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Volume : 2 Numero: 31 Data: Giugno 2011 Sede: Gruppo Alternativa Liguria Di: Asta Paolo, Martini Claudio

Alternativa news
In collaborazione con: Megachip

IN QUESTO NUMERO
1 Coccodrilli volanti e ippopotami spaziali: leffetto matrix delle riserve petrolifere Di: Ugo Bardi [ pag. 1/2 ] 2 Indignato? Eppur si muove Di: G.Colonna [ pag. 2 ] 3 Yulia e la giustizia Di: Stefano Grazioli [ pag. 2/3 ] 4 Bufale sul mullah Omar Di: Massimo Fini [ pag. 3/4 ] 5 Le sberle delleconomia Di: Guido Viale [ pag. 4/5 ] 6 Caro Viale, la decrescita necessaria Di: Paolo Cacciari [ pag. 5 ] 7 La decrescita pu avere un consenso? Di: Ugo Bardi [ pag. 6/7 ] 8 Difendiamo la Val di Susa e i suoi abitanti Di: Giulietto Chiesa [ pag. 7 ] 9 Cittadini di tutta Italia, unitevi! Di: Alternativa [ pag. 8 ] 10 Larte della guerra. La cultura della difesa Di: Manlio Dinucci [ pag. 8 ]

Coccodrilli volanti e ippopotami spaziali: l'effetto Matrix delle riserve petrolifere - di Ugo Bardi.

A Piombino si tenuto oggi (28 Maggio 2011) un interessante incontro sulle tematiche
dell'energia e della sostenibilit con un bel gruppetto di relatori che includeva due membri di ASPO-Italia: Luca Lombroso e il modesto sottoscritto, Ugo Bardi, come pure Giulietto Chiesa, Edo Ronchi e altri. Si parlato di molte cose, incluso di coccodrilli volanti (argomento introdotto da Luca Lombroso) e qui vi passo qualche rapida impressione. Ringrazio gli organizzatori, e in particolare Marco Chiarei, per l'invito. Rimango sempre stupito da come tante persone intelligenti siano facile preda di quello che Giulietto Chiesa ha definito "l'Effetto Matrix", parlando al convegno che si tenuto a Piombino il 28 Maggio 2011. L' "effetto Matrix" il risultato di una serie di filtri mediatici che ti portano a credere nella realt di un mondo che, invece, puramente virtuale. Al convegno di Piombino, l'intrusione del mondo virtuale in quello reale cominciata quando Edo Ronchi ha parlato di "riserve di carbone sufficienti per 300 anni". Un altro dei relatori ha addirittura parlato di riserve di petrolio e gas sufficienti per "650 anni". A questo punto, ho pensato che forse era il caso di intervenire e ho definito quest'ultima affermazione come equivalente a parlare di "ippopotami spaziali," riprendendo una battuta sui "coccodrilli volanti" (*) che aveva detto Luca Lombroso poco prima. Questo stato un errore diplomatico perch il mio interlocutore non l'ha presa molto bene. In effetti, mi sono lasciato un po' trascinare. Ma, a parte la foga del dibattito, credo che valga la pena spiegare perch queste affermazioni sono proprio un'espressione dell' "Effetto Matrix", ovvero di uno stravolgimento totale della realt. Se non ci pensate sopra un attimo, potreste esserne confusi anche voi. Allora, i numeri che stanno dietro queste affermazioni, ovvero le stime delle riserve che portano a parlare di "300 anni" o di "650 anni" non sono necessariamente sbagliate. La stima delle riserve minerali, come tutte le misure fisiche, incerta; ovviamente. Ed anche vero che a volte le stime delle riserve sono gonfiate dai produttori che - ovviamente - non hanno nessun interesse a far sapere ai loro clienti di essere in difficolt produttive. Ma non questo il punto. E' proprio un errore concettuale. Vi faccio un esempio. Se parliamo di petrolio "convenzionale" l'ammontare delle riserve abbastanza ben conosciuto - molto meglio di quanto non lo sia quello del carbone e del gas. Pur con tutte le incertezze del caso, se uno parla di "riserve sufficienti per 40 anni ai ritmi di estrazione attuali" non dice una cosa sbagliata (magari saranno 35 o 45, ma cambia poco). Il problema che se uno esce fuori a dire a una di queste conferenze, "Abbiamo riserve petrolifere per 40 anni" sembra che dica che non c' nessun problema e molto spesso questo proprio il tono e l'intenzione di chi lo dice. Come risultato, vedi il sospirone di sollievo che fanno gli ascoltatori. Per ora tutto bene, poi fra 40 anni vedremo. Figuriamoci poi se uno parla di "300 anni" o addirittura di "650 anni"! Ma allora, porca miseria, se abbiamo riserve di petrolio per quarant'anni; come sta che siamo nei guai come siamo? Allora si ricorre ai fantasmi come spiegazione; gli "speculatori" o la "tassa sul terrorismo." Ma non sono i fantasmi a a far aumentare i prezzi del petrolio - proprio il concetto di "riserve" che non viene capito - anzi, viene appositamente distorto per creare l'"Effetto Matrix". Ovvero, ci sono molti modi per valutare il graduale esaurimento di risorse non rinnovabili come il petrolio. Uno (ma soltanto uno) quello di stimare quelle

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che sono estraibili e - per farsi una grossolana idea della loro durata - dividerlo per il ritmo di estrazione attuale per ottenere una ipotetica durata in anni. Ma una valutazione semplicistica che non ci dice nulla di quanto la riserva durer effettivamente. In effetti, noi siamo perfettamente in grado di farci un idea molto pi precisa di come la produzione evolver nel futuro tenendo conto non tanto dell'esistenza di certe riserve ma del loro costo di estrazione. Se lo facciamo, vediamo che saremo nei guai ben prima e, in effetti, lo vediamo benissimo con il petrolio. Il fatto che sui media si parli cos spesso di "riserve sufficienti per XX anni" e non di altri indici una scelta. E' la scelta di presentare il dato che si presenta al primo impatto come il pi ottimistico - quello che ti d un falso senso di tranquillit. Ma soltanto un mondo virtuale quello dove la produzione petrolifera rimane costante per 40 anni e poi - bang! - va a zero di brutto. Presentandoci soltanto questo dato, veniamo proiettati in questo mondo virtuale. Appunto, l'Effetto Matrix.

INDIGNATO? EPPUR SI MUOVE - di G. Colonna - clarissa.it.

