Parliamo di un’altra funzione superiore dell’encefalo, la memoria; l’altra volta abbiamo parlato del
linguaggio adesso trattiamo di memoria, ma prima necessitiamo di un preambolo per capire a cosa
serve la memoria, per capire in che modo viene creata, dove e quali sono i centri che si occupano di
immagazzinare le info e di richiamarle alla memoria quando servono; vedrete che ci sono molte
aree distribuite in tutta la corteccia, abbiamo visto l’altra volta che esistono aree unimodali
associative, delle aree polimodali o multimodali, ecco dovete pensare adesso ancora alla
dislocazione di queste aree con la loro funzione di fornire una via di comunicazione tra l’aspetto
sensoriale e quello motorio e pensando a quelle aree adesso cerchiamo di integrare tutte le
informazioni, per capire come queste vengono utilizzate anche per il linguaggio per esempio, se
vogliamo esprimere un concetto dobbiamo ricordarci quelle parole che ci consentono di esprimerlo,
dov’è che vengono immagazzinate queste informazioni? come vengono richiamate? proviamo a
capirlo!
Cominciamo parlando di comportamento, perché queste funzioni superiori dell’encefalo di cui
stiamo parlando vanno a definire quello che poi è proprio il comportamento, intendendo con tale
termine tutti quegli aspetti che la corteccia ci detta che ci consentono di mantenere quella che si
chiama vita di relazione, cioè quella che ci permette di relazionarsi con l’esterno, ci permette di
ricordare dettagli di ciò che ci circonda ed utilizzare queste informazioni dell’esterno per modificare
la nostra postura, i nostri movimenti, etc… quindi la parola “comportamento“ comprende un’ampia
gamma di funzioni che sono poi quelle superiori dell’encefalo. Ci sono due aspetti che influenzano
il comportamento: i fattori genetici ereditari (di cui non parleremo) e altri fattori che sono quelli
ambientali, cioè fattori con cui l’ambiente ci manda delle informazioni che noi usiamo e che
modificano il comportamento andando proprio a mutare la risposta che il sistema motorio offre nei
confronti di uno stimolo che arriva dall’ambiente, quindi abbiamo di nuovo l’aspetto sensoriale (che
abbiamo visto), integrazione nelle aree associative (che stiamo vedendo ora) per poi dare una
risposta motoria; per poter dare una risposta modificata di volta in volta, che è poi quello che genera
il comportamento, dobbiamo basarci su due fenomeni che sono appunto fenomeni che avvengono a
livello corticale cioè l’apprendimento e la memoria; l’apprendimento è l’acquisizione di
informazioni che ci provengono dal mondo esterno, cose che prima non conoscevamo, quando
nasciamo non sappiamo leggere, non sappiamo la via dove in cui abitiamo… però affinché
l’apprendimento si realizzi non basta che qualcuno ci dica il nome della via, ma bisogna anche che
ce lo ricordiamo; quindi queste due informazioni, quella che genera l’apprendimento e quella che
poi viene salvaguardata in funzione di un deposito mnemonico, servono a variare il comportamento
in tempi futuri, bisogna quindi vedere come le informazioni, una volta apprese, vengono gestite
nella memoria. Sorgono ora delle domande:
• Quali sono le forme principali di apprendimento?
• Quali sono le informazioni che il SNC apprende più in fretta?
• I diversi tipi di apprendimento generano processi mnemonici uguali o diversi?
• In che modo le tracce mnemoniche vengono conservate e recuperate?
Allora, abbiamo varie forme di memoria, cominciamo a parlare della memoria a lungo termine, si
protrae nel tempo, si usa questa dicitura per quella memoria che dura per un tempo che supera le 4/5
ore fino all’infinito, non è detto che però duri all’infinito perché vedremo che per mantenere nella
memoria a lungo termine un’informazione bisogna che questa venga ripetuta, ripresentata con
cadenza non troppo diramata nel tempo, ci vuole quindi quello che si chiama il rinforzo.
