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LA LEGGENDA DI COLAPESCE I Messina Nel 1908 ero a Messina per alcuni importanti lavori di ricerca sottomarina; sulla base

degli studi del 1825 del console francese Ribaud era compito mio, insieme ad altri scienziati e luminari studiare e conoscere il fenomeno delle forti correnti che attraversavano lo Stretto, il punto di separazione ideale tra i due grandi bacini mediterranei, quello ionico e quello tirreneo. Il nostro primo obiettivo era quello di poter stilare una sorta di tavola delle maree, in modo che fosse possibile attraversare le ribollenti acque dello stretto con una maggior sicurezza; per secoli i navigatori del passato avevano temuto il passaggio fra i due mitici mostri: Scilla dalle dodici mostruose zampe e con sei infernali fauci, e il gorgo Cariddi, in prossimit dei laghi di Ganzirri, dove le fredde acque turbinano, trascinando verso labisso le sfortunate imbarcazioni. Durante il tempo libero, quando il lavoro di ricerca non occupava ognuno dei miei preziosissimi minuti, amavo passeggiare per le splendide vie della citt, lasciandomi guidare dai viali alberati e dai misteriosi scorci che offriva lantico insediamento, adagiato sulle brulle colline peloritane che degradano verso il mare. Ci che pi colpiva la mia fervida immaginazione erano le influenze e gli stili architettonici diversi che la secolare citt sfoggiava ad ogni suo angolo. Messina, fondata dai greci col nome di Zancle sub diverse e profonde dominazioni: da quella bizantina a quella araba, dalla conquista, intorno allanno 1000, dei Normanni, per finire con la dominazione spagnola che dur fino a dopo la met dell800. Avevo appreso, durante i miei continui studi sulla storia della citt, che Messina era uno dei pi fiorenti e prosperosi porti del Mediterraneo, la cui storia, ricca di miti, leggende e misteriose storie, affondava le sue contorte radici nei secoli. Durante le mie lunghe passeggiate solitarie dunque, abbandonavo senza freni la curiosit, lasciandola libera di esplorare e visitare, con locchio indagatore e un po meravigliato del turista, le strade, gli antichi edifici, i monumenti, e ora qui e ora l, mi facevo trascinare dallarcana storia della citt, quasi attirato da uninvisibile mano. Di solito iniziavo le mie passeggiate camminando con calma lungo lalberato viale della Libert, che offriva suggestivi scorci, per poi proseguire sul lungomare, dove riposavo fumando allombra di verdi mangrovie. Da l la vista offerta dalla citt era suggestiva e incredibile: la Calabria, coperta da una leggera foschia, le navi pigre che attraversano lentamente lo Stretto, e lantico porto a forma di falce, sulla cui punta aguzza adagiata la Madonna della Lettera, che veglia sullantica citt. Dal lungomare era possibile scorgere anche lantica e gloriosa Palazzata, ricostruita dopo il tremendo terremoto del 1783, con gli ampi portoni, le colonne classiche e le molteplici finestre; limmane edificio che, da piazza Vittoria, proseguiva sino al porto, dava a Messina un tocco quasi veneziano, trasportando lo stupito visitatore in altri luoghi e in altri tempi, nella vivace citt del passato. Destatomi da soavi ricordi dal vivace trambusto della vita messinese, il mio cammino proseguiva attraverso Piazza unit dItalia; qui la splendida statua di Nettuno riposa con la mano alzata, quasi a voler calmare le acque dello stretto; ai suoi piedi sono imprigionati i mostruosi Scilla e Cariddi. La statua, ahim, fu quasi distrutta durante la repressione borbonica dei i moti di rivoluzione popolare del 1848, e solo in seguito restaurata. Il mio lungo errare continuava ancora lungo via Giuseppe Garibaldi, passando davanti allelegante Teatro intitolata a Re Vittorio Emanuele II. La meta preferita delle mie passeggiate era la splendida piazza del Duomo di Messina, dove mi fermavo sovente a bere un caff mentre osservavo la splendida basilica; non era insolito per mi lasciassi catturare dalle antiche chiese e santuari della citt: la Santissima Annunziata con la curiosa facciata concava, o la chiesa di San Francesco allImmacolata, la seconda chiesa in ordine di grandezza di Messina, e infine la misteriosa Annunziata dei Catalani, coi suoi splendidi giochi di pietre policrome.

Come ho gi accennato era per me abitudine riposare allombra di uno dei meravigliosi e accoglienti caff siciliani in piazza Duomo, con lo sguardo sempre posato sullincredibile e antica basilica, fondata intorno allanno mille dal re normanno Ruggero II, e pi volte ricostruita e ripristinata dopo i terremoti e i saccheggi della citt. Anche il duomo, come lAnnunziata dei Catalani, fu costruito con una curiosa alternanza di pietre bianche e nere; la splendida facciata arricchita con figure scolpite di santi ma ci che attira lattenzione dellincredulo visitatore il misterioso portone centrale, modellato in una serie di scene mistiche di processioni e ancestrali riti, nei quali re e santi si uniscono in orgiastiche cerimonie con misteriosi esseri zoomorfi. Leggenda vuole che allinterno della vecchia basilica, fra i meravigliosi mosaici, e le alte navate ad arco, fosse custodita la lettera che la Madonna consegn agli ambasciatori messinesi in pellegrinaggio in terra Santa, missiva che purtroppo non scamp agli incendi e ai saccheggi che il Duomo sub durante tutta la sua storia. Molti sono i miti, le leggende e le superstizioni che si rincorrono lungo lantichissima storia di Messina; ma a un attento visitatore e a un amante dellantico o dellenigma come me non pu sfuggire che la soleggiata e mediterranea citt nasconde sotto il suo secolare tessuto oscure storie di mistero, ancestrali maledizioni e neri omicidi. Pi e pi volte la sete di conoscenza mi aveva attratto verso la storia oscura della citt, verso i luoghi dove il sentore dellantico ben pi forte della percezione del mondo reale. Dallo lo studio di alcuni vecchi tomi e arcaici libri presso la prestigiosa Universit di Messina avevo preso spunto per i miei vagabondaggi serali e notturni, con i quali forse cercavo qualche brivido che potesse dissetare la mia inesauribile voglia di antichit e di conoscenza. Fu da questi vagabondaggi, dai sempre pi intensi studi, e dalle chiacchiere dei vecchi curvi e crucciati che siedono di fronte al mare che appresi pian piano di un lontanissimo culto, che si tramandava da secoli, la cui pi importante figura sembrava essere quella di longeve streghe; orribili donne detentrici di ancestrali segreti, le praticanti di sanguinosi riti magici e cabalistici. La loro sfuggevole presenza era causa di ingrate voci e terribili dicerie, spesso venute a galla in concomitanza di misteriosi ed inspiegabili avvenimenti. Ci che mi sorprese di queste strane donne era la loro capacit di essere accettate dal popolo, quasi la loro presenza fosse sempre stata presente nella storia della citt; e di come la loro vita potesse essere lunghissima, centenaria, quasi che lattaccamento terreno di queste vecchie streghe e la loro volont di perpetrare il male fosse pi forte della morte stessa. Col curioso sdegno dello studioso appresi che gi in antichissimi tempi, prima della fondazione della colonia greca di Zancle, gli indigeni siculi che abitavano le coste e i monti del Peloro sacrificavano belle e bianche vergini in rivo al mare, per placare le acque dello Stretto; il ritrovamento di antichissimi idoli scultorei nellentroterra messinese invece poteva suffragare la tesi di alcuni studiosi additati come pazzi, i quali sostenevano lo svolgersi di ancestrali riti cannibali preseduti da anziane e secolari donne (che secondo la leggenda si cibavano dei loro sprovveduti mariti) gi in tempi arcaici. Attraverso i pochi frammenti rinvenuti del filosofo Dicearco, del IV secolo avanti Cristo, scoprii affascinato che anche in periodo greco il sacrificio umano, sovente in onore di Nettuno, era pratica comune; dieci vergini e un bimbo storpio venivano offerte al dio con un rapido taglio alla gola praticato da una sacerdotessa del culto, che appresi chiamarsi Majara; queste strane figure oltre a essere le esecutrici materiali del rito praticavano vetusti riti propiziatori, e aiutavano le giovani madri greche a partorire i loro figli. I continui studi mi rivelarono il perpetuarsi di queste arcaiche usanze attraverso le varie influenze storiche, cartaginesi prima e romane poi, per sopravvivere sino alle brevi invasioni barbariche ostrogote e infine alla conquista bizantina. E a questo periodo che risalgono i documenti dei funzionari e dei sacerdoti di Bisanzio riguardo labominevole rapimento degli infanti durante il venerd santo; la testimonianza di un bibliografo del III secolo dopo Cristo riferisce di unazione punitiva ordinata dallo Stratigoto, signore del tempo della citt di Messana, che si consum sui monti vicino Castanea, dove un villaggio di uomini e donne pagane perpetua riti orgiastici e cannibali.

Durante il periodo arabo le terribile pratiche assunsero carattere sempre pi orribile; lessi sconvolto lantica testimonianza di un mercante dellepoca, Saehm Y Alib, riscritta e riportata in latino e sopravissuta fino ai giorni nostri sin dal sacco dei normanni. Il mercante descrive lorribile pratica con cui ogni mezzo agosto alti fuochi venivano accesi lungo le spiagge in prossimit di Capo Peloro: acre saliva nellaere lodore di carne umana, accompagnato da urla terribili; donne vestite di nero accendevano il fuoco ridendo e danzando intorno ai corpi urlanti delle vittime sacrificali. Con lascesa dei Normanni invece il culto sembr quasi scomparire, forse a causa dellalta tolleranza dei sovrani dellepoca; possibile quindi che la setta agisse al sicuro nellombra, tramando i propri delitti con ben celata sicurezza. Terminato il periodo normanno e iniziato quello svevo, altre terribili dicerie adombrano la storia di Messina: nel XIII secolo ,alla corte del poliedrico Federico II di Svevia, che secondo la leggenda unabilissima poetessa messinese, Nina, vendette lanima al Diavolo in cambio della suprema ispirazione poetica; voci narrano insistenti che la donna fu scoperta nella sua camera mentre si nutriva di orribili carni: organi di riproduzione umani e animali. Arrestata, e torturata, pare che riusc a fuggire corrompendo con le sue arti proibite una delle guardie, per poi scomparire nel nulla; niente di certo riuscii a scoprire sulla sua misteriosa fine. Che dire poi degli incerti fatti avvenuti durante la guerra del Vespro contro le truppe francesi di Carlo DAngi? Durante lassalto francese alla breccia di Caperrina nel 1282 sono pi volte riportate testimonianze del popolo circa lintervento di due vecchissime donne nella difesa delle mura, intervento richiesto e pagato con oro sonante dai nobili messinesi, disposti a tutto pur di fermare la minaccia angioina; sebbene in seguito la leggenda popolana abbia dipinto le donne come eroine della citt, alcuni scritti del tempo che riuscii a recuperare a caro prezzo descrivono con misteriosa mancanza di particolari il lancio di oscure maledizioni e sortilegi che facevano dolere le ossa dei francesi, bruciare loro le carni, maleodorare le membra. Unaltra storia relativa allo stesso periodo narra di un cavaliere francese, Corrado Dampierre, catturato durante lassedio da dieci donne vestite di scuro, le quali banchettarono col suo corpo vivo a partite dai piedi sino a che morte non sopraggiunse. Gli orribili misfatti perpetuati dalle Majare si ripetevano nei secoli, e la misteriosa figura di queste orribili e mefitiche donne inspirava in me il pi nero terrore, e la pi acuta curiosit; man mano che la ricerca si faceva sempre pi attenta e precisa, scoprivo ancor pi orridi e macabri particolari riguardo la loro oltraggiosa esistenza. Come non citare la leggenda del Caravaggio, e del suo famoso dipinto eseguito nella splendida citt di Messina, la cui scena attribuita dai critici alla resurezzione del Lazzaro? Forse gli storici non hanno letto fra le righe di talune leggende, o non hanno ascoltato le ripetute dicerie sulla vicenda di Calogero Danzino, povero pescatore del villaggio di Grotte il cui petto fu squarciato dalla letale lama di un pescespada impazzito durante un uscita di pesca nello Stretto; il corpo esanime delluomo fu posto dai familiari disperati ai piedi di una maleodorante casetta dalle parti di S.Agata, dove viveva una vecchia donna che praticava ancestrali pratiche mediche e offriva vecchi rimedi in cambio di danaro e riverenza. Dopo che la vecchia ebbe lanciato i suoi sortilegi nefandi, i parenti sconvolti videro il proprio familiare alzarsi, e camminare. Il giorno dopo luomo torn a pescare, come se nulla fosse; si dice che il divino pittore fosse presente allincredibile accaduto e che lavervi assistito gli diede scintilla, e suprema ispirazione, per dipingere la magnifica opera. Con fascino e riluttanza continuai a scoprire questi misconosciuti fatti e folcloristiche leggende scavando fra gli annali messinesi, cercando fra vecchi diari e polverose biografie, seguendo la pista nascosta lasciata dalle Majare attraverso storie, testimonianze, atti giudiziari; via via che mi addentravo nei misteri della citt veniva a galla il disegno macabro del culto sotterraneo che queste meretrici, dotate di diabolici poteri, macchinavano da secoli; la loro femminea presenza mi si palesava chiara in quasi ogni storia superstiziosa o occulta della citt.

A tal proposito una delle leggende pi note della vecchia Messina quella di Esmeralda Calafata, beatissima suora del 1400, prodiga nellaiutare i poveri e i bisognosi e la cui carit era ben nota in tutta la citt; nonostante ci notevoli indizi e testimonianze mi portarono a credere ad una tesi profondamente contraria, e a sospettare della miracolosa suora come di una possibile Majara. Fu con un brivido di paura che mi avvicinai per la prima volta al monastero della Santa Vergine, dove riposa da secoli il suo corpo. Le mie ricerche, che si erano fatte sempre pi spasmodiche, portarono a galla alcuni orribili fatti riguardo la leggenda della suora: fra i poveri e i malati del tempo era ben noto da tempo come la vecchia donna usasse antichi riti pagani per curare le malattie, o come spesso sapesse prevedere in anticipo la morte di una persona utilizzando questa oscura conoscenza a suo vantaggio; Esmeralda Calafata altrimenti conosciuta per il frequente soccorso prestato alle giovini della citt in caso di aborto o di parto prematuro, non senza aver chiesto in cambio strani servigi o lunghe e morbose confessioni che potessero fornire alla donna preziosi segreti con cui ricattare i mariti. Quando la suora mor, alle veneranda et di 150 anni il corpo fu inumato, ma per cinque orribili giorni le consorelle del monastero sentirono strani tonfi e colpi provenire dalla bara sotterrata. Incuriosite, le sorelle dellordine delle Clarisse riesumarono il corpo. Sconvolte notarono con stupore che la pelle di Esmeralda era ancora rosea e morbida, che il rigor mortis non era sopraggiunto e che gli occhi spalancati sembravano osservare con malvagio ardimento gli spettatori di quella grottesca rappresentazione. La mano sinistra della donna era tesa, quasi a voler aprire la bara, ma ci che sconvolse le Clarisse fu la macchia di sangue che bagnava le cosce di suor Calafata (e leggenda vuole che il sangue del mestruo di suor Calafata, il cui ciclo continua tuttora ininterrotto, abbia poteri curativi). Non sapendo che fare le sorelle si rivolsero allArcivescovo di Messina; nonostante lordine ricevuto fosse quello di seppellire il cadavere, gli interminabili colpi continuarono per giorni finch le sorelle, innervosite dallo snervante rumore, non furono costrette a lasciare la bara allaperto, dietro il pulpito del monastero. Quando lo osservai il corpo, conservato nei secoli sotto una teca di vetro, sembrava ancora vivo: la pelle era stranamente rosea, i capelli e le unghie cresciute senza fine durante il tempo passato, in quello che non pu essere altrimenti che il rifiuto alla morte di una creatura cos stranae potente. Tutte questi incredibili avvenimenti si annodavano nello spazio e nel tempo, accoppiandosi sovente con dicerie locali o con miti e superstizioni; ovviamente stava rispettivamente al ricercatore accorto e allattento studioso separare la verit dalla finzione, sebbene rileggendo i voluminosi appunti che avevo raccolto mi accorsi che leggende e testimonianze concorrevano a dipingere il quadro di una citt segreta, sepolta sotto la facciata ridente e caciara della Messina che viveva di giorno; una citt oscura che nasconde segreti e reminiscenze mai del tutto scordate. Gli eventi misteriosi e quasi innegabili di cui ero venuto a conoscenza continuavano fino alla soglia dei giorni nostri: come non ascoltare inorriditi le voci insistenti che raccontano dei terribili riti satanici che si consumano nel Gran Camposanto? Sacrari e tombe sono le prede preferite dagli sciacalli mentre la polizia, nonostante le assidue indagini, non riesce a venire a capo delle sacrileghe scritte trovate su lapidi e monumenti funebri di parecchi defunti. Oppure come non citare i notturni e furtivi movimenti che avvengono la notte allincrocio fra via Cardine e via I Settembre, dove si dice che il Diavolo dorma coi suoi tre fratelli nelle quattro fontane di marmo? Di questa particolare diceria raccolsi ripetutamente voci e bisbigli durante le mie frequenti passeggiate, e fui cos che decisi di incominciare, quasi per gioco, le indagini che mi avrebbero portato a scoprire unorrenda verit.

II

Lenigma delle quattro fontane Ero venuto a conoscenza del contrabbando illegale di chiss quale proibita mercanzia durante una visita mattutina al mercato pesce di via La Farina. Passeggiavo fra le varie bancarelle, divertito dal caratteristico folclore siciliano e dalle prelibatezze che i mercanti vendono a prezzi bassissimi, quando notai due uomini di pelle scura dal comportamento assai sospetto, figuri bassi e baffuti, vestiti di semplici camice bianche e gilet nero. I due confabulavano piano a margine di un banco che vendeva pesce fresco. Quasi per caso, facendo finta di nulla, tesi lorecchio al loro discorso: li sentii bisbigliare sottovoce di qualcosa riguardo alle quattro fontane del Diavolo, qualcosa che doveva accadere intorno a mezzanotte di quella stessa sera. Incuriosito mi avvicinai, ma i due uomini scuri, uno dei quali notai avere una bocca crudelmente sfregiata, si allontanarono infastiditi. Sicuramente i due ceffi si riferivano alle quattro fontane ornamentali fra via Cardine e via I Settembre, che avevo gi visitato parecchio tempo prima. Dimentico del fatto, alcuni giorni dopo, ero seduto a vicino al porto a osservare il mare, fumando un ottimo sigaro dominicano. Incuriosito scorsi quattro vecchi pescatori; gesticolavano animatamente e sembravano quasi sul punto di litigare: tesi lorecchio e per una strana coincidenza capii che parlavano di alcuni misteriosi scambi che avvenivano la notte al sinistro incrocio, il luogo di cui gi avevo sentito parlare dai due uomini misteriosi gi al mercato. Uno dei quattro spergiurava di aver sentito il pianto di un bambino provenire da una delle quattro fontane, mentre un altro narrava con parole superstiziose dellantica usanza di farsi il segno della croce prima di avventurarsi allincrocio, pena il rapimento dellanima da parte del diavolo che riposava in una delle marmoree bocche di tritone da cui zampilla lacqua. Quando mi avvicinai i pescatori stavano avvolgendo le reti e quando chiesi loro qualche spiegazione sulle storie che avevo udito, presentandomi come un giornalista del Nord, mi scoccarono qualche occhiata furtiva e mi risposero che probabilmente mi ero sbagliato, e che forse avevo sentito male. Nonostante la mia insistenza essi si chiusero nellermetico silenzio per cui i siciliani sono tanto famosi, e continuarono a lavorare. Pungolato nella mia pi profonda immaginazione decisi di appostarmi qualche notte nel gi citato posto; dopo unincursione diurna, dove identificai un portico antico dietro il quale occultarmi, mi preparai a sorvegliare lincrocio per alcuni giorni. Per tre notti rimasi nascosto nel buio dellandrone, in silenzio per ore, con le orecchie tese e gli occhi aperti pronti per notare qualsiasi dettaglio sembrasse fuori posto, il minimo segnale di un occulto scambio segreto o il misterioso contrabbando di cui avevo solo qualche esile indizio; ma i miei tentativi non furono premiati e non feci altro che perdere progressivamente la speranza. Fu proprio in quel momento,quando stavo per abbandonare le ricerche, che il destino premi i miei sforzi, sebbene con cos poco materiale da acuire ancor pi la mia curiosit. La notte del 24 dicembre ero, come le ultime notti, appostato nel buio delloscuro portico. Guardai assonnato lorologio, che segnava pigro le tre; stavo per decidermi a tornare allalbergo quando notai con sorpresa tre uomini che camminavano fulminei verso una delle quattro fontane. Mi acquattai nel buio, i sensi tesi per captare ogni minimo dettaglio: forse dopo tanti sforzi ero finalmente giunto a qualcosa. Vidi che i tre individui erano vestiti di nero, abbigliati con pesanti pastrani di lana mentre sulla testa portavano uno strano copricapo a tre punte; ne scorsi uno accendersi una sigaretta e notai che portavano guanti e stivali pesanti, nonostante il clima mite e temperato dellinverno messinese. Dovevano essere di pelle molto scura e abbronzata, poich era quasi impossibile riconoscerne i lineamenti nelloscurit sommessa della notte. Gli uomini si appoggiarono al muro della casa dinanzi a me, quasi immobili, e si misero in attesa per quello che sembr un tempo lunghissimo. Poi giunse improvviso un tramestio di passi veloci e con profondo stupore vidi provenire da via Cardine altri sette uomini che offrivano un bizzarro spettacolo: camminavano a due a due portando