Da quando, nel 1977, con le prime elezioni


dopo la guerra civile del 1936-1939, stata ufficialmente riammessa fra le democrazie, la Spagna ha avuto modo di sperimentare tutte le gioie e tutte le delusioni possibili del liberalismo occidentale: gi solo per questo il movimento degli Indignati che in maggio ha presidiato le piazze di 166 citt merita un'attenzione particolare. Osservando le "rivoluzioni arancioni" degli ex-stati comunisti nell'est Europa o, da ultimo, le "rivoluzioni" nordafricane, sembra, almeno per ora, che nessun reale cambiamento sia stato conseguito in quei Paesi: sar cos anche per la protesta dei giovani di un ex caso di successo dell'Occidente capitalista? A prescindere dal fatto che anche qui, come negli altri casi, si corrono rischi di manipolazioni e strumentalizzazioni, l'elemento nuovo e diverso che qualcosa sembra dunque muoversi nella vecchia Europa e proprio laddove sembrava essersi definitivamente radicato il modello di vita, ispirato a quello americano, fondato su scientismo, consumismo e gruppi di pressione - ingredienti che ben conoscono gli Europei del secondo dopoguerra. Segno che la crisi economico-finanziaria, che ha azzerato il benessere dei Paesi della periferia mediterranea europea, sta aprendo gli occhi, soprattutto dei pi giovani, duramente colpiti dalla disoccupazione, sugli aspetti di fondo del sistema in cui vivono: troviamo infatti espressi in modo molto chiaro nel "Manifesto degli Indignati" molti elementi che rimandano a questioni davvero fondamentali. Il primo che quella che alla fine del XIX secolo si poneva alla coscienza degli uomini di buona volont come questione sociale non stata mai realmente superata, giacch per risolverla non bastata la schiacciante vittoria delle potenze del capitalismo occidentale in ben due conflitti mondiali: i fatti dimostrano, per la terza o la quarta volta almeno nella sua storia, che il capitalismo porta con s costituzionalmente semi di ingiustizia, violenza e oppressione che non sono una sua caratteristica puramente filosofica dato che riescono silenziosamente a colpire l'esistenza individuale di milioni di persone, soprattutto quando prendono il sopravvento le sue

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forze pi potenti, quelle della finanza internazionalizzata. Il secondo punto che il capitalismo di conseguenza ammala la democrazia, perch traduce la propria debordante forza economica in condizionamento politico: questa la ragione di fondo per cui i sistemi partitocratici delle democrazie occidentali, nella loro storia di pi di un secolo, sono sempre stati nella rete del potere economico mondializzato, che li isola dagli interessi essenziali dei Paesi e determina una separazione netta fra istituzioni politiche ed esigenze reali dei popoli. Fenomeno che ciascuno di noi ormai sperimenta ogni giorno, in qualsivoglia nazione europea. Questa oligarchia economico-politica oggi sovrana, indipendentemente dalle sigle in cui vorrebbe differenziarsi nei brevi periodi delle campagne elettorali, governa attraverso "comitati d'affari" che gestiscono, come fossero propri, i patrimoni collettivi fondamentali, dall'ambiente all'informazione, dall'istruzione alla giustizia. "L'ansia e l'accumulazione di potere in poche mani crea disuguaglianza, tensione e ingiustizia, il che porta alla violenza, che noi respingiamo. L'obsoleto e innaturale modello economico vigente blocca la macchina sociale in una spirale che si consuma in se stessa, arricchendo i pochi e precipitando nella povert e nella scarsit il resto. Fino al crollo". Cos si legge nel Manifesto. Gli Indignati evidenziano nel loro manifesto che "volont e scopo del sistema l'accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull'efficienza e il benessere della societ" e dunque che la focalizzazione della vita attuale sulla ricchezza divenuta una distorsione strutturale delle nostre societ. In Europa qualcuno comincia quindi a comprendere che l'adesione alla logica del profitto causa di asservimento dei nostri popoli e delle nostre esistenze individuali - e che la politica ha le chiavi di queste catene. Da qui la cosa sicuramente pi significativa del manifesto: si chiede finalmente non una rivoluzione politica ma una Rivoluzione Etica. Merita le maiuscole ed il corsivo questa espressione, se diventer ragione sostanziale del movimento spagnolo. Infatti, nelle nostre societ dal vigoroso individualismo la politica come medievale lotta per il potere, ha fatto definitivamente..

il suo tempo: se l'individuo non si rafforza interiormente sul piano morale, ogni ideale finzione, ogni politica compromesso. Ma l'etica non si scrive nelle leggi, ognuno la scrive e la vive in se stesso; perch essa diventi agire comune occorre che ogni individuo riesca a condividere nel proprio il sentire di altri, trovando unit nella libera appartenenza alla comunit di quel popolo, in quella Patria. La Rivoluzione Etica non la fanno i partiti, ma non si fa nemmeno su Facebook, cos come non si realizza solo con le riforme: la si pratica ogni giorno. Perch abbia effetti collettivi deve cominciare a produrre uomini sobri, disinteressati, animati da spirito di servizio, capaci di vivere il sentire comune e di agire con chiarezza, efficacia e attenzione alla missione che ogni popolo degno di questo nome porta nella storia dell'umanit, in modo differenziato ma coerente con essa. La Rivoluzione Etica colloca i doveri prima dei diritti, definisce i compiti insieme alle aspirazioni, pone i sacrifici davanti alle soddisfazioni: l'etica non pu essere etica della felicit ma etica del compiere ogni giorno quanto si considera giusto, senza curarsi di benefici e svantaggi personali. In una parola, deve essere un dono. Se siamo davvero pronti a questo, la Rivoluzione Etica cominciata, perch opera gi nelle nostre coscienze. Se gli Indignati spagnoli lottano davvero per questo, siamo con loro.

Yulia e la giustizia - di Stefano


Grazioli.

Solo

qualche anno fa aveva in mano le chiavi del Paese, osannata in patria e simbolo in tutta Europa della rinascita democratica in Ucraina, tanto che persino il parlamento di Strasburgo si era colorato darancione per festeggiare la vittoria nel 2004 delleroina dalle trecce bionde e del suo compagno di rivoluzione Victor Yushchenko. Ora tutto cambiato e Yulia Tymoshenko, sostenuta secondo gli ultimi dati del Razumkov Center da solo il 9,6% degli ucraini, rischia anche di finire la sua carriera politica in una prigione di Kiev. Indagata per abuso di potere lex primo ministro ucraino ha sfiorato le sbarre del carcere, con la procura della capitale che lha anche accusata di voler sabotare le indagini e sottrarsi agli interrogatori. Oggi

sembrato arrivare il giorno fatidico dellarresto, il tintinnare delle manette stato per solo momentaneo. Accompagnata dalla polizia in procura, la Tymoshenko ha superato la maratona degli interrogatori senza conseguenze, solo con lavvertimento che se continuer su questa strada, la prossima volta potrebbero arrivare davvero misure pi dure. Il procuratore generale Victor Pshonka ha illustrato oggi rappresentati di Usa e alcuni stati europei la situazione che coinvolge la leader dellopposizione. Da Bruxelles si sono levate alcuni voci preoccupate per larresto, come quella del numero uno del Ppe Wilfried Martens, prima della smentita ufficiale da Kiev. Il braccio di ferro tra la procura generale e lex premier dura ormai da quasi un anno, da quando cio sono state aperte diverse inchieste contro la Tymoshenko. Nel maggio del 2010 stata indagata con laccusa di aver corrotto giudici della Corte costituzionale nel 2003, altri procedimenti sono stati avviati per abuso dufficio in relazione allacquisto di ambulanze a prezzi gonfiati, allutilizzo irregolare di 526 milioni di dollari di fondi ambientali nel 2009 e agli accordi dello stesso anno tra Russia e Ucraina sui prezzi del gas. Gi nel passato, prima di arrivare alla grande ribalta della rivoluzione arancione, la principessa del gas aveva avuto guai con la giustizia. Nel 2001, insieme con il marito Olexandr Tymoshenko, aveva passato qualche giorno in regime di custodia cautelare accusata di evasione fiscale, falsificazione di documenti e appropriazione indebita. Il tutto si risolse poi nel nulla. Nel 2004 era finita sulle lista nera dellInterpol dopo le accuse di corruzione arrivate da Mosca. Ma anche in questo caso non si ebbero risvolti giudiziari. Ora la morsa sembra per stringersi intorno allex premier, che rischia di fare la fine del suo vecchio compare daffari Pavel Lazarenko, primo ministro nel 1996-1997 ai tempi della presidenza di Leonid Kuchma, e suo primo alleato politico ora in prigione negli Usa, condannato nel 2006 a nove anni per riciclaggio ed estorsione. Dallinizio del 2010, da quando stato eletto Yanukovich, sono stati diversi gli episodi giudiziari che hanno coinvolto membri del vecchio governo Tymoshenko. A Praga ha ottenuto asilo politico Bogdan Danylyshyn, ex ministro dellEconomia, indagato dalla procura ucraina. Lo scorso dicembre sono finiti in galera anche lex ministro dellAmbiente Gregori Filipchuk e quello degli Interni Yuri Lutsenko. La stella della rivoluzione arancione si sempre difesa rigettando ogni accusa e parlando di vera e propria persecuzione politica contro di lei e dei suoi ministri. Il presidente Yanukovich e tutto lestablishment politico-finanziario che domina lUcraina starebbero facendo di tutto per metterla definitivamente fuori dai giochi. Secondo il leader dellopposizione Arsenii Yatseniuk larresto della Tymoshenko significherebbe linizio di una guerra politica nel Paese.

