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III.

EQUAZIONI INTEGRALI
0 Introduzione
Le equazioni contenenti la funzione incognita sotto il segno dellintegrale sono
dette equazioni integrali. Molti problemi della sica matematica possono essere
ridotti ad equazioni integrali lineari della forma
_
G
K(x, y)(y) dy = f(x), (0.1)
(x) =
_
G
K(x, y)(y) dy +f(x), (0.2)
rispetto alla funzione incognita (x) in una regione G R
n
. Lequazione (0.1)
si dice equazione integrale di prima specie, mentre lequazione (0.2) si dice equa-
zione di Fredholm di seconda specie. Le funzioni note K(x, y) e f(x) sono dette
nucleo e termine noto dellequazione integrale; `e un parametro complesso.
Le equazioni integrali di prima specie non saranno considerate nella nostra
esposizione.
Lequazione integrale (0.2) per f = 0
(x) =
_
G
K(x, y)(y) dy (0.3)
si dice equazione integrale di Fredholm omogenea di seconda specie corrispon-
dente allequazione (0.2). Le equazioni integrali di Fredholm di seconda specie
(x) =
_
G
K

(x, y)(y) dy +g(x), (0.4)


(x) =
_
G
K

(x, y)(y) dy, (0.5)


dove K

(x, y) = K(y, x), sono dette aggiunte alle equazioni (0.2) e (0.3), rispetti-
vamente. Il nucleo K

(x, y) si dice nucleo coniugato aggiunto al nucleo K(x, y). Il


nucleo K(x, y) si dice hermitiano se K

(x, y) = K(x, y), cio`e se K(y, x) = K(x, y)


quasi ovunque. Il nucleo K(x, y) si dice reale e simmetrico se K(x, y) `e reale e
K(y, x) = K(x, y) quasi ovunque. Ovviamente un nucleo reale e simmetrico `e
hermitiano.
1
Scriveremo le equazioni (0.2), (0.3), (0.4) e (0.5) in forma contratta, utiliz-
zando la notazione doperatore:
_
= K +f, = K,
= K

+g, = K

,
dove gli operatori integrali K e K

sono determinati dai nuclei K(x, y) e K

(x, y),
rispettivamente:
(Kf)(x) =
_
G
K(x, y)f(y) dy, (K

f)(x) =
_
G
K

(x, y)f(y) dy.


Tra poco metteremo opportune condizioni sul dominio G e sul nucleo K(x, y)
anche gli operatori lineari K e K

siano limitati in un opportuno spazio di


Banach (o di Hilbert) di funzioni f(x) denite in G. In particolare, verranno
considerati gli spazi L
1
(G), L
2
(G) e C(G).
1 Metodo delle Approssimazioni Successive
a. Equazioni integrali con nucleo continuo. Supponiamo che nellequazio-
ne integrale (0.2) la regione G sia limitata in R
n
, la funzione f sia continua nella
regione chiusa G (oppure misurable e appartenente allo spazio L
1
(G) o L
2
(G))
ed il nucleo K(x, y) sia continuo su GG (diremo continui questi nuclei).
Ricordiamo le denizioni delle norme negli spazi di Banach L
1
(G), L
2
(G),
L

(G) e C(G) e del prodotto scalare in L


2
(G):
_

_
f
1
=
_
G
|f(x)| dx, f L
1
(G),
(f, g) =
_
G
f(x)g(x) dx, f, g L
2
(G),
f
2
=
_
(f, f) =
_
_
G
|f(x)|
2
dx, f L
2
(G),
f

= ess sup
[1mm]x G
|f(x)|, f L

(G),
f
C
= f

= max
xG
|f(x)|, f C(G).
Lemma 1.1 Loperatore integrale K con nucleo continuo K(x, y) trasferisce
L
1
(G) in C(G) (e, di conseguenza, L
2
(G) in C(G), L

(G) in C(G), C(G) in


C(G), L
1
(G) in L
1
(G), L
2
(G) in L
2
(G), e L

(G) in C(G)). Dunque, K `e


limitato come operatore lineare tra questi spazi, ed inoltre
_

_
Kf
C
Mf
1
, f L
1
(G),
Kf
C
M
_
m(G)f
2
, f L
2
(G),
Kf
C
Mm(G)f

, f L

(G),
(1.1)
Kf
C
Mm(G)f
C
, f C(G), (1.2)
2
_

_
Kf
1
Mm(G)f
1
, f L
1
(G),
Kf
2
Mm(G)f
2
, f L
2
(G),
Kf

Mm(G)f

, f L

(G),
(1.3)
dove M = max
x,yGG
|K(x, y)| e m(G) `e la misura di G.
Dimostrazione. Siccome G G `e compatto, il nucleo K(x, y) `e uniforme-
mente continuo in (x, y) G G. Quindi, dato > 0, esiste > 0 tale che
|K(x
1
, y
1
) K(x
2
, y
2
)| < se (x
1
x
2
, y
1
y
2
) < . Di conseguenza, se
f L
1
(G), per |x
1
x
2
| < si ha la stima
|(Kf)(x
1
)(Kf)(x
2
)|
_
G
|K(x
1
, y)K(x
2
, y)| |f(y)|dy <
_
G
|f(y)|dy = f
1
,
e quindi K trasferisce L
1
(G) in C(G).
Utilizzando la disuguaglianza di Schwartz si trova
f
1
=
_
G
|f(x)| dx f
2

_
G
dx =
_
m(G) f
2
, f L
2
(G).
Ancora pi` u facilmente si trova la stima
f
2
2
=
_
G
|f(x)|
2
dx f
2

_
G
dx = m(G)f
2

, f L

(G),
implicando f
2

_
m(G) f

e f
1
m(G)f

per f L

(G). Inoltre,
C(G) `e contenuto in L

(G), mentre f
C
= f

per f C(G). Di conse-


guenza, C(G) `e contenuto in L

(G), L

(G) in L
2
(G), e L
2
(G) in L
1
(G), dove i
rispettivi operatori di immersione sono limitati di norma limitata superiormente
da 1,
_
m(G) e
_
m(G).
Inne si trova la stima
Kf
C

_
G
|K(x, y)| |f(y)| dy M
_
G
|f(y)| dy = Mf
1
, f L
1
(G).
Abbiamo dimostrato il lemma. 2
Lemma 1.2 Sia K(x, y) un nucleo continuo su G G. Se (Kf)(x) = 0 per
ogni x G e per ogni f L
1
(G), allora K(x, y) = 0 per ogni (x, y) GG.
Dimostrazione. Allassurdo. Sia K(x
0
, y
0
) > 0 per qualche (x
0
, y
0
) GG.
Dalla continuit`a del nucleo segue lesistenza di un opportuno > 0 tale che
K(x, y) > 0 per ogni (x, y) G G per cui (x x
0
, y y
0
) < . Adesso
consideriamo la funzione
f(y) =
_
1 (|y y
0
|/), |y y
0
| ,
0, |y y
0
| .
3
Si ha f L
1
(G). Risulta facilmente che
(Kf)(x
0
) =
_
G
K(x
0
, y)f(y) dy > 0.
Contraddizione. 2
Nello stesso modo segue che K(x, y) = 0 per ogni (x, y) GG se (Kf, g) =
0 per ogni f, g L
2
(G).
Cerchiamo la soluzione dellequazione (0.2) mediante il metodo delle appros-
simazioni successive, ponendo
(0)
(x) = f(x),

(p)
(x) =
_
G
K(x, y)
(p1)
(y) dy +f(x) K
(p1)
+f, p = 1, 2, .
(1.4)
Dimostriamo che

(p)
=
p

j=0

j
K
j
f, p = 0, 1, 2, , (1.5)
dove K
j
denotano le potenze j-esime delloperatore K. Infatti, per p = 0, la
formula (1.5) `e valida:
(0)
= f. Supponendo che questa formula sia valida per
p e sostituendo nella successione di ricorrenza (1.4) p con p + 1, si ottiene la
formula (1.5) per p + 1:

(p+1)
= K
(p)
+f = K
p

h=0

h
K
h
f +f = f +
p

j=0

j+1
K
j+1
f =
p+1

j=0

j
K
j
f.
Dunque, la formula (1.5) `e valida per tutti i valori di p.
Le funzioni (K
p
f)(x), p = 0, 1, 2, , sono dette iterazioni della funzione f.
Secondo il Lemma 1.1, le iterazioni di f C(G) sono continue su G e, in
virt` u della (1.2), soddisfano la disuguaglianza
K
p
f
C
= K(K
p1
f)
C
Mm(G)K
p1
f
C
(Mm(G))
2
K
p2
f
C
(Mm(G))
p
f
C
,
cio`e
K
p
f
C
(Mm(G))
p
f
C
, p = 0, 1, 2, . (1.6)
Da questa disuguaglianza segue che la serie

j=0

j
(K
j
f)(x), x G, (1.7)
detta serie di Neumann, `e maggiorata dalla serie numerica
f
C

j=0
||
j
(Mm(G))
j
=
f
C
1 ||Mm(G)
, (1.8)
4
che converge nel disco || < 1/Mm(G). Perci`o, per questi valori di , la serie
(1.7) `e uniformemente (infatti, totalmente) convergente in x G, denendo
cos` una funzione (x) continua su G. Ci`o vuol dire, in virt` u della (1.5), che le
approssimazioni successive
(p)
(x) per p tendono in modo uniforme alla
funzione (x):
lim
p
max
xG
|
(p)
(x) (x)| = 0, (1.9)
ed, inoltre, in virt` u della (1.8), `e valida la disuguaglianza

C

f
C
1 ||Mm(G)
. (1.10)
Dimostriamo che la funzione (x) verica lequazione integrale (0.2). Infatti,
passando al limite per p nella relazione di ricorrenza (1.4) ed utilizzando
la convergenza uniforme della successione
(p)
(x) a (x) su G, si ottiene
(x) = lim
p

(p)
(x)
=
_
G
K(x, y) lim
p

(p1)
(y) dy +f(x) =
_
G
K(x, y)(y) dy +f(x).
Dimostriamo lunicit`a della soluzione dellequazione (0.2) nella classe L
1
(G)
(oppure L
2
(G), L

(G), C(G)) se || < 1/Mm(G). Per ci`o `e suciente dimo-


strare che lequazione omogenea (0.3) ha, in L
1
(G), una sola soluzione nulla.
Infatti, se
0
L
1
(G) `e una soluzione dellequazione (0.3), cio`e
0
= K
0
, si
ha, secondo il Lemma 1.1,

1
= ||K
0

1
||Mm(G)
0

1
,
da cui, grazie alla disuguaglianza ||Mm(G) < 1, deriva
0

1
= 0, cio`e
0
= 0,
quanto si doveva dimostrare.
Riassumiamo i risultati ottenuti nel seguente teorema.
Teorema 1.3 Ogni equazione integrale di Fredholm (0.2) con nucleo continuo
K(x, y), per || < 1/Mm(G), ha ununica soluzione nella classe C(G) per un
termine noto f C(G) qualsiasi. Questa soluzione `e rappresentata nella forma
della serie di Neumann (1.7) uniformemente convergente in x G e soddisfa
la disuguaglianza (1.10). In altre parole, nel disco || < 1/Mm(G) esiste ed `e
limitato loperatore inverso (I K)
1
.
Nella stessa maniera si dimostra il seguente per p = 1, 2, +: Ogni equazione
integrale di Fredholm (0.2) con nucleo continuo K(x, y), per || < 1/Mm(G),
ha ununica soluzione nella classe L
p
(G) per un termine noto f L
p
(G)
qualsiasi. Questa soluzione `e rappresentata nella forma della serie di Neumann
(1.7) convergente nella norma di L
p
(G) e soddisfa la disuguaglianza
p

f
p
/(1 ||Mm(G)). In altre parole, nel disco || < 1/Mm(G) esiste ed `e
limitato nello spazio di Banach L
p
(G) loperatore inverso (I K)
1
.
5
Osserviamo inne che il metodo delle approssimazioni successive pu`o essere
utilizzato per una risoluzione approssimata dellequazione integrale (0.2) per ||
sucientemente piccole.
b. Nuclei iterati. Risolvente. Stabiliamo preliminarmente che `e valida
la seguente uguaglianza:
(Kf, g) = (f, K

g), f, g L
2
(G). (1.11)
Infatti, se f e g appartengono a L
2
(G), conformemente al Lemma 1.1, anche
Kf e K

g appartengono a L
2
(G) e quindi si ha
(Kf, g) =
_
G
(Kf)(x)g(x) dx =
_
G
__
G
K(x, y)f(y) dy
_
g(x) dx
=
_
G
f(y)
__
G
K(x, y)g(x) dx
_
dy =
_
G
f(y)
__
G
K

