No, sono loro
che hanno diritti; mica noi. Io devo paga-
re tutto; ma a loro, ai negri, spetta tutto
di diritto”. Manca Bossi e il fora di ball.
“Io non sono razzista, ma davanti a certi
fatti...” e l’uomo non specifica i fatti. “E
ha sentito, l’altra notte? In duecento sono morti annegati, con i
bambini. Ma come si fa a portare i bambini su quelle barche?”.
Arriva il mio autobus, lascio la fermata e i due, con i loro discor-
si; ma continuo a ripensare a quelle parole. Voglio trovare un
antidoto a quel veleno, a quella delusione che è prima mia che
loro; e ci penso per tutto il turno di guida. A sera esco dal depo-
sito Battindarno felice: ho trovato il mio antidoto. Ma bisogna
pazientare una trentina d’anni, quando magari su un giornale
si potrà leggere: “Il cancro non fa più paura. Un giovane ricerca-
tore scopre il vaccino per ogni tipo di tumore: pensare che nel
marzo del 2011 era un clandestino sbarcato a Lampedusa”. Alla
fine di marzo una donna eritrea ha dato alla luce un bambino,
su una di quelle barche: e l’ha chiamato Yeab Saba, “Donato da
Dio”. Auguri a te, piccolo Yeab; ma auguri anche a tutti noi.

la posta degli altri

La redazione di Piazza Grande risponde alle lettere pubblicate sui quotidiani bolognesi

Se anche le cornacchie
sono clandestine
Lettera pubblicata su Il Resto del Carlino del 13 aprile 2011

Abito in via Monterumici e, con orrore, ho notato da tempo quattro grandi
uccelli simili a cornacchie, di colore grigio e nero, addentrarsi dentro le
chiome degli alberi e cibarsi di passeri e merli, le cui specie sono calate
notevolmente. Chi sono quelle “brave persone” e in base a quale legge
hanno avuto l’incivile idea di inserire animali di un altro habitat qui da noi,
obbligando ad assistere a scene di film horror quando straziano i corpici-
ni degli uccelletti e poi li ingoiano davanti a noi condomini che guardiamo
allibiti?
Caro lettore,
è molto interessante questa sua idea delle cornacchie immigrate: è chia-
ro che gli uccelli “cattivi” (e per giunta neri) non possono appartenere
al nostro habitat, perché i volatili “incivili” non vivono certo qui “da noi”,
come dice lei. Ci dispiace deluderla, ma abbiamo verificato e pare pro-
prio che le cornacchie in Italia siano molto comuni... che dire? È la natura,
bellezza!
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La vita
al tempo
dei tagli
p Mihai Mircea Butcovan
L
ui proprio non riesce a capire. Lui
è un immigrato. Negli ultimi anni
le ha sentite tutte: gli immigrati ru-
bano il lavoro, fanno lavori che altri non
vogliono fare, i trentenni italiani sono
bamboccioni, non hanno case popolari
per colpa degli immigrati, non possono
badare ai genitori perché lo Stato aiuta
troppo gli immigrati, non hanno posti ne-
gli asili nido per i loro figli perché le liste
sono intasate dagli immigrati che fanno
troppi figli…
Lei è una mamma italiana. Deve porta-
re il sapone liquido, la carta igienica e i
rotoli di carta assorbente alla scuola ma-
terna. Poi corre a comprare una risma di
fogli per la segreteria della scuola media
frequentata dal figlio adolescente. Una
sua amica invece la sottrae, quella pila di
fogli A4, all’ufficio in cui lavora, azienda
privata o pubblica amministrazione che
sia. Intanto aumenta ogni anno la retta
della mensa scolastica. Lei non riesce a
capire.
Lui è sindaco in un Comune con poche
migliaia di abitanti. Ultimamente è as-
sillato dalle domande dei cittadini italo-
italiani: “Ma perché aiutate gli extraco-
munitari mentre noi non abbiamo più
fondi?”. Lui non sa cosa rispondere. Dal-
la Provincia e dalla Regione, ma anche
dalla Capitale, gli dicono che non ci sono
più fondi. Lui non riesce a capire.