sulle spalle, con estrema fretta, delle casse di legno simili a bare, sebbene di dimensioni pi contenute. Il settimo uomo, che guidava il drappello, era riconoscibile dagli altri e doveva senza ombra di dubbio essere il capo della misteriosa banda: lo vidi mentre impartiva ordini svelti agli uomini, che depositarono con attenzione le casse ai piedi di una delle fontane. Notai di sfuggita un lieve bagliore al petto delluomo; doveva trattarsi di una spilla, o di un orologio da taschino. Con rapide mosse osservai i due uomini che erano arrivati per primi chinarsi a lato di una delle figure mostruose della fontana, mezza donna e mezza pesce, e con un rumore sordo alzare qualcosa che poteva essere una grata, o un tombino, ma di cui, durante le mie peregrinazioni diurne, non mi ero mai accorto. Era troppo buio per osservare con chiarezza, ma dalla zona doscurit vicino ai due uomini che doveva essere il foro appena aperto, sentii una voce gutturale chiedere in greco: Treis?, mentre luomo che impartiva gli ordini rispose veloce: kra. Dopo questo breve scambio di parole i due uomini che avevano tirato su la grata scomparvero, calandosi attraverso il pertugio. Gli altri sei, a un cenno del capo, raccolsero le casse di legno e, adagio, le passarono attraverso lapertura sotterranea. Dopo aver fatto, con un rumore metallico, rimisero quella che doveva essere la grata al loro posto e si allontanarono. Aspettai circa unora, accovacciato nel buio col respiro affannato, le mani tremanti e sudate per leccitante scoperta a cui avevo appena assistito. Poi mi alzai guardingo e mi diressi silenzioso verso la fontana dove i neri individui avevano calato le casse. Mi prodigai a cercare la grata, o un passaggio, o un perno che potesse smuovere la fontana, ma dopo circa mezzora di inutili tentativi decisi di ritirarmi sconfitto, complice dellidea che potessi essere sorpreso sul fatto dai misteriosi contrabbandieri. Il giorno dopo, con aria da turista o da passante casuale, esplorai di nuovo ogni centimetro della fontana, per quanto fosse possibile farlo senza attirare troppo lattenzione, ma anche stavolta non riuscii a venire a capo dellenigma; gli uomini avevano agito cos velocemente e le tenebre erano cos fitte che non ero riuscito a scorgere perfettamente lingresso di quello che, a quanto credevo, doveva essere lentrata di un magazzino sotterraneo in cui venivano depositate merci di contrabbando. Lincredibile voglia di risolvere il mistero mi port a spiare la fontana per le tre notti successive, ma senza risultato. Non avevo idea di come proseguire le indagini, e per un momento fui quasi tentato di rivolgermi alla polizia. Ma mi avrebbero creduto? O forse avrebbero liquidato il fatto come le farneticazioni capricciose di uno straniero? Lo scambio che avevo osservato era reale o solo il frutto della mia sfrenata immaginazione, gi sollecitata dagli studi dellocculto e dalle leggende che avevo seguito negli ultimi giorni? Possibile che mi fossi sognato lavvenimento? E con questi pensieri e con le strane e arcaiche leggende che mi frullavano nella testa, che mi diressi il 26 dicembre 1908, come tutte le mattine, verso piazza del Duomo, dove avvenne il misterioso incontro con luomo che cambi per sempre la mia esistenza . III Il misterioso uomo Sedevo, mezzo assonnato a causa del mio peregrinare notturno, in uno dei caff del Duomo, sorseggiando un amaro e leggendo un gazzettino locale. Il tempo era sereno e la giornata, per essere pieno inverno, davvero splendida. Rimuginavo sui fatti e sulle leggende di cui ero venuto a conoscenza, e sullo strano avvenimento che mi era capitato la sera prima: ero quasi convinto di essermi immaginato tutto, di aver avuto una sorta di allucinazione notturna; probabilmente il troppo studio e la grande stanchezza avevano acuito la mia percezione sensoriale, portandomi ad immaginare fatti mai davvero accaduti. Mi accinsi a pagare quando il barista, generoso uomo sui cinquantanni, mi porse una busta di carta che recava il mio nome. Chiesi incuriosito chi lavesse mai recapitata e luomo con unalzata di spalle mi rispose di non saperlo, affermando di averla trovata il mattino presto allapertura del caff,

e di averla conservata perch vi era scritto il mio nome, dato che oramai ero un cliente abituale e di una certa fama. Oltremodo incuriosito, dopo aver consegnato alluomo la somma dovuta e una lauta mancia, uscii dal locale e aprii con estrema cautela la busta di carta. Conteneva un singolo foglio sul quale era scritta una semplice frase: Esimio professore G.D. non ho potuto far a meno di notare le sue spasmodiche ricerche. Lattendo questoggi a mezzogiorno in Piazza dellImmacolata; mi raggiunga e sapr di pi a proposito dei nostri contrabbandi. Rimasi basito per qualche minuto: il misterioso corrispondente conosceva il mio nome e doveva essere sicuramente partecipe delle mie abitudini, poich guardando lorologio mi accorsi che mancavano pochi minuti allo scoccare dellora dellappuntamento; di solito uscivo dal caff proprio verso mezzogiorno. Fatto ancor pi strano che piazza dellImmacolata si trova proprio a ridosso delle spalle del Duomo, e che se mi si conosceva cos bene o se davvero mi si voleva dare appuntamento, sarebbe bastato entrare nel caff dove facevo colazione tutte le mattine, e sedersi al mio tavolo. Ma probabilmente luomo non voleva farsi riconoscere e forse era quello il motivo probabile di tanta segretezza. Mi incamminai di fretta verso il luogo dellappuntamento; girato langolo del campanile sinistro del Duomo notai con dispiacere che la piazza era completamente deserta, se non per la maestosa statua della Madonna portata in processione dalle Varette. Mi diressi verso lo stupendo esemplare scultoreo con fare deluso quando notai, in un angolo che dava verso lantica piazza del Municipio, uno strano figuro. Era quasi nascosto fra una colonna di pietra e una piccola cancellata in ferro, e appena lo vidi mi fece cenno di avvicinarmi; arrivato pi vicino osservai con stupore che indossava anchegli lo strano pastrano di foggia nera, uguale in tutto e per tutto a quello dei misteriosi contrabbandieri. Luomo mi prese per un braccio (notai come la stretta del suo guanto di pelle fosse ferma e solida) e mi stratton al di la dellantico cancello; dopo aver frugato velocemente allinterno del vecchio pastrano estrasse un affollato mazzo di chiavi dorate. Dopo aver trovato quella giusta chiuse il cancello dietro di noi e mi condusse allinterno del palazzo, in un piccolo patio antico. Ero troppo stupito per proferir parola, e quando mi volsi verso la piazza osservai stupito che era ancora deserta; nessuno ci poteva aver visto. Quando osservai con maggior precisione luomo vidi che indossava sul capo lo strano cappello a tre punte; mentre rimetteva rapidamente il mazzo di chiavi al loro posto, in una delle tasche interne del vecchio mantello, lo sguardo mi si pos sulla curiosa spilla dorata che aveva appuntata sul petto: un triangolo doro e al centro un cerchio concentrico che ricordava forse un qualche segno cabalistico o massonico che gi dovevo aver visto da qualche parte passeggiando per le vie di Messina. Feci per parlare ma luomo alz il braccio, intimandomi il silenzio con lindice. Notai che il volto delluomo mostrava bei lineamenti: era rasato con cura, e sotto la pelle abbronzata si nascondevano il sorriso e i modi di un gentiluomo daltri tempi. Il misterioso uomo non profer parola e mi fece cenno di seguirlo allinterno del palazzo, dove notai come il portico delledificio fosse deserto mentre il cortile interno proseguiva sfuggevole in un vicolo sulla destra. Dopo aver superato un angolo ombroso nascosto da alcuni rododendri si lo strano figuro si ferm a frugare dietro a una colonna in stile dorico da dove estrasse un pastrano simile al proprio. Dopo avermelo consegnato, mi fece gentilmente cenno di indossarlo; poi, frugando dallo stesso nascondiglio, tir fuori un paio di guanti, lo strano cappello a tre punte e infine un minuscolo fazzoletto, che conteneva la spilla dorata. Non senza preoccupazione e dubbi mi resi conto che dovevo passare in tutto e per tutto per uno dei misteriosi contrabbandieri. Mentre indossavo gli abiti di strana foggia mi accorsi con un brivido di paura che il suono della citt era ovattato se non assente; riuscii solo a percepire lo zampillio dellacqua che usciva dalla bocca di una fontana incastonata in un muro e scolpita nelle sembianze di un piccolo tritone.

Fui destato dagli strani pensieri dalluomo silenzioso, che mi fece cenno di seguirlo, e che con uno svolazzo si lanci nel vicolo alla nostra destra dove il cortile lasciava il posto a una stretta stradina che si insinuava fra due antichi palazzi rinascimentali. La misteriosa guida svolt fulminea in un antro a sinistra per poi tuffarsi velocemente in un cunicolo oscuro sulla destra, tanto che dovetti affrettare il passo per non perderlo di vista; pi e pi volte attraversammo di fretta antichi cortili, e minuscoli passaggi allombra di balconi di marmo scolpiti; Spesso sui lati della strada, ora larga ora stretta, si affacciavano stretti portoni di spesso legno o colonne ioniche di bianco marmo su cui erano incastonate figure mostruose. A semplici edifici di pietra bianca se ne alternavano altri che dovevano risalire al tardo 600, mentre il dedalo di vicoli e viuzze si faceva man mano pi fitto e inestricabile; sognante mi resi conto che stavamo attraversando una parte di citt che mai avevo esplorato e che non poteva esistere, n essere segnata su alcuna mappa o cartina. Mi fermai sconvolto, impotente e spaesato di fronte a quella Messina dombra che si nascondeva fra i palazzi del centro, ma la guida silenziosa mi chiam inesorabile, e fui spronato a proseguire senza troppo tempo per riflettere. Dopo diversi saliscendi su alcune strette scalinate coi corrimani, luomo si tuff in oscuro pertugio sulla nostra sinistra: ci ritrovammo in un altro cortile, molto pi piccolo e intimo del primo, allombra di ampie colonne di fattezza romana. Anche qui un vecchio cancello proteggeva il vestibolo dove ci trovavamo dallo sguardo di occhi indiscreti. Aldil delle sbarre arrugginite di ferro battuto percepii lontano il trambusto familiare della Messina che conoscevo. Luomo mi guard fisso per alcuni secondi, poi si frug allinterno del pastrano e ne estrasse due lettere, attendendo che le leggessi: Esimio professore, non ce tempo per darle altre spiegazioni; se vuole davvero avere unidea dei nostri scopi faccia come le dico: oltre il cancello, sulla sua sinistra, trover una vecchia scalinata. La scenda e dopo la terza rampa trover la via sbarrata da un pesante portone di legno; bussi tre volte. Le sar chiesta la parola daccesso che gi ha avuto modo di carpire la notte in cui ha assistito allo scambio. Una volta allinterno un uomo le chieder il motivo della tua visita. Gli porga il secondo messaggio. Con un po di fortuna trover ci di cui ha bisogno per comprendere appieno i nostri misteriosi disegni. Ancor pi incuriosito aprii il secondo messaggio dove due sole misteriose parole erano scritte con inchiostro nero: Volume CCCXXXIII Alzai lo sguardo sul mio furtivo compagno, quasi a volergli porgere un silenzioso interrogativo. Lui mi guard, si avvicin furtivo e mi prese le spalle con le sue mani dacciaio: apr la bocca e con bieco terrore e profondo sgomento notai che la lingua era stata brutalmente recisa. III La biblioteca Luomo estrasse di nuovo il mazzo di chiavi e dopo aver aperto il cancello si volt, e con un fruscio e scomparve nel labirinto di vicoli che attendeva vorace dietro di noi, lasciandomi basito e senza fornire ulteriori spiegazioni. Fattomi coraggio, e mosso dallinfinita voglia di venire a capo degli strani fatti che mi erano capitati, uscii silenziosamente dal cortile, chiudendomi il cancello alle spalle con delicatezza. Mi accorsi di essere in una stretta via secondaria che gi avevo percorso durante le mie passeggiate alla scoperta della citt, un piccolo passaggio poco frequentato vicino piazza del Municipio. Svoltai rapidamente a sinistra, cercando di non dare nellocchio, dato che, abbigliato in tal guisa, avrei potuto certamente attirare lattenzione indesiderata di qualche passante; eppure nessuno sembrava far caso al mio passaggio, come se loscuro mantello e il cappello a tre punte mi garantissero una sorta dinvisibilit dallo sguardo delluomo comune.

Come la silenziosa guida mi aveva suggerito, scovai facilmente limpervio e umido passaggio stretto, una rampa di scale che si tuffava gi, nelle profonde tenebre; si trovava a fianco di un negozio dimesso da parecchi anni e di una saracinesca grigia e sbarrata, e corrispondeva in tutto e per tutto allo stretto vicolo che nessun passante imbocca mai per caso. Cercando di rincuorarmi iniziai cauto linfernale discesa, contando gli scalini percorsi uno a uno, e arrivato alla terza rampa mi fermai: la scalinata proseguiva sempre pi gi, in chiss quale mefitico abisso o sotterraneo, ma alla mia destra si apriva, con mio sommo sollievo, un portone di legno su cui vigilava un abbaino di stampo nordico. Come daccordo mi avvicinai e bussai tre volte; dopo un sommesso rumore di passi si apr una serrata con un rumore graffiante dietro la quale due occhi vitrei e indagatori mi scrutarono per parecchi secondi. Nonostante le fitte tenebre scorsi con precisione che luomo che mi osservava era cieco da un occhio, e per un secondo fui assalito dal pi nero panico, incapace di muovere un singolo muscolo. Possibile che il misterioso corrispondente non avesse pensato al fatto che potessi essere riconosciuto? Che potessi essere identificato come estraneo? A quel punto, prima che la grinzosa bocca dietro il portone proferisse parola, immaginai decine di orribili e dolorose sorti che mi sarebbero potute capitare in caso fossi stato smascherato, ognuna pi raccapricciante dellaltra: Treis? Destatomi da quel breve incubo risposi con laltra parola che gi avevo udito la notte dello scambio: kra. Uno sferragliare di chiavistelli e serrature mi accolse nellumida e oscura anticamera. La figura che aveva aperto il pesante portone era ingobbita e vecchia, e vestiva come gli altri adepti della misteriosa congrega. Dopo aver chiuso il portone con un polveroso tonfo luomo armeggi con una torcia appesa al muro: il locale era maleodorante, umido, angusto e rischiarato a malapena. Con un cenno dellanziano uomo, che notai essere zoppicante, fui guidato lungo un soffocante corridoio che proseguiva in leggera discesa per parecchi metri sotto la terra, sino a una piccola anticamera circolare su cui si trovavano tre porte chiuse. Da una delle porte percepivo chiaramente il trambusto che si conviene a una festa rumorosa: risa, grida e conversazioni ad alto volume, mentre ogni tanto si poteva intuire il sinistro rumore di scroscianti applausi; da uno degli altri due rimanenti ingressi era possibile udire un ronzio sommesso e continuo, simile a quello prodotto da un generatore elettrico che funziona senza posa. Luomo ingobbito, che sembrava non far caso ai rumori, si ferm, e si diresse verso un poderoso tavolo di quercia su cui erano poggiati alcuni antichi volumi e delle chiavi arrugginite. Notai un calamaio, un pennino, e quando luomo si sedette, non senza difficolt, lo vidi appuntare alcune note su uno dei tomi dalla carta giallastra. Poi il vecchio alz interrogativo lo sguardo su di me; anche nelloscurit fui intimorito dalla cecit macabra e parziale di quella sorta di grottesco guardiano. Mi ricordai del secondo messaggio che ancora stringevo con forza tra le mani sudate. Glielo porsi, pregando iddio che non si accorgesse che tremavo dalla testa ai piedi, e quando con una rapida occhiata lo lesse, si alz spazientito. Mi guid sino alla terza porta, che apr con entrambe le mani: notai che non era chiusa a chiave mentre i cardini ben oliati ne permisero lapertura con estrema facilit; questi piccoli indizi mi indicarono che il passaggio sotterraneo doveva essere probabilmente molto frequentato. Luomo claudicante mi guid lungo un corridoio illuminato da lampade a petrolio sino a un meraviglioso ed ampio ingresso intarsiato che dava su un incredibile locale. Ci trovavamo in unenorme stanza dallaltissimo soffitto: arcate a tutto sesto reggevano una volta secolare di vetusta pietra su cui erano dipinte fini scene di caccia e di tortura. Il vasto locale, illuminato dallincedere ripetuto di candelabri a tre braccia, ospitava immensi scaffali lignei, su cui riposavano migliaia di vecchissimi volumi di svariate fogge e dimensioni; passando fra gli innumerevoli libri osservai con sommo gaudio le opere di poeti e filosofi greci e latini, i trattati scientifici di scienziati e luminari di qualsiasi epoca ed estrazione, la presenza oscura

e ben fornita di grimori sullocculto e sulla magia nera, e poi annuari, bibliografie e importanti opere storiche dei massimi dotti e studiosi mai conosciuti. La biblioteca in cui mi trovavo era uninestimabile patrimonio di ricchezza e di cultura come mai avevo visto, pari forse alle leggendarie biblioteche perdute di Pergamo e Alessandria, custodi di arcani saperi e innominabili conoscenze. Mentre il silenzioso bibliotecario mi accompagnava zoppicando, notai come la sala fosse gremita da centinaia di figure scure che leggevano o riposavano su polverosi divani, consultando gli scritti ingialliti alla luce delle tremolanti candele. Inorridito fissai il volto di alcuni avventori: il loro viso era nascosto da bianche maschere davorio dai lineamenti ora malvagi ora malinconici, e lunica cosa che rendeva reali i diabolici volti era lincessante muoversi degli occhi intenti alla lettura. Ma non fu lunico motivo del mio profondo ribrezzo: passando accanto a uno dei misteriosi lettori fui quasi paralizzato da una superstiziosa paura quando sentii il volgare suono in cui si esprimevano, una sorta di sibilo atono e continuo, irreale, che li rendeva pi simili a forestiere entit aliene che ad esseri umani in carne ed ossa. La luce tremula delle candele, insieme ai soffusi bisbigli che provenivano dal di sotto delle perlacee maschere, creava al tempo stesso una scena meravigliosa e terribile; lesistenza di quel luogo mistico escludeva ragionevolmente la possibilit che la congrega fosse una semplice organizzazione criminale dedita al contrabbando ma dava bens adito alle pi orrende ipotesi. Le implicazioni della congrega potevano essere moltissime e misterioseero penetrato nel cuore di una societ segreta che doveva operare da secoli o addirittura millenni, muovendosi come un fantasma invisibile allocchio delle autorit; sugli scopi dellarcaica setta o su come essa fosse implicata nelle mie ricerche non avevo ancora nessun indizio, ma una cosa era certa: luomo mutilato che mi aveva condotto sin qui mi aveva scoperto mentre ficcavo il naso nei loro affari e per un oscura motivazione mi ci aveva introdotto senza fornirmi spiegazione alcuna. Passammo fra centinaia di polverosi scaffali, orientandoci pi volte grazie ad arcaiche iscrizioni in una lingua a me sconosciuta, simboli esoterici e numeri matematici incisi sulla parte frontale delle scaffalature che aiutavano il ricercatore a districarsi in quellincredibile matassa di tomi e volumi. Infine ci fermammo dinanzi a un alto scaffale: luomo scrut attentamente uno dei vecchi ripiani, passando lindice fra i vari volumi, finch con uno sbuffo spazientito non trov quello giusto. Vidi di sfuggita che sul dorso in antica pelle del grimorio era segnato un numero romano, sicuramente lo stesso del biglietto che gli avevo consegnato. Lorribile zoppo mi pass il libro con un gesto stizzito, e con un grugnito mi condusse verso luscita. Tornammo in breve tempo allanticamera secolare, e dopo aver chiuso la porta dietro di noi il vecchio si sedette e con noncuranza torn ai suoi studi. Capii di aver ottenuto ci che luomo senza lingua voleva che trovassi, e mal celando una certa calma mi avviai senza proferir parola verso le scale, stringendo il libro con forza sotto il mio braccio sinistro. Una volta fuori, alla luce del sole, mi incamminai spedito verso lalbergo, senza pensare, non prima di aver tolto il grottesco cappello. Mi aspettava sicuramente una lunga ed ardua lettura.