(y, x)g(x) dx
_
dy
=
_
G
f(x)(K

g)(x) dx = (f, K

g).
Lemma 1.4 Se K
1
e K
2
sono operatori integrali con nuclei continui K
1
(x, y) e
K
2
(x, y), rispettivamente, loperatore K
3
= K
2
K
1
`e un operatore integrale con
nucleo continuo
K
3
(x, y) =
_
G
K
2
(x, y

)K
1
(y

, y) dy

. (1.12)
In questo caso `e valida la seguente formula:
(K
2
K
1
)

= K

1
K

2
. (1.13)
Dimostrazione. Per tutte le f L
2
(G) abbiamo
(K
3
f)(x) = (K
2
K
1
f)(x) =
_
G
K
2
(x, y

)
_
G
K
1
(y

, y)f(y) dy dy

=
_
G
_
G
[K
2
(x, y

)K
1
(y

, y) dy

] f(y) dy,
da cui segue la formula (1.12).
`
E evidente che il nucleo K
3
(x, y) `e continuo
per (x, y) G G. Infatti, dato > 0, per i = 1, 2 esiste
i
> 0 tale che
|K
i
(x
1
, y
1
) K
i
(x
2
, y
2
)| < /([M
1
+ M
2
]m(G)) se (x
1
, y
1
) (x
2
, y
2
) <
i
.
Quindi, se (x
1
, y
1
) (x
2
, y
2
) < = min(
1
,
2
), risulta
|K
3
(x
1
, y
1
) K
3
(x
2
, y
2
)|
_
G
|K
2
(x
1
, y

) K
2
(x
2
, y

)||K
1
(y

, y
1
)| dy

+
_
G
|K
2
(x
2
, y

)||K
1
(y

, y
1
) K
1
(y

, y
2
)| dy

<
[M
2
m(G) +M
1
m(G)]
[M
1
+M
2
]m(G)
= ,
implicando la continuit`a uniforme di K
3
(x, y).
6
Prendendo in considerazione luguaglianza (1.11), per tutte le f e g appar-
tenenti a L
2
(G) si ottiene
(f, K

3
g) = (K
3
f, g) = (K
2
K
1
f, g) = (K
1
f, K

2
g) = (f, K

1
K

2
g), f, g L
2
(G),
cio`e (f, K

3
g K

1
K

2
g) = 0 per tutte le f, g L
2
(G), e, quindi, K

3
= K

1
K

2
, il
che equivale alluguaglianza (1.13). Il lemma `e dimostrato. 2
Dal Lemma 1.4 appena dimostrato segue che gli operatori K
p
= K(K
p1
) =
(K
p1
)K, p = 2, 3, , sono operatori integrali ed i loro nuclei K
p
(x, y) sono
continui e soddisfano le relazioni di ricorrenza K
1
(x, y) = K(x, y),
K
p
(x, y) =
_
G
K(x, y

)K
p1
(y

, y) dy

=
_
G
K
p1
(x, y

)K(y

, y) dy

. (1.14)
I nuclei K
p
(x, y) sono detti nuclei iterati del nucleo K(x, y).
Dalle relazioni di ricorrenza (1.14) segue che i nuclei iterati soddisfano la
disuguaglianza
|K
p
(x, y)| M
p
m(G)
p1
, p = 1, 2, . (1.15)
Dalla (1.15) segue che la serie

k=0

k
K
k+1
(x, y), (x, y) GG, (1.16)
`e maggiorata mediante la serie numerica

k=0
||
k
M
k+1
m(G)
k
,
convergente nel disco || < 1/Mm(G). Perci`o la serie (1.16) `e uniformemen-
te (anche totalmente) convergente in (x, y, ) G G {z C : |z| <
(1/Mm(G)) }, per > 0 qualsiasi. Come conseguenza, la sua somma `e
continua in G G {z C : |z| < (1/Mm(G))} ed analitica in nel disco
|| < 1/Mm(G) [Vedi il Teorema A.2]. Indichiamo la somma della serie (1.16)
con R(x, y; ):
R(x, y; ) =

k=0

k
K
k+1
(x, y).
La funzione R(x, y; ) `e detta risolvente del nucleo K(x, y).
Teorema 1.5 La soluzione dellequazione integrale (0.2) `e unica nella classe
C(G) per || < 1/Mm(G) e per qualunque f C(G) `e rappresentata con il
risolvente R(x, y; ) del nucleo K(x, y) mediante lequazione
(x) = f(x) +
_
G
R(x, y; )f(y) dy, (1.17)
7
in altre parole, `e valida la seguente equazione operatoriale:
(I K)
1
= I +R(), || < (1/Mm(G)), (1.18)
dove R() `e un operatore integrale con nucleo R(x, y; ).
Dimostrazione. Conformemente al Teorema 1.3, la soluzione dellequa-
zione (0.2) `e unica nella classe C(G) per || < 1/Mm(G) e per qualunque
f C(G) `e rappresentata nella forma di una serie di Neumann convergente
(1.7). Sostituendo in questa serie le espressioni di iterazione K
k
f in termini dei
nuclei iterati K
k
(x, y) ed utilizzando la convergenza uniforme della serie (1.16)
per il risolvente R(x, y; ), si ottiene la formula (1.17):
(x) =
_
G
_

k=0

k
K
k+1
(x, y)
_
f(y) dy+f(x) =
_
G
R(x, y; )f(y) dy+f(x).
Il teorema `e dimostrato. 2
Dimostriamo che i nuclei iterati (K

)
p
(x, y) ed il risolvente R

(x, y; ) del
nucleo coniugato K

(x, y) sono espressi in termini dei nuclei iterati K


p
(x, y) e
del risolvente del nucleo iniziale K(x, y) come segue:
(K

)
p
(x, y) = K

p
(x, y), p = 1, 2, ; (1.19)
R

(x, y; ) = R(y, x; ), || < (1/Mm(G)). (1.20)


Luguaglianza (1.19) segue dalla formula (1.13), secondo la quale
(K

)
p
(x, y) = (K
p
)

(x, y), p = 1, 2, .
Visto che |K

(x, y)| = |K(y, x)| M, si conclude che, da quanto abbiamo dimo-


strato, la serie (1.16) per il risolvente R

(x, y; ) del nucleo K

(x, y) converge
per (x, y) GG e || < 1/Mm(G). Da ci`o, utilizzando luguaglianza (1.19),
si ottiene la formula (1.20):
R

(x, y; ) =

k=0

k
(K

)
k+1
(x, y) =

k=0

k
K

k+1
(x, y)
=

k=0

k
K
k+1
(y, x) =

k=0

k
K
k+1
(y, x) = R(y, x; ).
Dalla (1.20) si ottiene
R

(x, y; ) = R(y, x; ) = R

(x, y; ), || < 1/Mm(G),


e, di conseguenza, in virt` u della (1.18), `e valida la formula
(I K

)
1
= I +R()

, || < 1/Mm(G). (1.21)


8
Si pu`o dimostrare che il risolvente R(x, y; ) di un nucleo continuo K(x, y)
ammette un prolungamento meromorfo in tutto il piano della variabile complessa
ed inoltre i suoi poli sono i numeri caratteristici del nucleo K(x, y). Questa
proposizione sar`a dimostrata sotto per i nuclei degeneri ed hermitiani.
c. Equazioni integrali di Volterra. Supponiamo che n = 1, la regione
G sia lintervallo limtato (0, a) ed il nucleo K(x, y) si annulli nel triangolo 0 <
x < y < a. Questo nucleo si dice nucleo di Volterra. Le equazioni (0.1) e (0.2)
con nucleo di Volterra assumono la forma
_
x
0
K(x, y)(y) dy = f(x), (x) =
_
x
0
K(x, y)(y) dy = f(x) (1.22)
e sono dette equazioni integrali di Volterra di prima e di seconda specie, rispet-
tivamente. Ci ristringiamo alle equazioni di seconda specie.
Supponiamo che nellequazione (1.22) di seconda specie sia f C([0, a]) e
che il nucleo K(x, y) sia continuo nel triangolo chiuso 0 y x a. In questo
caso |K(x, y)| M per qualche costante M e loperatore integrale
(Kf)(x) =
_
x
0
K(x, y)f(y) dy
trasferisce C([0, a]) in C([0, a]).
Come per lequazione di Fredholm, deniamo le approssimazioni successive

(p)
conformemente alla seguente formula:

(0)
= f,
(p)
=
p

k=0

k
K
k
f = K
(p1)
+f, p = 1, 2, . (1.23)
Le iterazioni K
p
f appartengono a C([0, a]) e soddisfano la stima
|(K
p
f)(x)| f
C
(Mx)
p
p!
, x [0, a], p = 0, 1, . (1.24)
Dimostriamo la stima (1.24) per induzione rispetto a p. Per p = 0, la stima
(1.24) `e valida. Supponendola valida per p 1, dimostriamo la sua validit`a per
p:
|(K
p
f)(x)| =

(K(K
p1
f))(x)

_
x
0
|K(x, y)||(K
p1
f)(y)| dy
Mf
C
M
p1
_
x
0
y
p1
(p 1)!
dy = f
C
(Mx)
p
p!
.
Dalla stima (1.24) segue che la serie di Neumann (1.7) `e maggiorata su [0, a]
mediante la serie numerica convergente
f
C

k=0
||
k
(Ma)
k
k!
= f
C
e
||Ma
(1.25)
9
e per questa ragione `e uniformente (infatti, totalmente) convergente in x [0, a]
per qualsiasi, denendo una funzione continua (x). Dunque, in virt` u della
(1.23), le approssimazioni successive
(p)
per p tendono uniformemente
alla funzione :
lim
p
max
x[0,a]
|
(p)
(x) (x)| = 0, (x) =

k=0

k
(K
k
f)(x). (1.26)
Qui, in virt` u della (1.25), `e valida la disuguaglianza

C
f
C
e
||Ma
. (1.27)
Passando al limite, per p , nella relazione di ricorrenza (1.23) ed utiliz-
zando la convergenza uniforme della successione
(p)
a su [0, a], concludiamo
che la funzione costruita (x) soddisfa lequazione integrale (1.22).
Dimostriamo che la soluzione dellequazione (1.22) `e unica in C([0, a]) per
qualsiasi. Per ci`o `e suciente dimostrare che la corrispondente equazione
omogenea ha in questa classe una sola soluzione nulla. Infatti, se
0
`e una
soluzione dellequazione omogenea (1.22), cio`e
0
= K
0
, si ha

0
= K(K
0
) =
2
K
2

0
= =
p
K
p

0
, p = 1, 2, .
Applicando a queste uguaglianze la (1.24), cio`e
|
0
(x)| = |
p
K
p

0
| ||
p

C
(Mx)
p
p!
, p = 1, 2, ,
e facendo tendere p a , si ottiene
0
(x) = 0, x [0, a], quanto si voleva
dimostrare.
Formuliamo i risultati ottenuti nella forma del seguente
Teorema 1.6 Ogni equazione integrale di Volterra (1.22) con nucleo continuo
K(x, y) nel triangolo {(x, y) : 0 y x a} per qualsiasi ha ununica
soluzione nella classe C([0, a]) per qualunque termine noto f C([0, a]).
Questa soluzione `e data dalla serie di Neumann uniformemente convergente
(1.26) soddisfa la disuguaglianza (1.27).
Corollario 1.7 Un nucleo di Volterra continuo non ha numeri caratteristici.
Esercizi.
1. Dimostrare che il risolvente R(x, y; ) di un nucleo continuo K(x, y) sod-
disfa lequazione di Fredholm
R(x, y; ) =
_
G
K(x, y

)R(y

, y; ) dy

+K(x, y)
per || < 1/Mm(G).
10
2. Calcolare esplicitamente il risolvente R(x, y; ) dellequazione di Volterra
(x) =
_
x
0
(y) dy +f(x), 0 x a.
Si consiglia partire dalle ipotesi C([0, a]) e f C
1
([0, a]) e di con-
vertire lequazione integrale in unequazione dierenziale con condizione
iniziale (0) = f(0). Risolvendo quellequazione tramite il metodo del-
la variazione dei parametri, si rimuovi f

dallespressione per tramite


unintegrazione per parti. Inne si estenda lespressione per a tutte le
funzioni f C([0, a]).
2 Teoremi di Fredholm
In questo paragrafo saranno dimostrati i teoremi di risolvibilit`a di Fredholm per
lequazione di Fredholm
= K +f (2.1)
con nucleo continuo K(x, y) e per la sua equazione aggiunta
= K

