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Gerolamo Lazzeri

ALBERTO TALLONE E LA TIPOGRAFIA COME ARTE


Nota critica in occasione della mostra alla Galleria dell’Arte
nel maggio 1933 a Milano.

La tipografia è un’arte. Il tipografo artista sta al poeta, al narratore, al filosofo nello stesso rapporto
almeno in cui l’incisore sta al pittore; in un rapporto più ampio, anzi: perché l’incisore soprattutto inter-
preta e traduce, mentre il tipografo artista, nel medesimo tempo che trasferisce nel segno grafico la visio-
ne, la rappresentazione, il pensiero altrui, crea un quid di bellezza, realizza una sua propria autoctona archi-
tettura, dà vita a una sua originale armonia, trae dall’opera del poeta, del narratore, del filosofo quella stessa
ispirazione che l’artista coglie nella contemplazione delle cose che sono o che furono vive e reali.
Donde quel minimo e massimo insieme d’inconfondibile che contraddistingue l’opera grafica di
un artista tipografo da quella di un altro, nel tempo stesso che nettamente la separa da tutto ciò che è
mestiere puro e semplice.
Perché, come la poesia non è nelle regole dei versi che si apprendono nel manuale di metrica e lo
stile non sta nella norma della grammatica e della sintassi, così la tipografia in quanto arte trascende il
trattato tipografico. Il quale ha la stessa funzione della grammatica e della sintassi, insegna a scrivere cor-
rettamente la lettera e ad esprimere più o meno piattamente un pensiero, è la matrice donde esce la comu-
ne educazione, la norma borghese del saper vivere, la platitude di tutti i giorni. Con la qual cosa recisa-
mente si afferma che la corretta applicazione delle norme che il manuale tipografico, somma delle
consuetudini grafiche maturatesi attraverso i secoli, codifica nella meccanicità esteriore della decente
distribuzione dei bianchi, della grammaticalità delle divisioni delle parole, della giustificazione della riga,
e via dicendo, non è arte, ma tutt’al più mestiere, buona educazione, correttezza tipografica.
L’arte, in tipografia come altrove, nasce quando si manifesta la personalità del tipografo in quanto
artista, il quale non astrae certo dalla norma ma la sa trascendere ma, abbandonandone la rigidezza, la
vivifica, la trasfigura da fine a mezzo. Ed ecco nascere, dall’intuizione dell’artista tipografo, quella squisi-
ta creazione architettonica che è il libro, non più insieme piatto di fascicoli stampati, di sedicesimi o tren-
taduesimi racchiusi in una coperta, succedersi casuale e inanimato di righe e di pagine, di capitoli e di
parti, meccanica trascrizione del manoscritto nel carattere tipografico; ma opera d’arte vera e propria.
Nella quale la personalità dell’artista si esprime con evidenza in ogni particolare, perché senti che essa s’è
subito affermata non appena il manoscritto è giunto nelle sue mani per essere convertito in libro. Si è
espressa nella scelta d’un determinato carattere, – non per nulla i grandi tipografi artisti furono anche dei
grandi creatori di caratteri tipografici! – nella delimitazione del formato, nel sottile rapporto tra il corpo
del carattere e l’interlinea, nell’equilibrio che lega questi nella giustificazione della riga e della pagina in
relazione stretta ed inscindibile con il gioco dei bianchi, dai quali ha vita quell’armonia perfetta ch’è la
pagina, composizione e margini. E realizzata questa pagina, secondo una legge che è tutta intima, perché
non è norma di manuale o aderenza alla consuetudine ma espressione di gusto, intuizione d’artista, archi-
tettura viva, tutto il libro si crea obbedendo a quest’intima legge dell’artista, così che porta e antiporta,
frontespizio e occhiello, soste di pagine bianche, pause tra un capitolo e l’altro, tra l’uno e l’altro paragra-
fo, ogni e qualsiasi particolare, coperta inclusa, e financo legatura non trascurata, tutto rivela la persona-
lità dell’ artista, creatore di un’armonia inconfondibilmente sua, realizzatore di un’opera architettonica
che non può perire.