IV Il Tomo In albergo non persi un singolo minuto a riposare: tolto lo scomodo mantello e poggiatomi su uno dei divani della piccola camera, iniziai a esaminare con calma il vecchio tomo. La copertina era spessa, consunta, di antica pelle e senza alcun titolo, mentre le pagine gialle e ruvide erano ben conservate; le sfogliai con attenzione, cercando di interpretare uno dei capoversi in latino che iniziavano la prima pagina: Fatti, Prove et Testimonianze nel Sommo Processo et Inquisizione del Santo Uffizio Romano di Rito Spagnolo contro Donna Annunziata di Calenda, accusata di eresia et malaria, riti diabolici et pagani, stregoneria e poi una data: Anno Domini MDCXCIII Il testo che seguiva era una difficile commistione di testo in spagnolo e latino riportato a mano, mentre alcune espressioni, redatte nelloccasione di interrogare alcuni testimoni siciliani, erano trascritte in siciliano volgare. Mi trovavo fra le mani un incartamento processuale del 1693 contro una presunta strega del tempo; sfogliando con cura il tomo notai la presenza di diverse testimonianze, mentre la parte pi corposa del libro consisteva nella descrizione certosina degli interrogatori a carico dellimputata, accusata di stregoneria, e di chiss quali orribili fatti. Mi accinsi a iniziare la difficile traduzione e lettura, conscio di avere la chiave di volta che collegava quel lontano processo di eresia del milleseicento con le mie ricerche sulla storia occulta della citt. V Il terremoto del 1693 e Donna Annunziata di Calenda Il resoconto iniziava con la testimonianza di un pescatore originario di Capo Peloro, tale Don Giovanni Minico, che il lontano 11 gennaio 1963 tornava dalla caccia al pescespada nelle turbinanti acque dello Stretto. Luomo non si era avventurato in mare da solo, bens in compagnia di quattro uomini che prestavano servizio come rematori, e di cui non fu riportato il nome, e un quinto, tale Padron Simuni, che lavorava come lanzaturi, ovvero colui che doveva catturare il pesce con un arpione di ferro. Quel freddo pomeriggio di gennaio la pesca era stata molto sfortunata, tanto che il piccolo equipaggio non era riuscito ad avvistare uno solo dei maestosi pesci che fendono le acque fra lo Ionio e il Tirreno, in quel posto unico al mondo noto come Capo Peloro. Passata la mattina il mare si era ingrossato, con le scure acque che ribollivano rabbiose, e anche il cielo si era fatto plumbeo, rabbuiandosi beffardo. Le pessime condizione del mare costrinsero Don Minico a guidare il veloce luntro, la secolare e rapida barchetta che veniva usata nella coraggiosa caccia al pescespada, verso le pi sicure acque della costa. Il vento spirava forte e le onde si facevano sempre pi alte e poderose. Fu a riva, mentre i sei uomini si davano da fare per trascinare il lustro sulla spiaggia accanto alle piccole imbarcazioni degli altri pescatori, che Don Minico avvert il primo diabolico segnale della tragedia. Un sordo brontolio, come quello di uno stomaco gigantesco che riposa sotto la terra, annunci limprovviso terremoto, una scossa tellurica che lasci gli uomini di Don Minico paralizzati, con le gambe immobili, sudando. I pescatori si fecero ripetutamente il segno della croce, mentre la terra continuava a tuonare. Poi per qualche minuto fu assoluto silenzio, interrotto repentinamente dal

gorgoglio dello Ionio che si era ritirato per qualche metro soltanto, e che ritornava affamato verso la costa. Fortunatamente le scosse erano state leggere e brevi, ma erano bastate per seminare il panico e attrarre la gente fuori dalle loro minuscole abitazioni. Il villaggio di pescatori di Capo Peloro era formato per lo pi da minuscole baracche di legno e solo in qualche caso da bianche casette di pietra adagiate sulla costa, nel punto in cui si incontrano i due mari della Sicilia. I danni riportati alle abitazioni erano stati lievi, ma gli abitanti del luogo si erano riuniti gridando per pregare nellunica piazzetta del villaggio, quella che ospitava il vecchio santuario del 1400 intitolato alla Santissima Madonna della Lettera, protettrice della citt; il curato dellepoca, Padre Carmine Giacinto, calm la folla preoccupata davanti al piccolo sagrato lastricato del santuario, e la invit con calma a pregare la Madonna. Anche Don Minico, coi suoi, dopo aver assicurato il piccolo luntro il pi possibile vicino al villaggio si riun alla preghiera. Dopo alcune ore, scongiurato il pericolo di scosse telluriche pi forti, Padre Carmine disperse la folla con le mani alzate, benedicendola, e pregando il signore Iddio e la santissima Madonna di risparmiare la povera popolazione di Capo Peloro da un altro terribile capriccio della terra. Congedati i suoi uomini, non prima di averli raccomandati di portare qualche pagnotta e due fiasche di vino per la colazione, Don Minico si avvi passeggiando verso casa; si stava facendo tardi e lindomani si sarebbe dovuto alzare ben prima dellalba. Scuro in volto, a causa della pesca andata male pi che per la minaccia della terra, il pescatore svolt in una delle tanta stradine sterrate del villaggio e precisamente in una di quelle che giugevano brevemente alla sua baracca, adagiata poco pi su verso le pendici del colle, quando sent dimprovviso le urla strazianti di una donna provenire da una casetta alla sua sinistra. Don Minico,incuriosito, si avvicin quatto e silenzioso alla finestra socchiusa che si affacciava sulla minuscola stradina sterrata; la casa, se ben ricordava, era quello di Don Nicola e della sua giovane e bella mogliera, Donna Mina, che molte malelingue in paese sospettavano essere in cinta da mesi. Le urla che provenivano dallabitato erano forti e terribili, ma non erano solo della donna: Don Minico, accovacciato sotto la striminzita finestra, ud una voce vecchia e rauca intonare una misteriosa e incomprensibile litania; la stessa orribile voce produsse degli strani versi, simili a quelli di qualcuno che sputa o scatarra e poi tira su col naso. Ancor pi incuriosito e incapace di trattenersi, Don Minico si sporse allungando leggermente il collo e con la mano scost di poco la finestrella scrostata dalla salsedine. Luomo dovette far ricorso a tutta la sua volont e pregare dieci volte la Madonna per non gridare oltraggiato alla diabolica scena che si stava svolgendo. Donna Mina era appoggiata a una cassapanca, in piedi, leggermente inclinata con la schiena, e si reggeva stringendo le mani che Don Minico vide tremare come leggeri fuscelli; la donna era nuda, col prosperoso seno maturo che le cadeva sul pancione gonfio. Le gambe della donna erano larghe e imbrattate di sangue, mentre il volto digrignato accusava uno sforzo tremendo col quale Donna Mina cercava di portare al mondo la sua travagliata creatura. Ma non era la donna, o lassenza del marito (dato che era usanza del tempo partorire assistite solamente da donne) a impaurire Don Minico bens la presenza scura e ingobbita alle ginocchia di Donna Mina che instaurava nel pescatore il pi bieco e superstizioso terrore. La terribile maliarda inginocchiata di fronte a Donna Mona era coperta da un drappo nero sporco e bisunto, e mentre si muoveva sibilando come un serpente, Don Minico not costernato che sotto il cencioso straccio non portava altro: la carne vecchia e flaccida della vecchia era tremula, bianca e oltraggiosamente nuda. Quando lorribile Majara si alz in piedi e singinocchi subito, battendo tre volte i palmi grinzosi delle mani sul capo, Don Minico, rapito, riusc a scorgerle la zona scura allinterno delle cosce e con orrore e imbarazzo si accorse di avere una robusta e sacrilega erezione spontanea. Danzando come un demonio, la vecchia beffarda orchestrava lantico rito sibilando una superstiziosa litania a denti stretti, che fece rizzare i peli al vecchio pescatore. Le urla di Donna Mina si fecero pi forti, lo sforzo ancor pi tremendo: il bambino era quasi uscito ed era possibile

scorgere la testa coperta di sangue. Ma cera qualcosa di anomalo, che non quadrava e Don Minico dovette stringere il suo crocifisso di legno per non farsela nei calzoni: la testa del nascituro era deforme, allungata, mentre gli occhietti tondi, troppo sferici per essere quelli di una normale creatura del Signore. Il pescatore dovette credere di essere impazzito, quando gli sembr di vedere dei profondi e minuscoli tagli laterali sul collo della sfortunata creatura. Immobile per minuti che sembravano interminabili, col sangue delle vene ghiacciato, Don Minico assistette alloltraggioso parto. La Majara prese dal tavolo alcune foglie di valeriana e le fece ingurgitare alla sua sprovveduta paziente; poi si arm di un crocifisso rovesciato, su cui si agitavano forme diaboliche e lo diede da baciare alla povera donna. Con un ultimo grido il deforme bambino venne alla luce emanando un tanfo doltretomba: le braccia erano lunghe e sinuose, il corpo squamoso e repellente mentre le gambe piatte e simili a una coda biforcuta. Con un grido e una risata simile a quella di una nera meretrice, la vecchia strega si sciolse i capelli unti e corvini che le caddero sino alla vita e si scopr il flaccido seno, portando le labbra deformi del bambino vicino alla ciste maleodorante del suo capezzolo: la neonata creatura diede la sua prima beffarda poppata. Poi, con un gesto teatrale, la vecchia scatarr sulla testa del bimbo e la accarezz coi suoi artigli deformi; infine frug allinterno della veste malandata dove armeggi con un sacchetto di cuoio che, Don Minico lo sent tintinnare, conteneva parecchie monete. La Majara lo porse a Donna Mina, che accett tremando, e corse a nascondere il danaro dentro la cassapanca. Don Minico stava per metter mano al suo coltellaccio, deciso a porre fine a quella scena maledetta, quando la vecchia, col bambino al petto avvolto dalla veste nera, si accinse verso luscita. Il pescatore si nascose dietro langolo della bianca casetta, in attesa: forse non era compito suo sgozzare la vecchia e sarebbe stato certamente meglio riferire laccaduto a Don Carmine che avrebbe sicuramente saputo il da farsi. Don Minico aspett, immobile, che la vecchia uscisse, per poi seguirla a circa venti passi di distanza; prima interpellare Padre Carmine, e confessarsi tre volte per linfernale nascita a cui aveva assistito, voleva scoprire il luogo in cui dimorava la vecchia Majara. La segu meglio che potea lungo il colle, che si erpicava brullo e scosceso sino a una macchia scura di abeti mediterranei. Il cielo era oramai scuro e il vento frusciava sinuoso tra i rami artritici e gli arbusti gialli del sottobosco; nonostante la salita scoscesa fosse molte faticosa la megera non dimostrava affanno e anzi procedeva agile e veloce come un gatto. Don Minico fece attenzione a fare il meno rumore possibile, evitando i ramoscelli pi secchi, camminando accorto e silenzioso, nascondendosi ora dietro dei massi ora dietro una macchia di carrubi, e pregando la Santissima Madonna che la vecchia megera non si accorgesse di essere seguita. Man mano che si arrampicavano sul colle laria si faceva pi gelida e latmosfera pi pesante; giunti in un punto dove la vegetazione era quasi inestricabile Don Minico vide che la Majara si dirigeva verso una vecchia villa padronale diroccata, dove entr dal portone penzulo della facciata anteriore. Il pescatore si avvicin silenzioso, facendo pi volta le corna e toccando ripetutamente la croce di legno: si trovava al cospetto della casa del demonio ed era meglio fare gli scongiuri. Appena la Majara fu entrata Don Minico la sent conversare con unaltra persone con la sua voce rauca e al tempo stesso suadente; il pescatore riusc a carpire le seguenti parole: Donna Annunziata Calenda, mia padrona, accarezzatami il capo preg una voce maschile. Striscia cane, fai comio ti dico e sarai ricompensato inve la diabolica vecchia. Avvicinatosi, lintrepido pescatore si mise a sbirciare da uno dei fori voraci che si aprivano nelle mura della villa: il grande stanzone dove alloggiava la vecchia era vecchio e polveroso, coperto di ragnatele e abbandonato in uno stato di caotica confusione. In un angolo si trovava un lavabo, e al centro della stanza un tavolo di legno scuro con tre gambe sbilenche; sui muri erano fissati in malo modo alcuni scaffali, ricolmi di boccette delle pi varie forme e dimensioni, antichi volumi e animali impagliati. La stanza era scura, ma quando la strega ebbe acceso un lumino Don Minico scorse con chiarezza quattro uomini, nudi come vermi e con le vergogne al vento, legati al collo con catene arrugginite

che strisciavano frignando verso i piedi della fattucchiera; due di essi dovevano essere senzocchi perch continuavano a sbattere il capo contro il muro, cercando la padrona come ciechi cani da compagnia. Un altro leccava avidamente le scarpe della Majara, mentre lultimo le prometteva eterno amore e la scongiurava di sposarlo. In un angolo semibuio della stanza Don Minico scorse una gabbia arrugginita, simile a quelle usate per ospitare pappagalli o canarini, ma leggermente pi ampia; la vecchia lapr cigolando e sul letto di paglia sporca lasci a riposare il mostruoso bambino. Poi con sacrileghe bestemmie apr un anfora scheggiata e il lezzo di marcio del suo contenuto per poco non fece svenire il povero Don Minico: conteneva della carne avariata, che con un gesto di irriverente divertimento la donna lanci ai quattro prigionieri, i quali si avventarono sul ributtante pasto come bestie feroci e affamate. Fu troppo, e Don Minico si diede alle gambe, recitando lAve Maria e pregando il Signore. V Indagini Quando Don Minico giunse al paese era passata da un pezzo lora di cena. Le comari mettevano a riposo i bimbi, i mariti si attardavano per fumare un po di tabacco o bere qualche bicchiere di vino rosso prima di ritirarsi a dormire in vista dellalba, mentre gli anziani confabulavano su sedie di paglia, discutendo animatamente delle scosse della terra e del tempo avverso. Affannato, sudato, con gli occhi fuori dalle orbite, il vecchio Don Minico stramazz sul sagrato della chiesa della Santissima Madonna della Lettera; con voce affaticata chiam Padre Carmine, il curato, che affacciatosi da una delle porticine del santuario corse a soccorrere luomo bisognoso. Chiamata a gran voce la perpetua che aiutava il prete nelle faccende domestiche, Don Minico fu trascinato faticosamente a sedersi nel piccolo alloggio austero di Padre Carmine. Qui gli fu offerto un bicchier dacqua, ma Don Minico rifiut con educazione chiedendo con cortesia un po di vino rosso che potesse rincuorarlo e scaldargli il corpo. Incuriosito dal comportamento del vecchio pescatore, che sembrava terrorizzato, lanziano padre domenicano acconsent con un cenno del capo, e quando Don Minico si fu affrancato con un po di coraggio liquido, il prete non pot esimersi dal chiedere il motivo di tale urgente visita e quale fosse la causa di tanta paura. Don minico si fece il segno della croce e incominci a blaterare frasi senza senso, riferendo al padre che ci che aveva visto era frutto del dimonio e di perdonarlo, e di volersi infine confessare poich il suo cuore di uomo povero e caritatevole non poteva sopportare di tenersi dentro una cos terribile storia. Sedutosi di fronte al pescatore Padre Carmine calm e confort luomo, e lo invit a procedere con calma: che mai poteva aver visto di tanto raccapricciante da interromperlo proprio durante lora della preghiera serale? Ma quando Don Minico inizi il racconto, e man mano che questi si faceva sempre pi orribile, la fronte pelata dellanziano padre si imperl di sudore, e dopo aver congedato con un gesto la perpetua, che impaurita si era messa a stringere il rosario fra le mani, Padre Carmine non pot esimersi, dopo aversi fatto il segno della croce, dal bere qualche poderosa sorsata di vino rosso. Quando il pescatore ebbe finito il lungo racconto Padre Carmine era incredulo, e chiese ripetutamente a Don Minico se avesse inventato nulla, perch unaccusa s pesante non era da prendere a cuor leggero e poteva avere ripercussioni tremende sulla comunit, ma il vecchio pescatore neg accoratamente. Il curato chiese quindi al pescatore di ripetere per una seconda e poi una terza volta la terribile narrazione, fermando ogni tanto il pover uomo per porgergli domande su questo o quel dettaglio, chiedendo informazioni accurate sulle parole e i gesti della Majara, e in via definitiva, per capire se Don Minico stesse mentendo o se si fosse inventato tutto. Ma il racconto delluomo era sempre preciso e impeccabile; dopo averlo confessato ( e Don Minico fu ben accorto dal rivelare i dettagli sullinvolontaria erezione), Padre Carmine si decise a intervenire domattina stesso: se si trattava della diabolica arte majara era necessario informare il

Santo Uffizio di Messina, e forse lArchimandrita stesso, ma prima di farlo erano necessarie delle prove certe e degli indizi sicuri, perch il flagello del Signore non si sarebbe abbattuto inutilmente per una folcloristica storiuncola di paese. Presi accordi per non diffondere la storia e non proferir parola a niuno, i due uomini promisero di vedersi lindomani mattina allalba per cercare di risolvere la questione. Ne luno n laltro riuscirono a dormire. Il giorno seguente la foschia mattutina copriva le vicine coste della Calabria, che distava solo due miglia sicule; il paese era gi sveglio, e mentre gli uomini uscivano per spaccarsi la schiena le donne si affaccendavano nei quotidiani mestieri di casa. Il prete e il pescatore si incontrarono vicino casa di Donna Mina; gli accordi erano quelli di ottenere la prova oltraggiosa della vendita del figlio della donna alla Majara che si nascondeva sul colle. Quando Donna Mina apr luscio non riusc a nascondere un moto di terrore alla vista del prete, che si fece largo allinterno della piccola casetta senza accampar scuse. La donna, bianca come un cencio, protest pi volte, cianciando e ripetendo di aver parecchio da fare quella mattina, ma quando il prete la costrinse a sedere guardandola con occhio inquisitore Donna Mina trem inorridita: aveva oramai capito che laver venduto il figlio al diavolo non era pi un mistero. Padre Carmine le fece diverse domande, per indurre la donna alla confessione, ma questa non profer parola. Quando Don Minico condusse Padre Carmine al cassapanco, dove trovarono circa dieci onze nascoste in un sacchetto di cuoio, la donna esplose in un pianto isterico, strappandosi i capelli e invocando perdono. Il sacchetto corrispondeva a quello visto da Don Minico la sera prima; lo scambio era ormai accertato e la donna fu condotta in lacrime alla chiesa del paese. Le malelingue iniziarono a rincorrersi: Donna Mina era impazzita, o malata, aveva ucciso il neonato o si era unita carnalmente col diavolo. Quando il marito irruppe furibondo in chiesa, incuriosito dalle comari che gli lanciavano sguardi in cagnesco e che al suo passaggio facevano le corna, la moglie aveva gi confessato tutto, come un torrente in piena, sotto la reale minaccia di essere bastonata pubblicamente sul sagrato del santuario. Don Nicola, sconvolto, non pot credere alle sue orecchie quando fu informato degli oltraggiosi fatti da Padre Carmine, e negando con tutte le sue forze di avere qualcosa a che fare con ci che era accaduto si accasci incredulo su una delle panche di frassino, in attesa che un ragazzo del paese venisse mandato a chiamare di corsa lufficiale di polizia spagnola. Il forte militare dellantica torre del faro, costruito gi in epoca romana, era posto a guardia dello Stretto proprio sulla punta estrema di Messina, nella zona dove la distanza fra Sicilia e Calabria minore; era presidiato da un ufficiale e quattro armigeri spagnoli che controllavano tutta la giurisdizione del quartiere di Torre Faro. Quando il giovane ufficiale arriv era gi sopraggiunto il pomeriggio e marito e moglie, luno silenzioso e affranto, laltra folle e oramai isterica, vennero messi temporaneamente agli arresti allinterno del santuario della Madonna delle Lettere. Dopo averli ammanettati e dato ordine alla perpetua di sbarrare il santuario per quel giorno (fatto che contribu ad acuire le voci e i bisbigli in paese) lufficiale di polizia, Don Minico, e Padre Carmine si recarono sul colle, per accertarsi che la dimora diabolica della Majara non fosse linvenzione di un paesano ubriacone. Si inerpicarono sul colle, attraversando linestricabile macchia di arbusti e rovi che proteggeva la villa padronale della Majara; latmosfera era pesante, carica di tensione, e quando furono sul posto Don Minico si fece il segno della croce, terrorizzato: davanti a loro si trovava lorrida casa, e i lamenti e le urla feroci che provenivano dallinterno non promettevano nulla di buono. Preparati allinevitabile i tre uomini irruppero nella casa del dimonio; se gi Don Minico aveva avuto modo di osservare larredamento decadente, gli oggetti sacrilegi della strega e di descrivere in modo particolareggiato a Padre Carmine lo stato penoso dei quattro prigionieri, lufficiale di polizia e il curato non erano pronti ad assistere ad una scena del genere: sul tavolaccio a tre gambe

in mezzo alla stanza la strega si stava nutrendo delle interiora di uno dei prigionieri, ancora vivo e sofferente, il cui ventre era stato squarciato con un coltellaccio arrugginito. In un angolo, rinchiusa in una gabbia, una creatura deforme piangeva di dolore.Don Minico inizi ad urlare impazzito mentre il padre farfugliava preghiere senza senso, gesticolando come un ebete; la Majara, sorpresa, li minacci col coltellaccio, agitandosi come una tigre in gabbia. Lufficiale, temprato da anni di duro servizio militare, non si fece intimorire: estrasse la sciabola ricurva per puntarla alla gola raggrinzita della Majara, che urlava come una cagna; gli altri due, riavutisi, aiutarono lo spagnolo ad accerchiare e soggiogare la vecchia donna, che scalciava e graffiava coi suoi artigli purulenti, lanciando imprecazioni ed orribili bestemmie che fecero penare il povero padre Carmine. Prima di riuscire a imprigionarla, e ad ammanettarla con due ceppi arrugginiti, la vecchia maliarda guard Don Minico in cagnesco e sibil un oscuro sortilegio: Che vi poscia rovinare il naso, e la bocca digrignare dal dolor con la minor lena! Che il fiato vi marcisca e il viso in ruina ti dia la maggior pena! Picchiata, trascinata dai capelli, presa a pedate durante tutta la discesa verso il paese, i tre uomini ridevano baldanzosi, forti del loro successo, scherzando e inveendo contro la vecchia Majara; ma gi arrivati alle soglie del piccolo centro urbano Don Minico si pieg in due, urlando in modo disumano. Quando alz il viso, il naso si era trasformato in una ciste ricolma di sangue, mentre piccoli bubboni verdastri della dimensione di un acino duva gli stavano crescendo sul volto; il tempo di arrivare in chiesa che il povero pescatore sputava sangue, e rantolava a fatica. Giunto dinanzi alla casa del Signore il curato, aiutato dalla perpetua accorsa di gran lena e dallufficiale spagnolo, trascin il pover uomo allinterno del santuario. La vecchia, incatenata e malmenata, continuava a ridere, guaendo come una cagna in calore. Le condizioni di Don Minico erano peggiorate sensibilmente in pochi minuti, e bisognava ancora provvedere ai tre prigionieri rimasti nella casa malefica, e allorrendo parto di Donna Mina. Padre Carmine diede velocemente disposizione allufficiale di rinchiudere la vecchia strega in una delle cellette della fortezza del faro, non prima di aver stilato una dettagliata lettera in cui si chiedeva riverente aiuto e consiglio al Santo Uffizio. Dopo aver scortato la Majara in cella, con laiuto di tre robusti uomini baffuti del paese, la lettera fu spedita tramite carrozza alla sede del Santo Uffizio Romano, che si trovava in centro a Messina, dietro la basilica del Duomo. La missiva venne ricevuta il giorno dopo dal magistrato del tribunale Spagnolo Don Giovanni De Meo e dallInquisitore Secondario Diego Sarmento, monaco domenicano che faceva le veci dellInquisitore Supremo Hernesto Ramirez, che si trovava fuori citt per alcune questioni diplomatiche riguardanti la Chiesa e che sarebbe tornato la sera stessa. Dopo aver pi volte letto la paurosa missiva di Padre Carmine, che non risparmiava alcun particolare e che forniva indizi credibili circa la presenza di una strega a Capo Peloro, il magistrato De Meo e il lInquisitore Secondario si decisero a scrivere una lettera allArchimandrita e Arcivescovo Francesco Alvarez, per informarlo dei fatti e per ottenere unautorizzazione formale a procedere con la pratica del Santo Uffizio Romano di Rito Spagnolo. La sera stessa lInquisitore Supremo torn dal viaggio diplomatico fuori Messina e venuto a conoscenza dei misteriosi fatti accaduti a Capo Peloro, ordin allInquisitore Secondario Sarmento di recarsi immediatamente sul luogo insieme ad altri due monaci fidati, per ottenere le prove inconfutabili che si trattasse di un caso di stregoneria. Se le prove fossero state certe ed inoppugnabili, e se il santo parere dellArchimandrita fosse stato favorevole, allora si sarebbe potuto procedere con la pratica del Rito Spagnolo. Allalba del giorno dopo, a bordo di una carrozza della basilica, lInquisitore Secondario e altri due monaci domenicani si recarono a Capo Peloro, dove la gente non faceva altro che spettegolare sulla presunta strega e su Don Nicola e Donna Mina, ancora tenuti prigionieri allinterno del santuario della Santissima Madonna della Lettera.