+g. (2.2)
a. Equazioni integrali con nucleo degenere. Il nucleo
K(x, y) =
N

i=1
f
i
(x)g
i
(y), (2.3)
dove f
i
e g
i
appartengono a C(G), si dice nucleo degenere.
Senza perdere di generalit`a possiamo assumere i sistemi di funzioni {f
i
}
N
i=1
e
{g
i
}
N
i=1
linearmente indipendenti. Infatti, se non `e cos`, si ha allora, per esempio,
f
N
(x) = c
1
f
1
(x) + +c
N1
f
N1
(x)
ed il nucleo K(x, y), in virt` u della (2.3), assume la forma
K(x, y) =
N1

i=1
f
i
(x)g
i
(y) +
_
N1

i=1
f
i
(x)
_
g
N
(y).
Procedendo in modo simile, dopo un numero nito di passi, arriveremo ad una
situazione nella quale i sistemi di funzioni {f
i
} e {g
i
}, nella rappresentazione
(2.3), risulteranno linearmente indipendenti.
Consideriamo lequazione integrale di Fredholm con nucleo degenere (0.2)
(x) =
N

i=1
f
i
(x)
_
G
g
i
(y)(y) dy +f(x) (2.4)
11
e lequazione aggiunta
(x) =
N

i=1
g
i
(x)
_
G
f
i
(y)(y) dy +g(x). (2.5)
Cercheremo le soluzioni e delle equazioni integrali (2.3) e (2.5) nella classe
C(G).
Dimostriamo che queste equazioni si riducono a sistemi di equazioni algebri-
che lineari e possono, quindi, essere studiate e risolte mediante i metodi noti di
algebra lineare.
Riscriviamo lequazione (2.4) nella forma
(x) =
N

i=1
c
i
f
i
(x) +f(x), (2.6)
dove
c
i
=
_
G
(y)g
i
(y) dy = (, g
i
) (2.7)
sono numeri incogniti. Molteplicando luguaglianza (2.6) per g
k
(x), integrando
su G ed utilizzando la (2.7), si ottiene il seguente sistema di equazioni algebriche
lineari per le incognite c
i
:
c
k
=
N

i=1
c
i
_
G
g
k
(x)f
i
(x) dx +
_
G
g
k
(x)f(x) dx. (2.8)
Introducendo le notazioni

ki
=
_
G
g
k
(x)f
i
(x) dx, a
k
=
_
G
f(x)g
k
(x) dx = (f, g
k
), (2.9)
riscriviamo il sistema (2.8) come segue:
c
k
=
N

i=1

ki
c
i
+a
k
, k = 1, 2, , N.
Introducendo la matrice A ed i vettori c ed a:
A = (
ki
), c = (c
1
, c
2
, , c
N
), a = (a
1
, a
2
, , a
N
), (2.10)
rappresentiamo il sistema (2.10) nella forma matriciale
c = Ac + a. (2.11)
Dimostriamo che lequazione (2.7) e lequazione algebrica (2.11) sono equi-
valenti. Infatti, se C(G) `e la soluzione dellequazione (2.4), allora, come
abbiamo appena dimostrato, i numeri c
i
= (, g
i
), i = 1, 2, , N, soddisfano
il sistema (2.10). Inversamente, se i numeri c
i
, i = 1, 2, , N, soddisfano il
12
sistema (2.10), la funzione (x) costruita conformemente alla formula (2.6), `e
continua su G e, in virt` u della (2.9), soddisfa lequazione (2.4)
(x)
N

i=1
f
i
(x)
_
G
g
i
(y)(y) dy f(x)
=
N

i=1
c
i
f
i
(x) +f(x)
N

i=1
f
i
(x)
_
G
g
i
(y)
_

k=1
c
k
f
k
(y) +f(y)
_
dy f(x)
=
N

i=1
f
i
(x)
_
c
i

k=1
c
k

ik
a
i
_
= 0.
Denotiamo con D() il determinante di sistema (2.11):
D() = det(I A), (2.12)
e con M
ki
() i cofattori della matrice I A.
`
E chiaro che D() e M
ki
() sono
polinomi in , ed inoltre D() 0, visto che D(0) = det I = 1.
Supponiamo che il numero (complesso) sia tale che D() = 0. Secondo il
teorema di Cramer, la soluzione del sistema algebrico (2.11) `e unica ed `e data
dalla seguente formula:
c
k
=
1
D()
N

i=1
M
ki
()a
i
, k = 1, 2, , N. (2.13)
Sostituendo la soluzione ottenuta (2.13) nella formula (2.6) e ricordando la
denizione dei numeri a
k
, si ottiene la soluzione dellequazione integrale (2.4)
per D() = 0 nella forma
(x) =

D()
N

i,k=1
M
ik
()f
i
(x)
_
G
g
k
(y)f(y) dy +f(x). (2.14)
Daltra parte, conformemente al Teorema 1.5, per sucientemente picco-
li (ed allora D() = 0), questa soluzione `e espressa in termini del risolvente
R(x, y; ) mediante la formula (1.17). Di conseguenza,
R(x, y; ) =
1
D()
N

i,k=1
M
ik
()f
i
(x)g
k
(y). (2.15)
Dunque, il risolvente R(x, y; ) di un nucleo degenere `e una funzione razionale
di e, quindi, ammette un prolungamento meromorfo su tutto il piano della
variabile complessa .
b. Teoremi di Fredholm per le equazioni integrali con nucleo de-
genere. Nel sottoparagrafo precedente abbiamo costruito in forma esplicita la
soluzione di unequazione integrale con nucleo degenere. Continuiamo lo studio
di queste equazioni e stabiliamo le condizioni della loro risolubilit`a.
13
Come lequazione (2.4), riduciamo lequazione aggiunta (2.5) ad un sistema
di equazioni algebriche lineari. Abbiamo
(x) =
N

i=1
d
i
g
i
(x) +g(x), (2.16)
dove d
i
= (, f
i
) sono numeri incogniti. Il corrispondente sistema di equazioni
algebriche lineari equivalente allequazione (2.5) `e della forma
d
k
=
N

i=1

ki
d
i
+b
k
, k = 1, 2, , N, (2.17)
dove

ki
=
_
G
f
k
(x)g
i
(x) dx =
ik
, b
k
= (g, f
k
). (2.18)
Dunque, il sistema (2.17) `e aggiunto a quello (2.10):
d = A

d + b, (2.19)
dove
A

= (
ki
) = (
ik
) = A

, d = (d
1
, d
2
, , d
N
), b = (b
1
, b
2
, , b
N
).
Dallalgebra lineare sappiamo che i determinanti ed i ranghi di una matrice
e della sua trasposta coincidono. Perci`o, in virt` u della (2.12), si ha
_
det(I A

) = det(I A
T
) = det(I A
T
) = D(),
rango(I A

) = rango(I A
T
) = rango(I A) = q,
(2.20)
dove A
T
denota la trasposta di una matrice A.
Possono essere esaminati due casi:
1. D() = 0. Allora q = N ed i sistemi (2.11) e (2.19) sono univocamente
risolvibili per a e b qualsiasi e queste soluzioni sono date dalle formule
(2.6) e (2.16), rispettivamente.
2. D() = 0. In questo caso q < N e, in virt` u dalla (2.20), i sistemi
omogenei (2.11) e (2.19) hanno esattamente N q soluzioni linearmente
indipendenti:
c
(s)
= (c
(s)
1
, c
(s)
2
, , c
(s)
N
), d
(s)
= (d
(s)
1
, d
(s)
2
, , d
(s)
N
), s = 1, 2, , Nq.
Le equazioni integrali omogenee (2.4) e (2.5) avranno anchesse esatta-
mente N q soluzioni linearmente indipendenti:
c
(s)
= (c
(s)
1
, , c
(s)
N
), s = 1, 2, , N q.
14
Quindi le equazioni integrali omogenee (2.4) e (2.5) avranno anchesse esat-
tamente N q soluzioni linearmente indipendente denite dalle formule
(2.6) e (2.16), rispettivamente:

s
(x) =
N

i=1
c
(s)
i
f
i
(x),
s
(x) =
N

i=1
d
(s)
i
g
i
(x), s = 1, 2, , N q.
(2.21)
Dimostriamo ora lindipendenza lineare di tali sistemi di soluzioni, {
s
}
Nq
s=1
e {
s
}
Nq
s=1
. Supponiamo che esistano numeri p
s
(s = 1, 2, , N q) tali che
Nq

s=1
p
s

s
(x), x G,
cio`e, in virt` u della (2.21), si ha
N

i=1
f
i
(x)
Nq

s=1
c
(s)
i
p
s
= 0, x G.
Da ci`o, in virt` u dellindipendenza lineare del sistema di funzioni {f
i
}
N
i=1
, segue
che
Nq

s=1
c
(s)
i
p
s
= 0, i = 1, 2, , N.
Visto che il sistema di vettori {c
(s)
}
Nq
s=1
`e linearmente indipendente in R
N
, le
relazioni precedenti implicano che p
s
= 0, s = 1, 2, , N q, il che dimostra
lindipendenza lineare del sistema di soluzioni {
s
}
N
s=1
. In modo analogo `e
stabilita lindipendenza di ortogonalit`a:
(a, d
(s)
) =
N

i=1
a
i
d
(s)
i
= 0, s = 1, 2, , N q. (2.22)
Le condizioni (2.22) sono equivalenti alle condizioni
(f,
s
) =
_
G
f(x)
s
(x) dx = 0, s = 1, 2, , N q,
poich`e, in virt` u delle (2.21) e (2.9), si ha
_
G
f(x)
s
(x) dx =
N

i=1
__
G
f(x)g
i
(x) dx
_
d
(s)
i
=
N

i=1
a
i
d
(s)
i
= (a, d
(s)
).
Dunque, abbiamo dimostrato i seguenti teoremi, detti teoremi di Fredholm, per
le equazioni con nucleo degenere.
Teorema 2.1 Se D() = 0, lequazione (2.4) e lequazione aggiunta (2.5) sono
univocamente risolvibili con termini noti f e g qualsiasi.
15
Teorema 2.2 Se D() = 0, le equazioni omogenee (2.4) e (2.5) hanno lo stesso
numero di soluzioni linearmente indipendenti uguale a Nq, in cui q `e il rango
della matrice I A.
Teorema 2.3 Se D() = 0, per la risolvibilit`a dellequazione (2.4) `e necessario
e suciente che il termine noto f sia ortogonale a tutte le soluzioni {
s
}
Nq
s=1
dellequazione omogenea aggiunta (2.5).
Dai Teoremi 2.1 e 2.2 segue che i numeri caratteristici di un nucleo dege-
nere coincidono con le radici del polinomio D() e, di conseguenza, sono niti
in numero. Inoltre, dalla formula (2.15) per un risolvente segue che i numeri
caratteristici di un nucleo degenere coincidono con i poli del suo risolvente.
Inne osserviamo che i tre teoremi di Fredholm per le equazioni integrali di
nucleo degenere valgono nei seguenti due casi:
1. I termini noti appartengono a C(G) e le soluzioni si cercano nello spazio
C(G).
2. I termini noti appartengono ad L
2
(G) e le soluzioni si cercano nello stesso
spazio L
2
(G). Si pu`o supporre che f
1
, , f
N
e g
1
, , g
N
appartengano
ad L
2
(G).
c. Teoremi di Fredholm per le equazioni integrali con nucleo con-
tinuo. I teoremi di Fredholm per le equazioni di Fredholm con nucleo degenere
dimostrati nel sottoparagrafo precedente possono essere estesi alle equazioni in-
tegrali con nucleo continuo arbitrario. Lessenza della dimostrazione sta nel
fatto che un nucleo continuo `e rappresentato come somma di un nucleo degene-
re e di un nucleo continuo sucientemente piccolo. Ci`o permette, utilizzando
i risultati del sottoparagrafo 2.a sulla risolvibilit`a delle equazioni integrali con
nucleo piccolo, di ridurre la corrispondente equazione integrale ad unequazione
integrale con nucleo degenere per le quali i teoremi di Fredholm sono stati gi`a
stabiliti. Ne seguir`a che i teoremi di Fredholm sono validi per le equazioni con
nucleo continuo in una regione limitata.
Dunque, sia il nucleo K(x, y) continuo su G G. Secondo il teorema di
Weierstrass, questo nucleo pu`o essere approssimato con precisione grande a
piacere mediante polinomi, cio`e, per positivo qualsiasi, esiste un polinomio
P(x, y) =

