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Volume : 2 Numero: 34 Data: Luglio 2011 Sede: Gruppo Alternativa Liguria Di: Asta Paolo, Martini Claudio

Alternativa news
In collaborazione con: Megachip

IN QUESTO NUMERO
1 Un futuro spaventoso Di: Massimo Fini [ pag. 1 ] 2 La doppia impostura della ripresa Di: Serge Latouche [ pag. 2/3 ] 3 Magdi Cristiano e il codice penale ad hoc Di: Pino Cabras [ pag. 4 ] 4 Come si conquista un paese: lattacco della finanza internazionale allItalia Di: Gaetano Colonna [ pag. 4/5/6 ] 5 Una firma che fa terra bruciata nel lavoro come bene comune Di: Stefania Corucci [ pag. 6/7 ] 6 Uragano in arrivo Di: Guido Viale [ pag. 7/8 ] 7 Siamo tutti sotto minaccia: vogliona farci pagare la crisi Di: Alternativa [ pag. 8 ]

Un futuro spaventoso - di Massimo Fini.


i avverte in giro, sotto le rutilanti bellurie che ogni giorno ci vengono ammannite per placare la nostra ansia, un desolante sensus finis. Non parlo qui dellItalia che un tempo, molti secoli fa, fu un luogo importante e oggi ridotta a uno sputo nelluniverso mondo. Parlo dellOccidente inteso non per in senso tecnico (del resto che cosa sia realmente lOccidente, termine inquietantemente orwelliano, nessuno mai stato in grado di precisarlo), ma come modello di sviluppo economico e sociale che ormai coinvolge il mondo intero, da New York agli Urali alla muraglia cinese al Gange. La grande Rivoluzione che ha cambiato la storia del mondo ha preso le mosse circa otto secoli fa proprio dallItalia quando si afferma per la prima volta come forte classe sociale la figura del mercante (oggi detto imprenditore) fino ad allora collocata, in tutte le culture doriente e di occidente, allultimo gradino della gerarchia umana, inferiore, perlomeno eticamente, persino allo schiavo. la Rivoluzione della percezione del tempo. Si passa dal quieto e statico presente al dinamico e allettante futuro. Lo storico Piero Camporesi esprime cos, nel dualismo contadino/mercante, povero/ricco, questo diverso atteggiamento esistenziale: Laffannoso tempo storico e lineare del mercante misurato sui ritmi della partita doppia, dei tassi di interesse e dellinvestimento produttivo, non era il tempo dei contadini, serpentino, ciclico, ritmato dalle stagioni, dai soli e dalle lune Il povero coniuga i verbi al presente, non conosce le lusinghe ingannevoli del futuro, contrariamente al ricco che costruisce strategie nel tempo tracciando precari piani e ipotetiche prospettive (Cultura popolare e cultura dlite fra Medioevo ed et moderna). Per otto secoli abbiamo inseguito questo futuro orgiastico con accelerazioni sempre pi parossistiche che passano per la Rivoluzione industriale e lodierna globalizzazione che ha coinvolto, per amore o per forza, anche culture che non ne volevano sapere. Ed ora questo futuro finalmente arrivato. qui. E si presenta sotto forme spaventose. Un modello che ha puntato tutto sulleconomico, rendendo marginali tutte le altre e complesse componenti dellessere umano, provocando stress, angoscia, nevrosi, depressione, anomia, dipendenza da ogni sorta di droga per avere la forza di tirare avanti, fallisce anche, e proprio, sulleconomico. Le crisi si succedono alle crisi. E, invece di rifletterci su, vengono tamponate al solito modo: immettendo nel sistema denaro inesistente, cio unipoteca su un ulteriore futuro tanto sideralmente lontano da essere solo una Fata Morgana. Ma un giorno, vicino, questo trucchetto da magliari non regger pi. La gente, sia pur confusamente, lo avverte. Un modello basato sulle crescite infinite, che esistono solo in matematica, cio nellastrazione, quando non potr pi espandersi imploder su se stesso provocando una catastrofe planetaria. Probabilmente questo era il destino, ineludibile, di quellarrogante specie animale che quella umana. Elisabetta Pozzi conclude la pice Cassandra che, col mio contributo, porter in tourne nei prossimi mesi, nel circuito teatrale estivo, con queste profetiche e agghiaccianti parole di Nietzsche: In un angolo remoto delluniverso scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari cera una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto pi tracotante e pi menzognero della storia del mondo: ma tutto dur soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigid e gli animali intelligenti dovettero morire. Quando tutto sar finito, non sar avvenuto nulla di notevole.

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La doppia impostura della ripresa - di Serge Latouche* Introduzione - Che cosa la ripresa? E
in sostanza quel che stato proposto al vertice (G8 / G20) di Toronto, un programma che contiene allo stesso tempo sia la ripresa che lausterit. La cancelliera tedesca Angela Merkel chiedeva una politica vigorosa di rigore e di austerit. Il presidente degli Usa Barak Obama, temendo di colpire la timida ripresa delleconomia mondiale e di quella statunitense con una politica deflazionista, chiedeva un rilancio ragionevole. Laccordo finale stato raggiunto su una sintesi zoppicante: la ripresa controllata nel rigore e lausterit moderata dal rilancio. Il ministro delleconomia francese Christine Lagarde, che non era ancora presidente del Fondo monetario internazionale, ha allora azzardato il neologismo rilance (contrazione di rigueur e rilance). Con ci sincronizzando il passo con il consigliere del presidente Sarkozy, Alain Minc, che, interrogato su quel che bisognava fare nella situazione critica provocata dalla destabilizzazione degli Stati da parte di mercati finanziari che i medesimi Stati avevano appena salvato dalla rovina, si prodotto in questa ammirevole formula: bisogna schiacciare allo stesso tempo il freno e lacceleratore. In ogni modo, denunciare la doppia impostura di questo programma costituisce per me una tripla sfida. Prima di tutto, si tratta parlare in questo luogo, nellambito del parlamento europeo a Bruxelles tempio della religione della crescita a partire da una posizione iconoclasta, la decrescita, per di pi a proposito di una materia di cui non sono uno specialista, la Grecia e la crisi del debito sovrano. Poi, si tratta di parlare in questo luogo tempio della politica a partire da una posizione da scienziato e dunque, per riprendere la distinzione e lanalisi di Weber, secondo letica della convinzione e non quella della responsabilit. Infine, si tratta di sostenere un punto di vista paradossale: n rigore, n ripresa. Rifiutare il rigore o lausterit una posizione sulla quale posso almeno trovare degli alleati (bench molto minoritari) sia tra gli economisti, ad esempio Frderic Lordon, che tra i politici, come J-L Mlanchon secondo il suo attuale programma. Rifiutare la ripresa della crescita produttivista e uscire dalla religione della crescita una posizione ammessa da alcuni ecologisti sul lungo termine, ma del tutto esclusa nel breve termine. E dunque a questa tripla sfida che cercher di rispondere, a cominciare dai due rifiuti:

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quello del rigore e quello della ripresa. Rifiutare lausterit La crisi greca si inscrive nel contesto pi largo di una crisi delleuro e di una crisi dellEuropa. E naturalmente di una crisi di civilizzazione della societ del consumo, vale a dire una crisi che unisce una crisi finanziaria, una crisi economica, una crisi sociale, una crisi culturale e una crisi ecologica. La mia convinzione profonda che, risolvendo la crisi dellEuropa e delleuro, se non la crisi della civilizzazione dei consumi, si risolver la crisi greca, ma che, tenendo la Grecia sotto trasfusione a colpi di prestiti condizionati a iniezioni sempre pi massicce di austerit, non si salver n la Grecia, n lEuropa, e si getteranno i popoli nella disperazione. Rifiutare lausterit presuppone prima di tutto cancellare due tab che sono alla base della costruzione europea: linflazione e il protezionismo. Il progetto della decrescita, ossia la costruzione una societ dellabbondanza frugale o della prosperit senza crescita, implica due fenomeni che hanno potuto essere gli oggetti di politiche sistematiche, nel passato: il protezionismo e linflazione. Le politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione dellapparato produttivo, di difesa delle attivit nazionali e di protezione sociale, e quelle di finanziamento del deficit di bilancio con un ricorso ragionevole allemissione di moneta che provocasse una gentle rise of price level (una inflazione moderata) preconizzata da Keynes, hanno accompagnato leccezionale crescita delle economie occidentali nel dopoguerra, gli anni che in Francia sono stati chiamati i trenta gloriosi. a dire il vero il solo periodo nella storia moderna in cui le classi lavoratrici hanno goduto di un relativo benessere. Questi due strumenti sono stati banditi dalla controrivoluzione neoliberista, e le politiche che li vorrebbero prevedere sono oggi colpite da anatema, anche se tutti i governi che possono vi hanno fatto ricorso in maniera pi o meno surrettizia e insidiosa. Come tutti gli strumenti, il protezionismo e linflazione possono avere degli effetti negativi e perversi e sono quelli che soprattutto si osservano oggi nel loro utilizzo nascosto (1) ma indispensabile farvi ricorso in modo intelligente per risolvere in modo soddisfacente, da un punto di vista sociale, le crisi attuali, ed evitare la catastrofe di una austerit deflattiva, ma anche il disastro certo di una ripresa produttivista. Per questo oggi bisogna probabilmente uscire dalleuro, non potendo correggerlo. Bisogna riappropriarsi della moneta, che deve ritrovare il suo ruolo: servire e non asservire. Il denaro pu essere un buon servitore, ma sempre un cattivo padrone

Notiamo per altro che la ripresa della signora Lagarde non il rilancio produttivista di Joseph Stiglitz: essenzialmente il rilancio delleconomia del casin, quella della speculazione di borsa e immobiliare. In effetti, per i governi in carica, lo slogan sia ripresa sia austerit significa la ripresa per il capitale e lausterit per le popolazioni. In nome della ripresa, per altro largamente illusoria, degli investimenti e quella totalmente fallace delloccupazione, vengono abbassati o soppressi gli oneri sociali, le imposte sulle professioni e limposta sugli utili delle imprese. Si rinuncia ad ogni imposizione sui super-profitti bancari e finanziari, mentre lausterit colpisce duramente i salariati e i ceti medi e inferiori con tagli degli stipendi, riduzione delle prestazioni sociali, allungamento dellet legale per la pensione (che significa concretamente la diminuzione del suo ammontare). Per completare il tutto, e preparare la mitica ripresa, si smantellano sempre pi i servizi pubblici e si privatizza a tutta velocit ci che ancora non stato privatizzato, con una soppressione massiccia di posti di lavoro (nellistruzione, nella sanit, ecc.). Assistiamo a una strana corsa masochista allausterit. Il Paese A annuncia una diminuzione dei salari del 20 per cento, allo stesso tempo il paese B annuncia che far di meglio, con una diminuzione del 30 per cento, mentre il paese C, per non essere da meno si ingegna di aggiungere misure ancora pi rigorose. Annunci per di pi sommati alla pubblicit onnipresente, che incita a continuare a consumare sempre di pi senza averne i mezzi e a indebitarsi senza la prospettiva di poter rimborsare il debito: bisogna in qualche modo espiare la pseudo festa del consumo pur continuando a sostenerla nella parte dei debitori. Questa politica di austerit stupida non pu che provocare un ciclo deflattivo che far precipitare la crisi, ci che la ripresa puramente speculativa non impedir; e gli Stati dissanguati non potranno pi, questa volta, salvare le banche a colpi di miliardi di dollari. Questa politica non solo immorale, ma anche assurda. Otterremo il fallimento delleuro, se non dellEuropa, e la catastrofe sociale. In attesa di questa eventualit, se gli obiettori della crescita fossero incaricati di gestire gli affari della Grecia, per esempio, quale sarebbe la loro politica? Il ripudio puro e semplice del debito, ossia la bancarotta dello Stato, sarebbe una medicina da cavallo che risolverebbe il problema sopprimendolo. Tuttavia, questa soluzione radicale, che non da escludere e avrebbe facilmente il favore dei decrescitisti, rischierebbe di

gettare il paese nel caos. Il problema che, in effetti, in pratica la crisi dellindebitamento degli Stati non che una parte del problema. La risposta teorica alla sola questione del debito degli Stati che, anche per i pi indebitati, dellordine dellammontare del Pil, per altri versi pi facile a farsi di quella che concerne il trovare una soluzione per la bolla mondiale dei crediti nati dalla speculazione finanziaria (2). La minaccia di un rischio sistemico lontana dal poter essere scartata. Per quel che riguarda il debito pubblico, il suo annullamento rischierebbe di colpire non solo le banche e gli speculatori, ma anche direttamente o indirettamente i piccoli risparmiatori che hanno dato fiducia al loro Stato o che si sono fatti rifilare dalla loro banca, a loro insaputa, degli investimenti complessi che comprendono titoli dubbi. Una riconversione negoziata (che equivarrebbe a una bancarotta parziale), come quella che si fatta in Argentina dopo il crollo del peso, o dopo un compromesso, come propongono Eric Toussaint e una coalizione di Ong per determinare la parte abusiva del debito, senza dubbio preferibile. Si pu anche prevedere di mantenere la quotazione dei titoli per i piccoli investitori e un deprezzamento per il 40 e il 60 per cento degli altri, o ancora ricorrere a un haircut fiscale (3). Per onorare il debito residuo, un aumento dei prelievi fiscali grazie a una tassa eccezionale sui profitti finanziari, come fa lUngheria, non sarebbe una cattiva idea, oltre che lavvio di una fiscalit progressiva con, prima di tutto, nel caso francese labbandono reale dello scudo fiscale e delle nicchie scandalose. In una societ della crescita senza crescita, ossia pi o meno la situazione attuale, lo Stato condannato ad imporre ai cittadini linferno dellausterit, con prima di tutto la distruzione dei servizi pubblici e la privatizzazione di quel che ancora possibile vendere dei gioielli di famiglia. Facendo questo, si corre il rischio di creare una deflazione e di entrare nel ciclo infernale di una spirale depressiva. E precisamente per evitare questo che bisogna adoperarsi per uscire dalla societ della crescita e di costruire una societ della decrescita. Uscire dalla religione della crescita Di fronte a questa minaccia reale ci sono buoni spiriti, come Joseph Stiglitz, che raccomandano le vecchie ricette keynesiane del rilancio del consumo e dellinvestimento per far ripartire la crescita. Questa terapia non desiderabile. Non lo perch il pianeta non pu pi sopportarla, ed forse impossibile perch, dato lesaurimento delle risorse naturali (in senso ampio) gi dagli anni settanta, i costi della crescita (quando c) sono superiori ai suoi benefici. I guadagni di produttivit che ci si pu