Lei è una signora pensionata. Da alcuni
mesi non è più autosufficiente. Fortuna-
ffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff
In lista per il consiglio comunale anche quattro disabili. Che chiedono meno barriere e più servizi
Le proposte dei candidati con disabilità
p fatma elhabishi, gabriele sillari
L otta alle barriere architettoniche e più
servizi per i disabili. Sono quattro le
persone con disabilità in lista a Bologna
per le prossime elezioni comunali: quat-
tro candidati con storie e disabilità diver-
se, schierate su differenti versanti politici
ma con programmi che si assomigliano
molto, segno che la disabilità rimane un
tema trasversale. Si parte da una situazio-
ne in cui i disabili vedono ridursi diritti e
servizi. “Il Comune – spiega Antonietta La-
terza, nella lista di Amelia Frascaroli per
tamente riesce a pagarsi, con la propria
pensione, un’assistente familiare, comu-
nemente chiamata badante.
Sua figlia lavora ed è destinata a prende-
re, per pensione, un terzo di quello che
guadagna oggi. Il giorno in cui non sarà
più autosufficiente non potrà pagarsi una
“badante”. E suo figlio, decretato dagli
analisti come “bamboccione” trentenne
non potrà sostenere, per la mamma, le
spese di un’eventuale residenza per an-
ziani. Lui non ha ancora iniziato il conto
alla rovescia dell’età contributiva.
Lei fa l’educatrice per una cooperativa
sociale. Ha un contratto a tempo deter-
minato, non può ammalarsi, prende uno
stipendio da fame, le colleghe ausiliarie
ancor meno. I carichi di lavoro sono allu-
cinanti e deve occuparsi di persone con
disagio e sofferenza oppure di bambini
negli asili nido. Lei non riesce a capire.
Nemmeno le mamme dei bambini.
Lui arriva da lontano. È figlio di contadi-
ni. Guarda questa stagione della potatu-
ra dei servizi sociali che è iniziata mol-
to tempo fa. Oggi si taglia con più foga,
complice anche un’ottima scusa: crisi
mondiale, globale, locale e via dicendo.
Si taglia con l’accetta e si accetta con ras-
segnazione il concetto per cui “se man-
cano i soldi per curare perché sprecarli
nella prevenzione?”
E ci sono gli appelli alla sobrietà a cui
sono chiamati soltanto alcuni dei cittadi-
ni, quelli con meno privilegi o con diritti
Virginio Merola – ha tolto ai disabili i buo-
ni taxi, la Regione ha dimezzato l’importo
per gli assegni di cura”. Attrice, cantante
e chitarrista con quattro album alle spal-
le, Laterza organizza anche corsi culturali
nel centro di Sirena Project. Punti di forza
della sua campagna sono l’abbattimento
delle barriere architettoniche e “invisibi-
li”. “Oltre all’assenza di agevolazioni per
chi, come me, è costretto all’utilizzo della
sedia a ruote, denuncio la mentalità chiu-
sa di molte persone, che vedono ancora i
l’osservatore romeno
sempre più precari. Gli stessi che sono
destinatari degli appelli alla serenità e fi-
ducia e quindi alla prosecuzione di com-
portamenti consumistici per sostenere
l’ottimismo che risolverebbe qualsivoglia
crisi. Mentre scompaiono gli ammortiz-
zatori sociali ci si affida agli ammortizza-
tori famigliari. Quanto dureranno questi
ultimi?
La pubblica istruzione e l’assistenza sa-
nitaria hanno preso la strada della priva-
tizzazione che avrebbe l’obiettivo di otti-
mizzare i costi e migliorarne l’efficienza.
L’assistenza, la previdenza e la sicurezza
sociale, pur previste dalla Costituzione,
sono state trascurate negli ultimi anni
sullo sfondo di allarmi sicurezza gestiti
con decreti aventi come bersaglio gli im-
migrati.
Lui è figlio di una massaia e guarda quel-
la torta destinata a sostenere uno “stato
di benessere” farsi sempre più piccola.
E vede intorno a questa torta quelli che
l’amministrano, ne dispongono e che vo-
disabili come un peso per la società”.
Punta sulle barriere architettoniche anche
Massimiliano Piombo, non vedente e vin-
citore, nel 2009, dei mondiali paralimpici
di tiro con l’arco. Piombo è candidato nel-
la lista di Daniele Corticelli. “Molta gente
non capisce che l’abbattimento delle bar-
riere architettoniche non è un aiuto solo
per chi ha dei problemi, ma serve a tutti”.
In particolare Piombo propone di realiz-
zare un “discorso acustico cittadino”, ba-
sato sulle segnaletiche per i pedoni non
q| Illustrazione di Paola Sapori
gliono una fetta sempre più grande… e
vede altri che sognano di sostituire i pri-
mi in questo privilegio che toglie ad alcu-
ni il necessario e l’indispensabile per as-
sicurare ad altri il superfluo. Va da sé che
l’accesso alle risorse culturali o la difesa
dell’ambiente naturale sarebbero virtuo-
sismi in tempi in cui si taglia il resto.