Bufale sul Mullah Omar - di


Massimo Fini.

Luned tutte le televisioni del mondo, dalla


Cnn alla Tv di Stato iraniana alle nostre, hanno dato come notizia di testa la morte del Mullah Omar avvenuta in uno scontro coi servizi segreti pachistani. Poich ho pubblicato un mese fa un libro sul Mullah delle televisioni e delle radio (private, io non ho accesso alla Tv pubblica, sono un cittadino di serie Bwin) mi hanno chiesto un parere. Mi sono messo a ridere. esattamente la sesta volta che si d il Mullah Omar per morto, catturato, arrestato, ucciso, accoppato, ferito, in fin di vita. Anche la notizia di luned era una bufala. Non era necessario essere degli esperti per capirlo. Una fonte anonima aveva riferito ai servizi segreti afghani (buoni quelli) che i servizi segreti pachistani avevano intercettato Omar e lo avevano ucciso. I servizi afghani avevano rilanciato la notizia poi ripresa in tutto il mondo. Cerano per delle particolarit curiose. Chi sosteneva che il Mullah era stato intercettato mentre da Quetta (Pakistan), dove gli sprovveduti credono ci sia la sua base, si stava dirigendo verso il Waziristan e chi verso il sud-ovest del Pakistan, cio pi o meno dalla parte opposta. Intanto la conferma ufficiale tardava ad arrivare. I servizi pachistani sostenevano che stavano prendendo tempo per fare delle verifiche sul corpo del Mullah Omar per unidentificazione certa. Ora, Omar alto un metro e 98, ha unorbita vuota perch ha perso un occhio in battaglia e quattro profonde ferite sul corpo. Non dovrebbe essere poi cos difficile identificarlo. In serata si arrivati al grottesco. I servizi segreti afghani facevano sapere che il Mullah non era n morto n ferito ma da quattro giorni era scomparso dal suo

rifugio. Gli danno la caccia da dieci anni, se sapessero dov il rifugio lo avrebbero gi preso da quel d. La cosa pi sensata lha detta il generale Hamid Gul, lex capo dei servizi segreti pachistani, che secondo le prime versioni sarebbe stato proprio quello che aveva intercettato e ucciso Omar: Non ho avuto nessuno scontro col Mullah Omar. unassurdit. Non so perch stiano mettendo in circolazione queste voci. Sono semplicemente ridicole. Secondo i rapporti americani il 75 per cento dellAfghanistan in mano talebana. Hanno i loro sistemi amministrativi e giudiziari paralleli. Perch mai il Mullah Omar dovrebbe nascondersi in Pakistan? Non lo capisco proprio. Insomma finito tutto nella solita bolla di sapone. Il Mullah Omar, come ha detto uno dei suoi portavoce, continua a guidare la guerriglia. Se fosse morto sarebbe stato un duro colpo. Per lOccidente. E per gli Stati Uniti in particolare. Nellinsurrezione afghana contro gli occupanti, il nucleo dei Talebani duri e puri delle origini ridotto allosso. Molti sono morti in battaglia, alcuni sono stati fatti prigionieri. Alla guerriglia si sono aggiunti (oltre ai giovani leoni, ragazzi dai venti ai trentanni che, a differenza di Omar e dei suoi compagni della prima ora, non hanno fatto lesperienza del jihad contro i sovietici), i gruppi pi svariati che hanno un obiettivo, pi che ideologico, molto pratico: cacciare lo straniero. Solo una personalit fortissima col prestigio di cui gode Omar pu tenere insieme questa variegata galassia. Ma questo vuol dire anche che il Mullah Omar lunico interlocutore possibile per quella exit strategy cui gli Stati Uniti pensano e lavorano da un paio di anni senza cavare un ragno dal buco proprio perch, finora, si sono rifiutati di trattare col capo dei Talebani su cui hanno messo una taglia di 25 milioni di dollari senza trovare

nessuno che fosse disposto a tradirlo. Ma se Omar non ci fosse, se morisse, qualsiasi accordo non potrebbe essere che parziale, con frammenti della guerriglia, mentre gli altri continuerebbero a combattere e si sarebbe punto e a capo. Ma anche il Mullah Omar, oggi, ha interesse a trattare. Si ripreso il 75 per cento del territorio, ma pi in l non pu andare. Le grandi citt, Kabul, Herat, Mazar-i Sharif, restano fuori dalla portata della guerriglia per lenorme disparit degli armamenti. Tanto vero che questanno i Talebani hanno rinunciato alla consueta offensiva di primavera limitandosi a consolidare le proprie posizioni e a liberare, con un colpo magistrale, 500 loro militanti rinchiusi nella prigione di Kandahar. La situazione quindi di stallo. Per gli uni e per gli altri. Ma non pu andare avanti allinfinito. Gli afghani hanno il tempo dalla loro, come sempre, gli Stati Uniti no, perch per quella guerra che non si pu vincere spendono, in un momento di crisi economica, 40 miliardi di dollari lanno e immobilizzano 130 mila soldati (pi i 40 mila degli alleati) mentre i bubboni del terrorismo, con tutta evidenza, sono altrove. Trattare con il Mullah Omar? possibile. Purch ci si convinca che non , e non mai stato, un terrorista, che non un criminale, n un pazzo, n un cretino e, a parte certa sua cocciutaggine, un uomo con cui si pu ragionare. Ma se si continua a considerarlo un sodale di Bin Laden, quale non mai stato, tanto che quando nel 1998 il presidente Clinton gli propose di ucciderlo era daccordo, se lo si bolla, come ha fatto la disinformatissima Tv di Stato italiana, come genero di Bin Laden (che ne abbia sposato una figlia una, non innocente, fandonia occidentale), allora non si va da nessuna

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parte. E saranno gli afghani col tempo, con pazienza, come han fatto con gli inglesi nell800 e con i sovietici 30 anni fa, a cacciare anche gli arroganti occidentali, senza nessuna exit strategy ma con una fuga a rotta di collo tipo Vietnam.