aspettare sono nulli o quasi nulli. Bisognerebbe privatizzare ancora e mercificare le ultime riserve di vita sociale e far crescere il valore di una massa immutata o in diminuzione dei valori duso, per prolungare solo di qualche anno lillusione della crescita. Tuttavia, questo programma socialdemocratico, che costituisce la missione dei partiti di opposizione, non credibile, innanzitutto perch questi partiti non sono in grado di rimettere in questione la gabbia di ferro del quadro neoliberista che essi stessi hanno contribuito a costruire nel corso degli ultimi trentanni, e che presuppone una sottomissione senza riserve ai dogmi monetaristi. Lesempio della Grecia in questo abbastanza eloquente. Si tratta di uscire dallimperativo della crescita; altrimenti detto, di rifiutare la ricerca ossessiva della crescita. Che non evidentemente (e non deve essere) uno scopo in s; essa non rappresenta pi il mezzo per abolire la disoccupazione (4). Bisogna tentare di costruire una societ dellabbondanza frugale, o per dirla come Tim Jackson di prosperit senza crescita. In effetti, il primo obiettivo della transizione dovrebbe essere al ricerca del pieno impiego per rimediare alla miseria di una parte della popolazione. Questo potrebbe essere fatto con una rilocalizzazione sistematica delle attivit utili, una riconversione progressiva delle attivit parassitarie, come la pubblicit, o nocive, come il nucleare e gli armamenti, e una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro. Per il resto, il ricorso a una inflazione controllata (diciamo pi o meno il 5 per cento lanno) quel che noi ci augureremmo. Questa soluzione keynesiana, che equivale al ricorso a una moneta complementare per stimolare lattivit economica senza per questo rientrare nella logica della crescita illimitata, faciliterebbe la soluzione dei problemi provocati dallabbandono della religione della crescita. Certo, questo bel programma pi facile da enunciare che da realizzare. Nel caso della Grecia, presuppone come minimo di uscire dalleuro e ristabilire la dracma, probabilmente non convertibile, con quel che questo implica: controllo dei cambi e ristabilimento delle dogane. Il necessario protezionismo di questa strategia provocherebbe lorrore degli esperti di Bruxelles e dellOmc. Bisognerebbe dunque aspettarsi delle misure di ritorsione e dei tentativi di destabilizzazione dallestermo collegati al sabotaggio degli interessi lesi allinterno. Questo programma sembra perci oggi molto utopico, ma quando saremo al fondo del marasma e della vera crisi che ci aspetta al varco sembrer realistico e desiderabile. Conclusione Nella tragedia greca antica la catastrofe

la scrittura della strofa finale. Qui siamo. Un popolo vota massicciamente per un partito socialista il cui programma classicamente socialdemocratico e, sotto la pressione dei mercati finanziari, si vede imporre una politica di austerit neoliberista da parte di quello stesso partito, che obbedisce alle ingiunzioni congiunte di Bruzxelles e del Fondo monetario internazionale. Rifiutare democraticamente questo diktat, quel che lIslanda ha potuto fare, impedito alla Grecia dalleuro. E chiaro che il popolo greco non accetterebbe probabilmente pi, nella sua maggioranza, e comunque facilmente, le conseguenze delle rotture necessarie a unaltra politica (uscita dalleuro, disconoscimento almeno parziale del debito pubblico, messa al bando probabile da parte dellEuropa e embargo da parte dei paesi derubati, fuga dei capitali, ecc.). Ma il sangue e le lacrime, secondo la famosa frase di Churchill, sono gi qui, purtroppo senza la speranza della vittoria. Il progetto della decrescita non pretende di fare uneconomia di questo sangue e di queste lacrime, ma per lo meno apre la porta alla speranza. La sola maniera di cavarsela, noi ce lo auguriamo ardentemente, sarebbe di riuscire a fare uscire lEuropa dalla dittatura dei mercati e di costruire lEuropa della solidariet, della convivialit, quel cemento del legame sociale che Aristotele chiamava philia. Note (1) Secondo la Banca mondiale le conseguenze del protezionismo agricolo del Nord equivarrebbe a un mancato guadagno di 50 miliardi di dollari allanno per i paesi esportatori del Sud. Il deputato verde tedesco Sven Giegold ne ha fornito un altro esempio con la politica fiscale tedesca per forzare le esportazioni. (2) Secondo la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, in effetti, nel febbraio 2008 la creazione di prodotti derivati arrivava a 600.000 miliardi di dollari, ossia tra 11 e 15 volte il prodotto lordo mondiale! E qui, a parte il crollo, anche un decrescitista non ha una medicina miracolosa per un atterraggio morbido (3) E quel che ha proposto Thomas Piketti in un intervento sul giornale Libration del 28 giugno. Si tratta di far pagare alle banche una parte del rimborso del debito. (4) Secondo il calcolo di Albert Jacquard (Jaccuse leconomie triomphante, Calmann Lvy 1995 / Poche 2004, p. 63), si stima che una crescita del Pil francese del 4 per cento comporterebbe la diminuzione del tasso di disoccupazione del 2 per cento. A un tale ritmo, tra cinquantanni il Pil sar stato moltiplicato per sette (pi 600 per cento), ma il numero dei disoccupati non si ridurrebbe che del 64 per cento.

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Dato che la disoccupazione, tutte le categorie incluse, riguardava nel 2010 5 milioni di persone, saremmo ancora molto lontani dal pieno impiego nel 2060, perch rimarrebbero un po meno di due milioni di disoccupati. * Professore emerito di economia allUniversit dOrsay, obiettore della crescita

MAGDI CRISTIANO E IL CODICE PENALE AD HOC - di Pino Cabras - Megachip. Essendo il Giornale un quotidiano serio, non pu certo presentare un articolo come La minchiata. In mancanza di meglio, presenta un
articolo di Magdi Cristiano Allam come La provocazione, che tutto sommato va abbastanza bene per definire latto di un provocatore. Sotto il titolo "No Tav e blac bloc? Serve una legge per metterli fuori legge", il pacato provocatore propone di equiparare i militanti No-Tav, non importa se pacifici, ai gruppi violenti, per considerarli, insieme, una nuova forma di criminalit organizzata. In un fantastico esercizio di bispensiero orwelliano, Magdi Cristiano ammette s lesistenza di leggi antiterrorismo che potrebbero bastare a discernere cosa terrorismo e cosa non lo , ma lui - per soprannumero - vuole che si specifichi che esiste un nuovo tipo di terrorismo. Non perch la cosa giuridicamente abbia un senso. Cos, per fare un piacere a lui, che si preoccupa tanto, e che - dopo aver amato la guerra preventiva di Bush - vorrebbe una guerra preventiva interna contro le proteste democratiche. Allam, per la verit, non le vede come manifestazioni democratiche. Ma solo per un piccolo errore di prospettiva: anzich inquadrarle negli articoli della Costituzione sulle libert fondamentali, come faremmo noi conformisti, Magdi, ma soprattutto Cristiano, le inquadra in una lunghissima litania di articoli del codice penale che usa per riempire la seconda met del suo articolo. Bisogna capirlo, da quando il codice penale lo riguarda di persona se lo ripassa come un rosario. Il Tribunale di Milano lo ha infatti recentemente condannato per aver diffamato un intellettuale accusandolo di essere fautore di odio e di istigazione all'aggressione nei confronti di Israele. Quali sono gli articoli sulla recidiva?

