Renato Giannini
Indice
1 Elementi di meccanica 1
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Dinamica dei sistemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2.1 Il principio di D’Alembert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2.2 Massa e peso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2.3 Il principio delle potenze virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2.4 Equazione di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.5 Esempio: equazione del bipendolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
2 L’oscillatore semplice 8
2.1 Oscillazioni libere non smorzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.2 Oscillazioni libere smorzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3 Oscillazioni forzate armonicamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.3.1 Energia dissipata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.3.2 Rappresentazione complessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.3.3 Isolamento alla base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.4 Risposta ad un’azione periodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.5 Risposta ad una forza impulsiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.6 Risposta ad un’azione non periodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.6.1 Integrale di Duhamel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.6.2 Integrazione diretta delle equazioni del moto . . . . . . . . . . . . . 31
2.6.3 Stabilità, decadimento di ampiezza ed elongazione del periodo . . . 33
2
INDICE i
Elementi di meccanica
1.1 Introduzione
Le forze agenti sulle strutture civili, nella maggior parte dei casi, si possono trattare come
se agissero staticamente; con questo si intende che, variando molto lentamente nel tempo,
esse inducono nella struttura velocità ed accelerazioni trascurabili, in modo tale che la
struttura passa da uno stato di equilibrio ad un altro attraverso stati che in pratica possono
essere considerati anch’essi di equilibrio. In quanto precede si intende che il termine stato
di equilibrio è sinonimo di stato di equilibrio statico.
Sebbene sia vero che la maggior parte delle azioni che interessano le strutture civili si
possono considerare ai fini pratici come statiche, è pur vero che esistono alcune importanti
eccezioni; p.es. le azioni indotte da macchinari rotanti all’interno di officine ed impianti
industriali, la pressione del vento, le azioni indotte da veicoli (in particolare quelli pesanti)
in movimento sui ponti ed i viadotti, le onde del mare, ecc. Non vi è dubbio però che
l’azione dinamica più importante per le strutture civili è quella sismica, almeno in quei
paesi, come l’Italia, dove è presente una rilevante attività sismica.
L’azione sismica si manifesta con un moto del terreno, in direzione orizzontale e verti-
cale, che trascina con sé le strutture degli edifici. Questo moto di trascinamento, indotto
dal sisma, induce delle forze di inerzia che agiscono sulla struttura nella direzione del
moto di trascinamento; particolarmente pericolosa è la componente orizzontale del moto,
che induce sulle strutture azioni che esse normalmente non sono chiamate a sopportare e
nei confronti delle quali sono spesso vulnerabili.
L’importanza che si attribuisce alle azioni sismiche è ben nota; essa discende dagli
effetti distruttivi che un terremoto violento può avere sulle costruzioni e dalla grande
estensione di territorio interessata dal fenomeno, che può assumere aspetti catastrofici, sia
dal punto di vista economico, sia da quello relativo alla perdita di vite umane.
La formulazione generale dell’analisi dinamica delle strutture, specialmente quando
queste vengono studiate con modelli lineari, prescinde ovviamente dal tipo di azione;
quindi nel seguito normalmente non si farà riferimento all’azione sismica. Tuttavia poiché
per l’analisi sismica sono stati sviluppati alcuni procedimenti specifici (p.es. l’analisi con
lo spettro di risposta), quando necessario, sarà abbandonato il generale per il particolare
specifico.
1
1.2 Dinamica dei sistemi 2
g = 9.81 m/sec2
p = m · g = 1 · 9.81 N
Nella pratica tecnica, in passato, è stata molto usata l’unità di forza chilogrammo-forza,
comunemente indicata con kgf (o più semplicemente con kg). Un chilogrammo-forza è la
forza peso esercitata da una massa di un chilo, cioè:
1 kgf = 1 kg · g = 9.81 N
La costante di gravitazione universale G è piccolissima (G = 6.66 × 10−8 cm3 sec−2 g−1 ); per questo motivo
la forza di gravità scambiata tra corpi di massa piccola non è avvertita: solo se almeno uno dei due
corpi ha grande massa, come quella di un pianeta o di una stella, la gravità ha effetti significativi. Su
piccola scala quindi dominano le forze elettromagnetiche, molto più intense: tuttavia queste hanno segno
opposto (attrattiva tra particelle di diversa carica, repulsiva tra quelle di carica uguale); poiché la materia è
generalmente neutra (cioè vi è uguale numero di particelle con carica positiva e negativa), a grande scala le
forze elettromagnetiche si annullano, mentre le forze gravitazionali, che sono sempre attrattive, divengono
prevalenti e dominano nella meccanica celeste.
2
Il caso dei vincoli scabri può essere incluso aggiungendo alle forze attive quelle dovute all’attrito.
1.2 Dinamica dei sistemi 4
in cui vi0 indica un arbitrario atto di moto virtuale, cioè compatibile con i vincoli fissi 3 ,
mentre × indica il prodotto interno (scalare) tra vettori. Nell’eq. (1.2) non compaiono le
forze reattive, il che normalmente costituisce una notevole semplificazione.
Nel caso di vincoli fissi Pi non dipende esplicitamente da t e quindi l’ultimo termine nella
(1.4) viene a mancare. Se vi0 indica un atto di moto virtuale, essendo questo per definizione
relativo a vincoli fissi, si avrà:
X ∂Pi
vi0 = q̇k0 (1.5)
∂qk
k
Sostituendo l’eq. (1.5) nella equazione delle potenze virtuali (1.2), dopo aver scambiato
gli ordini di somma si ha:
nf "N #
X X ∂Pi
q̇k0 (Fi − mi ai ) =0
∂qk
k=1 i=1
Questa, per l’arbitrarietà dell’atto di moto virtuale q̇k0 , implica il sistema di equazioni:
N
X N
∂Pi X ∂Pi
Fi − mi ai =0
∂qk ∂qk
i=1 i=1
Indicando con vi la velocità del punto Pi , l’energia cinetica del sistema è definita dalla
relazione:
N
1X
T = mi vi × vi (1.7)
2
i=1
X N N
∂T ∂vi X ∂Pi
= mi vi = mi vi
∂ q̇k ∂ q̇k ∂qk
i=1 i=1
X N
∂T ∂vi
= mi vi
∂qk ∂qk
i=1
somma dell’energia cinetica e della funzione potenziale, l’eq. (1.9) si può scrivere in modo
più sintetico:
d ∂L ∂L
− =0 (1.12)
dt ∂ q̇k ∂qk
che è un’altra forma delle equazioni di Lagrange.
L’equazione (1.12) è l’equazione di Eulero del funzionale:
Z t2
S= L(q, q̇, t) dt (1.13)
t1
chiamato l’azione del sistema. L’equazione (1.12) implica che il sistema evolve tra due
qualsiasi istanti di tempo t1 e t2 rendendo stazionaria l’azione S (principio di Hamilton).
Se i vincoli sono fissi, per cui L non dipende esplicitamente dal tempo, si può dimostrare
che la quantità:
H =T −U =T +V (1.14)
si conserva, cioè resta costante nel tempo. La quantità H non è altro che l’energia totale
del sistema, in quanto somma dell’energia cinetica T e dell’energia potenziale V = −U .
Quindi si può concludere che: in un sistema con vincoli bilaterali, lisci ed indipendenti dal
tempo e soggetto all’azione di sole forze conservative, l’energia totale H si conserva.
1£ ¡ 2 ¢ ¡ ¢¤
T = m1 ẋ1 + ẏ12 + m2 ẋ22 + ẏ22
2
1h 2 2
i
= (m1 + m2 ) l12 θ̇1 + 2m2 l1 θ̇1 l2 θ̇2 cos (θ1 − θ2 ) + m2 l22 θ̇2 (1.17)
2
Analogamente dalle (1.15) si ottiene la forma esplicita del potenziale U in funzione delle
coordinate lagrangiane:
U = −m1 y1 g − m2 y2 g = g {m1 l1 cos (θ1 ) + m2 [l1 cos (θ1 ) + l2 cos (θ2 )]}
(1.18)
e quindi, sommando le eq. (1.17) e (1.18), si ha la funzione di Lagrange:
1h 2 2
i
L=T +U = (m1 + m2 ) l12 θ̇1 + 2m2 l1 θ̇1 l2 θ̇2 cos (θ1 − θ2 ) + m2 l22 θ̇2 +
2
g {m1 l1 cos (θ1 ) + m2 [l1 cos (θ1 ) + l2 cos (θ2 )]} (1.19)
Applicando l’equazione di Lagrange (1.12) alla funzione (1.19), si ottengono le due
equazioni seguenti, che descrivono la dinamica del sistema:
d ∂L ∂L
− = (m1 + m2 ) l12 θ̈1 + m2 l1 l2 cos (θ1 − θ2 ) θ̈2 +
dt ∂ θ̇1 ∂θ1
2
m2 l1 l2 sin (θ1 − θ2 ) θ̇2 + g (m1 + m2 ) l1 sin θ1 = 0 (1.20)
d ∂L ∂L
− = m2 l1 l2 cos (θ1 − θ2 ) θ̈1 + m2 l22 θ̈2 −
dt ∂ θ̇2 ∂θ2
2
m2 l1 l2 sin (θ1 − θ2 ) θ̇1 + gm2 l2 sin θ2 = 0 (1.21)
Le equazioni (1.20) e (1.21) sono nonlineari; per valori piccoli degli angoli θ1 e θ2 le funzioni
trigonometriche seno e coseno possono essere approssimate dai termini lineari del loro
sviluppo in serie, ottenendo:
2
(m1 + m2 ) l12 θ̈1 + m2 l1 l2 θ̈2 + m2 l1 l2 (θ1 − θ2 ) θ̇2 + g (m1 + m2 ) l1 θ1 = 0
(1.22a)
2
m2 l1 l2 θ̈1 + m2 l22 θ̈2 − m2 l1 l2 (θ1 − θ2 ) θ̇1 + gm2 l2 θ2 = 0
(1.22b)
Queste equazioni tuttavia sono ancora nonlineari a causa dei termini che contengono i
quadrati delle velocità angolari θ̇ che tengono conto degli effetti delle forze centrifughe; se
le velocità sono sufficientemente piccole i loro quadrati si potranno trascurare con un’ap-
prossimazione confrontabile con quella precedente e si ottiene allora il semplice sistema di
due equazioni lineari accoppiate:
L’oscillatore semplice
Si consideri una struttura molto semplice, composta da una trave sostenuta da due pilastri
uguali (portale), come quella rappresentata nella fig. 2.1. Se si suppone che siano soddi-
sfatte le seguenti condizioni: i) la trave sia molto più rigida dei pilastri, in modo che le
rotazioni dei nodi siano trascurabili, ii) la rigidezza assiale dei pilastri sia molto maggiore
di quella flessionale, in modo che i pilastri si possano ritenere assialmente indeformabili,
iii) il telaio si sposti solo nel suo piano; questo sistema ha un solo grado di libertà, lo
spostamento x dalla posizione di equilibrio statico.
in cui k = 2 · 12EJ/h3 indica la rigidezza dei pilastri. Dividendo l’eq. (2.1) per m ed
introducendo la quantità:
k
ω2 = (2.2)
m
l’eq. (2.1) diviene:
τ = ωt (2.4)
8
2.1 Oscillazioni libere non smorzate 9
in cui A e B sono parametri che dipendono dalle condizioni iniziali, cioè dallo stato della
struttura al tempo τ = 0.
Derivando la (2.7) rispetto a τ si ha:
in cui y = dx/dτ è legato alla velocità v = dx/dt dalla semplice proporzionalità: y = v/ω,
come segue dalla (2.5). Indicando con x0 , y0 i valori di x ed y al tempo τ = 0, dalle
equazioni (2.7) e (2.8) esplicitate al tempo τ = 0, si ottengono i valori di A e B in funzione
delle condizioni iniziali x0 , y0 , per cui la (2.7) diviene:
Dalle eq. (2.7) o (2.9) si osserva facilmente che x(τ ) (ed y(τ )) sono funzioni periodiche
di periodo 2π:
x(τ + 2nπ) = x(τ ) n intero
Poiché x è periodica di periodo 2π in τ , rispetto al tempo reale t risulta periodica di
periodo
r
2π m
T = = 2π (2.10)
ω k
2.2 Oscillazioni libere smorzate 10
T è il periodo proprio delle oscillazioni libere della struttura, ω è detta pulsazione propria,
mentre l’inverso di T è detto frequenza propria
p f = 1/T = ω/2π. Dunque l’eq. (2.9)
descrive un moto oscillatorio, di ampiezza x20 + y02 e di periodo T , dato dall’eq. (2.10). È
importante osservare che il periodo delle oscillazioni libere dipende solo dalle caratteristiche
della struttura, massa e rigidezza, e non dallo specifico moto; in particolare il periodo delle
oscillazioni non è funzione dell’ampiezza del moto: vibrazioni di piccola o grande ampiezza
compiono un ciclo nello stesso tempo, almeno fin quando il modello elastico lineare descrive
con sufficiente esattezza il comportamento strutturale.
elastica, nella fase di scarico invece la forza risulta minore, come illustrato schematica-
mente nella fig. 2.2; l’area racchiusa nel ciclo rappresenta il lavoro fatto sul sistema e non
restituito, per cui la trasformazione risulta ora irreversibile. Questo fenomeno si può spie-
gare assumendo che sul sistema agisca, oltre la forza elastica −kx, anche una forza viscosa
o attritivo, la cui ampiezza ed il segno dipendono dalla velocità; il modello più sempli-
ce è quello della viscosità lineare, in cui la forza è data dal prodotto della velocità per
una costante, che dipende dalle proprietà del materiale e dalla configurazione strutturale.
Con riferimento alla semplice struttura della fig. 2.1, questo effetto può essere modellato
aggiungendo al sistema un elemento viscoso, schematicamente illustrato in fig. 2.3, che
esplica sulla massa m una forza viscosa FD = −cẋ(t), proporzionale alla velocità del si-
stema ed al coefficiente di viscosità c. Che la forza FD sia dissipativa si può verificare
calcolando il lavoro fatto da questa forza in un ciclo:
I Z T µ ¶2
dx dx
WD = −c dx = −c dt < 0 (2.11)
dt 0 dt
esso risulta (se c > 0) sempre negativo, come segue dal fatto che la funzione integranda
nell’eq. (2.11) è sempre positiva.
Se si tiene conto anche delle forze di tipo viscoso che si sviluppano nella struttura,
l’eq. (2.1) deve essere sostituita dalla:
Dividendo tutti i termini dell’eq. (2.12) per m, tenendo conto della (2.2) ed inoltre ponendo:
√
c = 2mωξ = 2 kmξ (2.13)
si ottiene:
Quindi eseguendo il cambiamento di variabile (2.4), dal tempo reale t a quello adimensio-
nale τ , risulta l’equazione:
in cui compare il solo parametro ξ; questo viene indicato come il coefficiente di smorza-
mento percentuale, per i motivi che saranno chiariti nel seguito; poiché c ha le dimensioni
di una forza divisa per la velocità e perciò di una massa divisa per il tempo, ξ risulta
adimensionale.
