MICROBIOLOGIA GENERALE
CELLULA
La cellula è l’unità fondamentale di tutti gli organismi viventi ed è, inoltre, la più
piccola struttura a essere classificabile come vivente. Alcuni organismi, come i
protozoi, sono formati da un’unica cellula e sono definiti organismi unicellulari. Gli
organismi, come l’uomo, costituiti da molte cellule sono invece definiti
pluricellulari. Le cellule degli organismi pluricellulari appartengono tipicamente ai
regni: animale, vegetale e dei funghi.
Le cellule degli organismi unicellulari, solitamente, presentano caratteri morfologici
uniformi. Mentre con l’aumentare del numero di cellule che compongono
l’organismo, le stesse si differenziano per: forma, grandezza, rapporti e funzioni
specializzate fino a formare tessuti e organi.
Ogni cellula può essere definita come un’entità chiusa e autosufficiente. Essa è,
infatti, in grado di assumere nutrienti e convertirli in energia, svolgere funzioni
specializzate e, se necessario, riprodursi. A tale scopo, ogni cellula contiene al suo
interno tutte le informazioni necessarie.
CELLULA BATTERICA
I batteri o procarioti sono organismi di piccole dimensioni, privi di membrana
nucleare, con un unico cromosoma batterico circolare a doppia elica non racchiuso
in un nucleo, detto nucleoide.
Una prima classificazione dei batteri può essere fatta in base alla forma, pertanto
avremo:
• cocchi: sono batteri di forma sferica che si possono associare tra di loro in
forme più o meno complesse: diplococchi (se riuniti in coppie), stafilococchi
(se riuniti in ammassi irregolari) e streptococchi (se disposti a catenelle).
• bacilli: sono batteri di forma cilindrica che non si associano. Se però
presentano le estremità con una o più curvature sono detti vibrioni e spirilli.
I batteri sono caratterizzati da un’architettura essenziale, con assenza di
compartimenti intracellulari separati da membrane e con strutture peculiari come
la parete cellulare con i suoi principali componenti: il peptidoglicano, il li polisaccaride e
strutture accessorie come la capsula, i pili, i flagelli e le endospore.
PORINE: sono canali proteici che attraversano la membrana esterna dei soli batteri
Gram-, consentendo la diffusione passiva di piccole molecole idrofile.
PEPTIDOGLICANO
3
ARCHITETTURA DEI GRAM+
Vengono chiamati archibatteri perché nel corso del tempo non si sono mai
modificati, si trovano ovunque e sono molto resistenti. I batteri gram+ assumono
colorazione blu e sono costituiti da citoplasma circondato da una membrana
citoplasmatica e una grande parete batterica costituita principalmente da
peptidoglicano (150-500 aa). Il peptidoglicano, in caso d’infezione, può interferire
con la fagocitosi portando come conseguenza un’attività pirogena (febbre). Il
peptidoglicano può essere degradato dal lisozima, enzima presente nelle lacrime e
nel muco. La distruzione della parete batterica dei batteri, ha come conseguenza la
morte del microrganismo a causa della differenza di pressione osmotica esercitata
sulla membrana citoplasmatica.
STRUTTURE ACCESSORIE
FLAGELLI: sono appendici filiformi formate da migliaia di subunità di una
proteina che prende il nome di flagellina. I flagelli rappresentano gli organi di
locomozione in soluzioni acquose per i batteri che li possiedono. A seconda della
disposizione dei flagelli sulla cellula, i batteri vengono distinti in monotrichi (con un
unico flagello ad un polo) lofotrichi (con un ciuffo di flagelli ad un polo), amfotrichi
(con un ciuffo di flagelli ai due poli) e peritrichi (con flagelli distribuiti su tutta la
superficie del batterio).
Il flagello è ancorato alla membrana citoplasmatica, al peptidoglicano e alla parete
esterna dei batteri da una serie di anelli. All’interno degli anelli, il corpo basale dei
flagelli può ruotare su se stesso fornendo un moto rotatorio a tutta la struttura
flagellare che genera la spinta per il movimento. Per permettere al batterio di
muoversi i flagelli hanno bisogno di energia, che ricavano dalla membrana
citoplasmatica e da quella esterna ancorandosi a esse.
COLORAZIONE DI GRAM
La colorazione di Gram è un esame di laboratorio, messa a punto dal medico
danese Hans Gram, che dà ragione della classificazione dei batteri in gram+ e gram-.
La procedura che porta alla colorazione dei batteri è costituita da una serie di
punti:
SINTESI PROTEICA
Nei batteri, come nelle cellule eucariotiche, i ribosomi responsabili della sintesi
proteica sono costituiti da 2 subunità: una piccola 30S e una grande 50S. La
subunità piccola si trova libera nel citoplasma delle cellule batteriche ed ha il compito
di tradurre gli mRNA in proteine. Per farlo è necessario cha subunità 30S sia
attivata dall’energia proveniente dal fosforo del GTP (l’ATP è usata per degradare
alcuni componenti, mentre il GTP per la sintesi proteica). Il GTP, che entra nel
ribosoma, porta con sé dei fattori d’iniziazione coinvolti nell’attivazione della
subunità 30S. Quando l’mRNA è legato alla componente 30S riceve un primo tRNA
(tripletta), che codifica per la metionina. Il tutto prende il nome di complesso
d’iniziazione. A questo punto il complesso è pronto a ricevere la subunità 50S,
necessaria per consentire all’mRNA di arrivare sui ribosomi e che, in seguito, i
nucleotidi siano tradotti in proteine.