Memoria (a lungo termine)
sistemi neuronali
diversificati
Cominciamo a vedere cos’è questa memoria a lungo termine, è una memoria che viene
immagazzinata in sistemi neuronali diversi a seconda che si parli di memoria a lungo termine
1. esplicita o dichiarativa → quella di cui siamo coscienti, per esempio siamo coscienti di
dover ricordare il nome delle cose, delle persone, di un luogo che abbiamo visitato, cioè
sono delle informazioni che riguardano dei fatti o situazioni che ci sono capitati durante la
nostra vita, di cui siamo coscienti e che possiamo esplicitare in qualsiasi momento;
2. implicita o non dichiarativa → non siamo in grado di raccontare a qualcun altro di
quest’esperienza, sensoriale e motoria che viene immagazzinata sottoforma di gesto, per
esempio una forma di memoria implicita è quella che viene conservata nel neocerebello nel
momento in cui si impara a scrivere o si impara ad eseguire un movimento sofisticato, non
siamo in grado di raccontarla, ma rimane implicita, al momento di eseguire nuovamente
quel movimento non dovremo ripetere tutto l’iter che ci ha portato ad impararlo per poi
finalmente eseguirlo, ma automaticamente andiamo a reclutare quei circuiti neuronali,
corticali e cerebellari, che ci consentono di eseguire quel determinato movimento.
Ora vediamo quali sono gli aspetti principali di queste due memorie a lungo termine; cominciamo
con quella “esplicita”.
La memoria esplicita riguarda delle esperienze della nostra vita passata e possono riguardare sia dei
fatti che degli eventi; viene chiamata memoria esplicita semantica la memoria che riguarda la
conoscenza di fatti, nozioni, ci consente di ricordare il nome delle cose e delle persone, di ricordare
le parole ed il loro significato e quindi ci consente di avere a nostra disposizione un vocabolario a
cui attingiamo quando dobbiamo esprimere in maniera propria, quindi questo tipo di memoria è
quella che ci costruisce nel tempo e che ci permette di esprimerci in un linguaggio più o meno
complesso; per esempio, se impariamo una lingua straniera, andremo ad incamerare tutte le
informazioni di questa nuova lingua; la sintassi, le parole con i rispettivi significati andranno ad
essere immagazzinate, in questa memoria a lungo termine semantica che quindi rappresenta un
presupposto indispensabile per il linguaggio. Un’altra forma di memoria esplicita è quella
episodica, che riguarda eventi, esperienze personali e quindi descrive qual è il nostro passato → è
una memoria a lungo termine che ci consente di avere un ricordo; si può quindi dire che la memoria
semantica costituisce il nostro biglietto culturale, quella episodica aiuta a determinare la personalità
individuale (queste sono solo premesse che ci consentono di capire a cosa servono poi le
informazioni che verranno immagazzinate nei neuroni).
La parte corticale che si occupa della conservazione delle tracce della memoria, sia semantica che
episodica (memoria esplicita a lungo termine), è il lobo temporale mediale, facente parte delle
cortecce associative. La si vede nella diapositiva
Memoria esplicita
Zone coinvolte nella conservazione delle tracce mnemoniche
Organizzazione anatomica della formazione dell’ippocampo (lobo temporale mediale)
Emisfero SIN
c. peririnale c. paraippocampica
c. entorinale
c. paraippocampica
c. entorinale
questa è la zona dove vengono conservate tracce mnemoniche che si riferiscono alla memoria
esplicita; si tratta di quella zona che riguarda la corteccia peririnale, entorinale e paraippocampica,
siamo quindi in zona ippocampo.
Questa corteccia ha strette associazioni nei confronti di una corteccia che abbiamo già introdotto
nella sua estensione, che è la corteccia associativa unimodale e polimodale. Questa associazione
vuol dire che le informazioni raccolte dalla corteccia associativa vengono convogliate a queste
cortecce ippocampale, paraippocampale, peririnale ed entorinale → questo ci dice che le
informazioni sensoriali che arrivano alla corteccia primaria, alla corteccia uditiva, alla corteccia
calcarina visiva, integrate fra di loro, vanno ad essere portate anche a questa corteccia ippocampale
che scambia informazioni tra le varie componenti fino a che si arriva ad un punto importante → la
corteccia entorinale ─ questa ha connessioni con l’ippocampo, in particolare con le 3 aree che sono
l’ippocampo CA3, l’ippocampo CA1 ed il subiculum.