L’integrale generale dell’eq. (2.15) è:
α2 + 2ξα + 1 = 0 (2.17)
ossia:
q q
α1 = −ξ + ξ 2 − 1 α2 = −ξ − ξ 2 − 1 (2.18)
avendo posto
q
δ = 1 − ξ2 (2.21)
x(0) = C2 = x0
ẋ(0) = C1 δ − C2 ξ = y0
per cui le eq. (2.20) e (2.22) si possono scrivere esplicitamente in funzione delle condizioni
iniziali:
· ¸
−ξτ y0 + x0 ξ
x(τ ) = e x0 cos(δτ ) + sin(δτ ) (2.23)
δ
· ¸
−ξτ x0 + y0 ξ
ẋ(τ ) = e y0 cos(δτ ) − sin(δτ ) (2.24)
δ
Ponendo y0 = 0 (questa condizione può sempre essere verificata, fissando opportuna-
mente l’origine del tempo) le equazioni (2.23) e (2.24) si semplificano nelle:
· ¸
−ξτ ξ
x(τ ) = x0 e cos(δτ ) + sin(δτ ) (2.25)
δ
1
ẋ(τ ) = −x0 e−ξτ sin(δτ ) (2.26)
δ
Dalla (2.26) appare evidente che ẋ(τ ) = 0 se δτ = nπ, dove n = 0, 1, 2, . . . è un numero
intero. In corrispondenza degli istanti in cui ẋ si annulla, x(τ ) prende valori estremali
(massimi o minimi); in particolare se x0 > 0, x è massimo per n pari, minimo per n
dispari. Due massimi consecutivi si verificano quindi per ∆τ = 2π/δ; passando al tempo
naturale, si può definire un “periodo” delle oscillazioni smorzate TD come il tempo che
intercorre tra due massimi della risposta:
∆τ T
TD = =p (2.27)
ω 1 − ξ2
(T è il periodo delle oscillazioni non smorzate); al periodo TD corrisponde una “pulsazio-
ne”:
q
ωD = ωδ = ω 1 − ξ 2 (2.28)
Queste relazioni mostrano che il periodo delle oscillazioni libere, smorzate o no, non di-
pende dalle condizioni iniziali, ma solo dalle caratteristiche dell’oscillatore, la massa, la
rigidezza e lo smorzamento percentuale ξ. Le eq. (2.20) e (2.23) descrivono un moto oscil-
latorio di ampiezza decrescente, come illustrato nella figura 2.4a. Il rapporto tra
due massimi consecutivi della risposta, agli istanti τ n = 2nπ/δ e τ n+1 = 2(n + 1)π/δ, per
l’eq.(2.25) risulta:
" #
x(τ n+1 ) 2ξπ
= exp − p (2.29)
x(τ n ) 1 − ξ2
e dipende soltanto dal coefficiente ξ. Il logaritmo dell’inverso di questo rapporto è detto
decremento logaritmico:
µ ¶
x(τ n )
∆l = log (2.30)
x(τ n+1 )
L’eq. (2.29) si può risolvere in ξ, esprimendo lo smorzamento percentuale in funzione del
decremento logaritmico:
∆l
ξ=q (2.31)
∆2l + 4π 2
2.2 Oscillazioni libere smorzate 14
0.0 20.0 40.0 60.0 80.0 0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0
≥ ≥
(a) (b)
Questa relazione può essere utilizzata per misurare il coefficiente di smorzamento sulla
base di registrazioni del moto di risposta.
Quando ξ = 1 l’equazione (2.17) ha due radici reali coincidenti α = −1. In questo caso
la soluzione dell’eq. (2.15) prende la forma
Per valori di ξ superiori ad uno le radici dell’equazione caratteristica (2.17) sono reali e
distinte; il moto che ne risulta è ancora di tipo non oscillatorio, simile a quello relativo allo
smorzamento critico; tuttavia, come è illustrato nell’esempio in fig. 2.4b, il moto avviene
più lentamente ed il sistema impiega più tempo per raggiungere la posizione di equilibrio
(o meglio uno spostamento sufficientemente piccolo, preso convenzionalmente come zero).
F (τ /ω)
ẍ(τ ) + 2ξ ẋ(τ ) + x(τ ) = (2.36)
k
Se la forza F (t) varia con legge armonica, indicando con ω f la sua pulsazione, si può
porre F (t) = F0 sin(ω f t); sostituendo questa espressione nell’eq. (2.36), si ottiene:
F0
u0 = (2.38)
k
ad indicare lo spostamento che la struttura subirebbe per effetto una forza di modulo F0
applicata staticamente, mentre
ωf
β= (2.39)
ω
indica il rapporto tra la pulsazione (o la frequenza) della forzante e quella delle oscillazioni
libere (non smorzate) della struttura.
Seguendo la regola generale per la soluzione delle equazioni lineari non omogenee, la
soluzione dell’eq. (2.37) si ottiene sovrapponendo all’integrale generale della stessa equa-
zione resa omogenea (cioè eliminando il termine a secondo membro), un integrale parti-
colare dell’equazione completa (2.37). Nel seguito si supporrà che la struttura abbia uno
smorzamento subcritico (ξ < 1), pertanto l’integrale generale dell’equazione omogenea è
quello espresso dall’eq. (2.20). La soluzione particolare dell’equazione completa si ottiene
assumendo che possa porsi nella forma:
Ponendo in evidenza le funzioni sin(βτ ) e cos(βτ ), appare evidente che questa equazione
risulta identicamente soddisfatta per ogni valore di τ se risultano entrambi nulli i coeffi-
cienti delle funzioni seno e coseno. Imponendo queste condizioni si ottiene il sistema di
due equazioni nelle incognire A1 , A2 :
(1 − β 2 )A1 − 2ξβA2 = u0
2ξβA1 + (1 − β 2 )A2 = 0
la cui soluzione è
1 − β2 −2ξβ
A1 = u0 A2 = u0 (2.41)
(1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2 (1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
Quindi, sostituendo le espressioni dei coefficienti A1 ed A2 nell’eq. (2.40), si determina
l’espressione esplicita della soluzione particolare dell’equazione non omogenea (2.37):
u0 £ 2
¤
x̄(τ ) = 2 2 2 2 (1 − β ) sin(βτ ) − 2ξβ cos(βτ ) (2.42)
(1 − β ) + 4ξ β
L’eq. (2.40) si può anche scrivere in forma più espressiva ponendo:
x̄(τ ) = X̄ sin(βτ − φ) (2.43)
in cui:
q
u0
X= A21 + A22 = q (2.44)
(1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
indica l’ampiezza del moto di risposta, mentre l’angolo φ, definito dalle relazioni:
A2 2ξβ
sin(φ) = − =q
X̄ (1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
(2.45)
A1 1 − β2
cos(φ) = =q
X̄ (1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
In presenza di smorzamento (ξ > 0), la parte dell’eq. (2.47) che dipende dalle condizioni
iniziali, cioè la soluzione dell’equazione omogenea, diminuisce esponenzialmente al crescere
di τ e tende a zero per per τ → ∞; in pratica per τ abbastanza grande questo termine
diverrà trascurabile a confronto di quello che dipende dalle caratteristiche della forzante.
Quindi nei sistemi dotati di smorzamento si possono distinguere due fasi della risposta: una
prima, per tempi vicini a quello iniziale, in cui il moto è influenzato dalle condizioni iniziali,
detta fase transitoria; una seconda, espressa dalla sola eq. (2.42), detta fase stazionaria,
in cui il moto di risposta non dipende dalle condizioni iniziali ma solo dalle caratteristiche
della forzante. Ovviamente la separazione tra queste due fasi è convenzionale, in quanto il
passaggio dall’una fase all’altra è continuo e, a rigore, la fase stazionaria si raggiunge solo
quando τ = ∞. In pratica però si può, con qualche arbitrio, scegliere un valore di τ oltre
il quale il contribito del termine (2.20) all’ampiezza totale del moto diviene trascurabile e
considerare stazionario il moto nel tempo successivo.
Poiché, come si riconosce guardando la figura 2.4a, anche per valori piccoli di ξ le
oscillazioni libere si smorzano dopo un numero limitato di cicli, è interessante puntare
l’attenzione sulla parte stazionaria della risposta. Dall’eq. (2.42) appare evidente che x̄(τ )
è periodica di periodo 2π/β in τ e quindi di periodo 2π/ω f in t; cioè lo stesso della forzante.
L’ampiezza massima della risposta X̄ è quella data dall’eq. (2.43), da cui si ricava che:
X̄ 1
=D= q (2.48)
u0 (1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
10.0
8.0
6.0 ↑=Ζ=ΜΚΜ
↑=Ζ=ΜΚΜΡ
D
↑=Ζ=ΜΚΝΜ
4.0 ↑=Ζ=ΜΚΡΜ
2.0
0.0
3.14
↑=Ζ=ΜΚΜΝ
↑=Ζ=ΜΚΜΡ
∞ 1.57
↑=Ζ=ΜΚΝΜ
↑=Ζ=ΜΚΠΜ
0.00
in cui Tf = 2π/ω f indica il periodo della forza F (t). Quindi sostituendo ad x(t) l’espres-
sione esplicita del moto stazionario (2.43), tenendo conto della (2.44), della (2.48) e delle
definizioni di β, τ e u0 , dall’eq.(2.51) si deduce:
Z
DF02 ω f 2π/ωf DF02
W = sin(ωf t) cos(ωf t − φ) dt = π sin(φ) (2.52)
k 0 k
Quindi rendendo espliciti i termini D e sin(φ) mediante sostituzione delle equazioni (2.48)
e (2.45), si ha:
F02 4πξβ
W = (2.53)
2k (1 − β )2 + 4ξ 2 β 2
2
Il primo termine nel secondo membro dell’eq. (2.53), F02 /2k è il lavoro fatto dalla forza
F0 applicata staticamente, nel ciclo di carico; il secondo termine tiene conto della legge
ciclica di applicazione della forza e degli effetti dinamici. È facile verificare che l’espressione
(2.53) del lavoro fatto dalla forza esterna in un ciclo coincide con quello dissipato dall’unico
elemento non conservativo dell’oscillatore ed espresso dall’integrale:
Z Tf
cẋ2 (t) dt
0
2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 20
6.0
4.0
2.0
0.0
x
-2.0
-4.0
-6.0
(a)
6.0
4.0
2.0
0.0
x
-2.0
-4.0
-6.0
Figura~2.7: Storie degli spostamenti di due oscillatori con lo stesso coefficiente di smor-
zamento ν = 0.05. Grafico (a): β = 0.9; grafico (b): β = 1.1. Con linea tratteggiata è
indicata la storia della forzante u0 sin(βτ )
1E+2
↑=Ζ=ΜΚΜΝ
↑=Ζ=ΜΚΜΡ
1E+1 ↑=Ζ=ΜΚΝΜ
↑=Ζ=ΜΚΟΜ
↑=Ζ=ΜΚΡΜ
1E+0
W
1E-1
1E-2
1E-3
Se sullo stesso piano dove viene riportato ~u si riporta anche il vettore ~x, di modulo Du0 e
che forma con ~u l’angolo −φ, i due vettori, ruotando solidalmente, descrivono, con le loro
proiezioni su y, l’ampiezza della forzante e del moto di risposta.
Se si interpreta il piano x, y come il piano dei numeri complessi, i vettori ~u e ~x si
possono interpretare come le rappresentazioni dei numeri complessi:
Più in generale, ponendo U eiβτ come termine noto nell’eq. (2.37), con U eventualmente
complesso, e cercando la soluzione stazionaria dell’equazione così ottenuta nella forma
Xeiβτ , dopo sostituzione nell’equazione (2.37), si ha:
da cui si ottiene:
U
X= 2 = H(β, ξ)U (2.58)
1 − β + 2iβξ
La funzione
1 1 − β 2 − 2iβξ
H(β, ξ) = = (2.59)
1 − β 2 + 2iβξ (1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2
2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 22
1 − β2 2βξ
cos(ψ) = sin(ψ) =
(1 − β 2 )2 + 4ξ 2 β 2 (1 − β 2 )2
+ 4ξ 2 β 2
con l’eq. (2.45).
Se U è reale ed uguale ad u0 , per l’eq. (2.57) e per quanto visto sopra si ha:
legge della parte stazionaria è espressa nell’eq.(2.54). La forza che il basamento trasmette
al terreno è evidentemente la somma delle forze assorbite dai vincoli, cioè la forza elastica
k x(t) e la forza viscosa c ẋ(t). Quindi, tenendo conto della (2.54), si ottiene facilmente:
100.00
↑ΖΜΚΜΝ
↑ΖΜΚΜΡ
↑ΖΜΚΝΜ
10.00
↑ΖΜΚΟΜ
↑ΖΜΚΘΜ
↑ΖΜΚΣΜ
1.00
TR
0.10
0.01
sistemi poco smorzati hanno l’inconveniente di attenuare lentamente gli effetti transitori
e, nel caso si dovesse verificare un’azione di frequenza vicina a quella naturale del sistema,
darebbero luogo a pericolose amplificazioni. Valori dello smorzamento prossimi al 10%
rappresentano di solito un buon compromesso tra queste due esigenze.
in cui
2nπ
ωn = (2.66)
Tf
2.4 Risposta ad un’azione periodica 25
da cui si deduce:
Z Tf
1
a0 = F (t) dt
Tf 0
Z Tf
(2.68)
1 −iω j t
Aj = F (t)e dt
Tf 0
Negli sviluppi dell’eq. (2.67) si è tenuto conto che le funzioni eiωn t , per ωn 6= 0, sono
periodiche e pertanto il loro integrale su di un intervallo multiplo del loro periodo è nullo.
Per l’eq. (2.65) la forza periodica F (t) è stata decomposta nella somma di una forza
costante a0 e di infinite forze variabili con legge armonica di ampiezza ||An || e periodo
ω n = 2nπ/Tf . Per la linearità del sistema, la parte stazionaria della risposta sarà la
somma delle risposte dello stesso sistema a queste forzanti armoniche agenti singolarmente.