METABOLISMO BATTERICO
Per crescere, i batteri, hanno bisogno di una sorgente di carbonio e azoto, una
sorgente di energia, acqua e diversi ioni. In base alla dipendenza dall’ossigeno i
batteri si dividono in:
• aerobi obbligati;
• anaerobi facoltativi;
• anaerobi obbligati.
SORGENTI DI ENERGIA: l’energia si ottiene con reazioni di ossido-riduzione, mediante
la degradazione del substrato energetico ATP.
ATP ADP
Degradazione del substrato Processo di fosforilazione che rende disponibile energia
Trasporto di membrana
attivo o passivo
Conversione energetica utilizzando diverse vie metaboliche che
convergono nel comune intermedio universale
acido piruvico (accettore di idrogeno).
Per un totale di 38 ATP per i respiranti. Negli anaerobi manca il citocromo C, che è
la citocromo ossidasi. Infatti, i batteri con respirazione anaerobica impiegano
accettori inorganici.
viene utilizzata per formare una forza promotrice. Il ritorno degli idrogeni
attraverso
La struttura la
delmembrana fornisce,
DNA dei batteri mediante
è simile ATPasi,
a quella l’energiail per
degli eucarioti, DNA la ègenerazione
formato da di
ATP da ADP e fosfato inorganico (Pi).
due filamenti appaiati tra di loro a formare una doppia elica.
GENETICA
Il DNA è costituito da molecole BATTERICA
di desossiribosio che è uno zucchero uniti insieme da
La struttura
gruppi fosfati, del DNA che
il legame batterico
si vieneè acaratterizzata da 2 filamenti
formare è un legame appaiati
fosfodiesterico, ad aogni
formare
una doppia elica, è quindi simile a quella degli eucarioti.
zucchero ci sono legate delle basi azotate che sono delle strutture ad anello e si
Il DNA è costituito da molecole di desossiribosio, uno zucchero, legate tra loro da
trovano in due forme:
gruppi fosfato le Pirimidine
mediante e le Purine.
il cosiddetto legame fosfodiesterico. A ogni zucchero sono
poi Dna
Nel legate, mediante
le basi azotatelegame
sono 4 N-glicosidico,
e sono l’Adenina le basi
che siazotate,
lega conovvero delle(2strutture
al Timina legami ad
anello che possono essere di due tipi: purine (adenina e guanina) e pirimidine
ad H), la Guanina
(citosina e timina).cheNelsi lega
DNA conuna
la Citosina
purina si(3 appaia
legami ad conH),una
queste basi azotate
pirimidina: tra
l’adenina
con
di loro timina mediante
la formano dei legami2 non
legami a idrogeno
covalenti e la eguanina
ma deboli in citosina
con la
stabilizzano mediante
qualche modo la 3
legami a idrogeno. Tra di loro le basi azotate formano perciò legami deboli che
struttura
tuttavia del DNA. data l’enorme quantità, a stabilizzare la struttura del DNA.
riescono,
REPLICAZIONE
La replicazione del DNA è detta semiconservativa. Ciò vuol dire che in ogni nuova
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molecola di DNA sono presenti un filamento preesistente e uno neoformato. I due
filamenti, infatti, sono separati e da ognuno viene creato un filamento
complementare, ad opera di un enzima chiamato DNA polimerasi.
Nei batteri la molecola di DNA ha una struttura circolare bicatenaria la cui
peculiarità risiede nel fatto che la replicazione ha origine in un punto ben definito
detto punto di origine (oriC).
L’oriC è costituito da una sequenza di basi azotate (245), presente su tutti i batteri,
che favoriscono l’apertura della doppia elica. A questa sequenza si legano delle
proteine che hanno la capacità di riconoscerla, dette fattori di iniziazione della
replicazione del DNA. In particolare, le proteine, si legano a una zona costituita da
9 nucleotidi che si ripetono 4 volte e da 3 sequenze ripetute di 13 paia di basi. La
particolarità delle 13 paia di basi è che sono ricche di adenina e timina che, essendo
legate da 2 legami a idrogeno, rappresentano la zona in cui il DNA può separarsi
più facilmente.
Mentre i fattori d’iniziazione favoriscono l’apertura della doppia elica, arrivano gli
altri fattori necessari alla replicazione, il primo dei quali è la DNA-B, trasportato
dalla proteina DNA-C. La DNA-B si pone tra i 2 filamenti a livello della forca
replicativa e inizia a srotolare il DNA da entrambi i lati. A mano a mano che il
DNA si srotola, si formano 3 filamenti singoli tra i quali si posizionano le proteine
SSB che legano il DNA e impediscono alla doppia elica di riformarsi. Quando i
filamenti della doppia elica sono completamente separati, i fattori d’iniziazione si
dissociano.
In seguito arriva un gruppo di enzimi chiamati primasi, che sintetizzano piccoli
filamenti di RNA importanti per la polimerasi. Questi frammenti di RNA prendono
il nome di primer e servono da aggancio alla DNA polimerasi 3.
Durante il processo di replicazione (che avviene sempre in direzione 5I-3I) e
srotolamento,
REPLICAZIONEintervengono altri enzimi che tagliano il DNA e inducono dei
superavvolgimenti negativi. Tali enzimi sono la DNA girasi e la topoisomerasi IV,
che mediante una reazione ATP-dipendente tagliano e risaldano entrambe le
La replicazione del Dna si dice semiconservativa, ciò vuol dire che il DNA si apre
avendo 2 filamenti separati e permettono ad una serie di enzimi di replicare una copia
catene di DNA in modo da favorire l’apertura della doppia elica.
perfetta del filamento vecchio in maniera tale di ottenere di nuovo una molecola di
Quando i nuovi filamenti di DNA sono completi, intervengono altri enzimi: la
DNA a doppio filamento.