Memoria esplicita
corteccia associativa unimodale e polimodale informazioni visive,uditive e somatiche
(lobo frontale, temporale e parietale)
corteccia entorinale
via perforante
L’informazione può entrare attraverso una strada importante che è la cosiddetta “via perfornante”
attraverso i cui circuiti le nozioni vengono portate dalla corteccia entorinale al giro dentato; altre
informazioni possono arrivare direttamente dalla corteccia entorinale alle 3 aree, anche se il flusso
maggiore passa attraverso il giro dentato e da questo, tramite la “via delle fibre muscoidi” , passa
prima all’ippocampo CA3 e poi all’ippocampo CA1 (le info qui vengono condotte attraverso un
percorso neuronale che compone la “via delle collaterali di Shaffer”) (nelle diapositive compare sia
Shaffer che Shafter, il compendio di anatomia non ne parla, quindi ve li metto entrambi,ndr) →
queste vie sono diversificate fra di loro perché adottano dei sistemi diversi di memorizzazione
dell’informazione. Dopo l’integrazione attraverso queste 3 vie tutte le informazioni arrivano infine
al subiculum, questo è importante perché funge da sistema di convergenza delle informazioni che
passano per l’ippocampo; tutte arrivano al subiculum che le raccoglie, le integra e le riporta alla
corteccia entorinale, quindi in questo modo si verifica un giro interno di informazioni che
continuano a ricircolare tramite questa rete neuronale all’interno dell’ippocampo dove vengono
sempre più integrate e raffinate, quindi c’è una sorta di circuito di potenziamento in cui queste
informazioni ripresentate più volte alle stesse strutture nelle quali poi verrà codificata
l’informazione mnemonica; quelle 3 stazioni che abbiamo visto prima, la corteccia peririnale, la
paraippocampica e l’entorinale che vengono investite dal vario flusso d’informazioni, hanno
relativamente alla memoria a lungo termine esplicita dei significati differenti, anche se grosso modo
servono per il riconoscimento degli oggetti. Non si tratta di un riconoscimento diffuso per cui è
uguale che un’informazione venga riconosciuta dalla corteccia entorinale o peririnale → ognuna di
queste 3 conserva un certo tipo di memoria, perciò oggetti diversi vengono riconosciuti e
memorizzati in aree differenti pur rimanendo entro queste limitate zone. L’ippocampo serve invece
per la rappresentazione spaziale degli oggetti, è quello che consente ad un soggetto di autocostruirsi
una mappa → quando voi per la prima volta entrate in una stanza, al momento non sapete bene
dove si trova la finestra, dove sono le sedie; la volta dopo, quando entrate, sapete subito collocare
tutte le varie cose. La capacità di ritenere la strutturazione spaziale della stanza, il sapere che
quell’oggetto si trova proprio lì, sono determinati da una ricostruzione spaziale puntiforme; tale
capacità risiede proprio nell’ippocampo.
L
Ippocampo DX
Rappresentazione spaziale
ambiente
apprendimento relativo
all’ambiente circostate
R
L
Ippocampo SIN P
ricordo di parole
A
R
piano coronale piano trasversale piano sagittale
P A
Da come si può vedere dalla diapositiva c’è una netta distinzione tra l’ippocampo dell’emisfero
destro e quello dell’emisfero sinistro; a destra abbiamo la rappresentazione della memoria spaziale,
mentre l’emisfero sinistro, pur costituendo anch’esso un serbatoio di memoria spaziale, è implicato
inoltre nella creazione e nel controllo del linguaggio. In questo caso parliamo di “memoria verbale”,
perché è quella che ci serve per esprimere il significato di oggetti, parole → per esempio, attribuire
ad un nome una specifica persona è parte della memoria esplicita a lungo termine verbale.
Si diceva che l’ippocampo contiene una mappa cognitiva dell’ambiente puntiforme molto precisa,
se voi cambiate posto agli oggetti, tale mappa viene completamente ricostruita e ci consente di
riconoscere la stessa mappa però con degli elementi spaziali diversi rispetto a prima. L’ippocampo,
tuttavia, non è la sede definitiva in cui vengono conservate le tracce mnemoniche; questo è la sede
dove vengono costruite le informazioni, rappresentandole nel modo più giusto per poi essere
trasferite nel deposito della memoria a lungo termine, il neocortex, che è lì vicino, in particolare
nella corteccia associativa polimodale. Quindi abbiamo i questo caso a feed-back positivo delle
informazioni, ‘positivo’ perché si tratta di un potenziamento, le informazioni ci arrivano dalle aree
sensitive, aree associative unimodali e aree associative polimodali; queste vengono fatte convergere
nell’ippocampo che rielabora tali informazioni nella maniera adeguata per mantenerle conservate
sottoforma di memoria a lungo termine in altre aree della corteccia associativa polimodale (feed-
back positivo → rielaborazione).
