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Le nuove mappe di Mafia Export

Repubblica 29 novembre 2009 pagina 38 sezione: CRONACA Interno di una caserma, in un luogo segreto della Calabria. Il muro coperto da una grande carta geografica dell' Africa. Sul tavolo srotolata una mappa del Venezuela, su un altro foglio si scorge anche la punta del Messico pi vicina a Cuba. Nella stanza accanto c' tutta la Spagna, dentro il cerchio rosso un lungo elenco di nomi nasconde la Costa del Sol. Gli spagnoli la chiamano la Cosca del Sol. Al riparo, lontana da orecchie e da occhi, la caserma avvolta nel silenzio. I finanzieri dell' Antidroga sono attaccati alle cuffie. Ascoltano. Ascoltano anche di notte. Ascoltano voci che provengono da lontano. E fischi. Quegli stessi fischi che guidano le pecore lungo i sentieri dell' Aspromonte, l' alfabeto morse della ' Ndrangheta pi tribale. Una "fischiata" fra Locri e La Paz, a volte pu tracciare anche la rotta di una nave con le stive piene di cocaina. Mappe. Un atlante geocriminale delle nostre mafie sparse sui cinque continenti. Mappe. Di "locali" o di "famiglie" radicati in grandi citt e piccoli paesi, boss di primao secondao terza generazione che mischiano affari lecitie illeciti, spaghetti e narcos, grandi alberghi e stragi, commerci, traffici. I soldi non li contano neanche pi. Li pesano. Sistemano montagne di banconote sulle bilance e poi fanno il calcolo. C' sempre pi Calabria e meno Sicilia nel made in Italy malavitoso, con i boss della Locride che sono diventati sempre pi ricchi e potenti, e quegli altri di Palermo che ormai sono influenti solo a Brooklyn e a Cherry Hills. Il resto se lo sono presi Napoli e i Casalesi: riciclano dalla Costa Azzurra fino all' Avana. La prima trattazione del crimine italiano globale firmata dall' ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione, trecento pagine di racconti e analisi in un libro che con il suo titolo e le sue cartine annuncia una diffusione planetaria: Mafia Export, come ' Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra hanno colonizzato il mondo. Che ci fanno tre pastori di San Luca nella suite del pi esclusivo hotel di Torremolinos? Siamo nella terra dei tori, sussurrano nel loro dialetto stretto al telefono mentre aspettano notizie dal loro amico che gi sul volo da Medellin. Dalla Spagna passano e sono passati tutti. Calabresi. Siciliani. Napoletani. Non c' stato "carico" proveniente dal Sudamerica o dalla Nigeria che - negli ultimi quindici anni - non sia entrato in Europa dalla Spagna. La terra dei tori e dei latitanti italiani. Si nascondono sempre l. E sempre l, uomini sconosciuti che arrivano dalle Serre o dalla Piana di Gioia Tauro incontrano quegli altri uomini che si fanno chiamare El Tio o El Mono o El Nacho, emissari dei cartelli colombiani e messicani, ecuadoriani, boliviani, venezuelani. Tutti trafficanti che corrono a prendere valigie stracolme di soldi dai pastori, quelli che vivono fra le ramblas e Gibilterra. I Candeloro e i Parrello di Palmi che hanno preso casa a Fungirola, i Piromalli-Mol di Gioia Tauro che vivono a Barcello na, i Trimboli di Plat a Malaga, i Cicero di Belvedere Marittimo ad Algeciras,i Morabito di Africoa Madrid,i Maesano di Reggioa Palma di Majorca. Con loro c' qualcuno che viene anche dalla Campania. Come quel Vincenzo Scarpa di Torre Annunziata, uno che fino a un paio di anni fa andava su e gi da Miami e riciclava. Altri soldi di altri amici. Un cittadino riverito nella comunit madrilena el seor Scarpa, salotti, auto di lusso e una societ di catering che organizzava banchetti e ricevimenti anche per l' ambasciata d' Italia. Che ci fanno tre pastori di Palmi a Norimberga? E gli altri tre che vivono a Mannheim? A Munster ci sono gli Aracri di Crotone. A Siegburg i Giglio di Strongoli. A Ludwigsburg i Carelli di Corigliano Calabro. Ogni cosca ha il suo territorio. Come gi in Calabria. In Germania hanno portato anche le loro abitudini, i riti, le statue dei santi, le processioni e perfino la natura che avevano lasciato vorrebbero averla l, fra le brume della grande pianura tedesca. Se a Reggio il torrente Calonipace che segna il confine- sulla sponda destra comandano i Labate, su quella sinistra i Libri -, se sulla fiumara Buonamico di San Luca spadroneggiano su una riva i Pelleei Vottari, gli Strangioei Nirta sull' altra, il Reno che taglia in due le trib calabresi nel nord della Westfalia. Guten appetit, buon appetito. Dietro ogni "locale", quella che la "famiglia" per Cosa Nostra, c' un locale.I nomi sonoi soliti: Stella di Mare, Calabrisella, Il Violino, Osteria del Sud, Bacco.E c' sempre anche una trattoria San Michele, il

santo protettore degli ' ndranghetisti. Da Bruno era il ristorante della morte di Duisburg, quello dei sei ragazzi uccisi, la strage di Ferragosto del 2007. Che ci fanno tre pastori di Gioiosa Jonica sul lago Ontario? Un palazzo tutto vetri, l' attico e il super attico, una terrazza sconfinata e un uomo di una quarantina d' anni - Giuseppe Coluccio - che ha una Ferrari, una Range Rover, una Maserati e una nave che si chiama Atlantide. Nell' oceano non pesca solo tonni e merluzzi. Suo fratello Salvatore, il pi vecchio, si nasconde in una spelonca a Gioiosa. ricercato, fa una vita miserabile. Ma lui il capo, Salvatore. La sede ufficiale della multinazionale del crimine "Coluccio & Coluccio" sempre in Calabria, a Toronto c' la direzione aziendale. Hanno comprato acciaierie nell' ex Germania dell' Est, residencee supermercatia San Pietroburgo, interi quartieri in Belgio e a Praga. un impasto di primitivo e di ipertecnologico la ' Ndrangheta che si espande nel mondo. Sono dappertutto. Vengono da Roccella, da Sinopoli, da Melito Porto Salvo e i loro parenti li ritrovi a Lom - capitale del Togo - a Dakar - capitale del Senegal - in Guinea e in Namibia. Dove c' un grande porto ci sono loro. Con le loro flotteei loro denari. Ogni boss ha la sua zona. Un portoe uno Stato. Sono in ogni angolo della terra. Prima da trafficanti, poi da residenti. Comprano fattoriee foreste in Australia, comprano centri commerciali, sono padroni di societ immobiliari, fanno affari con l' Italian Food. E importano droghe. Spesso restano impuniti, qualche volta finiscono in carcere. Come accaduto due anni fa a Francesco Madafferi, un calabrese originario di Oppido Mamertina sposato con una cittadina australiana, frequentatore con i Perre e i Sergi del circolo Reggio di Parkville, un sobborgo di Melbourne. Sospettato di omicidie coinvolto in un colossale traffico di ecstasy - pi di quattrocento tonnellate, quindici milioni di pasticche - Francesco Madafferi era anche un clandestino. Il suo arresto a Melbourne diventato un caso. La comunit calabrese che si schierata contro l' espulsione firmata con un decreto dal ministro dell' immigrazione Philiph Ruddock, i quotidiani in lingua italiana che hanno sostenuto una campagna umanitaria a suo favore, il nuovo ministro dell' immigrazione Amanda Eloisa Vanstone che poi ha annullato il decreto di espulsione del suo predecessore e fatto diventare Madafferi cittadino australiano. Pochi mesi dopo un giornale di Melbourne, The Age, ha raccontato di una vicenda di finanziamenti al Partito conservatore della ministra Vanstone, contributi che venivano da gruppi imprenditoriali, tutti sostenitori del calabrese prima espulso e poi riabilitato. La polizia di Melbourne, nel febbraio del 2009, ha aperto un' indagine.E la ministra, gi travolta dalle polemiche, stata dimessa e nominata ambasciatrice. A Roma. la signora Amanda Elosia Vanstone che ancora oggi rappresenta il governo australiano in Italia. Nella terra pi lontana i Calabresi hanno avuto bisogno di avere una loro Cupola, come quella dei Siciliani. Troppo grande l' Australia - il doppio dell' Europa - per spartirsela con le rappresentanze familiari. Infinite le distanze per comunicare fra cugini e cognati. Se la sono divisa in sei territori. Giuseppe Carbone nel South Australia, Domenico Alvaro nel New South Wales, Pasquale Alvaro a Canberra, Peter Callipari a Griffith, Pasquale Barbaro a Melbourne, Giuseppe Alvaro ad Adelaide. Sono i sei "Crimini" della ' Ndrangheta australiana,i sei capi. Anche loro per dipendono dal "Capo Crimine" che, ogni anno a settembre, viene nominato sopra San Luca al santuario della Madonna dei Polsi. Che ci fanno tre pastori di Plat ad Amsterdam? Nella caserma, in quel luogo segreto della Calabria, ascoltano le telefonate che arrivano ai loro cellulari. Partono dalla Sicilia. Partono dalla Spagna. Partono dalla Colombia. Partono anche da uno dei quartieri pi eleganti di Amsterdam, da una bella casa di propriet dell' avvocato Leon Van Kleef. Catturano tutti, trafficantie pure l' avvocato. Poi il mandato di cattura internazionale per Leon Van Kleef viene revocato. Van Kleef non un avvocato qualunque: il Presidente della camere penali olandesi, il legale della regina. Che ci fanno tre pastori di Plat ad Amsterdam?

ROMA - Il vizio vecchio: prendersela con la rappresentazione di una cosa tanto da mettere la sordina sulla realt fino alla dissolvenza. Gli sceneggiatori della serie tv "La piovra" - che strozzerei, ha detto Berlusconi, come gli autori di libri di mafia - la pensano cos. deprimente. Berlusconi ha scherzato ma la mafia un problema del paese e non argomento su cui scherzare, commenta Sandro Petraglia, sul sito di "articolo 21". E l' altro sceneggiatore Stefano Rulli, oltre a ricordare a un uomo attento ai sondaggi come Berlusconi che la puntata dello sceneggiato in cui moriva il commissario Cattani fu vista da 17 milioni di italiani, fa un parallelo con Andreotti, quando disse che "i panni sporchi si lavano in casa", per la differenza sta nel fatto che per Berlusconi "i panni" non esistono e sono gli artisti che se li inventano. N ci sta Roberto Saviano a farsi strozzare e risponde a Berlusconi: Raccontare le contraddizioni significa amare il proprio paese e non diffamarlo; scrivere significa resistere e tentare di dare gli strumenti per cambiare. Lo scrittore di "Gomorra", che vive blindato, aggiunge: Il mio pensiero dopo questa dichiarazione va alle famiglie di chi morto per scrivere di mafia, immagino il loro dolore, per quanto mi riguarda continuer a scrivere senza omert di mafie. Dimostriamo che siamo l' Italia di Falcone non delle mafie. Insomma, il rischio questo- denuncia Anna Finocchiaro, la capogruppo del Pd al Senato, ex magistrato, siciliana - che alla fine qualcuno torni a dire che la mafia non esiste. Il problema della mafia e della criminalit organizzata un problema molto serio, reale, concreto, storico che pesa sullo sviluppo e sulla libert del Mezzogiorno e del nostro paese, non si pu pensare di risolvere tutto con battute, barzellette o mostrando la volont di mettere la sordina al problema, magari deridendo o attaccando chi meritoriamente ha aperto squarci importanti per far vedere all' opinione pubblica cosa sia la mafia. Contrattacca subito Palazzo Chigi. Il capogruppo di quella che dovrebbe essere la sinistra riformista finge di non capire che le battute del presidente Berlusconi non nascondono affatto la mafia, combattuta con forzae fermezza senza precedenti da questo governo, Il Pd ha invece la tentazione di risolvere la lotta politica per via giudiziaria. Parole gravi che infiammano lo scontro. Antonio Di Pietro, leader di Idv ed ex pm di Mani pulite, chiede conto a Berlusconi: Invece di scherzare sulla mafia spieghi agli italiani perch candidae si tiene affianco persone condannate seppure in primo grado per fatti di mafia come Dell' Utri e perch si tenuto in casa propria un mafioso come Mangano Il pd Filippo Penati: Il premier sbaglia, non si ironizza sulla mafia. Ora noi scrittori di noir siamo tuttia rischio- replica sarcastica di Carlo Lucarelli ma cerchiamo di far aprire gli occhi su quello che ci circonda. Il consigliere Rai, Giorgio van Straten esorta: Raccontare impedisce l' oblio dei crimini. Per Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia al sud bisogna recidere i legami tra partiti, burocrazia e criminalit organizzata. - GIOVANNA CASADIO

'Vi racconto il piacere dell' onest'


Repubblica 25 novembre 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI NEL paese della bugia porge il Pirandello sulfureo del piacere dell' onest. Nella stagione del degrado politico, si ricarica guardando negli occhi la gente che a teatro, con un applauso, continua a chiederti un po' di verit, di anima. Ci sono artisti che, per indole, insicurezza, o calcolo, eludono il tema del tempo in cui vivono. Con Leo Gullotta, 63 anni, impossibile starne lontani. Lui vi si immerge. Spalanca ancora lo sguardo. UN TAVOLO che affaccia sul lungomare Caracciolo. Un caff gustato con lentezza siciliana. Il sorriso non pieno, ma schietto. Venato di amarezza. Leo Gullotta, ultimo di sei figli di un rione popolare di Catania (il Fortino era la vostra Forcella, da noi si dice ' u Futtino ), un padre pasticciere che port per primo la Cgil nella citt costiera, a Napoli inesorabilmente - a casa. Uniche, Catania e Partenope, citt di lava e di mare, vette nere e inferni. Sono cresciuto tra vulcano, povert, bellezza. A quattordici anni per gi in scena: una spugna di teatro che allo Stabile di Catania pende dalle parole e dai gesti di giganti come Turi Ferro, Salvo Randone. Anche a Napoli ho avuto meravigliose esperienze: Nanni Loy, Elvio Porta. Un vostro beniamino lo porto nel cuore. Peppino De Filippo. Genio, intuizione, generosit. Ma anche lui vittima di pregiudizi e razzismo. Ma s, in fondo, aveva fatto Pappagone . Da stasera, al teatro Diana, Gullotta il protagonista de "Il piacere dell' onest". Incontro con la drammaturgia e pretesto robusto per parlare dell' Italia di oggi. La Repubblica della bugia e dell' ambiguit, se vista da Roma. Paese in cui, per distogliere l' attenzione da bassezze e conflitti di interesse, sono state sguinzagliate bande di cacciatori di scheletri, veri o presunti. Parliamo di una nazione in cui il mondo dello spettacolo, nel complesso, insultato dal suo ministro. Gullotta toglie via gli occhiali da vista. Fissa il mare. Oggi la politica ridotta a un affare che demonizza le intelligenze. Ha ragione Saviano quando dice libert di stampa deve significare non avere il terrore che fabbricheranno su di te un dossier falso. Anche l' opinione pubblica vogliono demolire. Il nostro premier dice: "Andr in televisionea parlare agli italiani"? Ma per parlare ha un luogo: il Parlamento. Per controlla sei reti: favorendo le sue e affossando le altre?. Non va meglio nello spettacolo. Se un ministro della Cultura insulta il mio lavoro, smarrito ogni freno. Noi saremmo accattoni e cicisbei? Cosa ne sa del mio mondo, della nostra fatica? E lui, che invece di tenersele in cassetto, dedica poesie al suo principale-presidente? Lui cos' ?. Dal caso Noemi alle escort, passando per l' incredibile sete di "spettacolo" di aspiranti veline, meteorine. Una volta, all' amante del potente di turno si regalava la profumeria o il negozietto. Oggi, pronto un posto nelle liste. O un calcio per entrare in un film. a quest' Italia che ci chiedono di fare il callo?. Eppure, Gullotta non mattatore snob, ma un interprete curioso e laico, passato dal grande cinema alla fiction, dal teatro del Novecento a un ventennio di Bagaglino, fino agli spot garbati (i "suoi" torroncini, puro stile Carosello). Da Loy al dramma del Vajont, fino al Tornatore di "Baara". Contano la cura, la professionalit. Non l' adesivo che ti hanno messo addosso le varie trib, anche quelle della critica. Certo: il Bagaglino. Potrei mai rinnegarlo? Stavamo l a provare otto ore al giorno. Una satira a suo modo, poteva piacere o non piacere, ma era un' idea. Da cui sono venuti fuori tanti cloni. Tuttavia, non di nostalgia la strada che si apre in fondo alle sue parole dure. Un' altra comunit esiste. Tanti continuano a scegliere, a valutare i fatti. Vado a parlare di Pirandello in licei e Universit. C' un Paese di giovani non adeguatamente raccontato: curiosi, di talento. Nella sua tourne estiva, "Minnazza", Gullotta citava Pippo Fava, giornalista ammazzato dalla mafia. Se non si disposti a lottare, a che serve essere vivi?.