0|+|N
a
,
x

0i,iN,i=1, ,N

N
i=1
(i+i)=N
a
(1, ,
N
),(1, ,
N
)
x
1
1
x

N
N
y
1
1
y

N
N
, (2.23)
tale che
max
(x,y)GG
|K(x, y) P(x, y)| < .
16
Dunque, il nucleo K(x, y) pu`o essere rappresentato nella forma
K(x, y) = P(x, y) +Q(x, y), (2.24)
dove P(x, y) `e un nucleo degenere (polinomio) e Q(x, y) un nucleo continuo
piccolo tale che max
(x,y)GG
|Q(x, y)| < .
In virt` u della (2.24) lequazione integrale di Fredholm assume la forma
= P +Q +f, (2.25)
dove P e Q sono operatori integrali con nuclei P(x, y) e Q(x, y), rispettivamente,
ed inoltre P +Q = K.
Dimostriamo che, per || < 1/m(G), nella classe C(G) lequazione integrale
(2.25) `e equivalente ad unequazione integrale con nucleo degenere. Per ci`o
introduciamo una nuova funzione (x) incognita mediante la formula
= Q. (2.26)
Secondo il Teorema 1.5, la funzione `e univocamente espressa in termini di
mediante la formula
= (I Q)
1
= (I +R()), (2.27)
dove R() `e il operatore integrale con nucleo R(x, y; ), risolvente del nucleo
Q(x, y). In virt` u delle (2.26) e (2.27), lequazione (2.25) assume la seguente
forma equivalente:
= P(I +R()) +f = T +f, (2.28)
dove
T = P +PR(). (2.29)
Ricordiamo che il risolvente R(x, y; ) `e continuo rispetto a (x, y; ) in G
G{z C : |z| < 1/m(G)} ed analitico rispetto a nel disco || < 1/m(G).
Prendendo in considerazione il Lemma 1.4, concludiamo che loperatore T `e un
operatore integrale con nucleo continuo
T (x, y; ) = P(x, y) +
_
G
P(x, y

)R(y

, y; ) dy

.
Inoltre, dalla (2.23) segue che T (x, y; ) `e degenere ed analitico in nel disco
|| < 1/m(G).
Trasformiamo ora lequazione integrale aggiunta (2.2). In virt` u della (2.24),
K

= P

+Q

, e perci`o lequazione (2.2) assume la forma


(I Q

) = P

+g. (2.30)
Applicando loperatore (I Q

)
1
allequazione (2.30) ed utilizzando lugua-
glianza (1.21),
(I Q

)
1
= I +R

(), || < 1/m(G),


17
riduciamola allequazione equivalente
= (I Q

)
1
(P

+g)
= (I +R

())(P

+g) = (P

+R

()P

) + (I +R

())g.
(2.31)
Introducendo le notazioni
g
1
= (I +R

())g, g = (I Q

)g
1
(2.32)
e tenendo conto del fatto che, conformemente alle formule (1.13) e (2.29) si ha
P

+R

()P

= (P +PR())

= T

,
riscriviamo lequazione (2.31) nella forma
= T

+g
1
. (2.33)
Dunque, per || < 1/m(G), nella classe C(G) lequazione integrale (2.1)
`e equivalente a quella (2.28) con nucleo degenere T (x, y; ) analitico nel disco
|| < 1/m(G), mentre lequazione aggiunta (2.2) `e equivalente allequazione
(2.33), aggiunta della (2.28). Ma per le equazioni (2.28) e (2.33) sono validi i
teoremi di Fredholm 2.1-2.3 ed il determinante `e una funzione analitica nel disco
|| < 1/m(G). Da ci`o, utilizzando lequivalenza tra queste equazioni e quelle
iniziali (2.1) e (2.2), si ottengono i seguenti teoremi di Fredholm per le equazioni
integrali con nucleo continuo. Questi teoremi insieme si chiamano alternativa
di Fredholm.
Teorema 2.4 [Alternativa di Fredholm]. Se lequazione integrale (2.1) con nu-
cleo continuo `e risolvibile in C(G) per un termine noto f C(G) qualsiasi,
anche lequazione aggiunta (2.2) `e risolvibile in C(G) per un termine noto
g C(G) qualsiasi, ed inoltre queste soluzioni sono uniche (primo teorema di
Fredholm).
Se lequazione integrale (2.1) non `e risolvibile in C(G) per un termine noto
f qualsiasi, allora
1) le equazioni omogenee (2.1) e (2.2) hanno lo stesso numero nito di solu-
zioni linearmente indipendenti (secondo teorema di Fredholm);
2) perch`e lequazione (2.1) sia risolvibile, `e necessario e suciente che il
termine noto f sia ortogonale a tutte le soluzioni dellequazione omogenea
aggiunta (2.2) (terzo teorema di Fredholm).
Dimostrazione. Per = 0 lalternativa di Fredholm `e, evidentemente, va-
lida. Perci`o poniamo = 0 e nelle costruzioni precedenti scegliamo (1/) <
||m(G).
Supponiamo che lequazione (2.1) sia risolvibile in C(G) per f C(G) qual-
siasi. Allora lequazione (2.28), equivalente alla (2.1), con nucleo degenere sar`a
18
anchessa risolvibile in C(G) per f qualsiasi. Applicando il Teorema 2.3 con-
cludiamo che D() = 0. Ma, in questo caso, conformemente al Teorema 2.1
lequazione (2.28) e lequazione (2.33) sono univocamente risolvibili per f e g
1
qualsiasi appartenenti a C(G). Per`o le funzioni g
1
e g sono biunivocamente
espresse mediante la formula (2.32) e, di conseguenza, le equazioni equivalenti
(2.1) e (2.2) sono univocamente risolvibili in C(G) per f e g qualsiasi. Il primo
teorema di Fredholm `e dimostrato.
Se lequazione (2.1) non `e risolvibile in C(G) per un f qualsiasi, allora anche
lequazione (2.28) con nucleo degenere equivalente alla (2.1) non `e risolvibile in
C(G) per un f qualsiasi. In base al Teorema 2.1 concludiamo che D() = 0.
Ma allora, conformemente al Teorema 2.2, le equazioni omogenee (2.28) e (2.33)
hanno lo stesso numero nito di soluzioni linearmente indipendenti in C(G).
Visto che le funzioni e sono collegate dalle relazioni (2.26), le equazioni
omogenee equivalenti (2.1) e (2.2) hanno lo stesso numero nito di soluzioni
linearmente indipendenti in C(G). Il secondo teorema di Fredholm `e dimostrato.
Inoltre, in base al Teorema 2.3 per la risolvibilit`a dellequazione (2.28) per
D() = 0 `e necessario e suciente che il termine noto f sia ortogonale a tutte
le soluzioni dellequazione omogenea aggiunta (2.33). Ma le soluzioni delle
equazioni omogenee equivalenti (2.1) e (2.28), come pure i secondi membri f
delle equazioni equivalenti (2.1) e (2.28), sono identiche. Di conseguenza, per la
risolvibilit`a dellequazione (2.1), nel caso considerato, `e necessario e suciente
che il termine noto f sia ortogonale a tutte le soluzioni dellequazione omogenea
(2.2). Il terzo teorema di Fredholm `e dimostrato. 2
Dimostriamo ora il quarto teorema di Fredholm: In ogni disco || R ci
pu`o essere solo un numero nito di numeri caratteristici del nucleo K(x, y).
Dimostrazione. Scegliamo = 1/(R + 1)m(G). Allora per || < R + 1
avremo || < 1/m(G). Per questa ragione per || < R+1 le equazioni omogenee
(2.1) e (2.28) sono equivalenti. Di conseguenza, nel disco || < R + 1 i numeri
caratteristici del nucleo K(x, y) coincidono con le radici dellequazione D() = 0.
Dato che il nucleo T (x, y; ) `e analitico in nel disco || < R + 1, D() `e una
funzione analitica in in questo disco. In base alla propriet`a di unicit`a delle
funzioni analitiche [Vedi il Teorema A.3], concludiamo che nel disco || R
ci pu`o essere solo un numero nito di radici dellequazione D() = 0, e quindi
anche il nucleo K(x, y) pu`o avere solo un numero nito di numeri caratteristici.
Il teorema `e dimostrato. 2
Osserviamo inne che i quattro teoremi di Fredholm valgono anche se le
equazioni integrali (2.1) e (2.2) vengono considerate in uno degli spazi L
1
(G)
o L
2
(G) anzicch`e nello spazio C(G). Infatti, gli operatori integrali K e K

trasformano L
1
(G) e L
2
(G) in C(G), cio`e, K e K

appartengono a C(G) se
e appartengono ad L
p
(G), p = 1, 2. Quindi, se la (2.1) avesse una soluzione
L
p
(G), p = 1, 2, per il termine noto f C(G), allora si avrebbe = K+
f C(K). Con questa osservazione potremmo ora ripetere le dimostrazioni
dei quattro teoremi di Fredholm nello spazio L
p
(G), p = 1, 2, prima per il
19
nucleo degenere e poi per un nucleo continuo qualsiasi. Cos` si trovano gli stessi
autovalori e autofunzioni per le equazioni (2.1) e (2.2) considerate in L
p
(G),
p = 1, 2, come per quelle considerate in C(G).
d. Corollari dei teoremi di Fredholm. Dal quarto teorema di Fredholm
segue che linsieme dei numeri caratteristici di un nucleo continuo non ha punti
di accumulazione niti e non `e altro che numerabile. Questo insieme pu`o anche
essere vuoto, come, per esempio, per un nucleo di Volterra.
Dal secondo teorema di Fredholm segue anche che la molteplicit`a di ogni
numero caratteristico `e nita.
Di conseguenza, tutti i numeri caratteristici del nucleo K(x, y) si possono
numerare in ordine crescente del loro modulo:
|
1
| |
2
| , (2.34)
ripetendo
k
in questa successione tante volte quant`e la sua molteplicit`a. De-
notiamo le corrispondenti autofunzioni con
1
,
2
, e facciamo corrispondere
ad ogni autovalore unautofunzione
k
:

k
=
k
K
k
, k = 1, 2, . (2.35)
Se
k
non `e un autovalore semplice, le corrispondenti
k
si possono scegliere
mediante metodi diversi e quindi la corrispondenza (2.35) tra
k
e
k
non `e
univoca.
Per il secondo teorema di Fredholm,
1
,
2
, sono i numeri caratteristici
del nucleo K

(x, y) ed inoltre le molteplicit`a di


k
e
k
sono le stesse. Denotiamo
con
k
le corrispondenti autofunzioni

k
=
k
K

k
, k = 1, 2, . (2.36)
Le autofunzioni
k
e
k
sono continue su G.
Dimostriamo che se
k
=
i
, si ha
(
k
,
i
) = 0. (2.37)
Infatti, prendendo in considerazione luguaglianza (1.11), si ottiene dalle (2.35)
e (2.36)
(
k
,
i
) = (
k
,
i
K

i
) =
i
(K
k
,
i
) =

i

k
(
k
,
i
),
da cui, in virt` u del fatto che
k
=
i
, seguono le uguaglianze (2.37).
Notiamo che
p
k
e
k
, k = 1, 2, , sono i numeri caratteristici e le corri-
spondenti autofunzioni del nucleo iterato K
p
(x, y). Questasserzione segue dalle
uguaglianze (2.35), secondo le quali si ha

k
=
p
k
K
p

k
, k = 1, 2, . (2.38)
Inversamente, se `e lautovalore e la corrispondente autofunzione del
nucleo iterato K
p
(x, y), allora almeno una delle radici
j
, j = 1, 2, , p delle-
quazione
p
= `e un autovalore del nucleo iniziale K(x, y). Questasserzione
segue dalluguaglianza
(K
p
I) = (1)
p1
(
1
K I) (
p
K I) = 0. (2.39)
20
Infatti, sia
= (
2
K I) (
p
K I). (2.40)
Se = 0, si ha, in virt` u della (2.39), (
1
K I) = 0, e per questa ragione
1
`e un autovalore del nucleo K(x, y). Se, invece, = 0, si ha
(
2
K I) (
p
K I) = 0,
allora, ripetendo il ragionamento precedente, si ottiene che o
2
`e un autovalore
del nucleo K(x, y), o (
3
K I) (
p
K I) = 0, ecc.
Riformuliamo ora lalternativa di Fredholm in termini di autovalori e di
autofunzioni.
Se =
k
, k = 1, 2, , le equazioni integrali (2.1) e (2.2) sono univocamente
risolvibili per qualunque termine noto.
Se =
k
, le equazioni omogenee
K =
k
, K

=
k

hanno lo stesso numero nito r


k
1 di soluzioni linearmente indipendenti, di
autofunzioni
k
,
k+1
, ,
k+r
k
1
del nucleo K(x, y) e di autofunzioni
k
,
k+1
,
,
k+r
k
1
del nucleo K

(x, y), corrispondenti agli autovalori


k
e
k
(r
k
`e la
molteplicit`a di
k
e di
k
).
Se =
k
, per la risolvibilit`a dellequazione (2.1) `e necessario e suciente
che sia
(f,
k+i
) = 0, i = 0, 1, , r
k
1. (2.41)
3 Equazioni Integrali con Nucleo Hermitiano
Un nucleo K(x, y) `e detto hermitiano se questo nucleo coincide con il suo co-
niugato hermitiano, K(x, y) = K