Le immagini della diapositiva, eseguite con la PET (trasmissione emissione di positroni), servono a
visualizzare in modo non invasivo l’attivazione delle rispettive aree di corteccia che vengono
utilizzate; si vuole fare vedere quali sono le aree cerebrali che vengono attivate quando si chiede
una cosa piuttosto che l’altra. Le 4 di sopra riguardano l’ippocampo dell’emisfero destro che è
quello che rappresenta idealmente la mappa spaziale → se chiediamo di visualizzare un qualcosa si
attiva una determinata area; se si chiede di ricordare un percorso urbano, allora bisogna richiamare
alla memoria più informazioni che non vedere semplicemente come è fatta un’aula, quindi l’area
interessata è molto maggiore; se invece si chiede di ricordare una sequenza di parole si attiva invece
l’ippocampo di sinistra.
Memoria semantica (cognizioni comuni)
Memoria esplicita
Memoria episodica
TIGRE
C’è una forte frammentazione delle cognizioni mnemoniche e quindi la lesione focale colpisce e
annienta alcune informazioni, ma non tutte quelle che possediamo.
Codificazione
di memorie
episodiche
Richiamo di precuneo
memorie (lobo pm)
episodiche,
ricordo
Centrale esecutiva
corteccia prefrontale
Sistema attenzionale di controllo operativo
Tale memoria ha appunto una durata brevissima, al massimo di 30 secondi e è quella che ci
consente di mettere insieme tutte le informazioni che abbiamo raccolto dalle nozioni a lunga durata
della memoria esplicita; la parte della corteccia che ci permette di recuperare dai vari depositi che
abbiamo visto prima, cioè nelle varie zone della corteccia associativa polimodale, tutte quelle
informazioni che messe insieme ci consentono di ricostruire una scena, un episodio, non è la
corteccia associativa ippocampale, ma quella prefrontale che si chiama anche “sistema attenzionale
di controllo operativo”; questa corteccia attiva l’accesso ai quei due sistemi che si chiamano
“processi di ripasso della memoria operativa”, cioè la memoria operativa a breve termine attiva il
ripescaggio nelle aree associative di alcune informazioni; nella corteccia parietale posteriore andrà
ad attivare il circuito dell’articolazione verbale, perché è lì, sprtt a sinistra, che vengono depositate
le tracce mnemoniche di parole, numeri e tutto ciò che ci permette di esplicitare i concetti in
linguaggio, mentre invece un’ altra zona da cui la corteccia prefrontale attinge le informazioni è
quella della cosiddetta corteccia extrastriata, sempre una corteccia associativa posteriore che però
conserva tracce mnemoniche di caratteristiche visive della localizzazione degli oggetti; cioè in
pratica, se voglio ricordare un episodio, parte il segnale dalla corteccia prefrontale, questa attinge le
informazioni visive che sono state elaborate negli anni passati dall’ippocampo ed ora sono
immagazzinate nella corteccia extrastriata, che fa parte del gruppo della corteccia associativa
multimodale posteriore, e nel contempo raccoglie altre informazioni dalla corteccia parietale
posteriore, però non quella extrastriata, che invece raccoglie le elaborazioni a suo tempo raccolte
dall’ippocampo e depositate in questo circuito dell’articolazione verbale; la corteccia prefrontale
mette insieme queste informazioni che poi sono quelle che sono state elaborate in precedenza che
possono essere richiamate e possono poi essere rimandate in quella che è poi la memoria a lungo
termine. Allora, le fasi possono essere due: possono essere quelle di un’elaborazione breve delle
informazioni nella corteccia associativa posteriore, l’elaborazione viene controllata dalla corteccia
prefrontale, l’integrazione viene passata per la memorizzazione a lungo termine; oppure nel
momento in cui vogliamo richiamare alla memoria qualcosa che è già stato memorizzato, di nuovo
si attiva la corteccia prefrontale e richiama le informazione dalle varie aree; quindi può essere sia la
fase iniziale in cui le informazioni vengono immagazzinate, sia una fase successiva in cui le
informazione già immagazzinate vengono richiamate e poi rimesse di nuovo nella memoria a lungo
termine. (ovvio che questi schemi nel libro di fisiologia del SNC richiedono molto capitoli e molte
pagine, la prof ha cercato di condensarle in modo da fornirci uno schema di comprensione semplice
anche se in realtà è molto più complesso di così, ndr).