Alle sette di stasera, presso l' Aula Magna dell' universit Ludwigs-Maximilian di Monaco, Roberto Saviano ricever il Geschwister-Scholl-Prize per un testo intitolato Il contrario della morte. Il riconoscimento - una sorta di Strega della letteratura civile - nato nell' 80 come simbolo della resistenza contro qualsiasi tipo di regime e per proteggere le parole di chi per quello che scrive minacciato da poteri forti e organizzazioni criminali. Mi si dice che con il premio dedicato ai fratelli Scholl ogni anno viene premiato un libro che ricorda il lascito spirituale di Hans e Sophie Scholl, due studenti universitari cristiani di Monaco che, poco pi che ventenni, si sono opposti al regime nazista e sono stati giustiziati, per il loro coraggio civile. Decapitati a Monaco dalla Gestapo: mi vengono i brividi. Mi si dice che il premio vuole promuovere la libert di pensiero, il senso di responsabilit politica, sociale e civile. Mi si dice che prima di me stata premiata, tra gli altri, Anna Politkovskaja. uno dei passaggi del discorso che Saviano pronuncer stasera. E ancora: Quello che pi mi ha colpito nella storia dei fratelli Scholl che loro nel potere della parola ci credevano immensamente. Loro ebbero fiducia nell' intellighenzia tedesca, credendo che si sarebbe opposta al Nazismo. Sophie, addirittura, non esit a esporsi pubblicamente per diffondere dei volantini che veicolavano un messaggio di protesta non-violenta, e quando, dopo l' arresto, furono interrogati, non persero la speranza e ancora confidarono nelle loro parole e nel potere intrinseco che esse avevano, assumendosene la piena responsabilit. In alcune parti d' Europa e del mondo quelle parole, quei volantini ancora condannerebbero a morte chi li scrive. In quei contesti, che non sono distanti o tanto diversi da quelli in cui viviamo noi, paradossalmente scrivere nonostante il pericolo finisce con il coincidere con la vita stessa. Qualcuno pensa che minacciare, intimidire porti a nascondere le parole. Ma questo spesso non accade... Ed proprio pensando a come loro hanno vissuto, a come sono morti e alle loro immense fragilit, che sento tanta pi riconoscenza verso chi non abbandona a se stesse le mie parole, proteggendole con questo riconoscimento pi di quanto non faccia una scorta armata. Chi muore per le proprie parole, muore perch quelle parole hanno difficolt ad arrivare alle orecchie, agli occhi e ai cuori di molti. questo che salva le parole pericolose e chi le scrive: l' attenzione delle persone, il lettore.

PRESIDENTE, RITIRI LA NORMA DEL PRIVILEGIO


Repubblica 07 dicembre 2009 pagina 17 sezione: POLITICA INTERNA SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei. Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce condiviso da tutti. Ma l' unico modo per accorciare i tempi mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare cos anche la speranza di chi da anni attende giustizia. Ritiri la legge sul processo breve. Non una questione di destra o sinistra. Non una questione politica. Non una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avr pi speranze di giustizia. - ROBERTO SAVIANO

Giuseppe Fava ucciso due volte prima dalla mafia poi dalle calunnie
Repubblica 26 novembre 2009 pagina 51 sezione: CULTURA Gli sparano cinque colpi alla testa. Tutti mirati alla nuca. Per ammazzarlo e per sfregiarlo. Chi nasce al Sud sa bene che non tutti i modi di ammazzare sono uguali. Alle mafie non basta eliminare. Nella modalit della morte siglata una precisa comunicazione. Giuseppe Fava, Pippo per chi lo conosceva, lo sfregiano sparandogli in testa quando si sta muovendo in una situazione che non c' entra nulla col suo lavoro. L' esecuzione di Pippo Fava gli uomini di Cosa Nostra la compiono il 5 gennaio 1984, mentre sta andando al Teatro Verga a prendere sua nipote che aveva appena recitato in Pensaci Giacomino!, l' inno pirandelliano al nostro eterno Stato incapace. Ma la morte di Pippo Fava non termina con quegli spari. Non si esaurisce con quel singolo atto di violenza. La si stava preparando da tempo e sarebbe continuata per molto tempo ancora. Nei giorni tra Natale e Capodanno, poco prima di essere ucciso, Giuseppe Fava riceve in dono dal cavaliere Gaetano Graci - uno dei proprietari del "Giornale del Sud", quotidiano che dirigeva prima di fondare "I Siciliani" e da cui era stato licenziato per, diciamo cos, divergenze nella linea editoriale - una quantit smisurata di ricotta e una cassa di bottiglie di champagne. Nella simbologia mafiosa questi due elementi sono molto chiari. Dicono: ti ridurremo in poltiglia e brinderemo sulla tua bara. Ma fare questo, brindare alla sua eliminazione fisica, non sufficiente. Pippo Fava sembra dar fastidio anche da morto. Si vuole evitare che diventi un simbolo. Comincia cos una vera e propria campagna di delegittimazione in cui si mescolano, con perizia, verit e menzogne. Non c' alcuna volont di indagare sugli assassini e questo lo si capisce subito, il giorno stesso del funerale, quando il sindaco di Catania, in totale spregio di ci che accaduto, dichiara che: "Catania una citt che non ha la mafia. La mafia a Palermo". L' odio che da allora in poi il territorio di Catania riversa sulla memoria di Giuseppe Fava paragonabile a un secondo omicidio. Poliziotti e politici, notabili e persone qualsiasi, tutti pronti a ripetere che non era un omicidio di mafia, tutti a insinuare la pista del delitto passionale. Tutti a dire "mann, ma quale eroe...". Tutti a insultarlo con la pi degradante delle balle: misero in giro la voce che fosse un puppo, cio un omosessuale pronto ad adescare ragazzini fuori dalle scuole. Voci che vogliono creare intorno un' aura di sospetto, allontanare il peso infamante del sangue versato. A difenderlo resta solo quella parte di Catania per cui l' impegno contro la mafia istinto di pancia pi che vanto ideologico. Negli anni successivi si battono le piste pi improbabili per cancellare la realt dei fatti. Furono indagati tutti i movimenti economici di Fava, i suoi conti correnti ridotti a poche lire dopo che per fondare "I Siciliani" aveva vendu to tuttii suoi averi nella convinzione che in Sicilia l' unico modo per fare informazione fosse possedere un proprio giornale. Il conto di Pippo Fava fu sezionato. Fu ordinata una delle prime inchieste favorite dalla legge La Torre, legge creata per indagare sui patrimoni di mafia, e invece, ironia della sorte, a essere inquisiti furono i conti correnti dei giornalisti de "I Siciliani". Soltanto dieci anni dopo, nel 1994, c' una svolta nelle indagini. Un pentito, Maurizio Avola, cominciaa parlaree si autaccusa dell' omicidio Fava. Racconta di aver fatto parte del gruppo di fuoco permettendo cos di riaprire il caso. Da quel momento in poi la magistratura catanese inizia a ricostruire le tracce di ci che era realmente accaduto. Dieci anni di accuse, di insulti, di sputi, a cui la famigliae gli amici hanno dovuto resistere senza segnali di solidariet e di speranza. Dieci anni in cuia infangare la sua memoria non era Cosa Nostra ma un territorio che non voleva saperne di vedere tracce di mafia nella propria imprenditoria. Un territorio dove chi invece a quel mondo dava un nome era come se mettesse le mani addosso alle anime e alle coscienze di ognuno. Meglio continuare a sfregiare la memoria di Pippo Fava con le pi banali insinuazioni. Meglio nasconderlo all' opinione pubblica nazionale, nascondere i suoi libri, il suo operato. Emerge che quando Nitto Santapaola decide che tempo di uccidere Fava, pronuncer semplici e inequivocabili parole di condanna: "Questo noi

dobbiamo farlo non tanto o non soltanto per noi. Lo dobbiamo ai cavalieri del lavoro perch se questo continua a parlare come parla e a scrivere come scrive, per i cavalieri del lavoro tutto finito. Per loro e per noi". Quindi prima minacce - Fava preoccupato e compra una pistola, dice che potrebbero ucciderlo per cinquecentomila lire -, poi l' omicidio e la diffamazione. E Pippo Fava sa benissimo che entrambe le cose non possono che andare insieme. Una condanna a morte non parte mai senza che si sappia come agire sulla memoria dell' assassinato. Prima della traiettoria delle pallottole, il percorso che dovr avere la delegittimazione gi tracciato. Per offuscare il peso politico che la sua morte avrebbe potuto avere, per istillare il dubbio sull' onest delle sue parole, la strategia delle calunnie era iniziata gi da tempo. E quelle voci le diffondevano non solo uomini vicini ai boss, ma, cosa pi grave, anche chi non era corrotto dal danaro della mafia: cronisti biliosi, politici ostili, persone rispettabili e rispettate che si sentivano messe sotto accusa da Giuseppe Fava, ancor pi dal momento in cui il suo sacrificio urlava al cielo il loro colpevole silenzio. 2009 Roberto Saviano Agenzia Santachiara e Bompiani Editore - ROBERTO SAVIANO

Napoli, cos uccidono i killer della camorra


Repubblica 30 ottobre 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA TUTTO normale. questo che sembra essere il tempo e il modo di questa esecuzione di camorra. Normalit. Tutto normale scavalcare un morto per terra, tutto normale vedere un uomo che viene sparato alla testa e non far nulla, nemmeno gridare, o chiamare qualcuno. tutto normale, non si corre, nessuno sente di dover far niente. La citt in guerrae si agisce come agiscono gli uomini in guerra ossia, strisciare, allontanarsi, non dare nell' occhio. SEGUE PORTA a casa la pelle, il resto vale zero. L' inferno c' ed esiste e sono quei cinque minuti ripresi da una telecamera installata a Napoli, in via Vergini, nel quartiere Sanit. Scienza non insolita a Napoli negli ultimi trent' anni. Non insolita per le persone che la vivono come un' eventualit, come assistere ad un litigio o ad un tamponamento. L' assassino, l' uomo che uccide, persona tecnicamente abile; molto probabilmente un uomo che ha gi ucciso. Vede il suo obiettivo, entra senza problemi nel bar, si fa un giro poi esce e spara tre colpi, secchi, ravvicinati, a pochi centimetri dal corpo. I primi colpi sono pi bassi, poi l' ultimo: il colpo di grazia. Ogni camorrista quando non uccide paga personalmente l' errore; paga per aver lasciato in vita un condannato che diviene poi testimone. Per questo, basta dare uno sguardo ai referti necroscopici degli ammazzati dalla camorra negli ultimi dieci anni: quasi tutti vengono sparati in faccia o alla nuca, per avere la certezza della morte. Esplosi i colpi, l' assassino va via con l' arma in mano, non la ripone perch sa bene che c' il rischio che qualcuno possa rispondere al suo fuoco, e deve essere pronto a reagire. Non l' ha ucciso arrivando in moto come si fa in genere, e come sarebbe stato pi comodo, questo forse denota che non un killer del quartiere, che in zona non l' avrebbero riconosciuto e quindi non doveva scappare e nascondere il viso. E difatti il suo obiettivo non lo identifica come un camorrista, non si accorge della sua presenza. Questo video rivela un realt quotidiana che per la prima volta viene chiaramente mostrata. Una prova che in maniera fin troppo chiara decostruisce completamente l' immaginario cinematografico dell' agguato. Non ci sono braccia tese a impugnare armi, non ci sono urla di minaccia, non c' nessuno che sbraita e si dispera mentre all' impazzata interi caricatori vengono riversati sulla vittima inerme. Niente di tutto questo. La morte fin troppo banale per essere credibile. L' esecuzione un gesto immediato, semplice, poco interessante, persino stupido. Ma la banalit della scena, quella assurda serenit che la circonda e che sembra ovattarla e relegarla al piano dell' irrealt, che mette in dubbio l' umanit dei presenti. Dopo aver visto queste immagini difficile trovare giustificazioni per chi ritiene certi argomenti diffamatori per Napoli e per il Sud. Chi user la cantilena che si esagera, che si parla sempre male di questa realt. Ci saranno ancora quelli che diranno queste cose? Mille trattati e cento sentenze non valgono la freddezza con cui le persone riprese in quel video