Tre discorsi sulla decrescita


Un articolo di Guido Viale sul manifesto, la risposta di Paolo Cacciari su quelle stesse pagine e , in fondo, un'ulteriore riflessione di Felice Fortunaci per Alternativa e Megachip. Tema: la decrescita e l'economia. Leggiamo tre prese di posizione che sembrano accomunate da una visione similare del nodo economia-ecologia. Sicuramente diverso invece il terzo elemento che entra in contatto con il nodo: la politica. Sullo sfondo, i referendum che hanno cambiato la dialettica istituzionale italiana, e la Grande Crisi che in Grecia e presto da noi, esiger prezzi insostenibili alle nostre societ.

LE SBERLE DELL'ECONOMIA di Guido Viale

La

crescita delleconomia ancora imperativo categorico di tutto l'establishment economico, politico e sindacale. Se si abbandona questo tabu, diventano chiare le cose che si possono fare. Il manifesto, 16 giugno 2011 Il vento che ci ha portato all'esito delle elezioni amministrative e dei referendum continuer a soffiare; bisogna cominciare a fare i conti con i problemi che ci troveremo di fronte a breve. A cominciare dai problemi economici. C' ancora qualcuno che crede che la Grecia possa ripagare il suo debito (in gran parte nelle mani di banche francesi, tedesche e inglesi e ora anche della Bce) o anche solo rinegoziarlo a tassi accettabili mentre le politiche che le impone l'Unione Europea annientano qualsiasi possibilit di ripresa? O c' ancora qualcuno che crede che alla lunga possano sottrarsi a una sorte analoga gli altri paesi europei che si trovano pi o meno nella stessa posizione della Grecia, a meno di una revisione radicale del "patto di stabilit"? E c' ancora qualcuno che pensa che in un contesto simile l'economia italiana possa tornare a crescere, realizzando un avanzo primario sufficiente a riportare il suo debito al 60 per cento del Pil? E poi, di che crescita stiamo parlando? Di una crescita del Pil, cio contabile, per soddisfare le societ di rating, interamente controllate dai big della finanza internazionale. Quella stessa finanza che - dopo aver mandato in rovina milioni di clienti irretiti da mutui fasulli, di risparmiatori ingannati da titoli di carta straccia, di imprese rimaste senza credito perch le banche continuano a investire sui derivati - sta ora scommettendo sul fallimento di quegli Stati che si sono svenati per salvarla, svenando a loro volta i propri cittadini. E ancora, forse possibile affrontare temi di ampio respiro - come il dibattito sul reddito di cittadinanza (su cui si appena svolto a Roma un incontro promosso dal Basic Income Network); o il finanziamento di scuola, universit e ricerca; o un piano nazionale di lavori pubblici finalizzato alla manutenzione del territorio, degli edifici pubblici e di quelli dismessi (e non alle "grandi opere"), e molte altre cose ancora ipotizzando un semplice spostamento

da una posta di bilancio a un'altra di fondi in gran parte "virtuali", cio inesistenti, e senza venir meno al patto di stabilit dell'Unione Europea (quello di cui si fa forte, e che rende forte, Tremonti)? Il dibattito sul ritorno alla crescita, imperativo categorico di tutto l'establishment economico, politico e sindacale del paese - ma anche del resto del mondo - e che ha coinvolto anche, su questo giornale, Valentino Parlato e Pierluigi Ciocca, lascia perplessi. Si parla, certo con approcci differenti e anche contrapposti, delle condizioni perch l'economia italiana torni a crescere: in due tempi, secondo alcuni; perch senza tagli di bilancio e "conti in ordine" non pu esserci ripresa; con pi ricerca, pi investimenti, pi occupazione, secondo altri; perch questa la premessa per poter salvare i conti pubblici. Ma di quale ricerca, quali investimenti, quale occupazione, cio di quale "crescita" non si parla mai. Non sono un fautore della decrescita. Trovo questo concetto povero di contenuti; inutilizzabile, se non impresentabile, nelle situazioni di crisi (quando a essere messi in forse sono redditi e posti di lavoro); ambiguo (in quanto speculare, anche se opposto, a quanto ci viene proposto dagli economisti mainstream). Non credo che le otto "R" di Serge Latouche (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare) apportino al dibattito politico molto pi di un chiarimento concettuale. Per, quando si scende - se mai si scende - sulle cose da fare o proporre molto pi facile ritrovarsi d'accordo al di l delle formulazioni dottrinarie. Ma questa diffidenza non significa certo accettazione del diktat della crescita. Il problema individuare prospettive e proposte praticabili secondo il principio "pensare globalmente e agire localmente"; dunque, in contesti in cui possibile raccogliere le forze intorno a obiettivi condivisi. La campagna referendaria contro la privatizzazione dell'acqua, con tutti i significati di cui si caricata nel corso del suo svolgimento, l'esempio di un agire che da modeste dimensioni ha assunto un respiro generale. La costruzione di un Gas (gruppo di acquisto solidale) l'esempio di una prassi che ha un valore paradigmatico anche se con effetti

ancora circoscritti. In ogni caso, la "crescita" (un concetto largamente screditato: lo ricordo a Valentino Parlato) non pu essere un obiettivo; e nemmeno lo "sviluppo"; lo il governo o, meglio, l'autogoverno dei processi economici. La conversione ambientale (ecologica, diversificata, diffusa, solidale, partecipata, sostenuta dai saperi della cittadinanza attiva)nei settori decisivi dell'efficienza e dell'approvvigionamento energetico, dell'uso razionale delle risorse - di cui la gestione dei rifiuti solo l'ultima fase dell'agricoltura e dell'alimentazione, della gestione del territorio, edificato e non, dell'educazione e della ricerca, una prima approssimazione al concetto di autogoverno. E qui ci si ferma; perch per le sue caratteristiche di processo che nasce dal basso e, pur armato di buone pratiche e dei saperi che scienza, cultura e tecnologia mettono a nostra disposizione, la conversione ecologica ha bisogno in ogni luogo della partecipazione e concorso degli organismi attraverso cui si esprime la cittadinanza attiva. Per questo ogni sua ulteriore definizione in gran parte rimandata ai processi di auto organizzazione e di autogoverno. Tuttavia, mano a mano che i processi molecolari si concretizzano, unificano e rafforzano, i movimenti vengono a confronto ed entrano in conflitto con il potere della finanza internazionale e dei governi che ne sono mandatari a livello statuale. La prima posta in gioco di questo confronto il bilancio degli Stati. E lungo questo percorso, la strada della bancarotta della finanza statale, a meno di una revisione radicale del patto di stabilit, sembra essere una tappa obbligata. Si tratta solo di vedere chi e come la gestir. Prendiamo la Grecia. Prima o poi far default. Chi lo nega lo fa per scaramanzia; ma come nascondere la testa sotto la sabbia. Il problema se a questo passaggio obbligato si arriver dopo aver spolpato lavoratori e popolo di tutto quello che hanno conquistato nel corso del secolo scorso, e dopo aver svenduto alla finanza internazionale tutto il vendibile (porti, utility, servizi pubblici, acqua, edifici, isole, spiagge,magari anche il Partenone); oppure se la dichiarazione di insolvibilit arriver prima delle svendite, perch la