DNA-polimerasi I e laè un
Nei batteri il DNA DNA-ligasi.
cromosoma che LahaDNA-polimerasi
una forma circolareI distrugge
bi catenaria, icioè
frammenti
un di
RNA doppio
e li sostituisce
filamento che è con frammenti
circolare, di DNA,
la particolarità mentre
sta anche la DNA-ligasi
nella replicazione che ha salda i
frammenti diinDNA
origine inseriti,
un punto in modo
ben definito da avere
denominato oriC,uncioè
unico filamento
punto di origine.di DNA.
Come avviene la replicazione del DNA batterico?
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Ogni gene ha un suo promotore, importante perché mediante il legame con il
fattore σ fornisce l’input necessario all’RNA polimerasi per avviare la trascrizione e
formare l’mRNA che verrà poi tradotto in proteina.
Per risparmiare energia i geni batterici sono organizzati in operoni, ovvero una
sequenza di geni che si susseguono e sono regolati, cioè possono essere o non
essere trascritti. Tra gli operoni e i promotori si trova l’operatore, anch’esso formato
da una sequenza di geni. A regolare la trascrizione dei geni batterici intervengono
delle proteine, dette repressori, in quanto sono in grado di reprimere la trascrizione.
I repressori sono sintetizzati da un gene, che solitamente si trova a monte del
repressore stesso. Essi possono creare una regolazione genica che può essere:
positiva, in cui l’operone è il triptofano o negativa, in cui l’operone è il lattosio.
PLASMIDI
I plasmidi sono molecole di DNA circolare a doppio filamento, molto più piccole
delle molecole di DNA batterico. I plasmidi possono anche essere chiamati fattori,
classificati in: fattori F e fattori R.
Esistono poi altri gruppi di plasmidi detti fattori di virulenza, contenenti geni che
codificano per alcune strutture che garantiscono al batterio la capacità di causare
una determinata patologia.
I meccanismo che permettono al batterio di acquisire nuovi geni sono:
ACQUISIZIONE
- TRASFORMAZIONE;
DI NUOVI GENI
I meccanismi attraverso i quali i batteri possono acquisire nuovi geni è
- CONIUGAZIONE;
- TRASDUZIONE. trasferimento
caratterizzata dal cosiddetto orizzontale (meccanismo extra-
cromosomico), mediante: trasformazione, trasduzione o coniugazione.
TRASFORMAZIONE: avviene quando una cellula batterica acquisisce una
molecola di DNA che sono libere nell’ambiente che circonda il batterio.
TRASFORMAZIONE: consiste nella captazione e nell’incorporazione nel
È stata scoperta facendo degli esperimenti utilizzando un batterio quale lo
genoma dell’ospite di DNA libero rilasciato da altri batteri. Questo
Streptococco costituito da 2 ceppi: uno è il ceppo liscio, che possiede sulla superficie
meccanismo è stato scoperto facendo degli esperimenti sullo Streptococco, di
una capsula ed è definito ceppo S nocivo; l’altro ceppo è quello rugoso nudo ed è
cui esistono 2 ceppi: uno
definito ceppo R nonliscio,
nocivo. che possiede sulla superficie una capsula ed è
definito ceppo SSi ènocivo;
visto che questie2 ceppi
l’altro
messi a rugoso, senza
contatto fra di loro capsula,
si ricombinavano le definito ceppo R non
nocivo. Con gliinformazione
esperimentigeniche. si è scoperto che i 2 ceppi messi in contatto
ricombinavano le informazioni geniche.
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CONIUGAZIONE: consiste nel trasferimento di materiale genetico per
contatto diretto cellula-cellula, attraverso un pilo sessuale o un ponte, o
mediato da plasmidi F.
Esistono diversi tipi di coniugazione tra i quali la più semplice è la
coniugazione F+/F-, dove la cellula F+ è la donatrice, mentre quella F- è la
ricevente il plasmide F.
La cellula F+ è una cellula batterica che oltre al cromosoma possiede il
plasmide F e il pilo sessuale, una struttura che gli consente di interagire con
la cellula F- e trasferirgli il plasmide F.
CONIUGAZIONE:
Il trasferimento del
il contatto fisico plasmide
tra batteri
Come il F
o mediato
avviene avviene
da plasmidigrazie
trasferimento F. a un F?
del plasmide varco che un
attraverso si varco
crea che
tra sileviene a
creare tra le due cellule.
due cellule. Dopo
Abbiamo diversi che si è creato il varco, uno dei 2 filamenti del plasmide F,
tipi di coniugazione quella semplice che è la coniugazione F+ F-,
Dopo che si è creato questo varco tra le due cellule uno dei due filamenti del plasmide
dove la cellula F+ viene definita donatrice mentre quella F- viene definita ricevente
che ha un DNAF che circolare
ha un DNA bicatenario,
circolare bi subisce
catenario ci unfa taglio
un taglio e edmigra
uno dei verso la
due filamenti pian
del plasmide F.piano inizia a migrare verso la cellula F-, man mano che migra l'altro filamento che
cellula F-. L’altro filamento, invece, viene duplicato con un meccanismo che
Cosa succede? rimane
Una cellula
nellaF+ sarà una
cellula F+cellula
vienebatterica cheealquesta
duplicato suo interno avrà oltre viene chiamata
duplicazione
prende il nome diduplicazione
al cromosoma anche
duplicazione
il plasmide
del cerchio
delFcerchio rotante
e possiede
rotante,
“Rolling
il cossi
rolling
detto PiloCircle”.
circle.