Come si conquista un Paese: l'attacco della finanza internazionale all'Italia


di Gaetano Colonna - clarissa.it.

L'attacco della speculazione che venerd 8


luglio 2011 stato diretto dalla finanza internazionale contro la Borsa italiana, provocando un ribasso del 3,47% pari a una perdita di 14,1 miliardi di capitalizzazione, non una semplice operazione finanziaria. Chi continua a parlare dei "mercati finanziari" come di una divinit che organizza la vita delle societ contemporanee sa perfettamente che questi anonimi "mercati finanziari" hanno nomi e cognomi. Sono uomini e gruppi che hanno precisi interessi e chiari obiettivi. Come in ogni operazione di destabilizzazione di un intero Paese, cio, vi sono degli scopi ed essi sono oggi chiaramente individuabili. L'Italia viene attaccata perch in realt uno dei Paesi dell'Occidente che meglio ha retto fino ad oggi la crisi finanziaria del 2007, grazie al fatto che i suoi cittadini e la rete delle sue piccole e medie imprese non hanno mai completamente dato ascolto alle sirene della globalizzazione finanziaria. Alcune sue imprese, le sue banche e le sue compagnie assicurative rappresentano quindi oggi un appetitoso obiettivo per chi spera di poterle ricomprare fra qualche mese a prezzi stracciati. L'Italia viene attaccata perch un suo tracollo economico-finanziario rappresenterebbe il colpo definitivo all'euro e quindi al processo di unificazione europea che sulla moneta unica ha puntato (erroneamente) tutta la propria credibilit; e non vi sono dubbi che, senza l'ultimo presidio del Vecchio Continente, una visione sociale dei rapporti economici verrebbe definitivamente seppellita dalle forze montanti del capitalismo finanziario,

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da un lato, e dei nuovi capitalismi di Stato, come quello cinese, che, dall'altro, stanno avanzando senza freni sullo scenario mondiale. L'Italia viene attaccata perch il nostro Paese ha una posizione determinante rispetto ai futuri assetti del Mediterraneo e del Medio Oriente e la confusa ma ancora in qualche modo persistente difficolt italiana ad allinearsi completamente ad una politica forsennatamente filo-israeliana e di democracy building all'americana nei Paesi arabo-islamici, rappresenta oggi un ostacolo che deve essere rimosso in breve tempo. Infine, l'Italia viene attaccata perch la sua classe dirigente, di destra centro sinistra, ha dimostrato di non intendere minimamente quale sia la posta in gioco, essendo strutturalmente impegnata in basse lotte di potere, nella difesa di interessi personalistici e nella copertura di vaste reti di corruzione, condizionamento e compromesso che ne minano alla radice qualsiasi capacit operativa e strategica. Il potere politico che il capitalismo finanziario mondializzato ha acquisito attraverso la capacit di destabilizzare in modo diretto interi Stati, come dimostrato ampiamente negli ultimi anni, dall'Argentina alla Grecia, dipende da una premessa fondamentale che stata acriticamente accettata da economisti e politici, vale a dire che proprio gli strumenti della finanza (credito, debito, moneta, assicurazioni, con tutti i loro molteplici derivati moderni) siano i migliori mezzi per garantire la maggiore efficienza nella raccolta e nell'allocazione dei capitali. Il classico concetto dell'economia capitalista della efficienza dei meccanismi autoregolatori del mercato, grazie al gioco di domanda ed offerta, stato allargato dal mercato dei beni a quello dei capitali, nonostante costituisca uno dei presupposti del capitalismo, scientificamente e storicamente, dimostratosi del tutto insufficiente, quando non.

addirittura errato. Nel caso dei mercati dei beni, questa arcaica interpretazione del rapporto fra domanda, offerta e formazione dei prezzi sostiene, come si sa, che all'aumentare del prezzo di un prodotto, giacch i produttori ne accrescono la produzione in vista di maggiori ricavi, i consumatori riducono la loro domanda, determinando una riduzione e dunque un riequilibrio fra domanda e offerta, che si rifletterebbe positivamente sui prezzi stessi. Per quanto questa presunta legge sia, gi nel caso del mercato "tradizionale" dei beni, come stato dimostrato a suo tempo da Rudolf Steiner, un'arbitraria semplificazione di un meccanismo assai pi complesso ed articolato - nel caso dei mercati finanziari, si tratta di una vera e propria falsificazione. Scrivono infatti alcuni economisti "non allineati": "Quando i prezzi [delle azioni] crescono, comune osservare non una riduzione ma una crescita della domanda! Infatti, prezzi crescenti significano un pi alto profitto per coloro che possiedono azioni, a motivo dell'incremento di valore del capitale investito. La salita del prezzo attrae in questo modo nuovi acquirenti, cosa che rafforza ulteriormente la tendenza iniziale all'aumento. La promessa di dividendi spinge i trader ad incrementare ulteriormente il movimento. Questo meccanismo funziona fino a quando la crisi, che non prevedibile ma inevitabile, si verifica. Questo determina l'inversione delle aspettative e quindi la crisi. Quando il processo diventa di massa, determina un "contraccolpo" che peggiora gli iniziali squilibri. Una bolla speculativa consiste quindi di un aumento cumulativo dei prezzi, che si auto-alimenta. Un processo di questo tipo non produce prezzi pi convenienti, ma al contrario prezzi sperequati". La visione del mercato finanziario come potere regolatore di ultima istanza degli assetti economici mondiali, ha conferito

alle forze speculative in esso presenti la possibilit di esercitare un potere di condizionamento politico: non vi pi alcun Paese al mondo che non dipenda in qualche modo da questa ristrettissima lite di signori del denaro, i quali dispongono di uno strumento ideale di controllo, costituito dalle agenzie di rating che, a livello mondiale, sono soltanto cinque, delle quali tre hanno un monopolio di fatto del settore. Moody's e Standard&Poor's hanno rappresentato nell'attacco all'Italia, come gi avvenuto nel caso della Grecia un anno fa e in tanti altri ancora prima, la vera e propria "voce del padrone". Sono stati infatti gli outlook (previsioni) di queste due agenzie di rating, emanati a fine giugno, a dare al mondo della speculazione il segnale che si poteva e si doveva colpire ora l'Italia. Personaggi come Alexander Kockerbeck, vice-presidente di Moody's, o come Alex Cataldo, responsabile Italia della stessa agenzia, emettono nelle loro interviste vere e proprie sentenze sul presente e sul futuro destino economico del nostro Paese, senza essere dotati di alcuna autorit per poterlo fare. La fonte del loro potere, che non ha precedenti nella storia, sta infatti semplicemente nel fatto di essere emanazione di societ finanziarie internazionali, che ne possiedono interamente il capitale societario, le stesse societ finanziarie di cui dovrebbero valutare obiettivamente prodotti e performance. "Il primo azionista di Moody's, con il 13,4% del capitale, risultava a fine dicembre del 2009, secondo rilevazioni Reuters, Warren Buffett, il guru di Omaha con il suo fondo Berkshire Hathaway. Al secondo posto con il 10,5% ecco comparire Fidelity, uno dei pi grandi gestori di fondi del mondo. E poi un florilegio di gente che di mestiere compra e vende titoli: si va da State Street a BlackRock a Vanguard a Invesco a Morgan Stanley Investment. Insomma i pi grandi gestori di fondi a livello mondiale sono azionisti di Moody's. E guarda caso lo stesso copione si riproduce in Standard&Poor's: ecco nell'azionariato comparire in evidenza, a fine 2009, i nomi di Blackrock, Fidelity, Vanguard. Gli stessi nomi. Il che pone una domanda. Che ci fanno gestori di fondi nel capitale di chi d i voti ai bond emessi dalle stesse societ che abitualmente un gestore compra e vende?". Queste agenzie non hanno alcuno status giuridico, nemmeno negli Stati Uniti; il loro ruolo stato reso possibile semplicemente dal fatto che il governo degli Stati Uniti le ha definite Nationally Recognized Statistical Rating Organizations (NRSRO) e lo stesso ha fatto la Securities and Exchange Commission (SEC), agenzia governativa che vigila sui mercati azionari. Nonostante le