Si potrà allora porre:
∞
X
x̄(t) = b0 + Bn eiωn t (2.69)
n=−∞
n6=0
Infine, sostituendo le soluzioni (??) nell’eq. (2.69) si ricava l’espressione esplicita della
risposta stazionaria del sistema alla forzante periodica F (t):
X∞
1
a0 +
iω n t
x̄(t) = H(β , ξ)A e (2.72)
k
n n
n=−∞
n6=0
Se F (t) è reale An e A−n formano coppie di numeri complessi coniugati; così i termini
dello sviluppo (2.65) sono, per valori opposti di n, complessi coniugati e la somma delle
coppie
An eiωn t + A−n e−iωn t = 2<{An eiωn t }
è reale e la sommatoria bilaterale può essere sostituita dalla sommatoria monolaterale:
∞
X
F (t) = a0 + 2 <{An eiωn t } (2.73)
n=1
Gli sviluppi in serie della forzante [eq. (2.65)] e della soluzione [eq. (2.72)] contengono
in teoria infiniti termini; tuttavia in pratica spesso sono sufficienti pochi termini dello
sviluppo per approssimare in modo accettabile la legge della forzante; inoltre, ricordando
che il modulo della funzione di trasferimento è la funzione di amplificazione, illustrata
in fig. 2.5, appare evidente come, per i sistemi debolmente smorzati, saranno fortemente
amplificate le componenti di frequenza prossima alla risonanza, mentre quelle di frequenza
molto maggiore verranno drasticamente ridotte; l’oscillatore funziona quindi come un filtro
che lascia passare, eventualmente amplificando, le armoniche di frequenza inferiore (o poco
maggiore) di quella naturale, mentre in pratica elimina le armoniche di frequenza più
elevata. Pertanto, per il calcolo della risposta, negli sviluppi sarà sufficiente tener conto
solo di un numero limitato di termini di frequenza superiore a quella di risonanza, dato
che gli altri sarebbero comunque filtrati dal sistema.
I coefficienti dello sviluppo di F (t) si calcolano utilizzando l’eq. (2.68). Per la (2.66), ricordando
che si è posto Tf = 2π, si ha:
2nπ
ωn = =n
Tf
Ovviamente a0 = 0, mentre per i termini periodici risulta:
µZ π Z 2π ¶
1 −int −int −1 + (−1)n
An = πe dt + −πe dt = i
2π 0 π n
Sommando i primi termini dello sviluppo (2.73) per n < 10 si ottiene la funzione rappresentata in
fig. 2.12.
2.5 Risposta ad una forza impulsiva 27
Figura~2.12: Approssimazione della funzione “onda quadra” mediante somma dei primi
termini (n < 10) dello sviluppo in serie di Fourier
I coefficienti dello sviluppo della risposta si ottengono moltiplicando i coefficienti An per la funzione
di trasferimento H(ω n /ω, ξ); sostituendo ad ω ed a ξ il loro valore si ha:
1
Bn = An
1 − (n/3.5)2 + 2i · 0.05 · n/3.5
Il modulo di 2An e 2Bn (per n < 10) è riportato nella fig 2.13; Sostituendo i valori di Bn così
calcolati nell’espressione (2.69) dello sviluppo, si ottiene la funzione di risposta, illustrata nella
fig. 2.14
. 2
d2 x
m = f (t)
dt2
Quindi, tenendo conto che la massa m non dipende dal tempo, si può anche scrivere:
µ ¶
d dx
m = f (t)
dt dt
2.5 Risposta ad una forza impulsiva 28
5.0
4.0
3.0
An, Bn
2.0
1.0
0.0
1 3 5 7 9
∂n
Figura~2.13: Ampiezza del modulo dei coefficienti dello sviluppo della forzante e della
risposta
Il prodotto della massa per la velocità è la quantità di moto del sistema, l’integrale a
secondo membro è detto l’impulso prodotto dalla forza f (t) nel tempo ∆t. L’eq. (2.74) di-
mostra che la variazione della quantità di moto in un intervallo di tempo uguaglia l’impulso
prodotto dalla risultante di tutte le forze agenti nello stesso tempo.
Se ad un sistema in quiete, al tempo t = 0, viene applicata una forza di intensità F0
costante per un tempo ∆t, la funzione di risposta del sistema x(t) può essere sviluppata in
serie di Taylor nell’intorno di t = 0; tenendo conto che per ipotesi si ha x(0) = ẋ(0) = 0,
lo sviluppo diviene:
mẋ(∆t) = F0 ∆t + O(∆t2 )
in cui
e−ξωt sin(ω D t)
h(t) = (2.82)
m ωD
è la funzione di risposta ad impulso dell’oscillatore di massa m, frequenza angolare ω e
smorzamento ξ.
Se nell’eq. (2.81) si esegue un cambiamento della variabile di integrazione, ponendo
0
t = t − θ, si ottiene l’espressione alternativa:
Z t−t0
x(t) = h(t0 )F (t − t0 ) dt0 (2.83)
0
per cui la risposta stazionaria si ottiene come prodotto di convoluzione tra la forza F (t) e
la funzione di risposta ad impulso h(t).
2
Questo non modifica il risultato, se per esempio si assume che F (t) ≡ 0 per t < t0
2.6 Risposta ad un’azione non periodica 31
soluzioni accurate. Questi aspetti saranno richiamati più avanti, dopo aver trattato delle
strutture con molti gradi di libertà.
si ottiene un’equazione in cui compaiono le grandezze xk ed xx−1 , che sono note, e l’unica
incognita xk+1 , che può quindi facilmente essere calcolata. In modo analogo, conoscendo
ora il valore di x ai passi k + 1 e k, si può determinarne il valore al passo k + 2; il proce-
dimento viene ripetuto per tutti i passi e consente di ottenere la soluzione, approssimata,
dell’equazione differenziale (2.86).
Ad ogni passo la soluzione dipende dal valore della funzione nei due passi precedenti;
nelle condizioni iniziali (al tempo t0 ) questo pone qualche problema perché in tal caso non
esiste un passo precente. Tuttavia all’istante iniziale devono essere noti il valore di x0 , e
quello della sua derivata prima ẋ0 e quindi, grazie all’equazione dinamica (2.86) scritta
per k = 0, anche l’accelerazione ẍk . Allora dalle equazioni (2.85) scritte per k = 0, si può
eliminare il termine x1 ed ottenere un’equazione in cui compaiono x0 , ẋ0 , ẍ0 , che sono
noti, e x−1 . Risolvendo questa equazione rispetto alla sola incognita si ottiene:
∆t2
x−1 = x0 − ẋ0 ∆t + ẍ0
2
che, insieme ad x0 , viene usato come valore di innesco del processo di integrazione.
un’accelerazione costante, uguale alla media dei valori iniziale e finale (metodo dell’acce-
lerazione media); per α = 1/2 e β = 1/3 la legge di interpolazione tra i valori estremi
dell’intervallo è lineare.
Come si vede dall’eq. (2.87), i valori finali di x ed ẋ al passo k + 1 dipendono dall’ac-
celerazione di fine passo, la quale a sua volta dipende, tramite l’equazione (2.86), da xk+1
ed ẋk+1 . Pertanto la soluzione richiede generalmente delle iterazioni: fissato un valore
di prima approssimazione per ẍk+1 (p.es. uguale al valore del passo precedente) si deter-
minano, mediante le eq. (2.87), xk+1 e ẋk+1 . Sostituendo questi valori nell’eq. (2.87), si
calcola ẍk+1 e quindi xk+1 e ẋk+1 ; il procedimento viene iterato fin quando il risultato non
è stabile.
I metodi impliciti sono, come si è visto, più onerosi perché richiedono ad ogni passo
alcune iterazioni, e quindi più calcoli; per contro sono in genere più accurati, e questo con-
sente di impiegare un passo di integrazione più grande, il che significa un minor numero
di passi, riducendo così sensibilmente il loro svantaggio. Inoltre, per opportune scelte dei
parametri α e β, il metodo di Newmark è incondizionatamente stabile, cioè la soluzione
resta limitata anche se il passo di integrazione è grande rispetto al periodo proprio dell’o-
scillatore: come si vedrà più avanti, questa proprietà è molto utile per sistemi con molti
gradi di libertà.
La matrice A può essere diagonalizzata utilizzando la base dei suoi autovettori; indicando
con Ψ la matrice degli autovettori di A e con Λ la matrice diagonale degli autovalori, si
ha: Λ = Ψ−1 AΨ; di conseguenza la matrice A si può decomporre nella forma normale:
A = ΨΛΨ−1 (2.94)
det(A − λI) = 0
in cui tr(A) indica la traccia della matrice A. Poiché l’eq. (2.96) è un’equazione di secondo
grado, la condizione che le sue radici siano complesse implica che il discriminante sia minore
di zero, ossia che:
tr(A)2 − 4 det(A) < 0
Per il metodo delle differenze centrali la matrice A è espressa dall’eq. (2.92); sostituita
nella precedente si ottiene la condizione:
(2 − ∆τ 2 )2 − 4 < 0
det(A) = 1 (2.98)
2.6 Risposta ad un’azione non periodica 35
ne segue che se è soddisfatta l’eq. (2.97) gli autovalori di A sono complessi, dunque la
soluzione è oscillante, ed inoltre, poiché in tal caso |λ| = 1, è anche stabile.
Se le soluzioni sono reali allora risulta:
à r !2
2 ∆τ 2 2
∆τ 4
|λ|max = 1 − + ∆τ −
2 4
La condizione |λ| ≤ 1 implica ∆τ ≤ 2: pertanto si può concludere che il metodo delle diffe-
renze centrali è stabile se ∆τ ≤ 2 e fornisce anche una soluzione oscillante se èsoddisfatta
la più restrittiva eq. (2.97), che nel tempo naturale t = τ /ω = τ T /2π significa:
∆t 1
< (2.99)
T π
Come si è notato in precedenza la condizione di stabilità non implica l’accuratezza della
soluzione; essa è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché la soluzione numerica
dell’equazione differenziale approssimi quella esatta. Per giudicare circa l’accuratezza del
metodo si esaminano altri due aspetti della soluzione: il decadimento dell’ampiezza e lo
scorrimento del periodo.
Gli autovalori di A, supponendo che le condizioni di stabilità siano verificate, sono
complessi coniugati e quindi si possono porre nella forma:
λ1 = |λ|eiφ λ2 = |λ|e−iφ
|λ| = det(A)1/2 = 1
Si può quindi concludere che al crescere del rapporto ∆t/T il periodo della soluzione
numerica ottenuta con il metodo delle differenze centrali si discosta, risultando più piccolo,
da quello esatto.
Metodo di Newmark
Quando il sistema è elastico lineare, l’equazione (2.88) può essere usata per esprimere ẍk+1
in funzione di xk+1 e ẋk+1 ; questo permette di eliminare l’accelerazione di fine passo dalle
equazioni (2.87), che così divengono esplicite, e si possono porre ancora nella forma (2.90),
in cui la matrice A è:
2 + (β − 1)∆τ 2 2∆τ
2 + β∆τ 2 2 + β∆τ 2
A= (α − β)∆τ − 2∆τ 2 + (β − 2α)∆τ
3 2
(2.105)
2 + β∆τ 2 2 + β∆τ 2
Esplicitamente, la condizione che gli autovalori siano complessi, e quindi la soluzione
oscillante, si esprime ora:
∆τ 2 (1 − 8β + 4α + 4α2 ) − 16
tr(A)2 − 4 det(A) = ∆τ 2 <0
(2 + β∆τ 2 )2
da cui segue:
4
∆τ < p (2.106)
2
1 + 4(α + α − 2β)
2.6 Risposta ad un’azione non periodica 37
Si deve peraltro osservare che la condizione (2.107) deve comunque essere verificata, se
si vuole che la soluzione resti stabile anche quando il passo di integrazione è abbastanza
piccolo da soddisfare l’eq. (2.106).
Se α = β ed α ≥ 0 l’equazione (2.108) è soddisfatta per qualsiasi valore di ∆τ ; in questo
caso l’integratore si indica come incondizionatamente stabile; tuttavia la soluzione risulta
oscillante solo se il passo di integrazione è abbastanza piccolo da soddisfare l’eq. (2.106),
che per α = β ora si scrive:
4
∆τ <
|1 − 2α|
Un altro modo per avere condizioni di stabilità incondizionata, sempre ammesso che si
abbia α ≥ 1/2, consiste nel rendere infinito il secondo membro dell’eq. (2.106): in tal modo
la soluzione risulta sempre oscillante (perché è verificata l’eq. (2.106)) e stabile, perché è
imposta la condizione (2.107). Annullando il denominatore del termine a secondo membro
dell’eq. (2.106) si ottiene:
1 + 4(α2 + α − 2β) = 0
che è verificata se si pone;
(1 + 2α)2
β= (2.109)
8
Poiché la condizione di stabilità richiede che si abbia α > 1/2, è conveniente porre
1
α= +² (² ≥ 0)
2
2.6 Risposta ad un’azione non periodica 38
(1 + ²)2
β=
2
√
Per ogni scelta di ² tale che 0 ≤ ² ≤ 2 − 1 si ottiene un procedimento che risulta in-
condizionatamente stabile. Si osservi che per ² = 0 si ha α = β = 1/2: questo dimostra
che il metodo dell’accelerazione media è incondizionatamente stabile. Al contrario il me-
todo dell’accelerazione lineare (α = 1/2 β = 1/3) non è incondizionatamente stabile; la
condizione di stabilità dell’equazione (2.108) diviene per questo caso:
√
∆τ ≤ 2 3
4 + (1 − ²)2 ∆τ 2
|λ|2 = det(A) =
4 + (1 + ²)2 ∆τ 2
Quindi risulta evidente che |λ| < 1, con l’eccezione del caso ² = 0. Il metodo dell’accele-
razione media è il solo, tra gli algoritmi di Newmark, che sia incondizionatamente stabile
e non presenti decadimento di ampiezza.
Per ² > 0 si manifesta un decadimento di ampiezza; dalle due combinazioni per cui il
metodo risulta incondizionatamente stabile si ottengono risultati molto simili; nel seguito
si fa riferimento alla scelta che rende la soluzione stabile ed oscillante. Sostituendo allora
la precedente espressione di |λ| nell’eq. (2.101) si ottiene che la riduzione di ampiezza in
un periodo è:
· ¸π/∆τ
4 + (1 − ²)2 ∆τ 2
DA =
4 + (1 + ²)2 ∆τ 2
I primi termini dello sviluppo in serie di questa espressione sono:
1
DA = 1 − π ² ∆τ + π 2 ²2 ∆τ 2 + O(∆τ 3 )
2
Il logaritmo dell’inverso di DA è il decremento logaritmico delle oscillazioni libere; a
questo decremento corrisponde uno smorzamento percentuale che si calcola con l’eq. (2.31).
Sviluppando in serie di Taylor l’espressione che ne risulta si ha:
1 2² + 3²3
ξ ∗ = ²∆τ − ∆τ 3 + O(∆τ 4 )
2 16
Questo smorzamento non compare esplicitamente nelle equazioni del moto ma è equiva-
lente, nel senso che produce gli stessi effetti dell’algoritmo numerico; per questo motivo è
chiamato smorzamento numerico dell’algoritmo. Se ∆τ è sensibilmente inferiore ad uno,
in modo che siano trascurabili gli infinitesimi superiori, lo smorzamento numerico è circa
2.6 Risposta ad un’azione non periodica 39
²∆τ /2. Quindi, se si vuole ridurre il decadimento di ampiezza, occorre assumere valori
piccoli di ² ed usare un piccolo passo di integrazione.