(x, y) = K(y, x). La corrispondente equazione


integrale
(x) =
_
G
K(x, y)(y) dy +f(x) (3.1)
per reali coincide con la sua aggiunta, essendo K

= K un operatore autoag-
giunto nello spazio L
2
(G). Se il nucleo K(x, y) `e continuo, K `e anche limitato
su L
1
(G) e C(G). Di conseguenza, conviene considerare questequazione nello
spazio L
2
(G). Gli autovalori e le autofunzioni trovati sono anche gli autovalori
e le autofunzioni se la (3.1) viene considerata in uno degli spazi L
1
(G) e C(G)
per un nucleo continuo ed hermitiano qualsiasi.
a. Operatori integrali con nucleo continuo hermitiano. Supponia-
mo che K sia un operatore integrale con nucleo continuo hermitiano K(x, y).
Questoperatore trasferisce L
2
(G) (G `e una regione limitata) in L
2
(G) (vedi il
Lemma 1.1) ed `e autoaggiunto:
(Kf, g) = (f, Kg), f, g L
2
(G). (3.2)
21
Inversamente, se un operatore integrale K con nucleo continuo K(x, y) `e au-
toaggiunto, questo nucleo `e hermitiano. Infatti, dalla (3.2) (valida anche per
f, g C(G)) segue che K(x, y) e K

(x, y) sono ambedue il nucleo delloperato-


re integrale K e quindi, in virt` u del Lemma 1.2, K(x, y) = K

(x, y) per ogni


(x, y) GG.
Dalla (1.19) segue che tutti i nuclei iterati K
p
(x, y) di un nucleo continuo
hermitiano K(x, y) sono anchessi hermitiani:
K

p
(x, y) = (K

)
p
(x, y) = K
p
(x, y).
Sia K un compatto. Un sottoinsieme M (cio`e, un insieme di funzioni con-
tinue su K) si dice equicontinuo su K se per ogni > 0 esiste > 0 tale che
|f(x
1
) f(x
2
)| < per ogni f M, non appena |x
1
x
2
| < per x
1
, x
2
K.
In particolare, f C(K) `e (uniformemente) continua se e solo se linsieme
M = {f} `e equicontinuo.
Lemma 3.1 Un operatore integrale K con nucleo continuo K(x, y) trasferisce
ogni insieme limitato appartenente a L
p
(G), p = 1, 2, in un insieme limitato in
C(G) e equicontinuo su G.
Dimostrazione. Diamo la dimostrazione per p = 1, 2, osservando che (p
1)/p = 0 per p = 1 e (p 1)/p = 1/2 per p = 2. Sia B un insieme limitato
in L
p
(G), p = 1, 2: A : f
p
A per ogni f B. Dal Lemma 1.1 segue che
Kf
C
Mm(G)
(p1)/p
A, f B, p = 1, 2, e quindi K trasferisce B in un
insieme limitato in C(G). Inoltre, visto che il nucleo K(x, y) `e uniformemente
continuo su GG, per un > 0 qualsiasi esiste > 0 tale che
|K(x

, y) K(x

, y)| <

A(m(G))
(p1)/p
,
quando |x

| < e {x

, x

, y} G. Da ci`o, utilizzando la disuguaglianza


(1.1), in cui K(x, y) `e sostituito con |K(x

, y) K(x

, y)|, per ogni f B si


ottiene
|(Kf)(x

) (Kf)(x

)| =

_
G
[K(x

, y) K(x

, y)] f(y) dy

(m(G))
(p1)/p
f
p
A(m(G))
(p1)/p
,
quando |x

| < e {x

, x

, y} G. Ci`o vuol dire che linsieme {Kf : f B}


`e equicontinuo su G. 2
Teorema 3.2 [Il teorema di Ascoli-Arzel`a]. Se un insieme innito B `e limitato
in C(K) dove K `e un compatto, ed `e equicontinuo su K, da questinsieme si
pu`o estrarre una successione convergente in C(K).
1
1
In altre parole, se un insieme B `e limitato in C(K) dove K `e un compatto, ed `e
equicontinuo su K, la sua chiusura in C(K) `e compatta.
22
Dimostrazione. Come `e noto, ogni compatto in R
n
ha un sottoinsieme denso
numerabile {x
n
: n = 1, 2, }. Per ipotesi, linsieme di numeri {f(x
1
) : f B}
`e limitato. Quindi esiste una successione {f
(1)
k
}

k=1
tale che f
(1)
k
(x
1
) `e conver-
gente se k . Inoltre, visto che linsieme di numeri {f
(1)
k
(x
2
) : k = 1, 2, } `e
limitato, estraiamo dalla {f
(1)
k
} una sottosuccessione {f
(2)
k
} tale che {f
(2)
k
(x
2
)}
`e convergente. Continuando cos`, troviamo le successioni {f
(m)
k
} in B, dove
n = 1, 2, e {f
(n+1)
k
} `e una sottosuccessione della {f
(n)
k
}, tale che {f
(n)
k
(x
n
)}
`e convergente se n .
Consideriamo ora la successione diagonale {g
k
} in B dove g
k
= f
(k)
k
,
k = 1, 2, . Per un qualunque punto x
i
la successione numerica {g
k
(x
i
)}
converge se k , poich`e, per costruzione, per k i, questa successione `e una
sottosuccessione della successione convergente {f
(i)
k
(x
i
)}.
Dimostriamo ora che la successione di g
k
, k = 1, 2, , `e uniformemente
convergente su K. Supponiamo che sia > 0. Visto che questa successione `e
equicontinua su K, esiste > 0 tale che per k = 1, 2, si ha
|g
k
(x) g
k
(x

)| <

3
(3.3)
quando |x x

| < e x, x

K. Essendo K compatto, dallinsieme di punti


x
1
, x
2
, si possono scegliere un numero nito di questi punti, x
1
, x
2
, , x
l
,
l = l(), in modo che, per ogni punto x K esista un punto x
i
, 1 i l, tale
che |x x
i
| < . Ricordando che la successione di g
k
(x), k = 1, 2, , converge
ai punti x
1
, , x
l
, concludiamo che esiste un numero N = N() tale che
|g
k
(x
i
) g
p
(x
i
)| <

3
, k, p N, i = 1, 2, , l. (3.4)
Sia ora x un punto arbitrario dellinsieme K. Scegliendo un punto x
i
, 1 i l,
tale che |x x
i
| < , in virt` u delle (3.3) e (3.4) si ottiene
|g
k
(x) g
p
(x)| |g
k
(x) g
k
(x
i
)| +|g
k
(x
i
) g
p
(x
i
)| +|g
p
(x
i
) g
p
(x)|
<

3
+

3
+

3
= , k, p N,
dove N non dipende da x K. Ci`o signica che la successione di g
k
, k =
1, 2, , `e una successione di Cauchy in C(K). Siccome C(K) `e uno spazio di
Banach (e quindi `e completo), la successione converge uniformemente su K. 2
Il teorema di Ascoli-Arzel`a esprime la propriet`a di compattezza di un qua-
lunque insieme limitato e equicontinuo in C(K). Inoltre, il Lemma 3.1 aerma
che un operatore integrale con nucleo continuo trasferisce ogni insieme limitato
in L
2
(G) (oppure in L
1
(G)) in un sottoinsieme di C(G) con chiusura (in C(G))
compatta.
Questa propriet`a ci consente di generalizzare il concetto di operatore inte-
grale con nucleo continuo. Dati due spazi di Banach X e Y (possibilmente
X = Y ) ed un operatore T L(X, Y ), T si dice operatore compatto se per ogni
23
sottoinsieme limitato B di X la chiusura T[B] dellimmagine T[B] in Y `e com-
patta. In tal caso, il Lemma 3.1 esprime la compattezza degli operatori integrali
con nucleo continuo per X = L
2
(G) (oppure X = L
1
(G)) ed Y = C(G); in tal
caso risulter`a anche la compattezza di questi operatori per X = Y = L
1
(G),
X = Y = L
2
(G) e X = Y = C(G). Per un operatore compatto T L(X)
(dove X = Y ) valgono i quattro teoremi di Fredholm se, al posto delloperato-
re integrale aggiunto, si considera loperatore aggiunto T

denito sullo spazio


duale X

. In generale, le dimostrazioni non si possono pu`o svolgere tramite


lapprossimazione di T da un cosiddetto operatore di rango nito (che genera-
lizza loperatore integrale con nucleo degenere), tranne nel caso in cui X = Y `e
uno spazio di Hilbert e in certi altri casi particolari.
c. Equazioni integrali con nucleo continuo hermitiano: Il princi-
pio variazionale. Non tutti i nuclei che non sono identicamente nulli, hanno
autovalori; per esempio, i nuclei di Volterra non hanno autovalori. Tuttavia, `e
valido il seguente
Teorema 3.3 Ogni nucleo continuo hermitiano K(x, y) = 0 ha almeno un au-
tovalore e lautovalore
1
pi` u piccolo in modulo soddisfa il principio variazionale
1
|
1
|
= sup
0=fL2(G)
Kf
2
f
2
. (3.5)
Dimostrazione. Sia
= sup
f2=1
Kf
2
. (3.6)
Dalla (1.3) segue che Kf
2
M m(G) sulle funzioni di L
2
(G) di norma 1 e
quindi M m(G).
`
E inoltre evidente che 0. Dimostriamo che > 0.
Infatti, se = 0, allora, in virt` u della (3.6), avremmo Kf
2
= 0, cio`e Kf = 0
per tutte le f L
2
(G), e quindi K(x, y) = 0, x, y G, il che contraddice
lipotesi.
Dalla denizione della segue lesistenza di una successione di f
k
, k =
1, 2, , f
k

2
= 1, tale che
Kf
k

2
, k +; (3.7)
inoltre, `e valida la disuguaglianza
K
2
f
2
=
_
_
_
_
K
_
Kf
Kf
2
__
_
_
_
2
Kf
2
Kf
2
, f L
2
(G). (3.8)
Dimostriamo ora che
K
2
f
k

2
f
k
0, k + in L
2
(G). (3.9)
24
Infatti, utilizzando le (3.2), (3.7) e (3.8), si ottiene
K
2
f
k

2
f
k

2
2
= (K
2
f
k

2
f
k
, K
2
f
k

2
f
k
)
= (K
2
f
k
, K
2
f
k
) +
4
(f
k
, f
k
)
2
(f
k
, K
2
f
k
)
2
(K
2
f
k
, f
k
)
= K
2
f
k

2
2
+
4
2
2
(Kf
k
, Kf
k
)

2
Kf
k

2
2
+
4
2
2
Kf
k

2
2
=
4

2
Kf
k

2
2
0, k +,
il che `e equivalente alla relazione limite (3.9).
Conformemente al Lemma 3.1, la successione delle funzioni Kf
k
, k=1, 2, ,
`e limitata in C(G) e equicontinua su G. Ma in questo caso, in base al teorema
di Ascoli-Arzel`a, esiste anche una sottosuccessione
i
= Kf
ki
, i = 1, 2, , che
converge in C(G) ad una funzione C(G),
i

C
0, i . Da ci`o,
utilizzando le (1.1) e (1.2), e la relazione (3.9), si ottiene
K
2

2

C
K
2
(
i
)
C
+
2

i

C
+K
2

C
M m(G)K(
i
)
C
+
2

i

C
+K(K
2
f
ki

2
f
ki
)
C
(M
2
m(G)
2
+
2
)
i

C
+M
_
m(G)K
2
f
ki

2
f
ki

2
0, i +,
e, come conseguenza,
K
2
=
2
.
Dimostriamo che = 0. Dalla relazione limite (3.9) segue che
K
i

2
f
ki
0, i + in L
2
(G),
e, di conseguenza, K
i

2

2
, i +. Daltra parte, dal Lemma 1.1 segue
che K
i

2
K
2
, i +. Quindi, K
2
=
2
> 0, da cui segue che
= 0.
Dunque, la funzione costruita `e unautofunzione del nucleo K
2
(x, y) corri-
spondente allautovalore
2
. Ma, allora, almeno uno dei numeri `e autovalore
del nucleo K(x, y). In tal modo, lautovalore
1
costruito `e uguale a in modulo
e, quindi, in virt` u della (3.6), soddisfa il principio variazionale (3.5).
Non resta altro che stabilire che
1
`e lautovalore pi` u piccolo in modulo
del nucleo K(x, y). Infatti, se
0
e
0
sono lautovalore e la corrispondente
autofunzione, cio`e
0
K
0
=
0
, allora, in virt` u della (3.5), si ha
1