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mobilitazione popolare e il timore della sua moltiplicazione in molti altri paesi - avr imposto al governo greco o all'Unione europea un cambio di rotta. Il che ci ricollega alla mobilitazione in corso in Spagna, a un referente nelle rivolte dei popoli del Maghreb e del Medio Oriente e, finalmente, anche un po' al vento che ha preso a soffiare in Italia. E da noi? Qualcuno ha cominciato a pensare come si governa l'economia di un paese insolvente? Magari in compagnia di altri paesi insolventi? Forse non una prospettiva immediata, ma nemmeno una mera ipotesi di scuola; e meriterebbe qualche attenzione in pi. Gli economisti che possono farlo non mancano. Gli esempi a cui rifarsi, nemmeno. L'ultimo in ordine di tempo l'Argentina, che non ne neanche uscita tanto male; anche grazie al fatto che

lavoratori e comunit hanno presso in mano il destino di molte aziende altrimenti condannate alla chiusura. Ma il secondo dopoguerra (quello del 1945) ricco di Stati insolventi, e l'Italia uno di questi. Il caso pi interessante forse la Germania, dove oltre al debito pubblico era stato azzerato anche il valore della moneta, distribuendo a tutti una piccola somma per "ripartire". Non che si debba ripercorrere strade gi tracciate; oggi c' l'euro e prima di affossarlo probabile che si renda irrinunciabile l'azzeramento del patto di stabilit. Comunque, una maggiore apertura di spirito nel prospettare gli scenari di domani non farebbe male. Il vento sta cambiando e bisogna attrezzarsi e mettersi al passo. Cambiare il mondo si pu. Quando gli Stati Uniti sono entrati nella seconda guerra mondiale, in pochi mesi hanno convertito lintero loro ancora meglio con la III Conferenza internazionale sulla decrescita economica per la sostenibilit ecologica e l'equit sociale che svolgeremo a Venezia dal 19 al 23 settembre del 2012. Perch? Primo, perch in natura un modello di crescita illimitato, lineare, esponenziale non esiste se non per le formazioni cancerogene (rimando d'obbligo a Fritjof Capra). Quindi decrescita significa propriamente e in prima istanza diminuzione dei flussi di materia e di energia impegnati nei cicli produttivi e di consumo (rimando d'obbligo al programma elettorale di Europe Ecologie). Ma se ci fermassimo qui, alla sostenibilit, alla green economy, alle clean tech e, da ultimo, alla blue economy di Gunter Pauli prenderemmo un colossale abbaglio: non terremmo conto delle "trappole tecnologiche" e dell' "effetto rimbalzo" sui consumi che genera la sola efficientizzazione degli apparati produttivi (il rimando agli studi di Martinez Aller d'obbligo). In altre parole, se i risparmi che si realizzano grazie alle innovazioni e alle nuove tecnologie servono per moltiplicare i consumi, il bilancio globale sar crescente, cio negativo per la salute del pianeta e di ogni essere vivente, specie se collocato sui rami bassi della gerarchia sociale. Scriveva qualche tempo fa sul manifesto Giorgio Ruffolo: L'accumulazione, che la logica del capitalismo, per natura illimitata. Di fatto una logica impossibile, quindi illogica, dissennata. Io credo che il termine decrescita infastidisca proprio perch colpisce il cuore del problema che molti dei critici della decrescita preferiscono non affrontare, credendolo "impresentabile" per la radicalit del cambiamento richiesto: immaginare e rivendicare una societ fuori..

apparato produttivo (il pi potente del mondo) per fare fronte alle esigenze della produzione bellica. Poi lo hanno di nuovo convertito (in poco tempo, e solo parzialmente) per fare fronte alle aspettative della pace. Oggi siamo in guerra contro una minaccia altrettanto se non pi mortale: quella dei cambiamenti climatici. Molti governi - tra cui il nostro - non se ne curano affatto; quelli che se ne curano lo fanno in misura insufficiente. Ma la resa dei conti sta per arrivare e chi si sar attrezzato per tempo si trover meglio; o meno peggio. Ma una conversione ecologica del sistema produttivo e dei modelli di consumo dominanti non pu avvenire senza liberarsi anche dalla cappa che la finanza internazionale ha steso sull'economia mondiale e sulla vita di tutti.

Caro Viale, la decrescita necessaria - di Paolo Cacciari.


non adoperare il termine decrescita, se sul contenuto siamo daccordo? Una domanda a Guido Viale e ad altri. Il manifesto, 18 giugno 2011 Guido Viale mette correttamente in dubbio che la ricetta della crescita dei Pil possa salvare dal default gli stati nazionali pi indebitati e con le economie pi deboli. La concorrenza - si sa - non un gioco a somma positiva: per far guadagnare alcuni devono perdere molti altri. Non affatto vero che ampliando la torta si allargano proporzionalmente le fette. Chi tiene il coltello per il manico (le istituzioni finanziarie) fa le porzioni che vuole e quelle destinate a remunerare i capitali investiti sono sempre le pi grandi, per riuscire a saziare i giocatori pi voraci. Ma oggi c' dell'altro: di farina per impastare torte sempre pi grandi non ce n' pi. I "fattori" di produzione fondamentali sono sempre meno disponibili. Per alimentare la crescita non rimane che drogarla stampando carta moneta, nell'attesa che scoppi la prossima bolla. Tutto questo scrive Viale, ma si sente in dovere di distinguersi dagli obiettori della crescita (come li chiama Serge Latouche) poich la decrescita sarebbe un concetto povero di contenti, inutilizzabile se non impresentabile nella situazione di crisi, ambiguo... e via apostrofando. Gi altri amici e compagni di tante lotte (Pietro Bevilacqua, Roberto Mancini...) ci hanno sollecitati a cambiare lessico. Attaccarsi a una parola ostinatamente, per di pi non amata, pu apparire stupido. Ma in questo caso a me sembra necessario e utile insistere. Lo abbiamo fatto con un libro (Decrescita. Idee per una civilt post-sviluppista, Sismondi editore, Treviso) e lo faremo

Perch

dal capitalismo e scegliere comportamenti, abitudini, stili di vita improntati al saper fare il pi possibile da s, alla sobriet, alla sufficienza, al controllo consapevole e responsabile delle conseguenze del proprio agire. Una societ di liberi perch eguali, semplicemente, deve scegliere di farsi la raccolta differenziata, di astenersi dal mangiare hamburger, di evitare di servirsi di lavoro schivo, di servirsi delle banche che imprestano ad interesse, di rinunciare a produrre e vendere armi e via dicendo. Insomma, dentro i paradigmi della crescita non credo vi potr mai essere l'auspicato da Viale e da tutti noi - autogoverno dei processi economici. Scriveva Andr Gorz (anche lui "povero di contenuti"?): La decrescita una buona idea: essa indica la direzione nella quale bisogna andare e invita a immaginare come vivere meglio consumando e lavorando meno e altrimenti. Chiss perch non dovrebbe essere un mondo auspicabile, desiderabile, per il quale vale la pena lottare.