Adesso parliamo un po’ della memoria implicita, quella invece non dichiarativa che come dicevamo
prima è quella che ci permette per esempio una certa gestualità, ci consente certi movimenti; a
differenza della memoria esplicita che è cosciente, l’implicita non è cosciente, non andiamo a
concentrarci su un’idea quando vogliamo eseguire un movimento che abbiamo appresso in maniera
complessa, il richiamo dell’informazione arriva nell’inconscio; insorge lentamente, viene costruita
pianino alla volta, come imparare a suonare uno strumento musicale o a scrivere, si esprime
sottoforma di gesti e non di parole (si tratta solo di schemi motori) e si acquisisce mediante
apprendimento (altro aspetto del comportamento che vedremo in futuro).
- Inconscia
- Insorge lentamente
Memoria implicita - Si esprime sotto forma di gesti e non di parole
- Si acquisisce mediante apprendimento
(non dichiarativa)
amigdala
striato
- Coinvolge ⇒ cervelletto
sistemi sensitivi
sistemi motori
emozioni muscolatura
Abitudine
Riduzione della risposta ad uno disabitudine
stimolo non nocivo
Non associativa
Apprendimento delle proprietà di un Sensibilizzazione
singolo stimolo (pseudocondizionamento)
Aumento della risposta ad uno
stimolo non nocivo
Memoria implicita
(non dichiarativa)
Condizionamento classico
Apprendimento dei rapporti tra
Associativa due stimoli
Apprendimento delle relazioni reciproche
tra più stimoli
Condizionamento operante
Apprendimento delle relazioni
tra un comportamento e le sue
conseguenze
Questo apprendimento può essere di tipo associativo oppure non associativo; quest’ultimo è più
semplice, è basato su due forme, l’abitudine e la sensibilizzazione; l’abitudine è una ripetizione di
uno stesso atto che porta ad una risposta inferiore nei confronti appunto dello stesso atto, per
esempio se siamo in casa che stiamo studiando e c’è fuori qualcuno che lavora e sentiamo qualcuno
che picchia lavorando contro il muro, i primi rumori che sentiamo ci allarmano, ci spaventano e ci
disturbano, però una volta che abbiamo capito che c’è il muratore fuori che deve andare avanti a
lavorare tutto il giorno ci si abitua, poi il rumore ci darà anche meno fastidio e non ci spaventerà più
(esempio molto banale di abitudine); l’abitudine è, lo vedremo tra poco, un fenomeno per cui uno
stimolo non nocivo viene dapprima rilevato in maniera notevole e poi successivamente si
affievolisce la risposta, cioè con la riproposizione dello stesso stimolo diminuisce appunto la
risposta allo stimolo (sempre se questo è non nocivo); se lo stimolo invece è nocivo, per esempio la
martellata sul dito, se ve ne danno una e fa male, la seconda non è che fa meno male perché ci si
abitua, ma capita il contrario, cioè l’area su cui abbiamo dato lo stimolo nocivo viene sensibilizzata
per cui il secondo stimolo di nuovo nocivo, o anche se il secondo non è nocivo, però la parte che è
stata sensibilizzata risponderà di più, tipicamente se vi fate male, vi tagliate un dito tutta l’area
rimane dolente e anche il tatto normale che fino ad un istante prima non era dolente, ora lo è perché
l’area è sensibilizzata; queste sono forme di apprendimento non associativo e sono mediate dalle vie
riflesse (spinali).
Abbiamo anche un apprendimento di tipo associativo, riguarda vie superiori come amigdala e
cervelletto, però in una parte antica di questo, cioè il verme, quindi non fa parte del neocortex e
animali meno evoluti dal punto di vista cerebellare hanno questa forma di apprendimento
associativo. Perché l’amigdala? perché nell’apprendimento associativo si associa l’apprendimento
motorio con la motivazione, che può essere negativa o positiva e adesso andremo a vedere cosa
significa questo; quindi ricapitolando, la memoria implicita raggruppa due parti, la memoria
implicita non associativa, sottoforma di abitudine o sensibilizzazione, a cosa importante da capire è
che l’abitudine appresa viene inibita dalla sensibilizzazione, se voi per esempio sfiorate il dito con
una foglia, questo è uno stimolo non nocivo, la prima volta ve ne accorgete, le volte dopo non ve ne
accorgete neanche più, è questo un esempio di abitudine; se però date una botta col martello sul dito
e poi fate passare ancora la foglia, ecco, ora questa la sentiamo e ci da fastidio, mentre prima no,
perché la sensibilizzazione indotta dallo stimolo nocivo ha cambiato la risposta anche ad uno
stimolo che prima non dava risposta in quanto si era abituati allo stimolo non nocivo, quindi la
sensibilizzazione inibisce l’abitudine, tale inibizione prende il nome di “disabitudine”.