1
= sup
fL2(G)
Kf
2
f
2

K
0

2
=
1
|
0
|
,
e quindi |
1
| |
0
|. 2
Considerando il teorema sopra dimostrato ed i teoremi di Fredholm, per le
equazioni integrali con nucleo continuo hermitiano K(x, y) 0, si ottengono le
seguenti asserzioni:
25
Linsieme di autovalori {
k
} non `e vuoto, `e situato sullasse reale, e non
ha punti di accumulazione niti; ogni autovalore `e di molteplicit`a nita ed il
sistema di autofunzioni {
k
} pu`o essere scelto ortonormale:
(
k
,
i
) =
k,i
. (3.10)
Se =
k
, k = 1, 2, , lequazione (3.1) `e univocamente risolvibile per un
termine noto f C(G) qualsiasi. Se =
k
, per la risolvibilit`a dellequazione
(3.1) `e necessario e suciente che
(f,
k+1
) = 0, i = 0, 1, , r
k
1, (3.11)
dove
k
,
k+1
, ,
k+r
k
1
sono autofunzioni corrispondenti allautovalore
k
e r
k
`e la molteplicit`a di
k
.
4 Teorema di Hilbert-Schmidt e i suoi Corollari
a. Teorema di Hilbert-Schmidt per un nucleo continuo hermitiano.
Supponiamo che
1
,
2
, siano gli autovalori del nucleo continuo hermitiano
K(x, y) 0 disposti in ordine di crescita del loro modulo, |
1
| |
2
| , e
che
1
,
2
, siano le corrispondenti autofunzioni ortonormali, (
k
,
i
) =
kl
.
Come sappiamo, gli autovalori
k
sono reali e le autofunzioni
k
(x) sono
continue su G; in questo caso linsieme {
k
} `e nito o numerabile; nellultimo
caso si ha |
k
| , k . Inoltre, in virt` u del 3.3, `e valida la disuguaglianza
Kf
2

1
|
1
|
f
2
, f L
2
(G). (4.1)
Notiamo unaltra disuguaglianza, e cio`e
2

k=1
|
k
(x)|
2

2
k

_
G
|K(x, y)|
2
dy, x G. (4.2)
Nel seguito verr`a infatti dimostrato che vale luguaglianza nella (4.2).
Introduciamo ora la successione di nuclei continui hermitiani
K
(p)
(x, y) = K(x, y)
p

i=1

i
(x)
i
(y)

i
, p = 1, 2, , . (4.3)
I corrispondenti operatori integrali K
(p)
hermitiani soddisfano
K
(p)
f = Kf
p

i=1
(f,
i
)

i
, f L
2
(G). (4.4)
2
Se il nucleo K(x, y) ha un numero nito di autovalori,
1
,
2
, ,
N
, poniamo
k
= +
per k > N.
26
Dimostriamo che
p+1
,
p+2
, , e
p+1
,
p+2
, costituiscono tutti gli au-
tovalori e tutte le autofunzioni del nucleo K
(p)
(x, y). Infatti, in virt` u della (4.4)
abbiamo
K
(p)

k
= K
k

p

i=1
(
k
,
i
)

i
= K
k
=
1

k
, k p + 1,
di modo che
k
e
k
, k p + 1, siano autovalori ed autofunzioni del nu-
cleo K
(p)
(x, y). Inversamente, siano
0
e
0
un autovalore e la corrispondente
autofunzione del nucleo K
(p)
(x, y), e cio`e, in virt` u della (4.4), si avr`a

0
=
0
K
(p)

0
=
0
K
0

0
p

i=1
(
0
,
0
)

i
. (4.5)
Da qui per k = 1, 2, , p si ottiene
(
0
,
k
) =
0
(K
0
,
k
)
0
p

i=1
(
0
,
i
)(
i
,
k
)

i
=
0
(
0
, K
k
)
0
p

i=1
(
0
,
i
)

ik
=

0

k
(
0
,
k
)

0

k
(
0
,
k
) = 0,
e quindi, in virt` u della (4.5),
0
=
0
K
0
. Dunque,
0
e
0
sono lautovalore
e la corrispondente autofunzione del nucleo K(x, y). Visto che
0
`e ortogonale
a tutte le autofunzioni
1
,
2
, ,
p
, ne segue che
0
coincide con uno degli
autovalori
p+1
,
p+2
, e
0
pu`o essere considerata uguale a
k
per k
p +1. Dunque,
p+1
`e il pi` u piccolo autovalore del nucleo K
(p)
(x, y) in modulo.
Applicando la disuguaglianza (4.1) a questo nucleo e tenendo conto della (4.4),
si ottiene la disuguaglianza
K
(p)
f
2
=
_
_
_
_
_
Kf
p

i=1
(f,
i
)

i
_
_
_
_
_
2

f
2
|
p+1
|
, f L
2
(G), (4.6)
dove p = 1, 2, .
Supponiamo che il nucleo hermitiano K(x, y) abbia un numero nito di
autovalori:
1
,
2
, ,
N
. Da quanto abbiamo dimostrato, il nucleo hermi-
tiano K
(N)
(x, y) non ha autovalori, e quindi, in base al Teorema 3.3, si ha
K
(N)
(x, y) 0, in modo che, in virt` u della (4.3), si ha
K(x, y) =
N

i=1

i
(x)
i
(y)

i
, (4.7)
il che signica che il nucleo K(x, y) `e degenere.
Da ci`o, e ricordando anche che un nucleo degenere ha sempre un numero
nito di autovalori, formuliamo il seguente risultato: anche un nucleo continuo
hermitiano sia degenere, `e necessario e suciente che questo nucleo abbia un
numero nito di autovalori.
27
Teorema 4.1 [Teorema di Hilbert-Schmidt]. Se una funzione f(x) appartiene
allimmagine di un operatore integrale K di nucleo continuo hermitiano K(x, y),
cio`e f = Kh, la sua serie in termini delle autofunzioni del nucleo K(x, y) `e
uniformemente convergente su G alla funzione
f(x) =

k=1
(f,
k
)
k
(x) =

k=1
(h,
k
)

k
(x). (4.8)
Dimostrazione. Visto che f = Kh, h L
2
(G), in base al Lemma 1.1, f
C(G) ed i coecienti di Fourier delle funzioni f e h in termini delle autofunzioni
{
k
} del nucleo K(x, y) sono collegati con la relazione
(f,
k
) = (Kh,
k
) = (h, K
k
) =
(h,
k
)

k
. (4.9)
Se il nucleo K(x, y) ha un numero nito di autovalori, si ha, in virt` u della
(4.7),
f(x) = (Kh)(x) =
N

k=1
(h,
k
)

k
(x),
ed il teorema di Hilbert-Schmidt `e dimostrato.
Supponiamo ora che il nucleo K(x, y) abbia un numero innito di autovalori.
In questo caso |
k
| +, k +. Perci`o, in virt` u delle (4.6) e (4.9), la serie
(4.8) converge a f nella norma di L
2
(G):
_
_
_
_
_
f
p

k=1
(f,
k
)
k
_
_
_
_
_
2
=
_
_
_
_
_
Kh
p

k=1
(h,
k
)

k
_
_
_
_
_
2

h
2
|
p+1
|
0, p +.
Resta da dimostrare che la serie (4.8) converge in modo uniforme su G.
Utilizzando la disuguaglianza di Schwartz e la (4.2), si ottiene, per tutti i valori
di p e q e per ogni x G,
q

k=p
|(h,
k
)|

k
(x)

_
_
q

k=p
|(h,
k
)|
2
_
_
1/2
_
_
q

k=p
|
k
(x)|
2

2
k
_
_
1/2

_
_
q

k=p
|(h,
k
)|
2
_
_
1/2
__
G
|K(x, y)|
2
dy
_
1/2
M
_
m(G)
_
_
q

k=p
|(h,
k
)|
2
_
_
1/2
.
(4.10)
In virt` u della disuguaglianza di Bessel

k=1
|(h,
k
)|
2
h
2
2
,
il primo membro della disuguaglianza (4.10) tende a zero per p, q +. Ci`o
signica che la serie (4.8) `e puntualmente convergente su G. Siccome il maggio-
rante in (4.10) non dipende da x G, la convergenza risulta uniforme in x G.
2
28
b. Sviluppo bilineare dei nuclei iterati. Dimostriamo che un nucleo
iterato K
p
(x, y) di un nucleo continuo hermitiano K(x, y) pu`o essere sviluppato
in una serie bilineare in termini delle autofunzioni di questo nucleo,
K
p
(x, y) =

k=1

k
(x)
k
(y)

p
k
, p = 2, 3, , (4.11)
e la serie `e uniformemente convergente su GG.
In virt` u della formula (1.14), per ogni y G il nucleo K
p
(x, y) appartie-
ne allimmagine delloperatore K di nucleo K(x, y) e quindi, in base al teore-
ma di Hilbert-Schmidt, esso pu`o essere sviluppato in una serie uniformemente
convergente rispetto alle autofunzioni di questo nucleo:
K
p
(x, y) =

k=1
(K
p
(x, y),
k
)
k
(x).
Visto che il nucleo K
p
(x, y) `e hermitiano, abbiamo
(K
p
(x, y),
k
) =
_
G
K
p
(x, y)
k
(x) dx
=
_
G
K
p
(y, x)
k
(x) dx = (K
p

k
)(y) =

k
(y)

p
k
, p 1. (4.12)
Dunque, luguaglianza (4.11) `e dimostrata e la serie della (4.11) `e uniformemente
convergente in x G per ogni y G.
In particolare, ponendo nella formula (4.11) p = 2, x = y e tenendo conto
del fatto che, in virt` u della (1.14), si ha
K
2
(x, y) =
_
G
K(x, y

)K(y

, x) dy

=
_
G
K(x, y

)K(x, y

) dy

=
_
G
|K(x, y)|
2
dy,
si ottiene luguaglianza

k=1
|
k
(x)|
2

2
k
=
_
G
|K(x, y)|
2
dy. (4.13)
Dal teorema di Dini [Vedi Giusti II oppure Pagani-Salsa II] segue che la
serie (4.13) `e uniformemente convergente su G, poich`e la parte a destra `e una
funzione continua in x G. Da ci`o, utilizzando la disuguaglianza di Schwartz

k=1
|
k
(x)
k
(y)|

p
k

1
|
1
|
p2
_

k=1
|
k
(x)|
2

2
k
|
k
(y)|
2

2
k
_
1/2
,
concludiamo che la serie (4.11) `e uniformemente convergente su GG.
Integrando termine a termine la serie uniformemente convergente (4.13) e
tenendo conto della normalizzazione delle autofunzioni, si ottiene la formula

k=1
1

2
k
=
_
G
_
G
|K(x, y)|
2
dxdy. (4.14)
29
c. Sviluppo bilineare di un nucleo continuo hermitiano. Studiamo
la convergenza della serie (4.11) per p = 1, dimostriamo cio`e che un nucleo
continuo hermitiano K(x, y) pu`o essere sviluppato in una serie bilineare rispetto
alle sue autofunzioni
K(x, y) =

k=1

k
(x)
k
(y)

k
, (4.15)
convergente uniformemente in L
2
(G) rispetto a y G, e cio`e
lim
p+
max
yG
_
_
_
_
_
K(x, y)
p

k=1

k
(x)
k
(y)

k
_
_
_
_
_
2
= 0. (4.16)
Luguaglianza (4.12), per p = 1, mostra che, per ogni y G, i coecienti del
nucleo K(x, y) in termini del sistema ortogonale {
k
(x)} sono uguali a
k
(x)/
k
.
Perci`o, utilizzando lortonormalit`a delle autofunzioni
k
(x) [cio`e (
k
,
j
) =
kj
],
si ottiene luguaglianza
_
_
_
_
_
K(x, y)
p

k=1

k
(x)
k
(y)

k
_
_
_
_
_
2
2
=
_
G
|K(x, y)|
2
dx
p

k=1
|
k
(y)|
2

2
k
, y G,
da cui, in virt` u della convergenza uniforme della serie (4.13), concludiamo che
la serie bilineare (4.15) converge al nucleo K(x, y) nel senso della (4.16).
Dalla (4.16) segue, in particolare, che la serie (4.15) converge al nucleo
K(x, y) in L
2
(GG), e cio`e
lim
p+
_
G
_
G

K(x, y)
p

k=1

k
(x)
k
(y)