Lei è una donna lavoratrice, madre e fi-
glia. Ha bisogno di accertamenti sanita-
ri piuttosto urgenti. Le liste d’attesa ne-
gli ospedali per una visita medica, anche
se inserita in programmi di prevenzione,
sono lunghissime. Dovrà rivolgersi ad
una clinica privata. Con ammortizzato-
ri famigliari. Lui, suo marito, non riesce
proprio a capire.
Io sono un osservatore romeno e pure
italiano. Vivo da vent’anni nel Belpaese.
E come loro, continuo a non capire. So-
prattutto la rassegnazione e l’accettazio-
ne degli assiomi che legittimano questa
continua potatura della spesa sociale con
l’inarrestabile innesto degli immigrati.
vedenti. Piero Lanzoni, in sedia a ruote
dal 1989 a causa della sclerosi multipla,
si presenta nella lista di Stefano Aldro-
vandi. Presidente del Comitato pazienti
del Bellaria, vuole “potenziare i servizi co-
munali, con un occhio di riguardo a quelli
di Iperbole”. Il lavoro per i disabili è un
altro punto focale del suo programma,
“ma dovrebbe essere un lavoro dinami-
co e tecnico, contro il luogo comune che
vede i disabili inadatti a lavori specializ-
zati”. (Fonte: Redattore Sociale)
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Da 25 anni è il “bar sport” per eccellenza, ma ora
Roberto Cevenini annuncia la pensione: “Non ho mai
chiesto una lira a nessuno, chiedo solo l’educazione”
Fine stagione al Bar Ciccio
p leonardo tancredi
S
alendo verso i colli, su per via
San Mamolo, si incontrano molti
bei posti per vedere Bologna, ma
solo in un uno si vede benissimo il Bolo-
gna. È il Bar Ciccio, da 25 anni una delle
culle del tifo bolognese. Il suo proprieta-
rio Roberto Cevenini, ma non osate non
chiamarlo Ciccio, ha annunciato il suo ri-
tiro dalle scene a fine stagione, come una
gloria del calcio locale. Ci ha raccontato
come trasmettere il calcio in tv sia diven-
tato per lui una sorta di attività sociale.
Com’è iniziata?
Questo terreno era di mio padre che lo
regalò al Partito Comunista per farci la
Casa del popolo. Ci hanno fatto il Cral e
la sezione e al piano di sopra abitavano
il sindaco Dozza e Ciro Soglia, direttore
dell’Unità. Erano stati venduti due appar-
tamenti per fare un po’ di soldi, così mio
padre ci ha messo la terra, qualcun altro
ha messo questi soldi e hanno costruito
tutto. Io l’ho preso come Cral, ma non si
riusciva a lavorare bene, anche per que-
stioni legali. E allora l’abbiamo fatto di-
ventare un bar normale, con licenza e tut-
to. Era il primo aprile del 1986.
Com’è diventato il Bar Ciccio?
Col calcio. Chi è che ti faceva vedere le
partite gratis? Io ho fatto subito l’abbona-
mento alla tv a pagamento e non ho mai
chiesto una lira a nessuno, chiedo solo
l’educazione. Prima regola brisa straz-
zer i maròn (non rompere le palle, per i
non nativi, ndr). Nel giardinetto là fuori ci
stanno 60-70 persone, altrettante dentro.
Ci sono state delle partite, ai Mondiali
credo, che era così pieno che c’era gente
anche in strada che non riusciva a vedere
le immagini ma restava lì ad ascoltare.
Con le tv a pagamento si è tornati
agli anni ’50, quando la gente si
portava la sedia da casa per anda-
re a vedere la tv al bar?
Sì, è vero. Stare insieme è la cosa più bel-
la. Al mondo la gente deve fare delle cose
insieme. Non ti piace? Vai via, non stare
a fare dei casini.
Una parte di tifosi contesta la dif-
fusione del calcio in tv, dice che
svuota gli stadi e impone regole
restrittive di accesso, che ne pen-
si?
Affari loro. La gente, per me, se paga per
andare allo stadio, deve trovare sicurez-
za, sicurezza dalla pioggia, coperti tutti.
Per ora le società hanno solo dei diritti,
devono avere anche dei doveri verso i ti-
fosi. Devono aiutare i cittadini ad andare
allo stadio, cose fatte bene, tranquille, in
spalle alla porta
modo tale che non ci sia mai possibilità
di litigare.