Per determinare l’entità dello scorrimento del periodo si determina il coseno dell’argo-
mento degli autovalori di A:
tr(A)
cos(φ) =
2 det(A)1/2
Quindi lo scorrimento di periodo si calcola con l’eq. (2.104). Per gli algoritmi incondizio-
natamente stabili ed oscillanti, ponendo α = 1/2 + ², β = (1 + ²)2 /2, e sviluppando in serie
di ∆τ , si ha:
1 + 3²2
Sp = ∆τ 2 + O(∆τ 4 )
12
Per il metodo dell’accelerazione media si ha in particolare:
∆τ 2 ∆τ 4
Sp = − + O(∆τ 6 )
12 180
mentre il metodo dell’accelerazione lineare (che non è incondizionatamente stabile) ha
un’elogazione del periodo:
∆τ 2 17
Sp = − ∆τ 4 + O(∆τ 6 )
24 5760
Per ∆τ → 0 il metodo dell’accelerazione lineare produce lo stesso scarto di periodo del
metodo delle differenze centrali (ma con segno opposto); al crescere di ∆τ però la situazione
diviene più favorevole per il metodo di Newmark, come dimostra, nello sviluppo in serie
della funzione Sp , la differenza di segno tra il termine quadratico e quello di quarto grado.
Capitolo 3
3.1 Introduzione
Gli oggetti reali, da un punto di vista macroscopico, sono continui e quindi caratterizzati
da infiniti gradi di libertà. Tuttavia, come insegna la teoria delle strutture, i mezzi continui
possono essere discretizzati, per esempio mediante la tecnica degli elementi finiti (e.f.), e
le equazioni differenziali che ne descrivono il comportamento ridotte a sistemi di equazioni
algebriche, la cui soluzione approssima quella esatta tanto meglio quanto più fitta è stata
la discretizzazione impiegata.
Analoghe considerazioni si applicano al problema dinamico, spesso in modo ancora
più marcato, come avviene ad esempio quando la maggior parte della massa è associata a
pochi gradi di libertà: in tal caso i gradi di libertà a cui è associata una massa trscurabile
possono essere “condensati” e non compaiono più come incognite esplicite nelle equazioni
del moto.
Per esempio, prendendo in esame un telaio multipiano a maglie rettangolari, come
quello illustrato nella fig. , se si trascura la deformabilità assiale delle travi e si ritiene che
le masse associate ai gradi di libertà di rotazione dei nodi siano piccole in confronto con
quelle relative alle traslazioni, tutte le masse si possono considerare concentrate a livello
dei piani. Non essendovi masse (e quindi forze) associate agli altri gradi di libertà, la
matrice di rigidezza della struttura può essere condensata, ponendo in relazione solo le
forze applicate ai piani e gli spostamenti corrispondenti.1
Con la notazione delle matrici, l’equazione di equilibrio della struttura si scrive:
Ku = f (3.1)
in cui K indica la matrice delle rigidezze, u è il vettore degli spostamenti dei piani ed f
è il vettore delle forze applicate ai piani. Se le sole forze applicate sono quelle d’inerzia,
1
La matrice condensata si può ottenere direttamente, p.es. mediante un programma ad e.f. standard,
imponendo uno spostamento unitario ai nodi di un piano e spostamenti nulli agli altri: le reazioni che si
ottengono formano una colonna della matrice di rigidezza condensata; variando a turno il piano a cui è
imposto lo spostamento si determinano tutte le colonne.
40
3.2 La matrice delle masse 41
detta matrice delle masse. Sostituendo le forze di inerzia ad f nell’eq. (3.1) si ottiene il
sistema di equazioni della dianamica di un sistema con masse concentrate e non forzato:
L’equazione (3.3) è formalmente simile alla (2.1) relativa ad un sistema con un solo
grado di libertà, ma le quantità scalari m e k sono sostituite dalle corrispondenti matrici
M e K. L’equazione (3.3) si riferisce al moto libero e non smorzato di un sistema con
molti gradi di libertà: il caso più generale del moto forzato di un sistema dissipativo si
ottiene con ovvie generalizzazioni: la presenza di azioni esterne comporta l’aggiunta di
un termine f (t), rappresentativo delle azioni esterne note, mentre gli effetti della viscosità
lineare vengono messi in conto introducendo un termine Cu̇(t), prodotto di una matrice
viscosa C per il vettore delle velocità. Sulla effettiva struttura della matrice C si tornerà
nel seguito, per ora si osservi che, con l’introduzione delle forze esterne e degli effetti viscosi,
l’equazione dinamica di un sistema discreto con più di un grado di libertà si sintetizza nella
formula:
In cui N(x) indica una matrice di funzioni interpolanti e u0 (t) è un vettore di parame-
tri, che nel metodo degli elementi finiti si interpretano come gli spostamenti dei nodi
dell’elemento.
Dal campo degli spostamenti si deriva quello delle deformazioni, mediante l’applicazio-
ne di un operatore differenziale D che, nella teoria linearizzata, valida per piccole defor-
mazioni, è lineare. Quindi applicando l’operatore D ad u, posto nella forma discretizzata
dell’eq. (3.5), si ottiene:
in cui
B(x) = D[N(x)]
è la matrice che trasforma il campo degli spostamenti nodali u0 nel campo delle deforma-
zioni ².
In un mezzo elastico lineare la relazione tra il campo delle deformazioni ² e quello delle
tensioni σ è lineare, per cui si ha σ = E², dove E è la matrice elastica del materiale.
Utilizzando l’espressione (3.6) per ², si ha quindi:
Utilizzando le equazioni dell’equilibrio nella forma del principio dei lavori virtuali, in-
dicando con g il vettore delle forze di massa, con δu il campo, arbitrario, degli spostamenti
virtuali e con δ² il corrispondente campo delle deformazioni, ed indicando con V il volume
dell’elemento, si ha:
Z Z
δε(x, t) σ(x,t) dx = δu(x, t)T g(x, t) dx
T
(3.8)
V V
che, per l’arbitrarietà del campo degli spostamenti δu0 , implica sia verificata l’equazione:
Nei problemi dinamici, tra le forze di massa g deve essere considerata la forza d’inerzia
−ρü (ρ indica la densità di massa del materiale); il contributo alla forza generalizzata
dovuto alla forza di inerzia si calcola quindi facilmente, sostituendo, nell’eq. (3.10), a g il
termine inerziale −ρü; utilizzando per u l’espressione (3.5) si ha pertanto:
µZ ¶
T
fi (t) = − ρN (x)N(x) dx ü0 (t) = −Mü0 (t) (3.11)
V
in cui
Z
M= ρNT (x)N(x) dx (3.12)
V
è la matrice “coerente” delle masse del sistema discretizzato. Nel caso di elementi fini-
ti l’equazione (3.12) fornisce la matrice delle masse dell’elemento: la matrice dell’intera
struttura si ottiene poi assemblando le matrici elementari con le solite regole, valide anche
per l’assemblaggio della matrice di rigidezza.
Aggiungendo il termine con le forze d’inerzia all’equazione di equilibrio si ottiene quindi
ancora l’equazione (3.4) (a meno del termine viscoso Cu̇) ma ora la matrice delle masse
non è più diagonale: essa non è stata ottenuta per semplice “aggregazione” nel nodo della
massa circostante, ma con un procedimento coerente (da qui la denominazione) con gli
altri procedimenti di discretizzazione.
Esempio 3.1 Si vuole costruire la matrice delle masse di una trave vincolata nel piano x, y, con
densità di massa per unità di lunghezza ρl , uniforme.
Nel riferimento proprio della trave, l’asse x coincidente con quello della trave, l’asse y ortogonale,se
si indica con u(x) = [u(x) v(x)]T il vettore degli spostamenti e con u0 = [u1 v1 φ1 u2 v2 φ2 ]T
il vettore dei parametri nodali, cioè le componenti dello spostamento e la rotazione di ciascuna
estremità della trave, la matrice delle funzioni interpolanti è:
" #
1 − xl 0 0 x
l 0 0
N(x) = 2 3 3 2 3 2
x3 x2
0 −3 xl2 + 1 + 2 xl3 xl2 + x − 2 xl 0 −2 xl3 + 3 xl2 l2 − l
Per determinare la matrice delle masse si sostituisce l’esprerssione di N(x) data dall’equazione
precedente nella (3.12); svolgendo i prodotti e quindi integrando tutti i termini della matrice
quadrata NT (x)N(x) per x variabile tra 0 ed l, tenendo conto che, per ipotesi, ρl non dipende da
x, si ha:
1 1
3l 0 0 6 l 0 0
0 13 11 2 9 13 2
35 l 210 l 0 70 l − 420 l
Z l
0 11 2 1 3 13 2 1 3
T 210 l 105 l 0 420 l − 140 l
M= ρN (x)N(x) dx = ρl 1
l 0 0 1
0 6 3 l 0 0
0 9
l 13 2
l 0 13
l − 11 2
l
70 420 35 210
13 2 1 3 11 2 1 3
0 − 420 l − 140 l 0 − 210 l 105 l
2
3.3 Oscillazioni libere non smorzate 44
Mü(t) + Ku(t) = 0
si pone:
Si assume quindi che la soluzione dell’eq. (3.3) si possa esprimere come il prodotto di un
vettore costante φ per una funzione scalare del tempo z(t); quindi si cerca, se esiste, una
soluzione dell’eq. (3.3) che si possa porre in tale forma.
Sostituendo l’eq. (3.13) nella (3.3) e moltiplicando tutti i termini a sinistra per φT , si
ottiene:
φT Mφ z̈(t) + φT Kφ z(t) = 0
quindi, tenendo conto che i prodotti φT Mφ e φT Kφ sono scalari, dall’equazione prece-
dente si trae:
z̈(t) φT Kφ
=− T = −ω 2 (3.14)
z(t) φ Mφ
cioè il rapporto tra la derivata seconda di z(t) e la funzione stessa deve uguagliare una
costante negativa. Il segno di questa costante consegue dal fatto che le quantità φT Mφ e
φT Kφ sono sempre positive. Questo si giustifica osservando che, se si interpreta il vettore
φ come un vettore di spostamenti impressi alla struttura, la quantità φT Kφ è, a meno
del fattore 12 , l’energia elastica della struttura, che è, come noto, sempre positiva. Analo-
gamente se φ si interpreta come il vettore delle velocità impresse ai nodi della struttura,
φT Mφ è il doppio dell’energia cinetica del sistema, grandezza anch’essa positiva.2
Dall’eq. (3.14) segue che z(t) deve essere soluzione dell’equazione differenziale:
che coincide con l’eq. (2.3), dell’oscillatore ad un g.d.l. libero e non smorzato, la cui
soluzione si può porre nella forma:
in cui A e φ sono costanti che dipendono dalle condizioni iniziali del moto.
Sostituendo l’espressione di z(t) (3.16) nell’eq. (3.13) e quindi questa di nuovo nella
(3.3), si ricava facilmente:
¡ ¢
−Mφω2 + Kφ A sin(ωt + φ) = 0 (3.17)
2
Quindi le matrici M e K sono definite positive
3.3 Oscillazioni libere non smorzate 45
Perché questa equazione sia soddisfatta per ogni valore di t deve risultare identicamente
nulla la quantità (−Mφω 2 + Kφ). Sostituendo ω2 con λ, questo implica che si deve avere:
Kφ = λMφ (3.18)
Questa equazione è identica a quella (A.49) studiata nell’appendice A: λ e φ devono
quindi essere l’autovalore ed il corrispondente autovettore, in forma generalizzata, delle
matrici K e M. Come è stato mostrato nei §§??, ??, ?? ed ??, poiché le matrici K e
M sono simmetriche ed il loro determinante non è nullo (come segue dal fatto che sono
definite positive), se n è l’ordine delle matrici, se ciè il sistema ha n g.d.l., l’equazione
(3.18) ha n soluzioni distinte φ1 , . . . , φn , a ciascuna delle quali è associato un autovalore
λk (k = 1, . . . , n) i cui valori non sono necessariamente sempre distinti. Sempre per la
simmetria di M e K si ha che gli autovalori λk e gli autovettori φk sono reali ed inoltre
i vettori φk sono linearmente indipendenti, pertanto formano una base per lo spazio Rn :
questo significa che ogni vettore x può essere ottenuto come una combinazione lineare dei
vettori φk .
Un’ulteriore proprietà che deriva dalla simmetria di M e K è che, per j 6= k si ha:
φTj Mφk = φTj Kφk = 0 j 6= k (3.19)
Quindi, se si indica con Φ la matrice n × n costruita con gli autovettori φk , risulta che le
matrici:
ΦT KΦ ΦT MΦ
sono diagonali ed inoltre:
¡ ¢
(ΦT MΦ)−1 (ΦT KΦ) = Φ−1 M−1 K Φ = Λ (3.20)
in cui Λ indica la matrice diagonale costruita con gli autovalori λk di K e M.
Da queste osservazioni segue che l’equazione (3.3) ha n soluzioni del tipo (3.13), una per
ogni autovettore di M e K: φk zk (t), in cui z√k (t) è a sua volta la soluzione dell’equazione
dell’oscillatore semplice di frequenza ω k = λk , dove λk è il corrispondente autovalore.
Dunque la più generale delle soluzioni dell’eq. (3.3) si potrà esprimere come combinazione
lineare delle precedenti, ossia:
n
X
u(t) = φk zk (t) (3.21)
k=1
3.3.1 Esempi
Come primo esempio si studiano le oscillazioni libere del doppio pendolo introdotto nel
§1.2.5, utilizzando le equazioni linearizzate (1.23).
Esempio 3.2 Oscillazioni libere del bipendolo Le equazioni del bipendolo sono state ot-
tenute nel nel §1.2.5, applicando le equazioni di Lagrange; in forma linearizzata, valida per piccole
oscillazioni, queste sono espresse dalle (1.23). Queste equazioni possono formularsi, con la notazio-
ne delle matrici, nella forma Mθ̈ + Kθ = 0, in cui θ indica il vettore delle coordinate lagrangiane
e le matrici delle masse e delle rigidezze sono:
· ¸ · ¸
(m1 + m2 ) l12 m2 l1 l2 g (m1 + m2 ) l1 0
M= K =
m2 l1 l2 m2 l22 0 gm2 l2
sono proporzionali (a meno di 2π) al quadrato dei periodi di oscillazione del sistema. Tali autovalori
si ottengono come radici dell’equazione precedente, e sono:
r ³ ´
2 2
(l1 + l2 )(m1 + m2 ) + (m1 + m2 ) m2 (l1 + l2 ) + m1 (l1 − l2 )
1
λ1 =
2g m1 + m2
r ³ ´
(l1 + l2 )(m1 + m2 ) − (m1 + m2 ) m2 (l1 + l2 )2 + m1 (l1 − l2 )2
1
λ2 =
2g m1 + m2
Nella figura p
3.1 sono riportati gli andamenti dei periodi di vibrazione (adimensionalizzate mediante
il fattore 2π (l1 + l2 )/g) dei due modi, in funzione del rapporto µ tra la massa m2 e quella totale e
per due casi del rapporto η tra la lunghezza l2 del secondo pendolo e quella totale. In linea continua
è rappresentato il caso η = 0.5, con linea punteggiata è rappresentato il caso η = 0.25, che peraltro
coincide con quello relativo a η = 0.75. Nella successiva figura 3.2 è riportata, in funzione degli
3.3 Oscillazioni libere non smorzate 47
0.8
0.6
0.4
0.2
p
Figura~3.1: Periodi di vibrazione del bipendolo (normalizzati con il fattore π (l1 + l2 )/g)
in funzione del rapporto µ = m2 /(m1 + m2 ); tratto continuo: η = 0.5; linea tratteggiata:
η = 0.25 e η = 0.75. Le linee superiori si riferiscono al primo modo, quelle inferiori al
secondo.
stessi parametri, l’ampiezza della componente θ1 del vettore delle coordinate, rapportata a θ2 ,
posta uguale ad 1. Dalla fig. 3.1 si osservi come il periodo del primo modo aumenta al crescere
della seconda massa in rapporto a quella totale, mentre il periodo del secondo diminuisce. Per
µ = 1 (tutta la massa concentrata nel secondo pendololo) il periodo di oscillazione del primo modo
coincide con quello del pendolo semplice di lunghezza l1 + l2 ; inoltre, dalla fig. 3.2 risulta che
θ2 = θ1 = 1, ossia il pendolo oscilla rigidamente, ignorando la cerniera intermedia. Al diminuire
della massa m2 il periodo del primo modo decresce; se la cerniera è al centro (l1 = l2 ) i periodi dei
due modi tendono a coincidere mentre θ1 → 0: l’ampiezza delle oscillazioni del pendolo superiore,
dotato di maggiore massa, si riduce e tende ad annullarsi (raffrontata a quella del pendolo di massa
minore) quando tutta la massa è nel nodo superiore.