Solo con un carismatico sforzo e uninfervorata arringa Don Carmine era riuscito ad evitare linsurrezione popolare e lattacco della folla alla torre del faro, sicch quando lanziano curato di paese ricevette la squadra dInquisitori non pot nascondere un moto di sollievo. Per prima cosa gli Inquisitori vollero esaminare Don Minico per accertarsi, senza ombra di dubbio, che il maleficio lanciato dalla Majara fosse un reale atto di stregoneria. Furono poste al pescatore severe e insistenti domande riguardo al sortilegio, ma luomo non riusc a rispondere, poich la lingua si era gonfiata a dismisura mentre il cervello doveva esser stato colpito con sciagurata veemenza, poich Don Minico continuava a farneticare ignominiose babbarie riguardo i santi e la luna, tanto che i monaci dovettero rivolgersi a Padre Carmine per avere dovizia di particolari sullaccaduto. Dopo aver appreso rapidamente i fatti gli inquisitori esaminarono il malato: la situazione del povero pescatore era andata via via peggiorando, nonostante tutte i rimedi provati dal curato; altra strana circostanza riguardo i sintomi delluomo che questi si erano fatti mutevoli, prima devastandogli il corpo con piaghe purulente scomparse dopo alcune ore, poi colpendo il viso, riducendolo a una massa informe di escrescenze e pus virulento. Secondo gli Inquisitori questi sintomi, associati al fatto che Don Minico vomitasse qualsiasi cibo ingerito, erano inoppugnabili prove che luomo era stato vittima di una stregoneria; per cercare di guarirlo dal male gli Inquisitori applicarono sacre unzioni sugli occhi, sulle orecchie, e sulla fronte delluomo, che come ultima innegabile certezza prese a sudare copiosamente. Dopo averlo pi volte benedetto gli Inquisitori si rivolsero di nuovo a Padre Carmine, pregandolo di raccontare di nuovo la testimonianza di Don Minico: dato che il vecchio pescatore era inabile, e non poteva fornire testimonianza diretta, serviva assolutamente il resoconto di Padre Carmine per poter raccogliere gli atti probatori che sarebbero serviti per procedere col Santo Uffizio Romano di Rito Spagnolo. Linterrogatorio di Donna Mina e Don Nicola invece sarebbe avvenuto pi avanti, poich essi erano ora formalmente accusati di stregoneria e di patti con il dimonio. I due vennero quindi fatti scortare alla vecchia torre del faro. Dopo aver trascritto accuratamente la testimonianza di Don Minico, riportata da Padre Carmine, e aver annotato anche gli eventi assistiti dal curato quando era salito sul colle, gli Inquisitori si fecero scortare, dopo aver aspettato il ritorno dellufficiale di guardia, alla magione del dimonio. Quando il drappello arriv alla villa diroccata sulla collina, il curato e lufficiale dovettero coprirsi il volto; il puzzo di fetida decomposizione e di morte che proveniva dalla casa senza pi padrona era divenuto insopportabile. Gli Inquisitori invece ne sembravano noncuranti, e con sprezzo del pericolo e forti nella fede, si accinsero a entrare nella vecchia dimora. Lodore terribile proveniva senza ombra di dubbio dalluomo senza vita legato al tavolaccio, col ventre squarciato; degli altri tre prigionieri uno doveva essere deceduto, poich si trovava riverso al suolo con la lingua di fuori, mentre gli altri due stavano acquattati in un angolo, guardando i monaci con sommo e riverente silenzio, interrotto solamente da qualche sporadico vagito. Con stupore Padre Carmine not che la creatura malforme allinterno della gabbia arrugginita era ancora viva, nonostante i due giorni senza cibo, e forse per questo piangeva sommessa. Dopo lirruzione nel locale si misero al lavoro, e con certosina pazienza lInquisitore Secondario Sarmento fece annotare ai due monaci a lui sottoposti tutti gli oggetti trovati allinterno della camera: su gialle pergamene registrarono il ritrovamento di spezie sconosciute, droghe e funghi velenosi; furono catalogati numerosi animali impagliati che la strega impiegava sicuramente come spie dopo averli rianimati con lantica arte della negromanzia; venne annotato il ritrovamento di alcuni calderoni arrugginiti, di strumenti per la cottura e il riposo di filtri e pozioni; un intero arsenale di coltellacci, manette e strumenti di tortura. I barattoli e i contenitori sugli scaffali invece rivelarono ingredienti dei tipi pi vari e misteriosi, oltre ad organi animali, erbe giallognole e teschi di faina. Da un lercio angolo di cottura dal quale proveniva un lezzo particolarmente forte, e che i monaci domenicani spostarono con laiuto

dellufficiale, furono scovate alcune anfore di stile etrusco, contenenti peni essiccati e cuori sotto sale, che servivano a chiss quali misteriosi scopi. Tutto venne annotato e registrato, ma ci che gli Inquisitori cercavano pi di ogni altra cosa era il feticcio della strega: la prova incontrovertibile che la Majara praticava le antiche arti della negromanzia e della stregoneria. Il feticcio, il servo pi fedele ed importante di una strega, poteva assumere qualsiasi forma animale e non era facile scovarlo; quando con grida accorate lufficiale chiam a se gli Inquisitori fuori dalla casa, era stato setacciato ogni millimetro della vecchia e polverosa magione. Il giovane ufficiale aveva trovato quasi per caso degli stretti scalini, occultati dalla vegetazione che cresceva selvatica, e che portavano senza ombra di dubbio alla vecchia cantina della villa; al suo interno per, anzich trovare botti di vino o bottiglie di liquore, furono scovate quattro gabbie vuote, scavate dentro i poderosi muri di arenaria delle fondamenta, luogo dove leffimera donna teneva sicuramente i suoi prigionieri in attesa di sacrificarli o torturarli vivi. In una delle gabbie si trovava un gatto nero con una chiazza bianca sulla coscia che sonnecchiava pigro, per nulla impaurito dalla presenza umana; lanimale era smorto e magro, con le orecchie mozzate e il pelo lungo e sporco, e non fece alcun tentativo per sfuggire alla cattura da parte degli Inquisitori Senza alcun dubbio il gatto era il feticcio della strega; dopo averlo acciuffato ed esaminato con cura Sarmento si rese conto che uno degli occhi dellanimale era affetto da cataratta, il pi noto e incontrovertibile segno di riconoscimento del diavolo. Una volta catturato il feticcio fu ordinato allufficiale di correre in citt, di assoldare quattro o cinque uomini robusti e di tornare con delle ceste capienti, in modo da raccogliere il diabolico materiale trovato allinterno della casa; sarebbero serviti alloccorrenza anche degli attrezzi, con cui liberare i prigionieri, e alcune torce, poich il sacrilego luogo andava purificato. Quando lufficiale torn con quattro robusti pescatori si era ormai fatta sera, e il sole si eclissava stanco al di l dello stretto, sul brullo versante tirrenico. Gli uomini erano spaventati dalle voci e dalle dicerie che correvano di bocca in bocca gi in paese, e messi in soggezione dalla presenza dei santi e severi Inquisitori, si affrettarono senza fiatare a caricare gli orrendi oggetti del maleficio nelle ceste di vimini e nelle casse di legno. A lavoro quasi ultimato i due prigionieri ruppero il silenzio, implorando di essere liberati e scagionati, affermando che la vecchia megera li aveva abbindolati con filtri damore e attirati nella sua tana diabolica col sortilegio e con linganno; il volto dei due sopravvissuti si tinse di sorpresa quando, sciolti dalle catene arrugginite, furono subito immobilizzati dai ceppi di ferro portati dallufficiale. Anche loro sarebbero stati duramente interrogati e processati come possibili complici della vecchia Majara. Prima di ripartire verso il villaggio lInquisitore Secondario Sarmento si attard a esaminare la strana creatura imprigionata allinterno della gabbia, sorpreso di come la descrizione di Don Minico il pescatore, ascoltata attraverso la bocca di Padre Carmine, fosse molto attinente alla realt: il volto del nascituro era deforme e allungato, quasi ovoidale, con gli occhi sporgenti privi di sclera, mentre liride si estendeva a tutto il bulbo oculare, rendendo locchio vacuo pi simile a quello di un pesce senza vita che a quello di un uomo; su entrambi i lati del collo della creatura erano presenti dei profondi tagli laterali simili a branchie, da cui lessere esalava dellaria, e che forse gli impedivano una respirazione corretta, dato che la strana creatura ansimava a piangeva. Le braccia mostruose erano estremamente lunghe per essere quelle di una creatura appena nata, mentre il corpo deforme e butterato era viscido e schifoso, e in alcune zone, come sul petto o vicino al bacino, coperto da squame lucide e verdastre; la pelle al tatto risultava spessa e gommosa, e non morbida e rosea come quella di un qualsiasi neonato. Era assente qualsiasi organo di riproduzione, cos come le gambe, che erano sostituite da due grottesche protuberanze simili a tentacoli o a blasfeme pinne sottomarine. La natura e il Signore non avrebbero mai permesso la nascita di un simile abominio, e la sua venuta al mondo doveva essere sicuramente opera di qualche artifizio della Majara; ciononostante bisognava aspettare il parere dellInquisitore Supremo prima di procedere con la messa al bando

dellinfernale creatura, e Sarmento si limit ad avvolgerla in un panno e a consegnarla a uno dei monaci, con lordine di portarla immediatamente in carrozza a Forte Gonzaga, dove lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez attendeva il nullaosta dellArchimandrita per procedere col Santo Uffizio Romano di Rito Spagnuolo. Prima di tornare al paese i due Inquisitori rimasti si attardarono per la purificazione: la villa fu cosparsa di acqua santa, e dopo aver recitato preghiere e sacri esorcismi per circa due ore i due monaci appiccarono il fuoco alla casa, noncuranti della macchia mediterranea o dei corpi rimasti allinterno, che non meritavano certamente lonore di una sepoltura cristiana. Quando il drappello inquisitore si allontan per tornare al paese era notte fonda, e le stelle e la luna alte nel cielo; dal villaggio, terrorizzati, i pescatori e le loro famiglie osservavano superstiziosi lincendio che ardeva sul colle. Erano certi che non sarebbe stato lunico rogo e che altri ne sarebbero seguiti, ancora pi caldi, come le fiamme rosse dellinferno; quella notte, per scacciare il male e gli oscuri presagi che si erano abbattuti sul villaggio, i paesani non ricorsero solamente a preghiere o segni della croce, ma anche a corna e a vecchie filastrocche. Come in ogni altro luogo della Sicilia la stregoneria e la superstizione non erano mai state eclissate del tutto sotto lombra severa del Cattolicesimo. Nonostante lora tarda e la faticosa giornata, lInquisitore Secondario Sarmento volle visitare subito la Majara. Prima di procedere col Santo Uffizio Romano mancava ancora lultimo indizio: il marchio della strega, il segno fisico dellunione carnale fra Satana e la Majara. La donna era stata rinchiusa in una delle celle sotterranee della fortezza del faro, accanto a Don Nicola, Donna Mina, ai due uomini trovati prigionieri nella dimora della strega e a un altro furfante di Capo Peloro che si era macchiato di furto e spergiuro. Quando i monaci scesero nei sotterranei per visitarla i due armigeri di guardia riferirono allufficiale che la donna non aveva smesso di ridere per un solo minuto da quando era stata imprigionata, e che avrebbero accettato volentieri il cambio quella notte, tanto da avere i nervi stremati e tesi come una corda di violino. Anche uno dei due prigionieri era irrequieto: affermava senza sosta di chiamarsi Priamo Curzi, e di essere un nobile messinese rapito dalla strega; in ogni caso le proteste delluomo furono prese in considerazione e bollate come i capricci di un pazzo. In piedi di fronte alla Majara, lInquisitore Secondario Sarmento chiese severo di aprire le sbarre: la cella era umida e angusta, intagliata nella fredda pietra del forte, senza alcun tavolaccio o panca che permettesse il riposo del prigioniero. Al vedere lInquisitore Sarmento e laltro monaco entrare nel loculo la vecchia sibil come una vipera, torcendosi e scuotendo il capo; le mani le erano state legate con catene di ferro che le segavano i polsi minuti, per impedirle di lanciare sortilegi o maledizioni. Linquisitore la schiaffeggi ripetutamente e la fece alzare, trascinandola dai capelli unti; poi le strapp lorrida veste, lasciando nude le tremuli e vecchie carni, tanto che i due militari di guardia furono costretti a distogliere lo sguardo dalloltraggioso spettacolo. Fu ordinato di tener ferma la donna, che scalciava e inveiva, e alla luce di una torcia lInquisitore Sarmento esamin il corpo devastato e contorto della Majara: doveva essere vecchissima, o secolare, poich la pelle grinzosa era tirata sulle ossa come la corda di un arco, mentre il ventre molle, simile a quello di un gatto era incavato e magro. Il seno, orrido, le penzolava flaccido sul ventre blasfemo e su una delle due mammelle lInquisitore Sarmento not che il capezzolo era simile a una ciste o a una consunta verruca piena di liquido. Tanto bastava per portare la donna sul rogo. Prima che lInquisitore Sarmento lasciasse le celle, accompagnato dal monaco e dal giovane ufficiale la voce della megera rimbomb come un colpo di cannone per gli stretti passaggi del sotterraneo, maledicendoli: i soldati di guardia per ebbero modo di ascoltarla e furono sicuri che le parole della strega non fossero una maledizione bens una preghiera rivolta a suo figlio, nella speranza che non fosse lasciato ad un orribile fato.

VI Santo Uffizio Romano di Rito Spagnolo Allalba del giorno dopo fu ordinato di legare i due consorti e di trasferirli a Forte Gonzaga in carrozza, insieme al materiale confiscato nella casa della vecchia e allorrida creatura, che non smetteva di piangere. La Majara, insieme ai suoi schiavi, fu invece imprigionata mani e collo con dei ceppi di legno, legata dietro alla carrozza e trascinata come monito attraverso il paese, lungo tutto la strada litoranea che giungeva sino al centro di Messina. La folla si radun presto, eccitata, e al passaggio della Majara il trambusto e il brusio crebbero come un onda del mare mentre lagitazione e la sete di sangue divennero quasi impossibili da placare: le donne si fecero il segno della croce e maledirono la strega per aver gettato discredito sul loro santissimo paese, graffiandola e sputandole in faccia; furono lanciate pietre e verdura marcia mentre gli uomini divertiti aizzavano i propri figli, invitandoli a bastonare la vecchia con piccole verghe di legno. Furono accesi ceri alla madonna, e lanciate immaginette di San Paolo e di tutti i Santi; la Majara fu picchiata, insultata e quasi uccisa, e per calmare la folla i militari del forte dovettero ricorrere a lunghi bastoni ferrati e sparare in aria col singolo e vetusto moschetto in dotazione al forte che mai prima dora era stato utilizzato. La coppia di sopravvissuti al banchetto della maliarda fu malmenata e percossa con altrettanta veemenza, e circa a met strada, dalle parti di S. Agata, uno dei due stramazz a terra in fin di vita, con le ossa rotte. Il calvario dur ore, lungo tutta la costa, e il drappello arriv a destinazione solo a sera inoltrata; la vecchia strega era sanguinante e quasi moribonda, ma gli armigeri che lavevano scortata scossero la testa quando la videro sparire allinterno di Forte Gonzaga: una sorte ben peggiore lattendeva nei giorni a venire. I prigionieri furono portati nel sotterraneo di Forte Gonzaga, limponente e inespugnabile struttura difensiva costruita nel 1535 da Carlo V dAsburgo su Monte Piselli per proteggere le terre sicule dalla minaccia ottomana. I sotterranei costruiti nel cuore della montagna erano un dedalo di celle, guardiole e camere di tortura che scendevano e si sviluppavano per parecchi metri nel cuore della terra; la fama del Forte in ambito di durezza e disciplina era leggendaria e molti prigionieri politici, spie, e criminali comuni quivi imprigionati non avevano mai fatto ritorno. Mentre i normali furfanti venivano sbattuti nei livelli superiori, in condizioni meno disastrose, se possibile, degli altri reietti, nelle terribili celle di livello inferiore venivano imprigionati gli eretici, o i colpevoli dei crimini pi gravi e violenti; leggenda narra che leretico domenicano Tommaso Campanella, il famoso autore della Citt del Sole, non sia mai riuscito a scappare da Napoli, bens qui imprigionato, torturato, e infine giustiziato. Don Nicola e Donna Mina, che ormai vertevano in uno stato di assoluto mutismo, vennero separati e imprigionati i due cellette di 12 palmi. La Majara e il rimanente prigioniero, dato che laltro era morto dopo atroci sofferenze respiratorie in cui si era rifiutato di abiurare, vennero lasciati nelle cripte del livello inferiore con lordine di carcer strictissimus: furono imprigionati in antri di 8 palmi in cui era impossibile stendersi, murati vivi da un rozzo portone di ferro senza sbarre, con un flebile passaggio per laria. Luomo, lasciato a digiuno, ebbe il permesso di abbeverarsi, mentre per quanto riguarda la Majara fu ordinato di portarle cibo abbondante e acqua: la donna doveva essere in piene forze fisiche per poter sostenere linterrogatorio. Nel frattempo lautorizzazione formale a procedere dellArchimandrita era arrivata, e gli ordini erano ben chiari: estirpare il male il prima possibile,con pugno saldo e duro. In tal senso lAchimandrita Francesco Alvarez aveva la massima fiducia nelloperato del Santo Uffizio Romano.

Per tre giorni lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez volle discutere del caso con lInquisitore Secondatro Sarmento, con Padre Carmine (convocato durgenza al forte), e con tutte le altre persone che avevano partecipato alla cattura. Furono raccolte le varie testimonianze, ed esaminati tutti gli oggetti requisiti nella magione della megera. Fu anche visitato Don Minico, le cui condizioni non sembravano migliorare, e la cui sofferenza diventata di giorno in giorno peggiore, nonostante lattaccamento alla vita del povero pescatore fosse troppo grande per cedere al piacevole oblio della morte; come gi successo in precedenza, per, luomo fu incapace di fornire testimonianza diretta, che sarebbe stata preziosissima ai fini del processo. Si discusse a lungo anche della strana creatura che, senza essere stata allattata o nutrita (e Sarmento dubitava fortemente che labominio si nutrisse di latte) per circa sei giorni, continuava a respirare imperterrita: tale incredibile e prodigiosa resistenza era arteficio del diavolo o della Majara? Su una cosa gli inquisitori furono concordi, ovvero di porre fine alla sua sciagurata esistenza appena il processo fosse terminato. Al quarto giorno si decise di procedere, e furono portati nella sala degli interrogatori i due consorti, Don Nicola e Donna Mina. La donna tremava e piangeva, mentre il marito si era chiuso nel mutismo pi assoluto dal momento dellarresto. Allinterrogatorio presiedettero lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez, lInquisitore Secondario Sarmento, il magistrato De Meo, in qualit di giurista difensore (il cui ruolo era quello di convincere il reo alla confessione), due carnefici di grande esperienza e un notaio per la trascrittura delle confessioni. Dopo lo svolgimento di alcune pratiche burocratiche e di riti sacramentali fu interrogata la donna: in lacrime, supplichevole, le furono legate saldamente le mani dietro la schiena, e poi alzata pi volte tramite una carrucola, senza porre alcuna domanda. Poi la donna fu bastonata con violenza, e infine torturata con delle pinze roventi poste sui seni, che lasciarono allinquisita degli orrendi solchi bruciacchiati nella carne. Quando lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez pose una singola, semplicissima domanda incrociando le dita: Confessate di esservi unita col diavolo e di aver venduto vostro figlio alla sua schiava Majara? la donna, con urlo doltretomba rispose di si, che aveva aperto le gambe al diavolo e in cambio di ricchezza e potere aveva deciso di vendere il frutto della loro unione alla strega; poi svenne, e con un cenno dellInquisitore Supremo Hernesto Ramirez la donna fu portata via, mentre il magistrato De Meo dava ordine di annotare la fresca confessione, riportata su tomo con un lapidario: Confessionem esse veram, non factam vi tormentorum1 Dopo Donna Mina fu il turno del marito: questa volta, in virt dei maggior privilegi goduti dallessere di sesso maschile, Don Nicola fu esortato ripetutamene a confessare da De Meo, che lo preg pi volte di liberarsi dei suoi peccati e di rivelare la sua complicit con la Majara. Ma luomo neg pi volte di avere qualcosa a che fare col malaffare, e di non sapere nulla dellunione carnale della moglie col diavolo; anzi, grid costernato: Io a rinnego e a ripudio, fimmina buttana e fitusa! Gli Inquisitori non erano soddisfatti, e si procedette con la fustigazione, e poi con la carrucola, ma luomo continuava a negare e anzi addusse a sua prova che al momento del parto non era presente, poich lusanza soleva che la donna gravida fosse assistita dalle comari vicine di casa, ma anzi in compagnia di un suon compare, Don Gennaro La Zinna, con cui aveva chiacchierato e giocato a briscola per tutto il pomeriggio. Poi verso sera, i due si erano messi in mare per la pesca notturna, e solo la mattina dopo, al loro ritorno, Don Nicola aveva appreso che la moglie era agli arresti, rinchiusa nel santuario della Santissima Madonna della Lettera.
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La confessione valida e non resa sotto tortura