Il libro, come espressione di bellezza oltre che come veicolo di diffusione della cultura, nacque
appunto dalla consapevolezza del tipografo artista, il quale lo creò con tale scrupolo di realizzazione archi-
tettonica che i grandi maestri lo realizzavano studiandone essi stessi la carta, modellandone i caratteri,
determinandone con unitaria ed armonica concezione tutti i particolari, essendone non solo gli stampa-
tori ma anche gli editori; lo creavano cioè in ogni suo elemento. La nostra mentalità d’ uomini apparte-
nenti ad un’era industriale, in cui la specializzazione e la razionalizzazione ha frantumato ogni cosa in un’
infinità di cellule interdipendenti sì ma tuttavia autonome,è certo lontana da quella società tipicamente
artigiana, donde nacque il tipografo artista. L’industria, la diffusione della cultura,il graduale spegnersi
dell’analfabetismo hanno creato anche per il libro problemi nuovi, e a man mano si è così giunti alle spe-
cializzazioni dei singoli stadi della creazione del libro: cartai, fonditori di caratteri, tipografi, legatori, edi-
tori. Al centinaio o alle poche centinaia di esemplari di un tempo sono succedute le migliaia e le decine
di migliaia di esemplari; al torchio è prima seguita la più ampia macchina a mano, e quindi a grado a
grado le moderne macchine tipografiche che moltiplicano gli esemplari all’infinito; la macchina ha inva-
so tutta la produzione del libro nei suoi vari elementi: carta, composizione, stampa e legatura.
La macchina cioè, trasformando l’artigianato in industria, ha messo in rivoluzione anche il calmo
e tranquillo campo del libro: da un lato ha portato una perturbazione del gusto, in quanto ha allargato
il mestiere a danno dell’arte, da un altro ha fatto nascere problemi nuovi, che si assommano nel concilia-
re i mezzi industriali con le esigenze dell’arte. Ma è la produzione in serie – perché si deve proprio, anche
a proposito della tipografia moderna, parlare di produzione in serie – conciliabile con le esigenze dell’ar-
te? E perché no? Chi scrive non ha mai condiviso l’opinione di coloro che non vedono possibilità di sal-
vare la bellezza grafica se non nel ritorno alle forme artigiane; ritiene anzi che solo per pigrizia mentale si
possa assiomaticamente patrocinare un simile anacronistico ritorno. Il problema vero della tipografia edi-
toriale moderna non sta proprio nella riesumazione del metodo artigiano, il quale è solo patrocinabile
come reparto sperimentale, come esperienza di gabinetto, per così dire. Il tipografo artista moderno, che
sappia concepire il libro come espressione di bellezza e nel tempo stesso come mezzo di diffusione della
cultura, deve risolvere prevalentemente un problema di maestranze, riuscire a dare un cervello alla mac-
china. Ragione per cui il suo compito consiste soprattutto nel sapere realizzare la propria concezione
architettonica del libro mediante la sapiente coordinazione e direzione dell’educato lavoro delle maestran-
ze e dell’intelligente esecuzione della macchina. Egli deve essere, in altre parole, un sapiente maestro d’or-
chestra, che ha per spartito il manoscritto e graficamente lo interpreta nell’assegnare ai singoli operai e ai
singoli strumenti (macchine) le parti, armonizzandole e fondendole, per questa stessa armonia trasfigu-
rate, nella sua creazione d’ artista.
Tutto questo discorso o, meglio, questa premessa era necessaria per due ragioni : 1) perché sia chia-
ro che la tipografia è un’arte, ed è penoso sentir la necessità di doverlo riaffermare in un paese che ha dato
i più grandi tipografi artisti all’umanità ; 2) perché meglio sia dato chiarire come proprio un uomo, il
quale ama i moderni mezzi grafici e non li ritiene affatto antitetici con la tipografia intesa come arte, sia
lieto di poter presentare come esemplare la mostra grafica di un giovane artista, che ancora opera e subi-
sce tutto il fascino potente della tipografia artigiana.