numerose inchieste e audizioni tenutesi negli Usa, proprio come pochi giorni fa avvenuto in sordina anche presso la Consob italiana, senza che il pubblico sia edotto di quanto emerso, Moody's, Standard&Poor's e Fitch continuano da anni a macinare profitti incredibili, sebbene le loro previsioni si siano dimostrate semplicemente ridicole, come mostrano il caso del crollo della Enron o quello di Lehman Brother's, quando di queste aziende le agenzie in questione hanno continuato a dare fino ad un minuto prima del crack valutazioni di altissima affidabilit. In merito ai loro profitti, diamo di nuovo la parola al gi citato giornalista de Il Sole 24 Ore: "Moody's, solo nel 2009, per ogni 100 dollari che ha fatturato ne ha guadagnati sotto forma di utile operativo ben 38. Su 1,8 miliardi di ricavi fanno un margine di 680 milioni. Ma attenzione, quel 38% di redditivit un mix tra i servizi di analisi e quelli di assegnazione dei rating. Solo sul mestiere pi remunerativo, quello appunto dell'assegnare pagelle, la redditivit balza al 42% sui ricavi. Un exploit il 2009? Niente affatto. Gli anni d'oro sono stati altri: nel 2007 il margine operativo era al 50% dei ricavi e nel 2006 si toccato il picco del 62% di utili operativi sul fatturato. Un'enormit: 1,26 miliardi di margine su 2 miliardi di fatturato. Se poi si va all'utile netto la musica non cambia. Dal 2005 al 2009 Moody's ha generato profitti per complessivi 2,8 miliardi". Si d quindi il caso del tutto unico che i nostri Paesi siano soggetti a valutazioni di valore internazionale da parte di agenzie che da tali valutazioni traggono direttamente profitto e che sono per di pi di propriet di societ finanziarie che da quelle valutazioni possono trarre a loro volta direttamente profitto! Quale affidabilit possano avere e quale valore di regolazione giuridica di mercato, lo lasciamo facilmente dedurre al lettore. "Stimare il valore di un prodotto finanziario non paragonabile al misurare una grandezza oggettiva, come, ad esempio, stimare il peso di un oggetto. Un prodotto finanziario un titolo su di un reddito futuro: per valutarlo, si deve stabilire in anticipo quale sar questo futuro. Si tratta di una stima, non di una misura obiettiva, dato che nel momento "t" il futuro non in alcun modo determinato. Negli uffici dei trader ci che gli operatori si immaginano che accadr. Il prezzo di un prodotto finanziario il risultato di una valutazione, una opinione, una scommessa sul futuro: non vi sono garanzie che questa valutazione dei mercati sia in alcun modo superiore a qualsiasi altra forma di valutazione. Prima di tutto, la valutazione finanziaria non neutrale: influisce sull'oggetto che intende valutare, d avvio e costruisce il futuro che essa immagina. Per questo, le agenzie di

rating svolgono un ruolo importante nel determinare il tasso di interesse sui mercati dei bond, assegnando pagelle che sono altamente soggettive, se non addirittura guidate dal desiderio di accrescere l'instabilit come fonte di profitti speculativi. Quando queste agenzie tagliano il rating di uno Stato, accrescono il tasso di interesse richiesto dagli attori finanziari per acquistare titoli del debito pubblico di questo stesso Stato e in tal modo accrescono il rischio della stessa bancarotta che hanno annunciato". Se dunque il mito dell'efficienza dei mercati finanziari rappresenta il presupposto ideologico di queste operazioni e le agenzie di rating l'incredibile strumento di coordinamento della speculazione, capace di rendere auto-realizzantesi le proprie profezie, occorre mettere in giusta evidenza il fatto che alla base dell'attuale critica situazione dei Paesi europei sta uno specifico elemento, assai poco noto al largo pubblico, vale a dire che il Trattato di Maastricht, nel quadro delle politiche iperliberiste allora di gran moda, ha fatto un oggettivo regalo ai poteri del capitale finanziario internazionalizzato, allorch ha sancito le modalit che gli Stati membri devono seguire per approvvigionarsi di moneta. "A livello di Unione Europea, la finanziarizzazione del debito pubblico stata inserita nei trattati: a partire dal trattato di Maastricht, le banche centrali hanno il divieto di finanziare direttamente gli Stati, i quali devono quindi trovare prestatori sui mercati finanziari. Questa "punizione monetaria" accompagnata dal processo di "liberalizzazione finanziaria", che l'esatto opposto delle politiche adottate dopo la Grande Depressione degli anni Trenta, che prevedeva la "repressione finanziaria" (vale a dire severe restrizioni alla libert di azione della finanza) e "liberazione monetaria" (con la fine del gold standard). Lo scopo dei trattati europei di assoggettare gli Stati, che si presuppone siano per natura troppo propensi allo sperpero, alla disciplina dei mercati finanziari, che sono ritenuti per natura efficienti ed onniscienti". Ecco quindi come, dal livello filosoficoideologico che santifica i "mercati finanziari", accolto acriticamente ma interessatamente dalle lite dei tecnocrati comunitari, si sia aperto per legge il varco in Europa all'uso politico del potere del denaro, giungendo a condizionare in modo diretto la vita di intere comunit nazionali: il fatto che gli Stati (e, come loro, regioni, provincie e comuni) siano dovuti andare a cercare i soldi sui mercati finanziari, proprio mentre il credito veniva, come in Italia, trasformato per legge da funzione sociale ad attivit