Don Giovanni De Meo si ferm a consulto con gli altri due Inquisitori per circa dieci minuti, mentre Don Nicola, sanguinante e appeso per le braccia come un animale, implorava piet. Con un gesto perentorio dellInquisitore Supremo Hernesto Ramirez i carnefici lasciarono andare il torturato con un tonfo; fu ordinato che al prigioniero venissero stretti entrambi i polsi con dei pesanti lucchetti di ferro battuto, in attesa che il Santo Uffizio procedesse nel verificare la testimonianza di Don Nicola. Su richiesta di De Meo lo scrivano annot sul tomo: Quaestiones sunt fallaces2 Il giorno dopo fu convocato ufficialmente Don Gennaro La Zinna, che dopo aver giurato solennemente sulla Bibbia afferm dinanzi al magistrato e ai due Inquisitori che la versione di Don Nicola corrispondeva a verit: luomo, cacciato di casa dalla moglie al momento del parto,aveva incontrato Don Gennaro. I due, insieme, si erano messi a passeggiare sino al tratto di spiaggia dove venivano arenati i luntri e le altre imbarcazioni per la pesca sullo Stretto; l avevano festeggiato con del vino per propiziare la nascita del figlio, e poi giocato per qualche ora a carte. Ubriachi non si erano quasi accorti del terremoto, e dopo il tramonto avevano trascinato noncuranti una barca in acqua e si erano messi a pescare per tutta la notte. La testimonianza di Don Gennaro la Zinna combaciava del tutto con quella di Don Nicola, che veniva a tal punto scagionato e che da indagato diveniva invece vittima di calunnia e stregoneria. Il testimone fu condannato a versare 100 tar per essersi macchiato di gioco dazzardo al di fuori dei giorni festivi, costretto a fare penitenza per due mesi alla Madonna e infine spedito a casa; Don Nicola invece, scortato dinanzi agli Inquisitori fu condannato dal magistrato De Meo (dato che il potere di condannare un imputato era esclusivamente esercitato della carina civile), oltre al versamento della multa e alla penitenza, anche allinabilit forzata della mano sinistra per un mese, tramite il pesante lucchetto di ferro battuto che gi gli era stato applicato: questo perch il marito non si era accorto delladulterio blasfemo della donna, e non aveva alzato mano contro di lei per riportarla in seno alla ragione. Il terzo giorno degli interrogatori fu portato al cospetto degli inquirenti luomo che era stato prigioniero della Majara; se nella mente degli Inquisitori le pene per la Majara, anche se non ancora interrogata, e per Donna Mina, erano gi certe e marchiate a fuoco, il caso dello strano uomo suscit profonda indecisione e fu oggetto di ripetuti ed accorati dialoghi fra chi propendeva che fosse un servo fidato della strega (lInquisitore Supremo) e chi invece sosteneva fosse solo una malcapitata vittima della sacrilega donna (lInquisitore Secondario Sarmento e il magistrato De Meo, che mostrava una sensibilit di cuore a lui sconosciuta); tanto vero che luomo venne contro interrogato, usanza abbastanza rara per il Santo Uffizio Romano dellepoca.

VII Lo strano caso di Priamo Curzi


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Le torture non sono efficaci

LInquisito, dopo essere stato portato dinanzi agli inquirenti, fu informato di essere formalmente accusato di stregoneria. Vecchio e canuto, luomo aveva mal sopportato la prigionia, e i segni di fatica e sfinimento erano tanto evidenti che sembrava potesse spirare da un momento allaltro; ma la debolezza della figura stanca e moribonda non bast a intenerire il cuore duro e spietato degli inquisitori. Come consuetudine imponeva De Meo cerc di convincere il reo alla confessione, ma questi, urlando la propria innocenza e cercando di liberarsi, continuava a sostenere di essere un nobile di Messina e di meritarsi un trattamento migliore. In virt del suo comportamento luomo venne condotto immediatamente alla cremagliera: un tavolaccio di duro legno, dove le caviglie e i polsi dellinquisito furono saldamente legati con strette fasce di cuoio. Dopodich, con un gesto dassenso dellInquisitore Supremo Hernesto Ramirez, i due carnefici iniziarono ad allungare gli arti delluomo tramite appositi argani: con urla e grida sovraumane gambe e braccia vennero tese al limite estremo, mentre il corpo del malcapitato sembrava potesse strapparsi in due da un momento allaltro. Visto che il prigioniero, nonostante lenorme supplizio inflitto, rifiutava con tutte le sue forze la confessione, la tensione applicata fu diminuita, per non provocare danni irreparabili e mortali al sospettato. Si procedette quindi, dopo aver fatto riprendere luomo immergendolo con forza in un bacile dacqua gelida, allinterrogatorio vero e proprio. Sfinito, luomo afferm per lennesima volta di chiamarsi Priamo Curzi, nobile di una vecchia casata di Messina oramai caduta in disgrazia. Furono chiesti i nomi dei padri, e di tutta la linea di discendenza, (che De Meo diede prontamente ordine di segnare) per accertarsi che luomo non stesse mentendo sulla sua presunta nobilt. Intorno al 1650 la casa dei Curzi era caduta in disgrazia a causi di alcuni folli sperperi e pessimi investimenti di Gianluigi Curzi, zio che aveva ereditato la patria potest e la conduzione della famiglia dopo la morte accidentale del padre di Priamo Curzi; la famiglia era ridotta sul lastrico e carica di debiti, e nonostante il nome altisonante e i titoli nobiliari fu costretta a vendere e a ipotecare la maggior parte dei propri possedimenti terrieri. Alla morte dello zio Priamo Curzi fu costretto sdegnosamente a lavorare, e trov posto come alto funzionario per lUfficio delle tasse e delle confische del governo spagnolo. Nel 1674, durante la violenta ribellione messinese antispagnola, Priamo era stato costretto a fuggire rapidamente fuori citt per non incappare nella cattura e nellesecuzione sommaria, sicch i rivoltosi giustiziavano qualunque funzionario, nobile, o politico capitasse loro tra le insanguinate mani; luomo si rifugi a Milazzo, ospitato da un vecchio amico di famiglia e grande proprietario terriero che intercesse per lui. La pigione di Priamo Curzi dur quattro anni, dato che la Francia, desiderosa di allungare le sue meschine mani sulla Sicilia, era intervenuta in aiuto della popolazione insorta contro gli spagnoli, e il ritorno in citt, nonostante i contatti diplomatici presi dalluomo, equivaleva ad una condanna a morte. Dopo la pace di Nimega i francesi abbandonarono rapidamente la citt, che venne riconquistata dagli spagnoli nel 1678 e dichiarata citt morta e senza alcun privilegio. La repressione fu crudele e spietata: Messina divenne un mera cittadella sottoposta a regime militare e a legge marziale; nonostante linesorabile vendetta e le pessime condizioni sociali Priamo si convinse che il pericolo era passato, e fece ritorno in citt, dove fece diplomaticamente richiesta di essere ricevuto dai senatori spagnoli. In virt della sua ferrea fedelt, e delle ottime credenziali, Priamo riottenne il suo vecchio incarico e la concessione di qualche privilegio finanziario, fra cui il condono di alcuni debiti rimasti insoluti; tanto che la situazione della casata Curzi, anche se non torn ai fasti del tempo, miglior sensibilmente. Per circa altri dieci anni Priamo lavor come alto funzionario spagnolo e fu cos che, nel 1690, fu invitato a un ricevimento del vicer Benavides; era presente tutta la corte spagnola, e la crema della nobilt e dellalta borghesia di Messina. Fu allo sfarzoso e sfrenato festino che Priamo ebbe modo di conoscere Rita de Corral, figlia di un agiatissimo borghese spagnolo che si era arricchito enormemente con la riapertura del porto franco,

e che possedeva uno dei pi trafficati e importanti uffici di spedizioni marittime gi al porto di Messina. Rita del Corral era quindi una delle donne pi benestanti della citt, nonch una delle pi avvenenti e desiderate, e quando Priamo la incroci rimase impietrito di fronte a tanta bellezza: splendidi capelli castani incorniciavano un volto bianco e marmoreo, simile a un gioiello di madreperla; gli splendidi occhi nocciola della donna ardevano di desiderio, mentre le labbra rosee e morbide celavano un magnifico sorriso. Il corpo grazioso e minuto si muoveva e danzava con leggiadria e i seni prosperosi e il comportamento birichino della donna lasciavano intendere un comportamento focoso e ardito. La scintilla damore scocc a prima vista e Priamo si sent ardere di passione: il funzionario di mezza et la cui casata era in declino non riusciva a trovare una consorte, mentre laffascinante Rita, che quasi per caso gli aveva sfiorato la mano pi volte, e che doveva esser mossa da unindomabile desiderio, continuava a fissarlo e a sorridergli. La mattina dopo, con un folle atto di coraggio, Priamo scrisse unappassionata missiva damore alla donna, nella speranza che gli sguardi di fuoco della sera prima non fossero una vivida fantasticheria, ma un invito evidente a corteggiarla. Fu qualche giorno dopo, quando linnamorato aveva oramai perso la speranze, che con trepidazione e gioia la risposta tanto attesa fu ricevuta e letta tutta dun fiato; Priamo, basito, non volle credere ai propri occhi, poich la sublime missiva di Rita, dal tono appassionato e quasi erotico, spalancava con violenza le porte a una cacofonia di sentimenti e sensazioni che egli non aveva mai provato in vita sua. Animato da una passione irrefrenabile Priamo diede il via a una lunga serie di scambi platonici, e dopo parecchi mesi di missive e di omaggi il padre, tale Fermando De Corral, acconsent alluomo di corteggiare pubblicamente la donna. Nonostante le finanze della vecchia casata dei Curzi non fossero nel loro periodo migliore, Priamo si prodig al suo meglio per soddisfare linsaziabile donna: Rita fu sommersa da faraonici regali e composizioni floreali, magnifici gioielli, mentre per lei furono adibiti banchetti, fastose feste e ingaggiati i migliori musichieri e poeti della Sicilia, tanto che il corteggiamento diede adito a continui e svariati pettegolezzi. Pi di una volta Rita fece impazzire dardore il povero Priamo, provocandolo e graffiandolo con gesti inequivocabili e peccaminosi, ma per quanto fosse follemente innamorato luomo si trattenne sempre dal possedere la donna. Il lungo corteggiamento dur un anno, sicch Fermando De Corral diede il benestare per il tanto atteso matrimonio, che sarebbe avvenuto di l a poco. Fu una sera di giugno che la malasorte si abbatt con macabra veemenza e precisione su Priamo Curzi, fino a poco prima luomo pi chiacchierato di Messina, e destinato invece ad orribile sorte, e pi precisamente durante una rappresentazione del Romeo e Giulietta di Shakespeare al teatro SantElisabetta, quasi che lultimo atto della tragedia non fosse quello scritto dal poeta inglese bens quello messo in scena dai due messinesi innamorati. Durante il duello mortale fra Romeo e Paride, col pubblico assorto in un teso silenzio, Rita sfior quasi per caso la mano di Priamo e gli sussurr parole focose allorecchio; Priamo si decise a rompere il lungo digiuno e i due, complici del padre appisolato, si tuffarono lungo il sottoscala, sino al retro maleodorante e poco illuminato del teatro. Qui la donna attir a s linfatuato Priamo, ammaliandolo col suo magnifico profumo, adagiandolo sui suoi prosperosi seni. Luomo, incapace di trattenersi, si avvent su Rita De Corral, che si concesse, allargando le gambe; con un lungo bacio le lingue umide volteggiarono fra le labbra assetate degli innamorati quando Priamo, con un improvviso malore, cadde a terra rantolando. A questo punto della testimonianza la narrazione delluomo si fece confusa e inestricabile, soffocata dalle lacrime e dai continui singhiozzi, sicch si fu costretti a calmarlo e lasciarlo riprendere per alcuni minuti. Quando si riebbe Priamo prosegu sconvolto la narrazione, riferendo agli Inquisitori di essersi reso conto con sorpresa di aver perso luso di entrambe le gambe, immobili come pietra, mentre la mano

destra che protendeva verso Rita in cerca daiuto, e che la donna gli aveva sfiorato pocanzi, era ferita, con un taglio leggero e bluastro simile a quello provocato da uno stiletto. Pian piano Priamo sent che anche luso delle braccia era perduto, e orrendamente paralizzato, farfugliando preghiere senza senso, si accorse che Rita non era sola, ma di aver visto una fuggevole presenza scivolare alle sue spalle: quella di unanziana donna ridanciana. Ci fu uno scambio di monete sonanti fra la vecchia e Rita e poi, prima di svenire senza sensi, Priamo rifer soltanto di ricordarsi di essere stato trascinato da due mani robuste su una poderosa carrozza nera. Quando Priamo riprese conoscenza la prima cosa che fece fu quella di alzarsi dal letto, certo che i terribili ricordi della sera prima fossero solo gli strascichi di un incubo troppo vivido e macabro per essere reali; ma quando prov a issarsi luomo si rese conto di essere legato mani e piedi in posizione supina, completamente nudo, adagiato come un cane in una piccola stanza dove regnava la confusione pi totale. Sopraffatto dalla paura Priamo si guard intorno: non si trovava solo bens in compagnia di altri tre individui che dormivano sul pavimento lercio, nella sua stessa e identica posizione. Priamo url ripetutamente, attirando la loro attenzione, invocando aiuto, ma gli altri tre prigionieri lo guardarono spaventati, senza dire nulla. Nel frattempo, attirata dalle urla, la vecchia che Priamo aveva intravisto nel vicolo entr nella stanza; con forza sovraumana lo sleg e lo trascin di peso in uno scantinato lercio e angusto, dove venne rinchiuso in una stretta gabbia claustrofobia. Con fiato maleodorante la vecchia ammon Priamo che era assolutamente proibito parlare con gli altri ospiti, e che se voleva continuare a vivere doveva rispettare alcune semplici regole di comportamento: eseguire alla lettera ogni suo ordine, non pregare il Signore o nominare invano la Madonna o qualche effimero santo, cibarsi senza proteste di ogni cibo preparato e soprattutto non infrangere il divieto assoluto di provare a scappare. Poi, con una sardonica risata beffarda, la vecchia si denud, e si accoppi carnalmente col povero Priamo, senza che questi riuscisse a ribellarsi. Poi, stuprato e umiliato oltre ogni modo, luomo fu lasciato a marcire per tre lunghi giorni allinterno della gabbia, costretto a patire la fame, la sete, e la compagnia dei topi. Solo quando invoc perdono e cibo la vecchia si degn di scendere nello scantinato, concedendogli di mangiare qualche tozzo di pane raffermo. Le prime settimane, colto dalla disperazione, Priamo prov a ribellarsi o a fuggire, ma la vecchia si dimostr pi forte e pi astuta, e a ogni tentativo di fuga o di resistenza lo torturava con dei terribili spiedi roventi che faceva scaldare per interminabili minuti, sul fuoco. Anche gli altri prigionieri erano orribilmente mutilati e segnati, e al pari di essi pure Priamo si lasci ammansire come una bestia dopo poco tempo: la disperazione e infine la rassegnazione presero posto alla speranza. I giorni divennero settimane, le settimane mesi, e infine passarono due anni, e fu con fervore e dovizia di particolari che il povero Priamo raccont agli Inquisitori del suo lungo periodo di prigionia, di come fosse costretto a soddisfare loscura padrona a ogni suo minimo capriccio, delle orribili unioni carnali e bestiali con gli altri uomini scatenate da un singolo cenno della vecchia, e gli orribili ricordi delle giornate in cui la Majara tornava alla magione con qualche bambino catturato, innocente preda che veniva subito strozzata e bollita. Tutto questo sino al giorno della santissima liberazione, e a questo punto Priamo si lanci alle ginocchia dellInquisitore Supremo e ne baci il lembo della toga; linquisito era pronto a pentirsi e a confessarsi, e a ritornare sulla retta via del Signore se solo i monaci glielo avessero permesso. Tutto ci che era stato costretto a fare, afferm solennemente, non era frutto della sua volont, bens di quella malata e rancida della vecchia Strega. Il magistrato De Meo fece annotare tutto con malcelato disgusto, tanto che mai aveva sentito simili nefandezze; per quel giorno fu abbastanza e luomo, con le gambe e le braccia slogate, fu rimandato in cella. Il giorno dopo si cerc conferma della versione del presunto Priamo Curzi: due ispettori della gendarmeria spagnola furono spediti a interrogare i funzionari dellUfficio delle tasse e delle

confische, mentre altri due furono incaricati di scovare eventuali parenti delluomo, e soprattutto di rintracciare la famiglia De Corral, e in particolare Rita. Le indagini presero circa una settimana: diversi funzionari dellUfficio delle tasse e delle confische confermarono di conoscere un certo Priamo Curzi, e testimoniarono di averne perso traccia da circa due anni, dopo che in seguito a un presunto scandalo che aveva impedito il matrimonio tra lui e Rita De Corral Priamo si era dato alla macchia; il Capo Esattore Erniesto Da Silva acconsent a testimoniare davanti al magistrato De Meo e agli inquisitori domenicani, e rifer che lo scandalo rimaneva soltanto un pettegolezzo che si spifferava fra i salotti dellalta borghesia, e che non cerano mai state prove certe. Lunica cosa sicura, afferm Erniesto Da Silva, che Priamo Curzi era scomparso da circa due anni e ci in parte suffragava la tesi dellinquisito e in parte lo scagionava. A confermare la presunta identit delluomo ci pensarono dei lontani parenti delluomo, gli unici rimastigli: due cugini e una vecchia zia furono portati dinanzi a Priamo per identificarlo, e una volta visto il prigioniero rinchiuso in cella giurarono sulla Santa Corona dAsburgo e sul Sacro Crocifisso che luomo che avevano davanti era Priamo Curzi, anche se denutrito, magro, e quasi moribondo, e di non vederlo o leggerne notizie da pi di tre anni. A questo punto si era quasi pronti alla scarcerazione, quando arrivarono alcune notizie sulla pista seguita per rintracciare i De Corral: Fermando De Corral fu impossibile da interrogare, sicch non si trovava pi in Sicilia, mentre lufficio di spedizione marittimo era stato chiuso da circa due anni; i segni dellattivit delluomo erano stati comunque scovati tramite il vaglio di svariati registri portuali, contratti civili e lettere daffari. Della figlia invece, che da quanto aveva riferito Priamo doveva essere di natali italiani, non era stato possibile trovare traccia, n allanagrafe spagnolo, n in atti civili o commerciali, n fra i vari chiacchiericci di corte o dellambiente intellettuale e borghese della citt; mancava quindi la prova a favore che potesse scagionare Curzi. Se gli accusatori erano concordi che luomo si fosse macchiato di oltraggiosi atti carnali, e di aver perso la fede, il magistrato De Meo e lInquisitore Sarmento non erano convinti che Priamo fosse un servitore del diavolo: a tale tesi sopperiva la mancanza di un identificabile marchio del demonio, dato che il corpo delluomo, per quanto provato, non portava evidenti segni del maleficio; proprio per questo i due accusatori erano propensi a condannare luomo per sodomia latente e comportamenti oltraggiosi, ma non di bruciarlo al rogo come eretico. Di parere opposto era invece lInquisitore Supremo. Si prov a reinterrogare il prigioniero il giorno dopo, ma la seconda versione era attinente alla prima e nonostante le torture non si scopr nulla di nuovo. Su promessa di abiurare Curzi fu rispedito in cella. Lindomani mattina sarebbe stata interrogata la Majara. VIII La Majara, la Madonna e il destino della creatura Quanto la donna, scortata da due armigeri del forte, fu portata al cospetto degli Inquisitori, non smetteva di ridere. Con cipiglio severo e occhi granitici lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez diede ordine di portare avanti linquisita, che fu costretta a inginocchiarsi davanti ai suoi accusatori con violenti colpi di bastone sulla schiena. La Majara aveva resistito bene alla prigionia, mangiando e bevendo senza posa, ridendo e sbraitando anche quando il giorno dellinterrogatorio e dei supplizi si era fatto pericolosamente vicino; nonostante laura macabra di potere e di sovraumana resistenza della strega, il momento di porre fine ai suoi peccati era infine giunto. La Majara fu informata di essere accusata di: Sodomia, Stregoneria et Negromanzia, Omicidio et Rapimento, Unione col Dimonio,Usura et Furto, Oltraggio alla Corte e alla Religione Cristiana