L’apprendimento associativo viene anche chiamato “condizionamento”, c’è un condizionamento di
tipo classico ed un condizionamento di tipo operante. Che cos’è il condizionamento classico? è
l’apprendimento del rapporto di contiguità di due stimoli, uno stimolo dato uno dopo l’altro, poi
ancora uno dopo l’altro e ancora uno dopo l’altro, si impara tale contiguità, si agirà quindi al primo
stimolo come se fosse già presente il secondo anche se in realtà ancora non c’è. Invece il
condizionamento operante è più complesso, perché è l’apprendimento non dei rapporti tra due
stimoli, ma delle relazioni che ci sono tra un comportamento e le sue conseguenze (sono cose che
cmq si rivedranno molto più nel dettaglio nel corso di psicologia).
Condizionamento classico
Condizionamento classico
2 3 2
2
1
1
1
Risposta non condizionata Condizionamento Risposta condizionata
Cervelletto
abolito da lesioni di (verme, nuclei cerebellari profondi)
Amigdala
Prendiamo un cane, gli si mette davanti una vaschetta con dentro il suo cibo e tutto contento
comincia a salivare, questo è un riflesso normale, mediato dal sistema nervoso vegetativo, in
particolare dal sistema nervoso autonomo per cui quando siamo in prossimità di ingerire cibo, tutto
il sistema digerente automaticamente si prepara azionando il sistema parasimpatico che, tra le altre
cose, induce la produzione di saliva in modo che nel momento in cui ingeriamo già nella bocca c’è
un composto di enzimi e tutto ciò che serve per poter prima masticare, poi digerire e poi ingerire il
tutto. Questa è una risposta non condizionata perché è semplicemente fisiologica, c’è il cibo → lui
saliva. Adesso diamo un condizionamento, prima facciamo suonare un campanello,
immediatamente dopo al suono noi gli mettiamo il cibo e lui quindi comincia a salivare; il cane
impara, mediante questo condizionamento, se noi ripetiamo tante volte in ripetizione prima il
campanello e poi il cibo, che tutte le volte che sente il campanello sa che subito dopo gli verrà data
la ciotola quindi si instaura una forma di apprendimento perché impara che il campanello precede la
presentazione della ciotola; arriverà quindi il momento in cui presentando il riflesso condizionante
comincerà la salivazione anche senza la ciotola con il cibo, abbiamo così instaurato una risposta
condizionata, si è verificato un apprendimento di tipo associativo mediante il condizionamento
classico; è ovvio che ci deve essere sempre un rapporto di causa-effetto; non serve soltanto nel
cagnolino che saliva, anche noi abbiamo le stesse forme di apprendimento, quando si andava a
scuola sapevamo tutti che quando suonava la campanella voleva dire che era finita l’ora e
automaticamente si saltava in piedi. Quindi il condizionamento classico fa parte della nostra vita
quotidiana. In questo caso l’encefalo serve da rilevatore dei rapporti di causa tra eventi messi in
luce tra loro dalla loro correlazione positiva; i due elementi, ciotola con il cibo del cane e
campanello non sono necessariamente collegati fra di loro, anzi sono del tutto disgiunti, siamo noi
che li mettiamo insieme nella maniera che ci fa comodo e quindi il cervello deve rilevare tale
associazione che non è normale e scontata ed una volta presa tale associazione si da luogo alla
risposta condizionata; la risposta è abolita dalle lesioni del cervelletto e dell’amigdala → il
cervelletto perché è la sede della memoria motoria; l’amigdala perché questo tipo di risposta è
fortemente condizionata dalla motivazione, se il cane non avesse fame non si creerebbe così
facilmente tale associazione, invece il cane ha piacere di vedersi arrivare la sua ciotolina quando è
affamato e allora la motivazione al raggiungimento del cibo è il fattore che determina l’instaurarsi
del riflesso condizionato, per questo l’amigdala è tanto importante in tali processi.