2
dxdy = 0. (4.17)
Per la forma bilineare (Kf, g) dimostriamo la formula
(Kf, g) =

k=1
(f,
k
)(g,
k
)

k
, f, g L
2
(G). (4.18)
Infatti, visto che f L
2
(G) abbiamo, in base al teorema di Hilbert-Schmidt,
(Kf)(x) =

k=1
(f,
k
)

k
(x),
ed inoltre, questa serie `e uniformemente convergente su G. Molteplicando questa
serie per una funzione g appartenente a L
2
(G) (e, di conseguenza, una funzione
che `e assolutamente integrabile su G), ed integrando termine a termine questa
serie, si ottiene la formula (4.18):
(Kf, g)=
_
G
(Kf)(x)g(x) dx=

k=1
(f,
k
)

k
_
G

k
(x)g(x) dx=

k=1
(f,
k
)(g,
k
)

k
.
30
Ponendo f = g nella formula (4.18), si ottiene una rappresentazione della
forma quadratica (Kf, f) nella forma
(Kf, f) =

k=1
|(f,
k
)|
2

k
, f L
2
(G). (4.19)
La formula (4.19) rappresenta una generalizzazione della formula di riduzione
agli assi principali della forma quadratica con un numero nito di variabili.
d. Soluzione di unequazione integrale non omogenea con nucleo
continuo hermitiano. Costruiamo la soluzione dellequazione integrale non
omogenea
= K +f (4.20)
con nucleo continuo hermitiano K(x, y).
Se =
k
, k = 1, 2, , e f C(G), la soluzione (unica) dellequa-
zione integrale (4.20) pu`o essere rappresentata nella forma di una serie che `e
uniformemente convergente su G (formula di Schmidt):
(x) =

k=1
(f,
k
)

k
(x) +f(x). (4.21)
Infatti, per =
k
, k = 1, 2, , una soluzione dellequazione (4.20) esiste
ed `e unica in C(G) per un termine noto f C((G)) qualsiasi. Per il teorema
di Hilbert-Schmidt la funzione K pu`o essere sviluppata in una serie unifor-
memente convergente in termini delle autofunzioni del nucleo K(x, y). Si ha
quindi
= K +f =

k=1
(,
k
)

k
+f. (4.22)
Calcoliamo i coecienti (,
k
). Dallequazione (4.20) abbiamo
(,
k
) = (K,
k
) + (f,
k
) = (, K
k
) + (f,
k
) =

k
(,
k
) + (f,
k
)
e, di conseguenza,
(,
k
) =

k

k

(f,
k
), k = 1, 2, ,
da cui, in virt` u della (4.22), segue la formula di Schmidt (4.21).
Conformemente al teorema di Hilbert-Schmidt si ha
(Kf)(x) =

k=1
(f,
k
)

k
(x),
31
ed inoltre la serie `e uniformemente convergente su G. Perci`o la formula di
Schmidt (4.21) assume la seguente forma:
(x) =

k=1
(f,
k
)

k
(x) +
2

k=1
(f,
k
)

k
(
k
)

k
(x) +f(x)
=
_
G
K(x, y)f(y) dy +
2

k=1
(f,
k
)

k
(
k
)

k
(x) +f(x). (4.23)
Inoltre, dalla convergenza uniforme della serie bilineare (4.11), per p = 2, segue
la convergenza uniforme della serie bilineare

k=1

k
(x)
k
(y)

k
(
k
)
e la sua somma `e una funzione continua rispetto a (x, y) G G, =
k
,
k = 1, 2, , e meromorfa rispetto a con poli semplici
k
. Di conseguenza, per
=
k
, k = 1, 2, , nella formula (4.23) si pu`o invertire lordine di sommatoria
e dintegrazione, ottenendo come risultato
(x) =
_
G
_
K(x, y) +

k=1

k
(x)
k
(y)

k
(
k
)
_
f(y) dy +f(x). (4.24)
Daltra parte, secondo il Teorema 1.3, per piccoli, la soluzione dellequa-
zione (4.20) pu`o essere espressa in termini del risolvente R(x, y; ) del nucleo
K(x, y), mediante la formula (1.17). Di conseguenza,
R(x, y; ) = K(x, y) +

k=1

k
(x)
k
(y)

k
(
k
)
. (4.25)
Dunque, il risolvente R(x, y; ) di un nucleo continuo hermitiano K(x, y)
ammette un prolungamento meromorfo in tutto il piano della variabile complessa
con poli semplici
k
e con residui uguali a

r
k
1

i=0

k+i
(x)
k+i
(y), (4.26)
dove
k
,
k+1
, ,
k+r
k
1
sono le autofunzioni del nucleo K(x, y) corrispon-
denti a
k
e r
k
`e la molteplicit`a di
k
.
Utilizzando luguaglianza (4.15), riscriviamo la formula (4.25) come segue:
R(x, y; ) =

k=1

k
(x)
k
(y)

k

, (4.27)
e la serie bilineare converge in L
2
(GG).
32
La formula (4.21) resta anche valida per =
j
se, conformemente al terzo
teorema di Fredholm, si ha
(f,
j+i
) = 0, i = 0, 1, , r
j
1.
In questo caso la soluzione dellequazione (4.20) non `e unica e la sua soluzione
generale `e data dalla formula
(x) =
j

k=1

k
=j
(f,
k
)

k
(x) +f(x) +
rj1

i=0
c
i

j+i
(x), (4.28)
dove c
i
sono costanti arbitrarie.
e. Nuclei denitivi positivi. Un nucleo K(x, y) `e detto denito positivo
se il corrispondente operatore K `e positivo, e cio`e:
(Kf, f) 0, f L
2
(G).
Ogni nucleo denito positivo K(x, y) `e hermitiano. Infatti, per f, g L
2
(G)
si ha
0 (K[f +ig], f +ig) = (Kf, f) +i [(Kg, f) (Kf, g)] + (Kg, g),
e quindi (Kg, f) = (Kf, g), cio`e K `e hermitiano. In tal caso anche il suo nucleo
K(x, y) `e hermitiano.
Anch`e un nucleo continuo hermitiano K(x, y) sia denito positivo, `e neces-
sario e suciente che tutti i suoi autovalori
k
siano positivi. Infatti, se
k
> 0
per ogni autovalore
k
, in virt` u della (4.19) si ha (Kf, f) 0, f L
2
(G), in
modo che il nucleo K(x, y) `e denito positivo. Inversamente, se il nucleo K(x, y)
`e denito positivo, si ha
1

k
= (K
k
,
k
) 0,
cio`e
k
> 0.
Se K(x, y) `e un nucleo continuo denito positivo, `e valido il seguente prin-
cipio variazionale:
1

k
= sup
fL2(G)
(f,i)=0,i=1,2, ,k1
(Kf, f)
f
2
, k = 1, 2, , (4.29)
ed il supremum nella (4.29) `e ottenuto su una qualunque autofunzione corri-
spondente allautovalore
k
. Infatti, utilizzando la formula (4.19) e tenendo
conto delle disuguaglianze
i

k
> 0, i k, per tutte le f L
2
(G) tali che
(f,
i
) = 0, i = 1, 2, , k 1, si ottiene
(Kf, f)
f
2
2
=
1
f
2
2

k=1
|(f,
i
)|
2

k
f
2
2

i=k
|(f,
i
)|
2
,
33
e, quindi, in virt` u della disuguaglianza di Bessel, `e valida la seguente disugua-
glianza:
(Kf, f)
f
2
2

k
. (4.30)
Daltra parte, per f =
k
abbiamo
(K
k
,
k
)

2
2
=
1

k
. (4.31)
La disuguaglianza (4.30) e luguaglianza (4.31) stabiliscono la validit`a del prin-
cipio variazionale (4.29).
Ponendo nella (4.29) k = 1, si ottiene
1

1
= sup
fL2(G)
(Kf, f)
f
2
2
. (4.32)
f. Teoremi di Jentsch e di Perron-Frobenius. Molti problemi della -
sica matematica sono riducibili ad equazioni integrali con nucleo reale. Siccome
il coniugato di una autofunzione corrispondente allautovalore `e unau-
tofunzione correspondente allautovalore [cio`e, = K implica = K],
le autofunzioni di un nucleo reale corrispondenti ad un autovalore reale si pos-
sono scegliere reali. In particolare, tutte le autofunzioni di un nucleo reale e
simmetrico [cio`e, K(x, y) = K(y, x) reale] si possono scegliere reali.
Diremo nucleo positivo il nucleo K(x, y), se K(x, y) > 0 per (x, y) GG.
In tal caso esiste > 0 tale che K(x, y) , (x, y) GG. Evidentemente, se il
nucleo K(x, y) `e positivo, sono anche positivi tutti i suoi nuclei iterati K
p
(x, y).
Teorema 4.2 [Teorema di Perron-Frobenius]. Se un nucleo continuo K(x, y) `e
positivo, esiste > 0 tale che `e autovalore di K, `e semplice, la corrispon-
dente autofunzione `e positiva, tutti gli altri autovalori di K sono maggiori di
in valore assoluto, e `e lunico autovalore a cui corrisponde unautofunzione
positiva.
La parte della dimostrazione pi` u dicile `e lesistenza dellautovalore positivo.
Ci`o si basa su qualche generalizzazione del teorema del punto sso di Brouwer.
3
Noi dimostriamo soltanto due casi particolari: il caso di un nucleo positivo e
simmetrico [il Teorema di Jentsch] e un caso in cui il nucleo `e positivo e degenere.
Teorema 4.3 [Teorema di Jentsch]. Se un nucleo simmetrico continuo K(x, y)
`e positivo, il pi` u piccolo autovalore
1
di K `e semplice e la corrispondente
autofunzione `e positiva.
3
Sia Bn = {x R
n
: x
2
1}. Allora ogni funzione continua f : Bn Bn ha almeno un
punto sso, cio`e esiste y Bn tale che f(y) = y. Siccome B
n1
`e topologicamente equivalente
al simplesso Dn = {x = (x
1
, , xn) : x
i
0, x
1
+ +xn = 1}, il teorema di Brouwer vale
anche per le funzioni continue f : Dn Dn.
34
Dimostrazione. Sia
1
il pi` u piccolo autovalore di K in valore assoluto e sia

1
una corrispondente autofunzione. Allora
1
`e una autofunzione corrispon-
dente allautovalore non negativo
2
1
del nucleo continuo positivo K
2
(x, y). In
tal caso
(K
2
|
1
|, |
1
|)

1
|
2
2
=
1

2
2
_
G
_
G
K
2
(x, y)|
1
(x)||
1
(y)| dxdy
>
1

2
2
_
G
_
G
K
2
(x, y)
1
(x)
1
(y) dxdy =
(K
2

1
,
1
)

2
2
=
1

2
1
,
il che contraddice al principio variazionale (4.32) se esiste (x, y) G G tale
che
1
(x)
1
(y) < 0. Quindi
1
(x) non cambia segno. Diciamo che
1
(x) 0
per x G.
Dimostriamo che la funzione
1
(x) non pu`o annularsi nella regione G e,
quindi, pu`o essere scelta positiva in G. Infatti, nel caso contrario esiste un
punto x

G tale che

1
(x

) =
2
1
_
G
K
2
(x

, y)
1
(y) dy = 0,
da cui, in virt` u della condizione K
2
(x, y) > 0, segue la contraddizione:
1
(y)
0, y G.
Dal fatto che
1
(x) `e positiva segue che anche
1
`e positivo, poich`e K(x, y) >
0 e
1
= K
1
/
1
> 0.
Dimostriamo ora la semplicit`a di
1
. Se fosse unaltra autofunzione del
nucleo K(x, y) corrispondente allautovalore
1
, esisterebbe t > 0 tale che
t 0. Sia t
0
> 0 un numero tale che t
0
0 e t 0 per t > t
0
.
Allora esiste > 0 tale che K( t
0
) . In tal caso
t
0
=
1
K( t
0
)
1
=
1
( t
0
) +
1
t
0

1
t
0
,
e quindi (1 +
1
)t
0
0. Contraddizione. Allora risulta la semplicit`a
dellautovalore
1
. 2
Dimostriamo ora il teorema di Perron-Frobenius soltanto in un caso dove
il nucleo `e degenere. Supponiamo che K(x, y) abbia la forma (2.3), dove le
funzioni f
i
e g
i
(i = 1, , N) sono strettamente positive. Seguendo il metodo
del paragrafo 2.a, arriviamo dallequazione integrale = K al sistema lineare
c
k
=
N

i=1

ki
c
i
, k = 1, 2, , N,
dove
ki
=
_
G
g
k
(x)f
i
(x) dx > 0 (i, k = 1, , N). Quindi gli autovalori del
nucleo K(x, y) sono esattamente i valori per cui la matrice A = (
ki
)
N
k,i=1
soddisfa det(I A) = 0.
Osserviamo adesso che tutti gli elementi della A sono positivi. In tal caso
esiste > 0 tale che det(I A), secondo il teorema di Frobenius dellalgebra
35
lineare.
4
Infatti, sia D
N
il simplesso
D
N
= {x = (x
1
, , x
N
) : x
1
0, , x
N
0, x
1
+ +x
N
= 1}.
Deniamo la funzione continua f : D
N
D
N
denita dalla relazione
f(x) =
Ax
N

i=1
(Ax)
i
,
dove il denominatore `e positivo. Secondo il teorema del punto sso di Brouwer
esiste y = (y
1
, , y
N
) D
N
tale che f(y) = y. Ponendo =
_