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La decrescita pu avere un consenso? - di Felice Fortunaci


lettura dei due precedenti articoli pubblicati sul manifesto piena di suggestioni contrastanti. Due autori che meglio di tanti altri criticano il pensiero economico dominante hanno tuttavia accenti diversi sul punto della decrescita. Li esprimono in modo ragionevole, e seguendoli mi trovo a oscillare anchio intorno a un pensiero ondivago, come una nave in un mare agitato. Non detto che sia un male, magari mi serve a ragionare senza pregiudizi. Guido Viale precisa: Non sono un fautore della decrescita. Trovo questo concetto povero di contenuti; inutilizzabile, se non impresentabile, nelle situazioni di crisi (quando a essere messi in forse sono redditi e posti di lavoro); ambiguo (in quanto speculare, anche se opposto, a quanto ci viene proposto dagli economisti mainstream). Tuttavia l'autore, che sappiamo essere uno dei pi grandi esperti di riconversione ecologica, non cede di un millimetro allideologia della crescita e dello sviluppo, bens le oppone lautogoverno dei processi economici. Mi pare di grande interesse lutilizzo di questi termini. Daltronde chiaro che in uneconomia stazionaria sar interesse collettivo quello di decidere consapevolmente cosa far crescere, cosa far decrescere e cosa mantenere stabile nel processo economico (Marx, in un certo senso, alludeva a queste scelte individuali e collettive quando sognava il suo comunismo, prefigurando l'affermarsi di una "propriet individuale" che fosse altra cosa rispetto alla "propriet privata capitalistica"). Io, che mi riconosco a pieno nella lettura decrescista di Badiale e Bontempelli, non lascio per cadere il sospetto che possa essere necessario usare con cautela certi termini, che rischiano di diventare una bandiera che ci terr lontane moltissime persone. Perch, se voglio cambiare leconomia e la politica, devo farlo prima o poi con grandi masse. Dire prima o poi, come vedremo, pu segnare la differenza. Se mi pongo il problema di raggiungere quanto prima una moltitudine, dovr comunicare probabilmente con altre parole rispetto a decrescita, termine che suscita spesso equivoci. Parole che valgano allo stesso modo a disegnare uno scenario in decrescita che, al contempo, sia percepito immediatamente come opportunit di ricchezza umana e sviluppo di ci che nella vita buono e giusto (benessere, solidariet, qualit delle relazioni, bellezza degli oggetti e loro durata, ecc.). Il buon

La

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vivere non in crescita n in decrescita: nella giusta misura. E cos metto daccordo Aristotele e Confucio, Occidente e Oriente. Le prospettive avanzate da Viale sembrano affrontare la fatica di essere decresciste nei fatti (non potendo essere lette banalmente come green-economy), ma con toni pi vicini alla cultura attuale dei lavoratori. Ad esempio, investire nello sviluppo delle energie rinnovabili una forma di crescita di una precisa area dell'economia, che per pu comportare una decrescita complessiva dei consumi di energia e una riduzione enorme delle emissioni di CO2. Anche se non detto, come ci ricorda Paolo Cacciari nella sua risposta a Viale, quando cita i rischi perversi delleffetto rimbalzo, che traduco cos: grazie alleconomia verde ottengo pi energia e anzich risparmiarla la consumo per assecondare uno stile di vita che nel frattempo non cambio. Viale mi spinge ad avvicendare altre parole, termini come pace, equilibrio, armonia, giustizia, che hanno una storia e unaccettazione pi consolidata. Non si dimentichi che l'ideologia neoliberista affermatasi sicuramente attraverso il bombardamento dei media e l'egemonia culturale degli economisti mainstream - ha promesso libert e spazi ulteriori per l'individuo (ahim solo nel campo dei consumi, la libert di scegliere fra 120 tipi di shampoo). Il loro uno scellerato e fatale fraintendimento, ma coglie dei motori simbolici legati alla modernit. Torna il dubbio ondivago. Con "decrescita" abbiamo uno strumento analitico potente, ma non che forse ci tagliamo fuori dal dialogo con i molti? Anche con quelli che ad esempio mettono al centro della loro azione i Beni Comuni, di nuovo in auge come hanno rivelato il recenti referendum? Ma torna anche la certezza, ondivaga. Se si rinuncia al termine decrescita oggi, prima di fare una battaglia culturale sulle parole, si rischia comunque di finire nel generico. Il motivo semplice: decrescita avvertito come un termine negativo perch crescita nel senso comune avvertito come un termine positivo. Ma se si accetta questo vincolo del senso comune (cio quello di non turbare il "crescismo" inconscio della maggioranza) ci si obbliga a non esplicitare la cosa fondamentale, cio appunto il fatto che siamo contro la crescita, e si finisce per usare formule vaghe e generiche. La mia corsa sussultoria e ondulatoria continua, come vedete. Ma, ribadisco, sono oscillazioni non tanto sul concetto di fondo, che saldo, ma sulla sua comunicazione e sui soggetti con cui interloquire. Con un avvertenza per. Non va nemmeno assolutizzato questo senso comune. Se digitate "crescita" su un motore di ricerca o su un database librario

scoprirete subito che il concetto non mai direttamente teorizzato da alcuno, neanche dal pi esagitato degli economisti liberali. Se cercate testi sulla crescita in quanto tale, non ne troverete che in Elhanan Helpman - Il mistero della crescita economica (Il Mulino) e poco altro. La crescita un concetto - risultante - da un insieme di diverse disposizioni, inclusa la mancanza del concetto di limite. Infine, esso un concetto esclusivamente economico ma normalmente le societ sono lette e vissute, sopratutto dalla media culturale delle persone che ne fanno parte, come qualcosa di pi ampio, ricco e complesso, che non il semplice risultato dei rapporti di produzione. Di nuovo per oscillo, quando penso che alla parola decrescita devo associare spesso ulteriori spiegazioni e devo accompagnarla a qualche aggettivo pi rassicurante (felice, serena, controllata, ecc.). La questione che il termine opposto e speculare a quello che vogliamo combattere. Non ci si innamora della decrescita, al massimo la si pu ritenere giusta. Ma bisogna forse innamorarsi della politica? Certo che no, tuttavia se si vogliono coinvolgere corpi e anime bisogna farlo parlando non solo alla testa, ma anche al cuore. Inoltre, se parlo di decrescita dovrei ogni volta specificare che parliamo di decrescita dell'Occidente per un riequilibrio planetario nell'uso delle risorse. infatti chiaro che, sia tra paesi sviluppati e paesi a un altro stadio di sviluppo industriale, che fra i ceti subalterni e i ceti ricchi dell'Occidente, esiste un forte senso di ingiustizia percepito per le diseguaglianze sociali esistenti. Inizia prima a decrescere tu, ciccione! avrebbe titolo a urlarci un indiano che vede finalmente affermarsi il suo Paese a livello globale, mentre noi siamo alla fine di un ciclo. Capite il rovello, londa che sale e scende. Vado pi dritto allora sulla questione della crescita, per capire se per combatterla devo urlare pi forte e se questo pu aiutare a farmi capire. La crescita che conosciamo produce la catastrofe. Possiamo non dirlo, possiamo girare attorno alla questione, possiamo abbellire la pillola, ma la sostanza non cambia. Perci anche le formule di Guido Viale mi sembrano molto al di sotto del problema di massima, cio la catastrofe. Viale auspica lautogoverno dei processi economici. Ma non so se sia pi comprensibile. Non sembra puntare a un cambio di paradigma, e perci comunque poco mobilitante. Mentre dovr essere sincero sui nodi veri delleconomia e degli stili di vita sostenibili. Essere sincero e trovare alleati, compagni di strada, persone con idee allaltezza del pericolo estremo che il modello di sviluppo..