E dico subito che questa presentazione non è debolezza sentimentale verso Alberto Tallone, o cede-
volezza per il suo fervore comunicativo e per il suo fresco e irrompente entusiasmo; ma adesione calda e
ragionata al suo nobile sforzo. Nato da una famiglia d’artisti ( il padre è stato uno dei più grandi vivi ed
efficaci pittori dell’ Ottocento), fratello di artisti, imparentato con poeti e scrittori tra i nostri più signi-
ficativi, egli ha respirato continuamente in un’atmosfera d’arte, ha aperto i suoi occhi subito su visioni di
bellezza. È quindi nell’ordine logico delle cose, ma tuttavia non meno ammirevole, in un secolo mercan-
tile e materialistico come il nostro, nel quale su tutte le finzioni religiose e politiche e sociali un solo gras-
so ideale per essere onnipresente, quello del dio Denaro, che questo giovine abbia fin dai primi suoi anni
disperatamente seguito soltanto visioni d’ arte, e si sia fatto liberamente da solo, con sorridente sacrificio,
quello che è.
Come per la consuetudine quotidiana con la natura o con le creature sbocciano d’ un tratto il pit-
tore o il poeta che nella loro arte trasfigurano e la natura e le creature, le interpretano e le rappresentano,
così Alberto Tallone da una modesta, direi quasi umile , consuetudine col libro, si è trovato naturalmen-
te sospinto su quella che era la sua strada. Per lunghi anni questo giovine è stato, presso i librai, propa-
gandista convincente degli sforzi altrui, e dall’osservazione acuta e dalle doti innate s’è venuto lentamen-
te creando un proprio gusto grafico equilibrato e sicuro. Per quanto costretto a chieder loro la vita, i libri
non furono mai per lui una merce, ma creature vive da interrogare, da conoscere, da comprendere. E a
poco a poco, a mano a mano che il suo gusto si educava, che per le sue mani andavano passando non più
soltanto le affrettate edizioni o le dubbie pubblicazioni lussuose dei giorni nostri, ma anche i caldi esem-
plari dell’arte grafica dei secoli scorsi, quelli incomparabili dei grandi tipografi artisti, prepotente veniva
manifestandosi in lui il sogno di una bellezza grafica da far rivivere, la coscienza di una missione da com-
piere. Eccolo allora organizzatore disinteressato di mostre librarie e bibliografiche, instancabile nello
scuotere l’indifferenza dei più, paziente e persuasivo nello spiegare, nel far capire, nel cercare di comuni-
care altrui il suo indomabile fervore, lieto di ogni nuova recluta fatta, incurante del sacrificio, delle pene,
delle difficoltà che tutto questo suo prodigarsi gli creava e gli faceva sopportare.
Trovata la via, la tenacia e la volontà dell’uomo non avrebbero potuto più essere da nulla arrestate.
Fraternamente ospitato da un grande artista tipografo francese, il Darantiere, egli si fa tipografo, davan-
ti alla cassa dei caratteri impara il maneggio di questi, diventa compositore, compone da solo con gusto
e perizia eleganti plaquettes, scrive alla mamma lontana, componendo tipograficamente le sue lettere,
s’impossessa del “mestiere”, il dilettante diventa tecnico e l’ artista si manifesta. Darantiere, Pichon, ed altri
grandi tipografi artisti osservano ammirati questo giovine esile, dal volto quasi femmineo, ravvivato da
occhi fondi, espressivi, intelligenti, restano affascinati dal suo entusiasmo, non sanno nulla negare alla sua
fede e al suo fervore. Perché Alberto Tallone è veramente “artiste”, e la sua fede nella missione che si è elet-
ta trascinante.
In Darantiere e Pichon trova immediatamente due artisti che lo comprendono e lo secondano; e il
suo sogno di una grande collezione stampata in ristretto numero d’esemplari di “Maestri dell’Umane
Lettere editi da tipografi artisti” può cominciare a tradursi in realtà. Originale e moderna la concezione
della collana, veramente europea. Solo un artista, che sente vivere eterna l’umanità vera, quella dell’arte
e del pensiero, al disopra dei confini geografici e politici, e ha coscienza di quell’unità civile che costitui-
sce l’ Europa, poteva ideare una collana in cui Dante e Petrarca, Shakespeare e Camoens, Racine e
Calderon, Leopardi e Goethe e Keats trovassero nel segno grafico una interpretazione che annulla l’arti-
ficiosa divisione delle nazioni, finalmente sorelle in un unico ideale di bellezza. Pichon sarà in tal modo
editore di Dante, Darantiere di Leopardi, il nostro Bertieri di Racine, e seguiranno stampatori di Lipsia,
di Londra ,di Lione,ecc.: ciascun artista, cioè, recherà l’ omaggio massimo della propria arte nella realiz-
zazione grafica dell’opera di un grande poeta di una diversa nazione, e una gara d’emulazione, feconda
di risultati, viene in tal modo ad essere accesa,in un solidale spirito artistico.