Condizionamento operante
Condizionamento operante
Apprendimento “by trials and errors”
Questo è ancora più complesso, di nuovo è importante la motivazione, però in questo caso non è
semplicemente un riflesso condizionato, riflesso nel senso che il cane sente il campanello e capisce
che sta arrivando la pappa per cui saliva, semplice riflesso di salivazione; invece qui abbiamo un
condizionamento operante perché modifica il comportamento. Prendiamo un topolino e lo mettiamo
in un labirinto, la prima volta che fa il giro del labirinto non c’è nulla, la volta dopo gli si mette un
pezzettino di formaggio, lui sente l’odore, va avanti finché trova il formaggio, ci mette comunque
un po’ di tempo; gli facciamo fare un po’ di volte lo stesso giro con il formaggio sempre lì e li
diventa sempre più veloce a trovarlo; poi prendiamo il formaggio e lo spostiamo più avanti, il
topolino arriva sparato nel posto di prima, il formaggio però non lo trova e quindi comincia di
nuovo a girare finché trova il so formaggio; si capisce che alla fin della fiera il topolino riuscirà a
fare tutto il giro nel labirinto, cosa che prima ci metteva molto tempo, adesso piano piano lo
abbiamo condizionato e sa che in fondo c’è il formaggio e quindi arriva in un istante; quindi lui,
data la motivazione, ha imparato a svolgere un compito che è quello di percorrere di corsa tutto il
labirinto scegliendo la strada giusta. È la stessa cosa di quando noi dobbiamo andare da un punto
all’altro della città, la prima volta abbiamo bisogno della cartina, dobbiamo guardare dove andare,
dobbiamo chiedere, dopo due volte che andiamo però sappiamo qual è la strada e qual è la
scorciatoia; sono meccanismi di condizionamento operante e in questo caso l’apprendimento si dice
che avviene by trials and errors, cioè per tentativi e ripetizioni finché a furia di sbagliare si trova la
via giusta, quindi è un condizionamento operante perché tutto il comportamento del soggetto è
modificato nell’ottenimento di uno scopo, quindi di nuovo c’è una forte componente emozionale
che ci dirige ed il condizionamento operante ha bisogno di due cose, la contiguità temporale tra
azione-rinforzo (vuol dire che il topolino che è arrivato a metà strada e trova il formaggio la volta
dopo ci ritorna,ma se noi il formaggio non ce lo mettiamo, la volta dopo il topo non ci torna più,
quindi bisogna far seguire all’azione il rinforzo, cioè il premio) e la previsione del comportamento.
Questo comportamento, come anche quello di prima, può avere un significato positivo o negativo, il
rinforzo può essere anche negativo se alla fine troviamo una sensazione sgradevole, se per esempio
sappiamo che mettendo una mano sulla piastra ci bruciamo, di certo non ce la mettiamo più; quindi
il condizionamento operante serve sia per motivare un comportamento che per demotivarne un altro
a seconda della bontà o meno del rinforzo.
Afferenze sensoriali
Memoria operativa
le afferente sensoriali arrivano ad essere gestite dalla memoria operativa, quella a breve termine, la
memoria operativa raccoglie, grazie all’attivazione impartita dalla corteccia prefrontale, le tracce
mnemoniche, le recupera e le mette insieme e depone queste tracce nella memoria a lungo termine.
Questa immagine ci dimostra che il cervelletto non ha soltanto funzione motoria, ma anche
funzione sensoriale;
compito
nucleo dentato
si vuole andare a vedere se l’esecuzione di un compito da parte del cervelletto implica oppure no
una discriminazione sensoriale, si prende un soggetto, gli si fissa la mano e poi gli si passa su questa
un tampone con la superficie un po’ ruvida e gli si chiede di contrarre i muscoli della mano; però
come si vede il movimento è inibito perché questo è legato, allora quello che queste immagini
dicono è che se non viene appoggiato il tampone sulle dita, vedete che non succede nulla, viene
attivata una zona del nucleo dentato di destra che è l’immagine dell’ideazione del movimento che
però è impedito, quindi non c’è una grande attivazione, il soggetto vorrebbe muovere la mano ma
non può perché è frenato nel movimento; se però, pur mantenendolo frenato, si tocca con questo
tampone la superficie della mano, si vede che si attiva molto il nucleo dentato, allora il nucleo
dentato insiste nell’ideazione del movimento nei circuiti motori cerebellari, però se gli si stimola la
mano oltre a voler muovere l’arto c’è anche un’attivazione sensoriale, quindi questa è la prova che
anche il nucleo dentato, uno dei più grandi nuclei cerebellari profondi, ha un’attività di tipo
sensoriale. Invece se si fa un altro esperimento, si mette la mano del soggetto in un sacchetto dove
sono contenute delle palline, il soggetto chiaramente non vede cosa c’è contenuto e gli si chiede di
muovere la mano dentro questo cartoccio, quello che succede è che se non si toccano le palline non
c’è percezione sensoriale, ma se viene dato modo al soggetto di toccarle, non solo vengono attivati
entrambi i nuclei dentati profondi per l’attività motoria, ma c’è anche una forte componente
sensoriale perché viene dato modo al cervelletto di valutare la percezione coi polpastrelli delle dita
sulle palline, quindi ha delle funzioni sia puramente cognitive, che sensoriali oltre alla ovvia attività
motoria.