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esclusivamente lucrativa, pone i nostri Paesi in completa soggezione ai signori della moneta. Questo non significa affatto voler sorvolare sulle oggettive responsabilit di classi dirigenti, tra cui quella italiana, che non vogliono affrontare radicalmente la questione dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni, per il semplice fatto che il pubblico impiego rappresenta un gigantesco serbatoio clientelare che di fatto perpetua la loro sopravvivenza politica, altrimenti inspiegabile. Significa semplicemente dire, in modo chiaro e definitivo, che l'inefficienza delle amministrazioni pubbliche, che continuano a sprecare somme enormi senza alcuna contropartita sul piano collettivo, non una valida giustificazione per tollerare le ripetute aggressioni della speculazione internazionale. Quando giornalisti, che per mestiere dovrebbero disporre di informazioni e dati assai pi completi e articolati di quelli che arrivano al largo pubblico, scrivono ancora, su autorevoli quotidiani nazionali, che "quella che continuiamo a chiamare speculazione internazionale in realt non altro che la logica di mercato che cerca di sfruttare le occasioni", non sciocco chiedersi se si tratta di mala fede o di semplice ottusit: abbiamo infatti gi visto che la cosiddetta "logica di mercato" una logica ideologica e politica. Il mercato, come sacro regolatore dell'economia, non esiste, mentre esistono attori che nel mercato operano, tra i quali, non certo sacri ma a quanto pare intoccabili, sono gli speculatori e le agenzie di rating di loro emanazione: di tutti costoro si sa ormai perfettamente da anni chi sono, cosa fanno e perch. Se fossero semplicemente i deficit e le cattive amministrazioni pubbliche a giustificare le "ghiotte occasioni" per la speculazione, questi giornalisti dovrebbero allora chiedersi come mai la speculazione finanziaria colpisca l'Europa e non gli Stati Uniti, il cui debito pubblico assai pi alto di quello medio europeo, e come mai gli attacchi si dirigano contro l'Italia o la Grecia e non contro la California, uno stato americano che in conclamata bancarotta da anni! Se fossero semplicemente il debito pubblico e la cattiva amministrazione a giustificare questi attacchi, ci si dovrebbe chiedere come mai siano sotto tiro grandi imprese bancarie e assicurative italiane, che hanno applicato alla lettera da anni i pi avanzati dettami del capitalismo finanziario globalizzato. Qualcuno dei responsabili di queste aziende sembra cominci ad accorgersene, ora che si trova sotto tiro, stando almeno a quanto ha dichiarato il 9 giugno Giovanni Perissinotto, amministratore delegato del gruppo Generali: C necessit di una risposta

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centralizzata e coordinata a livello europeo contro attacchi speculativi, anch'essi coordinati, che stanno investendo alcuni Paesi mediterranei ma che si propongono anche di mettere in discussioni la stessa stabilit dell'euro. (...) Nei ribassi di questi giorni le imprese sono impotenti. Noi siamo disciplinati, promuoviamo l'efficienza, tagliamo i costi. In tutti i Paesi seguiamo una politica di investimenti coerente con gli impegni assunti con gli assicurati. Ma non possiamo continuare ad essere cos duramente colpiti dai mercati perch difendiamo il nostro Paese. In una parola perch continuiamo ad investire in titoli di Stato italiani dove sono residenti una parte significativa dei nostri clienti". Viene quindi finalmente in evidenza, ed forse l'unico aspetto positivo della tempesta che si annuncia nei prossimi mesi sull'Italia, la necessit di sottrarre i nostri Paesi radicalmente al condizionamento del capitale finanziario internazionalizzato, riaffermando il principio che, nelle nostre democrazie, la gestione della cosa pubblica demandata a rappresentanti eletti dal popolo. In questa prospettiva, la liberazione delle nostre economie passa per alcuni punti fondamentali, la cui comprensione non necessita delle spericolate alchimie degli economisti di mestiere: in primo luogo, le imprese devono tornare a rendere conto non agli azionisti ma ai consumatori ed ai lavoratori e la loro efficienza si deve misurare su questo piano, non su quello della loro attivit in borsa; in secondo luogo, le pubbliche amministrazioni devono essere snellite a livello territoriale e basate su principi di semplificazione burocratica, efficienza di gestione, qualificazione del personale, spirito di servizio; in terzo luogo, il credito deve tornare ad essere considerato primariamente funzione sociale e quindi deve essere posto sotto il controllo delle forze della produzione economica e non della speculazione e, di conseguenza, lo stesso deve avvenire per la creazione della moneta e dei correlati strumenti finanziari; questi ultimi devono essere in chiara e proporzionata relazione con i beni ed i servizi effettivamente sottostanti e la loro commercializzazione deve potere seguire percorsi chiaramente tracciabili; le attivit finanziarie devono essere tassate in modo proporzionale ai volumi posseduti ed all'ampiezza della loro utilizzazione. Come segnale inequivoco della strada da intraprendere, a nostro avviso oggi necessario richiedere con urgenza l'apertura di un'inchiesta internazionale sulla condotta delle agenzie di rating, da promuovere presso le Nazioni Unite, allo scopo di verificarne composizione azionaria, conflitti di interesse, liceit delle attivit svolte ed effetti diretti ed indiretti della

loro condotta sulle economie dei singoli Paesi negli ultimi venti anni; nel frattempo, le attivit di rating di queste agenzie, in quanto parti interessate, dovrebbero essere sospese a tempo indeterminato. Si porrebbe in tal modo, in definitiva, all'attenzione dei popoli la questione della sovranit economica delle comunit nazionali che deve essere oggi considerata l'irrinunciabile presupposto per intraprendere il risanamento dei nostri Paesi. Dubitiamo che le attuali classi dirigenti, tra le quali quella italiana, possano oggi porsi alla testa in Europa di un simile orientamento: ma questa la sola via per riscattare i nostri popoli dalla schiavit del debito.

Una firma che fa terra bruciata nel lavoro come bene comune
di Stefania Corucci - Megachip.

Tra le motivazioni dello sciopero generale indetto il 6 maggio scorso dalla CGIL risaltava la difesa del contratto nazionale di lavoro. Tanti lavoratori e lavoratrici vi hanno aderito fiduciosi della necessit di condurre questa battaglia. A distanza di un mese mezzo arrivata la verit: quello sciopero era una finzione, come alcune voci critiche avevano gi segnalato, e laccordo sottoscritto il 28 giugno con Confindustria , CISL e UIL ne la conferma. Nella premessa dellaccordo lintero sistema delle relazioni industriali ridisegnato in funzione del criterio della competitivit e della produttivit. Laccenno al rafforzamento delloccupazione e delle retribuzioni come il rispetto dei diritti e delle esigenze delle persone pura facciata perch i fatti di questi anni hanno dimostrato che competitivit, occupazione e diritti sono inconciliabili. Infatti, poche righe dopo la premessa, i diritti superstiti sono demoliti: sul contratto nazionale, si stabilisce il principio che solo chi ha pi del 5% delle deleghe e dei voti nelle Rsu, pu andare a trattare. Gli accordi aziendali sono validi se approvati dalla maggioranza della RSU (rappresentanza sindacale unitaria eletta dei lavoratori) e la minoranza ha lobbligo di accettare laccordo. Non si riconosce il voto dei lavoratori e delle lavoratrici se non quando in azienda vi sono le RSA (rappresentanza sindacale aziendale nominata direttamente dai sindacati) e per rimettere in discussione un contratto saranno necessarie il 30% di firme dei lavoratori dellazienda al fine di indire un referendum che sar valido solo con la partecipazione del 50% pi uno degli aventi diritto. Lintesa prevede la derogabilit rispetto al contratto nazionale, su materie di primaria importanza come gli orari, lorganizzazione del lavoro e quindi laumento dei ritmi, la velocit della catena, la durata della giornata lavorativa. Tutti gli osservatori (dai politologi ai sindacalisti) concordano su un punto: si tratta di una svolta storica. Il Sole 24 Ore