Sessuale che è una
struttura che gli permette alla cellula F+ di attaccarsi alla cellula F- e trasferirgli il
plasmide F.
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Una volta che è avvenuto il trasferimento del singolo filamento di DNA nella cellula
F- nella stessa cellula inizia a formarsi la copia del filamento appena trasferito e si
avrà la formazione del DNA circolare bi catenario e quando tutto sarà fatto non
avremo più una cellula F- ma una cellula F+ in quanto la cellula donatrice di prima gli
Quando il trasferimento del singolo filamento di DNA è terminato, nella
cellula F- inizia la sintesi della copia del filamento appena trasferito con
conseguente formazione di una molecola di DNA circolare bicatenario. Al
termine del processo non avremo più una cellula F-, ma una cellula F+.
Un altro meccanismo, più complesso, con cui può avvenire la coniugazione è
detto coniugazione Hfr/F-, dove Hfr sta per alta frequenza di ricombinazione. In
questo caso nella cellula F+, il plasmide interagisce e si ricombina con il
cromosoma batterico formando la cellula Hfr.
MUTAZIONE SILENTE: viene sostituita una sola base, che porta alla
formazione di un nuovo codone che però codifica per lo stesso amminoacido.
Prende il nome di vacillamento della terza base.
SPORE
La spora è una struttura disidratata, pluristratificata e protettiva che permette al
batterio di sopravvivere in uno stato di vitalità sospesa, prodotta maggiormente dai
batteri gram+. In altre parole la spora si forma quando mancano nutrienti, quando
viene somministrato un antibiotico o quando i batteri avvertono che all’esterno
succede qualcosa di anormale che sta uccidendo gli altri batteri.
La spora contiene una copia completa del cromosoma, concentrazioni minime di
proteine essenziali e ribosomi, alta concentrazione di calcio e diverse membrane e
rivestimenti esterni, costituiti di proteine simil cheratiniche, che permettono al
batterio quiescente di sopravvivere in condizioni sfavorevoli per un lungo periodo
di tempo. Le spore possono, infatti, sopravvivere a: calore, sostanze chimiche,
attacchi enzimatici e condizioni di disidratazione estreme.
SPOLLATURA: la spollatura (o sporulazione) avviene quando la vita del batterio è
in pericolo, che per riuscire a sopravvivere ha bisogno di trasformarsi in spora. Si
tratta quindi del meccanismo che determina il passaggio da batterio a spora.
In condizioni normali il batterio si accresce grazie a specifici segnali. La spollatura
inizia grazie a un fattore trascrizionale detto SPO 0A, seguita da una cascata di
eventi regolati da fosfatasi e fosforilasi. Il processo inizia per opera di una chinasi
che rimuove un fosforo da SPO 0A e lo cede a SPO 0F, che dopo essere stato
fosforilato da inizio a una catena di fattori trascrizionali grazie alla fosfatasi RapA,
che in condizioni normali è sempre attiva.
Quando il batterio avverte che qualcosa non va “quorum sensing”, la RapA viene
inattivata, si blocca l’accrescimento del batterio e si forma la spora. L’inibizione
della RapA è mediata da un pentapeptide indicato con la sigla PhrA5 che la lega in
modo da impedirgli di interagire con il substrato, inibendola. In condizioni
anormali il batterio secerne PhrA5 per capire cosa avviene nell’ambiente
extracellulare. Se il pentapeptide torna all’interno della cellula in concentrazioni
elevate, il batterio capisce che qualche evento perturbante ne minaccia la
sopravvivenza e si trasforma in spora. In questo caso, quindi, la PhrA5 si lega alla
RapA e il fosforo passa da SPO 0F a SPO 0B e infine a SPO 0A. Gli stadi che
portano alla formazione della spora sono sette:
STADIO II: durante il quale si assiste alla divisione asimmetrica della cellula
figlia dalla cellula madre;
STADIO III: la cellula madre invagina la cellula figlia;
ESTERNAMENTE: una cellula batterica che forma la spora si divide con un setto
asimmetrico formando una porzione grande e una piccola. Quella piccola si
stacca e viene inglobata da quella più grande. In questa sorta di vescicola che
racchiude la spora, si forma uno spazio nel quale il batterio sintetizza una
parete batterica enorme, rispetto a quella normale, che contiene l’intero
genoma batterico. In seguito questa spora determinerà la lisi della cellula
madre che rilascia il corpuscolo.
σ F:è il fattore trascrizionale che con la sua funzione codifica i geni che
formeranno un mantello proteico, per proteggere ulteriormente la spora.
ANTIBIOTICI
Gli antibiotici sono sostanze antibatteriche prodotte da varie specie di
microrganismi (batteri, funghi), in grado di sopprimere la crescita di altri
microrganismi. Spesso però con il termine “antibiotico” s’identificano anche i
farmaci antibatterici di sintesi quali sulfamidici e chinoloni. Il principale bersaglio
degli antibiotici è la parete batterica, infatti, i primi antibiotici utilizzati nella
pratica clinica, si rivolgevano alla sintesi della parete batterica, inibendola e
alterandola. Gli antibiotici che inibiscono la sintesi della parete batterica possono
esplicare l’effetto farmacologico mediante meccanismi diversi:
Inibizione della formazione dei precursori della parete batterica, tra i farmaci
con questo meccanismo d’azione rientra la cicloserina, un analogo della D-
alanina. Quando è presente in concentrazioni elevate essa inibisce in modo
competitivo due enzimi coinvolti nella formazione del dipeptide D-alanil-D-
alanina. Questi enzimi sono la racemasi che converte la L-alanina nel suo
stereoisomero D-alanina e la sintetasi che catalizza la formazione peptidico
tra le due molecole di D-alanina. Anche la fosfomicina ha il medesimo
meccanismo d’azione. La fosfomicina è un analogo strutturale del
fosfoenolpiruvato e impedisce la sintesi dell’acido N-acetilmuramico, legandosi
covalentemente al sito attivo dell’enzima piruvato UDP-NAG transferasi;
PBP-4, 5, 6: hanno ruoli la cui inibizione non induce la morte dei batteri.