Chi viene qui a vedere le partite?
Gente di tutti i tipi. Guidolin veniva sem-
pre qui. Francesco, se sua moglie non era
via, veniva qui a vedere la partita. Arri-
vano da tutto il mondo, tutto il mondo
di Bologna ovviamente, c’è un branco
di gente che non so neanche chi sono.
I vecchietti arrivano qua un’ora prima e
stanno dentro, in giardino son tutti cin-
ni, di là c’è un altro televisore e sono un
po’ misti. Non solo tifosi del Bologna, si
guarda tutto, quello che c’è da vedere si
vede, chiaro se c’è il Bologna si vede il
Bologna.
Secondo te perché il tuo bar è un
posto speciale?
La cosa bella è che non ci sono i soldi di
mezzo, se vuoi prendere un caffè lo pren-
di, se no sei libero di entrare lo stesso, io
non chiedo niente a nessuno. Se ci sono
i soldi si crea confusione, stesso discorso
per lo stadio, bisognerebbe andare alla
partita per stare insieme e basta, se uno
deve pagare poi ha delle pretese. Invece
stadio gratis e poi ogni società può crea-
re un’attività commerciale là intorno per
avere il suo guadagno. Io sono la prova,
qua dentro si fa calcio dall’86 e non c’è
mai stato un casino.
Al Bar Ciccio calcio e politica si
mescolano nei discorsi?
Ah, io ne parlo spesso… io sono sempre
stato di idee comuniste, comunista de-
mocratico, e vado avanti con quello, mi
iscrivo, nel caso critico la mia sezione,
ma seguo quello che fa il partito. Sul cal-
cio forse l’unica che il partito può fare è
educare i giovani, ma in tutto, dallo sport
all’educazione stradale.
Che ne pensi di un corso di ag-
giornamento sul calcio per Virgi-
nio Merola?
Non voglio dire niente, ma io credo che
se il sindaco di Bologna non va allo sta-
dio, non è il sindaco di Bologna, non dico
a tutte le partite ma a molte. È importan-
te, poi magari allo stadio c’è il sindaco di
un’altra città e si trovano là per parlare. È
anche meglio così, no?
Che progetti hai per i prossimi
anni?
Vediamo quando smettiamo, poi, da lì,
una cosa che sicuramente voglio fare è
partire con una roulotte e girare l’Italia,
soprattutto le coste, sempre se la salute
mi assiste. L’erede prenderà il mio posto.
Per me obbiettivo cento. (leonardotancre-
di@piazzagrande.it)
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Liz Murray
Dal Bronx ad Harvard
Da senza dimora a psicologa di successo:
dagli Usa arriva una storia a lieto fine
che è diventata anche un libro
p ALAIN VERDIAL RODRIGUEZ
N
ascere nel Bronx, a New York
non è mai stato facile. E se i
tuoi sono due hippie tossico-
dipendenti, allora diventa ancora più
difficile. Questa è stata l’infanzia di Liz
Murray. Un padre e una madre che ru-
bavano per poter comprare eroina men-
tre Liz cercava di sopravvivere assieme
alla sua sorella più piccola trascorrendo
intere nottate sveglie, chiedendosi il mo-
tivo per il quale dovevano vivere proprio
così, ed aspettando quei ‘’tempi miglio-
ri’’ che sua mamma le prometteva.
Quando Liz compie 15 anni le cose peg-
giorano con la morte della madre di
Aids, il trasferimento del padre in una
comunità per tossicodipendenti e l’ado-
zione della sorella in un centro di ac-
coglienza. La ragazzina diventa una dei
tanti senza dimora che dormono fra car-
toni nelle strade di New York. Per fortu-
Sullo scaffale
Le storie dei centri sociali
fra sgomberi e occupazioni
p daniele barbieri
S erafino D’Onofrio e Valerio Monte-
venti fanno centro con “Berretta ros-
sa” ovvero “Storie di Bologna attraverso i
centri sociali” (Pendragon, 16 €, 230 pagi-
ne). Utile ma anche scritto bene. Attenzio-
ne a quel plurale, “storie”, del sottotitolo.