commenta: Una firma che apre unera: un accordo che segna un passaggio storico nelle relazioni industriali e che riguarda la rappresentativit delle sigle sindacali e lesigibilit dei contratti aziendali. In cosa consista la storicit di questo passaggio lo ha spiegato con chiarezza Cremaschi: questo accordo cambia la natura del sindacato, cambia la natura della Cgil, distrugge la libert e lautonomia della contrattazione ai vari livelli mentre stabilisce un sistema burocratico aziendalistico governato dalle imprese e dagli accordi corporativi con le grandi confederazioni. Quello cui oggi assistiamo un potere imprenditoriale che non tollera pi alcuna forma di controllo o condizionamento: non tollera pi la legalit e le sue regole, n mediazioni con le esigenze della vita delle persone, n limitazioni che salvaguardino i beni comuni (non a caso si vuole modificare lart. 41 della Costituzione: Liniziativa economica privata libera. Non pu svolgersi in contrasto con lutilit sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert, alla dignit umana). Un potere imprenditoriale che attraverso la casta politica ha fatto terra bruciata di qualsiasi valore civile e sociale. I sindacati confederali, oggi, hanno apposto la loro firma a questo devastane progetto. Lanalisi di Cremaschi giusta, ma le analisi si fanno per trarne le conseguenze, e anche i lavoratori devono trarne le conseguenze, in forma democratica. Tenere in tasca la tessera di uno di questi sindacati significa avallare e controfirmare questo accordo. E un passaggio difficile, proprio perch storico: non si pu continuare a giocare una partita truccata. Il mondo del lavoro dovr esprimere nuove forme di rappresentanza e aprire davvero una nuova era, quella del lavoro inteso come bene comune.

Uragano in arrivo
di Guido Viale - ilmanifesto.it. Tanto tuon che piovve. Messa a confronto con la potenza della finanza internazionale, la situazione dell'Italia si rivela ormai ben poco differente da quella della Grecia. Non importa che i cosiddetti fondamentali dell'economia siano differenti. La finanza internazionale ha ormai la forza e gli strumenti, se lo volesse, per mettere alle corde persino la Germania. da mesi che gli economisti lo sanno (o lo temono). Ma non lo dicono, per scaramanzia. Al massimo lo accennano: ma solo per chiedere pi lacrime (le loro: di coccodrillo) e pi sangue (quello di chi non ne ha quasi pi). Il problema che non sanno che altro dire. Mario Draghi, per esempio, ha affermato che non ci sono precedenti di fallimento (default) di uno Stato da cui trarre insegnamenti. Intanto non vero e, vista la posizione che andr a occupare, sarebbe meglio che anche lui - e non solo lui studiasse meglio il problema. Perch non c' solo la Grecia, n solo gli Stati membri pi deboli - i cosiddetti PIGS, a cui ora si aggiunta anche l'Italia: PIIGS - a essere a rischio. Persino Obama teme il default: e non ha solo il problema, anche lui, dei tagli di bilancio: tra un po' deve rinegoziare una fetta di debito e potrebbe non trovar pi sottoscrittori disponibili come un tempo, poi deve confermare l'ultimo stock di moneta creata dal nulla: una cosa (che adesso si chiama quantitave easing) con cui gli Stati Uniti hanno dominato l'economia mondiale per sessant'anni, ma che non detto gli riesca ancora. Neanche la Francia naviga in buone acque. E la Germania, locomotiva d'Europa, vive di export verso il resto del continente e verso la Cina. Ma se met dei paesi membri dell'Ue sar messa alle strette la bonanza tedesca potrebbe finire. E neanche la Cina va pi tanto bene: scioperi, rivolte, aumenti salariali vertiginosi, inflazione, bolle finanziarie. Ben scavato vecchia talpa, direbbe Marx. Se sullo sfondo non ci fosse una crisi ambientale di dimensioni

planetarie. Insomma: non c' aria di crisi. C' un uragano in arrivo. Per mesi gli economisti hanno trattato Tremonti come un baluardo contro il default del paese: solo perch lui sostiene di esserlo. Ma un ministro - il secondo della serie - che non si accorge nemmeno che la casa dove abita viene pagata, vendendo cariche pubbliche a suon di tangenti, da una persona con cui (e con la cui compagna) lui lavora da anni gomito a gomito. Affidereste a quest'uomo i vostri risparmi? Qualcuno per ha trovato la soluzione: azzerare tutto il deficit pubblico subito. "Lacrime e sangue" ora e non tra due anni: cos Perotti e Zingales sul IlSole24ore di sabato scorso. Tagliare subito pensioni, sussidi alle imprese, costi della politica; e gi con le privatizzazioni. Che originalit! Segue un bell'elenco di "roba" - aziende e servizi pubblici - da vendere subito (per decenza non hanno citato anche l'acqua). Per le manovre "intelligenti", aggiungono gli autori, non c' tempo. Infatti la loro proposta non una manovra intelligente. Intanto, in queste condizioni, vendere vuol dire svendere. E azzerare il deficit non possibile, perch poi, anche se non si emettono nuovi titoli, bisogner rinegoziare quelli in scadenza; i tassi li far la finanza con le sue societ di rating; e non saranno certo quelli di prima. Cos il deficit si ricrea di continuo, in una rincorsa senza fine. Prima o dopo il default arriva. Naturalmente, per mettere alle corde pensionati, lavoratori e welfare, e svendere il paese, ci vuole il "consenso", ci avvertono gli autori. Per loro il consenso il "coinvolgimento dell'opposizione". Forse ci sar; ma non servir a niente. Perch il consenso un'altra cosa: il coinvolgimento delle donne e degli uomini che hanno animato l'ultima annata di resistenza nelle fabbriche, di mobilitazioni nelle piazze, di occupazione di scuole e universit, di campagne referendarie, di elezioni amministrative, di processi molecolari per ricostruire una solidariet distrutta dal liberismo e dal degrado politico, morale e culturale del paese.

E' il popolo degli indignados, che ormai, con i nomi e le proposte pi diverse, ha invaso la scena anche in Italia: forse con una solidit persino maggiore, dovuta a una storia pi lunga, che risale indietro nel tempo, fino al G8 di Genova; e forse anche a prima. Un popolo che quel consenso non lo dar mai. Se per Perotti e Zingales il problema "far presto", per altri economisti continua invece a essere la crescita: non quella che permette di ricostituire redditi e occupazione strangolati; ma quella necessaria per ricostituire un "avanzo primario" nei conti pubblici, con cui azzerare il deficit e cominciare a ripagare il debito ai pescecani della finanza internazionale; ben nascosti dietro chi ha investito in Bot qualche migliaia di euro. Questi economisti li rappresenta tutti Paolo Guerrieri sull'Unit del 10.7: "Il paese fragile spiega - ma la ricetta per la crescita la conosciamo tutti". E qual ? "Concorrenza, nuove infrastrutture (il Tav?), ricerca (di che?), liberalizzazione (forse voleva dire "privatizzazione") dei servizi (anche dell'acqua?). Cose che sappiamo - aggiunge - ce l'hanno consigliate tutti". Paolo Guerrieri ha appreso questa ricetta dall'economia mainstream e probabilmente continuer a insegnarla ai suoi allievi per tutto il resto della sua vita. Pensa che per tornare alla crescita, che per lui la "normalit", basti premere un bottone; perch il disastro attuale solo una sua momentanea interruzione: non si sa se dovuta agli "eccessi" della finanza o all'inettitudine di Berlusconi. Ma le cose non stanno cos. In un mondo al cappio, la finanza internazionale che fa le "politiche economiche". Quelle che vedete. Gli Stati non ne fanno pi; o ne fanno solo pi quel poco che la finanza gli permette di fare; a condizione di poter continuare a speculare e a mandare in malora il pianeta. Anche "la crescita", ormai, le interessa solo fino a un certo punto; se non c', poco male: per lo meno finch restano pensioni