Si determina ora la storia delle ampiezze delle coordinate angolari θ1 e θ2 per un doppio pendolo
con masse uguali (µ = 0.5) e per tre valori del rapporto η = l2 /(l1 + l2 ), assumendo le condizioni
θ1 = θ2 = 1 e θ̇1 = θ̇2 = 0. Indicando con φi (i = 1, 2) gli autovettori si ottengono le equazioni:
· ¸
1
φ1 [a1 cos (0) + b1 sin (0)] + φ2 [a2 cos (0) + b2 sin (0)] =
1
· ¸
2π 2π 0
φ [−a1 sin(0) + b1 cos(0)] + φ [−a2 sin(0) + b2 cos(0)] =
T1 1 T2 2 0
Per cui dalla seconda equazione segue che b1 = b2 = 0 mentre la prima si semplifica nella:
· ¸
1
φ1 a1 + φ2 a2 =
1
-1
-2
-3
Figura~3.2: Primo elemento del vettore modale in funzione del rapporto µ. I valori positivi
si riferiscono al primo modo, quelli negativi al secondo. Linea punteggiata η = 0.25; linea
continua η = 0.5; linea tratteggiata η = 0.75
e quindi
a1 = 1. 1324 a2 = −. 13243
Combinando questi risultati si ottengono le espressioni:
Gli andamenti nel tempo sono, nei due casi, rappresentati nelle figure 3.4 e 3.5.
Si noti come il contributo del seondo modo sia poco rilevante per i casi in cui η = 0.5 e η = 0.25,
mentre diventano importanti, almeno per il moto della massa superiore, nel caso η = 0.75. Questo
era d’altra parte prevedibile osservando il grafico della fig. 3.2, dove è evidente, per questo caso, la
grande ampiezza (negativa) della componente θ1 del secondo autovettore. 2
Come secondo esempio si riporta lo studio delle oscillazioni libere di un semplice telaio
di 3 piani con travi indeformabili (shear type).
3.3 Oscillazioni libere non smorzate 49
0.5
00 10 20 30 40 50 60
t
-0.5
-1
Figura~3.3: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.
µ = 0.5 η = 0.5. Con linea continua è rappresentato θ1 , con linea punteggiata θ2
0.5
00 10 20 30 40 50 60
t
-0.5
-1
Figura~3.4: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.
µ = 0.5 η = 0.25. Con linea continua è rappresentato θ1 , con linea punteggiata θ2
3.3 Oscillazioni libere non smorzate 50
0.5
00 10 20 30 40 50 60
t
-0.5
-1
Figura~3.5: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.
µ = 0.5 η = 0.75. Con linea continua è rappresentato θ1 , con linea punteggiata θ2
Esempio 3.3 Si vogliono determinare le frequenze e le forme modali del telaio a 3 piani rap-
presentato in fig. 3.6, ipotizzando che le travi siano indeformabili e trascurando la deformazione
assiale dei pilastri. Si assume inoltre che le masse sono interamente concentrate a livello dei piani.
Le sezioni dei pilastri sono 30 × 30 cm2 , le masse, uguali a tutti i piani, sono di 30 t, il modulo
elastico del materiale E = 3 × 107 KN/m2 .
Il sistema ha tre soli gradi di libertà, corrispondenti agli spostamenti dei piani. Numerando le
coordinate lagrangiane ui (gli spostamenti dei piani) partendo dal basso, la matrice di rigidezza si
costruisce facilmente partendo da quella dei pilastri. Indicando con
1
J= 0.3 × 0.33 = 6. 75 × 10−4 m4
12
il momento di inerzia della sezione di un pilastro e con Kp la rigidezza di un piano:
12EJ KN
Kp = 2 = 18000
33 m
La matrice di rigidezza della struttura risulta:
2Kp −Kp 0 36000 −18000 0
K = −Kp 2Kp −Kp = −18000 36000 −18000
0 −Kp Kp 0 −18000 18000
Poiché le masse sono concentrate, la matrice M è diagonale:
30 0 0
M = 0 30 0
0 0 30
Le frequenze proprie (al quadrato) del telaio si possono calcolare come autovalori della matrice
−1
30 0 0 36000 −18000 0 1200 −600 0
A = M−1 K = 0 30 0 −18000 36000 −18000 = −600 1200 −600
0 0 30 0 −18000 18000 0 −600 600
3.4 Oscillazioni smorzate e forzate 51
Nella figura 3.7 sono invece rappresentate le forme modali dei tre modi del telaio. 2
3 3 3
2 2 2
1 1 1
0 0 0
in cui Mi , Ci e Ki sono i termini non nulli delle matrici diagonali: ΦT MΦ, ΦT CΦ e ΦT KΦ:
Fi = φTi f (3.29)
è la forza modale.
L’equazione (3.27) è quella di un oscillatore ad 1 gdl aventi massa, rigidezza e smor-
zamento del modo i. Dividendo questa equazione per Mi questa si può porre nella forma
standard:
in cui
Ki Ci
ω 2i = ξi = √ (3.31)
Mi 2 Ki Mi
sono la frequenza naturale non smorzata e lo smorzamento percentuale del modo, mentre
si è posto Qi = Fi /Mi .
in cui il numero dei modi considerati m ≤ n è spesso molto minore del numero dei gdl
della struttura. Viceversa il calcolo di C mediante la (3.32) richiede che si impieghino tutti
gli autovettori di M e K; infatti se in luogo di Φ si impegasse una matrice rettangolare
composta con i primi m < n autovettori, la matrice C così costruita assegnerebbe uno
smorzamento nullo ai modi di frequenza più elevata ωi > ω m , ciò che, per ragioni di
stabilità e accuratezza dell’algoritmo di integrazione, non è opportuno.
Per costruire una matrice di smorzamento “classica” normalmente si preferisce assu-
mere che essa sia proporzionale alle matrici M e K:
C =αM+βK (3.34)
in cui ω i indica la frequenza delle oscillazioni libere e non smorzate del modo i. Poi-
ché mediante la (3.34) C dipende solo dai due coefficienti α e β, è possibile fissare i
valori degli smorzamenti di due soli modi (p.es. del 1◦ e del 2◦ ); gli altri risultano tutti
automaticamente determinati dall’eq. (3.35).
2. Per p = 1 l’eq. (3.36) coincide con la (3.34); per l > 1, per l’eq. (3.20) si ha:
¡ ¢
Φ−1 M−1 K Φ = Λ
e dunque:
" #
X X
ΦT CΦ = ΦT MΦ αl Λl Φ−1 Φ = diag [Mi ] αl Λl
l l
3.5 Analisi in frequenza 55
• Trasformata di Fourier della derivata. Applicando l’eq. (3.40) alla derivata di f (t)
ed integrando per parti, si ottiene:
f Z ∞ Z ∞
df df −iωt ¯
−iωt ¯∞
= e dt = f (t)e −∞
+ iω f (t)e−iωt dt = iω fe(ω)
dt −∞ dt −∞
Avendo tenuto conto di quanto detto nella nota precedente. Applicando più volte il
procedimento risulta:
dgnf
= (iω)n fe(ω) (3.42)
dtn
Ovvero: la trasformata di Fourier della derivata n-esima di una funzione si ottiene
moltiplicando per (iω)n la trasformata della funzione.
da cui segue:
Z ^ Z
· · · g(t)dt = (iω)−n ge(ω) (3.43)
Lo sviluppo in serie di Fourier può quindi essere visto come un caso particolare della
trasformata, nel caso che la funzione sia periodica: infatti è possibile dimostrare che nel
caso in cui la funzione f (t) è periodica, l’integrale (3.40) è nullo ovunque, eccetto un
3.5 Analisi in frequenza 57
−ω 2 x e(ω) = fe(ω)
x(ω) + ω 20 x
e(ω) + 2ω0 ξ(iω)e
In queste equazioni ω 0 è la frequenza delle oscillazioni libere non smorzate del sistema,
mentre ω è il parametro della trasformata di Fourier e xe e fe indicano le trasformate della
risposta e della forzante, rispettivamente. Risolvendo la precedente equazione rispetto ad
e(ω) si ottiene:
x
1
e(ω) =
x fe(ω) = H(ω, ω 0 , ξ)fe(ω) (3.46)
−ω2 + 2iω 0 ωξ + ω 20
in cui h(t) indica la trasformata inversa della funzione di trasferimento H(ω), cioè:
Z ∞
1
h(t) = H(ω)eiωt dω (3.48)
2π −∞
5
Nel capitolo precedente il tempo natorale t era sostituito con il tempo adimensionale τ = ω0 t per
questo motivo la funzione H risulta moltiplicata per ω20 . Si ricordi che β = ω/ω0 .
3.5 Analisi in frequenza 58
Confrontando l’eq. (3.47) con la (2.81) appare evidente che la funzione di trasferimento
H(ω) è la trasformata di Fourier della funzione di risposta ad impulso (2.82) (a meno del
fattore 1/m), pertanto si avrà:
³ p ´
Z ∞ sin ω 0 1 − ξ 2
t
1
H(ω)eiωt dω = p e−ξω0 t (3.49)
2π −∞ ω0 1 − ξ 2
Questa relazione può essere calcolata direttamente, facendo uso della proprietà delle
funzioni olomorfe, per cui si ha:
Z ∞ X
f (x) dx = 2πi Residuo [f (zn )]
−∞ n
dove zn sono i punti di singolarità di f (z) che cadono nella parte superiore del piano
complesso. I punti singolari di H(ω)eiωt sono le radici della funzione a denominatore:
−ω2 + 2iω 0 ωξ + ω 20 = 0
· q ¸
2
ω 1 = ω 0 iξ ± 1 − ξ
2
e quindi:
h √ i h √ i ³ p ´
ω 0 t −ξ+i 1−ξ 2
e +e
ω 0 t −ξ−i 1−ξ 2 sin ω 0 1 − ξ 2 t
h(t) = p = p e−ξω0 t
2iω 0 1 − ξ 2 ω0 1 − ξ 2
La funzione h(t) si deve intendere nulla per t < 0; pertanto l’integrale (3.47) si può
estendere all’intervallo [−∞, t]; in questo modo l’eq. (3.47) coincide con la (2.81) quando
il tempo inziale t0 → −∞; questo dimostra che l’eq. (3.46) fornisce la trasformata della
parte stazionaria del moto.
Per un sistema a molti gradi di libertà, supponendo che lo smorzamento sia di tipo
classico, le equazioni del moto possono essere disaccoppiate, riportando il problema a
quello di N oscillatori indipendenti, ciascuno caratterizzato dalla frequenza modale ω n
e dal relativo smorzamento ξ n , per i quali si applica l’eq. (3.46). Quindi eseguendo la
trasformata di Fourier dell’eq. (3.30) si orriene:
en (ω)
zen (ω) = Hn (ω)Q (3.50)
in cui
1
Hn (ω) = (3.51)
−ω2 + 2iωωn ξ n + ω 2n
e
T
en (ω) = φn e
Q f (ω) (3.52)
Mn
Il vettore e
f (ω) è costruito con le trasformate di Fourier delle componenti del vettore delle
forze esterne f (t). L’intero vettore e
z(ω) è dato quindi dalla relazione:
¡ ¢−1 T
ez(ω) = diag [Hn (ω)] ΦT MΦ Φ ef (ω) = diag [Hn (ω)] Φ−1 M−1e
f (ω)
(3.53)
3.6 Moto di trascinamento 59
Il vettore
φTi MT
pi = (3.59)
φi Mφi
è detto vettore dei coefficienti di partecipazione del modo i—esimo. Quando il moto della
fondazione è traslatorio in una sola direzione, il vettore ag diviene uno scalare e la ma-
trice T un vettore; in questo caso anche pi è uno scalare, indicato come coefficiente di
partecipazione del modo.
La matrice P dei coefficienti di partecipazione si può anche esprimere direttamente
come prodotto di Φ−1 T, infatti:
¡ ¢−1 ¡ T ¢
P = ΦT MΦ Φ MT = Φ−1 T (3.60)
Questa formulazione non è conveniente per i sistemi con numerosi g.d.l. di cui normalmente
non vengono determinati tutti gli autovettori e pertanto l’eq. (3.60) non è utilizzabile, in
quanto l’intera matrice Φ non è nota.
Esempio 3.4 Determinare i coefficienti di partecipazione dei modi del telaio studiato nell’esem-
pio 3.3 supponendo che il moto di trascinamento sia di sola traslazione in direzione orizzontale.
In questo caso la matrice T diviene un vettore che, per la struttura esaminata, ha tre termini, tutti
uguali ad 1:
1
T= 1
1
ricordando le matrici delle masse e degli autovettori della struttura:
30 0 0 . 32799 −. 73698 . 59101
M = 0 30 0 Φ = . 59101 −. 32799 −. 73698
0 0 30 . 73698 . 59101 . 32799
Mf f ẍf +Mf g ẍg +Cf f ẋf +Cf g ẋg +Kf f xf +Kf g xg = 0 (3.61)
Il vettore x è stato suddiviso nei sottovettori xf dei gradi di libertà non vincolati e xg del
moto impresso ai g.d.l. vincolati e le matrici delle masse, degli smorzamenti e di rigidezza
sono state coerentemente suddivise. La matrice Kf g tiene conto degli effetti prodotti sui
nodi liberi dalle distorsioni impresse ai vincoli; la matrice Mf g non è nulla solo nel caso
di matrice delle masse “coerente”. È conveniente esprimere xf come somma di una parte
“dinamica” e di una “statica” o distorsiva:
xf = xsf + u (3.62)
in cui u indica la parte “dinamica” del moto e xsf quella “statica”. La parte “statica” si
assume che verifichi l’equazione (3.61) in condizioni statiche, cioè:
xsf = −K−1
f f Kf g xg (3.64)
Sostituendo la decomposizione (3.62) nell’eq. (3.61) e tenendo conto della (3.64), si ottiene:
³ ´ ³ ´
Mf f ü + Cf f u̇ + Kf f u = Mf f K−1
ff K fg −M fg ẍg + C K−1
ff ff K fg −C f g ẋg
(3.65)
In questo modo si è ottinuto di dare all’equazione delle strutture soggette a moto non
sincrono una struttura analoga alla (3.57) relativa al caso sincrono, a parte il termine
a secondo membro dell’eq. (3.65) che dipende dalla velocità del moto di trascinamento.