Non è la “storia” (singolare) di Bologna
attraverso i centri sociali, che pure sareb-
be stato interessante. Per questo quasi
mai ci sono i nomi veri di protagoniste/i
e mancano spiegazioni o cronologie. Nel
recensire “Berretta rossa” un cronista de
“L’unità” ha esordito: “libro controindica-
to per i politici dei palazzi che non hanno
capito niente dei centri sociali”. Vero... a
metà. Da tutto il libro emerge che a non
comprendere nulla dei centri sociali è la
cultura produttivista e perbenista del “pi-
cista” (ora “pidduino”) medio. È una storia
di occupazioni, sgomberi (specialmente
ad agosto) e ri-occupazioni, accordi traditi
(dalle amministrazioni), campagne mar-
na, però, non tutte queste storie hanno
una brutta fine. La principessa conosce
il suo “principe azzurro”, un insegnan-
te che cerca di salvarle la vita e che la
aiuta ad entrare in un liceo adatto agli
adolescenti in condizioni di disagio. In
due anni Liz riesce a recuperare il tem-
po ingiustamente perso ottenendo i voti
più alti e soprattutto vincendo un’impor-
tante borsa di studio concessa dal New
York Times e che permette alla ragazza
di iscriversi a una delle più prestigiose
università del mondo: Harvard.
Oggi Liz è una brillante laureata in psi-
cologia che gira il mondo raccontando
la sua storia di realizzazione persona-
le, cercando di dare consigli e di evita-
re che altri possano arrivare a patire le
situazioni che lei è stata costretta a vi-
vere. Le conferenze - organizzate dalla
sua compagnia privata “Manifest Living”
tellanti (in testa il “Carlino”) con scarsità
di argomenti ma larghezza di calunnie. La
menzogna più grande (“gli estremisti ru-
bano alla città uno spazio”) si accompa-
gna all’omissione sfacciata: perchè quei
luoghi erano 99 volte su 100 abbandona-
ti, a volte da decenni; e 95 volte su 100
dopo gli sgomberi nessuno li ha utilizza-
ti. Succede così fuori Bologna? Sì, quasi
ovunque: da Forlì a Milano, dal Veneto a
Firenze. Fuori d’Italia non sempre va così.
Ci sono città (in Germania e in Olanda
ma anche altrove) dove se chi occupa un
luogo abbandonato va in Comune a rac-
contare i suoi progetti, trova amministra-
tori che ascoltano, e magari stabiliscono
convenzioni e/o finanziamenti. A volte
l’amministrazione ringrazia gli occupanti.
Come avrebbe dovuto fare nel ‘95 l’allora
sindaco di Bologna quando venne “resu-
scitato” in via Irnerio il Tpo, teatro po-
livalente occupato che tuttora r-esiste...
Cultura
- l’hanno portata a conoscere personag-
gi importanti come Bill Clinton o come il
Dalai Lama, e finalmente, dopo anni di
preparazione (e dopo l’uscita nel 2003
di un film per la tv chiamato “Homeless
to Harvard: The Liz Murray Story”, ovve-
ro “Da senza dimora a Harvard: la storia
di Liz Murray”) Liz raggiunge il suo sogno
pubblicando a gennaio di quest’anno la
sua autobiografia “Breaking Night” (fa-
cendo riferimento a quelle notti in bian-
co che Elizabeth passava quando era
una bimba). Il libro - che si può com-
prare sul sito www.manifestliving.com -
non è stato ancora tradotto in italiano.
È una favola hollywoodiana da un pae-
se con una grande disparità nella distri-
buzione della ricchezza, e preferiremmo
fare a meno dei principi azzurri, ma pro-
prio per questo la storia di Liz merita di
essere conosciuta.
Q| L’illustrazione di copertina
di “Berretta Rossa”
ma in altro luogo. Consiglio chi è appas-
sionato di demenza amministrativa di
leggersi bene questa storia che, guarda le
coincidenze, si snoda da pagina 90 (“la
paura”) a pagina 113 (il pronto intervento).
Le altre vicende - Berretta Rossa, Isola nel
Kantiere, Livello 57, Crash, Vag-61, Xm24
eccetera – hanno in comune la chiusura
delle istituzioni e la voglia indomabile di
cercare spazi “non omologati”; per il re-
sto sono storie molto diverse. Nella pre-
fazione Valerio Evagelisti spiega che dalle
parti dei centri sociali girano fraternità e
solidarietà difficili da trovare altrove ma,
conclude, “andatelo a spiegare a un pid-
duino, non capirà una parola”.
l’intervista
Le donne
di benni
p marika di cristina
Il suo ultimo libro si chiama
“Le Beatrici”. Una raccolta
di monologhi in cui Stefano
Benni sceglie come prota-
goniste otto donne. Una Be-
atrice dantesca dei nostri
tempi, una suora assatanata,
una donna ansiosa e una in
carriera, una vecchia bisbe-
tica e una vecchia sognan-
te, un’adolescente crudele e
una donna-lupo. Tra un mo-
nologo e l’altro sei poesie e
due canzoni. Benni racconta
i vizi e le virtù delle donne
con ironia. Il libro denuncia
gli stereotipi nati intorno alla
figura delle donne nel nostro
paese e sottolinea quanto sia
importante che esse riacqui-
stino autonomia e potere.