C’è di più: nella realizzazione di questa collana di “Maestri dell’Umane Lettere” ogni tipografo arti-
sta terminerà col superare se stesso, col raggiungere con la propria arte una più compiuta armonia, un
più perfetto equilibrio, perché lo spirito vigile di Alberto Tallone, guidando e dirigendo il tipografo arti-
sta, sposando in certo qual modo il gusto suo a quello del tipografo, nel mentre raggiungerà lo scopo di
dare un’unità alla collana, conseguirà anche il risultato di far procedere l’artista, d’affinarlo e d’elevarlo.
Poiché non bisogna dimenticare che la collana è diretta da Alberto Tallone, non già nel puro senso lette-
rario , ma soprattutto in quello tipografico. Letterariamente la collana è stata presto fissata: riprodurre di
ogni poeta il testo criticamente più sicuro di cui oggi si disponga, e con ciò il compito letterario si è esau-
rito. Persistente e continua, invece, è l’ opera di direzione tipografica, in quanto ogni volume presenta un
problema grafico per quello che è il suo carattere, e in questo campo appunto trova la propria esplicazio-
ne il gusto del Tallone, il suo senso grafico, il suo intuito artistico.
Ne deriva che il Tallone è, veramente, il vero realizzatore della collana: egli è, in certo qual modo,
il moderatore e l’animatore ad un tempo dei tipografi artisti suoi collaboratori, ai quali, pur lasciando
quello che è il loro particolare carattere, impedisce d’abbandonarsi al proprio vezzo, d’abbondare nel per-
sonale preconcetto grafico, di cedere alle proprie debolezze. Realizza così, se è lecito esprimersi in questo
senso, una sorta di tipografia europea, in quanto, pur lasciando agli artisti grafici delle singole nazioni le
loro proprie fisionomie, li eleva al di sopra di loro stessi, li fonde in un’armonica unità, in una sintesi
nuova, quale potrà concretarsi nel campo della vita civile l’auspicato giorno in cui, pur non rinunciando
ad essere se stesse, le Nazioni d’ Europa sapranno elevarsi al di sopra del pregiudizio nazionale, e dar vita
a quella nuova armonia politica che sarà l’Europa finalmente placata ed unita in un solo ideale civile ed
umano.
Alberto Tallone ha lodevolmente iniziato con saggi di tipografia pura, e la sua collezione di
“Maestri dell’Umane Lettere” è stata appunto concepita come pura tipografia. Si tratta, cioè, di una rea-
zione decisa a quella tendenza al libro illustrato che dilagò nel periodo post-bellico e che, ponendo in
primo piano l’illustratore, aveva reso il libro un pretesto, la tipografia un riempitivo, il poeta o il narra-
tore un semplice ispiratore. Era, insomma, una snaturazione vera e propria della ragione d’essere del libro,
un sovrapporsi dell’accessorio sul sostanziale, un far assurgere un elemento integrativo a elemento prin-
cipale. E con questo non si vuole sostenere che il libro figurato non abbia ragion d’ essere: tutt’altro!
Il libro figurato è nella più bella tradizione tipografica, a patto però che la figura non domini, ma integri
semplicemente la tipografia, ch’essa sia un mezzo e non un fine. Proprio quanto, cioè, si era da parecchi
anni dimenticato. Bene ha fatto il Tallone, perciò, a reagire radicalmente, non solo perché il libro nella
sua semplice e pura struttura tipografica, nell’elemento architettonico offerto dal carattere e in quello
decorativo costituito dai bianchi, lasciando espressamente – come dev’essere- in primo piano l’opera del
poeta o dello scrittore, la interpreta tuttavia e le dà il giusto rilievo; ma anche perché, se si vuol realmen-
te dar vita ad un libro figurato in cui l’elemento contenuto trovi il suo tipico e sensibile punto di comu-
nicazione e di suggestione col lettore attraverso quell’interpretazione grafica nella quale l’ artista tipogra-
fo crea il punto equilibrato di fusione tra il carattere e la figura, concepita questa graficamente come inte-
grazione e mezzo decorativo di quello, è necessario rieducare prima il gusto alla tipografia pura, ridare al
libro la sua originaria austera struttura, naturalmente rivissuta con spirito moderno, rielaborata e riespres-
sa con una sensibilità d’ oggi.