dominante fa correre a tutti. Noi che riteniamo che si debba fermare la corsa alla crescita sappiamo che dovremo parlare a larghissimi strati di persone, e conquistarli perch abbandonino l'idea della crescita come obiettivo per migliorare le proprie condizioni di vita. Il fatto che questo non pu essere l'obiettivo di breve periodo. Un cambio di cultura, mentalit, stili di vita cos ampio come quello necessario non pu essere realizzato in tempi brevissimi. Nemmeno se gli eventi negativi costringeranno tutti a confrontarsi con la realt. Soprattutto: il cambiamento che auspichiamo non pu essere realizzato senza che vi siano persone organizzate che a questo lavorano. Conta il fattore tempo. Il ragionamento di Viale non si sofferma sui tempi della crisi. Ma questi sono un fattore determinante. Se la l'insostenibilit catastrofica avverra' in 100 anni un conto. Se la crisi ecosistemica precipiter in meno di 50 anni un conto (politico) del tutto diverso. Soprattutto se esistono studi scientifici che anticipano ancora di pi il redde rationem. Il collasso eco-sistemico non attende le decisioni politiche: le determina. Pensare un trapasso lento implica (anche se non lo si dice) una terapia lenta. Ma se questa terapia risultasse impossibile? Se occorresse una terapia brutale e rapida? In altri termini, per dirimere la questione politica bisogna andare a valutare i dati conoscitivi circa la crisi globale. Altra via non c' per giungere a una decisione sensata. E serve qualcosa che sia un trait d'union politico-scientifico-organizzativo. Vedo come un compito urgente costruire quest'organizzazione. So che abbiamo poco tempo, tuttavia non possiamo non procedere per gradi, perch l'unico modo per avere qualche speranza di successo. Al momento noi non possiamo pensare di vincere e governare.

Non ora. Il nostro obbiettivo costruire l'opposizione. Una vera opposizione al ceto politico, che oggi manca quasi completamente. Scrivo "quasi" perch esiste il Movimento 5 stelle, che un embrione di opposizione al ceto politico, ma che per le sue caratteristiche non pu essere n efficace, n duraturo. Almeno non nella forma ipergrillina che conosciamo adesso. Tuttavia esso ha il merito di aprire la strada alla costruzione di un soggetto politico di opposizione che possa essere anche forte dal punto di vista elettorale. La mia oscillazione ritrova un momento di fermezza. Odio le sette, i discorsi dei puri che epurano. Amo altrettanto i discorsi chiari che accettano anche di essere minoranza, ma si pongono il problema di convincere pacatamente una maggioranza. Nel breve periodo vorrei incontrare una minoranza di persone che sia in grado di assumere un livello molto alto di conoscenza e consapevolezza di quanto sta accadendo (e dei motivi per cui accade). Quindi non corriamo, per ora, il rischio di essere malcompresi utilizzando il termine "decrescita", e nemmeno costituisce un problema il fatto che sia un termine avvertito come "negativo". Le persone a cui mi rivolgo oggi sono appunto persone che sanno perfettamente che "decrescita" indica anche le cose che non sono per molti evocate da quella parola ("Liberiamo il tempo, riprendiamoci i beni comuni, aumentiamo le relazioni umane sensate fuori dal mercato"). Il linguaggio specifico delle elezioni attinger a slogan positivi e capaci di attrarre consenso elettorale. E un problema meno urgente, sebbene gi presente. Viale rientra in quel gruppo di intellettuali che, legittimamente, non ritiene necessaria la nascita di un soggetto politico. Essi credono che la diffusione delle buone pratiche, unite a forme di

auto-organizzazione, possano realizzare il cambiamento, di cui la societ ha bisogno. Guardo invece a una prospettiva diversa, e cos leggo il progetto di Alternativa: costruire un soggetto politico per il cambiamento, in grado di competere anche sul piano elettorale-istituzionale. Questa necessit si conferma proprio in questo periodo, dopo la bellissima vittoria ai referendum. Non cadiamo nell'errore che i movimenti possano sostituire i soggetti politici. Non vi nessuna possibilit che il movimento assuma connotati maggiormente politici. I motivi sono abbastanza ovvi, e dipendono dalla eterogeneit delle realt che compongono il movimento stesso. Dentro vi troviamo sinistra "radicale", e pezzi di sinistra "moderata", Cobas e Fiom, associazioni come Legambiente, e il movimento 5 stelle. Difficilmente si accorderanno su questioni che non riguardino uno specifico tema. E soprattutto difficile che compiano salti di qualit dal punto di vista della "politicizzazione" del movimento, perch questo sarebbe in contraddizione con gli interessi e gli obiettivi delle varie realt di appartenenza, che sono gi gruppi politici, oppure sono realt che devono mantenere l'indipendenza dai gruppi politici, come i sindacati. Naturalmente la vittoria al referendum permette di provare a fare qualche passo avanti, senza forzature n illusioni. Pi si estender l'area di ascolto, pi dovremo ascoltare le voci diverse. Ma non credo che possiamo e dobbiamo decidere noi, adesso, quali saranno le parole d'ordine di quella fase. Si deve procedere, sul piano politico, sperimentalmente; sul piano teorico, scientificamente. La decrescita la bussola di una nave in un porto. Durante il viaggio cambier, assieme ai metodi di rilevazione. Ma ora serve cos, proprio per intraprendere quel viaggio.

Difendiamo la Val di Susa e i suoi abitanti - di Giulietto Chiesa.


Arrivano notizie splendide dalla Val di Susa, dove a migliaia stanno presidiando la valle per impedire linizio dei lavori dellAlta Velociit.
Splendide perch ci dicono che lItalia viva, intellettualmente e moralmente. Arrivano notizie orribili da Torino. Dove il nuovo sindaco, Piero Fassino, del Pd, ha sostanzialmente invitato alla repressione, dichiarando a pi riprese che lalta velocit sha da fare. A quanto pare, a tutti i costi. Al Pd non bastato fare la guerra in Libia, bombardando anche i civili. Adesso il centrosinistra lancia la caccia alluomo in Val di Susa. Poich evidente che, per cominciare i lavori, occorrer lintervento della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, che bastoneranno, lanceranno gas lacrimogeni, e poi arresteranno i facinorosi che vogliono difendere la loro valle (ma anche tutti noi) e il semplice buon senso. Questo significa molte cose. La pi importante delle quali che il centrosinistra (se Fassino e Chiamparino sono il centrosinistra, e mi pare che lo siano) si candida come la forza repressiva antipopolare pi attiva e belligerante. Possiamo gi immaginare come questa gente gestir la macelleria sociale che si annuncia, con tagli alle spese per i prossimi dieci anni, al ritmo di 45 miliardi di euro allanno. Io non nutrivo illusioni su questa gente, che qualcuno ancora continua a definire sinistra, con il sindaco di Firenze Renzi, il rottamatore da rottamare, che per la privatizzazione dellacqua insieme a Chiamparino. Io sto con la gente della Val di Susa, sono contro la privatizzazione dellacqua, e contro il nucleare. Voter quattro S al referendum. E finisco con una domanda ai giovani e meno giovani che hanno militato, e forse ancora militano, nelle fabbriche di Niki. Ragazzi, ma con il Pd che volevate andare? Con questo Pd che promuove la guerra? Con questo Pd che ha inventato il precariato? Con questo Pd che vuole bastonare i No TAV? Lo chiedo a voi dopo che ho letto e sentito Vendola. Dove voglia andare lui lavevo capito da tempo. Mi interessa sapere dove volete andare voi.