hanno osservato, davanti ai propri occhi, l' esecuzione a sangue freddo di un uomo. E' dietro l' angolo la solita accusa alla citt codarda, alla citt indifferente, come avvenne quando nella metropolitana di Montesanto la camorra, a sangue freddo, uccise l' innocente musicista rumeno Petru Birlandeanu. forse necessario spiegare cosa si prova in situazioni come queste? Credo di s. Nel mezzo di una sparatoria o davanti a un killer freddo e spietato, l' unico sentimento che provi paura. Ci che hai dentro la volont di non essere identificato da un eventuale palo, che sai esserci. Non vuoi essere identificato come chi si sta accorgendo dell' accaduto e potrebbe, in quanto testimone, denunciare. Le dinamiche della paura in terra di mafia hanno sintassi complesse che non possono essere liquidate banalmente ed etichettate come codardia. Non banale codardia ma qualcosa di peggio. Non si chiama la polizia altrimenti a te verrebbe chiesto cosa hai visto, cosa sai. Si tende a non prendersi altri guai. E' autodifesa e terribile certezza che ormai la citt in mano loro. A morire, poi, un uomo noto nel quartiere, non una brava persona e non uno sprovveduto, una persona che con molta probabilit girava con guardaspalle. Mariano Bacioterracino, svaligiatore di banche. Un crimine, questo, da sempre odioso a gran parte della criminalit organizzata campana, ma di cui l' enclave del quartiere Sanit, capeggiata da Giuseppe Misso, si serviva, invece, per accumulare denaro da reinvestire e che utilizzava persino come leva ideologica e sociale. In un quartiere estremamente popolare, dove meno di dieci giorni fa morto il piccolo Elvis, intossicato dal monossido di carbonio proveniente dal braciere con cui, per estrema povert, insieme a sua madre si riscaldava; in un quartiere dove i livelli di disagio sono altissimi, spacciarsi per moderni Robin Hood non impresa ardua. E le rapine le usavano anche in questa sorta di finta redistribuzione di ricchezze, in realt stipendi da dare ad affiliati. E i moventi: per ora due le piste. L' omicidio di Gennaro Moccia avvenuto nel lontano 1987e per cui Bacioterracino stato assolto in secondo grado, e un movente passionale: avrebbe forse corteggiato la donna sbagliata. In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a una vendetta messa in atto molti anni dopo, a riprova ancora una volta della longevit della memoria dei clan. Che non hanno perdonato Bacioterracino come sei anni fa, il 31 ottobre del 2003, non perdonarono Sebastiano Caterino, il boss del casertano che undici anni prima, nel 1992, aveva apertamente sfidato i casalesi di Francesco Schiavone Sandokan. Che non hanno perdonato l' innocente Domenico Noviello, l' imprenditore ucciso nel 2008 per aver denunciato nel 2001 le estorsioni subite dal clan dei casalesi, ucciso appena gli stata tolta la scorta. Che non hanno dimenticato Antonio Salzillo, l' ultimo erede di Antonio Bardellino ancora rimasto in vita, e per questo freddato a marzo del 2009. La camorra ha una memoria infallibile. Ma c' qualcosa, questa volta, che potrebbe sconvolgere un meccanismo rodato, che funziona da sempre. Questo video potrebbe per la prima volta, oggi, cambiare gli eventi che seguono un omicidio di camorra, un regolamento di conti in cui nessuno deve mettere bocca. Potrebbe servire non semplicementea mostrare una realt di strada, a informare e incuriosire i lettori del Nord che non sono abituati a scene del genere. Questo video potrebbe servire a rintracciare il killer e a far s che non sia pi il singolo, ma pi persone, un' intera comunit, un intero quartiere a identificare l' omicida e a decidere di denunciarlo. Non pi una sola persona, enormemente coraggiosa e terribilmente sola, ma una moltitudine che decida di esporsi e denunciare. Sarebbe importante non tanto per rendere giustizia all' ennesimo criminale ucciso, quanto piuttosto per rendere giustizia a una realt come quella napoletana che paga il prezzo pi alto per queste esecuzioni. Per ogni esecuzione di camorra, per ogni omicidio, Napoli perde dignit, credibilit, luce e serenit. E magari da questo video, pur nella sua atrocit, qualcosa di buono potr venire. In futuro - e mi rivolgo ai lettori del centro e nord Italia - quando leggerete di queste storie, quando leggerete delle esecuzioni, quando sentirete parlare di sparatorie, invece di pensare che si stia parlando di periferie distanti e di vicende sconosciute, ricordatevi di queste immagini in modo che le parole, i fiumi di parole che schiere di giornalisti quotidianamente scrivono su queste vicende possano trovare concretezza nel vostro sguardo, nello sguardo di chi legge, uno sguardo che pu chiedere di mantenere luce accesa su tutto questo. fondamentale comprendere che le organizzazioni criminali che in Campania, in Calabria e in Sicilia, negli ultimi trent' anni, hanno fatto pi di diecimila morti, non sono un problema del Paese, ma sono il problema del Paese. Che ogni attimo dedicato ad altre

vicende, ogni attimo che ci vede distratti da altre questioni, un attimo concesso alle mafie. Tirate le somme, questa vicenda ha una triste morale. Di fronte a queste immagini ti poni sempre la stessa domanda: quanto vale la vita di un uomo nella mia terra? E la risposta, tragicamente, la trovi in quelle persone che si allontanano dal cadavere con gesti quotidiani: la vita di un uomo nella mia terra non vale niente. Le denuncia del killer potrebbe essere l' unico modo di riscattare un' umanit ormai sempre pi a suo agio nella disumanit cui costretta e in cui sembra comodamente vivere. 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency RIPRODUZIONE RISERVATA - ROBERTO SAVIANO

COSA VUOL DIRE LIBERT DI STAMPA


Repubblica 02 ottobre 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA MOLTI si chiederanno come sia possibile che in Italia si manifesti per la libert di stampa. Da noi non compromessa come in Cina, a Cuba, in Birmania o in Iran. Ma oggi manifestare o alzare la propria voce in nome della libert di stampa, vuol dire altro. Libert di poter fare il proprio lavoro senza essere attaccati sul piano personale, senza un clima di minaccia. E persino senza che ogni opinione venga ridotta a semplice presa di parte, come fossimo in una guerra dove impossibile ragionare oltre una logica di schieramento. Oggi, chiunque decida di prendere una posizione sa che potr avere contro non un' opinione opposta, ma una campagna che mira al discredito totale di chi la esprime. E persino coloro che hanno firmato un appello per la libert di informazione devono mettere in conto che gi soltanto questo gesto potrebbe avere ripercussioni. Qualsiasi voce critica sa di potersi aspettare ritorsioni. Libert di stampa significa libert di non avere la vita distrutta, di non dover dare le dimissioni, di non veder da un giorno all' altro troncato un percorso professionale per un atto di parola, come accaduto a Dino Boffo. Vorrei parlare apertamente con chi, riconoscendosi nel centrodestra, dir: Ma che volete? Che cosa vi mettete a sbraitare adesso, quando siete stati voi per primi ad aver trascinato lo scontro politico sul terreno delle faccende private erigendovi a giudici morali? Di cosa vi lamentate se ora vi trovate ripagati con la stessa moneta?. Infatti la questione non morale. La responsabilit chiesta alle istituzioni non la stessa che deve avere chi scrive, pone domande, fa il suo mestiere. Non si fanno domande in nome della propria superiorit morale. Si fanno domande in nome del proprio lavoro e della possibilit di interrogare la democrazia. Un giornalista rappresenta se stesso, un ministro rappresenta la Repubblica. La democrazia funziona nel momento in cui i ruoli di entrambi sono rispettati. Per un giornalista, fare delle domande o formulare delle opinioni non altro che la sua funzione e il suo diritto. Ma un cittadino che svolge il suo lavoro non pu essere esposto al ricatto di vedere trascinata nel fango la propria vita privata. E una persona che pone delle domande, non pu essere tacitata e denunciata per averle poste. Non sulla scelta di come vive che un politico deve rispondere al proprio paese. Per quando si hanno dei ruoli istituzionali, si diventa ricattabili, ed su questo piano, sul piano delle garanzie per le azioni da compiere nel solo interesse dello Stato, che chi riveste una carica pubblica chiamato a rendere conto della propria vita. In questi anni ho avuto molta solidariet da persone di centrodestra. Oggi mi chiedo: ma davvero gli elettori di centrodestra possono volere tutto questo? Possono ritenere giusto non solo il rifiuto di rispondere a delle domande, ma l' incriminazione delle domande stesse? Possono sentirsi a proprio agio quando gli attacchi contro i loro avversari prendono le mosse da chi viene mandato a rovistare nella loro sfera privata? Possono non vedere come la lotta fra l' informazione e chi cerca di imbavagliarla, sia impari e scorretta anche sul piano dei rapporti di potere formale? Chi ha votato per l' attuale schieramento di governo considerandolo pi vicino ai propri interessi o alle proprie convinzioni, pu guardare con indifferenza o approvazione questa valanga che si abbatte sugli stessi meccanismi che rendono una democrazia funzionante? Non sente che si sta perdendo qualcosa? Il paese sta diventando cattivo. Il nemico

chi ti a fianco, chi riesce a realizzarsi: qualunque forma di piccola carriera, minimo successo, persino un lavoro stabile, crea invidia. E questo perch quelli che erano diritti sono stati ridotti quasi sempre a privilegi. di questo, di una realt cos priva di prospettive da generare un clima incarognito di conflittualit che dovremmo chiedere conto: non solo a chi governa ma a tutta la nostra classe politica. Per se qualsiasi voce che disturba la versione ufficiale per cui va tutto bene, non pu alzarsi che a proprio rischio e pericolo, che garanzie abbiamo di poter mai affrontare i problemi veri dell' Italia? Il ricatto cui sottoposto un politico sempre pericoloso perch il paese avrebbe bisogno di altro, di attenzione su altre questioni urgenti, di altri interventi. Il peggio della crisi per quel che riguarda i posti di lavoro deve ancora arrivare. In pi ci sono aspetti che rendono l' Italia da tempo anomala e pi fragile di altre nazioni occidentali democratiche, aspetti che con un simile aumento della poverte della disoccupazione divengono ancora pi rischiosi. Nel 2003 John Kerry, allora candidato alla Casa Bianca, present al Congresso americano un documento dal titolo The New War, dove indicava le tre mafie italiane come tre dei cinque elementi che condizionano il libero mercato quantificando in 110 miliardi di dollari all' anno la montagna di danaro che le mafie riciclano in Europa. L' Italia il secondo paese al mondo per uomini sotto protezione dopo la Colombia. il paese europeo che nei soli ultimi tre anni ha avuto circa duecento giornalisti intimiditie minacciati per i loro articoli. Molti di loro sono finiti sotto scorta. Ed proprio in nome della libert di informazione che il nostro Stato li protegge. Condivido il destino di queste persone in gran parte ignote o ignorate dall' opinione pubblica, vivendo la condizione di chi si trova fisicamente minacciato per ci che ha scritto. E condivido con loro l' esperienza di chi sa quanto siano pericolosi i meccanismi della diffamazione e del ricatto. Il capo del cartello di Cal, il narcos Rodriguez Orejuela, diceva sei alleato di una persona solo quando la ricatti. Un potere ricattabile e ricattatore, un potere che si serve dell' intimidazione, non pu rappresentare una democrazia fondata sullo stato di diritto. Conosco una tradizione di conservatori che non avrebbero mai accettato una simile deriva dalle regole. In questi anni per me difficili molti elettori di centrodestra, molti elettori conservatori, mi hanno scritto e dato solidariet. Ho visto nella mia terra l' alleanza di militanti di destra e di sinistra, uniti dal coraggio di voler combattere a viso aperto il potere dei clan. Sotto la bandiera della legalit e del diritto sentita profondamente come un valore condiviso e inalienabile. con in mente i volti di queste persone e di tante altre che mi hanno testimoniato di riconoscersi in uno Stato fondato su alcuni principi fondamentali, che vi chiedo di nuovo: davvero, voi elettori di centrodestra, volete tutto questo? Questa manifestazione non dovrebbe veramente avere colore politico, e anzi invito ad aderirvi tutti i giornalisti che non si considerano di sinistra ma credono che la libert di stampa oggi significa sapersi tutelati dal rischio di aggressione personale, condizione che dovrebbe essere garantita a tutti. Vorrei che ricordassimo sino in fondo qual il valore della libert di stampa. Vorrei che tutti coloro che scendono in piazza, lo facessero anche in nome di chi in Italia e nel mondo ha pagato con la vita stessa per ogni cosa che ha scritto e fatto a servizio di un' informazione libera. In nome di Christian Poveda, ucciso di recente in El Salvador per aver diretto un reportage sulle maras, le ferocissime gang centroamericane che fanno da cerniera del grande narcotraffico fra il Sud e il Nord del continente. In nome di Anna Politkovskaja e di Natalia Estemirova, ammazzate in Russia per le loro battaglie di verit sulla Cecenia, e di tutti i giornalisti che rischiano la vita in mondi meno liberi. Loro guardano alla libert di stampa dell' Occidente come un faro, un esempio, un sogno da conquistare. Facciamo in modo che in Italia quel sogno non sia sporcato. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency Riproduzione riservata Questo articolo sar pubblicato anche da El Pas, The Times, Le Figaro, Die Zeit, dallo svedese Expressen e dal portoghese Espresso. RIPRODUZIONE RISERVATA ROBERTO SAVIANO

Io, la mia scorta e il senso di solitudine

Repubblica 16 ottobre 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA LO VEDI, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo. Cos il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina. Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile. La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso. Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura forte. Non credo sia salutare spaccare in due o in pi parti un fronte che dovrebbe mostrarsi,e soprattutto sentirsi, coeso. Societ civile, forze dell' ordine, magistratura. Ognuno con i suoi ruoli e compiti. Ma uniti. Purtroppo riscontro che non cos. So bene che non lo Stato nel suo complesso, n le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario. Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni: all' arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi noi ci saremo sempre. Mi ha difeso l' Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ci che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori. Ma uno sgretolamento di questa compattezza malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne fatto portavoce. Ci che dico e scrivo il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce. Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando tanti lavorano nell' ombra senza riconoscimento mentre tu invece.... Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realt costrette solo alla cronaca locale. Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ci che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere. Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento. Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum "finalmente qualcuno che sputa su questo buffone". Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra. Non cercher mai i loro favori, n la loro approvazione. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalit una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali pi spietate. Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice: Si uccidono tra di loro, perch contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena. Perch cos permettiamo all' Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui. Come accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perch ho l' ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti. E serve l' attenzione per aggregare persone. Sar sempre fiero di avere questo genere di avversari. I pi disparati, uniti per dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com' successo gi troppe volte. Che chi "opera" sulle vicende legate alla criminalit organizzata e all' illegalit in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell' attenzione momentanea che sappia sempre un po' di folklore. E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent' anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani- esposti molto pi di mee che prima di me hanno detto verit ora alla portata di tutti - hanno

pagato con la vita la loro solitudine. E la volont di volerli ridurre, in vita, al silenzio. Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un' altra parte di Napoli e del Sud. Quella che in questi anni ha approfittato della notoriet di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze. Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive. Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole. Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c' poco da aspettarsi. Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono pi di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche. Facendo, loro s, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a s un consenso acquistato con biglietti da cento euro. stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l' attenzione sui fatti di camorra. stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimit della mia scorta. La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche. Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di "condanna a morte". Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste. Ho dovuto esibire le prove dell' inferno in cui vivo. Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce. Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito. Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle. Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla. Vomitando bile, opinioni qualcuno addirittura ha detto "c' una sentenza del Tribunale che si espressa contro la scorta". I tribunali non decidono delle scorte, perch tante bugie, idiozie, falsit? Addirittura i sondaggi online che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta. Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, l ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell' altro? Dal momento in cui mi stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano. Non in mio nome, ma nel nome proprio: per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali. Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale: la libert di parola. Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali. Lo Stato impone la difesa a magistrati perch possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumit fa una grande differenza. Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perch non pu permettere che le organizzazioni criminali facciano censura. In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di pi parlando della mia sicurezza, un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democraziaea tutte le persone che vivono la mia condizione. Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me crea consenso in molte parti Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera. Ma mi viene chiesta anche l' adesione a un "codice deontologico", come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole. Quali regole? Io non sono un poliziotto, n un carabiniere, n un magistrato. Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare. E non avr mai "bon ton" nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetter mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri. I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell' ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare. Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo: a ognuno il suo ruolo. La battaglia che porto avanti come scrittore un' altra. fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico. Continuare a vivere in una situazione cos difficile, ma diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ci che sino a ieri era un' alleanza importante, giusta e necessaria. So che

molto difficile vivere la realt campana, ma c' qualcuno che ci riesce con tranquillit. Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, n me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti. Qualcuno dice a Napoli che riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze. Buon per lui che ci sia riuscito. Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia. Un giorno ci riuscir lo giuro. 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency - ROBERTO SAVIANO