N
i=1
(Ay)
i
_
1
,
dove > 0, otteniamo
y
1
0, y
N
0, y
1
+ +y
N
= 1, y = Ay,
dove > 0. Siccome c
i
= (, g
i
) (i = 1, , N), troviamo la seguente espres-
sione per lautofunzione corrispondente a :
(x) =
N

i=1
y
i
f
i
(x), x G.
A Funzioni analitiche
Nel presente corso faremo uso di alcune propriet`a (da discutere in questo para-
grafo) delle funzioni analitiche, la cui teoria [1] si studia nel corso di Istituzioni
di Analisi Superiore.
Sia f : G C, dove G `e un aperto in C. Allora f si dice analitica se `e
derivabile rispetto alla variabile complessa z G e la sua derivata f

`e continua.
In altre parole, per ogni w G esiste un numero complesso f

(w) tale che


f(z) = f(w) + (z w) [f

(w) +(z)] ,
dove |(z)| 0 se |z w| 0 per z G; inoltre, la funzione f

: G
C `e continua. Una funzione analitica `e continua. Inoltre valgono le regole
per lanaliticit`a della somma, del prodotto e della composta di due funzioni
analitiche analoghe quelle che valgono per le funzioni derivabili in una variabile
reale.
Sia f : G C una funzione denita su un aperto Gin C che `e rappresentabile
come la somma di una serie di potenze avente raggio di convergenza positiva in
ogni punto w G. Ci`oe, per ogni w G esistono coecienti {a
n
(w)}

n=0
ed un
numero positivo R(w) tali che
f(z) =

n=0
a
n
(w)(z w)
n
, |z w| < R(w). (A.1)
4
Ogni matrice quadrata per cui tutti gli elementi sono positivi, ha un autovalore positivo
[Frobenius (1877)].
36
In tal caso f `e analitica indenitamente derivabile:
f
(k)
(z) =

n=0
(n+k)(n+k 1) (n+1)a
n+k
(w)(z w)
n
, |z w| < R(z
0
),
mentre a
n
(w) = f
(n)
(w)/(n!). Daltra parte, una funzione analitica f : G C
si pu`o scrivere nella forma (A.1) per un opportuno R(w) > 0 per ogni w G.
Sia f : G C una funzione analitica su un aperto G in C. Allaperto
G C facciamo corrispondere un aperto

G R
2
tale che (x, y)

G se e solo
se x +i y G. Ora deniamo u, v :

G R dalla formula
f(x +iy) = u(x, y) +i v(x, y), (x, y)

G.
Allora u, v :

G R sono dierenziabili (nel senso del corso di Analisi Matema-
tica II), esiste un numero innito di derivate parziali successive di u e v rispetto
ad x ed y, e valgono le cosiddette equazioni di Cauchy-Riemann
u
x
=
v
y
,
u
y
=
v
x
. (A.2)
In tal caso, abbiamo

2
u
x
2
+

2
u
y
2
=

2
v
xy


2
v
yx
= 0,

2
v
x
2
+

2
v
y
2
=

2
u
xy
+

2
u
yx
= 0. (A.3)
Usando luguaglianza (simbolica) (u +iv)(dx +i dy) = (udx v dy) +i(v dx +
udy), si vede facilmente (dalla (A.2)) che le forme dierenziali udx v dy e
v dx + udy sono ambedue chiuse. Quindi, se

G (oppure G) `e semplicemente
connesso, queste due forme dierenziali sono esatte. Di conseguenza, se G `e
semplicemente connesso e `e una curva chiusa e retticabile (cio`e, di lunghezza
ben denita e nita) in G, allora
_

(udx v dy) = 0,
_

(v dx +udy) = 0,
dove = {(x, y) R
2
: x +i y }. Ci`o implica che
_

f(z) dz =
_

(udx v dy) +i
_

(v dx +udy) = 0. (A.4)
Laermazione (A.4) si chiama il Teorema di Cauchy.
`
E il risultato pi` u im-
portante della teoria delle funzioni analitiche. Osserviamo che purtroppo il ra-
gionamento seguito non `e una dimostrazione esaustiva e quindi completamente
rigorosa.
Enunciamo adesso due altri importanti teoremi (collegati al precedente).
Teorema A.1 Sia {f
n
}

n=1
una successione di funzioni analitiche sullaperto
G che converga ad una funzione f : G C uniformemente in z K per un
qualunque compatto K in G. Allora f `e analitica.
37
Teorema A.2 Sia {f
n
}

n=1
una successione di funzioni analitiche sullaperto
G tale che la serie di funzioni

n=1
f
n
(z)
converga uniformemente in z K per un qualunque compatto K in G. Allora
la sua somma rappresenta una funione analitica su G.
Ora discutiamo due risultati semplici ed importanti per le funzioni analitiche.
Teorema A.3 Siano f, g : G C due funzioni analitiche sullaperto connesso
G tali che f(z) = g(z) per ogni z E, dove E `e un sottoinsieme di G con
almeno un punto di accumulazione allinterno di G. Allora f(z) = g(z) per
ogni z G.
In particolare, applicando il Teorema A.3 per g(z) 0, si vede facilmente
che una funzione analitica f 0 ha un numero nito di zeri oppure i suoi zeri
si accumulano sulla frontiera di G.
Adesso enunciamo il fondamentale Teorema di Liouville.
Teorema A.4 Sia f : C C una funzione analitica denita sullintero piano
complesso. Allora f `e non limitata oppure costante.
La dimostrazione `e abbastanza facile. Ne diamo lo schema qui di seguito.
Sia f : C C una funzione analitica e sia C
R
il cerchio di centro 0 e raggio R
in C con orientamento positivo. Allora (2i)
1
_
C
R
(z w)
1
dz = 1 per w C
con |w| < R (lo si controlli!) implica
5
che
f(w) =
1
2i
_
C
R
f(z)
z w
dz, |w| < R.
Ci`o comporta [perche?] che
f

(w) =
1
2i
_
C
R
f(z)
(z w)
2
dz, |w| < R.
Di conseguenza, se |f(z)| M per z C, risulterebbe
|f

(w)|
1
2
2R
M
(R |w|)
2
, R > |w|,
e quindi f

(w) = 0. Siccome w C `e arbitrario, f deve essere una funzione


costante.
Come corollario si aerma che una funzione analitica f : C C con limite
zero per |z| + deve annularsi in ogni z C.
5
Si scriva f(z) = f(w) + [f(z) f(w)] e si osservi che [f(z) f(w)]/(z w) `e analitica in
z C. Poi si applichi il Teorema di Cauchy.
38
Deniamo ora le funzioni meromorfe e discutiamo le loro singolarit`a.
In primo luogo una funzione analitica f : G C con f 0 ha un numero
nito o uninnit`a numerabile di zeri. Un numero complesso z
0
si dice zero di
ordine m per f se f(z) = (z z
0
)
m
g(z) per g : G C una funzione analitica
e g(z
0
) = 0. In altri termini, z
0
`e uno zero di ordine m se e solo se f(z
0
) =
f

(z
0
) = = f
(m1)
(z
0
) = 0 e f
(m)
(z
0
) = 0.
Se G `e un aperto in C, w G e f `e analitica su G\ {w}, il punto w si dice
polo di ordine m se esiste una funzione analitica g : G C con g(w) = 0 tale
che f(z) = g(z)/(z w)
m
per z G\ {w}.
Sia G un aperto in C. Una funzione f si dice meromorfa su G se esiste
un sottoinsieme nito oppure numerabile E di G senza punti di accumulazione
allinterno di G tale che f sia analitica in G\ E ed ogni punto di E sia un polo
della f.
Teorema A.5 [Principio dellargomento] Sia f una funzione meromorfa nel-
laperto G. Sia una curva chiusa, semplice e retticabile in G che non passa
per i poli e per gli zeri di f, con un orientamento tale che il sottodominio di
G racchiuso da si trova alla sinistra di . Allora
1
2i
_

(z)
f(z)
dz =
n

k=1
N(z
k
)
m

j=1
P(p
j
),
dove z
1
, , z
n
sono gli zeri in , p
1
, , p
m
sono i poli in , N(z
k
) `e lordine
dello zero z
k
e P(p
j
) `e lordine del polo p
j
.
Dimostrazione. Posta
f(z) = g(z)

n
k=1
(z z
k
)
N(z
k
)

m
j=1
(z p
j
)
P(pj)
,
dove g(z) `e una funzione meromorfa in G che non ha zeri n`e poli in , si ha
f

(z)
f(z)
=
n

k=1
N(z
k
)
z z
k

j=1
P(p
j
)
z p
j
+
g

(z)
g(z)
,
dove g

(z)/g(z) `e continua in e analitica in . Il teorema segue quindi dal


Teorema di Cauchy. 2
Corollario A.6 [Teorema di Rouche] Siano f e g funzioni meromorfe nella-
perto G. Sia una curva chiusa, semplice e retticabile in G che non passa per
i poli e per gli zeri di f e g, con un orientamento tale che il sottodominio di
G racchiuso da si trova alla sinistra di . Se
|f(z) g(z)| < |g(z)|, z , (A.5)
allora
Z
f
P
f
= Z
g
P
g
,
dove Z
f
e P
f
sono il numero degli zeri e dei poli della f in e Z
g
e P
g
sono il
numero degli zeri e dei poli della g in .
39
Dimostrazione. Lipotesi (A.5) implica che f/g manda nella palla {w
C : |w 1| < 1}. In questa palla si pu`o denire log(w) come funzione analitica
tale che log(w) 0 se w 1. In tal caso, (log(f/g))

= (f/g)

/(f/g) =
(f

/f) (g

/g). Quindi, utilizzando il Teorema di Cauchy e il Teorema A.5, si


ha
0 =
1
2i
_

_
f

(z)
f(z)

g

(z)
g(z)
_
dz = (Z
f
P
f
) (Z
g
P
g
).
2
Usando il Teorema di Rouche si trova facilmente una dimostrazione del Teo-
rema Fondamentale dellAlgebra. Sia p(z) = z
n
+a
1
z
n1
+ +a
n
un polinomio
complesso di grado n e con coeciente principale 1. Applichiamo il Teorema di
Rouche per f(z) = p(z) e g(z) = z
n
. Siccome esiste R > 0 tale che

f(z)
g(z)
1

1 +
a
1
z
+ +
a
n
z
n

< 1, |z| = R,
si pu`o applicare il Teorema di Rouche per = {z C : |z| = R} e = {z
C : |z| < R}. Abbiamo Z
g
= n e P
f
= P
g
= 0. Quindi Z
f
= n; di conseguenza
p(z) ha n zeri nel dominio = {z C : |z| < R}.
B Accoppiamento Matriciale
Teorema B.1 Siano X e Y due spazi di Banach e siano T L(Y, X) e S
L(X, Y ). Allora TS L(X) e ST L(Y ) hanno lo stesso spettro tranne nel
punto zero.
Dimostrazione. Per 0 = C si verica facilmente che
_
TS 0
0 I
Y
_
=
_
I
X

1
TS T

1
S I
Y
__
I
X
0
0 ST
__
I
X
TS T

1
S
1
I
Y
_
,
dove
_
I
X

1
TS T

1
S I
Y
_
1
=
_
I
X
T

1
S I
Y

1
ST
_
and
_
I
X
TS T

1
S
1
I
Y
_
1
=
_

1
I
X
T

1
S I
Y
ST
_
.
Siccome i due fattori esterni nella parte a destra sono invertibili per 0 = C,
risulta che, per 0 = C, I
X
TS `e invertibile se e solo se lo `e anche
I
Y
ST. Quindi
(TS) \ {0} = (ST) \ {0},
p
(TS) \ {0} =
p
(ST) \ {0},

c
(TS) \ {0} =
c
(ST) \ {0},
r
(TS) \ {0} =
r
(ST) \ {0}.
Inoltre gli autovalori di TS e ST che sono diversi da zero hanno tutti la stessa
molteplicit`a. 2
40
Discutiamo ora i teoremi di Fredholm nel caso di un nucleo degenere. Per
X = C(G) e Y = C
N
poniamo
T L(C
N
, C(G)), T
_
_
_
c
1
.
.
.
c
N
_
_
_ =
N

i=1
c
i
f
i
,
S L(C(G), C
N
), S =
_
_
_
(, g
1
)
.
.
.
(, g
N
)
_
_
_.
Allora
K = TS, A = ST.
Dunque I K `e invertibile su C(G) se e solo se I A `e invertibile su C
N
.
Riferimenti bibliograci
[1] J.B. Conway, Functions of One Complex Variable, Graduate Texts in
Mathematics 11, Springer, Berlin, 1975.
[2] V.S. Vladimirov, Equazioni della Fisica Matematica, Edizioni Mir,
Mosca, 1985.
41

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