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salari, welfare, servizi pubblici e beni comuni da saccheggiare. Non la prima volta nella storia che questo succede. Anche Luigi XIV, il Re Sole, diceva: dopo di me, il diluvio. Adesso sta a noi - a tutti gli "indignati" che non accettano questo stato di cose e questo futuro - ricostruire dal basso quello che Stati e Governi non sono pi in grado di promuovere; e nemmeno di concepire. Cio il progetto di una societ, di un sistema produttivo e di modelli di consumo condivisi, pi equi, pi sobri, pi efficienti, pi onesti; ma soprattutto le strade da percorrere - itinerari mai tracciati - per realizzarli. E tutto in un mondo che sar sempre pi - e a breve - cosparso di macerie: sociali, ambientali e morali. Ma anche di reazioni furibonde e, verosimilmente, violente (basta pensare all'occupazione militare della Valle di Susa per imporre il "loro" modello di crescita; o a quella della Campania per imporre la "loro" gestione dei rifiuti). Non sar una passeggiata per nessuno. Un programma per realizzare quel progetto oggi non c'; e non c' il "soggetto" - per usare un'espressione ormai logora - per elaborarlo e portarlo avanti. Non a caso. Perch un programma irrinunciabilmente plurale; che pu nascere solo dal concorso di mille iniziative dal basso, se saranno in grado di tradursi in proposte che consentano un coordinamento e se avranno la capacit di imporsi con la forza della ragione e dei numeri. Ci aiuta il fatto che per ciascuno di noi l'agire locale sempre orientato da un pensiero globale. L'opposto di quello che fanno i Governi e le forze che li sorreggono. Provocano disastri globali in nome di convenienze dettate da un meschino pensiero locale. La disfatta delle cosiddetta governance europea non altro. Tra i criteri ispiratori della nostra progettualit c' innanzitutto un salto concettuale: nell'era industriale lo "sviluppo" economico stato promosso e diretto dall'aumento della produttivit del lavoro. Che andata talmente avanti che oggi praticamente impossibile misurare il valore di un bene con la quantit di lavoro che esso contiene, anche se ci sono ancora - e sono tanti - dinosauri come Marchionne che lasciano credere di poter battere la concorrenza tedesca o cinese rubando agli operai dieci minuti di pausa, qualche ora di straordinario, o qualche giorno di malattia. Tutto ci avvenuto a scapito dell'ambiente e delle sue risorse, saccheggiate come se non avessero mai fine. Da ora in poi, invece, si tratta di valorizzare le risorse ambientali e renderle sempre pi produttive: con la condivisione, la sobriet, l'efficienza, il riciclo, le fonti rinnovabili, la biodiversit (ecco un modo di distinguere la ricerca che vogliamo dalle vuote declamazioni in suo favore). Perch dall'uso pi accorto delle risorse che dipender anche la produttivit del lavoro, che non pu pi essere misurata in giorni, ore, minuti e secondi; ma solo con il grado di cooperazione e condivisione che quell'uso sapr sviluppare.

Siamo tutti sotto minaccia: vogliono farci pagare la crisi. - di Alternativa La crisi del debito non riguarda solo la Grecia. Senza una presa di coscienza della realt, la Grecia busser alla nostra porta. Il Governo italiano si appresta a varare una finanziaria, di tagli, riduzione delle pensioni, allungamento dellet lavorativa, ritocco delle tasse: tutto contro i lavoratori. Ed solo linizio. Ci viene annunciato che manovre simili saranno necessarie per diversi anni consecutivi. Seguiranno altre privatizzazioni, in cui ci chiederanno di vendere pezzi del Paese. I parametri relativi al rapporto debito/PIL o a quello deficit/PIL che ci sono stati imposti dalla UE non hanno alcuna legittimit democratica e vanno respinti. Con questi criteri le classi dominanti rompono il patto sociale europeo. Essi sono insostenibili per la popolazione. A coloro che vogliono portarci lungo questa strada insostenibile e irresponsabile, proponiamo di rispondere in modo chiaro, semplice, non contrattabile: noi, questo debito non lo paghiamo. Non paghiamo perch non siamo noi, i lavoratori, ad avere provocato il disastro. Paghino i grandi banchieri e le classi politiche e dirigenti che hanno portato il paese e l'Europa nel baratro. Non paghiamo perch, in ogni caso, pagare non serve per andare in un'altra direzione, cio dove siano difesi gli interessi delle grandi masse popolari. Diciamolo forte, fin da ora, a qualunque governo: all'attuale e al prossimo, magari sostenuto dal centrosinistra: non fa differenza, visto che la pensano tutti allo stesso modo. Lideologia sottostante questa dissennata pratica del debito, della religione di mercato, dei rating killer, quella della incrollabile ed irrazionale fede nella crescita eterna. Tutto ci distrugge ambiente, pace e solidariet, culture, qualit della vita e produce ineguaglianza, rischio, precariet ed incertezza, e la pi odiosa delle manifestazioni della stupidit umana, la guerra. Tutto ci ha finito il suo ciclo di credibilit. Il nostro tempo verr ricordato come una fase di inesorabile decadenza di una civilt occidentale stanca, vecchia, avida e fondamentalmente triste. Per questo dobbiamo preparaci alla difesa della nostra vita e dei nostri territori e alla costruzione di una alternativa.
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Alternativa un giovane laboratorio politico, fondato da


Giulietto Chiesa, animato da persone che seguono con crescente preoccupazione questo cruciale passaggio storico. Chiediamo a tutte le forze veramente responsabili del Paese di unire menti, volont ed energie per difenderci da questa deriva senza un futuro sostenibile. Cosa significa difendersi? Significa abbandonare la strada del liberismo, leconomia dellinfelicit. Promuovere una discussione per giungere ai punti essenziali di una proposta che affronti sul serio l'emergenza. Significa non ripianare ancora una volta i debiti delle banche ma liberarsi dal dogma insensato dalla crescita. Insensato perch ormai evidente che esso collide con la finitezza delle risorse naturali. Le soluzioni ci sono, purch si esca dalla logica truffaldina della finanza europea e mondiale. I denari ci sono, se si vuole ridurre l'uso di combustibili fossili; ridurre gli sprechi; diminuire il tempo del lavoro perch tutti possano lavorare; aumentare il tempo per la solidariet e la cultura; accrescere partecipazione e speranza, diminuire e cancellare precariet e disuguaglianza. Cio attuare la Costituzione. Il nostro futuro, si decide oggi. Questa decisione che equivale, nelle date condizioni, prepararsi al combattimento deve essere presa, insieme, da tutti coloro che si rendono conto dei pericoli che abbiamo di fronte.

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