Il sangue dei ragazzi venuti dal Sud


Repubblica 18 settembre 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA VENGO da una terra di reduci e combattenti. E l' ennesima strage di soldati non l' accolgo con la sorpresa di chi, davanti a una notizia particolarmente dolorosa e grave, torna a includere una terra lontana come l' Afghanistan nella propria geografia mentale. Per me quel territorio ha sempre fatto parte della mia geografia, geografia di luoghi dove non c' pace. Gli italiani partiti per laggie quelli che restano in Sicilia, in Calabriao in Campania per me fanno in qualche modo parte di una mappa unica, diversa da quella che abbraccia pure Firenze, Torino o Bolzano. DEI ventun soldati italiani caduti in Afghanistan la parte maggiore sono meridionali. Meridionali arruolati nelle loro regioni d' origine, o trasferiti altrove o persino figli di meridionali emigrati. A chi in questi anni dal Nord Italia blaterava sul Sud come di un' appendice necrotizzata di cui liberarsi, oggi, nel silenzio che cade sulle citt d' origine di questi uomini dilaniati dai Taliban, trover quella risposta pesantissima che nessuna invocazione del valore nazionale stato in grado di dargli. Oggi siamo dinanzi all' ennesimo tributo di sangue che le regioni meridionali, le regioni pi povere d' Italia, versano all' intero paese. Indipendentemente da dove abitiamo, indipendente da come la pensiamo sulle missioni e sulla guerra, nel momento della tragedia non possiamo non considerare l' origine di questi soldati, la loro storia, porci la domanda perch a morire sono sempre o quasi sempre soldati del Sud. L' esercito oggi fatto in gran parte da questi ragazzi, ragazzi giovani, giovanissimi in molti casi. Anche stavolta cos. Non pu che essere cos. E a sgoccioli, coi loro nomi diramati dal ministro della Difesa ne arriva la conferma ufficiale. Antonio Fortunato, trentacinque anni, tenente, natoa Lagonegro in Basilicata. Roberto Valente, trentasette anni, sergente maggiore, di Napoli. Davide Ricchiuto, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato a Glarus in Svizzera, ma residente a Tiggiano, in provincia di Lecce. Giandomenico Pistonami, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato ad Orvieto, ma residente a Lubriano in provincia di Viterbo. Massimiliano Randino, trentadue anni, caporalmaggiore, di Pagani, provincia di Salerno. Matteo Mureddu, ventisei anni, caporalmaggiore, di Solarussa, un paesino in provincia di Oristano, figlio di un allevatore di pecore. Due giorni fa Roberto Valente stava ancoraa casa sua vicino allo stadio San Paolo,a Piedigrotta, a godersi le ultime ore di licenza con sua moglie e il suo bambino, come pure Massimiliano Radino, sposato da cinque anni, non ancora padre. Erano appena sbarcati a Kabul, appena saliti sulle auto blindate, quei grossi gipponi "Lince" che hanno fama di essere fra i pi sicuri e resistenti, per non reggono alla combinazione di chi dispone di tanto danaro per imbottire un' auto di 150 chili di tritolo e di tanti uomini disposti a farsi esplodere. Andando addosso a un convoglio, aprendo un cratere lunare profondo un metro nella strada, sventrando case, macchine, accartocciando biciclette, uccidendo quindici civili afgani, ferendone un numero non ancora precisato di altri, una sessantina almeno, bambini e donne inclusi. E dilaniando, bruciando vivi, cuocendo nel loro involucro di metallo inutilmente rafforzato i nostri sei paracadutisti, due dei quali appena arrivati. Partiti dalla mia terra, sbarcati, sventrati sulla strada dell' aeroporto di Kabul, all' altezza di una rotonda intitolata alla memoria del comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjshir, il grande nemico dell' ultimo esercito che prov ad occupare quell' impervia terra di montagne, sopravvissuto

alla guerra sovietica, ma assassinato dai Taliban. Niente pu dirla meglio, la strana geografia dei territori di guerra in cui oggi ci siamo svegliati tutti per la deflagrazione di un' autobomba pi potente delle altre, ma che giorno dopo giorno, quando non ce ne accorgiamo, continua a disegnarei suoi confini incerti, mobili, slabbrati. Non solo la scia di sangue che unisce la mia terra a un luogo che dalle mie parti si sente nominare storpiato in Affanstan, Afgrnistan, Afg. E' anche altro. Quell' altro che era arrivato prima che dai paesini della Campania partissero i soldati: l' afgano, l' hashish migliore in assoluto che qui passava in lingotti e riempiva i garage ed stato per anni il vero richiamo che attirava chiunque nelle piazze di spaccio locali. L' hashish e prima ancora l' eroina e oggi di nuovo l' eroina afgana. Quella che permette ai Taliban di abbondare con l' esplosivo da lanciare contro ai nostri soldati coi loro detonatori umani. E' anche questo che rende simili queste terre, che fa sembrare l' Afganistan una provincia dell' Italia meridionale. Qui come l i signori della guerra sono forti perch sono signori di altro, delle cose, della droga, del mercato che non conosce n confini n conflitti. Delle armi, del potere, delle vite che con quel che ne ricavano, riescono a comprare. L' eroina che gestiscono i Taliban praticamente il 90% dell' eroina che si consuma nel mondo. I ragazzi che partono spesso da realt devastate dai cartelli criminali hanno trovato la morte per mano di chi con quei cartelli criminali ci fa affari. L' eroina afgana inonda il mondo e finanzia la guerra dei Taliban. Questa una delle verit che meno vengono dette in Italia. Le merci partono e arrivano, gli uomini invece partono sempre senza garanzia di tornare. Quegli uomini, quei ragazzi possono essere nati nella Svizzera tedesca o trasferiti in Toscana, ma il loro baricentro rimane al paese di cui sono originari. a partire da quei paesini che matura la decisione di andarsene, di arruolarsi, di partire volontari. Per sfuggire alla noia delle serate sempre uguali, sempre le stesse facce, sempre lo stesso bar di cui conosci persino la seduta delle sedie usurate. Per avere uno stipendio decente con cui mettere su famiglia, sostenere un mutuo per la casa, pagarsi un matrimonio come si deve, come aveva gi organizzato prima di essere dilaniato in un convoglio simile a quello odierno, Vincenzo Cardella, di San Prisco, pugile dilettante alla stessa palestra di Marcianise che ha appena ricevuto il titolo mondiale dei pesi leggeri grazie a Mirko Valentino. Anche lui uno dei ragazzi della mia terra arruolati: nella polizia, non nell' esercito. Arruolarsi, anche, per non dover partire verso il Nord, alla ricerca di un lavoro forse meno stabile, dove sono meno certe le licenze e quindi i ritorni a casa, dove la solitudine maggiore che fra i compagni, ragazzi dello stesso paese, della stessa regione, della stessa parte d' Italia. E poi anche per il rifiuto di finire nell' altro esercito, quello della camorra e delle altre organizzazioni criminali, quello che si gonfia e si ingrossa dei ragazzi che non vogliono finire lontani. E sembra strano, ma per questi ragazzi morti oggi come per molti di quelli caduti negli anni precedenti, fare il soldato sembra una decisione dettata al tempo stesso da un buon senso che rasenta la saggezza perch comunque il calcolo fra rischi e benefici sembra vantaggioso, e dalla voglia di misurarsi, di dimostrare il proprio valore e il proprio coraggio. Di dimostrare, loro cresciuti fra la noia e la guerra che passa o pu passare davanti al loro bar abituale fra le strade dei loro paesini addormentati, che "un' altra guerra possibile". Che combattere con una divisa per una guerra lontana pu avere molta pi dignit che lamentarsi della disoccupazione quasi fosse una sventura naturale e del mondo che non gira come dovrebbe, come di una condizione immutabile. Sapendo che i molti italiani che li chiameranno invasori e assassini, ma pure gli altri che li chiameranno eroi, non hanno entrambi idea di che cosa significhi davvero fare il mestiere del soldato. E sapendo pure che, se entrambi non ne hanno idea e non avrebbero mai potuto intraprendere la stessa strada, perch qualcuno gliene ne ha regalate di molto pi comode, certo non al rischio di finire sventrati da un' autobomba. Infatti loro, le destinazioni per cui partono, non le chiamano "missione di pace". Forse non lo sanno sino in fondo che nelle caserme dell' Afghanistan possono trovare la stessa noia o la stessa morte che a casa. Ma scelgono di arruolarsi nell' esercito che porta la bandiera di uno Stato, in una forza che non dispone della vita e della morte grazie al denaro dei signori della guerra e della droga. Per questo, mi augurerei che anche chi odia la guerra e ritiene ipocrita la sua ridefinizione in "missione di pace", possa fermarsi un attimo a ricordare questi ragazzi. A provare non solo dolore per degli uomini strappati alla vita in modo atroce, ma commemorarli come sarebbe piaciuto a loro. A onorarli come

soldati e come uomini morti per il loro lavoro. Quando arrivata la notizia dell' attentato, un amico pugliese mi ha chiamato immediatamente e mi ha detto: Tutti i ragazzi morti sono nostri. Sono nostri come per dire sono delle nostre zone. Come per Nassiriya, come per il Libano ora anche per Kabul. E che siano nostri lo dimostriamo non nella retorica delle condoglianze ma raccontando cosa significa nascere in certe terre, cosa significa partire per una missione militare, e che le loro morti non portino una sorta di pietra tombale sulla voglia di cambiare le cose. Come se sui loro cadaveri possa celebrarsi una presunta pacificazione nazionale nata dal cordoglio. No, al contrario, dobbiamo continuare a porre e porci domande, a capire perch si parte per la guerra, perch il paese decide di subire sempre tutto come se fosse indifferente a ogni dolore, assuefatto ad ogni tragedia. Queste morti ci chiedono perch tutto in Italia sempre valutato con cinismo, sospetto, indifferenza, e persino decine e decine di morti non svegliano nessun tipo di reazione, ma solo ancora una volta apatia, sofferenza passiva, tristezza inattiva, il solito sempre andata cos. Questi uomini del Sud, questi soldati caduti urlano alle coscienze, se ancora ne abbiamo, che le cose in questo paese non vanno bene, dicono che non va pi bene che ci si accorga del Sud e di cosa vive una parte del paese solo quando paga un alto tributo di sangue come hanno fatto oggi questi sei soldati. Perch a Sud si in guerra. Sempre. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency RIPRODUZIONE RISERVATA - ROBERTO SAVIANO

In quei pugni alzati al cielo il riscatto dei ragazzi del Sud


Repubblica 13 settembre 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA ASSAGO (Milano) QUI al forum di Assago tutto il chiasso della politica e degli scandali sembra star lontano. Qui sembra essere un' altra dimensione. Qui ci sono i campionati del mondo di boxe. E ora siamo Campioni del mondo. SEGUE DUE pugili, uno di Marcianise, l' altro di Cinisello Balsamo (ma di genitori lucani) sembrano aver risollevato con le loro mani la dignit e l' onore di un paese. Nello spazio del ring, in uno stadio semivuoto di periferia, Domenico Valentino e Roberto Cammarelle, campioni del mondo peso leggero il primo e supermassimo il secondo, hanno mostrato che disciplina, lavoro, impegnoe una ossessiva passione possono portare ai massimi traguardi. Anni passati a modellare il sacco, a guardarti allo specchio, a disciplinare te stesso, Sono anni che non vedo mai la notte, vado a dormire di sera, alle 22 al massimo, dice il campione del mondo Domenico Valentino, il re di Marcianise, il pi forte peso leggero in circolazione in questo momento. Il pi elegante e dinamico che abbia mai visto in vita mia. Veloce, tecnico, non d tregua all' avversario. La sua strategia semplice: Tocca e fuggi, tocca e fuggi. Per campare anni fa faceva il parrucchiere per donne poi ha iniziato ad allenarsi a Marcianise, capitale della boxe dilettanti, e ha scoperto di essere un pugile. Marcianise, poco pi di quarantamila abitanti, una delle capitali mondiali del pugilato, senza dubbio la capitale italiana. Ci sono tre palestre gratuite dove i ragazzi di tutto il Casertano vanno a tirare al sacco. Domenico Valentino cresciuto nella palestra Medaglie d' oro, allenato da Raffaele Munno. Domenico, ma tutti lo chiamano Mirko. il nome che la madre aveva scelto, solo che per rispetto verso il suocero gli ha poi messo il nome del nonno. Ma dopo aver pagato il debito all' anagrafe, l' ha subito chiamato Mirko. E Marcianise da sempre il vivaio storico dei pugili in Italia. Tutto ha origine dalla guerra. Dall' ultima guerra. Qui gli americani stanziati in Campania chiamavano come sparring partner i carpentieri e bufalari della zona, che si misuravano con i marines per un paio di dollari. E dopo esser riusciti a batterne parecchi, continuarono a combattere e misero su palestre e cominciarono a insegnare ai ragazzi del posto. Valentino poliziotto, come Roberto Cammarelle e come la maggior parte degli atleti