Inoltre, se si assume che la matrice di rigidezza sia semplicemente proporzionale a quella
delle rigidezze, cioè che sia valida l’eq. (3.34) con α = 0, allora sostituendo Cf f = βKf f
e Cf g = βKf g , l’ultimo termine del secondo membro dell’eq. (3.65) è identicamente nullo
e risulta:
³ ´
Mf f ü + Cf f u̇ + Kf f u = Mf f K−1
ff K f g −M f g ẍg (3.66)
Anche quando non si può sostenere che la matrice di smorzamento è proporzionale alle
rigidezze, se il contributo dello smorzamento alle forze totali è piccolo, il termine di smor-
zamento viene comunque trascurato, in modo che il sistema di equazioni assuma la forma
(3.66), formalmente simile a quella delle strutture soggette a moto sincrono.
3.7 Smorzamento non classico 62
Le sollecitazioni dei nodi liberi dipendono solo dalla parte dinamica dello spostamento:
infatti si ha:
sf = Kf f (u + xsf ) + Kf g xg = Kf f u (3.67)
L’ultimo risultato si ottiene immediatamente tenendo conto della posizione (3.63). Nei
nodi vincolati invece si avrà:
per cui, tenendo conto della (3.64) e del fatto che Kgf = KTfg , si ottiene:
³ ´
sg = KTfg u+ Kgg −KTfg K−1
ff Kf g xg (3.68)
Quindi, contrariamente al caso di moto sincrono, le sollecitazioni nei nodi vincolati dipen-
dono anche dalle distorsioni indotte dal trascinamento.
può essere sempre trasformata in un sistema di m equazioni del primo ordine; basta per
questo introdurre un vettore di incognite:
y1 = y, y2 = y0 , ... ym = y (m−1)
y10 = y2
y20 = y3
..
.
0
ym = −a1 ym − a2 ym−1 − · · · − am−1 y2 − am y1 + f
come è facile verificare direttamente, sviluppando la (3.72) e tenendo conto delle definizioni
(3.69), (3.70) e (3.71).
in cui x0 indica il vettore delle condizioni iniziali di x(t) ed X(t) è la matrice delle soluzioni
principali. X(t) è una matrice 2N × 2N formata con 2N soluzioni indipendenti dell’equa-
zione (3.72) resa omogenea e con condizioni iniziali tali che solo una delle componenti di
x(0) è non nulla (ed uguale ad uno). Sinteticamente questo significa che X(t) soddisfa le
condizioni:
in cui con eAt si intende la matrice che si ottiene come limite della serie:
X∞
1 1 1 n n
eAt = I + At + (At)2 + (At)3 + · · · = A t (3.76)
2 3! n=0
n!
Supponendo che la matrice degli autovettori di A, Ψ, sia non singolare, essa definisce una
trasformazione che rende A diagonale [eq. (A.46)] Ψ−1 AΨ = Λ, in cui Λ = diag [λ1 , λ2 , . . . , λ2N ]
3.7 Smorzamento non classico 65
Con eΛt si è indicata sinteticamente la matrice diagonale formata con gli esponenziali
degli autovalori di A moltiplicati per t. La soluzione dell’equazione differenziale (3.72) è
quindi ricondotta alla determinazione degli autovalori e degli autovettori della matrice A
dei coefficienti.
avendo posto, in accordo alla (3.79), z0 = Ψ−1 x0 e w(t) = Ψ−1 y(t). Tenendo conto che
eΛt è una matrice diagonale, l’eq. (3.80) si decompone in 2N equazioni indipendenti del
tipo:
Z t
zk (t) = eλk t z0k + eλk (t−τ ) wk (τ ) dτ (k = 1, 2, . . . , 2N ) (3.81)
0
λk = −µk ± iη k
3.7 Smorzamento non classico 66
in cui µk e ηk sono numeri reali non negativi. Indicando con ω k = |λk | il modulo
dell’autovalore e ponendo µk = ξ k ω k , evidentemente si ha
q
η k = ω k 1 − ξ 2k
La parte reale di questa funzione coincide con la legge del moto di un oscillatore di frequnza
naturale (non smorzata) ω k e smorzamento percentuale ξ k . Dunque il modulo dell’auto-
valore complesso λk è la frequenza naturale del modo ed il rapporto tra la parte reale ed
il modulo stesso corrisponde al coefficiente di smorzamento.
Autovettori complessi
Nelle strutture non smorzate, o smorzate in modo classico, se viene eccitato un singolo
modo di vibrazione, la struttura oscilla in modo che, pur variando l’ampiezza, la con-
figurazione non muta, poiché questa è dall’autovettore reale delle matrici K e M. Per
comprendere quello che accade per le strutture con smorzamento non classico si osservi
che se ψ k indica il k—esimo vettore della matrice Ψ, cioè il k—esimo autovettore di A, deve
soddisfare l’equazione Aψk = λk ψk . Ricordando la forma· della
¸ matrice A [eq. (3.70)] e
φk
suddividendo il vettore ψk in due sottovettori: ψk = si ha:
$k
· ¸· ¸ · ¸
0 I φk φk
Aψk = = λk
−M−1 K −M−1 C $k $k
$k = λk φk (3.83)
−1 −1
−M Kφk −M C$k = λk $k
Sostituendo la prima nella seconda, dopo aver moltiplicato tutti i termini a sinistra per
M, si ottiene:
¡ 2 ¢
λk M+λk C + K φk = 0 (3.84)
Gli ¡autovalori λk si ¢possono quindi ottenere come radici del polinomio di ordine 2N :
det λ2k M+λk C + K = 0 ed gli autovettori φk come soluzioni del sistema omogeneo
(3.84).
Poiché le matrici B e D sono simmetriche si verifica facilmente che gli autovettori sono
ortogonali; cioè se ψk e ψ l sono autovettori che corrispondono a due modi diversi λk 6= λl ,
si ha:
ψTl Bψ k = λk ψ Tl Dψ k = 0 (l 6= k) (3.87)
· ¸
φk
In forma esplicita, ricordando che si è posto ψ k = , alla (3.87) corrispondono le
λk φk
equazioni
quindi, ponendo z0k nella forma |z0k |eiϑk e distinguendo φk nelle sue parti reale e imma-
ginaria, risulta:
½ · µ q ¶
−ξ k ωk t 2
uk (t) = 2 Re (κk +iγ k ) |z0k |e cos ω k 1 − ξ k t + ϑk
µ q ¶¸¾
2
+i sin ω k 1 − ξ k t + ϑk =
· µ q ¶ µ q ¶¸
ξk ωk t 2 2
2|z0k |e κk cos ω k 1 − ξ k t + ϑk − γ k sin ω k 1 − ξ k t + ϑk (3.89)
Questa equazione dimostra come, a differenza del caso delle oscillazioni non smorzate,
o smorzate in modo proporzionale, ora le oscillazioni di ciascun modo sono formate da una
combinazione di due forme, che oscillano con la stessa frequenza ma con una differenza di
fase di π/2, corrispondenti alla parte reale e complessa dell’autovettore.
Capitolo 4
4.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti sono stati esaminati sistemi con un numero finito di gradi di li-
bertà. Da un punto di vista operativo l’aver ristretto lo studio a tali sistemi non è una
limitazione, poiché è sempre possibile approssimare un sistema continuo con uno discreto,
eventualmente fornito di un numero sufficientemente grande di gradi di libertà. In alcuni
casi la discretizzazione è quasi naturale e dà luogo a sistemi con relativamente pochi gradi
di libertà (p.es. gli edifici a telaio multipiano), in altri la discretizzazione è meno ovvia
e richiede, per ottenere una modellazione significativa, l’introduzione di molti gradi di li-
bertà (p.es. la discretizzazione con elementi finiti di un guscio o di una piastra). Tuttavia,
se la discretizzazione con il metodo degli elementi finiti è uno strumento potente che per-
mette di risolvere accuratamente problemi complessi, la cui soluzione è inabbordabile per
via analitica, ha il limite di non porre in evidenza i caratteri generali delle soluzioni, che
spesso è possibile ottenere da uno studio attento delle equazioni che reggono il problema e
della struttura delle soluzioni (quando note); tale studio consente spesso di penetrare più
profondamente nella natura del sistema e funge da guida per apprestare gli strumenti di
indagine più appropriati per altri problemi.
Le equazioni della dinamica dei continui si ottengono facilmente estendendo quelle ben
note della statica. In pratica le equazioni di compatibilità cinematica (congruenza) e la
legge costitutiva del materiale (p.es. elastica lineare) non mutano; solo nelle equazioni di
equilibrio si deve tener conto anche degli effetti dell’inerzia. Nel caso di piccoli sposta-
menti, quando è possibile sostituire le equazioni di equilibrio relative alla configurazione
di riferimento (configurazione indeformata) a quelle relative alla configurazione attuale, le
equazioni di equilibrio si scrivono:
dove τ ij indica la componente ij del tensore delle tensioni T, gi sono le componenti del
vettore delle forze di volume g, ui sono le componenti del vettore degli spostamenti u
e ρ indica la densità di massa; il pedice /j denota la derivazione rispetto alla j-esima
coordinata spaziale xj , mentre con il punto sopra il simbolo si è indicata la derivata
rispetto alla coordinata temporale t. Pertanto üi è la i-esima componente del vettore
accelerazione; inoltre si è applicata la convenzione di Einstein, per la quale è sottintesa la
68
4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 69
P ∂τ ij
somma degli indici ripetuti due volte (p.es. τ ij/j = j ∂xj ). Con altra notazione l’eq.
(4.1) si può scrivere:
div T+g =ρü
L’equazione (4.1), unita a quella di compatibiltà cinematica ed alla legge costitutiva
del materiale, descrive in modo completo la dinamica delle piccole vibrazioni dei solidi.
∂σ ∂2u
=ρ 2 (4.2)
∂x ∂t
In un mezzo elastico lineare e per le ipotesi fatte si ha semplicemente σ = Eε, dove
∂u
ε=
∂x
è la deformazione longitudinale della barra ed E è il modulo elastico del materiale.
Sostituendo queste due ultime relazioni nella (4.2) si ottiene facilmente:
µ ¶
∂ ∂u ∂2u
E =ρ 2
∂x ∂x ∂t
∂ 2u ∂2u
E = ρ
∂x2 ∂t2
che si può anche scrivere:
∂2u ∂2u
2
= c2 2 (4.3)
∂t ∂x
dove, tenendo conto che E e ρ sono grandezze sempre positive, si è posto:
s
E
c= (4.4)
ρ
dove f1 ed f2 sono funzioni arbitrarie, purché due volte derivabili, il cui effettivo valore
dipende dalle condizioni iniziali ed al contorno. L’equazione (4.5) rappresenta la sovrap-
posizione di due onde, di forma f1 (x) ed f2 (x), rispettivamente, entrambe viaggianti con
velocità c, la prima nel verso negativo e la seconda in quello positivo dell’asse della barra.
4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 70
0.8
0.6
0.4
0.2
0 5 10 15 20 25 30
x
-0.2
-0.4
-0.6
-0.8
2
Figura~4.1: Moto di un onda di equazione f (x) = sin(x)e−0.03x
Infatti, se ad esempio f1 assume il valore ū nel punto x0 al tempo t0 , lo stesso valore sarà
raggiunto in tutti i punti in cui è soddisfatta la condizione:
x + ct = x0 + ct0
ossia per
x = x0 − c (t − t0 )
Questa è l’equazione di un punto che si muove, in direzione negativa, con velocità c.
Analogamente è facile verificare che l’onda f2 si propaga nella direzione positiva con la
medesima velocità. Nella Fig.4.1 è rappresentata in tre differenti istanti l’onda di equazione
2
sin (x) e−0.03x propagantesi in verso positivo.
dove ω2 indica una costante positiva. La ragione della scelta del segno della costante sarà
chiarito tra breve.
Dalla (4.7) si ottengono due equazioni differenziali ordinarie (lineari ed a coefficienti
costanti):
d2 w
+ ω2 w = 0 (4.8)
dt2
d2 φ ³ ω ´2
+ φ = 0 (4.9)
dx2 c
L’equazione (4.8) coincide con quella (2.3) di un oscillatore semplice non smorzato di
frequenza ω. La soluzione si può scrivere nella forma:
È ora possibile chiarire la ragione della scelta del segno dell’ultimo membro del-
la (4.7); se questo fosse stato positivo la soluzione dell’equazione (4.8) sarebbe stata
esponenzialmente crescente nel tempo, violando i principi di conservazione.
Analogamente anche la soluzione dell’equazione (4.9) è una combinazione di funzioni
armoniche:
in cui si è posto
ω
κ= (4.12)
c
mentre A e B sono costanti complesse che dipendono dai vincoli imposti alle sezioni di
estremità. La soluzione dell’equazione (4.3) si può quindi scrivere:
Estremi liberi
In tal caso nella sezioni di ascissa x = 0 e x = l si ha σ = 0, ovvero, per la proporzionalità
tra tensioni e deformazioni,
∂u dφ
εx = =w =0 per x = 0 e x = l
∂x dx
Sostituendo la (4.13) si ottengono le due equazioni:
iκ (A − B) eiωt = 0
³ ´
iκ Aeiκl − Be−iκl eiωt = 0
Dalla prima di queste equazioni segue che A = B. Quindi dalla seconda si ricava:
³ ´
A eiκl − e−iκl = 2iA sin (κl) = 0
e quindi
c
ω n = nπ (4.15)
l
A ciacun valore di n corrisponde quindi una soluzione dell’equazione (4.3) che rispetta le
condizioni di bordo libero:
in cui
Estremi vincolati
In questo caso le condizioni al contorno sono φ(0) = φ(l) = 0. Di conseguenza dalla (4.13)
si ottiengono le equazioni:
(A + B) eiωt = 0
³ ´
Aeiκl + Be−iκl eiωt = 0
Il fattore 2i è stato incorporato nel coefficiente indeterminato A. Nei due casi esaminati le
vibrazioni in due barre di uguali caratteristiche ma diversamente vincolate alle estremità,
una con le estremità libere e l’altra incastrate, hanno le stesse frequenze e lunghezze
d’onda, ma le onde sono traslate, l’una rispetto a l’altra, del fattore π/2.