Una volta lette le imputazioni, che la strega accolse con oltraggiose bestemmie, fu il turno dei carnefici: si inizi col fustigare ripetutamente la pelle raggrinzita della donna nel tentativo di piegarla, ma dopo circa mezzora di violente frustate il robusto carnefice si ferm, esanime, col braccio dolorante, mentre la vecchia ancora si faceva beffe dei Santi, della Madonna, e del Sacro Salvatore. Senza perder tempo si procedette con la tortura della corda, e per ben dieci volte la Majara fu alzata e lasciata cadere con violenti strattoni, ben pi di quanto potesse sopportare una comune creatura del Signore; ma linfernale donna continuava a inveire contro i carnefici, aizzandoli a far di meglio. Gli Inquisitori, spazientiti, picchiarono con violenza sullo scrivano in legno: avrebbero strappato la confessione, a costo di torturare la donna per giorni. Fu acceso un braciere, e una volta scaldati alcuni punzoni di ferro sino a renderli roventi, furono torturate le natiche e i seni della vecchia strega che, tenace, ancora farfugliava qualcosa riguardo il diavolo e la sua moltitudine. Infine, sentendosi oltraggiati oltre ogni dire, gli Inquisitori invocarono a gran voce luso della botte di ferro: il terribile strumento di tortura consisteva in un capiente fusto metallico del peso di circa 120 libbre, appositamente modificato, a cui erano stati applicati dei fori che permettessero la fuoriuscita delle braccia e del capo dellindagato. La donna, pestata e insultata, fu costretta dalla coppia di carnefici a entrare nella botte metallica. Poi, con mantici e bracieri, si inizi a scaldare il fusto, aumentando gradualmente il calore dello stesso: le urla disumane della strega si fecero prima altissime, simili a quelle di una femmina che sta partorendo, e poi via via pi flebili, fino a sparire del tutto; la temperatura era altissima e si potevano quasi sentir sfrigolare le vecchie carni della Majara. Poi, ancor nel suo tormento, la donna fu fatta uscire dalla botte, e le furono cavati gli occhi, perch tal sgualdrina non era degna di mirare il creato del Signore; solo allora la Majara si decise a parlare e a confessare di essere una buttana del diavolo, e di aver danzato con lui intorno al fuoco intonando canti infernali. Confess tutto, sino allultimo misfatto elencato dagli accusatori, e quando lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez accenn alle origini della diabolica creatura, chiedendo se fosse opera sua, la donna scoppi in incontrollabili singhiozzi. La Majara si mise in ginocchio rantolando, pregandoli, invocando piet per il suo sciagurato figliolo, chiedendo di poterlo allattare al suo seno come si conface a una madre virtuosa. Mio figlio Nicola! Vi prego lasciatelo crescere, il mio povero Cola! Colapesce ohh mio Colapesce! url la Majara affranta. Quando gli accusatori scoppiarono a ridere sprezzanti, informandola che la sua amata creatura sarebbe bruciata sul rogo insieme a lei, la donna impazz, e si rifiut con ogni forza rimastagli di abiurare e anzi insult veemente la Sacra religione Cattolica, insieme a tutti i presenti. Prima che fosse trascinata, urlante, alla sua cella, De Meo non riusc a nascondere un brivido alla maledizione lanciata dallinfernale sgualdrina: Che Satana vi maledica e che posciate ardere fra gli ardori dello inferno! Quando gli accusatori ebbero finito di redarre tutte le testimonianze e le confessioni era ormai sera; nel frattempo era gi stato scelto il luogo per lautodaf che si sarebbe svolto due giorni dopo, il 24 gennaio 1693: lo slargo fra via Cardine e via I Settembre. Appena terminati i lavori lInquisitore Secondario Sarmento si avvi stanco alla sua stanza; il monaco, dopo le solite preghiere e confessioni, si accasci stremato sulla scomoda stuoia di paglia dellaustera celletta assegnatagli giorni prima dal comandante di Forte Gonzaga. Lindomani sarebbe stata una giornata di ancor pi duro lavoro, rimugin Sarmento, poich bisognava finire di stilare le accuse per i condannati e decidere la sorte di Priamo Curzi. Il monaco si addorment presto, cullato dallo spiffero daria che proveniva dallunica finestrella quadrata della cella. Sogn il patibolo, e la Majara che urlava, e bimbi sperduti che chiedevan piet; nel sogno si accorse di avere una poderosa erezione, poich la Bestia Nera del suo desiderio continuava a tormentarlo, e si vide a rincorrere i bambini che assistevano allesecuzione in una sorta

di macabro nascondino, coi ragazzini che lo chiamavano, e lo schernivano e poi lo attiravano negli angoli bui dove si erano nascosti e lo rendevano partecipe dei loro pi intimi segreti. Poi il sogno mut, e divenne simile alla notte di parecchi anni prima, quando in gran segreto Sarmento non era riuscito a resistere al richiamo delle morbide e bianche carni di alcuni chierichetti, e ne aveva presi tre, assaggiandoli. Si ripromise, nel sogno, di punirsi corporalmente per quei peccaminosi pensieri, e stava per lasciarsi sprofondare in un sonno nero senza sogni, quando un bagliore bianco entr soffuso dalla finestra e lo dest: la luce era simile a nebbia spinta dal vento, e con profondo stupore Sarmento si accorse che il bagliore si stava plasmando in una forma dalle vaghe sembianze umane, quelle di una donna candida e minuta dal volto celeste. La Madonna parl: Diego Sarmento, ascoltami. Si, mia Signora e lInquisitore vide se stesso inginocchiarsi con riverenza. Ora ti sveglierai, e prenderai la creatura dalla sua culla. E la porterai nello Stretto, ove riposa Cariddi, e lascerei il suo destino alla volont delle acque, poich essa non malvagia e la sua fine non sar decretata dallardere del fuoco. Che tutto ci sia fatto prima della nascita del sole, e che il Signore benedica e perdoni i tuoi miseri peccati pronunzi calma la Madonna, e Sarmento cap che la creatura a cui si riferiva la Beata Donna era il figlio infernale del Diavolo. Sar fatto, misericordiosa Madonna , e il candore scomparve istantaneo, lasciando il suo posto alla gelida aria della notte. lInquisitore Secondario Sarmento si svegli, sudato e tremante, e si rese conto di essere in ginocchio, a capo chino, al centro dellaustera celletta. Senza pensare sinfil labito, e cercando di passare inosservato, scese il torrione con passo silenzioso, diretto al dormitorio centrale di Forte Gonzaga; il mostruoso bambino riposava in quella che era stata una vecchia dispensa oramai disuso, ora in funzione come magazzino per le uniformi degli armigeri della guarnigione. Cauto Sarmento sgusci senza essere visto sino alla piccola stanza, dove limmortale creatura dormiva beata adagiata su dei rozzi panni; il monaco la prese con cautela e la nascose sotto le vesti della sua tonaca di lana. Poi si diresse alle stalle del Forte dove, imponendo la sua severa autorit ,ordin impaziente di avere una carrozza e un cocchiere; quando il trasporto fu pronto Sarmento intim al silenzio lufficiale notturno di guardia, ammonendolo di non proferir parola riguardo le circostanze della sua repentina dipartita. Erano circa le undici, e con un gesto impaziente Sarmento istru il cocchiere sulla loro destinazione; quando arrivarono dovevano essere passate circa due ore, e dopo poco sarebbe albeggiato: il sacro compito che gli era stato affidato dalla Santissima Madonna doveva essere svolto con la pi rapida urgenza. Nei pressi di Capo Peloro lInquisitore Secondario Sarmento smont dalla carrozza, diretto alla spiaggia, dove contava di incontrare dei pescatori che stessero preparando lenze e arpioni per limminente caccia mattutina, con la speranza di convincerli ad essere portato a largo. Cos fu, e quando il monaco offr dieci onze ciascuno, i due giovani uomini non ci pensarono due volte, e imbarcarono rapidamente il luntro in acqua, senza fare domande. Le acque dello Stretto erano tranquille, simili a una liscia tavola di cristallo, e la luna ammantava la notte con pallide pennellate dargento. LInquisitore Secondario Sarmento sedeva a prua, con lo strano fagotto fra le mani; quando furono arrivati abbastanza a largo il monaco diede ordine di fermar la barca e tirare i remi. Poi, aiutato dal lumino dei pescatori, tolse le fasciature alla creatura, che lo fissava ipnotica coi suoi vacui occhietti senza vita. I pescatori, al vedere lo strano essere, ebbero un attacco di paura, e quando lInquisitore Secondario lasci cadere il mostruoso bambino in acqua per poco non si misero a gridare. Sarmento li ammon, e prima di ricompensarli di nuovo per il loro silenzio con altre dieci onze ciascuno, con un moto di sorpresa not che lo sciagurato essere infernale nuotava sinuoso attorno alla barca, agitando le flessibili pinne biforcute con eleganza. Quando si allontanarono versa la costa siciliana i tre noratono il guizzo dargento con cui la creatura scomparve nellabisso.

Durante il ritorno i pescatori bisbigliavano diffidenti a denti stretti; erano gente superstiziosa del luogo, e guardavano con diffidenza Sarmento, evitando di rivolgergli la parola e stando ben attenti al sacchetto pieno di onze con cui il misterioso monaco li aveva pagati. Pregando il Signore di tornare a casa sani e salvi guidarono il lustro verso la costa, e una volta trascinata la barchetta a riva si allontanarono in fretta, non prima di aver giurato solennemente di non dire a nessuno del loro incontro. Ma i due non tennero fede alla parola data, e tornando dalle loro mogliere pi ricchi del solito raccontarono loro lincredibile storia, mostrando con spavalderia i sacchetti ricolmi di onze. Non furono creduti, e con una poderosa pedata nel fondoschiena rimandati a pescare. Le mogli si crucciarono: chiss dove avevano rubato il danaro quei due buoni a nulla. IX Autodaf Il giorno dopo venne dato lallarme generale: il corpo senza vita dellInquisitore Secondario Sarmento pendeva esanime da una trave della sua cella. Aveva lasciato una lettera, scritta di suo pugno, indirizzata allInquisitore Supremo. Nessuno seppe cosa ci fosse scritto, ma quel giorno nessuno os rivolgersi allInquisitore Supremo Hernesto Ramirez la cui ira fu leggendaria e terribile; ordin che il corpo di Sarmento fosse bruciato nonch le polveri disperse, poich latto ignominioso del suicidio escludeva del tutto la sepoltura cristiana. La sparizione misteriosa della creatura deforme non pass inosservata per molto tempo, e lInquisitore Supremo fu avvertito, questi si limit spazientito a far sospendere le eventuali ricerche. Gli armigeri, rozzi, ma non stupidi, non ci misero molto a intuire che qualcosa di parecchio collegava il suicidio di Sarmento con la scomparsa del grottesco neonato. Il giorno dellesecuzione la plebaglia accumulatasi era tanta da non poter essere del tutto accolta nello slargo in cui sarebbero state lette le sentenze; gi dalle prime luci dellalba gli abitanti di Messina erano accorsi numerosi per accaparrarsi i posti migliori per assistere allautodaf. Accanto a un patibolo da cui sarebbe stato pronunciato il sermo generalis3, insieme alla lettura delle condanne, furono preparate tre pire di legname secco. Leccitazione era palpabile nellaria mentre il mormorio e lagitazione si facevano contagiosi; la sete di sangue del volgo cresceva man mano che lattesa per gli imputati si faceva pi lunga, e passate le due del pomeriggio la plebe inizi a chiamare a gran voce lo spettacolo. Per mantenere lordine pubblico furono disposti ben cento armigeri, equipaggiati di picche e moschetti per scoraggiare la folla dal prodigarsi in atti troppo violenti, mentre altri venti furono impiegati per scortare i prigionieri da Forte Gonzaga sino al centro della citt. Allesecuzione erano presenti lInquisitore Supremo Hernesto Ramirez, e lArchimandrita Francesco Alvarez, massima autorit spirituale della diocesi di Messina; fra le cariche civili oltre al magistrato De Meo (che avrebbe dato ordine di procedere con le esecuzioni) aspettavano con ansia il questore di Messina Armando Falconieri e il capo di gendarmeria Felipe Guadalupa. Quando il cianciare concitato dei messinesi esplose in urla di giubilo, gli spettatori pi vicini alla forca seppero con precisione che gli imputati erano arrivati a destinazione. I prigionieri, legati mani e piedi con pesanti catene metalliche, erano stati tutti rasati e vestiti con le tradizionali vesti per lesecuzione che indicavano la condanna: apriva il corteo la Majara, strattonata con veemenza da un gendarme, incespicante a causa dellorribile cecit e a cui era stata applicata una mordacchia di ferro. Il rozzo arnese teneva divaricate le labbra con appositi uncini, mentre uno spuntone arrugginito perforava la lingua della strega, in modo che non potesse bestemmiare ed oltraggiare la corte o la Chiesa Cattolica durante la lettura della condanna. Dopo la Majara seguiva Donna Mina, coperta da un drappo rosso con fiamme gialle, al vedere il quale il popolo and in visibilio, esibendosi in grida accorate e balli e danze. Infine incespicava Priamo Curzi, nudo, con un
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Sermone generale.

grottesco copricapo da asino che ne mostrava la natura di sodomita e pederasta; al passaggio dei prigionieri la folla si fece incontrollabile, percuotendo i criminali, maledicendoli, strattonandoli, e anche questa volta gli armigeri furono costretti a respingere lassalto furibondo dei popolani, oramai pi simili a bestie che ad esseri umani. I tre condannati furono fatti salire sul patibolo e il magistrato Giovanni De Meo si erse dinanzi a loro nella sua severa imponenza, e dove aver taciuto il volgo alzando le braccia, lesse con voce tonante gli atti daccusa che gli furono passati da un funzionario del tribunale: Noi Giovanni De Meo Magistrato del Sacro Asburgico Tribunale Spagnolo, Armando Falconieri Questore in Carica della citt di Messina, Felipe Guadalupa Capo di Polizia della Santa citt di Messina, Hernesto Santissimo Ramirez Supremo Inquisitore della Chiesa Cattolica in Sicilia, Francesco Alvarez Archimandrita e Arcivescovo della Santa Diocesi di Messina, aiutati dalla Santa Misericordia; Essendo voi Priamo Curzi di et 42, Donna Mina Spadari di et 32, e Donna Annunziata di Calenda Di et non pervenuta E a questo punto dellarringa la folla romb come un fiume in piena, poich la donna che si contorceva sul patibolo era certamente una strega preso atto delle inoppugnabili prove et testimonianze, fatti certissimi et inequivocabili quivi ordiniamo: e in pochi secondi il silenzio si fece palpabile, rotto solo dalle parole del magistrato che squarciavano laria come colpi di alabarda. Priamo Curzi, accusato di sodomia e pederastia, di atti osceni et oltraggiosi, di servit del Dimonio, che venga condannato allevirazione della prova del male, e ad ardere al rogo senza concessione di prematura morte; Donna Mina Spadari, accusata di aver venduto i natali al diavolo, di corruzione, di eresia et stregoneria, che venga condannata allapertura del ventre tramite spata, al taglio delle mani con cui pag il demonio, e insine ad ardere al rogo senza concessione di prematura morte; Donna Annunziata di Calenda, accusata di Diabolici atti, Stregoneria et Negromanzia, Omicidio et Rapimento, Unione sacrilega col Diabolo, Tortura, Usura et Furto, Oltraggio alla corte e alla religione Cristiana et Cattolica, che venga condannata al giudizio della sega, appesa per i piedi, e insine ad ardere al rogo senza concessione di prematura morte A tal punto la piazza esplose in un urla incontrollabili, egli armigeri dovettero intervenire sparando in aria e malmenando alla cieca con le picche, ma non fu abbastanza, e ci volle lintervento dellInquisitore Supremo perch la folla si calmasse e tendesse lorecchio al sermo generalis: Fedeli! Umili e Retti Messinesi! Io vi ammonisco! Poich: a chi rifiuta la parola del Signore, a chi sdegna il suo Santo Insegnamento, a chi si macchia di Eresia, non sar concesso nessun privilegio, nessuna protezione, ne a lui n a chi lo ospita o lo difende, n ai suoi genitori n ai suoi figli! E Iddio li condanna allanatema e a una morte violenta poich cos sta scritto: LInquisitore Supremo apr la Sacra Bibbia con un gesto teatrale: Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo E dopo aver citato la sacra Bibbia LInquisitore Supremo squadr severo i prigionieri uno alla volta, con la mano tesa in un gesto biblico, e le sue parole furono come squilli di tromba: Voi,

condannati alla morte dalla giusta mano del Signore, Abiurate la parola di Satana e vi pentite solennemente allo sguardo del Nostro Creatore? e fatto ci porse a ciascuno il lembo della sua toga rossa dove spiccava una croce dorata; solo Priamo Curzi la baci gridando Io Abiuro!, e fra scroscianti applausi, con un cenno severo di De Meo, i tre robusti boia furono invitati sul patibolo. Il magistrato url alla plebe: Che sia evirato e poi impiccato sicch morte non sopraggiunga!, e Priamo fu portato a un tavolaccio: fra le urla feroci delluomo, in contrasto col silenzio eccitato della piazza, due carnefici tennero fermo Priamo in posizione orizzontale mentre il terzo si chinava sul suo addome; luomo fu evirato lentamente dei genitali con dei coltellacci seghettati, mentre il sangue imbrattava vermiglio la pedana di legno. Poi, ancora cosciente, il collo del prigioniero fu legato alla forca; qualche istante e con un forte schianto dossa la miserevole vita di Priamo Curzi ebbe fine. Fu il turno di Donna Mina, che scalciava come un mulo, e a Padre Carmine, che era accorso per vedere lesecuzione, non sfugg che la bellezza della donna di un tempo era celata da una maschera digrignata da follia e terrore: con lincitamento del volgo fu portato sul patibolo un ceppo e con due tagli netti le mani della donna sbraitante furono amputate e subito cauterizzate con ceppi ardenti per impedirne la morte per dissanguamento; poi con un coltellaccio affilato fu praticata una corta incisione sul ventre, da cui fuoriusc di qualche centimetro lintestino. Infine Donna Mina fu issata e assicurata alla pira, con un grido di esultanza dei messinesi. Per ultima venne la Majara e latmosfera si fece funerea. Le furono tolte le vesti, rivelando alla piazza le carni flaccide e infernali contaminate dal male; poi la donna fu legata e issata a testa in gi sulla forca di legno, come un trofeo di caccia; i tre carnefici, con un crepitante applauso della folla entusiasta, fecero mostra di una lunga sega arrugginita da boscaiolo. La strega cercava inutilmente di liberarsi, come un animale che non ha scampo alla morte, e quando la sega le fu apposta sugli organi genitali i presenti sul patibolo udirono un mugugno blasfemo provenire dalla lingua inabile della condannata. A un cenno del giudice i due robusti boia iniziarono a segare, scorticando la carni e schiantando le ossa, recidendo nervi ed arterie che esplosero in schizzi di sangue. Larte di torturare i prigionieri tramite una sega da boscaiolo era una delle pi ardue da padroneggiare, dato che la sua corretta pratica necessitava di parecchia esperienza e perizia per impedire che il torturato morisse sul colpo; nelle mani pi abili molte vittime potevano essere segate sino allo sterno rimanendo coscienti prima di morire, ma con la strega si arriv sino a sopra allombellico. Poi, sempre a capo riverso, per impedire allossigeno di lasciare il cervello, la Majara fu appesa alla pira come un animale squartato. Giovanni De Meo alz le braccia al cielo e prima del gesto fatale che tutti attendevano lArchimandrita, uomo caritatevole, pronunci le seguenti parole: Che Iddio vi perdoni e abbia piet della vostra nera anima Poi i tre boia alzarono altrettante torce, e con un breve gesto appiccarono il fuoco. Le fiamme scaturirono violente verso lalto, lambendo i piedi e le gambe dei due eretici; in poco tempo le figure urlanti furono avvolte da lingue di fuoco, simili a palle informi e incandescenti che gridavano folli il loro bieco strazio e terrore. Acre il puzzo delle loro carni abbrustolite si lev in cielo, ma se Donna Mina si erano spenta esanime gi dopo qualche minuto di disumana agonia, la Majara continuava a contorcersi e a soffrire in modo incessante, immortale. Ce chi che giura che, prima di accasciare il capo dopo un quarto dora di orribile dolore, la strega sia riuscita a urlare terribili parole di maledizioni contro la chiesa e contro il Signore, nonostante la mordacchia di ferro; chi era pi vicino al patibolo invece spergiura che la strega abbia gridato affranta qualcosa a proposito del suo amato figliolo. Ci di cui tutti furono concordi che quando il fumo nero e unto della sua carne scoppiettante venne sprigionato verso laltro non si disperse, ma come una lingua sinuosa e suadente si fece largo fra la folla, per tuffarsi e poi sparire in una delle bocche delle quattro fontane allincrocio fra via Cardine e via I Settembre.