Sono antibiotici che non si legano sul ribosoma va vanno a legarsi ai fattori energetici
VIRUS
I virus sono microrganismi molto più piccoli dei batteri ed hanno un corredo
genetico limitato. Per questo motivo sono definiti parassiti intracellulari obbligati,
infatti, non hanno enzimi, apparati e non riescono a produrre energia. A causa di queste
limitazioni sono agenti casuali che per le funzioni vitali (sintesi proteica, sintesi degli
acidi nucleici e replicazione) sfruttano gli apparati biochimici della cellula ospite. Per i
virus non si ha una classificazione specifica, infatti, vengono classificati in base:
• alla struttura: dimensione, morfologia, tipo di acido nucleico (Picornavirus, includono
virus a RNA; Togavirus);
• alle caratteristiche biochimiche: struttura e tipo di replicazione, strettamente
correlata al tipo di acido nucleico;
• alla malattia che causano: epatite (A, B, C) o encefalite;
• al tipo di trasmissione: Harbovirus, trasmesso dagli insetti;
• alla cellula ospite: cioè il tipo di cellula che infettano (animale, vegetale o batterica);
• al tessuto o organo infettato (Adenovirus, Enterovirus).
I virus possiedono un genoma che può essere a DNA o RNA (carica + o carica -,
retrovirus), a sua volta circondato e protetto da una struttura che prende il nome di
capside. Se questo è costituito da acidi nucleici e proteine prende, invece, il nome di
nucleocapside. L’intera struttura è ulteriormente avvolta dal cosiddetto pericapside
che ha il compito di offrire maggiore resistenza ai virus dagli attacchi esterni.
I virus a DNA si assemblano nel 95% dei casi all’interno del nucleo e in qualche
caso nel citoplasma, mentre i virus a RNA si assemblano nel citoplasma.
CLASSIFICAZIONE DI BALTIMORE
Questa classificazione è basata sul contenuto degli acidi nucleici nella particella
virale e sulle caratteristiche della replicazione. Si possono pertanto distinguere 7
categorie:
I CATEGORIA: virus con DNA a doppia elica (sono virus molto grandi, come gli
erpetici).
II CATEGORIA: virus con DNA a singola elica (sono molto piccoli, con genoma
piccolo e solitamente sono nudi. Non hanno una propria polimerasi, quindi
devono usare quella cellulare o di altri virus presenti nella cellula. Vengono,
infatti, definiti DEPENDO-VIRUS).
III CATEGORIA:
virus con RNA a doppia elica (hanno una propria polimerasi e
sono capaci di trascrivere l’RNA virale in mRNA. Senza di essa non
potrebbero replicare, perché in natura non esistono RNA polimerasi RNA-
dipendenti).
IV CATEGORIA: virus con RNA a singola elica (RNA a polarità positiva).
VI CATEGORIA: sono detti retrovirus (sono virus con RNA a polarità positiva,
dotati di una trascrittasi inversa. La trascrittasi inversa, DNA polimerasi
RNA-dipendente, è responsabile della trascrizione di un RNA in DNA e
impedisce al virus di andare sul ribosoma).
VIRUS A DNA: utilizzano gli stessi enzimi che sfruttano le nostre cellule, cioè DNA
polimerasi dipendente per produrre DNA e RNA polimerasi dipendente per produrre
RNA.
VIRUS A RNA: sono virus capaci di essere supportati dalla cellula ospite per tutte
le loro esigenze, poiché hanno bisogno di una polimerasi virus-specifica. Questo
enzima non è presente nelle cellule ospiti, perciò il virus deve sintetizzarlo.
I virus possono essere dotati di RNA a carica +, in questo caso il virus possiede già
un mRNA che funge da stampo, non ha bisogno di enzimi virali e una volta entrato
nella cellula lega direttamente i ribosomi per iniziare la sintesi proteica.
Oppure possono essere dotati di RNA a carica -, questi virus non possiedono
l’mRNA e di conseguenza devono essere provvisti di tutti gli enzimi indispensabili
per far avvenire la sintesi proteica. Mediante la polimerasi di cui sono dotati,
creano il filamento che in seguito sarà tradotto in proteina.
I retrovirus, invece, sono virus a RNA + complessi, dotati dell’enzima trascrittasi
inversa. Una volta entrato nella cellula, la trascrittasi inversa trasforma l’RNA in
DNA, il quale si inserisce nel genoma dell’ospite.
Dopo essere stato liberato nel citosol, il codice genetico del virus deve penetrare
nel nucleo per integrarsi con il codice genetico della cellula e infettarla. Il passaggio
nel nucleo avviene grazie all’importina α
e
β. L’importina α andrà a legarsi agli acidi
nucleici presenti sul virus che a loro volta legheranno l’importina β. Per potersi
verificare l’attraversamento c’è bisogno sia di energia, che viene fornita dal GDP,
sia di un trasportatore proteico chiamato RAN che si lega alle importine e al virus e
trasporta tutto all’interno del nucleo. Arrivato nel nucleo il codice genetico del
virus deve essere rilasciato per potersi integrare con il codice genetico dell’ospite. Il
rilascio avviene grazie ad una fosforilazione del complesso GDP-RAN-importine-
codice genetico del virus. La fosforilazione determina il passaggio del GDP a GTP e il
distacco della proteina RAN dalle importine, che a loro volta rilasciano il codice
genetico del virus, il quale sarà libero di essere trascritto dalle polimerasi per
formare mRNA. Una volta che gli mRNA sono stati sintetizzati, devono uscire dal
nucleo e ritornare nel citosol per andare sui ribosomi e avviare la sintesi proteica.