italiani, come la maggior parte dei giovani che si dedicano a sport per cui sempre pi difficile trovare sponsor. Invece la Polizia li arruola e ci crede. Senza le Fiamme Oro non esisterebbe il pugilato dilettantistico. Quindi non esisterebbe pi la boxe in Italia. Domenico Valentino in finale si scontrato contro il pugile portoricano Pedraza che ha iniziato il combattimento chiuso come una persiana blindata. La sua guardia quasi gli impediva di guardare dinanzi a s. Il primo round si chiuso 1-1, la seconda ripresa invece si aperta inaspettata perch Pedraza riuscito a mettere a segno due punti colpendo il marcianisano; ma Mirko Valentino neanche se n' accorto e ha cominciato a lavorare di gambe lanciando saette precise e schivando, spesso abbassandosi sulle ginocchia, i colpi del caraibico. Valentino ha portato 20 colpi e l' altro uno solo, il match rimasto in bilico fino al 6-4, poi Mirko ha piazzato due destri ed stata medaglia d' oro. Roberto Cammarelle era carico come mai nella sua vita. Persino pi che alle Olimpiadi. Quando sale sul ring questo gigante di cento chili per un metro e novanta, tutto intorno sembra minuscolo. Tutti lo danno gi per vincitore: un oro olimpico, due trionfi mondiali, due bronzi e due argenti europei. Il supermassimo di Cinisello l' idolo di Assago. Contro l' ucraino Kapitonenko che sembrava assai pi forte di quanto le voci lo raccontavano. Cammarelle al primo round in difficolt trovando di fronte un avversario veloce, ma poi, come sempre, trova la chiave giusta e gi al secondo round sono sul 6-4, e con un gancio destroe un diretto sinistro manda quasi gi l' ucraino. Nel terzo round Cammarelle ha dimostrato tutta la disciplina che contraddistingue la sua tecnica: non ha umiliato Kapitonenko che per i colpi subiti evidentemente aveva dei giramenti di testa.E cos l' oro atteso arrivato. E sono l sugli spalti moltissimi immigrati del sud. Cammarelle di Cinisello Balsamo, ma il suo sangue di Rionero in Vulture, cittadella lucana che da sempre subisce l' emorragia dell' emigrazione. La terra di Giustino Fortunato, uno dei pi illuminati pensatori meridionalisti della storia. Da l vengono quelli che stanno ai lati del ringa spronarlo. Solo loro ad essercie noni colleghi atleti. Solo loro: i marcianisani arrivati con un pulmann, i moltissimi di Cinisello e i lucani di mezza Lombardia. Gli altri atleti italiani non hanno assistito alle finali. E Cammarelle e Valentino soffrono per questo. Valentino dice: Non ci posso credere, eravamo una famiglia e ora? Cos' ? Invidia, cattiveria? Perch ci hanno lasciati soli gli altri atleti?. In questa fase talmente complicata per l' immagine dell' Italia lo sport sembra tracciare una strada. E lo fa la boxe, perch non c' impresa migliore di quella realizzata con le proprie mani. E i pugili concordano con questa frase di Omero. La boxe rabbia disciplinata, forza strutturata, sudore organizzato, sfida di testa e muscoli. Sul ring o fai di tutto per restare in piedi oppure dai fondo alle tue energie e metti in conto di andare gi. In ogni caso combatti, uno contro uno. Non ci sono altre possibilit e nessun' altra mediazione. Ogni volta che entri in una palestra di pugilato ti alleni e comprendi che tutta una pratica incentrata sul renderti insensibile al dolore. ll pugilato rimane l' ultimo sport epico perch si fonda su regole della carne che pongono l' uomo di fronte alle sue possibilit. Anche l' ultimo della terra con le sue mani, la sua rabbia, la sua velocit pu dimostrare il proprio valore. Il combattimento diviene un confronto con questioni ultime che la vita contemporanea ha reso quasi impossibile. Solo sul ring capisci chi sei e quanto vali veramente. Quando combatti non conta il diritto, non conta la morale, non conta nulla se non le tue mani, i tuoi occhi, le tue gambe. Non puoi mentire, nel contatto fisico. Non puoi chiedere aiuto. Se lo fai, accetti la sconfitta. E' tutto l con te e non hai altro che te. E l sul ring pu accadere davvero di tutto. Forza disciplinata dalla ragione, forza che si piega alla ferrea volont. Vedere Mirko combattere, dopo la sfortuna degli ultimi anni, stata un' emozione fortissima. Gli capitato di tutto, compreso arrivare secondo ai mondiali di Chicago perch combatteva con una mano rotta. Alle Olimpiadi ha perso la concentrazionee un cubano assai meno bravo di lui l' ha battuto. Ma lui sapeva di valere. Claudio De Camilliis capo del settore Fiamme Oro ci punta da anni: E' il migliore che abbiamo. E ora il mondo l' ha capito!. Domenico Valentino ha una regola fondamentale, il profondo rispetto per lo sfidante. Dal suo angolo non sentirai mai frasi tipo ammazzalo, uccidilo. Mai. Si batte l' avversario. Punto. E' da sempre amico della nazionale uzbeka, per tempo fa mi disse: Non amo i turchi perch quando vincono ti prendono in giro, ti sventolano la bandiera sotto il naso. Per il resto: tutti fratelli combattenti. I pugili che hanno combattuto in questo mondiale sono portoricani, russi, ucraini, kazaki, uzbeki,

bielorussi, cubani. I nuovi combattenti affamati. I gladiatori che non hanno belle facce e non riescono neanche ad allenarsi in belle palestre. Vengono dalle periferie russe, sono tedeschi dal cognome turco, cubani magri e nervosi. Qui lo sport non ha zeri milionari. Chi vince la cintura di campione mondiale guadagna trentamila euro. Ci si allena in palestre fatte pi per addestrare che per pugilare e basta. Ma questa la forza di una disciplina in cui ormai, almeno in Italia, gli sponsor non investono pi. E' questa la forza di uno sport che nel sud Italia non attira l' attenzione delle mafie perch nel giro non circolano pi molti soldi. E poi, le regole del pugilato sono incompatibili con quelle dei clan. Uno contro uno, faccia a faccia. La fatica dell' allenamento, il rispetto della sconfitta. La lenta costruzione della vittoria. Non l' esito di un incontro a stabilire chi veramente pi forte. Pi che la vittoria, conta l' assenza di senso che occorre sostenere per potervi salire e starci, su quel ring. Conta il saperci stare dentro quella vita. Agonismo e agonia. Un incontro memorabile stato quello contro Marcel Schinske a Helsinki nel 2007. Il pugile tedesco tent una strategia d' attacco ma sbagli tutto e si scopr, errore fatale se combatti con un pugile veloce che si chiama Valentino. Infatti Mirko gli infil subito un diretto al mento cos forte che Schinske non solo anda tappeto immediatamente, ma cadde rigido, le braccia bloccate ancora in guardia, gli occhi rivoltati all' ins. Domenico Valentino non dimenticher mai pi quel diretto. Ho sentito come una scarica elettrica in tutto il braccio. Mai avevo sentito una cosa cos. come se tutto il suo dolore mi fosse entrato dentro. Mi sono spaventato perch dopo essere andato Ko ha iniziato anche a scalciare come un epilettico. Pensava di averlo ucciso e cos inizi a piangere disperato. Ha singhiozzato per quaranta minuti, solo quando si assicurato che stava bene s' calmato. Pu sembrare incredibile ma cos: salire sul ring per buttare gi un avversario e una volta buttatolo gi preoccuparsi che non si sia fatto troppo male, che possa continuarea essere uomo e pugile. Il pugilato, con le sue palestre spoglie, spartane, in grado di restituire alla parola onore il suo significato originario. Di riscattare questa parola, sequestrata dalle mafie. Considerata ormai impronunciabilee che invece fa riferimento a qualcosa che ti porti dentro e che segui al di l delle dinamiche del calcolo dei costi e dei benefici. Agisci perch giusto. E comprendi che l' onore qualcosa che esiste dentro di te, al di l delle leggi, della educazione e della reputazione che hai. E sono stato contento di essere testimone delle lacrime di Domenico Valentino, campione del mondo che si giocato tutto per questo trofeo. Ha rinunciato a tutto per ottenere ci che per lui contava pi di tutto: dimostrare cosa significa essere un pugile, un uomo, e un uomo del sud. E' facile comprendere che questi due giovani uomini, Valentino e Cammarelle, sanno cosa significa l' onore. Pochi giornalisti qui. I pugili di questa sera non erano divi da reality, non sfilavano, e quindi non attraevano. C' erano molti muratori ucraini, molti operai russi, migranti venuti a tifare dagli spalti per i pugili. Ma lo stadio non era pieno. Ma da questi ragazzi ci sarebbe molto da imparare. La loro forza e la loro resistenza dicono molto pi di cento comizi. E dal forum di Assago, mentre si diffonde l' odore acre del sudore inzuppato nei calzettoni, mi viene in mente che gli incontri li vince sempre chi ha voglia di riscatto, chi ha voglia di migliorare se stesso e il mondo in cui vive. Vince chi sente forte, pi di qualsiasi altra cosa, l' esigenza di dimostrare a se stesso e agli altri che tutto pu cambiare. - ROBERTO SAVIANO

Ma attenti a non favorire Provenzano e la sua cosca


Repubblica 16 novembre 2002 pagina 8 sezione: POLITICA INTERNA ROMA - Dottor Antonino Di Matteo, lei segue per la Procura di Palermo molte indagini sul clan Provenzano. Che effetti avrebbe, sulla lotta alla mafia, l' indulto di 3 anni di cui si parla in questi giorni? Se l' indulto fosse generalizzato, senza escludere i delitti legati alla mafia, comporterebbe

oggettivi, importanti e immediati vantaggi per Cosa nostra. Specialmente per quei colletti bianchi, imprenditori corruttori e finanzieri riciclatori di denaro sporco, che sono il vero punto di forza di Cosa nostra nell' ra Provenzano. Personaggi condannati non all' ergastolo, ma a pene molto pi basse, dai 6 ai 10 anni in media, "solo" per associazione mafiosa e per reati connessi alla gestione mafiosa degli appalti. Essendo quasi tutti in carcere da tempo, tornerebbero in libert con 3 anni d' anticipo: cio subito o quasi subito. E questo sarebbe un enorme regalo al gruppo degli uomini pi fidati di Provenzano. Un favore alla mafia vincente, pi che a quella dei Riina e Bagarella? Un grosso favore alla mafia degli affari. Quella dei Riina e dei Bagarella, invece, in larga parte sommersa da ergastoli per omicidi e stragi, e nutre aspettative diverse dall' indulto di 3 anni. Si calcola che l' indulto libererebbe un quinto dei detenuti: oltre 10 mila. Quanti sarebbero i mafiosi? Tanti, anche se al momento non sappiamo con precisione quanti. E' un regalo che Cosa nostra invoca da tempo, da quanto ci risulta da importanti acquisizioni investigative. Comprese le confidenze che Luigi Ilardo - un grosso capomafia nisseno cugino di Piddu Madonia e tanto vicino a Provenzano da consentire agl' inquirenti di sfiorarne la cattura - fece al colonnello del Ros Michele Riccio tra il 1994 e il ' 96. Dichiarazioni che gi pi giudici hanno ritenuto veritiere. Che cosa rivel Ilardo? Che Bernardo Provenzano aveva convinto i suoi uomini pi fidati ad adottare, subito dopo la stagione delle stragi, la nuova strategia del basso profilo e della sommersione, promettendo in cambio una serie di benefici per l' organizzazione mafiosa da parte dello Stato. A cominciare proprio da un indulto di 3 anni. Cosa nostra non chiede soprattutto la fine del 41-bis? Ho l' impressione che il 41-bis non sia il primo e il solo problema per la mafia. Cosa nostra auspica ben altri obiettivi. Penso ad alcune norme contenute nella legge Cirami e nel progetto Pittelli o in quello sulle intercettazioni, che paralizzano o paralizzerebbero i processi, rendendo ancor pi ardua e improbabile la ricostruzione giudiziaria dei delitti di mafia. E penso anche al meccanismo della proposta Saponara, che consentirebbe addirittura la revisione delle condanne definitive in nome del "giusto processo". Compresi gli ergastoli per le stragi. Come impedire che Cosa nostra si giovi dell' indulto? Prevedendo una clausola che escluda dall' indulto le condanne direttamente o indirettamente collegate a fatti di mafia. C' un rapporto fra il proclama estivo di Leoluca Bagarella e quest' ondata di indulgenze plenarie? Non lo so. Ma se eventualmente ci fosse, potrebbe essere un fatto di rilevanza penale. Materia non di intervista. Ma di indagine. MARCO TRAVAGLIO

Il Cavaliere: S, Mangano era un eroe


Repubblica 10 aprile 2008 pagina 4 sezione: POLITICA INTERNA ROMA - Come gi nel 2001, anche questa campagna elettorale si chiude all' insegna del fattore Mangano. Nel senso di Vittorio Mangano, gi soprastante nella villa di Arcore dal 1974 al '76, morto in carcere nel 2000. Stavolta a riesumarlo dal riposo eterno l' amico Marcello Dell' Utri, che lo chiama eroe perch non parl mai di lui n di Silvio. E Berlusconi ieri, a stretto giro di posta, si associa alla causa di beatificazione: Dice bene Dell' Utri: quando Mangano era in carcere malato, i pm gli dicevano che, se avesse detto qualcosa su di me, sarebbe andato a casa. Ma lui eroicamente non invent mai nulla su di me. Quando era da noi si comport benissimo, ma poi ebbe delle disavventure che l' hanno portato nelle mani di un' organizzazione criminale. Ma non mi risulta che ci siano sentenze definitive nei suoi confronti. Purtroppo le sentenze risultano eccome. Arrestato nel 1980, Mangano viene condannato definitivamente per associazione a delinquere con Cosa Nostra nel processo Spatola, poi per traffico di droga nel maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino: totale 13 anni definitivi, di cui 11 scontati in carcere. Ma vero, almeno, che Mangano si comport bene finch rest ad Arcore, salvo poi finire in preda alle cattive compagnie? Le sentenze raccontano tutt' altra storia. Nel 1974, quando viene ingaggiato da Dell' Utri, il fattore

gi vanta un bel pedigree criminale: pupillo del boss Stefano Bontade, ha collezionato a soli 33 anni una sfilza di denunce, condanne e 5 arresti per assegni a vuoto, truffa, lesioni, ricettazione, estorsione, rapporti con narcotrafficanti e mafiosi. Borsellino ricorder in una famosa intervista che era stato promosso a testa di ponte della mafia al Nord per la droga e il riciclaggio, ed era pure specializzato in estorsioni alle cliniche: chi non pagava il pizzo riceveva a casa una testa di cane mozzata. Per la questura di Palermo, Mangano gi allora un soggetto pericoloso. Ma non per Dell' Utri, che lo porta in casa Berlusconi con moglie, figlie e suocera. L' assunzione, secondo il Tribunale di Palermo, che nel 2004 ha condannato Dell' Utri a 9 anni per concorso esterno in mafia, avvenne nella sede Edilnord di Foro Buonaparte, presenti Berlusconi, Dell' Utri, i capimafia Bontate, Teresi e Di Carlo (il quale, forse poco eroicamente, ha raccontato tutto ai giudici). Sapeva Dell' Utri chi era Mangano? In un rapporto dei carabinieri di Arcore del 30 dicembre 1974 si legge: Dell' Utri ha chiamato il Mangano pur essendo perfettamente a conoscenza - risultato dalle informazioni giunte dal nucleo di Palermo - del suo poco corretto passato. Ad Arcore, pi che dei cavalli (mai visti), il fattore si occupa soprattutto del futuro Cavaliere: scorta lui, la moglie e i figli ovunque. Pi che uno stalliere, un guardaspalle. Pranza e cena al tavolo del padrone. Io e Berlusconi eravamo come parenti, dir nel 2000 al processo Dell' Utri. Ma la sera dell' 8 dicembre '74, dopo una cena con Berlusconi, Dell' Utri, Confalonieri e Mangano, l' ospite d' onore, Luigi D' Angerio, viene sequestrato fuori la villa. I carabinieri sospettano Mangano e avvertono Berlusconi. Il quale racconter: Lo licenziammo appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite. Memoria corta: Mangano resta ad Arcore fino al 1976. E Silvio non fa una piega nemmeno quando, per ben due volte, i carabinieri vengono ad arrestarlo perch sconti due condanne definitive: espiata la pena, Vittorio viene regolarmente riaccolto a casa Berlusconi, come il figliol prodigo. Se ne andr lui spontaneamente nell' ottobre '76, dopo l' articolo di un giornale locale che lo riguardava. Ma senza mai rompere i rapporti con Dell' Utri. Un mese dopo, i due partecipano alla cena di compleanno, a Milano, del boss Nino Calderone. Nel 1980 la polizia intercetta Mangano al telefono con Marcello, mentre gli propone un affare per il tuo cavallo. In altre telefonate coeve, ricorder Borsellino, Mangano chiamava cavalli le partite di droga. Ma Dell' Utri giura che il cavallo esisteva davvero e aveva quattro zampe. Un mese dopo, Mangano finisce dentro per mafia e droga. Il che non impedisce al Cavaliere di sospettarlo per la bomba esplosa nell' 86 nella sua casa milanese di via Rovani. Quando esce, nel 1991, Riina lo premia per il suo eroico silenzio promuovendolo reggente del mandamento di Porta Nuova (la famiglia di Pippo Cal). Cos il nostro eroe condivide tutta la strategia stragista del 1992-' 93. E nel novembre' 93, dopo l' arresto di Riina e le bombe dell' estate, mentre Dell' Utri e Berlusconi creano Forza Italia, si reca due volte a Milano nella sede di Publitalia per incontrare l' amico Marcello: risulta dalle agende dello stesso Dell' Utri (2.11.93: Mangano Vittorio sar a Milano per parlare problema personale; Mangano verso il 30-11). Secondo vari pentiti, tra cui Nino Giuffr, ex braccio destro di Provenzano, Mangano faceva la spola tra Palermo e Milano per seguire la nascita del nuovo partito per conto dei nuovi capo di Cosa Nostra. Poi, nel 1999, finisce di nuovo in carcere, stavolta per tre omicidi, e condannato in primo grado a due ergastoli poco prima di morire. MARCO TRAVAGLIO