Adesso vediamo quali sono i meccanismi cellulari dell’apprendimento, il problema è capire qual è
la base fisiologica di questi fenomeni?
Incominciamo a vederli partendo dal più semplice; si diceva che l’apprendimento non è una
caratteristica degli organismo superiori, questo è già insito in animali che comunque tanto semplici
non sono; nell’immagine si può vedere l’applisia, un mollusco marino che ha tantissime
informazioni sul funzionamento del SNC nell’uomo perché contiene tutti i circuiti che sono alla
base del nostro apprendimento, chiaramente però molto semplificati rispetto ai circuiti ippocampali
umani e quindi sono utilissimi questi studi perché ci consentono di capire come funziona il SNC.
Meccanismi cellulari dell’apprendimento
- +
interneuroni
branchia motoneurone
+ ..
.... ..
processo omosinaptico branchia
Allora, abbiamo detto che l’abitudine è l’apprendimento delle proprietà di uno stimolo innocuo e
soprattutto nuovo; l’apprendimento procede attraverso 3 tappe: l’esposizione allo stimolo, che
prima non c’era e adesso viene presentato; i cosiddetti riflessi di orientamento, cioè quelli che
attirano l’attenzione e che causano una risposta; ed infine l’abitudine, che è quella che insorge al
termine del processo. L’esempio più utile è quello del riflesso di retrazione della branchia
nell’applisia; questa ha un sifone attraverso cui viene fatta entrare e uscire l’acqua, mentre la
branchia è il mezzo con cui l’animale respira; c’è poi una zona che si chiama involucro del mantello
(mantello è il muscolo con cui il mollusco si muove); se voi toccate con uno stimolo tattile non
nocivo il sifone, la prima volta che viene toccato il sifone la branchia si retrae (è un riflesso di tipo
difensivo); se però continuate a toccare il sifone, la branchia non si retrae più perché l’animale
realizza che questo stimolo non è nocivo e quindi non ha più senso difendersi retraendo la branchia.
Come si identifica questo tipo di abitudine? nell’immagine si vede lo schema del sifone (parte
destra in basso), poi c’è il bastoncino con cui lo stesso sifone viene stimolato; dal sifone parte un
neurone sensitivo il quale neurone ha 3 tipi di contatti sinaptici; il neurone sensitivo che registra lo
stimolo tattile può contrarre sinapsi diretta con il motoneurone eccitandolo, quindi una via è quella
dello stimolo tattile → stimolazione del neurone sensitivo → contrazione della branchia in quanto è
stato eccitato il motoneurone che libera il suo mediatore chimico. Il neurone sensitivo però può
anche contrarre sinapsi con due interneuroni, uno che ha un ‘attività eccitatoria e quindi potenzia
l’attività del motoneurone, l’altro che ha attività inibitoria e di conseguenza inibisce il motoneurone;
ora se lo stimolo che viene dato è uno stimolo sottoliminare, cioè innocuo, quello che succede è che
il neurone sensitivo continua a percepire lo stimolo, nonostante vada incontro a quel fenomeno già
studiato in precedenza che è l’adattamento e nonostante percepisca questo stimolo e tramite la via
diretta possa attivare il motoneurone, prevale però l’attivazione dell’interneurone inibitorio che
quindi inibisce il motoneurone non determinando la retrazione della branchia → quindi in questo
caso l’abitudine si realizza mediante un diminuito rilascio di mediatore legato ad un processo
omosinaptico, cioè attraverso un’unica sinapsi attivata che è quella inibitrice; quindi l’abitudine fa
parte del contingente di memoria a breve termine, è attivata da stimoli ripetuti che causano una
diminuzione della trasmissione sinaptica nel neurone sensitivo, una diminuzione delle vescicole
sinaptiche che usano glutammato ed una diminuzione della mobilizzazione delle stesse vescicole;
questo induce nel neurone modificazioni plastiche persistenti delle trasmissioni sinaptiche, cioè il
continuare a stimolare con stimoli innocui determina nella cellula un apprendimento che comporta
una riduzione del suo pool di mediatore chimico e quindi diminuisce l’efficienza delle connessioni