L’attraversamento della membrana nucleare avviene grazie alla presenza delle
esportine α
e
β che legano gli mRNA, per legare in seguito il complesso GTP-RAN
che porta tutto nel citosol. Nel citosol il complesso deve liberare gli mRNA. Anche
in questo caso il processo è mediato da una fosfatasi che toglie un fosforo dal GTP,
permette il distacco della proteina RAN dalle esportine che a loro volta rilasciano
gli mRNA, i quali andranno sui ribosomi per dare inizio alla sintesi proteica di
proteine contenenti l’informazione genetica del virus.
ADENOVIRUS
Sono virus nudi con DNA a doppio filamento, con il genoma circondato da un
capside a struttura icosadeltaedrica, formato da esoni e pentoni. Da ogni spigolo del
capside originano delle ramificazioni, ovvero delle fibre che permettono al virus di
agganciarsi alla cellula ospite e infettarla. Le fibre sono tra loro diverse per
permettere al virus di agganciarsi a qualsiasi tipo di cellula.
Il virus si replica nel nucleo e causa infezioni litiche e poiché non deve gemmare
sulla superficie della cellula, si accumula all’interno del nucleo fino a provocarne la
lisi. Le particelle virali così liberate sono così pronte a infettare nuove cellule.
I meccanismi che possono causare la trasmissione di un’infezione virale possono
essere i più disparati:
• trasmissione mediante aerosol;
• trasmissione oro-fecale;
• trasmissione attraverso trapianti d’organo;
• trasmissione negli anziani immunodeferati;
• trasmissione in caso di stress (soprattutto bambini, militari e sportivi).
La terapia per la cura delle infezioni sostenute da questi virus si avvale dell’uso di
anticorpi diretti contro il virus. Essi si collocano sulle fibre impedendo al virus di
interagire con la cellula ospite.
I virus hanno diffusione mondiale e non c’è stagionalità nell’epidemiologia.
Tuttavia, contro gli adenovirus di tipo IV e VII (più pericolosi) esiste un vaccino
che si ottiene dai virus morti, ma che è somministrato solo ai militari per evitargli di
contrarre: bronchiti, polmoniti e altre malattie respiratorie.
L’adenovirus è dotato di geni regolatori (precoci):
e di geni tardivi. Questi sono i geni strutturali del virus, cioè quelli che permettono
la produzione del capside e del core (proteine che tengono adeso il DNA al capside).
Facoltà di Medicina e Chirurgia
PARVOVIRUS
I parvovirus sono virus con DNA a singolo filamento (+ o -), più piccoli rispetto agli
altri virus. Il genoma è circondato da un capside a struttura icosaedrica, privo però
delle fibre che possiedono gli adenovirus. L’interazione con la cellula ospite, infatti,
è mediata da alcuni recettori presenti sulla cellula ospite stessa. Questi recettori
legano le proteine dell’involucro, permettendo sia l’aggancio che la fusione del
virus all’interno della cellula. La trasmissione del virus avviene per contatto diretto,
quindi mediante: saliva, liquidi e secrezioni. Se per replicarsi hanno bisogno degli
adenovirus, si parlerà di adenoassociati. Mentre se per l’accrescimento sfruttano
delle cellule B19, si parlerà di parvovirus B19.
Il parvovirus B19 provoca la 5° malattia, la cosiddetta cute schiaffeggiata,
caratterizzata da papule rosse che si trasformano in lividi scuri. Questa malattia è
molto pericolosa durante la gravidanza se la madre è al primo contagio. Il virus,
infatti, è in grado di attraversare la placenta, infettare il feto e provocarne la morte.
In questa situazione gli anticorpi che la madre produce 7-8 giorni dopo il contagio
non saranno più utili per difendere il feto. Inoltre, se il feto morto non viene
rimosso, può diventare letale per la madre. Quando il feto va in putrefazione,
infatti, produce un fluido molto tossico che se arriva in circolo porta alla morte
della madre. La ricerca degli anticorpi è una risoluzione per la malattia e per
salvaguardare il feto, infatti, si cercano anticorpi quali le IGM antirosolia che
indicano la presenza dell’infezione e le IGG che indicano che non c’è più infezione.
La 5° malattia può essere classificata come stagionale: si contrae in inverno
inoltrato e a oggi non è stato elaborato un vaccino.
Questo virus può colpire anche i precursori dei globuli rossi, determinando una
riduzione di sangue in vari organi, che andranno incontro a lisi determinando la
morte del paziente.
Il genoma del parvovirus è a singolo filamento e costituito da due zone ben definite
contenenti:
• 1 gene, nella parte sinistra, che codifica per una grande proteina non
strutturale: la NS, codificata in quella che si chiama NSP;
• 1 gene, nella parte destra, che codifica per le proteine strutturali VP1 e VP2
(mediante splicing) che formano il capside e il core del virus.