Come mai il titolo “Le Be-
atrici”?  E dove nasce
l’ispirazione per questo
libro?
Dal talento di cinque giovani
attrici.
Secondo  lei gli scritto-
ri contribuiscono ad ali-
mentare gli stereotipi sul-
le donne?
Ovviamente si. Creano fate
e streghe.
Il  libro può essere uno
spunto per le donne per
diventare migliori?
Per diventar migliori non lo
so, per rif lettere sì, come
ogni libro.
Ha partecipato a “Se non
ora quando”?
Sono andato, sì. Mi sembra-
va una manifestazione senti-
ta, non rituale o solo politica.
Bologna va verso le ele-
zioni.  Le piacerebbe un
sindaco donna sotto le
due torri?
Bologna non eleggerà mai
un sindaco donna, è una
città che ha terrore di ogni
cosa nuova.
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La città nel segno di Scorpione e Sagittario Dalle stalle alle stelle

L’ascendente
di Bologna Ariete
sempre
alla grande
Bilancia
le tensioni
si vanno
p claudio cannistrà stemperando
illustrazioni di paola sapori

C Toro Scorpione
osì come accade per ogni perso- prestigiosa università, che è la più anti-
na, anche le città oltre a un se- ca d’Europa, essendo stata fondata nel in ripresa alti e bassi
gno solare possiedono un ascen- 1088; questo è uno dei simboli per cui affettiva sentimentali
dente. Questo termine tecnico indica, Bologna risultava conosciuta nel mon-
in una carta natale, la costellazione che do. Qui per molti secoli esisteva anche
sorgeva all’orizzonte al momento della una cattedra di Astrologia, dove hanno
nascita, le cui caratteristiche completa- insegnato personaggi illustri, bolognesi Gemelli Sagittario
no l’individuo. Nell’oroscopo di una cit- e non, come Cecco d’Ascoli, Domenico al centro di ottime pro-
tà, l’ascendente indica in particolare la Maria Novara, Girolamo Manfredi, Luca positivi incroci spettive per la
sua struttura urbana e la sua vocazio- Gaurico, Giacomo Pietramellara, Giovan- planetari terza decade
ne. A riguardo, Bologna non fa eccezio- ni Antonio Magini. Il segno di Fuoco del
ne; anzi le si attribuiscono due tipolo- Sagittario è, infatti, collegato al deside-
gie di ascendenti: quello scorpionico e rio di apprendere, all’insegnamento con Cancro Capricorno
quello sagittariano. Queste valenze zo- particolare riguardo agli studi superiori, aumenta sfruttate la
diacali completano le caratteristiche alla disponibilità verso la conoscenza, ai l’energia seconda parte
taurine della città, che abbiamo visto il rapporti con l’estero. Si tratta di simbo- del mese
mese passato. L’ascendente Scorpione è logie proprio in relazione con l’ambien-
in relazione al fatto che Bologna è attra- te universitario e che dimostrano ancora
versata da una rete di acque sotterranee una volta l’apertura verso l’esterno del- Leone Acquario
e di canali, che in gran parte sono sta- la nostra città. Utilizzando un linguaggio dissapori qualche
ti coperti, ma che sono comunque pre- tecnico, possiamo dire che Bologna è e disaccordi malumore
senti nel sottosuolo. Infatti lo Scorpione, Toro con ascendente Scorpione/Sagitta- di troppo
in quanto governato da Plutone ovvero rio. In sintesi, la nostra città lega le ca-
Ade, dio degli Inferi, è in relazione con ratteristiche di concretezza, laboriosità e
le simbologie della palude, delle acque praticità taurina alle doti culturali sagit- Vergine Pesci
oscure e del mondo sotterraneo in gene- tariane, unite a un pizzico del misterioso in forte sempre col
rale. L’ascendente nel segno del Sagitta- fascino scorpionico! (canniclau@libero. recupero vento in poppa
rio è collegato alla presenza della nostra it)