4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 73
(A + B) eiωt = 0
³ ´
iκ Aeiκl − Be−iκl eiωt = 0
Per 0 ≤ t < ∆t, si ha per ipotesi σ (0, t) = −σ 0 ed inoltre, per come è stato definito
∆x, σ (∆x, t) = 0. Sostituendo queste uguaglianze nell’eq. (4.21) ed integrando ancora
entrambi i membri rispetto al tempo, nell’intervallo [0, ∆t], si ottiene:
Z ∆x
σ 0 ∆t = ρ [u̇ (x, ∆t) − u̇ (x, 0)] dx
0
da cui, si ottiene:
σ 0 ∆t σ0
u̇ (0, ∆t) = v0 = lim = (4.22)
∆t→0 ρ ∆x ρc
in cui c è la velocità di propagazione delle onde.
Per quanto visto nel precedente paragrafo, per una barra con un estremo libero ed uno
vincolato, la soluzione dell’equazione (4.2) si può scrivere:
∞
X
u (x, t) = An eiωn t cos (κn x) (4.23)
n=1
dove le espressioni di ω n e κn sono quelle delle eq. (4.20). Diversamente dal caso trattato
prima qui si è posta l’origine del riferimento in corrispondenza dell’estremità libera della
barra, per cui la funzione seno è sostituita dalla funzione coseno. Derivando la (4.23) si
trova l’espressione della velocità:
∞
X
u̇ (x, t) = i An ωn eiωn t cos (κn x) (4.24)
n=1
Ponendo l’origine dei tempi nell’istante in cui cessa l’azione della forza, al tempo zero la
velocità dei punti della barra è nulla ovunque eccetto il tratto iniziale di lunghezza ∆x
dove prende il valore v0 fornito dalla (4.22). Moltiplicando entrambi i membri della (4.24)
per cos (κj x), ponendo t = 0 e tenendo conto che u̇ 6= 0 solo per x ∈ [0, ∆x], si ha:
Z ∆x ∞
X Z l
v0 cos (κj x) dx = i Aj ωj cos (κj x) cos (κn x) dx
0 n=1 0
≥ΖΘΚΜ ≥ΖΘΚΡ
≥ΖΠΚΡ
dove l’operatore sim (T) indica la parte simmetrica del tensore T, e la legge costitutiva del
materiale. Per un mezzo linearmente elastico ed isotropo questa può formulare nel modo
seguente:
∂ 2 ∂2 ∂2
in cui 4 indica l’operatore di Laplace: 4 = div grad = ∂x 2 + ∂y2 + ∂z 2 .
Si assumano ora nulle le forze di volume, e si ponga
u = ul + ut (4.31)
dove:
Analogamente applicando l’operatore rotore e tenendo anche conto che rot grad ≡ 0, si
deduce:
£ ¤
rot µ∆ut − ρüt = 0 (4.34)
Poiché per le entrambe le quantità in parentesi quadra nelle due equazioni (4.33) e (4.34)
si annullano rotore e divergenza esse sono, a meno di un termine costante, identicamente
nulle; si ottengono così le due equazioni:
dove
s s r s
λ + 2µ E 1−ν µ E 1
cl = = ct = =
ρ ρ (1 + ν) (1 − 2ν) ρ ρ 2 (1 + ν)
(4.36)
x
y
I due tipi di onde sono note in sismologia con i nomi di onde di pressione, od onde-p, e
onde di taglio, od onde-s; le onde p si propagano con velocità superiore alle onde di taglio
(s), le loro velocità sono nel rapporto:
s r
cl λ 1−ν √
= 2+ = 2 ≥ 2 (4.38)
ct µ 1 − 2ν
come si deduce dalle (4.36). L’equazione (4.38) dimostra che il rapporto tra le velocità
delle onde p e le s dipende solo dal coefficiente di Poisson ν.
Nel caso piano, Φ e ψ saranno funzioni solo di x e z; inoltre, perché ut sia contenuto nel
piano xz occorre che ψ sia ortogonale a tale piano, quindi che abbia una sola componente
non nulla −Ψ, parallela ad y. In modo esplicito si ha dunque:
∂Φ ∂Ψ
ul = ut = (4.40)
∂x ∂z
∂Φ ∂Ψ
wl = wt = −
∂z ∂x
in cui u, w indicano le componenti sugli assi x e z, rispettivamente, ed i pedici l o t
indicano la parte irrotazionale e quella a divergenza nulla. Sostituendo le (4.40) nelle
equazioni (4.35) si ottiene facilmente:
µ ¶ µ 2 ¶
∂ ∂2Φ 2 ∂ ∂ Φ ∂2Φ
= cl +
∂x ∂t2 ∂x ∂x2 ∂z 2
µ 2 ¶ µ 2 ¶
∂ ∂ Φ 2 ∂ ∂ Φ ∂2Φ
= cl +
∂z ∂t2 ∂z ∂x2 ∂z 2
µ 2 ¶ µ 2 ¶
∂ ∂ Ψ 2 ∂ ∂ Ψ ∂2Ψ
− = −ct +
∂z ∂t2 ∂z ∂x2 ∂z 2
µ 2 ¶ µ 2 ¶
∂ ∂ Ψ 2 ∂ ∂ Ψ ∂2Ψ
= ct +
∂x ∂t2 ∂x ∂x2 ∂z 2
Queste relazioni sono equivalenti alle espressioni più sintetiche:
µ 2 ¶
∂ Φ 2
grad = cl 4Φ
∂t2
µ 2 ¶
∂ Ψ 2
grad = ct 4Ψ
∂t2
che, a meno di un termine costante, del tutto irrilevante, implicano che:
∂ 2Φ
= c2l 4Φ (4.41a)
∂t2
∂2Ψ
= c2t 4Ψ (4.41b)
∂t2
Queste due equazioni sono simili e si differenziano solo per il diverso valore della velocità
delle onde di pressione rispetto a quelle di taglio; si cercherà ora la struttura della soluzione
di un’equazione del tipo:
∂2F
= c2 4F (4.42)
∂t2
dove F sta per Φ o Ψ e di conseguenza c varrà cl o ct .
Separando le variabili si pone
Sostituendo la (4.43) nella (4.42) e dividendo tutti i termini per F = XZφ, si ha:
µ ¶
1 d2 φ 2 1 d2 X 1 d2 Z
=c +
φ dt2 X dx2 Z dz 2
ux = u(z, t) uy = uz = 0 (4.44)
∂2u ∂ 2u
ρ = G
∂t2 ∂z 2
poiché le altre si riducono all’identità 0 = 0, e da cui si ottiene:
∂2u 2
2∂ u
= c (4.45)
∂t2 ∂z 2
p
dove c = G/ρ è la velocità delle onde di taglio [eq. (4.36)].
Separando le variabili, ponendo:
ẅ + ω 2 w = 0 (4.47a)
00 2
φ +κ φ = 0 (4.47b)
dove κ = ω/c.
Come nel caso delle vibrazioni longitudinali di una barra, le soluzioni delle equazioni
(4.47) sono funzioni armoniche:
e quindi
u (x, t) = Aei(ωt+κx) + Bei(ωt−κx)
Per rispettare le condizioni ai limiti si dovrà avere che u(0, t) = 0 ed inoltre che
τ xz (h) = Gγ xz (h) = Gw dφ
dz |zhl = 0, per cui dovranno essere soddisfatte le condizioni:
(A + B)eiωt = 0
³ ´
iκ Aeiκh − Beiκh eiωt = 0
Oscillazioni forzate
Si supponga ora che la base dello strato sia soggetta ad un moto assegnato di direzione
x, descritto dalla storia di accelerazione ag (t). Le equazioni di equilibrio (4.1) sono ovvia-
mente ancora valide, ma devono scriversi con riferimento ad una base inerziale, per cui in
questo caso si ha µ ¶
∂2u ∂2u
ρ ag + 2 = G 2
∂t ∂z
da cui si deduce l’equazione
∂2u 2
2∂ u
− c = −ag (t) (4.52)
∂t2 ∂z 2
La soluzione di questa equazione si cercherà tra le funzioni che possono esprimersi come
combinazione lineare delle autofunzioni φn dei modi di vibrazione dello strato, nella forma:
∞
X
u(z, t) = wn (t) φn (z) (4.53)
n=1
che soddisfano in modo implicito le condizioni ai limiti. Questo richiede in via prelimi-
nare la dimostrazione che le autofunzioni φn formino un sistema ortogonale, ossia che
Rh
0 φn (z)φk (z)dz = 0 se n 6= k.
4.5 Trave a taglio 82
Ortogonalità dei modi Per quanto visto prima ogni funzione un (z, t) = wn (t)φn (z) è
una soluzione dell’equazione di equilibrio
∂ 2 un
ρün = G
∂z 2
per cui in ogni istante vi è equilibrio tra le tensioni prodotte dalla deformazione elastica un
e le forze esterne −ρün . Se un e uk sono gli spostamenti relativi a due modi di vibrazione
n e k, allora per il teorema di Betti, ad ogni istante, il lavoro fatto dalle forze del modo
n per gli spostamenti del modo k sarà uguale al lavoro delle forze del modo k per gli
spostamenti del modo n. In formule:
Z h Z h
(−ρün ) uk dz = (−ρük ) un dz
0 0
quindi, tenendo conto cke per (4.47a) si ha ẅn /wn = −ω 2n , dividendo ambo i membri
dell’equazione precedente per wn wk si ottiene:
Z h Z h
2 2
−ωn ρφn (z)φk (z)dz = −ω k ρφk (z)φn (z)dz
0 o
ovvero: Z
¡ ¢ h
ω2n − ω2k ρφn (z)φk (z)dz = 0
0
Se ω 2n 6= ω 2k la condizione precedente è soddisfatta solo se
Z h
ρφn (z)φk (z)dz = 0 n 6= k (4.54)
0
che esprime la condizione di ortogonalità dei modi di vibrazione; quando, come nel caso
esaminato, si suppone che ρ costante nel dominio di integrazione, la condizione (4.54)
Rh
diviene semplicemente: 0 φn (z)φk (z)dz = 0.
Eseguendo la sostituzione φ00n = −κn φn , come è lecito per la (4.47b), quindi moltiplicando
tutti i termini di questa equazione per la k-esima autofunzione φk (z) e per ρ ed integrando
su z tra 0 e h, tenendo in conto la (4.54) si ha:
Z h Z h Z h
ẅk (t) ρφ2k (z) dz + c2 κ2k wk (t) ρφ2k (z) dz = −ag (t) ρφk (z) dz
0 0 0
4.5 Trave a taglio 83
Rh
Dividendo tutti i termini per 0 ρφ2k (z) dz e ricordando che cκ = ω, dall’ultima equazione
si deriva;
ẅk (t) + ω2k wk (t) = −pk ag (t) (4.55)
dove
Rh
ρφk (z) dz
pk = R0h (4.56)
0 ρφ2k (z) dz
è il coefficiente di partecipazione del modo k. Per ρ costante le funzioni φk hanno
l’espressione (4.50), pertanto:
Rh £¡ 1
¢ z¤
0 sin k − 2 π h dz 1 4
pk = R h 2 £¡ ¢ z¤ = (4.57)
1
φ0k 0 sin k − 2 π h dz φ0k (2k − 1) π
I coefficienti pk che “pesano” l’azione ag per ciascun modo, decrescono inversamente al-
l’ordine del modo. Così, normalizzando tutti i modi per cui φ0k = 1 ∀k, il rapporto tra
il coefficiente del modo k ed il primo, pk /p1 = 1/(2k + 1). Ad esempio il coefficiente di
partecipazione del 10◦ modo sarà 1/19 del coefficiente del primo; i modi di ordine molto
elevato pertanto avranno un coefficiente molto piccolo e risulteranno trascurabili.
Se l’eccitazione è una funzione armonica di pulsazione ω f , per quanto visto nel capitolo
2, le ampiezze delle risposte modali wk (t) dipendono, oltre che dall’ampiezza della forzante,
dal rapporto β k = ω f /ωk tra la frequenza della forzante e quella naturale del modo. Poiché
la funzione di amplificazione D [eq. (2.48)] ha un massimo per β ' 1, le risposte dei modi di
frequenza prossima a quella della forzante saranno amplificati; quelli di frequenza ω k ¿ ω f
(β k À 1) risultano attenuati, poiché D < 1; per quelli di frequenza ωk À ω f , la funzione
D ' 1, ma, per la (4.57), il coefficiente di partecipazione diviene piccolo, pertanto anche
il contributo di questi modi diverrà trascurabile in confronto a quello dei modi prevalenti.
Quando l’eccitazione è costituita dalla sovrapposizione di più funzioni armoniche di
diversa frequenza, in genere vi sarà più di un modo che sarà eccitato significativamente;
l’entità della risposta di ciascun modo dipenderà dalle ampiezze delle componenti della
forzante di frequenza più prossima a quella del modo e dal coefficiente di partecipazione
di questo. In genere se l’eccitazione ha uno “spettro” a larga banda, cioè è formato da
molte armoniche di ampiezza confrontabile, la risposta sarà dominata dai primi modi a
cui corrispondono i coefficienti di partecipazione maggiori.
ovvero:
· ¸
ρω2
φ00 (z) + φ (z) eiωt = 0 (4.62)
G + iωη
e si è posto ψ = tan−1 (2ζ). Le due radici di e−iψ sono quindi e−iζ e ei(π−ζ) .
∂u ∂ 2u ∂φ iωt
τ =G +η = [G + iωη] e =
∂z ∂t∂z ∂z ³ ´
∗
G∗ iκ∗ Aeiκz − Be−iκ z eiωt (4.67)
Se z = 0 corrisponde alla superficie libera dello strato, si avrà τ (0, t) = 0 e quindi, per
la (4.67) A − B = 0, ossia A = B.
Si supponga che la base dello strato sia soggetta ad un moto imposto di tipo armonico:
u0 = U eiωt ; quindi alla base dello strato, per compatibilità cinematica, si dovrà avere:
∗h ∗h
Aeiκ + Be−iκ =U
4.5 Trave a taglio 85
0
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
ed essendo A = B,
U U
A=B= ∗h =
eiκ∗ h +e−iκ 2 cos (κ∗ h)
così il rapporto tra l’ampiezza del moto in superficie A + B e quella alla base U è
2A 1
F (ω) = = (4.68)
U cos (κ∗ h)
p
Per valori piccoli dello smorzamento si ha κ∗ ' κ (1 − iζ), dove κ = ω ρ/G = ω/v
è il numero d’onda non smorzato. In tal caso κ1 = κ, κ2 = ζκ. Ponendo ad esempio
v = 500 m/ sec e ζ = 0.1, h = 50 m
Se il terreno è stratificato, la soluzione si può ancora porre nella forma (4.66) all’interno
di ciscuno strato, ma i coefficienti A e B saranno diversi tra uno strato e l’altro. Assumendo
per ciascun strato un riferimento che ha origine sulla superficie limite superiore dello strato
e rivolto verso il basso, le condizioni di compatibilità ed equilibrio tra due strati consecutivi
impongono che:
ovvero
G∗k iκ∗k ³ iκ∗k hk −iκ∗k hk
´
Ak+1 − Bk+1 = Ak e − Bk e (4.72)
G∗k+1 iκ∗k+1
∂ 4v ρ ∂2v p(x, t)
4
+ = (4.75)
∂x EJ ∂t2 EJ
In questa equazione ρ è la densità di massa della trave e v(x, t) è la linea elastica della
trave, funzione dell’ascissa x e del tempo t.