Né si parli, per carità!, dai frenetici assertori del nuovo per il nuovo, da coloro che traggono le pro-
prie ispirazioni grafiche preferibilmente dal barbarico disordine mentale d’Allemagna, di ritorno anacro-
nistico, d’antitesi con la dinamica dei tempi ed altri in questa temperie trionfanti luoghi comuni del gene-
re. Intanto l’architettura grafica di Alberto Tallone rivela tutto un modernissimo senso e una non meno
moderna sensibilità nell’impostazione dei bianchi, nel rapporto tra corpo, interlinea, formato e succeder-
si di pagina, in modo che egli non resta immobile nella tradizione, ma alla tradizione razionalmente si
allaccia, la fa progredire, la rinnova e l’adegua all’epoca nostra, in che rivela il suo spirito positivamente
costruttivo, perché si costruisce su fondamenta e non sulle nuvole. Inoltre, non v’è frenesia nuova del-
l’universo la quale possa sopprimere il ferreo rapporto d’interdipendenza tra l’opera, contenuto del libro,
e la sua interpretazione grafica: Dante, Leopardi, Goethe, Racine, Shakespeare, ecc., debbono essere
interpretati secondo la tradizione, in una tradizione perennemente rinverdentesi e rinnovantesi, come
perennemente rinverdiscono e si rinnovano, per così dire, le opere loro per quell’accrescimento spiritua-
le ch’esse danno ad ogni generazione e che ogni generazione ad esse conferisce, di rimando, per quel quid
di nuovo che sempre in esse si scopre.
Vero è che, nell’arte grafica, come in ogni altro campo, gli sfrenati assertori del nuovo sono terri-
bilmente vecchi, in quanto perpetuano la mala abitudine dello sragionamento, che è il più vecchio ed
irriducibile vezzo dell’umanità.
Non hanno ancora capito, cioè, che in tipografia è possibile uscire dalla tradizione e iniziare una
tradizione nuova solo in quanto elementi nuovi, come contenuto ed espressività, si presentino alla tipo-
grafia stessa. Tanto è vero che gli esperimenti di “tipografia nuova” , che hanno ragion d’essere e condur-
ranno non si dice ad una nuova tradizione, ma alla continuazione e allo sviluppo di una tradizione, che
ha le sue origini nel secolo XIX, nell’affermarsi della civiltà industriale e nel diffondersi della stampa come
mezzo di propaganda commerciale, sono proprio quelli che strettamente si connettono a questi nuovi ele-
menti, che sono quelli cosiddetti propagandistici o pubblicitari. E possono entrare anche nel libro e posi-
tivamente operarvi solo in quanto il contenuto di essi lo comporti: frenesie futuriste, divertimenti poeti-
ci di novatori e simili; ma temiamo forte che codesti esperimenti tipografici puramente contingenti
debbano restare nella storia della tipografia a documentare semplicemente la perturbazione spirituale ed
artistica di un’epoca, che sembra aver, per molta buona gente, amica del rumore e del chiasso, perduto il
proprio ubi consistam.
E valga tutto quanto s’è detto a giustificare la bontà dell’opera di Alberto Tallone, che siamo lieti
di presentare come esemplare e passibile di sviluppi positivi importantissimi, sia per la rieducazione del
gusto al libro bello, sia per un’azione di riordino artistico dell’attività tipografica del nostro tempo; sia,
finalmente, come creatrice di archetipi che potranno trovare applicazione e sviluppo efficaci anche nel
campo tipografico dominato esclusivamente dalla macchina moderna, della quale l’artefice potrà render-
si così pienamente dominatore.

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