X Pentimento Avevo letto il volume senza interruzioni, districandomi fra passi in latino e paragrafi in siciliano volgare, e quando posai lo sguardo verso lorologio notai che batteva circa le 3 di notte; era il 27 dicembre 1908 e mi ero lasciato catturare da quellincredibile resoconto per tutto il giorno; una volta finita la lettura inevitabili e insistenti domande mi affollavano la mente: Chi era in verit la Majara inquisita? Che relazioni aveva con la setta che agiva nel sottosuolo della citt? E soprattutto che grottesco ruolo giocava nella vicenda lorrenda creatura partorita da Donna Mina? Feci per chiudere il libro, esausto, deciso a trovare risposta agli arcani misteri la mattina dopo, quando notai un rigonfiamento sinistro nella spessa terza di copertina del tomo. Armatomi di un temperino forai, non senza esitazione, lantico volume, portando alla luce un fagotto di vecchi documenti e fogli di carta. A un esame pi attento vidi che alcuni erano articoli e fogli di giornali, altri pergamene ingiallite, e passandoli al vaglio scovai un breve memorandum lasciatomi sicuramente dalluomo a cui era stata amputata la lingua: A Sir G.D. Egregio professore, se sta leggendo questa lettera allora riuscito sicuramente a recuperare il volume che le ho indicato durante il nostro breve e misterioso incontro e ragionevolmente, e in virt delle sue grandi capacit, a tradurlo. Con una semplice missiva non posso far luce su tutte le domande che le saranno sorte durante la lettura degli atti processuali e delle testimonianze contro Donna Annunziata Calenda, ma le posso sicuramente fornire qualche chiarimento sui fatti avvenuti e diradare forse qualche mistero. Innanzitutto s, tutto ci che ha letto nel volume e che gli adepti della mia setta hanno raccolto e trafugato con costanza attraverso i secoli corrisponde a verit; avr sicuramente capito che anche Donna Annunziata Calenda era, al pari delle altre donne che hanno storpiato la storia di Messina, una potente donna, capace di piegare realt, materia e tempo al proprio volere, grazie a studi cabalistici e negromantici che erano al di fuori della comprensione degli uomini che la condannarono. Ma della sua oltraggiosa specie non fu lultima, e larroganza degli Inquisitori fu proprio quella di crederla tale; altre donne presero il suo posto, e negli anni successivi riuscirono ad accumulare sempre pi potere e ricchezza. Come avr ben capito le origini del nostro culto sono antichissime, avendone memoria gi da prima che i greci colonizzassero lisola; la conoscenza e la ricchezza che abbiamo rubato ed estorto ci servono per omaggiare e pregare oscuri Dei dellAbisso di cui lei non sospetta nemmeno lesistenza, e per perseguire scopi arcaici e terribili. Omicidi ed efferatezze sono allordine del giorno, ma preferiamo agire nellombra, guidati come topi dalla nostra oscura Signora, che chiede sangue, sempre pi sangue per i suoi terribili sacrifici. Come immagino abbia potuto osservare nei giorni passati la nostra setta vasta e potente, laggregazione straordinaria di terribili uomini e geniali menti, pronte a perpetuare qualsiasi folle e violenta azione; nonostante ci il ruolo maschile nel culto limitato alla subordinazione o alla schiavit perpetua e totale, e un servo come me pu solo aspirare a entrare nelle grazie della Majara, per ottenere qualche potere decisionale allinterno della nostra arcaica struttura. Ma non sempre ci riesce nel migliore dei modi, e a volte le punizioni a cui siamo costretti sono terribili; ben pi terribili di quella che mi ha visto perdere la lingua e luso della parola, me lo lasci dire. In ogni caso gli scopi che perseguiamo sono molti, e variegati, ma da anni qualcosa bolle in pentola, se mi concede il gioco di parole, e gli astri sono pronti per un evento di sangue come mai luomo ha mai assistito; nei sotterranei sotto la citt il grido delle anime esuli sempre pi forte e

ormai il culto pronto a portare morte e distruzione in superficie abbandonando senza timore la propria segretezza. Ma troppo; ho meditato e sofferto a lungo prima di prendere tal decisione ma la scelta fatta: ho deciso di rivoltare il mio debole pugno contro il male orribile che per tanto tempo ho servito. Ho perso tutto, i miei cari, i miei affettii miei figli ho abbandonato tutto a bruciare nelle fiamme dellinferno pur di apprendere conoscenze oscure che mai ho del tutto compreso. Ma ho deciso di ribellarmi, esimio professore, e di chiedere il suo aiuto per fare ci che si deve. I preparativi nei sotterranei sono quasi giunti a compimento, e se il rituale di distruzione scatenato dalla Majara giunger a termine saremo complici e testimoni di una carneficina che non ha eguali. Detto questo, che so le susciter emozioni contrastanti ma che, mi creda, corrisponde a verit, le allego in gran segreto del materiale che laiuter a far chiarezza sul fulcro di tutte le nostre operazioni: la strana creatura che pi di duecento anni fa venne abbandonata ai flutti dello Stretto. E ancora viva, e il nostro destino, e quello di Messina, dipende forse dalla sua salvezza. Infine,mi lasci dire che se avr deciso di aiutarmi non potr che ringraziarla in eterno e che forse ce ancora del tempo, seppur poco, perch la mia anima sia redenta. Le do appuntamento per domani notte, alle due circa, alla fontana di via Cardine; si ricordi di indossare i vestiti che le ho procurato. Insieme scenderemo nel sottosuolo e con un po di fortuna porremo fine al secolare abominio. In fede Joseph Mariaci Lessi e rilessi pi volte la lettera, le mani tremanti, la fronte imperlata di sudore, e il primo impulso fu quello di scappare e non posar mai pi piede su quella citt maledetta, di voltarmi e lasciare indietro quella grottesca e incredibile storia. Ma poi mi calmai, e una forza a me estranea mi convinse che la lettera di Joseph diceva il vero; nonostante sapessi poco e nulla sugli scopi reali dellantico setta cera qualcosa fuori posto, qualcosa di assolutamente malefico ed estraneo alla vita e alla natura, qualcosa che i volti bruni degli adepti o i ronzii alieni delle loro maschere suscitavano nel pi profondo della mia anima: la sensazione orribile che la setta stesse manomettendo lingranaggio base di un meccanismo misterioso, che gli uomini in nero non volessero uccidere un uomo solamente, o cento, o mille, ma far sprofondare per sempre tutta la citto il mondo nelloblio. La percezione stessa della realt, di ci che possibile secondo consolidate leggi naturali e scientifiche, era cambiata da quando ero sceso negli orribili sotterranei, e i concetti di magia, occultismo ed cabala non mi apparivano cos ridicoli come avrei giurato qualche giorno prima, al sicuro delle mie granitiche certezze e conoscenze fisiche. Sconvolto da queste orribili considerazioni capii che il mio modo di osservare e giudicare i fatti era stato orribilmente alterato dalle recenti esperienze, e che il mio equilibrio psichico vacillava sotto il peso della possibile esistenza di piani della realt metafisici a me sconosciuti; con profondo rammarico capii che la notte dopo, oltre ogni possibile logica, mi sarei presentato puntualmente allappuntamento col mio misterioso compagno, pronto ad affrontare un destino a me ignoto e forse, pi grande di quanto potessi pensare.

XI La Leggenda di Colapesce e le misteriose sparizioni Assolutamente incapace di dormire passai il resto della nottata a studiare le carte che mi aveva allegato Joseph: il primo documento, che risaliva al 1699 era un certificato con cui Manuele Curr, medico alienista del manicomio Mandatari, certificava una grave forma di malattia mentale a Don Antonio Busacca, pescatore di Torre Faro, ordinandone limmediata reclusione. Luomo raccont ripetutamente a Curr di aver visto un ragazzo simile a un pesce nuotare vicino al mio luntro, e viaggiava pi veloce di un pescespada, pi veloce del vento! E poi con un gran tuffo sinabiss, e scomparve, non prima di avermi salutato!. Busacca fu internato e un altro documento redatto a mano con la grafia storta del medico, che corrispondeva a una sorta di prescrizione della cura, riferiva che luomo doveva essere incatenato al muro e salassato per tre mesi, comera duopo secondo i metodi del tempo. Un altro documento molto interessante che lessi alla luce tremula della candela che avevo posto sul tavolo era il resoconto di bordo S. Medina, rilasciato alle autorit portuali spagnoli messinesi in concomitanza di uno sfortunato incidente marittimo. S. Medina era il nostromo di bordo del bastimento spagnolo San Rosario, diretto allo scalo di Pireo, in Grecia, che il 12 Febbraio 1706 attraversava in entrata lo Stretto di Messina, in direzione del porto. Il San Rosario, una robusta maona a tre alberi con la stiva carica di legnami pregiati, era in servizio da parecchi anni e non era la prima volta che si trovava ad affrontare le acque delle Stretto. Giunto in prossimit di Capo Peloro il bastimento si trov improvvisamente in balia di alcuni flutti molto violenti. Preso di sprovvista lequipaggio non riusc ad affrontare le acque prima che uno schianto poderoso indicasse la rottura degli agugliotti e una forte corrente montante in direzione nord spezzasse il timone, rendendo ingovernabile il vascello. Il nostromo, salito sopracoperta, rimase quasi paralizzato quando not che la nave era diretta senza ombra di dubbio verso un garofano, un gorgo scuro e gigantesco che avrebbe inghiottito il bastimento senza pi controllo. Nonostante gli ordini del capitano e laffannarsi dellequipaggio il San Rosario era ormai senza controllo; sul punto di affidarsi allaiuto di San Francesco di Paola, protettore dei naviganti, il nostromo giur, e non fu il solo dellequipaggio, di aver scorto una figura scura passare fulminea sotto la chiglia della nave. Poi come se nulla fosse, la maona fu sottratta ai flutti e trascinata da una forza misteriosa verso i pi sicuri lidi di S.Agata dove fu possibile iniziare le riparazioni fra lo stupore generale. Sotto giuramento, lequipaggio e il nostromo giurarono pi volte di aver visto una sorta di uomo pesce guizzare nelle acque dargento, mentre la nave veniva sospinta in acque pi sicure; il capitano per addiceva il fatto alla forte superstizione marinaresca dei suoi uomini, e le autorit spagnole sminuirono laccaduto. Con mano tremante mi accinsi a leggere il documento successivo: nel 1714, durante i consueti festeggiamenti pasquali a Pace, una frazione di Messina, un ragazzo era caduto rovinosamente in acqua dal tradizionale palo della cuccagna proteso in mare; unimprovvisa corrente fortissima lo aveva trascinato a largo e gli spettatori e la famiglia lavevano visto scomparire impotenti nel profondo delle acque, inghiottito dai gorghi dello Stretto. In tutta fretta si era cercato di prestar soccorso al ragazzo preparando una barchetta di salvataggio con quattro aitanti rematori, desiderosi di mettersi in mostra presso le giovani femmine del paese; ma prima che la scialuppa di fortuna fosse messa in acqua il ragazzo fu trascinato a riva da unonda poderosa, quasi svenuto. Portati i primi tentativi di rianimazione il giovane rinvenne tossendo, e raccont alla folla stupita radunatasi attorno a lui di essere stato salvato da un ragazzo simile a un pesce, che nuotava a suo agio fra le profondit del mare; la creatura simile a un tritone lo aveva acchiappato prima che fosse inghiottito dalla corrente di Cariddi, e portato velocemente verso riva, salvandolo. I genitori portarono a casa il ragazzo, e lo costrinsero a letto per una settimana, forse per convincerlo di essersi immaginato tutto piuttosto che di continuare a blaterare fandonie sulla presunta creatura;

ovviamente allaccaduto fu dato poco risalto e fu attribuito al fatto che il povero giovane era quasi affogato. Altre testimonianze simili si ripetevano per tutta la met del 1700, di cui una davvero degna di nota che consisteva nel racconto di uno stimato professore dellUniversit di Messina, tale Angelo Vitale, che insegnava Filosofia, Retorica, e Greco. Lillustre e canuto uomo narr ai suoi studenti basiti di aver incontrato la strana creatura di cui tanto si vociferava, al tramonto, di ritorno da una delle sue famose passeggiate lungo la litoranea, che dal centro della citt conduce sino a Capo peloro; dopo aver visto lo strano essere seduto su uno scoglio il buon Angelo Vitale, senza pensarci due volte, scese gi in spiaggia e si present come si conviene fra uomini illustri. Per tutta risposta il tritoneperch era un tritone, Vitale ne era ben sicuro con modi garbati e cortesi lo invit a sedersi accanto a lui. I due iniziarono amabilmente a conversare, e lillustre professore si stup della profonda cultura e conoscenza della strana creatura, che parlava correttamente latino e spagnolo. I due si attardarono a conversare sino a tarda sera, intavolando forbiti dialoghi scientifici e filosofici che riempirono il professore e il suo insolito interlocutore di gaudio e soddisfazione; resosi purtroppo conto che si fatto parecchio tardi il professore fu costretto a congedarsi, non prima di aver augurato al suo cortese intrattenitore tutta la fortuna del mondo. Deliziato dallaccaduto Angelo Vitale non riusc a esimersi dal narrare lo stupefacente incontro ai suoi alunni; questultimi minimizzarono il racconto come le stravaganze di un vecchio e fecero spallucce. Non pass molto prima che lesimio professore and in pensione alla veneranda et di 65 anni. Continuai a tuffarmi negli altri resoconti: alcune testimonianze sembravano davvero incredibili, altre veritiere, nonostante i testimoni non fossero sempre attendibili, o nella piena possessione delle proprie capacit mentali. Sino alla fine del 1700 le dicerie su questo incredibile abitatore del mare si erano moltiplicate, passando di bocca in bocca, di documento in documento, tanto da creare una sorta di leggenda delluomo pesce, chiamato dagli abitanti di Messina Colapesce: il protettore degli abitanti dello Stretto dai pericoli del mare. Poi prima del 1783 il materiale cambi tono: il tema delle pergamene e delle lettere raccolte da Joseph era incentrato sulla scomparsa di diversi bambini avvenuti a Messina lungo tutta la fine del secolo. Il primo brano che esaminai corrispondeva al decreto regio di cattura per un uomo emanato nel 1759, a carico di Alfonso Todaro, noto falegname dellepoca. Luomo era accusato di aver ucciso due ragazzini e di essere stato colto in flagrante mentre ne cercava di occultava il corpo nel suo laboratorio, ma il documento non riportava altri dettagli in merito; molto probabilmente luomo era riuscito a sfuggire alla cattura. Nel 1760 due delinquenti erano stati arrestati dalla gendarmeria spagnola mentre tentavano di sottrarre due fratellini di buona famiglia alle loro madri che passeggiavano nel centro della citt; gli uomini, secondo il resoconto degli ufficiali spagnoli, erano vestiti di nero, e si nascondevano dietro oltraggiose maschere. Nel 1765 un intera scolaresca dellIstituto Scolastico Francescano di Messina, era sparita nel nulla in occasione di una gita al mare; i dodici ragazzi, accompagnati da due frati, erano incredibilmente scomparsi senza lasciare alcuna traccia. I due accompagnatori, torturati pi volte, affermarono di essere stati aggrediti e messi fuori combattimento da alcuni loschi individui; una volta rinvenuti i francescani si accorsero con orrore che i ragazzi erano stati rapiti. Il tutto era avvenuto dalle parti di Capo Peloro. I due frati, nonostante riportassero diversi lividi ed escoriazioni, non furono creduti, e condannati allimpiccagione, tanto da alimentare un oltraggioso scandalo che invest lIstituto Francescano per mesi parecchi mesi. Nessuna indagine riusc a portare a galla la misteriosa fine della scolaresca. Il 1770 Tommasino e Agostino Mancuso, due gemelli di dieci anni, erano scomparsi misteriosamente mentre giocavano nella zona di Torre Del Faro; la madre, che sedeva a filare un maglione su una seggiola di paglia, era entrata un attimo in casa per bere un sorso dacqua, quando un urlo dei due bambini la richiam fuori. La donna, credendo che il figliolo si fosse fatto male, usc velocemente dalla baracca e quasi rimase paralizzata dalla paura quando vide il motivo

dellurlo feroce: Michelina, questo il nome della madre, testimoni di aver scorto tre farabutti abbigliati con strani mantelli prendere i suoi poveri figlioli sottobraccio. La donna si mise a urlare concitata, causando la fuga precipitosa degli strani rapitori, che si tuffarono nei vicoli del paesello, e attirando lattenzione delle comari vicine di casa. Furono battute tutte le case del villaggio, da Torre Faro sino ai colli di Castanea, ma dei due fratellini o dei fantomatici uomini in nero non si scov nessuna traccia, tanto che si procedette ad accusare formalmente la madre, che dopo un mese di processo e indagini venne impiccata. Nel 1782 accaddero altre sparizioni ripetute di ragazzi e bambini, ma i casi avvenivano quasi sempre presso zone povere o disagiate della citt, tanto che la polizia interveniva di rado, o solo nei casi pi eclatanti, come quello di Gennaro Abate. Gennaro Abate, gentile chierichetto della chiesa di Santa Maria della Grotta, era sparito nel nulla senza lasciar traccia dopo aver servito a messa una domenica di gennaio; come dopo ogni liturgia il ragazzino aveva lasciato il parroco per dirigersi a casa, ma cos non era stato, e per tutta la giornata e il giorno seguente si cerc il piccolo Gennarino, ma senza successo. Due giorni dopo il ragazzino fu ritrovato casualmente da un passante; Gennaro era nudo e senza vita, adagiato a pancia in gi vicino a una delle quattro fontane marmoree. Nessun testimone laveva visto la sera prima, o la mattina, e il corpo era apparso l quasi per caso. Il corpo del bimbo presentava dei segni insoliti a polsi e caviglie, come se fosse stato ammanettato o imprigionato; altro particolare degno di nota che i gendarmi avevano annotato era che Gennaro aveva le unghie spezzate, come se avesse provato a scappare scavando la propria libert. Altro indizio a carico della gendarmeria spagnola era un lembo di lana nera che il bambino stringeva in una delle due mani. Nonostante le assidue indagini gli ispettori spagnoli furono costretti ad abbandonare il caso per implicita mancanza di prove, e nessuno seppe mai con chiarezza quale fu la vera fine del povero Gennarino. Lultimo documento che il misterioso Joseph mi aveva lasciato riguardava un notissimo fatto di cronaca del 1783, ovvero il tragico terremoto che aveva quasi completamente distrutto Messina e Reggio Calabria, provocando pi di cinquantamila morti solo nella citt siciliana. Dopo aver letto lorribile testimonianza di Giovanni Vivenzio, cronista del tempo, mi alzai e andai alla finestra, con la testa vittima di un turbinio di pensieri e idee folgoranti. Il mosaico delle cui macabre tessere avevo letto tutto la notte era pi nitido, pi visibile, e stava assumendo una forma contorta e diabolica; linsieme di dicerie, testimonianze e superstizioni era tanto incredibile che una parte di me si rifiutava di credere con tutto il cuore a s tante corbellerie e fandonie. Era davvero possibile che stessi impazzendo a tal punto da credere fedelmente a tutto quello che avevo letto? Ma il mio caldo lume della ragione stava perdendo forza, adombrato da un manto di nero orrore e superstizione; la follia e il caso si stavano impadronendo dei miei gesti o delle mie future azioni e prevedere la fine di quella grottesca storia era quantomeno impossibile. Guardai fuori, la citt in movimento sotto il timido sole dinverno. Mi costrinsi a stendermi sul letto, e a riposare: la notte in cui avrei scoperto se i miei innumerevoli dubbi sarebbero stati confermati, o le mie solide certezze crollate, sarebbe arrivata presto. XII e assoluzione Quando ripresi conoscenza dal profondo sonno in cui ero sprofondato, la notte era gi calata su Messina. Cercai assonnato lorologio e notai che mancava poco meno di un ora allappuntamento col misterioso Joseph Mariaci. Mi trascinai gi dal letto e iniziai a preparami senza ragionare sulloscuro compito incombente; il solo pensare a ci che avevo letto il giorno prima e alla terribile lettera di Joseph mi stringeva le membra in una morsa di terrore ed apatia che impediva qualsiasi azione, dalla pi semplice alla pi

ragionata. Era meglio quindi tener la mente sgombra, e attenersi a ci che dovevo fare con gesti meccanici e quasi privi di vita. Indossai il pastrano e assicurai la spilla, ma tenni il capello sotto il braccio in attesa di calzarlo dopo aver salutato il facchino del turno di notte gi alla reception. Una volta gi in strada indossai lo strano copricapo, e mi avviai silenzioso vero il luogo dellappuntamento; le strade di Messina erano perlopi deserte e tranne la presenza di qualche vagabondo della notte simile a me, non correvo il rischio di dare troppo nellocchio, o di attirare lattenzione. Giunsi presto alla fontana in via Cardine, e notai che Joseph gi mi attendeva appoggiato a un balaustro, le mani in tasca. Mi guardai intorno, e registrai che eravamo soli; nessuno si attardava al satanico incrocio. Lo raggiunsi e inaspettatamente lo vidi prendermi le mani fra le sue e stringerle con forza; lespressione delluomo era determinata, gli occhi saldi, umidi di lacrime e commozione. Capii che mi stava ringraziando per non averlo lasciato solo nel compito ingrato che ci attendeva, qualunque esso fosse, e vidi che con le labbra si sforz di mimare una parola senza suono: grazie. Le sue lacrime, e i suoi gesti, mi riempirono di una profonda commozione e di un riprovevole disgusto, come se fossimo interpreti dellatto finale di stucchevole tragedia. Dopo avermi lasciato andare Joseph estrasse da lungo mantello due maschere davorio, uguali in tutto e per tutto a quelle indossate dagli avventori della biblioteca sotterranea, e me ne pass una. La posi sul viso senza far domande e al primo respiro per poco non svenni dalla sorpresa, notando lincredibile effetto di risonanza della grottesca maschera: ogni volta che esalavo un respiro questi si trasformava nel ronzio alieno ed atono che gi mi aveva ipnotizzato il giorno prima, e mi sembr di notare un moto di divertimento negli occhietti quasi occultati di Joseph. Poi questi infil una mano guantata su per la bocca di uno dei tritoni, da cui zampillava un rivolo dacqua: si ud il rumore lieve di una leva meccanica che viene azionata e poi lo sferragliare di un qualche congegno. Una spessa botola di pietra scorrevole si apr senza far baccano, rivelando un foro di circa due metri protetto da una grata in ferro. Joseph sollev la grata, mostrandomi una scala a chiocciola che si perdeva nelloscurit, invitandomi a scendere. Con cautela, guardingo, feci i primi incerti passi nel buio, voltandomi per accertarmi che Joseph mi seguisse: lo vidi riposizionare la grata al suo posto, e cercare poi a tentoni, nella flebile oscurit, uninvisibile levetta che fuoriusciva dal solco di un mattone di pietra. Quando Joseph azion il congegno la botola si chiuse, e fummo inghiottiti dalla vorace oscurit. Rimasi immobile, incerto sul da farsi, e percepii la presenza del mio misterioso compagno che mi sgusciava accanto, dando inizio alla discesa. Il passaggio era stretto e tortuoso, e mi trovai a fantasticare sugli uomini che avevo visto la sera prima, immaginandoli intenti a portare le ingombranti casse di legno in spalla, imprecando e sudando. Ma non avevo sicuramente intuito la profondit delle viscere in cui ci stavamo avventurando, poich gi dopo un po iniziai a sudare copiosamente ed avere il respiro irregolare. Allinizio procedetti a tentoni, poich ci volle parecchio tempo prima che gli occhi si abituassero alloscurit densa e nera in cui stavamo annaspando, ma so dire con certezza che il tempo che impiegammo per la terribile discesa fu assai maggiore: scendemmo gli scalini di pietra per un interminabile periodo, alla cieca, continuando a girare lungo la scala a chiocciola simile a una vite che penetra nel ventre della gravido della terra. Scendemmo in silenzio, perch il mio compagno era muto e senza lingua, e credetti di perdere il lume della ragione al suono interminabile dei nostri passi sugli scalini di pietra. Lumidit si stava facendo soffocante, e mi accorsi che durante la discesa il muro di mattoni irregolari aveva lasciato il posto a viscida pietra nera; ci stavamo inabissando in un sotterraneo antichissimo e vetusto. Finalmente fummo accolti dal bagliore tremulo di una fonte di luce, e dopo poco giungemmo ad una vasta anticamera scavata nella roccia, illuminata da alcune torce ardenti.