Cosa Nostra torna un' opinione si dovr sempre ripartire da zero


Repubblica 14 agosto 2002 pagina 8 sezione: POLITICA INTERNA ROMA - Non c' solo l' avviso di garanzia-lampo e la norma sulle ricusazioni, a preoccuparci. Nel testo Pittelli-Anedda c' ben di peggio: una miriade di ritocchi che renderanno pi difficili e pi

lunghi i processi. Antonio Patrono, presidente uscente dell' Anm, esponente dei moderati di Magistratura Indipendente, lavora alla Procura nazionale antimafia. Ed ha appena consegnato al suo capo, Piero Luigi Vigna, un rapporto sugli effetti pi devastanti della riforma. Quale norma la preoccupa di pi per la lotta alla mafia? Quella che abolisce l' articolo 238 bis del Codice di procedura penale, vietando al giudice di usare le sentenze definitive. Oggi, se processo un boss mafioso siciliano, non devo dimostrare che in Sicilia esiste la mafia, che si chiama Cosa nostra, che retta da una Cupola eccetera. Deposito le sentenze definitive che sposano il cosiddetto teorema Buscetta e si parte di l. Con questa riforma, invece, prima di condannare per mafia chicchessia, si rischia di dovere ogni volta ricominciare da capo. E dimostrare che esiste la mafia . Altri regali ai mafiosi? Beh, c' una norma che rende molto pi difficile la custodia cautelare in carcere, modificando l' articolo 275. Oggi per i reati di mafia non necessario, come per gli altri, dimostrare il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di ripetizione del reato. E questo proprio per le specifiche capacit di camuffamento dei mafiosi. In futuro, anche i reati di mafia saranno equiparati agli altri: nessuna corsia preferenziale per gli arresti. Come se la mafia non fosse pi un' emergenza specifica . Problemi anche per i dibattimenti? Gravi, direi. Soprattutto per la riforma dell' articolo 192: impedir che la parola di uno o pi coimputati confermi quella di altri in mancanza di "riscontri di diversa natura". Il che vale per la mafia come per qualunque delitto "comune". Prendiamo dieci rapinatori reduci da un colpo in banca. Nove confessano e fanno arrestare il decimo complice, confermando tutti che questo era con loro. Con la riforma Pittelli, se non si trovano riscontri "esterni" alle accuse dei nove, il decimo viene assolto. A meno che non sia cos stupido da confessare. Per essere condannati, bisogner volerlo fortissimamente... . Salva qualche cosa, dei quarantacinque articoli targati Pittelli-Anedda? Uno. Quello che affida non pi al gip monocratico, ma ad un organo collegiale di tre giudici, i provvedimenti cautelari. Cos si eviterebbero ribaltamenti sconcertanti per l' opinione pubblica, come nel caso di Cogne. Ma la soluzione mal realizzata: non ha senso consentire il riesame nel merito davanti alla Corte d' appello. E' un' ennesima perdita di tempo. Con opportuni meccanismi di contraddittorio, basta e avanza il primo collegio. Fatte salve le possibilit di ricorso in Cassazione . Lei dice che le riforme allungheranno vieppi i tempi dei processi. La norma peggiore quella che amputa l' articolo 190 l dove consente al giudice di escludere le prove "manifestamente superflue o irrilevanti". D' ora in poi, se un avvocato chiede al tribunale di ascoltare migliaia di testimoni, magari tutti gli iscritti all' elenco telefonico, il giudice non potr pi opporsi. Dovr sentirli tutti. E il processo non finir pi . Per Pittelli e Anedda hanno previsto, al capo VI, una serie di Disposizioni in materia di semplificazione e accelerazione dei tempi del procedimento. Almeno quelle sveltiranno i processi. Al contrario: quel titolo beffardo comprende altre norme che allungheranno i processi a dismisura. Ad esempio, per le eccezioni sulla competenza territoriale e sull' ammissione delle prove. Oggi, se il tribunale le respinge, la difesa pu ricorrere solo in fase di appello. Con la riforma, potr farlo subito, ottenendo la sospensione del processo fino a sei mesi. Esempio: un avvocato chiede senza motivo di spostare il processo da Roma a Bologna. Il tribunale respinge. Lui ricorre in Cassazione e il processo si ferma anche per sei mesi. Poi chiede, pretestuosamente, l' acquisizione di una prova. Nuovo no del tribunale, nuovo ricorso in Cassazione, altri sei mesi di sospensione. Cos si regala a ogni imputato la paralisi del suo processo anche per un anno . Appena un mese fa, Bagarella e gli altri boss detenuti chiedevano aiuto ai politici... Il modo pi serio per rispondere a questi appelli sarebbe quello di non fare leggi che possono dare anche soltanto il sospetto, anche involontariamente, di voler aiutare la mafia . - MARCO TRAVAGLIO

La mafia senza misteri


Repubblica 04 maggio 2005 pagina 46 sezione: CULTURA

Il profondo mistero della Mafia, il famoso terzo livello dove si incontrano i ripugnanti delinquenti dai cento omicidi e i procuratori generali in toga di ermellino, dove il sanguinario Riina bacia un potente ministro della Repubblica, sta nella sua manifesta e aggressiva chiarezza, nell' evidente favore di cui godono i mafiosi, nelle aperte collusione fra la delinquenza e lo Stato, nel sistematico appoggio che una parte dello Stato d alla onorata societ. Sta nel terrore che questa chiarissima alleanza incute agli onesti, sta in quel perfido genio del male che ha convinto milioni di persone che star dalla parte degli assassini, dei ricattatori, dei corruttori necessario e a suo modo provvidenziale. Il legame fra Mafia e Stato che nessuno riesce a sciogliere il pi grande rito demoniaco contemporaneo, la pi grande pratica satanista contemporanea. Il mistero della Mafia? Ma quale mistero? Che mistero quello in cui l' efferato boss Tot Riina latitante per cinque e passa anni in un quartiere signorile di Palermo, in una villa con piscina, da cui esce quasi ogni mattina per sbrigare i suoi affari di boss a Palermo, dare disposizioni, incontrare gli amici, discutere un appalto, vedere gli uomini della politica, scrivere "papelli"? Che mistero la latitanza della signora Riina, sorella del mafioso Bagarella, che mette al mondo i suoi figli in una nota clinica di Palermo dove primario e medici non capiscono chi hanno in cura? Che mistero quello dei maestri e professori che educano i figli di Riina e quello dell' impresario edile che li ospita, e quello dei parenti e amici di Corleone? Nessun mistero, solo l' agghiacciante, paralizzante normalit della Mafia, solo la visibile, indiscutibile coesistenza fra la Mafia e lo Stato, fra i mafiosi assassini e i loro amici e complici nel governo e nella societ. Il mistero della Mafia non esiste. Esiste l' isolamento, la paura, e magari anche il mito di un modo illegale di vivere, di associarsi, di fare affari assieme, di mentire assieme, di coltivare assieme l' omert, che non una specialit siciliana ma con vari nomi una costante della societ ormai prevalente in sei regioni italiane e c' ancora chi si chiede come mai met del paese sprofondi nel clientelismo criminale. La Mafia e le simili Camorra, 'Ndrangheta, Sacra Corona, non sono un mistero, la polizia conosce per nome tutti i loro appartenenti, pezzi da novanta e picciotti. Basta guardargli le scarpe e gli orologi, mi diceva un sindacalista di Gioia Tauro. Vedo che uno ha scarpe fatte a mano e Rolex d' oro e so che lo abbiamo perso, che passato con la malavita. Ma c' un altro fatto, un altro comportamento sociale che disvela la Mafia e quanti stanno dalla sua parte: l' essere sempre, subito, senza limiti e ritegni contro quelli che la combattono. Non hanno certo buona stampa nelle terre di Mafia giornalisti come Saverio Lodato e Marco Travaglio, autori di questo Intoccabili. Perch la mafia al potere. Dai processi Andreotti, Dell' Utri & c. alla normalizzazione (introduzione di Paolo Sylos Labini, Rizzoli, Bur, pagg. 465, euro 10), che racconta la Mafia dal tempo remoto del prefetto Mori ad oggi. Ed la stessa incessante diffamazione cui sottoposto chiunque cerchi di remare contro. Tutti senza scampo i grandi avversari della Mafia e della borghesia mafiosa. Lasciamo parlare una delle maggiori vittime, il magistrato Giovanni Falcone: Ho tollerato in silenzio, in questi ultimi anni, le inevitabili accuse di protagonismo e di scorrettezze nel mio lavoro. Ritenendo di compiere un servizio utile alla societ ero pago del dovere compiuto e consapevole che si trattava di uno dei tanti inconvenienti connessi alle funzioni affidatemi. Ho sopportato le infami calunnie e le campagne denigratorie a cui non ho reagito perch ritenevo, forse a torto, che il mio ruolo imponesse il silenzio. Ma la situazione profondamente cambiata, le istruttorie nei processi di Mafia si sono inceppate. Vivo nel profondo disagio di chi costretto a svolgere un lavoro delicato in condizioni tanto sfavorevoli. Ma pazienza e tenacia non servono, lo obbligano a lasciare la Procura e il pool antiMafia, gli preferiscono un magistrato anziano che riporta indietro la lotta alla Mafia di cinquanta anni, lo accusano di avere simulato l' attentato dell' Addaura, per chiudere la bocca ai suoi avversari non gli resta che la morte, a lui e al suo compagno di eroica avventura Paolo Borsellino. Da che parte sta la stampa governativa, la stampa dei politici? Nessun mistero. Scrive Jannuzzi di Falcone e di De Gennaro, in prima fila nella lotta alla Mafia: E' una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e i maxi-processi, approdata al pi completo fallimento. Sono Falcone e De Gennaro i maggiori responsabili della dbcle dello Stato di fronte alla Mafia. Dovremmo guardarci da due "Cosa nostra"; quella che ha la cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma. E sar prudente tenere a portata di mano il

passaporto. Poi toccher a Gian Carlo Caselli. E' un comunista!. Il governo Berlusconi fa l' impossibile per impedirgli di prendere la guida della Procura Nazionale Antimafia. Caselli senza il minimo dubbio il magistrato pi efficiente e senza macchie nella lotta alla criminalit. E' un uomo di parte? No, ha condotto e vinto la repressione del terrorismo rosso, ha indagato sulle cooperative rosse, ha denunciato onorevoli e sindacalisti comunisti. Non sta certamente dalla parte della Mafia, non sta con la magistratura che manda assolti. Si impedisca che arrivi all' Antimafia. E lo chiamate mistero questa ignobile congiura? L' indagine di Lodato e di Travaglio non consente escamotage e astuzie giuridiche. Non perde il tempo con i gridi di dolore e le invocazioni alla giustizia, spiega semplicemente e chiarissimamente perch siamo un povero paese nelle mani di cialtroni e delinquenti. - GIORGIO BOCCA

QUANDO PARTE LA RISACCA DELLA MAFIA


Repubblica 20 ottobre 2001 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA TANO Grasso il primo commerciante siciliano che si ribell al pizzo della Onorata societ non pi commissario dell' antiracket: con rapida e strisciante decisione lo ha rimosso dall' incarico il ministro della risacca Scajola, si torna alla normalit indicata test da un altro ministro, quello delle Infrastrutture Lunardi: Con la Mafia dobbiamo convivere. I debiti vanno pagati, la vittoria elettorale della destra in sessantun collegi siciliani su sessantuno va onorata. La notizia della rimozione di Grasso stata ignorata, o data con il minimo risalto, dai mezzi di informazione nazionali cos come quel suo corollario che l' abolizione delle scorte ai magistrati in prima linea nella lotta alla Mafia o nelle ultime indagini su Tangentopoli. Con il plauso dell' avvocato Taormina e degli altri avvocati bloccarogatorie che stanno al governo e nella indifferenza ormai scontata della pubblica opinione. Quando parte la risacca della Mafia come se un' Italia sino a ieri vigile e ardita scivolasse verso il nulla. I giudici coraggiosi subiscono o chiedono il trasferimento, sostituiti da quelli con le facce di pietra e il sedere di ferro. Non dimenticher mai la grande risacca dopo l' assassinio del generale Dalla Chiesa sostituito dal prefetto De Francesco. Prefettura e Questura cadute in un silenzio tombale, i collaboratori di Dalla Chiesa introvabili o muti, De Francesco nel suo ufficio seduto impettito, con un viso immobile da divinit incaica. Rispondeva a monosillabi, evasivi, distante come il potere che sa e non parla interrogato da un signor nessuno. Ritorna cos la stagione del grande gelo fra le palme e i fiori di zagara: il giudice La Torre faceva fare le perizie a Londra, non si fidava dei luminari palermitani, i giudici Costa e Chinnici andavano su e gi in ascensore per parlarsi senza essere ascoltati, Borsellino in esilio a Trapani, Falcone a Roma, fra le scartoffie, commissari e brigadieri onesti in viaggio verso il continente... La risacca mafiosa leggibile solo dagli esperti nei suoi simboli, gli altri non devono capire o far finta di non capire. Sessantun collegi su sessantuno regalati alla destra alle elezioni nazionali neppur uno all' opposizione: quale messaggio pi chiaro? Tutta l' isola come Trapani, come Mazara del Vallo come i feudi di Riina e di Bontade allineata in un voto di impudente unanimit e l' informazione nazionale non ha fiatato, nessuno fiata quando la risacca sta trascinando con s memorie e coraggio civile. Notori amici degli amici ai primi posti nelle liste del partito di governo, del resto una storia vecchia, dagli anni dell' Unit e anche dopo, negli anni di Giolitti. La risacca anche il silenzio delle lupare. Non ce n' pi bisogno: all' assemblea regionale sono arrivati gli uomini del sacco urbanistico nelle citt e sulle coste, e hanno subito aumentato gli stipendi ai loro amici, rimborsato quelli a cui stata abbattuta la casa abusiva e ora si preparano alla spartizione della valanga di miliardi che stanno per arrivare dall' Europa. La normalit... I procuratori fastidiosi come Caselli sono stati spediti a Bruxelles a mangiare crauti e a bere birra, i grandi boss in carcere come il Pippo