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CITTADINI DI TUTTA ITALIA, UNITEVI! Ora tutti sono saliti sul carro
del vincitore. Ma sono stati i comitati referendari, i movimenti e i cittadini a vincere i referendum. Berlusconi stato sconfitto, il suo governo stato sconfitto e l'intero Parlamento, opposizione inclusa, con la sola eccezione del IdV, stato sconfitto. Il risultato dei referendum, con il raggiungimento del quorum e la schiacciante vittoria dei S, fornisce pertanto un'indicazione molto chiara: l'attuale Parlamento non rappresenta pi il popolo italiano. Chiediamo al Presidente della Repubblica di prenderne atto. E' in suo potere, ed suo dovere, come garante del corretto funzionamento delle istituzioni, agire di conseguenza. La situazione eccezionale e non ce ne nascondiamo la difficolt. Tuttavia riteniamo che essa debbe essere affrontata facendo leva sullo spirito della Costituzione, laddove manchino normative precise e inaggirabili. Il Presidente della Repubblica ha, tra le sue funzioni, quella di rivolgersi direttamente alle Camere. Noi riteniamo che debba farlo, con un messaggio chiaro che sottolinei la discrepanza troppo evidente per non essere rilevata- tra decisioni di questo Parlamento e il sentire della maggioranza dei cittadini. Siamo di fronte a una vera e propria anomalia che, ove non individuata e corretta, metterebbe a repentaglio le fondamentali garanzie costituzionali. E' ovvio che, con questa legge elettorale, qualsiasi futuro parlamento non potr essere di qualit migliore dell'attuale. Quindi l'urgenza di una nuova legge elettorale s'impone come priorit assoluta. Le modalit per giungere a questo risultato sono nelle mani delle istituzioni attuali. Che saranno giudicate a seconda del loro operato. Nel frattempo, fino a che rester in carica, l'attuale parlamento deve essere perentoriamente invitato a portare alla immediata

discussione le leggi di iniziativa popolare che giacciono nei cassetti mentre avrebbero dovuto essere messe all'ordine del giorno: sulla gestione pubblica dell'acqua, sulle energie rinnovabili , sulle regole di eleggibilit dei parlamentari, sulla democrazia sindacale. Una legge sui partiti, come previsto dalla Costituzione, deve essere immediatamente messa in discussione. Esistono in tal senso proposte precise. Le forze politiche rappresentate in Parlamento le hanno ignorate. Ora non possono pi farlo. Esiste oggi nel paese, come il referendum ha dimostrato, un nuovo soggetto politico - un soggetto politico di tipo nuovo che deve essere ascoltato perch costituisce una democrazia reale in atto. Esso una forza reale che ha rivitalizzato la democrazia come partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni vitali per l'intero paese. L'autonomia di questa forza nuova, rappresentata dai comitati, dai movimenti dei cittadini, un bene prezioso che non dev'essere intaccato. Spetta a loro decidere in che forme intervenire sulla vita politica generale del paese nel prossimo futuro. Noi, che di questa forza ci sentiamo e siamo parte, crediamo che essa debba prendere piena coscienza della sua responsabilit, oltre che della sua forza. Non si pu attendere dal Parlamento e da partiti obsoleti, che risolvano la crisi per conto nostro. L'ipotesi di andare a una convocazione degli Stati generali dei Comitati e dei movimenti per giungere alla formulazione di una Carta dei Beni Comuni e per dare indicazioni precise su una nuova legge elettorale, ci pare un'ipotesi da esaminare. Altre possono emergere e andranno discusse. Essenziale non perdere lo slancio, non sciogliersi, non attendere. Per quanto ci riguarda daremo l'aiuto di cui siamo capaci. Alternativa. Ufficio Centrale.

L'arte della guerra. La cultura della difesa.


di Manlio Dinucci

Chi

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ha detto che il sistema d'istruzione non si rinnova? C' una nuova materia, dalle materne ai corsi post lauream, di cui sono gi avviate le sperimentazioni. A Pisa, per iniziativa del Comune, 1.500 bambine e bambini delle scuole dell'infanzia, primarie e medie sono stati condotti il 27 aprile nella caserma della Brigata Folgore, dove per il secondo anno si svolta la Giornata della solidariet. Che impressione hanno avuto i bambini? Che la caserma un luogo bellissimo, dove tante persone simpatiche ti fanno fare tanti giochi, dai percorsi a ostacoli alle gare di orientamento, dove dal cielo scendono supereroi alati che volteggiano lasciandosi dietro scie di fumo tricolore e, quando atterrano, schiacciano con gli scarponi i palloncini gialli al centro del bersaglio. E insieme alla bandiera della Folgore (due ali bianche che lanciano un fulmine giallo-oro), ne portano un'altra con scritto Nicola. Il nome del maggiore Ciardelli - spiegano agli alunni ucciso il 27 aprile 2006 a Nassirya in Iraq, dove in missione di pace aiutava i bambini. L'associazione Nicola Ciardelli, aiutata da Regione e Croce Rossa, aprir a Firenze, vicino all'ospedale Meyer, la Casa dei bambini di Nicola per curare le piccole vittime delle guerre. Analoghe iniziative in altre scuole primarie e medie. In quelle del Trentino stato diffuso un calendario Nato/Isaf, con in copertina un blindato italiano in Afghanistan, armato di mitragliatrice, e foto di soldati italiani che, in assetto di guerra, regalano ai bambini afghani palloni bianchi con scritto Isaf, che li curano amorevolmente, che vengono accolti nei villaggi da bambini festanti. Nelle scuole superiori si usano altri metodi educativi. A Castrovillari (Cs), militari in cattedra e diffusione di opuscoli in cui si spiega che entrare nell'esercito significa valorizzare se stessi. A Rovigo, lezione

di tattica militare e combattimento con armi ad aria compressa. Una migliore preparazione i ragazzi la possono avere con il corso Allenati per la vita, promosso dai ministeri dell'istruzione e della difesa, valido come credito formativo: vengono addestrati al combattimento con armi ad aria compressa e a percorsi ginnico-militari (arrampicata, nuoto, orientamento). E, compiuti i 18 anni, possono partecipare ai corsi di formazione Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane, per condividere i valori che promanano dalle Forze Armate. A livello universitario, il top il corso di peacekeeping tenuto, con il Centro militare di studi strategici, dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, che ha celebrato con una conferenza dell'Associazione Allievi i dieci anni di impegno politico e militare dell'Italia in Afghanistan. E mentre l'Italia partecipa alla guerra in Libia (la quinta in due decenni) arriva in Senato - dopo essere passata alla Camera grazie a un'intesa multipartisan (Pd, Idv, Pdl, Lega) - la legge per la promozione e diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidariet in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado. Ha dunque ragione il presidente Napolitano: l'Italia, oggi fermo presidio della pace, si lasciata alle spalle gli anni bui del bellicismo fascista. Oggi la cultura della guerra con libro e moschetto divenuta cultura della difesa attraverso la pace e la solidariet.

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