Il DNA ha una forma a uncino è detto hairpin loop ed è proprio per questo motivo
che la polimerasi non lo può replicare. Il promotore di questo gene si trova alla fine
del circoletto. La polimerasi cellulare preferisce i propri promotori, piuttosto che
quelli del virus, perciò è necessaria la presenza dell’adenovirus, che riconosce la
forma uncino e inizia la replicazione. Il parvovirus B19 ha escogitato, come altri
virus, una modificazione della forma a uncino, in modo che la polimerasi cellulare
riesca ad avviare la replicazione. È però necessario che l’enzima sia in attiva
nocatenario
a icosaedrica, 32 capsomeri (12?)
replicazione, in quanto c’è un elevato numero di mRNA da legare e l’enzima lega
tutti gli mRNA che trova a disposizione.
ni 20 nm
i di envelope
INGRESSO E REPLICAZIONE DEL VIRUS NELL’OSPITE: come l’adenovirus,
S: spike protein;
E: envelope protein;
M: proteina transmembranale.
HERPESVIRUS UMANI
Gli herpes virus sono microrganismi di grandi dimensioni, dotati quindi di un
grande genoma con DNA a doppia elica avvolto da un capside a struttura
icosaedrica. Il capside è a sua volta circondato da un envelope che lo protegge dal
sistema immunitario mascherandolo, inoltre, su questa struttura sono presenti le
glicoproteine indispensabili per l’interazione con la cellula ospite. Tra l’envelope e il
nucleocapside è presente uno strato proteico, la matrice, che riempie lo spazio tra le
due membrane. Gli herpesvirus si trasmettono per contatto diretto,
prevalentemente attraverso la saliva, ma anche mediante rapporti sessuali.
Il genoma dell’herpesvirus può essere:
CONSERVATIVO.
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alle endonucleasi virali che lo tagliano nuovamente per formare DNA bicatenario
lineare. Inoltre, alcuni frammenti presenti all’estremità gli permetteranno di
interagire con le proteine del core, le quali si legano alle esportine α e β e al
complesso GTP-RAN che riverserà tutto nel citosol.
EPSTEIN-BARR (MONONUCLEOSI)
La malattia si trasmette per contatto diretto attraverso la saliva o l’utilizzo di
oggetti comuni quali: spazzolino, bicchieri o posate. Si manifesta, nei bambini, con
una sintomatologia simil-influenzale; mentre negli adulti si manifesta sotto forma di
mononucleosi, in quanto attacca i linfociti B e T.
Anche in questo caso si tratta di un virus che rimane nell’organismo in forma
latente. Inoltre, nei paesi sottosviluppati, dove colpisce prevalentemente i bambini,
si manifesta come virus oncogeno provocando tumori. In particolare, in Cina si
manifesta sotto forma di linfoma di Burkitt, un tumore naso-faringeo inguaribile.
HERPESVIRUS DI TIPO VI-VII
L’herpesvirus di tipo VI causa la 6° malattia, un esantema giovanile, quando
l’organismo è indebolito. Quello di tipo VII provoca una sintomatologia del tutto
sovrapponibile al tipo VI, ma non se ne conoscono ancora i dettagli.
CITOMEGALOVIRUS
Il virus si replica a livello di: midollo, cuore, fegato e cervello. La malattia, che si
manifesta con una sintomatologia simil-influenzale, è molto pericolosa in
gravidanza poiché il virus attraversa la placenta e raggiunge il feto. Le
complicazioni che può determinare sono di tipo diverso: nei primi 3-4 mesi può
provocare un aborto, mentre nel 7-8 mese si possono verificare malformazioni a
livello cerebrale con perdita di vista e udito.
FARMACI ANTIVIRALI
Il farmaco antivirale per eccellenza è quello contenente il principio attivo aciclovir.
Esso agisce sull’enzima virale timidina chinasi erpetica, che è in grado di
fosforilare qualsiasi desossinucleotide, compresi i farmaci. Perciò si tratta di un
farmaco analogo ai nucleotidi, che da origine a un acido nucleico inadatto alla
replicazione, che spiazza quelli virali bloccando la replicazione. Il farmaco
raggiunge la cellula in forma inattiva, per cui sarà innocuo per una cellula priva del
virus, mentre sarà funzionante nella cellula infettata, perché possiede l’enzima
fosforilante.
VIRUS INFLUENZALE
Esistono tre tipi di virus influenzali: il tipo A, è il più frequente e diffonde nel
nostro organismo causando epidemie e pandemie; il tipo B, ne esiste una sola
variante e circola prevalentemente insieme con quello di tipo A, è poco importante
e non va incontro a fenomeni di mutazione e il tipo C, che si manifesta nell’animale.
La malattia si manifesta con febbre piuttosto elevata, dolori alle ossa e alle
articolazioni, stanchezza e problemi intestinali. Il genoma dei virus di tipo A e B è a
RNA a polarità +, il virus è dotato di una RNA polimerasi per la replicazione e
l’assemblaggio avviene nel nucleo. L’RNA è diviso in 8 segmenti, ognuno dei quali
è circondato da un capside e possiede una propria polimerasi. Il tutto è ricoperto da
un envelope che all’esterno presenta 2 glicoproteine.
Il genoma diviso in segmenti, implica che ogni volta che un segmento non è copiato
in mRNA, dalla polimerasi, si verificano delle mutazioni. Le mutazioni, che sono
frequenti, portano alla formazione di nuovi virus all’interno dell’organismo, il che
spiega a cosa sia dovuto, in alcuni casi, il fallimento dei vaccini contro i virus
influenzali. Le glicoproteine dell’envelope sono:
SEGMENTO 8: codifica per 2 proteine non strutturali, NS1 e NS2 che creano
nella cellula un microambiente favorevole alla replicazione.
INGRESSO E REPLICAZIONE DEL VIRUS NELL’OSPITE: rispetto a tutti gli
altri virus dotati d’involucro, non fonde la propria membrana con quella della
cellula ospite in superficie, perché la proteina di fusione M2 del virus non funziona
a pH 7. Pertanto il virus deve prima essere endocitato dalla cellula.