Cal, non rinnegano la mafia ma si riposizionano in quella senza sangue e stragi che non c' mai stata, al matrimonio della figlia di Riina sono arrivati in centinaia, in abiti da cerimonia, il carcere duro si ammorbidisce, i politici del concorso esterno vengono assolti, siedono in Parlamento e a buon punto arriva anche il messaggio simbolico della riduzione delle scorte. Servivano a poco: tutte le volte che la Mafia ha deciso di uccidere un magistrato lo ha ucciso, le scorte di Falcone e di Borsellino sono volate in pezzi come i loro protetti. Ma il segno chiaro: abbiamo firmato un tacito (e vergognoso) patto per la convivenza di cui parla il ministro delle Pubbliche strutture, con i mafiosi d' ordine abbiamo ricominciato a fare affari e a spartirci gli appalti. Al danno si aggiunge anche la beffa perch mentre si riducono le scorte degli onesti rimangono quelle che devono sorvegliare i mafiosi al confino o agli arresti domiciliari grazie ai falsi certificati di malattia di cui quasi tutti sono forniti: migliaia di carabinieri, di poliziotti per i piantonamenti e le traduzioni da un tribunale all' altro. Nella sola provincia di Caserta in un anno sono stati impegnati 16 mila carabinieri e 5 mila poliziotti. Dice il presidente della Commissione del Csm per la criminalit organizzata: Il messaggio chiarissimo. Lo Stato non vuole pi proteggere i suoi servitori pi esposti. un giorno nero per la Repubblica italiana. Ma i giorni neri passano uno dopo l' altro come i grani di un rosario senza fine. Nascosti dietro la guerra dell' Afghanistan e la minaccia terroristica. - GIORGIO BOCCA

IL SILENZIO SULLA MAFIA


Repubblica 22 maggio 2002 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA L' ITALIA che ricuce tutte le sue ferite e le sue vergogne ha celebrato in Giovanni Falcone il suo eroe preferito: quello morto e sepolto. Ma Giovanni Falcone non fu quell' eroe solare, baciato in fronte dalla patria grata, sicuro del patrio riscatto che si dice. Fu un eroe disperato, come Borsellino e gli altri giudici e poliziotti sacrificati dallo Stato in una lotta che lo Stato non voleva e probabilmente non vuole vincere. C' un limite a tutto, anche nell' ipocrisia del potere. Non si pu dire, come fa il presidente del Consiglio Berlusconi, che "molte delle proposte e delle idee di Falcone si ritrovano nella nostra riforma della giustizia". Non si pu dire, come fa il presidente del Senato Pera, che Falcone antepose a tutto l' indipendenza e l' autonomia della magistratura senza ricordare che proprio per questa indipendenza e autonomia mor. Incontrai Giovanni Falcone quando lavorava con i giudici Di Lello e Ayala al pool antimafia di Palermo, fine anni Ottanta, piano terreno, reparto di massima sicurezza, porte blindate, controlli elettronici, lampadine rosse palpitanti da scatolette nere bip bip, mitra, pistole e quell' andirivieni giulivo di camerieri in cappellino e grembiale bianco dai bar vicini, con i vassoi degli espressi. Entravamo in quel reparto con emozione e rispetto, era la prima volta che incontravamo nell' isola uno Stato giovane e forte. Ma probabilmente era una falsa impressione, forse aveva ragione il giudice Di Lello a dire: Ci siamo noi e le auto blindate ma ci che facciamo non vale niente se non troviamo il consenso della citt . Il Falcone che conobbi in un ufficetto, con la tazzina di caff fumante, mi apparve assieme seducente e deludente. Parlava con cautela e quasi in modo cerimoniale come un mandarino, e con un sorrisetto ironico in cui riconobbi il segno della sicilitudine, la stessa del principe di Salina e di Leonardo Sciascia: che volete saperne voi continentali della mafia? Ed ebbe la pazienza di spiegarmelo: Vede io sono nato nel centro di Palermo, in un quartiere fradicio di povert e di storia. I mafiosi che adesso combatto erano miei compagni di gioco, parlavano come parlavo io, conoscevo il significato delle loro parole, ci che sta dietro alle parole di un palermitano. Era la verit e i mafiosi che lo hanno ucciso lo sapevano, lo hanno sempre temuto ma rispettato. Una sera in una casa dell' alta borghesia conobbi un uomo di mafia e gli dissi che stava per uscire un libro di Falcone. Lo so disse e mi aspetto che me lo mandi con dedica. Giovanni persona stimatissima . Giovanni Falcone eroe cosciente e predestinato. Per noi scesi dal continente, c' era qualcosa di

fastidioso in lui come in Leonardo Sciascia, in questa rivendicazione di sicilianit per cui potevano vedere la mafia con occhi pi esperti dei nostri, ma esponendosi a sospetti di affinit culturale. Come durante la rabbiosa polemica di Falcone con il giudice Meli che era nemico del pool antimafia ma che rimproverava a Falcone una certa indulgenza verso i costruttori Costanzo di Catania, amici e protettori di mafiosi di cui da siciliano Falcone conosceva i condizionamenti e i ricatti. Con lui come con Sciascia bisognava conoscere il significato siciliano delle parole. Andai da Sciascia a Racalmuto per farmi indicare dei buoni conoscitori della mafia e lui mi indic alcuni proprietari terrieri che poi scoprii essere dei capi mafiosi, ma sicilianamente aveva ragione lui: quale miglior conoscitore della mafia di un capo mafioso? Un giorno chiesi a Borsellino, un altro che conosceva la lingua siciliana: Che rapporto c' tra politica e mafia?. Mi rispose: Sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d' accordo. Il terreno su cui possono accordarsi la spartizione del denaro pubblico, il profitto illegale sui pubblici lavori. Nella Sicilia attuale del presidente vasa vasa, il forzista Tot Cuffaro, sono in arrivo valanghe di miliardi dei sussidi europei, come dubitare che sia tornato il tempo della convivenza? Falcone parlava la lingua siciliana e conosceva molto bene gli inganni del governo. Ma lo muoveva un' autentica e moderna ricerca della verit, simile in certo senso a Antonio Di Pietro nell' inventare prima da dilettante poi da maestro nuove e pi attrezzate forme di indagine, ma sempre pronto a buttarsi come un ragazzo nella caccia al delitto. Mi raccontava Ayala della volta che vennero in volo a Torino per interrogare il mafioso Mura che aveva promesso rivelazioni. Falcone era emozionato. Questo parla, mi ripeteva. Sembrava un cavallo al nastro di partenza, gli tremavano i baffi mentre mormorava la formula di legge ai termini degli articoli tal dei tali lei ha la facolt di non rispondere. Mura si alz dalla sedia e disse: va bene non rispondo e se ne usc lasciandoci come due statue di sale. Fuori pioveva, Torino era la pi brutta citt del mondo, andammo in un bar ci ubriacammo pian piano con dei cognacchini. Ma Falcone non smetteva di ripercorrere l' interrogatorio che avremmo dovuto fare. L' ultima volta che ho incontrato Falcone stato il 22 maggio del 1992. Indagava sull' assassinio del generale Dalla Chiesa e venne a Milano per farsi raccontare meglio l' intervista fattagli prima della morte. Mi parve di ritrovare il reparto di massima sicurezza di Palermo. Una stanza sotto il tetto dove avevano lavorato i giudici dell' antiterrorismo. Passammo per due controlli e tre porte blindate. Era come sempre ben curato, i baffettini pettinati, il viso fresco di rasatura e di acqua di Colonia. Cortese ma tenace. Non mi moll per un' ora e mezzo, ripeteva la stessa domanda tre o quattro volte. Congedandomi gli chiesi ma lei spera di trovarli davvero gli assassini?. Ci provo disse. Sbaglier ma aveva perso molto della sua sicilianit. O forse aveva capito che la mafia stava vincendo una volta ancora. Mi sono chiesto, nel giorno della sua morte, che Parlamento sia il nostro, in cui ci sono decine di deputati che devono la loro elezione alla mafia e sono l per impedire che lo Stato combatta sul serio. Il giorno del suo funerale accanto alla bara c' era Tano Grasso, il leader dei commercianti antimafiosi di Capo Orlando. Una delle prime decisioni del nuovo governo stato di rimuoverlo dal suo posto nell' Antimafia. I giorni della speranza e del riscatto dopo il sacrificio di Falcone sembrano lontanissimi e il procuratore Grasso osserva: Quando torna la convivenza i giornali dedicano sempre meno spazio alla mafia. Nella Sicilia di oggi molti non stanno con la mafia ma non sanno bene con chi stanno, li accompagna un sentimento di precariet. Anni fa una signora di Palermo mi scrisse: Ci che scrive della Sicilia vero ma io resto disperatamente siciliana. Questo stato vero anche per Giovanni Falcone. Sapeva che la sua vita era segnata ma era disperatamente siciliano. - GIORGIO BOCCA

Vi racconto il mio Dalla Chiesa


Repubblica 03 settembre 2007 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Per gli italiani il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa stato un uomo esemplare, tutto di un pezzo, servitore dello Stato e padre affettuoso, figlio e fratello di carabinieri, un italiano come non ce sono pi, da ricordare alle nuove generazioni con rimpianto, da commemorare nei libri di scuola, da onorare nella memoria. S, Dalla Chiesa stato tutto questo, anche se spesso cos poco conosciuto dai suoi concittadini. E' stato un uomo sorprendente per me che lo seguivo nelle sue imprese di grande poliziotto. Un uomo tutt' altro che semplice, ma di una ambiguit - una nobile ambiguit sorprendente. Gli piaceva a volte essere un retore, diceva di avere gli alamari dell' arma stampati sulla pelle, si definiva un fedelissimo servitore dello Stato, ma per servirlo nella guerra alle Brigate Rosse aveva chiesto e ottenuto di avere una forza speciale, composita, di uomini scelti da lui fra i carabinieri ma anche in altre armi, liberi di usare metodi polizieschi eccezionali, insieme tecnici e psicologici, un corpo capace di sorprendere per fantasia e iniziativa anche i pi audaci sovversivi. Cos l' uomo d' ordine e di tradizione esemplari si trasformava in un capitano di ventura, in un cavaliere senza macchia e senza paura. Era imprevedibile, Dalla Chiesa. Uomo d' armi, di opere coraggiose, di dure discipline eppure attratto dalle emozioni della vita, dal piacere di sentirsi giovane vicino alla moglie che, poi, sarebbe morta con lui nell' agguato di Palermo. Era un militare che si occupava di cose serie, su cui non scherzare, ma che non rinunciava all' ironia, alla battuta dissacrante. Lo incontrai per la prima volta a Palermo negli anni Sessanta: io dovevo fare un' inchiesta sulla mafia, lui era un giovane ufficiale in una caserma dei carabinieri. Mi venne incontro sorridendo: Ma come anche lei crede che la mafia esista?, diceva. Era - il nostro - un modo paradossale ma drammatico di due piemontesi che parlavano di un nemico incomprensibile e invincibile. Dalla Chiesa era assieme uomo clemente e impietoso, era il grande poliziotto che riconciliava i figli sovversivi con i padri ma anche il repressore inflessibile della rivolta nel carcere di Alessandria o del covo genovese delle Br. Non aveva esitazioni e ripensamenti nell' esercizio del suo dovere ma era anche attaccato alla vita e alle sue dolcezze: mi accompagnava all' aereo con cui da Palermo sarei tornato a Milano - dall' inferno alla salvezza - mormorando beato lei che pu andarsene. Era l' uomo che pure vivendo nella pi implacabile seriet amava scherzare e sapeva stare allo scherzo. Come quella volta che fece raccontare dai giornali che aveva arrestato Curcio a Pinerolo di sorpresa mentre io scrivevo che non era vero e che aveva usato per attirarlo nell' agguato frate mitra, il sacerdote avventuriero Girotto. Dalla Chiesa era un signore prudentissimo e astuto sfuggito a cento agguati ma che per fare l' eroe davanti alla giovane moglie si avventurava con lei su un' auto nella notte di Palermo. Lo stesso che, arrivando a sorpresa ad una festa in una casa della Milano da bere ricca e felice, si divertiva a vedere le facce stupite e spaventate di coloro a cui lo presentavo d' improvviso. Quel generale tutto concretezza e cinismo sapeva fare ai giovani discorsi ingenui ed evangelici, sui vantaggi dell' onest e delle buone azioni, credendoci. E credeva che anche la mafia sarebbe stata vinta dai buoni esempi e dalle buone intenzioni. Siccome in qualche singolare modo piemontese lo sentivo simile, mezzo sergente di ferro e mezzo cuore dolce, gli ero affezionato. E anche grato. - GIORGIO BOCCA