4.6 Vibrazione delle travi inflesse 87
∂4v ρ ∂2v
+ =0 (4.76)
∂x4 EJ ∂t2
la cui soluzione rappresenta le oscillazioni libere della trave. Anche in questo caso la
soluzione si cerca con il metodo di separazione, ponendo:
d4 φ ρ d2 w
w + φ =0
dx4 EJ dt2
e quindi:
1 d4 φ EJ 1 d2 w
= − = ω2
φ dx4 ρ w dt2
da cui si deducono le due equazioni:
d2 w
+ ω2w = 0 (4.78a)
dt2
d4 φ ρω2
− φ = 0 (4.78b)
dx4 EJ
La prima è ancora l’equazione di un oscillatore elementare non smorzato di frequenza
naturale ω 2 . La seconda delle (4.78), posto
ρω2
a4 = (4.79)
EJ
è un’equazione omogenea di quarto grado, la cui equazione caratteristica è
α4 − a4 = 0
o, in forma equivalente:
φ(x) = A1 sin (ax) + A2 cos (ax) + A3 sinh (ax) + A4 cosh (ax) (4.80)
Trave appoggiata
Nella trave appoggiata si annullano sia gli spostamenti sia i momenti alle estremità della
trave. Poiché M = EJu00 le condizioni di vincolo forniscono le 4 equazioni per le funzioni
φ:
φ(0) = 0 φ(l) = 0
φ00 (0) = 0 φ00 (l) = 0
dove l indica la lunghezza della trave. Sostituendo la (4.80) e la sua derivata seconda si
ottengono le seguenti 4 equazioni, le cui incognite sono i coefficienti Ai :
A2 + A4 = 0
−A2 + A4 = 0
A1 sin(al) + A2 cos(al) + A3 sinh(al) + A4 cosh(al) = 0
−A1 sin(al) − A2 cos(al) + A3 sinh(al) + A4 cosh(al) = 0
I modi di vibrazione flessionale di una trave elastica di sezione costante sono sinusoidi
la cui “lunghezza d’onda” è un sottomultiplo di l: sin(nπx/l), a ciascun modo corrisponde
una frequenza di vibrazione fornita dall’equazione (4.81).
Mensola
Nel caso di una mensola incastrata nella sezione origine (x = 0), le condizioni di vincolo
sono: u(0) = u0 (0) = 0, M (l) = V (l) = 0, ossia nella sezione di incastro si annullano
gli spostamenti e le rotazioni, nella sezione libera saranno nulle le sollecitazioni di taglio
e momento. Queste condizioni implicano che la funzione φ deve verificare le seguenti
equazioni:
φ (0) = φ0 (0) = 0
φ00 (l) = φ000 (l) = 0
4.6 Vibrazione delle travi inflesse 89
2 + 2 cos al cosh al
I valori di al che rendono nulla questa funzione devono essere trovati numericamente; le
prime 4 radici sono:
© ª
al = 1. 8751 4. 6941 7. 8548 10. 996 · · ·
w =u+v
(a) è commutativa
u+v =v+u
(b) è associativa:
u + (v + w) = (u + v) + w
u+0 =u ∀u ∈ V
v = au
a(bu) = (ab)u
1u = u
(a + b)u = au + bu
a(u + v) = au + av
90
A.2 Dipendenza lineare 91
a1 v1 + a2 v2 + · · · + an vn = 0 (A.1)
a1 e1 + a2 e2 + · · · + an en + an+1 w = 0 (A.2)
2.
hu, ui ≥ 0
hu + v, wi = hu, wi + hv, wi
4.
hu, wi = hw, ui
u⊥w se hu, wi = 0
Se n vettori vj sono tra loro ortogonali allora sono anche linearmente indipendenti.
Infatti in caso contrario esisterebbe una combinazione lineare con coefficienti non tutti
nulli per cui:
Xn
aj vj = 0
j=1
Ciò implica, dato che hvk , vk i 6= 0, che ak = 0. Poiché questo e valido per qualunque vk
(k = 1, 2, . . . , n), ne segue che i coefficienti ak devono essere tutti nulli, quindi i vettori vj
sono linermente indipendenti.
Da quanto dimostrato segue che in uno spazio Vn non possono esistere più di n vettori
tra loro ortogonali.
w1 = v1
hw1 , v2 i
w2 = v2 − w1
hw1 , w1 i
(A.4)
hw1 , v3 i hw2 , v3 i
w3 = v3 − w1 − w2
hw1 , w1 i hw2 , w2 i
...
A.7 Componenti di un vettore 93
È facile controllare direttamente che i vettori wj sono tra loro ortogonali; la dimostrazione
però non è completa se non si verivica che i denominatori nelle eq. (A.4) sono diversi da
zero. Per questo basta controllare che wk 6= 0 ∀k; ma questo è immediato perché, tenendo
conto che ogni wk è una combinazione lineare a coefficienti non tutti nulli di vj , j ≤ k, se
per qualche k risultasse wk = 0, esisterebbe una combinazione lineare dei vettori vj con
risultante nullo, contraddicendo l’ipotesi di indipendenza dei vettori vj .
Poiché i vettori ortogonali sono indipendenti possono essere impiegati per formare una
base dello spazio Vn . Data una base qualsiasi, seguendo la procedura (A.4), si può sempre
costruire una base ortogonale. Se poi, a partire da una base ortogonale wj si costruisce
un’altra base:
1
uj = wj ∀j
hwj , wj i
che soddisfa alla condizione di normalità huj , uj i = 1, ∀j, la base così ottenuta si dice
ortonormale.
ossia le componenti del vettore ottenuto moltiplicando un vettore per uno scalare si
ottengono moltiplicando le componenti del vettore dato per lo stesso scalare.
Si calcola ora il prodotto interno di due vettori rappresentati nella base E; utilizzando
l’eq. (A.5) e le proprietà del prodotto interno si ottiene:
X n
n X n X
X n
hu, wi = hej , ek iuj wk = gkj uj wk (A.8)
j=1 k=1 j=1 k=1
Questa equazione dimostra che il prodotto interno di due vettori si calcola come una forma
quadratica i cui coefficienti:
formano una matrice quadrata hermitiana1 e definita positiva2 : la prima proprietà è con-
seguenza della proprietà 4, mentre quest’ultima discende direttamente dalla proprietà n. 2
del prodotto interno.
Indicando con u e w le matrici n × 1 costruite con le componenti dei vettori u e w, e
con G la matrice quadrata n × n costruita con i coefficienti gkj :
u1 w1 g11 g12 . . . g1n
u2 w2 g21 g22 . . . g2n
u= . w= . G=
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . (A.10)
.. ..
un wn gn1 gn2 . . . gnn
hu, wi = w∗ · G · u = u∗ · G · w (A.11)
hu, wi = u∗ · I · w = u∗ · w (A.12)
In questo caso il prodotto interno si riconduce al prodotto matriciale tra una matrice ad
una riga u∗ ed una matrice ad una colonna w.
A∗ = AT
una matrice è hermitiana se A = A∗ . È evidente che gli elementi della diagonale principale di una matrice
hermitiana sono reali. Se una matrice hermitiana è reale allora è una matrice simmetrica, cioè A = AT .
2
Una matrice quadrata n × n A si dice definita positiva se, per per qualsiasi matrice n × 1, x 6= 0 si ha:
x∗ · A · x > 0
3
Nel caso reale l’eq. (A.11) diviene semplicemente hu, wi = uT · G · w.
A.8 Cambiamento di base 95
Con i coefficienti β kj e αjh si costruiscono due matrici n × n che, come è facile dimostrare,
sono l’una l’inversa dell’altra. Infatti se si sostituisce l’eq. (A.13) nella (A.14) si ottiene:
n X
X n
eh = αjh β kj ek (A.15)
j=1 k=1
B·A=I (A.17)
B = A−1 (A.18)
in cui si è posto
n
X
u0k = αkj uj (A.20)
j=1
L’equazione (2.23) mostra che le quantità u0k sono le componenti di u nella nuova base E0 ;
con esse si costruisce la matrice u0 (n × 1) , che si ottiene dalla matrice u delle componenti
relative alla base precedente mediante la trasformazione:
u0 = Au (A.21)
A.9 Operatori lineari 96
Dall’eq. (A.24) appare evidente che le componenti del vettore L(u) nella base E, si ot-
tengono combinando linearmente i coefficienti akj con le componenti del vettore origine
u. Raccogliendo le componenti di L(u) e di u in matrici n × 1 e i coefficienti ak,j della
trasformazione nella matrice n × n:
a11 a12 . . . a1n
a21 a22 . . . a2n
L=
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
an1 an2 . . . ann
L·u (A.25)
A.9 Operatori lineari 97
L−1 ◦ L = I
hL(v), wi
Esiste ed è unico un altro operatore lineare L∗ , detto l’operatore aggiunto di L, tale che:
hL(v), wi = hv L(w)i
L∗ = LT (A.32)
La matrice aggiunta di una matrice reale è la sua trasposta. Una matrice è hermitiana se
coincide con la sua aggiunta A∗ = A; una matrice reale è autoaggiunta se è simmetrica.
A(x) = λx (A.34)
Applicando l’operatore A a tutti i termini della (A.36) e tenendo conto dell’eq. (A.34),
risulta:
ma, dato che per ipotesi λm 6= λk , (k 6= m), questa implicherebbe che x1 , . . . , xm−1 siano
linearmente dipendenti, contraddicendo l’ipotesi: quindi l’eq. (A.36) è falsa ed è pertanto
dimpostrato che gli autovettori di autovalori distinti sono linearmente indipendenti.
Indicando con I l’operatore identico, l’equazione (A.34) si può riscrivere:
(A − λI)(x) = 0 (A.38)
Ricordando la definizione del nucleo di un operatore, è evidente che gli autovettori associati
all’autovalore λ sono il nucleo dell’operatore (A − λI); ne consegue che λ è un operatore
di A se e solo se (A − λI) non è invertibile.
Un’ulteriore proprietà che può essere dimostrata è che ogni operatore A ha almeno un
operatore non nullo. Per quanto visto in precedenza se un operatore lineare ha m atovalori
distinti allora ha anche m autovalori, che tra loro risultano linearmente indipendenti; da
questo consegue che un operatore in Vn non può avere più di n autovalori ed autovettori.
A.10 Vettori in Cn 100
A.10 Vettori in Cn
Nei paragrafi precedenti si è posto in evidenza come un vettore v ∈ Vn , elemento di uno
spazio vettoriale, sia generalmente diverso dai coefficienti di una sua rappresentazione
relativa ad una qualche base di Vn ; per sottolineare questa differenza e non ingenerare
confusione, l’insieme delle componenti di v è stato chiamato matrice n × 1 o matrice
colonna e non vettore, come spesso avviene.
Peraltro lo spazio dei numeri complessi,5 o, più in generale, il prodotto di n spazi
complessi C × C× · · · × C = Cn è uno spazio vettoriale, in quanto soddisfa a tutte le
condizioni esposte nel primo paragrafo. Pertanto le n-ple di numeri complessi sono esse
stesse elementi di uno spazio vettoriale, per cui non è improprio chiamare vettore una
matrice-colonna. Quindi l’insieme di n numeri complessi è di per se stesso un vettore,
come elemento di uno spazio Cn ma può anche essere la rappresentazione, relativa ad
una qualche base, di un elemento di un altro spazio vettoriale. Ad esempio l’insieme dei
segmenti orientati nello spazio che hanno un estremo in un punto è uno spazio vettoriale; le
coordinate dell’altro estremo del segmento riferite ad una terna cartesiana forniscono una
terna di numeri che sono le componenti del vettore nella base assegnata. Questa terna di
numeri può essere interpretata come un vettore dello spazio Rn o come rappresentazione,
riferita ad una certa base, del segmento orientato dello spazio geometrico.
Nel seguito, quando non sarà necessario evidenziare questa distinzione, le n-ple di
numeri reali (o complessi) saranno chiamate vettori.
A · x = λx (A.39)
(A − λI) · x = 0 (A.40)
Per il teorema fondamentale dell’algebra l’eq. (A.42) ha sempre n soluzioni (radici), reali
o complesse, qualcuna delle quali può avere molteplicità maggiore di 1. Se si indica con λk
una delle m ≤ n radici distinte dell’eq. (A.42) e con rk ≥ 1 la sua molteplicità, l’eq (A.42)
è equivalente a:
m
Y
(λ − λk )rk = 0 (A.43)
k=1
A·Φ=Φ·Λ (A.44)
Φ−1 · A · Φ = Λ (A.45)
ovvero, inversamente, si può passare dalla base degli autovettori ad un’altra base E
mediante la trasformazione inversa:
Φ · Λ · Φ−1 = A (A.46)
In questa base la prima colonna di A ha tutti i termini nulli, eccetto il primo, che ha il
valore dell’autovalore λ1 associato all’auovettore φ. Infatti in questa base φ ha componenti
[1 0 0 . . . 0] e quindi si dovrà avere:
a11 1
a21 0
A · φ = . = λ1 φ = λ1 .
.. ..
an1 0
a11 = λ1 aj1 = 0 (j = 2 . . . n)
U1 · U2 · · · Un−1
che trasforma una generica matrice A in una matrice triangolare superiore, i cui termini
sulla diagonale principale sono gli autovalori di A.
(U∗ · A · U)∗ = U∗ · A∗ · U = U∗ · A · U
dato che per ipotesi A∗ = A. Poichè d’altra parte una matrice triangolare ed hermitiana
è ovviamente una matrice diagonale, ne consegue che le matrici hermitiane sono sempre
diagonalizzabili. La matrice ortonormale U della trasformazione che la triangolarizza (e
quindi la diagonalizza) è allora la matrice dei suoi autovalori. Da questo segue dunque
immediatamente come corollario che gli autovettori di una matrice hermitiana formano
una base ortogonale.
Un’ulteriore proprietà delle matrici hermitiane è che i loro autovalori sono sempre
reali. Infatti se A è una matrice hermitiana, φ un suo autovettore e λ il corrispondente
autovalore si ha:
A · φ = λφ
quindi, moltiplicando entrambi i membri dell’equazione a sinistra per φ∗ , si ottiene:
φ∗ · A · φ = λφ∗ · φ (A.47)
φ∗ · A∗ · φ = λφ∗ · φ (A.48)
dal confronto tra le equazioni (A.47) e (A.48), tenendo conto che per ipotesi A∗ = A, ne
consegue che deve risultare λ = λ, il che significa che λ è reale. In particolare se la matrice
A è reale e simmetrica, anche gli autovettori φ sono reali.
7
È facile verificare che (A∗ · B)∗ = B∗ · A. Infatti:
(AT B)T = BT A = BT · A
A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice 104