La stanza doveva essere la cripta di un antichissimo culto, poich sulle ruvide pareti erano scavate miriadi di nicchie rozzamente intagliate, della dimensioni di mezzo metro di larghezza per un metro di altezza; allinterno riposavano i resti putridi di antichissime mummie, scheletri deformi e nani di abominevoli esseri senza nome. I corpi erano in posizione seduta, appoggiati ad un ripiano di fredda pietra; notai sgomento che sotto il bacino di ognuno era presente una cavit ottenuta scavando nella roccia, atta forse a raccogliere i liquidi e le secrezioni dei corpi in decomposizione. Sopra ogni loculo erano incise delle iscrizioni arcaiche in una lingua sconosciuta e aliena; mi avvicinai guardingo ad uno dei corpi, esaminandone le strane fattezze e lespressione da chiss quanti millenni mummificata in una forma di eterno terrore, quasi che luomo, prima di morire, fosse stato partecipe di un segreto troppo grande e terribile per poter essere custodito. Notai che molti cadaveri erano accomunati dallo stesso copricapo a tre punte che stavo portando, ma ci che mincurios maggiormente era la recisione della mano destra nella maggior parte dei corpi esaminati, particolare macabro che non mi risparmi un brivido gelido lungo la schiena. Percepii alle mie spalle la presenza sparuta di Joseph, che imponeva fretta, ma quando mi voltai per seguirlo allinterno delle catacombe, scorsi con sorpresa in un angolo della stanza una pila di casse di legno, uguali in tutto e per tutto a quelle trafugate dagli oscuri adepti appartenenti alla setta. Non potei resistere e mi avvicinai incuriosito, ma rimasi deluso, poich oltre a un fetore pestilenziale e alle comuni casse di legno non vera niente di particolare. Eppure fu la reazione di Joseph a stupirmi: in piedi al mio fianco non riusc a nascondere le lacrime, che gli rigarono il volto copiose, e quando feci per posargli una mano sulla spalla, deciso a confortalo anche se alloscuro del motivo, egli si ritrasse spaventato, e con un ultimo singhiozzo sincammin in uno dei tanti corridoi che era possibile imboccare da quella sorta di camera sepolcrale. Lo seguii, cercando di rimanere al passo, rincorrendolo attraverso interminabili corridoi di rozza pietra, un dedalo di nere catacombe e macabri loculi che si faceva sempre pi rasente e impervio, tanto che per un certo periodo di tempo, che stimai essere di qualche ora, dovemmo procedere accovacciati, in silenzio, con la testa piegata. Riflessi sul ritrovamento delle casse, e dedussi che probabilmente avevano ricordato al povero Joseph una delle sue passate malefatte, ma mai avrei potuto immaginare la verit, e quando questa si present, parecchie ore dopo, qualcosa nel mio equilibrio mentale si ruppe per sempre, lasciandomi per tutta la mia misera vita in balia di incubi oscuri e profetici. Nel frattempo il cammino si stava facendo sempre pi erto di difficolt: la volta del soffitto si era alzata, ma al tempo stesso il corridoio si era fatto molto pi stretto, e questa volta fummo costretti a strisciare di fianco in un passaggio claustrofobico, come imprigionati allinterno di unantica morsa, sgusciando con difficolt sulla viscida pietra angusta che risultava orribile al tocco e che emanava un lezzo di zolfo doltretomba. Il caldo opprimente, laria stantia e sgradevole, ostacolavano beffardi il nostro grottesco incespicare, e temetti pi di una volta dimpazzire al pensiero di rimanere incastrato in quel luogo per leternit, costretto a morire in una lunga e lenta agonia, la gola squarciata dallinutile urlare. La respirazione, gi di per se difficile, era ancora pi problematica con la maschera davorio, e miei movimenti risultarono impacciati e lenti sotto il drappo del pesante mantello nero; mi accorsi di essere zuppo di sudore, ma Joseph non conosceva tregua e mi conduceva sicuro attraverso i labirintici passaggi, in quel dedalo di oscure caverne scavate nel sottosuolo da chiss quale essere innominabile. Quando temetti di impazzire, o cadere esanime senza forze, scorsi che il passaggio si era fatto pi largo, e dopo poco tempo sbucammo in quella che doveva essere unampia caverna di nera pietra. Vidi che Joseph si era fermato e che mi tendeva la mano: mi guardai intorno, aguzzando gli occhi per squarciare loscurit che si era fatta densa come un drappo di tela, e con orrore mi resi conto di essere in piedi sul ciglio ricurvo di uno stretto passaggio, a ridosso del fianco di un precipizio, un buio tuffo nellabisso in cui saremmo potuti cadere per eoni, gridando, senza mai toccare il fondo. La caverna sotterranea si sviluppava su pi livelli, e quando gli occhi si abituarono alloscurit latente osservai meravigliato la miriade di neri pozzi che si aprivano sopra di noi, e che forse conducevano alla superficie. Percepii chiaramente un flusso di aria calda uscire dal foro

irregolare sopra di noi, quasi che ci trovassimo adagiati in un caldo polmone sotterraneo, ma ci che mi paralizz fu il rumore, il trambustola litania il cui orripilante suono era portato sino alle nostre orecchie dal pozzo, come se la caverna fosse unorribile cassa di risonanza: il battere incessante di enormi tamburi, il tintinnio sovrannaturale di terribili sistri dargento, e le voci; migliaia di voci intonavano la stessa orribile strofa, una canzone oltraggiosa e sacrilega che ammorbava laria col suo incedere malefico. Mi aggrappai a Joseph, terrorizzato allidea che luomo mi stesse portando in quel luogo ancestrale, raduno blasfemo dove si stava consumando un rito che di umano non aveva proprio nulla. Joseph mi trascin per la mano, guidandomi lungo loscuro ciglio che si apriva sul precipizio, sino a tuffarci in un inestricabile matassa di cunicoli naturali che si aprivano nella nuda pietra. Anche allora non mi lasci la mano, e gliene fui grato, poich temetti di morire in quel luogo oscuro e fetido, solo, e folle. Stavamo camminando oramai da ore, o giorni?... quando finalmente i tunnel si fecero pi ampi, e la luce pi intensa; man mano che ci avvicinavamo alla sorgente dorata di quel lume anche lintensit della litania andava crescendo: giungemmo infine a un largo corridoio di porfido lavorato, sulle cui pareti si aprivano archi a sesto acuto; notai che su ogni chiave di volta era scolpita ripetutamente la forma geometrica del triangolo, la stessa della mia spilla. Procedemmo sino a un vasto salone, ampio allincirca come uno stadio sportivo, che con orrore mi resi conto essere gremito di persone, tutte abbigliate con la stessa terribile foggia. Nel salone il motivo magnifico di archi a tutto sesto continuava, e ammirando limponente soffitto fui quasi stupito dalle incredibili decorazioni dalabastro che formavano una sorta di mappa o immensa cartina: osservando con pi attenzione mi resi conto che lalabastro incredibilmente intagliato, e di cui annotai mentalmente era stata utilizzata una grandissima quantit, disegnava la forma dellisola siciliana; sulle tre estremit o punte che dir si voglia, in prossimit di Messina, Trapani e Porto Palo, erano rappresentate tre colonne doriche. Sentii toccarmi la spalla e quando mi voltai vidi che Joseph mi attendeva, indicando lenorme scalinata che si apriva alla nostra destra. Insieme alla moltitudine di adepti ci dirigemmo verso di essa, unincredibile scalinata su cui scendemmo come corvi, simili a uninforme massa nera; per non perdermi restai vicino a Joseph, poich mi sentivo troppo stupito e ammutolito per potermi orientare da solo. La melodia infernale era diventata fortissima, e i colpi di tamburo scuotevano le fondamenta stessa della terra; giungemmo infine al luogo dove si stava svolgendo lincredibile rituale, la meta del nostro ineluttabile destino. Ci trovavamo al livello inferiore unenorme stanza semicircolare a due livelli, simile ad un anfiteatro. La sala era circondata da un alveolo di colonne votive ioniche finemente intarsiate, sui cui stilobati e modanature erano scolpiti con sopraffina tecnica esseri acquatici che si contorcevano in orrende unioni carnali. Sulle pareti della stanza si aprivano magnifici e innumerevoli balconi di pietra intarsiata; lintera sala era gremita dalla moltitudine danzante della setta, centinaia o forse migliaia di persone che balzavano sinuose al ritmo dellorribile cacofonia. Mi accorsi sgomento che sui balconi si consumavano rituali orgiastici terribili e banchetti infernali a cui i convitati mangiavano e poi si accoppiavano con violenza degna delle pi arcaiche bestie; intorno a noi il fruscio dei mantelli che svolazzavano e il soffio terribile delle maschere davorio si era fatto incontrollabile, mentre il ritmico incedere degli enormi tamburiperch enormi dovevano essere e il tintinnare infernale dei sistri conferivano allorribile visione unatmosfera apocalittica; capii che mi trovavo certamente dinanzi a un rituale che si svolgeva sullorlo della fine del mondo. Ma ci che era incredibile, ci a cui i miei mortali occhi non potevano credere era laltra parte dellanfiteatro, quella che corrispondeva alla parte frontale del semicerchio: non si trattava pi di una parete lavorata, ma di nuda pietra, quella viscida pietra nera dalle venature verdastre che gi avevo incontrato nella caverna sotterranea. Non era una parete noquella di fronte a noi ma una colonnauna ciclopica colonna di dimensioni mostruose, dalla proporzioni elefantiache, aliene; nessuna mano delluomo avrebbe potuto scolpireo pensareun elemento architettonico del genere. La colonna era incastonata

nella roccia, e con una terribile quanto fulminea intuizione capii che quei sotterranei e lincredibile sala erano stati scavati, pari al tunnel di una miniera, per giungere in prossimit della titanica colonna. Alla sua base il pavimento dellanfiteatro saliva, con una serie di gradini concentrici che formavano una sorta di sagrato malefico su cui le danze e i sacrifici umani erano molto pi violenti. Sullultimo gradino si ergeva un altare diabolico, dellaltezza di alcuni metri, su cui si contorceva una minuta figura vestita di un drappo rossola Majara. Armeggiava con qualcosa di scomposto, di altrettante piccole dimensioni, ma da quellenorme distanza non riuscii a intuire cosa fosse. Il satanico epicentro del rito era pure la fonte di una luce poderosa che rischiarava lenorme anfiteatro, una sfera purpurea a giallognola, simile al cuore pulsante e infuocato di un mantice infernale; ma eravamo troppo lontani e anche in questo caso non riuscii a farmi unidea precisa di cosa fosse la potente sorgente luminosa. In quel momento ringraziai il cielo e pregai Iddio, anche se il suo sguardo punitore qui non si era di sicuro posato, di essere nascosto dietro lorribile maschera davorio: non volevo immaginare in quale agghiacciante fine sarei potuto incappare se mi avessero identificato come estraneo. Con un leggero tocco dietro al gomito Joseph mi risvegli dalla morsa di tenebra che mi aveva agguantato, e mi guid verso un punto non troppo distante della sala, in cui si apriva un ampio spazio cubico. Era una sorta di alcova dedita ad essere usata come magazzino, su cui erano impilate migliaia di casse di legno. Ci avvicinammo, e mi accorsi che parecchi uomini si affaticavano per estrarre le casse dalla pila per poi passarle ad altri adepti che attendevano il loro turno in fila: questi ultimi, dopo aver issato la cassa sulle spalle, si avviavano in una sorta di sinuosa processione che arrivava dinanzi al terribile altare. Con orrore capii che ci stavamo dirigendo alla consegna delle casse; quando fu il nostro turno Joseph mostr la spilla che aveva appuntata al petto, che notai non essere portata da tutti gli adepti della setta: sicuramente doveva corrispondere a qualche sorta di grado o segnale di riconoscimento. Gli fu data una cassa, e lo vidi mettersi in fila lungo la processione, aspettandomi. Fu il mio turno e anchio mostrai la spilla: mi fu passata una cassa di legno che quasi mi cadde di mano per lincredibile peso, nonostante le piccole dimensioni. Doveva contenere qualcosa di scomposto, poich ad ogni passo loggetto allinterno si muoveva producendo degli spaventosi tonfi, simili a quelli di una mano che picchia contro il legno. Mi misi in fila dietro Joseph, avanzando allorribile picchiare dei tamburi, mentre intorno a noi le danze e i festeggiamenti negromantici continuavano ininterrotti; notai che il mio compagno piangeva, e quando fummo abbastanza vicini allaltare capii il perch, e compresi infine la vastit e la crudelt dellorrendo disegno. Vicino allaltare gli uomini scuri aprivano rapidamente le casse e ne estraevano corpi senza vita: i cadaveri esanimi e pesanti di poveri bambini, alcuni in avanzato stato di putrefazione, altri con la pelle talmente rosea che sembrava dormissero. Col pi bieco terrore ripensai alle parole di Joseph Ho perso tutto, i miei cari, i miei affettii miei figli ho abbandonato tutto a bruciare nelle fiamme dellinferno e mi sovvennero le testimonianze dei ragazzini scomparsi, e degli innumerevoli figli perduti, e delle unghie spezzate di Gennaroe tutto mi fu chiaro. Quasi mi chinai a vomitare, colto da irrefrenabili conati, e solo con un immenso sforzo di volont fui in grado di controllarmi. Una volta pi vicino riuscii finalmente a inquadrare lincredibile fonte di luce che stava ai piedi dellaltare: si tratta di un pozzo quadrato di grandi dimensioni, simile a una piscina olimpionica; la sorgente di luce e di calore altri non era che una pozza di ribollente magma viscoso e fosforescente, una vasca di roccia fusa e gorgogliante da cui proveniva un enorme calore. Ai piedi di quella sorta di vasca si ergeva il satanico altare, su cui la figura rossa e ingobbita danzava e rideva blasfema; ogni volta che i neri adepti passavano il corpo esanime di un bambino alla vecchia strega questi ne strattonava la testa, urlava maledette parole rituali e poi lanciava le membra senza vita nella pozza di lava. Ogni volta che un corpo cadeva nella vasca, lingue di fuoco e scintille bluastre lambivano laltare, provocando guaiti incontrollabili nellorrenda Majara. Oramai a pochi passi dalla terribile incombenza notai che al limitare della vasca erano stati costruiti

dei canali di scolo intagliati nella roccia che arrivavano sino la base della colonna; il magma laggi trasportato pian piano stava erodendo la colossale basee fu allora che lo vidi. Un uomo, un ciclopico uomo incastonatoincastrato e schiacciato dallenorme roccia nera. Da quella breve distanza ne scorsi il volto di amabile fattura, di fattezze paragonabili a quelle di una statua greca, i lineamenti generosi e forti, la testa leggermente ovoidale, simile a quella di un calamaro. Per un attimo ne incrociai lo sguardo, e gli enormi occhi neri e lucidi riflettevano uninsopportabile tristezza: lessere titanico piangeva lacrime amare, impotente di fronte allorribile sacrificio perpetuato dalla Majara, e si disperava, scuotendo il gentile capo con forza. I capelli corvini dellessere cadevano sciolti sulle imponenti spalle: vidi che luomo teneva le braccia alzate, quasi a sorreggere con sovrumano sforzo laliena colonna di pietra nera. Sul petto scintillava un medaglione doro, e le squame verdastre del corpo luccicavano al bagliore purpureo del magma fuso. I canali di scolo della vasca di lava arrivavano esattamente sino alle gambe o meglio, ai tentacoli biforcuti della strana creatura, bruciandone e maciullandone le immortali carni. Per quanti secoli lessereColapesce, il figlio del Diavolo salvato da caritatevoli mani dal destino del rogo, aveva resistito al disumano supplizio? Da quanto si cercava di farlo desistere, di costringerlo a piegarsi al peso della colonna frantumata? Vidi con orrore e stupore che le braccia delluomo tremavano; ormai eravamo a ridosso della Majara e nessun misfatto o sacrilegio mi avrebbero impedito di lanciarmi su di essa per ucciderla, per porre fine al perpetuarsi secolare del Male. Stavo per avventarmi su di lei, quando una singola poderosa scossa frantum la sala: lessere titanico aveva lasciato la presa con un braccio, quasi a voler lui stesso fermare la strega, e a finirla con le sue mani. La terra inizi a tremare impazzita e nello stesso istante crepe gigantesche frantumarono il pavimento: decine di balconi collassarono su s stessi in un esplosione di polvere e frantumi, schiacciando i loro occupanti basiti; centinaia di adepti furono inghiottiti nei solchi apertisi nella terra, urlando senza fine mentre cadevano nelle profondit abissali della crosta terrestre. Intere sezioni della volta crollarono, innumerevoli magnifiche colonne si spezzarono come fuscelli, mentre le urla di sacrificio della congrega si trasformavano in guaiti di paura. La moltitudine si diede alla fuga, lanciandosi nei pochi corridoi che non avevano ancora ceduto alla vendetta della terra, ma la Majara continuava a danzare, divertita. Convinto della prossima fine mi avventai su di lei, ma fui troppo lento: Joseph si lanci fulmineo sulla vecchia donna e vi si aggrapp con tutte le sue forze; in quei pochi istanti vidi il volto di Joseph, la cui maschera era caduta durante il balzo, sorridere sereno, mentre lespressione della Majara era sorpresa e quasi stizzita, simile a quella di chi vede crollare il proprio castello proprio durante la posa dellultima pietra. Poi, in un secondo, caddero entrambi nella pozza di fuoco per essere inghiottiti in eterno dallabbraccio del magma. Prima che lintera volta crollasse in un titanico tonfo mi voltai a guardare: Colapesce aveva riposto leroica mano a sorreggere la colonna portante e per qualche infinitesimo istante mi sembr di scorgere sul suo volto affranto lombra di un sorriso. Per puro miracolo riuscii a tuffarmi in un passaggio alla mia destra, scappando e urlando insieme ad altre centinaia di scure figure, come topi in un labirinto, aggrappandomi agli scalini freddi che, forse, portavano alla superficie. Ma la terra non aveva smesso di tremare e portare morte e distruzione, e quando unintera sezione del corridoio che, ne ero certo, portava alluscita croll, mi rassegnai allinevitabile abbraccio della morte. Pensai con una punta dorgoglio che forse avevamo fermato il Disegno del Male. Poi fu un rombo di calcinacci, pietre e polvere, e infine pi nulla.

XI Epilogo

Era il pomeriggio del 28 dicembre quando fui tratto in salvo dalle macerie da alcuni sottoufficiali della Torpediniera Saffo, della Regia Marina Italiana. Fui radunato, privo di coscienza ma vivo, insieme ai pochissimi altri sopravissuti a cui si riusc a prestare i primi soccorsi. Dal punto di raduno vicino a dove sorgeva la splendida palizzata fui imbarcato con circa altri quattrocento reduci sulla Saffo, trasformatasi alloccorrenza in una nave ospedale; o almeno cos mi raccont lufficiale medico a bordo della nave quando rinvenni, tremante. Mi disse che per tre giorni avevo dormito un sonno irrequieto, farfugliando di orribili rituali senza senso. Chiesi se insieme a me erano stati trovai altri sopravvissuti, ma il giovane ufficiale rispose negativamente. Volli alzarmi, ma notai di avere la spalla e il braccio fasciati; il medico, prima di passare alla cura di altri feriti, mi inform brevemente che il braccio destro era fratturato in pi punti e che abbisognavo di un lungo riposo. Mi addormentai di nuovo, sprofondando in un sonno nero come la pece e senza sogni, ma ad ogni risveglio gli altri sopravvissuti mi guardavano spaventati, riferendomi che urlavo frasi sconnesse e spaventose. Appena ripresi un po le forze salii, col permesso dellufficiale di coperta, a poppa della Saffo: triste e rassegnato osservai le rovine e le macerie urlanti e desolate di quella che una volta era stata Messina. La citt era incredibilmente scomparsa, come schiacciata dal piede gigantesco di un titano. Ovunque distruzione e morte, mentre le poche navi ancorate nel porto cercavano di prestare inutile soccorso alla citt mutilata; di tutti gli splendidi palazzi, delle vie alberate, delle magnifiche chiese e monumenti non era rimasta che polvere, una manciata irriconoscibile di rovine diroccate che non avevano pi nulla dello splendore di un tempo. Sconvolto capii che non eravamo riusciti ad evitare del tutto la catastrofe, che avevamo in parte fallito e che il sacrifico di Joseph era stato forse inutile. Affranto, e sconvolto, urlai il mio terrore senza fine. Chiesi di poter essere ricevuto dal comandante, e una volta presentatomi come Ingegnere e Biologo Marino e aver dato alcune referenze, domandai di poter essere scortato a terra, per poter aiutare nelle operazioni di soccorso. Ovviamente il permesso mi fu negato, e la richiesta fu accolta come quella di un pazzo. Giorni dopo salpammo, dirigendoci verso Milazzo, dove fui ricoverato e curato in un ospedale da campo militare. Dopo una settimana circa di cure mediche e riposo assoluto fui trasferito a Napoli, dove trascorsi una breve degenza allospedale degli Incurabili in attesa di un altro spostamento al manicomio S.Francesco di Sales, dove tuttora sono in cura. Intanto arrivavano i primi dispacci e le prime notizie da Messina, dove si parlava di disastro di proporzioni bibliche, col novanta per cento di mortalit e una stima di circa settantamila morti: tutta la citt era stata distrutta Nel frattempo fui internato al S.Francesco di Sales, a causa dei miei strani comportamenti notturni e del mio continuo degenerare psichico; gli alienisti e gli specialisti che mi visitarono pi volte parlarono di grave schizofrenia paranoide e mi prescrissero una lunga cura elettroconvulsivante e un intenso regime di punture insuliniche. I medici trattarono i miei racconti come fandonie inventate da un qualsiasi blaterante demente, e considerarono le mie insistenti verit riguardo al terremoto di Messina come sintomo di una psicosi disturbante che mi aveva alterato le capacit di sensopercezione dopo la tragedia che avevo subito. Ma io so, con ragionevole e per nulla folle certezza, che essi si sbagliano, e che nulla di tutto ci che ho visto quella notte del 27 dicembre corrisponde a finzione o immaginazione: linfernale setta, linutile sacrifico di Joseph, lo sforzo sovraumano di Colapesce e i suoi malinconici occhi accaduto davvero! Mai potr scordare queglocchi: quelli di chi ha assistito a innumerevoli malefatte, gli occhi con cui osservo il mio viso invecchiato dal dolore nel riflesso delle iniezioni di insulina che mi somministrano ogni giorno. Gli stessi occhi di chi ha incrociato il Male. E di chi non lo ha scordato

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