NAPOLI SENZA LEGGE Una citt dove lo Stato nemico


Repubblica 05 gennaio 2006 pagina 42 sezione: CULTURA Anticipiamo un brano dal nuovo libro di Giorgio Bocca Napoli siamo noi (Feltrinelli, pagg. 140, euro 14) che sar in libreria nei prossimi giorni. Per secoli Napoli, capitale del regno, stata una metropoli che lo Stato borbonico riusciva a governare solo grazie alla camorra. Garibaldi il liberatore deve assumere come capo della polizia il capo della camorra. Guardie e ladri lo sanno e si adeguano, convivono. Ma da qualche anno questa convivenza mutata, non pi rispettata in ogni

caso, spesso guerra senza quartiere. Le rivolte della malvivenza contro la polizia si succedono, quella di piazza Ottocalli ha segnato un' epoca. La polizia insegue due rapinatori in motocicletta, il guidatore scivola sul selciato e resta a terra, l' altro fugge in un vicolo; i poliziotti si avventano sul caduto a pugni e a calci, la gente affacciata alle finestre protesta, grida di smettere di picchiarlo, drammatizza per suscitare la rivolta: Stanno picchiando un bambino. Altre donne si affacciano ed chiaro che la rivolta preparata, lanciano dalle finestre bottiglie di acqua ghiacciata, pacchi di pasta con spezzoni di ferro. I ladri non vogliono pi le guardie nel loro quartiere, lo Stato un nemico. Dir un poliziotto: Qualcosa cambiato profondamente in questa citt: in questi mesi non ho sentito mai una parola di solidariet da parte della gente. Al massimo assistono impauriti, i camorristi preparano l' acqua insaponata per farci cadere, e ci sono addosso. A uno di noi hanno spaccato la mascella. Sono frastornato, confuso in questa mutazione delle parti. Solo qualche mese fa, tra me poliziotto e un camorrista il rapporto era chiaro: io poliziotto dovevo prenderlo, dirgli "ti ho preso" e la sfida tra noi finiva l, tutto ci che ne seguiva, il suo processo, il suo rilascio o la sua condanna erano un' altra cosa che riguardava giudici e avvocati, non me guardia. Adesso mentre dico al giovane camorrista "ti ho preso", arrivano i suoi a liberarlo, a pestarmi e lui non si arrende pi, aspetta che arrivino. Cos andata in piazza Ottocalli e in almeno quindici altri luoghi di Napoli. In piazza Ottocalli sedici agenti feriti, auto della polizia sfasciate, l' intera famiglia Fabbricini in guerra: la madre di quarant' anni e tre figlie giovanissime che dal quarto piano lanciano vasi di fiori e bottiglie come da un fortilizio assediato. Una famiglia al completo: camorristi i parenti di lei, camorristi quelli del marito. Il confine tra il legale e l' illegale non esiste pi. Nella grande citt la societ rimasta anarcoide, ma ha adottato i vantaggi dell' associazionismo truffaldino. Ci sono associazioni nate per coprire le illegalit e favorire chi viola la legge, agenzie che forniscono testimoni falsi per non farti perdere i punti della patente, che ti scagionano se hai causato un incidente, che addirittura sono disposte a far passare per colpevole un poveraccio, e anche falsi delatori: il sindaco di Marano accusato da camorristi di stare dalla parte della camorra. Lo Stato un nemico: bisogna colpire le sue guardie, impaurirle. E sono impaurite, con lo stipendio che prendono devono anche farsi rompere le ossa, farsi tagliare le gambe dagli stivali messicani, i camperos, dei camorristi. Fermi un balordo, gli chiedi i documenti e subito ti circonda gente che ti strattona, ti sputa addosso e se chiedi soccorso, se arriva una volante o un elicottero con i lacrimogeni pu nascere una vera battaglia, scendono dai vicoli camorristi e delinquenti, giovani del "branco" pronto a distruggere tutto. Duecento, comparsi come dal nulla, ribaltano un' autobotte dei pompieri, attaccano i poliziotti che stanno sbaraccando una cappella eretta con assi e cartoni in memoria di un camorrista ucciso. La convivenza fra camorra e Stato finita, resiste solo ad alto livello, negli uffici degli avvocati e dei giudici, ma lo Stato va disarmato, le motociclette dei vigili urbani vengono danneggiate, le gomme forate con i cacciavite, il motore scassato con le mazze. Siamo a un livello colombiano, venezuelano. I capi della camorra non vogliono l' anarchia totale ma non la ostacolano. Dice il sociologo Amato Lamberti che Napoli in preda al bullismo, alla violazione flagrante, ostentata di qualsiasi disciplina da parte di giovani scatenati. I vigili di un posto di blocco fermano due ragazzi in motocicletta senza casco. Lui li insulta, lei scende dalla moto e li aggredisce, strappa dalle mani di uno dei vigili il blocchetto delle contravvenzioni. Davanti al San Carlo scoppia una rissa, i poliziotti che cercano di sedarla vengono inseguiti, si rifugiano nelle scale dei palazzi vicini, rischia la vita uno che ha cercato di filmarli. La camorra sta a guardare, ma per guardare bene si attrezza, il giorno dopo la rivolta di piazza Ottocalli la polizia scopre un impianto di sorveglianza camorrista con sei telecamere. Il questore Fioriolli convoca i summit delle forze dell' ordine, poliziotti, carabinieri e vigili e mette le mani avanti dichiarando alla stampa: Napoli deve diventare pi normale e per farlo bisogna combattere il degrado a tutti i livelli. Nel degrado affonda una subcultura che porta a solidarizzare con i criminali". Il signor De Lapalisse non avrebbe saputo dire meglio. * * * La camorra di oggi pi ricca della camorra del passato, controlla un giro vorticoso di denaro. Forse per questo dominio economico ingigantito dal mercato della droga che s' interessa poco del potere politico: sa che esso seguir come le intendenze seguono un esercito, la camorra sa che i politici si reggono sul denaro

che viene dallo Stato proprio perch la camorra c' . La camorra non ha bisogno d' imporre i suoi assessori, i suoi costruttori, i suoi funzionari. Quelli che ci sono, sono in qualche modo disponibili, tacitabili. La camorra non un' organizzazione coesa e verticistica come la mafia, ma un arcipelago d' illegalit che vive a suo agio nel mare dell' illegalit napoletana. Per anni i capi della camorra hanno voluto essere, e sono stati e probabilmente lo sono ancora, anche personaggi popolari cui Il Mattino pubblicava gli annunci di nozze o di compleanno, di cui i napoletani pi famosi, i cantanti e i giocatori di calcio come Maradona, erano la corte, legati da rapporti di amicizia e ospitalit. Immaginare che ci sia una resistenza popolare alla camorra in una citt dove tutti, se possono, campano sul pubblico denaro una visione irreale di una citt dove i pensionati dell' Inps, finti invalidi o grandi invalidi, sono la norma, dove nessuno dei grandi leader politici rei confessi di pubbliche rapine stato condannato. A Napoli la delinquenza camorrista non fa nessuno scandalo, cos come nessuno dei politici in galera, allo stesso modo i grandi camorristi possono pentirsi o scegliere il paese in cui espatriare, possibilmente l' Argentina il cui codice non contempla il reato di camorra. L' illegalit come normalit entrata nel sangue di una buona parte della gente. Le persone senza nome e senza protettori che scompaiono non le cerca praticamente nessuno. Non la polizia, il cui principio che se si ammazzano fra loro tanto meglio. Desaparecidos che nessuno cerca e che non tornano dai cimiteri della camorra nel vallone D' Aiello sul monte Sant' Angelo. GIORGIO BOCCA OGGI debbo scrivere di mafia e lo far perch quello il tema che incombe. Ma non posso cominciare il mio argomento senza prima segnalare l' evento politico che si svolto ieri a Roma dove centinaia di migliaia di persone, giovani in gran parte, hanno affollato le strade della citt, la grande piazza di San Giovanni e tutti gli spazi circostanti con una manifestazione autogestita che aveva come obiettivo il ritiro della legge sul processo breve, delle leggi ad personam e insieme le dimissioni di Berlusconi. S, il vero tema che ha portato in piazza quel fiume di gente erano le dimissioni di Berlusconi. Forse un tema poco politico o forse troppo politico. Una politica si identifica con una persona? Si deve discutere del peccato ma non del peccatore? Ci sono diverse opinioni in proposito. I politici di lungo corso di solito preferiscono parlare del peccato: un concetto astratto, raffigura un male e va condannato, ma il peccatore si pu redimere e se lo fa merita perdono. Ma se il peccatore recidivo? Se non si pente mai? Se risponde reiterando? C' una soglia oltre la quale esplode la rabbia e questo uno di quei momenti. Dicevano che i giovani sono indifferenti, ma le strade di Roma ieri non davano quest' impressione. La manifestazione non era di partito o dei partiti, nata su Internet e si autogestita. Guardate il risultato. Quando si parla di territorio e di democrazia che nasce dal basso, bisogna poi andarci su quel territorio e batter le mani a quella democrazia che nasce dal basso e che chiede sbocchi politici e strumenti politici per affermarsi. Ed ora parliamo di mafia. Leggendo la deposizione di Spatuzza al processo d' appello di Dell' Utri, Silvio Berlusconi ha commentato lapidariamente: Tutte minchiate. Dell' Utri dal canto suo ha osservato: La mafia ha deciso di attaccare il governo e spera di farlo cadere. Il commento di Fini stato ovvio: Se non ci saranno riscontri seri le dichiarazioni di Spatuzza saranno soltanto parole prive di peso. Quanto all' opposizione, nelle sue varie sfumature il giudizio stato pressoch unanime: Spetta ai magistrati accertare la verit. Che cosa dice la pubblica opinione? Stando ai sondaggi la maggioranza relativa si affida alla magistratura, una minoranza consistente suggerisce al premier di dimettersi, un' altra minoranza anch' essa consistente condivide la parola "minchiate" a proposito di Spatuzza; infine un 20 per cento degli interpellati non sae non gli importa di sapere. Ma quando si arriva alle intenzioni di voto si scopre che il consenso verso il governo ancora sopra al 50 per cento e il Pdl e la Lega sono posizionatia quota 49 per cento. Se si votasse domani con questa legge elettorale la coalizione guidata da Berlusconi vincerebbe ancora largamente. Siamo dunque in pieno enigmae il suo scioglimento sembra ancora piuttosto lontano. Le ripercussioni sulla governabilit consentono soltanto un modesto "tira a campare" che del resto coincide con la politica economica attendista di Giulio Tremonti. Voli pindarici non sono all' ordine del giorno, semmai un piccolo cabotaggio e una ripetitiva melina. Sul tavolo dell' attualit domina

comunque la pesante accusa mafiosa contro Berlusconi e Dell' Utri, una sorta di gravissima chiamata di correit per un patto che sarebbe stato stipulato nel ' 93 e sarebbe stato adesso tradito dai due eminenti contraenti e questo il punto che la dinamica processuale dei prossimi giorni ci impone di esaminare. L' attacco mafioso contro il governo un fatto reale. Si svolge attraverso il pentito Spatuzza e anche attraverso le carte provenienti dalla famiglia Ciancimino. Per ora si tratta di "pesi leggeri", ma nei prossimi giorni saranno chiamati a deporre i fratelli Graviano, gi da tempo incarcerati sulla base del 41 bis. I Graviano sono i capi di un pezzo rilevante del sistema mafioso. Spatuzza un loro dipendente. Ha scelto di pentirsi ma non li ha affatto rinnegati, anzi ne ha riaffermato non solo la dipendenza gerarchica ma un affetto familiare come fossero i miei padri ha detto e ripetuto dinanzi al Tribunale. Dal canto loro i Graviano, pur senza sponsorizzare le sue accuse contro Berlusconi-Dell' Utri, non l' hanno sconfessato n infamato ma hanno ricambiato con affetto il suo affetto. La loro imminente deposizione sar dunque fondamentale per capire se le cose dette da Spatuzza sono "minchiate prive di peso" oppure "minchiate pesanti" cio condivise da boss potenti. Il che non significa necessariamente che il famoso patto sia veramente esistito, ma che l' organizzazione terrorista mafiosa si considera in guerra con Berlusconi. Il perch chiaro: il governo, il ministro dell' Interno e la Procura di Palermo stanno colpendo assai duramente in questi mesi la struttura del potere mafioso. Ieri stato arrestato un boss molto potente, Giovanni Nicchi; la polizia sulle tracce di un altro boss ancor pi potente, Messina Denaro. I Graviano stanno gi scontando l' ergastolo. A questo punto possibile che tutto quel che resta di Cosa Nostra passi al contrattacco. La chiamata di correo sarebbe cos l' atto pi rilevante di questa strategia. Ma la semplice denuncia di un patto tradito non basta a dare sostanza ad una situazione processuale capace di sboccare in un rinvio a giudizio. Ci vogliono riscontri che l' accusa dovr produrre. L' accusa, ecco un punto molto importante da segnalare, incardinata nella Procura di Palermo; quella stessa Procura che sta guidando con perizia ed efficacia l' azione contro i latitanti di Cosa Nostra. Non si tratta perci - come Berlusconi continua invecea gridare- di toghe rosse che complottano contro di lui. Si tratta invece di magistrati che, proseguendo il percorso a suo tempo aperto da Caponnetto, Falcone, Borsellino, hanno smantellato pezzo per pezzo il potere mafioso. Sarebbe prematuro dare per vinta questa guerra, ma certo passi avanti notevoli sono stati compiuti, al punto che la situazione siciliana risulta oggi migliore di quella calabrese e forse anche di quella pugliese. Tutto ci per dire che la Procura e il Tribunale di Palermo meritano il massimo di credibilit. Spetta a loro di guidare la repressione contro la mafia e spetta a loro indagare sulle chiamate di correo che Spatuzza ha anticipato. Ho accennato domenica scorsa al precedente Andreotti. Torno ora a parlarne perch esso - sia pure in circostanze molto diverse, ci pu fornire utili criteri per capire quanto sta avvenendo. La Dc in Sicilia si trov inevitabilmente a fare i conti con la mafia. Lo sbarco americano del 1943 si era appoggiato anche ad alcuni clan mafiosi che avevano tutto l' interesse di accreditarsi verso il nuovo potere. La strategia stata sempre la stessa: la mafia desidera esser nelle grazie del potere politico dominante, utilizzare la sua "porosit", fornire favori e riceverne in contraccambio. Il caso Giuliano fu da questo punto di vista esemplare: il bandito dava noia agli agrari e la mafia lo elimin. Inutile dire che gli agrari erano molto influenti dentro la Dc siciliana. Nella Dc siciliana ci furono dei coraggiosi combattenti contro la mafia, alcuni dei quali pagarono con la vita. Ma ci fu anche una consistente zona grigia a contatto permanente con la mafia. Poich la Dc era un partito fondato sulle correnti e poich la mafia predilige i poteri forti e non quelli deboli, la zona grigia democristiana fu inizialmente quella affiliata alla corrente fanfaniana. Poi sopravvennero alcuni cambiamenti che sarebbe lungo ricordare e la zona grigia della Dc in Sicilia si intitol ad Andreotti. Cosa Nostra all' epoca era guidata dalla famiglia Badalamenti e da altre sue alleate. Tra gli uomini d' onore il pi importante era Buscetta, uomo di peso e di cervello. Nella zona grigia spiccavano i cugini Salvo, esattori delle imposte in tutta la Sicilia occidentale; Lima e Ciancimino. Scavalchiamo gli anni: cresce la statura nazionale di Andreotti, si precisano i suoi obiettivi politici, la zona grigia ai suoi occhi perde terreno perch Andreotti deve costruire una diversa immagine di s. Per di pi la vecchia dirigenza di Cosa Nostra entra in crisi di fronte all' attacco dei Corleonesi. Il commercio della droga, fino ad allora marginale, diventa prevalente negli

interessi della nuova mafia. Questi mutamenti convergenti dettano ad Andreotti una politica rigorosamente antimafiosa.I Corleonesi gridano al tradimento. Lima viene ucciso. Una spietata guerra di mafia ha inizio e culmina con la vittoria dei Corleonesi. Passano altri anni. Il potere di Andreotti ormai in declino. I pentiti cominciano a parlare di lui. Cominciano i processi e terminano dopo alterne vicende come sappiamo. Andreotti si difese nei processi e alla fine la spunt: non c' erano tracce sufficienti a configurare reati. Le poche tracce riguardavano un periodo molto lontano nel tempo e caddero per consunzione. La mafia vuole colludere con il potere. Ama il potere poroso, penetrabile, corruttibile, ricattabile. Vuole favori e offre favori. Quando si considera tradita si vendica. Con la lupara, con la chiamata di correo, col ricatto. E quando fiuta che il potere colluso sta traballando, allora lo abbandona. Se intravede i lineamenti di un nuovo potere emergente, gli apre la strada per procurarsi benemerenze ed entrare in contatto. Questa la storiae spesso si ripete. Comincia con reciproci ammiccamenti, prosegue con scambio di favori, si crea un equilibrio, entra in crisi l' equilibrio, la convivenza diventa difficile, subentra la guerra. Questa la dinamica tra i poteri, al di sopra dei quali ci dovrebbe essere lo Stato. Quasi mai i partiti sono lo Stato e di rado lo sono i governi. Perfino la magistratura talvolta non si identifica con lo Stato. La nostra scommessa questa volta affidata alla magistratura. Se essa si identificher con lo Stato forse questa guerra sar vinta. - EUGENIO SCALFARI

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