Il fagosoma, si associa all’endosoma e riversa al suo interno gli enzimi lisosomiali
che abbassano il pH al valore 5.5. In questa condizione la proteina di fusione si
attiva consentendo la liberazione degli 8 segmenti dell’RNA nel citoplasma.
Questi 8 nucleocapsidi saranno poi trasportati dal sistema delle importine nel
nucleo dove avverranno la replicazione e l’assemblaggio. Una volta terminati questi
processi, i nucleocapsidi escono dal nucleo e si dispongono in modo ordinato sulla
superficie interna della cellula, dove sono state inserite le glicoproteine HA e NA.
Queste funzionano come delle calamite per gli 8 segmenti e grazie all’interazione
avviano la gemmazione del virus, portando alla formazione di vescicole. Grazie alla
presenza di una neuraminidasi attiva, che taglia l’acido sialico attorno alle
particelle virali, le vescicole si staccano e il virus si allontana dalla cellula.
VIRUS DELL’HIV
È un particolare tipo di virus: un retrovirus, la cui caratteristica principale è legata
al fatto che possiede l’enzima trascrittasi inversa. Questo enzima ha la capacità di
retrotrascrivere e, invece, di avere come stampo una molecola di DNA, è dotato di
un RNA dal quale ricava il DNA. Il virus dotato di trascrittasi inversa fu scoperto
nel 1982 da Robert Gallo, che lo denominò HTLV. Tale virus provoca una rara
forma di leucemia, detta leucemia a cellule capellute.
In seguito fu scoperto il virus dell’HIV, responsabile della cosiddetta sindrome da
immunodeficienza acquisita (AIDS). L’AIDS è causata principalmente dal virus
HIV-1, che contiene nel proprio genoma a RNA almeno 6 geni:
TAT e REV.
GAG: è un gene che codifica per la produzione del capside, del core e della
matrice. Inoltre, codifica per 2 proteine: la p17, una citochina che ha lo scopo
di predisporre le cellule nella migliore condizione per essere infettate e la
p24, che porta alla formazione del capside;
VACCINI
Il vaccino è un preparato opportunamente trattato, che conferisce immunità attiva,
a lungo termine, al soggetto cui è somministrato. In pratica consiste nel fornire
all’uomo parte di un microrganismo ucciso, in modo da generare una risposta
immunitaria verso quello stesso microrganismo. La vaccinazione è uno strumento
molto importante, per la prevenzione di gravi patologie infettive e per la riduzione
della comparsa dei fenomeni di resistenza.
Il primo vaccino fu scoperto dagli antichi egizi nel 3000 a.C., i quali inattivavano il
virus essiccando le croste prodotte dall’infezione, con cui ottenevano una polvere
che era poi somministrata per via nasale.
In seguito nel 1500 a.C. i turchi scoprirono il vaccino contro il vaiolo. Infatti,
strofinando il liquido contenuto nelle vescicole degli infetti sulle persone sane,
queste ultime si ammalavano e sviluppavano gli anticorpi contro il virus.
Anche se nel corso degli anni non ha subito mutazioni, era noto che il virus
responsabile del vaiolo nell’uomo provocava la morte, mentre quello responsabile
dell’infezione negli animali si manifestava solo con rush cutanei locali. Questo
spinse, nel 1796, il medico inglese Edward Jenner a inoculare nel braccio di un
bambino di 8 anni una piccola quantità di materiale purulento prelevato dalle ferite
di una donna malata della forma di vaiolo che colpiva i bovini. Il bambino non ebbe
nessun disturbo e in seguito Jenner dimostrò che il piccolo era diventato immune
alla forma umana del vaiolo.
Una tappa successiva di grande importanza per lo sviluppo dei vaccini si ebbe
grazie al chimico francese Louis Pasteur, universalmente considerato il fondatore
della moderna microbiologia. Egli capì che i batteri liberavano tossine, che trattò
con il calore in modo da inattivarle e produrre una sostanza detta tossoide. Tale
sostanza, somministrata nell’uomo, è in grado di generare anticorpi che legano
l’eventuale tossina prodotta dal batterio.
Molto importante fu anche il contributo di Jonas Salk, un ricercatore che scoprì il
vaccino contro la poliomelite. Il problema maggiore che incontrò Salk fu quello di
produrre i ceppi di poliovirus in quantità sufficienti per le ricerche. La soluzione al
problema fu offerta da 3 ricercatori, i quali dimostrarono che i poliovirus potevano
crescere anche su frammenti di tessuti, senza richiedere organismi viventi. Grazie a
questa scoperta Salk pensò di servirsi del virus ucciso con il calore per evocare la
reazione immunitaria da parte dell’organismo.
Contemporaneamente a Salk, il medico statunitense Albert Sabin stava lavorando
allo sviluppo di un vaccino contro la poliomielite. Sabin, eseguendo ricerche su
scimmie e scimpanzé, isolò una rara forma di poliovirus in grado di riprodursi nel
tratto intestinale e non nel sistema nervoso centrale. Il vaccino di Sabin si basava
su questo poliovirus a riproduzione intestinale, attenuato nella sua virulenza, ma
non ucciso.
VACCINI FUTURI
Esistono diverse opportunità per lo sviluppo di nuovi vaccini in futuro che possono
essere: vaccini a DNA, vaccini ottenuti con peptidi e vaccini jenneriani.
IMMUNOGLOBULINE
Le immunoglobuline sono suddivise in classi in base alla struttura e alle proprietà
antigeniche delle catene pesanti. Pertanto distinguiamo: