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Il simbolo un elemento della comunicazione, rappresentante un concetto o una quantit (come ad esempio un'idea, un oggetto, una qualit).

. Il simbolo un segno che pu essere di due tipi: convenzionale, in virt di una convenzione sociale; analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un'immagine mentale. Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in un ordine che precisa ulteriormente il loro significato. I simboli possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo sociale. I simboli sono diversi dai segnali, poich questi ultimi hanno un puro valore informativo e non evocativo. I simboli si differenziano anche dai marchi, che hanno un valore solamente soggettivo. Etimologia [modifica] La parola "simbolo" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco smbolon dalle radici - (sym-, "insieme") e (bol, "un lancio"), avente il significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte. In greco antico, il termine simbolo () aveva il significato di "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale", secondo l'usanza per cui due individui, due famiglie o anche due citt, spezzavano una tessera, di solito di terracotta, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza, da cui anche il significato di "patto" o di "accordo" che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l'esistenza dell'accordo. Nel XVI secolo, il simbolo nella Repubblica di Venezia era in uso come abbreviazione dell'anfora. Differenza tra simbolo e allegoria [modifica] Un simbolo qualcosa di pi concreto, statico, assoluto rispetto all'allegoria. Per esempio, un'aquila pu essere simbolo di regalit, di forza, ecc. Anche un'aquila in volo o in un'altra azione generica spesso ha valenza di simbolo, indipendente dal contesto entro il quale viene posta. Quando invece il contesto basilare nell'interpretazione si parla di allegoria; un'aquila che, all'interno di una narrazione, scenda dal cielo e faccia una serie di azioni significative pu rappresentare un'immagine pi complessa (ad esempio simboleggiava il Sacro Romano Impero e in base alle azioni che pu compiere nello specifico si pu estrapolare una situazione politica specifica). Spesso l'allegoria, nella sua complessit maggiore, ha un'interpretazione "soggettiva", cio legata al tipo di lettura che se ne fa. Il legame tra oggetto significato e immagine significante nell'allegoria arbitrario e intenzionale, a differenza del simbolo in cui piuttosto convenzionale; nell'allegoria non pu essere decodificato in maniera intuitiva e immediata, ma necessita di un'elaborazione intellettuale. L'allegoria comunque sempre "relativa" (al contrario di "assoluta"), ovvero suscettibile di una discussione critica nella fase di interpretazione. Simbolo e significato tradizionale [modifica]

Il simbolo runico Algiz adottato da vari gruppi neopagani Se, come sostiene Ren Alleau,[1] una societ senza simboli non pu evitare di cadere al livello delle societ infraumane, poich la funzione simbolica un modo di relazione tra l'umano ed il sovraumano, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego da sempre gli uomini sono divisi. Tale atteggiamento spesso dovuto al fatto che spesso l'uomo tenta di trovare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; pu evocare e focalizzare, riunire e concentrare, in modo analogicamente polivalente, una molteplicit di

sensi che non si riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto[2]. All'interno del medesimo simbolo vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro, perch in realt esprimono le applicazioni di uno stesso principio a ordini diversi[3] , ed in tal modo si completano e si corroborano, integrandosi nell'armonia della sintesi totale. Questo che rende il simbolismo un linguaggio meno limitato del linguaggio comune ed adatto per l'espressione e la comunicazione di certe verit, facendone il linguaggio iniziatico per eccellenza ed il veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale[4]. Teorie del simbolo. Studio sulla sociologia fenomenologica, FrancoAngeli, Milano, 2005. Il simbolo tra mito e segno. Statuto ambiguo di una nozione nella cultura greca, in idem, Ermeneutica e metodica. Studi sulla metodologia del comprendere, Marietti, Genova, 1996. ^ Ren Alleau, La scienza dei simboli, Sansoni Editore 1983, Firenze

Simbolo

Simbolo, termine (dal greco symbll, metto insieme) designante in origine le due met di un oggetto che, spezzato, pu essere ricomposto avvicinandole: in tal modo ogni met diviene un segno di riconoscimento. Da questa primitiva funzione pratica il termine ha poi derivato una funzione rappresentativa (uno stare in luogo di), per cui il simbolo si avvicina strettamente al segno, sino talora a confondersi con esso, come accade in particolare nella tradizione filosofica anglosassone da Hobbes a Peirce e poi nella logica simbolica dei neopositivisti o positivisti logici. Il carattere semantico del simbolo per esempio definito da Ch. Morris un segno di pi alta convenzionalit rispetto ai segnali, poich esso prodotto dal suo interprete come sostituto di altri segni di cui sinonimo. In linea generale per il simbolo si distingue nettamente dal segno. Secondo la definizione di Hegel, il segno rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello che ha per s, cio tra il segno e ci che esso significa vi un rapporto di reciproca indifferenza e convenzionalit; il simbolo invece pi o meno il contenuto che esso esprime come simbolo: qui infatti il contenuto non indifferente, poich tra simbolo e oggetto simbolizzato si pongono relazioni di somiglianza o analogia (per esempio la bilancia per simboleggiare la giustizia e simili). Nell'uso filosofico il simbolo ha trovato una sua rilevante funzione nel neoplatonismo e nel cristianesimo, secondo le prospettive della teologia mistica. Ogni grado dell'emanatismo plotiniano infatti immagine simbolica del grado superiore. Entro tale contesto si pone anche la differenza capitale tra simbolo e allegoria, differenza che ha influenzato la storia del concetto sino a oggi. Mentre l'allegoria appartiene alla sfera del dire (Lgos) e abbisogna pertanto della convenzionalit linguistica, nel simbolo il significato gi contenuto nella sua mera immediatezza sensibile. Nella dimensione del simbolo pertanto racchiuso uno sfondo metafisico che presuppone segrete affinit, quasi una mistica compenetrazione reciproca, tra il mondo visibile e il divino invisibile. Nella tradizione cristiana il rapporto del simbolo con l'allegoria cosi determinato dal peso volta a volta assunto nella coscienza teologica dall'esperienza della storia. L dove pi forte stata la sua influenza, sia come urgenza della realizzazione messianica (cristianesimo delle origini), sia come coscienza di un'abissale frattura tra l'umano e il divino (mondo barocco, et moderna), il simbolo ha generalmente lasciato il posto all'allegoria, come nell'esegesi biblica figurale (H. de Lubac, Esegesi medioevale, 1959) oppure nell'arbitrariet del significato allegorico barocco (Walter Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, 1928). Il simbolo invece nettamente prevalso negli indirizzi teologici di derivazione neoplatonica, meno inclini a porre al centro dell'incontro fra l'uomo e Dio il problema della storia e della mediazione mondana (tipica la scuola di Alessandria, da Filone a Clemente e Origene, ma poi ancora sant'Agostino, ove il simbolo un mezzo atto a penetrare l'infinita ricchezza dell'unit divina).

Il simbolo nel pensiero moderno. In epoca moderna la tematica teologica trapassa nella riflessione estetica, resasi ormai autonoma. In generale la differenza tra simbolo e allegoria rispecchia la differenza tra estetiche di impostazione classicistica (da Hegel a Lukacs), che nel simbolo vedono realizzata la conchiusa organicit dell'opera, ed estetiche di

derivazione romantica (da F. von Schlegel a Benjamin), che riscoprono l'allegoria, non come freddo e intellettualistico strumento retorico, ma come espressione dell'inconciliabile frattura tra forma e contenuto, arte e realt: tensione che rimanda, come gi nel barocco, a una persistente e non redenta scissione tra storia ed eternit. Alla radice di tale impostazione estetica sta peraltro anche la scoperta vichiana del simbolismo delle umanit primitive, che ha poi trovato ampi sviluppi nell'antropologia moderna (per esempio nella simbolica naturale di M. Douglas), nello studio romantico del mito (J.J Bachofen) e infine nella psicoanalisi di Freud, e nella psicologia del profondo di Jung, in relazione al simbolismo onirico. L'analisi filosofica pi generale del problema del simbolo, anche in relazione ai campi sopra ricordati, stata elaborata da E. Cassirer mediante il concetto di funzione simbolica. Lo spirito umano si caratterizza infatti per la sua capacit di unificare e dar senso al molteplice sensibile in virt di funzioni simboliche originarie quali il linguaggio, il mito, la conoscenza concettuale (Filosofia delle forme simboliche, 1923-29). Pi direttamente riferita all'ambito della logica e del linguaggio comune l'analisi fenomenologica e poi ermeneutica del simbolo, inteso come segno speciale, pluristratificato, contraddistinto cio da un pi di senso rispetto al nudo segno e quindi da una sua irriducibilit alle regole formali e astratte della logica (H. Corbin, M. Eliade, P. Ricoeur, H.G. Gadamer). Il Simbolo nellArte. Mito, segno, arte di Silvia Pegoraro

Quello di simbolo uno dei concetti pi dibattuti nella storia della cultura occidentale. Una delle molte definizioni quella di Paul Ricoeur, che identifica i simboli con espressioni a doppio senso che le culture tradizionali hanno aggiunto alla nominazione degli "elementi" del cosmo... alle sue "dimensioni"... ai suoi "aspetti". (1) Esiste un simbolismo rigorosamente mitico e religioso, esiste un simbolismo onirico, ed esiste un simbolismo poetico, che tuttavia s'intersecano profondamente. Anche senza arrivare, come i romantici, a formulare l'identit di simbolo e arte, non si pu negare che l'arte sia sempre stata, nella tradizione occidentale, un luogo privilegiato per il simbolo. L'essenzialit del simbolo rispetto all'arte dimostrata da tutta la storia delle arti e della letteratura, ma anche da quella dell'interpretazione delle opere: basti pensare all'iconologia di Erwin Panofsky. In realt, l'arte non n produzione di puri segni come quelli della matematica, n semplice riproduzione funzionale di una immagine. L'opera esibisce forme sensibili e significative che sono figure a duplice o a molteplice senso, cio simboli. La pi forte valorizzazione del simbolo nella storia della filosofia si avuta con l'idealismo tedesco, che gli attribuisce uno statuto privilegiato. Lo stesso Kant pu essere considerato un precursore del nuovo concetto di simbolo: nella Critica del giudizio, tale concetto compare in molti passi importanti. Anzitutto nel capitolo 59, intitolato Della bellezza come simbolo della moralit. Il punto di partenza decisivo della riflessione kantiana il discorso sulla rappresentazione ("ipotiposi"). Il concetto di rappresentazione simbolica , secondo Georg Gadamer (2), uno dei pi brillanti risultati del pensiero kantiano. La differenza tra simbolo e immagine qui ricondotta alla differenza tra rimandare e rappresentare: il simbolo non un puro rimandare ad altro; non ha come il segno una funzione indicativa, ma ha una funzione rappresentativa. L'essenza del simbolo puro rappresentare. Ci che il simbolo rappresenta infinito, inesprimibile, seppur comprensibile per evidenza. Nel simbolo ha luogo la coincidenza di sensibile e non sensibile, l'inseparabilit di intuizione visibile e significato invisibile. Esso ha una funzione anagogica e una funzione gnostica in virt della quale giunge nelle vicinanze del geroglifico. L'interpretazione stessa come de-cifrazione fa parte del processo di simbolizzazione. Ma con Schelling che giunge a compimento la conversione del concetto di simbolo in principio estetico universale, attraverso l'istituzione di un nuovo rapporto, di un rapporto privilegiato tra mito e simbolo. Schelling pensa l'arte come "rivelazione, filosofia, religione, mito", e le riconosce un posto nel mondo spirituale che non pu essere paragonato a quello di nessun'altra attivit umana. Egli convinto che ogni autentica opera d'arte nasca quando "si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall'ideale" e che l'arte non sia se non "l'apertura attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le ragioni di quel mondo della fantasia il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale". (3) Il testo pi importante per il concetto di simbolo in Schelling quello delle Lezioni di filosofia, tenute a Jena nel 1802-1803, e successivamente a Wrzburg nel 1804-1805. Qui la teoria schellinghiana risulta

compiutamente circoscritta nella misura in cui, per Schelling, la rappresentazione dell'assoluto, che comporta l'assoluta indifferenza dell'universale e del particolare nel particolare, possibile soltanto in termini simbolici. Nella Filosofia dell'arte di Schelling, le determinazioni di mitologico e di simbolico finiscono per trapassare l'una nell'altra. Uno dei caratteri essenziali della modernit assai spesso individuato nella "demitologizzazione" e nella secolarizzazione: in quanto "oblio delle ierofanie (rivelazioni del sacro ndr), oblio dei segni del sacro", essa significherebbe anche, secondo Paul Ricoeur, una cancellazione del simbolo, dato che quest'ultimo va inteso anche come un "segno originario del sacro" (4). Questa de-simbolizzazione sarebbe, secondo Ricoeur, tanto pi irrimediabile se si ammettesse che la modernit significa anche uno sradicamento tendente a far scomparire nell'uomo il sentimento di appartenenza cosmica di cui si nutrono tanti simboli: l'uomo moderno, soggetto a una catena infinita di mediazioni, perde sempre di pi il suo rapporto intimo con la realt e i suoi elementi. In effetti, l'arte del XX secolo percepita essenzialmente come iconoclasta, dunque distruttrice di simboli, poich questi non si concepiscono se non radicati in immagini, come dice molto bene il termine tedesco per "simbolo": Sinnbild. Ma le rivoluzioni estetiche della modernit, se hanno innegabilmente potuto comportare un momento decisivo di de-simbolizzazione, non hanno tuttavia abolito la dimensione simbolica dell'arte. Da una parte, la distruzione dei simboli tradizionali non esclude la possibilit che appaia un nuovo paesaggio simbolico, alla guisa di quella "nuova mitologia" che i primi romantici intendevano creare (5). D'altra parte, la cancellazione dei simboli tradizionali non rimette in causa la simbolicit innata dell'arte, nonostante le molteplici "sdefinizioni" alla quale essa stata sottoposta durante il secolo appena terminato: la dimensione simbolica, lungi dall'essere storicamente circoscritta e definita, forse una dimensione inerente all'essere-nel-mondo, cos come l'invenzione di forme utopiche inerente all'esistenza come progetto, come spiegamento critico di possibilit praticabili per l'uomo. Il simbolo, nell'arte, presenta una struttura ambivalente, che mescola il disvelamento con l'occultamento. Da un lato, dunque, rinvia proprio a qualche cosa che esso disvela; dall'altro, questa transitivit sempre trattenuta nell'immanenza della materia e delle forme. Si pu, a questo proposito, risalire a uno dei significati etimologici di "simbolo", quello di tessera hospitalis: ciascuna delle parti di un oggetto spezzato in due e conservato come pegno dell'ospitalit data o ricevuta, nell'antica Roma. L'ospite poteva cos perennemente ricordare chi l'aveva ospitato, guardando il suo frammento e pensando alla parte mancante di esso. E viceversa, chi l'aveva ospitato, poteva ricordarsi di lui. L'opera d'arte, in quanto fondamentalmente simbolica, unisce una presenza e un'assenza; presenta un'assenza direttamente nella propria presenza, come il frammento nelle mani di ciascuno dei due evoca il suo complemento assente, e, attraverso ci, un'impossibile completezza, una finitudine insuperabile, e un indomabile senso di nostalgia e di mistero. L'ambiguit dell'essere, quale la descrive Merleau-Ponty, indica che esso possiede la struttura del simbolo quale tessera hospitalis: "l'essenza propria del visibile di avere un doppio invisibile in senso stretto, (...) rende presente, per cos dire, una certa assenza" (6). Questi simboli sarebbero allora una sorta di testimonianza di una sacra appartenenza tellurica della materia, del fatto che l'essere, sin nella sua corporeit pi elementare, pervaso da quello che sempre Merleau-Ponty definisce "un logos selvaggio": il sentimento di un legame sacro con la terra e con tutti gli elementi naturali. Mito Platone il primo a designare il mythos come favola e il logos come verit, ma nello stesso tempo, proprio i 16 miti che forgia per illustrare i concetti della propria filosofia costituiscono un esempio di come sia possibile costruire un testo mitico nonostante l'avvenuta perdita della coscienza mitica, sostituita da una disincantata coscienza logica. Nonostante la condanna platonica del mito come "favola", menzogna, si ha l'impressione, leggendo i testi platonici, di avvertire nell'autore la propensione a credere che il mito abbia in comune col logos l'intento di conoscere e spiegare il mondo, per cui il passaggio dall'uno all'altro non sia tanto il passaggio dalla favola alla verit, ma da un modo a un altro di perseguire la verit. L'essenza del mito consiste nella sua tendenza a rappresentare narrativamente il mondo, nel momento stesso in cui si esprime la volont di spiegarlo. Questa spiegazione a cui il mito aspira, al tempo stesso una creazione artistica. Non ancora sorta alcuna barriera tra verit e bellezza, tra scienza e arte, e il mito, in

origine, nasce proprio come sintesi di esse. Ma oggi la creazione artistica, non potendo pi accettare una spiegazione estetica del mondo, tende spesso a rievocare il mito proprio in quanto "menzogna", situandolo su un piano puramente "letterario", assimilandolo alla sfera del fittizio, ed eleggendolo cos a emblema della propria natura dichiaratamente "menzognera" e simulatoria. Segno Nella cultura occidentale moderna la distanza tra segno verbale e segno iconico quasi sempre stata avvertita come irriducibile. Ma forse proprio questo ha reso possibile la continua ricerca di una sorta di Luogo Mitico in cui il visibile e la parola potessero fondersi. Si pensi al sogno di Linneo, di cui il grande naturalista parla nella sua Philosophia Botanica: il sogno di un testo perfettamente, mimeticamente adeguato ed aderente all'articolazione sensibile, visibile dell'albero, pianta, al suo immediato darsi percettivo. Nel XX secolo, il rapporto parola-immagine segnato soprattutto dalla convinzione dell'arbitrariet del segno: questa, intesa nel senso di Saussure, sposta la questione del legame tra segno e referente a quello tra significante e significato, facendo slittare definitivamente il problema della significazione e del linguaggio dalla rappresentazione alla forma. Il linguaggio viene infatti inteso ora come forma di unit differenziali, il cui valore determinato dalla posizione, in particolare sui due assi del paradigma e del sintagma. Tale arbitrariet la stessa che Foucault chiama in causa per Magritte, ed alla base della perdita dello "spazio comune" tra le parole e le cose, che d origine ad una associazione orizzontale delle parole tra loro e delle immagini tra loro, e che gi Duchamp aveva condotto al limite estremo con la trovata del ready-made, legando arbitrariet e indeterminazione fino a dar vita a un nuovo nominalismo: l'arte come nome con cui l'artista battezza l'immagine o l'oggetto. L'arbitrariet del segno, peraltro, si accompagna subito al senso di un divergere della parola dall'immagine, nonch di un divergere di entrambe dal significato stesso. Nel mito, come nell'arte, il concetto si identifica quasi completamente con l'immagine, come sosterr anche Schelling nella sua Filosofia della mitologia. Arte Secondo Giordano Bruno, la vera creazione artistica si fonda proprio su questo procedimento analogico: Per conseguire dunque un'arte perfetta e compiuta, bisogna che tu ti unisca all'anima del mondo e viva unito con essa che, piena di princip razionali per naturale fecondit, genera un mondo pieno di simili princip. E questi principi, (come anche Plotino comprese) plasmano e dan forma a tutte le cose nei semi, come se fossero piccoli mondi. Dal momento che l'anima presente ovunque, (...) per questo in base alla conformazione della materia tu potresti scorgere in ogni cosa, bench piccola e incompleta, il mondo, e a maggior ragione il simulacro del mondo, s che non senza motivo possiamo affermare con Anassagora che tutto in tutto. (7) Il fatto di conferire alla parola uno statuto simile a quello dell'immagine, serve anche a rafforzare la negazione di quest'ultima quale semplice ri-produzione e copia: l'immagine non rinvia tanto a un'equivalenza o rassomiglianza rispetto a un oggetto della realt o della memoria, quanto al prodursi del puro apparire: il luogo di ci che Kant chiama "immaginazione", facolt di far sorgere alla vista, cogliere visivamente una presenza. Riflessioni sulla Simbologia di Sebastiano B. Brocchi La manifestazione pi alta di ogni religione e dottrina, come anche delleredit lasciataci da un sapiente, risiede nella sua simbologia, poich allimmagine allegorica e metaforica vengono affidate le verit pi incomunicabili. Il legame profondo che viene ad instaurarsi tra significato e significante per mezzo del simbolo come un filo doro che unisce la nostra realt a quella iperuranica, il tempo alleternit. Il compito dellermeneuta snocciolare poco a poco, come con i grani di un interminabile rosario di immagini, pensieri, parole, intuizioni e lumi, lonnipresente catena di simboli che riporta le manifestazioni sensibili al loro valore universale, poich ogni cosa, fra quelle che vediamo, simbolo di unaltra, e cos fino a quando si sono abbandonati i significati momentanei, secondari, irrilevanti, le

interpretazioni limitate e limitanti, giungendo ad una comprensione che abbraccia lassoluto. Il simbolo crea un rapporto tra la sorgente originale delluomo e la sua finalit, ossia conduce luomo dalla sua origine al suo termine. Questa origine e questo termine sono entrambi divini (M. M. Davy). http://www.riflessioni.it/simbologia/ Il simbolo nella genesi della mente umana di Gaetano Benedetti

Questo articolo cerca di riassumere in poche pagine lenorme problema della genesi della mente umana. Facilmente leggibile nella sua argomentazione, presuppone tuttavia nella sua intenzione la conoscenza della psicosi e della sua psicoterapia. Presuppone cio il concetto basilare che la schizofrenia origina da un disturbo della simbolizzazione del mondo, e che, a sua volta, la simbolizzazione consensuale del mondo fondata sulla formazione di un simbolo unico e univoco, il simbolo del S; che questultimo sta alla base dellontogenesi umana, come anche, nella variante psicopatologica, della relazione terapeutica. Tale esperienza terapeutica viene riflessa in questo articolo alla finestra della storia e filosofia del simbolo. In questa prospettiva la psicosi appare coma la malattia specificamente antropologica, ove la struttura stessa dellesistenza, e non le funzioni psichiche elementari, viene compromessa. Non ci pu essere nel paziente una vera attivit simbolica senza che si costituisca il simbolo del S: questa nel corso degli ultimi centomila anni di ominizzazione stata la conquista maggiore dellevoluzione biologica e contemporaneamente il grande salto nella dualit della vita psichica. Tale simbolo del S si sviluppa nella storia delluomo, come nel microcosmo della psicoterapia, entro una realt relazionale non ancora interpersonale, ma intersoggettiva, in quanto il simbolo del S nasce nella mente dellAltro, del genitore#,1 del terapeuta, il quale rappresenta nella sua coscienza i fantasmi proiettivi (e anche irrappresentabili) del paziente. Il simbolo nella genesi della mente e nelle psicosi. 1. nota lipotesi secondo cui la stazione eretta, propria degli antropoidi, sia stata la premessa del divenire umano, avendo essa liberato gli arti anteriori dal compito della locomozione e permesso ad essi la manipolazione delle cose; manipolazione culminata, nellepoca paleolitica, nellinvenzione degli strumenti di pietra, il cui uso avrebbe nel corso delle generazioni incrementato sempre pi le funzioni e lo sviluppo del cervello anteriore. Mentre la manipolazione concreta del mondo rimaneva nella preistoria delluomo, dellhomo erectus e habilis, ad un livello modesto corrispondente alla creazione delle prime abitazioni, alluso del fuoco, alla prassi della caccia, si sviluppava nelluomo la simbolizzazione del mondo. Tale simbolizzazione, di portata evolutiva ancora maggiore della manipolazione concreta delle cose, era fondata sulla scoperta della figurazione. Attraverso luso degli strumenti luomo scopriva la possibilit di raffigurare, e non solo manipolare, le cose; di raffigurare se stesso e gli animali come ci mostrano i documenti paleoartistici delle prime culture umane, incisioni sulla roccia, fino poi alluso dei colori nelle splendide raffigurazioni animali da parte delluomo di Cromagnon. Accanto alla raffigurazione visiva si sviluppava, forse ancora pi antica di quella, la raffigurazione verbale, ossia la denominazione delle cose usate e necessarie alla vita, mediante caratteristici suoni gutturali, sfocianti infine nei nomi delle cose. Raffigurazioni visive e raffigurazioni verbali ponevano luomo in una simmetria figurativa ed espressiva con il mondo. Sembra che tale esperienza abbia moltiplicato il senso umano del potere, gi fondato dalla manipolazione delle cose. Ora lutile non era pi costituito dal godimento della cosa costruita o predata, ma lesperienza psichica di poter influenzare qualsiasi cosa rappresentandone la figura (Modell 1968). Cos, secondo gli antichi egizi, la seconda creazione avvenne (da parte del Dio Ptah) dando nomi alle cose . E noi vediamo, gi nei bimbi di tre anni, come essi si indentifichino con le figure adulte pi varie ( il pirata , il poliziotto, il bandito etc.) per sviluppare la propria identit, per scoprire il proprio S proiettandolo sulle possibilit dellesistenza.

Il simbolo, allorigine, era legato allidentit magica della figura creata dalluomo con la figura delloggetto osservato, e in tal modo posseduto dallintelletto artistico. Per identit magica intendo la consapevolezza che fra la figura simbolica e quella obbiettiva esistesse un nesso misterioso di potere. Non credo, ad es., che lantico egizio fosse cos ingenuo da ritenere che la sua barca del sole, costruita e sotterrata per condurre lanima del defunto nellal di l, potesse navigare sul Nilo, ma ho motivo di credere che quella figura assicurasse la realt del viaggio . Allo stesso modo, i cibi offerti per garantire la vita postmortale del defunto era ovvio che non fossero effettivamente utilizzati dalla mummia; essi, in un secondo tempo, non furono pi reali, ma solo raffigurati nella lapide. Tuttavia essi assicuravano la sopravvivenza del defunto, che non era quella strettamente materiale, ma non era tuttavia concepibile senza la conservazione del cadavere attraverso la mummificazione. Il legame misterioso che trasformava la figura nellanima stessa della cosa era il protosimbolo (Werner e Kaplan 1984), la capacit tutta umana di forgiare il mondo intero a propria immagine e somiglianza, che viene proiettata anche nella funzione del Dio. Ecco la prima indiazione delluomo, lavvento dello spirito nel simbolo, la nascita dellHomo Simbolicus, che da pi di un antropologo viene considerato quale la prerogativa essenziale delluomo. 2. Luomo, stato detto pi volte in questo secolo, non solo lHomo Erectus, lHomo Habilis, ma anche lHomo Simbolicus e perci Sapiens. Gi lantica filosofia indiana (nei detti della Rigveda) diceva che la natura delluomo di tipo simbolico: Luomo lunico che sacrifica . Ma cos il simbolo, questo fenomeno psichico meraviglioso, che trasforma nel percorso evolutivo lanimale in una forma storica di esistenza, quella appunto umana? anzitutto il passo successivo alla creazione dellimmagine da parte dellessere vivente. La capacit di creare immagini (visive, acustiche, tattili, olfattive), delle cose-immagini che ripetono le percezioni, da cui esse hanno origine, ma che permettono la sopravvivenza delle cose nella mente, anche quando le percezioni sono scomparse, e costituiscono cos la costanza spazio-temporale degli oggetti, corrisponde al vero inizio di una vita psichica. Senza di esse non potrebbe esserci un mondo interiore; le percezioni esplorano quello esterno, ma esse non costituiscono ancora un soggetto. nel mondo dellimmaginario, del mentale che ci, che altrimenti sarebbe solo un meccanismo neurofisiologico, si configura come un soggetto autonomo. possibile e verosimile che anche gli animali abbiano immagini. Il cane, che dopo una lunga assenza riconosce festosamente il suo padrone, il favoloso Argo, che presso a morire per vecchiaia scodinzola di gioia al ritorno di Ulisse in patria, conserva nel silenzio e nellabbandono la vivida immagine di un partner e sta ad attenderlo fino alla morte. Solo luomo, tuttavia, sviluppa simboli. Ossia la capacit di usare immagini o rappresentazioni come rimando ad altre. Gi nella sfera animale, in quella pi differenziata, come nel cane e nella scimmia, compare il simbolo pi elementare, limmagine di unaltra immagine concreta nel noto riflesso condizionato di Pavlov. Ma solo luomo parla. proprio, attraverso il linguaggio verbale, che unimmagine sonora o grafica, la parola, serve a connotare un tutto, anche ci che non visibile, udibile, palpabile. Nellevoluzione delluomo, i simboli pi complessi sono immagini che rimandano ad immagini molto pi grandi di loro, a complesse esperienze esistenziali, non pi percepibili direttamente nellimmaginario, ma solo nel rimando simbolico: Dio, lUniverso, lAmore. Das ist die wahre Symbolik. dice Goethe, wo das Besondere das Allgemeine repraesentiert. Ci ha una premessa gi nella struttura del tempo vissuto, ove lattimo del presente pu richiamare simbolicamente il passato e il futuro. Fermati, sei bello! dice Faust allattimo fuggente, riassumendo in esso, nel particolare, tutta la visione feconda di un avvenire che da esso emana e che in esso viene anticipata. Nellanimale ci non pu accadere. Lanimale ha una nozione del tempo, come in parte crediamo di sapere, atemporale; esso non indaga il suo passato, non se lo rappresenta; non interroga n prevede il suo futuro; vive in un presente illimitato. La morte una rappresentazione specifica delluomo. Luomo lunico essere vivente che la natura ha privato del vissuto di eternit. Ma la capacit di trasformare unimmagine nellaltra, la creazione del simbolo, ha dato alluomo una eternit pi vasta, come concetto della Trascendenza. Il fatto che nellUomo ciascuna immagine possibile rimanda ad unaltra, diviene simbolo di unaltra (come la rosa diviene il simbolo della donna amata, questa diviene il simbolo della madre, da cui scaturisce la vita, e la madre pu divenire, a sua volta, il simbolo della madre Celeste) rende impossibile alluomo di acquietarsi in un simbolo qualsiasi. Il simbolo, come dice Lacan, ci separa per sempre dallesaudimento completo del desiderio. Se il segno, come afferma Susanne Langer

(1967) si riferisce ad una Presenza, il simbolo si riferisce ad una Assenza. Il simbolo, che rimanda alla cosa, priva luomo della cosa stessa, svestita del suo abito simbolico e non d accesso a quel che Kant chiamava il noumeno: cos linsaziabilit umana, che si distingue dalla fame di ogni altro animale, fonda anche, assieme ad essa, la perenne, cosciente o inconscia nostalgia umana dellesaudimento completo dellideale in Dio. E perci nascono qui le due grandi dimensioni metafisiche delluomo: il Male e il Dolore come conseguenza dellinsaziabilit, come ebbero ben a riconoscere Buddha e Schopenhauer, e lideale irraggiungibile, il quale, come ci dice S. Gregorio Magno, pu essere toccato solo per attimi ( furtim et tenuiter. Non solide sed raptim ). Questa vita spirituale delluomo non comprensibile nei limiti della materia. Ma la materia ne una base: lasimmetria cerebrale sembra stare alla base della nascita del simbolo, nel senso che permette un paragone tra due tracce diverse. Lemergere del simbolo nella mente delluomo primitivo, quale esso appare nelle pitture rupestri, ha permesso la creazione di un mondo interiore, ove le immagini appaiono come risvolti di altre. Bisogna, per valutare limportanza psicologica e culturale di tale processo, riflettere sul fatto, che i nessi simbolici risultanti dallaccostamento e dalla sovrapposizione delle immagini pi diverse, non rappresentano pi, come la percezione, una copia delluniverso, ma la creazione di un secondo universo esistente soltanto nella nostra mente. questa la dimensione fantasmatica del simbolo. A questa si aggiunge quella pi propriamente cognitiva: lemergere del simbolo nella preistoria umana, nella mente ancora povera di una conoscenza scientifica delle concatenazioni causali degli eventi, equivaleva al loro legarsi mentale in certe corrispondenze figurative: fenomeno questo cos essenziale per la strutturazione di uno spazio psichico interno, che certi autori, come C.G. Jung, arrivano a dire che certe rappresentazioni mentali, errate se interpretate come corrispondenti a fatti reali, sono tuttavia vere dal punto di vista di una realt psichica. Lo specchio analogico di nessi simbolici delle cose, delle loro consonanze e somiglianze, forniva la prima chiave per una comprensione olistica, magica delluniverso: chi ne era in possesso aveva gi una funzione sacerdotale; i primordi della scienza stanno, come nellantico Egitto, nelle mani dei sacerdoti. La terza dimensione del simbolo era infine di natura affettiva. Io vedo questultima soprattutto nella possibilit di elaborare il dolore dellesistenza, sempre in aumento con lo sviluppo delle strutture nervose e la differenziazione delle civilt. La simbolizzazione ci aiuta ad osservare eventi che ci turbano o ci avviliscono allo specchio dei simboli di essi, i quali con le loro pi vaste risonanze, che arrivano alle grandi cifre dellesistenza umana, ci permettono di trascenderci. Qualsiasi religione per sua natura simbolica; nessuno vede Dio, in nessuna sabbia impressa la sua orma fuor che nel simbolo. Il fatto fondamentale, comune alle tre dimensioni del simbolo, sempre lo stesso: il simbolo, che pone una successione di immagini in relazione semantica le une con le altre, che collega segmenti semantici a rappresentazioni diverse organizzandole cos in nessi di significati, creando limmagine dellimmagine, innalza e approfondisce lo spazio psichico entro cui si configura lesperienza della vita, aggiunge alla percezione e alla memoria la metafora, lallegoria, la similitudine, la rappresentazione di cose che non si vedono; aggiunge al mondo esterno, introiettato percettivamente e ripetibile nel ricordo di esso, un mondo interno irripetibile senza tale creazione mentale. Qui sta il vero grande salto evolutivo che separa luomo dallanimale, cui sono proprie figurazioni psichiche ancora elementari (il riflesso condizionato pu essere considerato come orimento del simbolo, come una sua primissima e ancora rozza anticipazione) Se a ci aggiungiamo che il simbolo anche un rispecchiarsi di s nellaltro e dellaltro in s; che il S alle origini della vita non preesiste a tale movimento, ma si crea in esso, nello spazio fra madre e bimbo, cosicch lo spazio, il biologico, diviene nellidentificazione storia, tempo; cos il neonato acquista unanima nel pensiero della madre: possiamo allora dire che il simbolo sta alla base del modo di essere dellUomo. 3. Lantichit piena di simboli. Il mito , come il sogno, un grande simbolo, un simbolo che nasce nella veglia. Vediamone un esempio. Il mito racconta che Europa, la giovane figlia del Re di Tiro, Fenice, giocava sulla spiaggia, allorch un toro, in cui Giove, innamoratosi della giovine, si era trasformato, la rap e la port attraverso i flutti del mare sullisola di Creta; nacque a Creta la cultura europea. Gli antichi credevano nella realt concreta dei miti. Eppure ci doveva essere, dietro questa loro ingenua coscienza, il pensiero inconscio che animava il mito; pensiero che noi oggi potremmo formulare come la consapevolezza che un grande movimento culturale nato sulle sponde dellAsia minore e dellEgitto, per duemila anni si era sviluppato verso il nord, verso Creta, Cipro, le isole dellEgeo, le coste dellAnatolia, il mondo miceneo e greco. Perch il bisogno delluomo di raffigurare in simboli i pensieri astratti, le esperienze della storia e anche gli

avvenimenti quotidiani? Gi il sogno ci mostra questa continua traduzione di informazioni, formulabili razionalmente, in immagini e ci sono prove che la traduzione avviene anche in senso contrario, dalle emozioni, alle immagini, ai pensieri (Bucci 1997). Le immagini che nascono dalle immagini emanano da un sistema analogico proprio della struttura della nostra psiche e del nostro sistema cerebrale: il sistema analogico ha la propriet di duplicare le immagini cos come in origine il neurone si duplicava in senso biologico attraverso la mitosi. Il duplicato psichico, che sostituisce quello fisico (Jouvet 1994), linizio della vita psichica, la quale ha forse la sua culla proprio nel sogno. Sebbene non conosciamo un uomo presimbolico, possiamo tuttavia speculare sulla genesi evolutiva del simbolo, intravedendo tre grandi direzioni di sviluppo filogenetico della mente umana: Luomo preistorico sta ancora agli albori della coscienza razionale, cos come luomo che sogna. Non comprende razionalmente ci che noi comprendiamo. Crede nella realt concreta dei miti. Non scorge dietro ad essi ci che noi oggi chiameremmo il loro significato. Il significato tutto dentro limmagine stessa, la quale allora lunica espressione possibile del significato. Questultimo deve essere anche presente nellInconscio. Cos come nei sogni. La verit appariva anzitutto, nel corso dellevoluzione, traverso limmagine, e ancor oggi un detto del Talmud ci dice che essa non venuta nuda nel mondo, ma vestita del velo del simbolo. Cos noi abbiamo appreso a pensare da piccoli: per immagini, accanto alle rivelazioni sensoriali, da cui, pensando, non potevamo allontanarci. In questa fucina di immagini, prima fra tutte il viso della madre che ci amava, ci chiamava per nome, ci immetteva nel suo mondo simbolico. Attraverso di lei il nostro S sviluppava il suo primo simbolo, limmagine del S, limmagine di tutte le immagini del S che si andavano creando traverso le prime interazioni sociali. Ladesione della psiche primitiva al mondo delle immagini, che pu apparire al pensiero razionale come una limitazione del pensiero stesso, era tuttavia un atto di liberazione: perch sostitutiva alla concatenazione causale dei segni, quali essi vengono percepiti gi dagli animali superiori, il regno del possibile, della fantasia, della creazione della mente umana. Luomo costruisce il suo mondo, non solo lo percepisce. Il simbolo rappresenta cos la possibilit del S di moltiplicare le immagini di se stesso e del mondo attraverso le sue variazioni pressoch infinite. Vediamo questo nei sogni, ove ad esempio un qualsiasi contenuto mentale, ad esempio una miseria esistenziale di qualsiasi genere, pu apparire come prigione, muro invalicabile, fosso, pantano, tomba etc. La sempre maggiore strutturazione della psiche nel corso dellevoluzione ha permesso il costituirsi del sistema analogico come modo di auto-costruzione ed auto-riflessione. Il dolore della vita, che aumenta in profondit di pari passo con la complessizzazione dellanimo umano, trova cos nellopera della simbolizzazione una maggiore possibilit di elaborazione, non solo perch esso, attraverso i grandi simboli dellesistenza, viene trasmutato, ma anche perch esso nelle immagini oniriche della vita quotidiana viene riflesso, guardato dallIo dormiente che nello stesso atto del guardare si pone al di fuori. Origine del simbolo Esiste una situazione fondamentale, in cui vedo originarsi il simbolo: il sogno e lallucinazione nellincontro psicoterapeutico. Prima di sviluppare questo pensiero e riconoscerne il suo germe nellontogenesi umana, desidero dare qualche immagine immediata del mio discorso. Tre esempi. Un paziente, che si sente perseguitato da voci estranee, che sembrano erompere dalle viscere della terra e dagli angoli pi remoti del cielo, ascolta improvvisamente la voce del suo terapeuta, che nel sogno gli dice: non temere; va nel giardino e odi le voci degli uccelli; sono la voce di Dio. Egli non sa distinguere: il suo terapeuta che gli parla oppure il suo nuovo S, che, nato nellincontro psicoterapeutico, si afferma vittoriosamente nella lotta contro la psicosi e trasforma la persecuzione in una benedizione? Un altro paziente sogna che uninterpretazione del suo terapeuta, la quale gli mostra la sua vera identit, altrimenti contraffatta dalla psicosi, un raggio di sole, che penetra la sua abitazione non da una finestra, ma dal tetto in gi fino al sottosuolo. Egli si sveglia con la domanda: Era il messaggio del mio terapeuta o il mio nuovo S, che venuto ad annunciarsi come un raggio di sole? . Un terzo paziente sogna di un agnello incatenato, presso a morire di fame e di sete. Egli lo slega, gli d da bere e da mangiare; improvvisamente non sa: lui lagnello o il salvatore di questi? E chi questa persona che slega lagnello e lo nutre: lui o il suo terapeuta? Vediamo in questi sogni come il soggetto del sognatore si apprende nello specchio delloggetto terapeutico: anzitutto si identifica con esso e trae da tale identificazione la sua virt essenziale, la sua forza di vivere; in

seguito si distingue da esso, si delimita come persona proprio nellincontro che lo fa divenir persona. Noi abbiamo chiamato soggetto transizionale tale immagine del S che anche immagine di un Tu, nel cui viso il S si riconosce e si crea; abbiamo anche detto, nelle nostre opere, come il soggetto transizionale in un primo stadio, ancora pre-simbolico, non pienamente cosciente di s, non si pone ancora la domanda chi sono io?, ma anzitutto esiste prima di riflettere sulla propria esistenza. poi nellavvento della piena guarigione che la relazione inter-soggettiva diviene interpersonale, nel momento in cui non c solo lidentificazione, la fusione, la simbiosi, ma anche la distinzione, la differenziazione, la personazione. il simbolo del S che qui nasce, quel simbolo che permette al S di riconoscersi, di essere Soggetto, e di creare quindi, con la riflessione, il proprio S-Oggetto.#2 Ho denominato con diverse metafore tale processo, parlando di simmetria dualizzante, che trasforma la confusione psicotica, fonte di sofferenza, perch senza possibile ricezione sociale, di simbiosi terapeutica, in cui il terapeuta col suo Inconscio si identifica col suo paziente, attraversa nei suoi sogni i paesaggi psicotici del suo paziente, veste i suoi vestiti, porta i suoi carichi, viene chiamato col suo nome. A differenza del paziente, che allinizio costruisce inconsciamente la sua identit nella nicchia dellidentit altrui, il terapeuta lo precede nella creazione del simbolo, in quanto si riconosce come il vicario del suo paziente, il suo compagno di viaggio e realizza cos sin da principio la complementarit soggetto-oggetto Si tratta di una complementarit in cui loggetto non solo il contenuto percettivo, ma la base stessa della percezione. Questo dunque il simbolo: una simmetria che si costituisce nella asimmetria e che permette quella distinzione, che nellontogenesi umana anche individuazione. La nascita del S e precisamente del simbolo del S nellincontro psicoterapeutico, in quella fase cruciale, che il ponte fra la dissoluzione psicotica del S e la sua ricostituzione nella dualit, mi permette di ipotizzare quanto segue. Primo: non esiste distinzione fra nascita del S e nascita del simbolo. Il nostro concetto di simbolo del S abbraccia ambedue, nel senso che il S non emerge alla coscienza se non come simbolo del S, ossia come capacit egoica. un fatto che la rifondazione dellIo e del simbolo del S equivale nella psicoterapia della psicosi schizofrenica alla ricostituzione dellattivit simbolica del soggetto. Mentre nello stadio di confusione psicotica, il legame tra le cose e le parole, fra gli oggetti e le loro rappresentazioni verbali, va perduto (per cui le parole vengono confuse con le cose), si instaura, con la rifondazione del S, anche la normale attivit simbolica. Mentre, cio, i cosidetti simboli schizofrenici non sono altro che protosimboli, non permettono cio quella distinzione fra limmagine simbolizzante e la cosa simbolizzata, viceversa lemergere del simbolo del S va di pari passo con la ricostruzione simbolica del mondo; di un mondo, che non pi penetra, scinde, dissolve il soggetto, ma viene invece posseduto cognitivamente. Secondo punto: possibile dedurre da ci qualcosa di fondamentale, che riguarda tutta lontogenesi umana? Sappiamo ben poco della vita interiore del neonato, che non pu verbalizzarla, ma una cosa mi sembra emergere con chiarezza da tutte quelle ricerche, che da Margaret Mahler (1975) vanno fino a Daniel Stern (1985): quella integrazione di simbiosi postnatale e di individuazione, che permette di osservare i fenomeni sia dal punto di vista della simbiosi, come ha fatto la Mahler, sia dal punto di vista della precoce emersione del S, su cui si sono appuntate le ricerche e le osservazioni di Stern. Simbiosi e distinzione: ecco la natura, la struttura del simbolo. Nel momento in cui il bimbo si percepisce nel viso, nel sorriso, nel gesto della madre, abbiamo quella identificazione con il mondo che mai cos completa, felice, indubitabile come nella esperienza post-natale (a cui forse, secondo la teoria di Rank, regredisce lartista, il quale esperisce la sua opera darte contemporaneamente come espressione di s e rivelazione del mondo). Ma nel momento stesso in cui questo bimbo percepisce la gratificazione dei suoi bisogni vitali come dipendente da un altro (ed esperisce tale dipendenza in modo cos totale come mai negli anni successivi), egli apprende in modo fondamentale la distinzione fra S e Non-S. Il S buono, accettato, amato non dunque la madre, ma il suo simbolo, il simbolo dellamore materno, che contemporaneamente il simbolo positivo del S. Ecco come dunque abbiamo la nascita del simbolo umano nel primo e fondamentale rapporto duale, che struttura lintera esistenza. Lorigine ultima del S, che ci appare nei sogni e nellincontro psicoterapeutico come fucina di simboli, in ultima analisi ha la sua base nella strutturazione psichica delluomo, nella relazione, nella dualit. Conclusione Da qui limportanza della partecipazione del terapeuta al mondo psichico, presimbolico del sofferente

psicotico. in tale partecipazione, fatta di tempo, pazienza, ascolto, interesse, simpatia, proposta, messaggio, interpretazione, fantasia, arte, che il protosimbolo psicotico viene trasformato nel simbolo comune, e che in questo modo si crea nel paziente il simbolo del S, il ritrovamento di s stesso, la scoperta della propria identit, e cos la trasformazione dellintersoggettivit (ove la relazione ancora intrapsichica, fantasmatica, affidata ad immagini che precedono la consapevolezza della propria persona e di quella terapeutica) nella interpersonalit. IL SIMBOLO

Il termine "simbolo" offre notevoli spunti di riflessione sia dal punto di vista semantico che dal punto di vista contenutistico. E l'inizio di uno studio - che del resto si basa per gran parte sulla steganografia - non pu in alcun modo prescindere n dall'uno, n dall'altro. IL SIMBOLO COME SEGNO Il primo approccio alle problematiche dell'esoterismo costituito dalla individuazione e definizione dell'oggetto della ricerca. Mi sono accorto, per, che si possono individuare modi diversi di definire la tematica della quale mi vado ad occupare:

Il primo concerne la mancanza di univocit. Nel senso che viviamo praticamente immersi nei simboli; il concetto di simbolo viene normalmente utilizzato in una vastissima gamma di sfumature e campi (dalla matematica all'astronomia, dalla chimica alla fisica, dalla religione alla magia e cos via); tuttavia esistono solo definizioni descrittive o storico-descrittive.

Ne costituisce un esempio la definizione classica di un'enciclopedia la quale mi dice che la parola "simbolo" deriva dal greco (sun-bolon) e ci parla "della riunione di due parti di un oggetto spezzato, ciascuna delle quali ha la capacit di ricordarci l'oggetto originale". Ad esempio il Gabrielli (nel "Grande dizionario illustrato della lingua italiana", Milano, 1980) ci dice che "...nell'antica Grecia il simbolo indicava ciascuna delle due parti spezzate in un oggetto che due contraenti si cambiavano e che, ricongiunte, consentivano la perfetta ricostruzione dell'oggetto e quindi il riconoscimento dei due possessori. Nelle religioni misteriche costituiva la formula grazie alla quale gli adepti si riconoscevano." Ne ho ricavato l'impressione che servirsi di una siffatta definizione, ha senz'altro un valore storico. Ma, in sostanza, si risolva in una tautologia: il "simbolo" ci che "simbolo"! E questo mi sembra assolutamente abnorme. Chiaramente non sono qui a contestare in assoluto la validit sia dell'aspetto storico che di quello descrittivo: intendo unicamente sottolineare la loro scarsa utilit relativa al fatto che debbano essere assunti come elementi esteriori di primo approccio ad un problema che non solo di semantica. Tuttavia possiamo tentare un primo approfondimento, ma solo partendo proprio dalla semantica a patto di renderci conto che la "parola", il "suono" sono essi stessi "simbolo" di un diverso livello di realt. Il discorso, in questo senso, va riportato nell'ambito generale del simbolismo, per cui la parola deve cessare di essere unicamente il prodotto di una "convenzione" che ha utilizzato quel suono, in luogo di un qualsiasi altro. E ci al di l della valutazione di un suo significato intrinseco. Se riteniamo valida questa premessa, possiamo cominciare a pensare alla nostra parola in termini steganografici. Con il tempo mi sono infatti convinto questa proposta sia l'unica che si adegui perfettamente al pensiero esoterico ispirato al suo principio fondamentale del "Cos in alto, cos in basso", dove il microcosmo lo specchio del macrocosmo e dove la "parola" specchio del "Logos". SEMANTICA DEL SIMBOLO Ci posto, mi sembra evidente la parola "simbolo" sia esso stesso "segno" di un livello di realt superiore. Sotto questo profilo mi sembra abbastanza secondario il fatto che la parola derivi dal greco (sumbol-on) e che ci sia arrivata attraverso il latino ("symbol-us" o "symbol-um"), perch questo aspetto non mi sembra esaustivo rispetto alla realt che rappresenta.

Preferisco allora procedere a ritroso nell'analisi strutturale risalendo alle radici e fonemi elementari ritenendo la parola una "scrittura misteriosa" (steganogramma). Mi accorgo allora, che il termine - frettolosamente incapsulato in una definizione - assume quella ricchezza di significati che fanno del "simbolo" il "Simbolo" per eccellenza. Nei due termini che compongono il sum-bol-(on) e cio il sun e bol (da bal-lw, con le sue radici bla, bal e bol) noto innanzi tutto la presenza di due fonemi (sun e bol) a carattere ternario che sono di per s indicativi (segni) di una realt superiore, rafforzato dalla reiterazione. Ma non basta. Infatti il primo termine (sun) comprende tre segni apparentemente diversi ma identici nella sostanza. Essi sono:

il segno del sigma S (S) = che indica unione, aggregazione (sommatoria); il segno dell'ipsilon U (Y) = che indica la dualit che si unisce nell'unit (la matrice il triangolo equilatero capovolto); il segno del N (ni) che, coricato, indica la relazione tra due realt diseguali al contrario dell'H (eta) che indica relazione di due realt uguali.

Il secondo termine (bol), che ho affermato corrispondere alla radice "BLA" o "VLA" (1) ancor pi intenso e drastico nella sua concisione. In esso infatti ritrovo:

il segno dell'ipsilon U ripetuto: una volta diritto nella forma del = digamma (= doppio lambda) ed una volta capovolto nella forma del lambda: L; il segno dell'A (greco alfa) o (ebraico aleph, arabo alif) che , al tempo stesso, U capovolto e A, cio inizio, principio, che suggella la parola e la conclude.

D'altra parte la doppia ripetizione del carattere triadico mi induce a tentare una rappresentazione grafica che, meglio di tutte, rappresenta e riassume il concetto. Essa consiste del segno geometrico, tipico dell'esoterismo, del doppio triangolo equilatero, unito per le basi, che riproduce ai due estremi (A-A) i simboli della creazione e della conoscibilit:

Ne traggo l'impressione che il termine simbolo, nella sua ossessiva ripetitivit strutturale di unione alla divinit, voglia suggerire all'adepto che esso costituisce l'unico veicolo di percezione dell'Assoluto il quale, fuori dell'adepto, resta inesprimibile e inconoscibile. Queste notazioni si completano con alcune riflessioni:

La prima quella della rottura dell'unit originaria e dell'avvenuta separazione del microcosmo dal macrocosmo. questa separazione che ha dato origine al caos (o mancanza di luce) primordiale. Il caos costituisce l'ante di ogni cosmogonia e da esso sgorga la creazione, come prodotto del Logos. Il caos , quindi la prima manifestazione dell'oggettivizzazione dell'Assoluto, dell'alterit del macrocosco rispetto al microcosmo. Un'immagine del fenomeno pu essere ottenuta, piuttosto che leggendo sumbol, compitandolo come s-u-m-b-o-l, dove ogni "segno" (= lettera e suono) mantiene i caratteri del logos originario, del "fiat" iniziale.

Ne seguir la riunione, la ricostituzione del microcosmo nella complessa realt del macrocosmo. Il grafico sopra riportato, sembra suggerirci che il "simbolo" nell'esoterismo un segno, oggetto di

percezione capace di introdurre l'adepto in un livello di realt a cui il simbolo stesso legato da un nesso ontologico, ma tale che agli altri appaia unicamente convenzionale (2). Ma ne consegue ancora che, sotto un profilo teleologico, al simbolo sia assegnata una funzione suppletiva perch rappresentativo (= fa le veci) di una realt altrimenti inconoscibile ed inesprimibile. E, in sintesi esso costituisce, cos come stato affermato dal neoplatonismo plotiniano, l'unico modo possibile di considerare l'Assoluto ed il rapporto che lega il Creatore al creato, il Pensiero al pensato, il Logos alla parola. , in conclusione, evidente il motivo per il quale mi sono rifiutato di considerare il simbolo limitato in una definizione descrittiva, limitativa e tautologica. Il simbolo che amo concepire mi sembra destinato ad operare su un "rapporto" e, per sua natura, deve essere dinamico (non statico come nell'allegoria) (3) s da assumere quella enorme ricchezza di contenuti che lo fanno diventare il mezzo pi appropriato di espressione dell'esoterismo. Paradossalmente potremmo dire che il "simbolo" del "Simbolo" il geroglifico dell'acqua espressione stessa della vita e del mutamento.

La combinazione del predetto geroglifico e del triangolo equilatero mi sembra che vada ad indicare l'ordine che emerge dal caos informale, l'atto della creazione. E non un caso che il triangolo (ossia il monte) abbia una particolare collocazione in tutte le religioni (sia misteriche che non): difatti il monte, come parte pi alta, il punto fisico pi vicino all'alto esoterico e corrisponde ad un vero e proprio collegamento tra Creazione e Creato (4). Questo rapporto, tra alto e basso, si svolge ed opera a due livelli:

il primo quello necessario tra assoluto e contingente, tra alto e basso, tra macrocosmo e microcosmo, che consente la percezione dell'Assoluto altrimenti inesprimibile; di questo il simbolo svolge, come gi detto, una funzione vicaria e in un certo senso suppletiva (basti pensare alla collocazione del Bodhisattva induista, ma soprattutto al simbolismo della scala di Giacobbe, del carro di Ezechiele ecc.). il secondo quello eventuale, legato agli esseri del mondo sensibile.

Il simbolo non per questo muta nelle sue caratteristiche. Tuttavia, nella sfera del sensibile, quando manca la comprensione immediata della realt rappresentata o quando si rende necessaria una riflessione per conoscerla, il segno assume piuttosto i caratteri della allegoria. L'allegoria presuppone, al contrario del simbolo, l'eterogeneit dei soggetti che utilizzano il segno ( questo il campo proprio di operativit del mito anche se pure nel mito avvenimenti e personaggi possono assumere il significato del "segno-simbolo" di una diversa realt). Nel primo caso il simbolo svolge un ruolo essenziale consentendo la trasmissione e l'accesso ad una profondit spirituale non altrimenti rappresentabile, ma permette anche di parlare a diversi livelli di percettibilit a una pluralit di soggetti pi o meno eterogenei. Nel suo contingente il simbolo assume la duplice veste di mezzo di trasmissione di una conoscenza (rapporto "esoterico-iniziatico") o di vero e proprio "segno" di identificazione nel senso etimologico del termine. Non un caso, quindi, che nell'antica Grecia, il simbolo indicasse quella riunioni di parti spezzate che, ricostituendo l'identit oggettiva originaria consentisse il riconoscimento dei due possessori: questo coincide con il "segno" o "formula" di riconoscimento degli adepti delle religioni misteriche e dei sistemi esoterici. Ho con questo posto l'accento sui meccanismi secondo i quali opera il rapporto simbolico che si svolge su un piano puramente istintivo (avvalendosi solo dei "segni") perch consente la percezione del "simbolizzato" senza la mediazione dell'intelletto (che necessita di mezzi e strumenti). POSSIBILE UNA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Ho pensato pi volte ci poter tentare una rappresentazione grafica di quando sono andato osservando in precedenza; ma vi ho rinunciato perch qualsiasi rappresentazione potessi elaborare, mi sarebbe impossibile essere esaustivo rispetto ad un'analisi che invece si pu tentare sui singoli simboli. Ritengo, in sostanza, sia corretto dire che il mondo sensibile (microcosmo) sia un prodotto dell'Assoluto

(macrocosmo) attraverso un processo discendente che Plotino definiva "di emanazione" (ma io preferisco il termine di "obiettivizzazione"): esso prende inizio dal Logos primordiale, passa, perdendo progressivamente parte di autocoscienza sempre, attraverso una prima fase di percettivit, una seconda di razionalit, e scende via via fino al microcosmo. Correlativamente si possono individuare tre aree che, dall'alto verso il basso, comprendono:

la percezione ovvero la conoscenza iniziatica; la conoscenza allegorica (mito), area di operativit della ragione; l'azione del pensiero che fa s che il movimento sia da considerare circolare (come evidenzia proprio il simbolo del cerchio), sicch alla fine del movimento discendente ne inizi uno ascendente che, ripercorrendo a ritroso la fase di oggettivizzazione dell'Assoluto, consente attraverso una quantit sempre maggiore di riassunzione della coscienza e dell'identit originaria, il ricongiungimento nell'assoluto.

Il "simbolo" , pertanto una immagine (icona) dell'intima unione che lega il microcosmo al macrocosmo (vale a dire con una realt di ordine superiore indipendentemente dall'apparente molteplicit dell'essere. Mi viene spontaneo pormi alcune domande consequenziali perch evidente che il simbolo opera nel mondo del molteplice (microcosmo):

il simbolo opera anche sul mondo della realt oggettiva? e come opera? perch il "simbolo" riveste una cos grande importanza nella storia del sapere umano? di quali strumenti si avvale?

Soffermiamoci innanzi tutto sulla prima domanda che riflette il rapporto tra il simbolo e la realt: si tratta di un problema al quale sembra di poter dare una risposta abbastanza facile. Se, infatti, diciamo che un oggetto (segno, immagine od altro) sia la rappresentazione ideale di una realt altrimenti tanto complessa da sfuggire ad ogni tentativo di definizione sostanzialmente diciamo che il "segno" rappresenta la "realt" nella sua interezza e ci sentiamo esonerati dal bisogno di definirla. In altri termini il segno pu essere il sostituto steganografico dell'indefinibile (si pensi al simbolo di Dio, ad Amon, al segno egiziano dell'ariete). Per comprendere come esso possa operare proviamo a spostare il ragionamento sul piano della pi moderna filosofia matematica. Indicando con S il "simbolo" e con R la "realt" che il simbolo rappresenta, possiamo scrivere: S = f(R) nel quale leggiamo che il valore di S (= simbolo) determinato in funzione della realt alla quale ci riferiamo indipendentemente dal nome che ad essa attribuiamo. E possiamo anche dire che il simbolo, in maniera assiomatica, deve necessariamente essere sempre la rappresentazione immutabile di una stessa realt. Ma vale anche il contrario nel senso che, se unica la realt rappresentata, unico sar anche il simbolo capace di descriverla e rappresentarla. Questo modo di concepire il rapporto tra "simbolo" e "realt" ci spiega un "modo" di funzionare in senso verticale tra l'oggetto della rappresentazione (Realt oggettiva = macrocosmo) e l'oggetto soggettivo del rappresentare (realt fenomeniche = microcosmo). E Credo che questo sia il significato cui allude il primo presupposto della "Tabula smaragdina" quando afferma il massimo principio dell'esoterismo: "Cos in alto, cos in basso". Ma ci implica anche che l'oggetto rappresentativo (microcosmo) debba avere un significato unico rispetto a coloro che lo utilizzano in quanto rappresentativo dell'universale (macrocosmo). Ch, altrimenti, il rappresentato finisce con il non costituire pi la Realt, ma si confonde con una molteplicit di "realt" o molteplicit effettuale (ovvero l'identificarsi con il microcosmo). Ritengo che sia questo il motivo per il quale l'esoterismo pitagorico, prima, e quello Cabalistico, poi, sono stati indotti a concepire un universo non gi fatto di numeri (quasi che Dio avesse operato la creazione recitando la tabellina pitagorica), ma la "realt esprimibile" mediante numeri. Perch il numero in s una realt storico-culturale, vale a dire, la rappresentazione quantitativa di una

molteplicit tutta riconducibile all'Unit della Creazione. La possibilit concreta che ci avvenga per tutti i soggetti pensanti una possibilit finalistica (teleologica), vuoi perch gli utilizzatori non costituiscono (di fatto) una unit omogenea (si pensi alla tripartizione pitagorica tra neofiti, adepti, iniziati), vuoi per le pi svariate condizioni storico-socio-culturali (intendendo questo termine nella sua pi vasta delle accezioni). Ne consegue che, mentre per taluni il simbolo mantiene i caratteri propri della rappresentazione della Realt, vi una larga parte per la quale esso rappresenta una sotto-realt, vi poi una larghissima parte per la quale il simbolo opera, come abbiamo gi detto, come metafora. E, in questo senso, parlo di relativit del Simbolo: il B per gli egizi, era rappresentativo della Divinit creatrice indefinibile (equivaleva ad Amun, il Dio sconosciuto; ma anche a Khnum, il Dio del Creato). Allo stesso modo: per gli esoterici iniziati era il simbolo del creato, per gli adepti era "il doppio etereo" (cio la parte eterea dell'anima), per il non adepto era probabilmente solo uno dei tanti nomi con i quali veniva chiamata la divinit, probabilmente sinonimo dell'ebraico EL (al plurale Elohim), o El Shaddai senza una particolare qualificazione. Ne consegue che, a fianco del rapporto di tipo verticale del quale ho appena parlato, siano individuabili anche molteplici rapporti di tipo orizzontale ognuno dei quali sia funzione della relativit del segno e della qualit dei soggetti che, a parit di condizioni soggettive, leggono quel segno in una maniera diversa e soggettiva. Questo secondo modo di leggere il rapporto simbolo-realt (contingenti) in grado di spiegare come, con il passare del tempo, smarritasi la consuetudine di esprimersi per simboli, si finito col perdere la comprensione del pi intimo significato del simbolo stesso: cosa che talvolta accaduta con la complessa simbologia rituale cristiana). Nell'ambito della orizzontalit del rapporto potr cos accadere che, se esempio se tracciamo il segno del triangolo: . . . uno studioso di geometria vi trover i tre punti che sono necessari per individuare un piano o uno spazio (vale a dire un luogo geometrico), un matematico legger la relazione A = (B + C) Per l'esoterico sar la rappresentazione dell'Assoluto. Date queste premesse, mi sembra logico dedurne che:

sul piano del rapporto verticale (vale a dire sul piano del rapporto microcosmo - macrocosmo) il simbolo operi elusivamente come icona che richiama alla mente del soggetto pensante una ed una sola Realt (valore geroglifico o valore assiomatico del simbolo); sul piano del rapporto orizzontale il valore di icona viene assunto solo nell'ambito di soggetti che hanno pari grado di conoscenza; il che significa che al massimo livello di questa il simbolo funziona come se si trattasse di rapporto verticale; a livelli subordinati assumer il valore di metafora: esso costituisce una sorta di carta di identit ed il rapporto si svolger sul piano tipico di quel livello, restando precluso agli altri dei livelli inferiori (valore elitario) che operano su livelli intellettuali o su piani di percezione diversi.

LINGUAGGI E METALINGUAGGI Le considerazioni prima svolte, mi inducono a trarne le dovute conseguenze anche in ordine ad un'altra domanda che mi sono posto fin dall'inizio: quali sono le ragioni della "fortuna" del discorso simbolico dagli albori dell'umanit? A mio sommesso avviso il problema dell'espressione si posto ancor prima dell'introduzione di un linguaggio come insieme organizzato intorno ad una simbologia fonetica. All'essere pensante era necessario comunicare le proprie esperienze della vita quotidiana. E tanto dovette essere sufficiente per l'ominide a servirsi del "suono" come mezzo di comunicazione diretto (non a caso Platone parl di "suono primordiale"

come espressione dell'atto della creazione: il fiat iniziale). La conseguenza fu l'introduzione della parola come suono articolato. Ma ben presto l'uomo si rese conto della necessit di comunicare al di l dei limiti di spazio e di tempo e quindi il simbolo fonetico dovette divenire divenne simbolo grafico (pittogramma). Si pensi alla rappresentazione dell'animale cacciato per indicare la bont di una zona di caccia. Esempi di simboli pittografici sono quelli del cosiddetto alfabeto sacro egiziano individuati da Athenase Kirkher: il punto, il cerchio, il serpente. Ma si pensi anche alla loro evoluzione: la svastica, il labirinto, la spirale ecc. Successive stilizzazioni del primo pittogramma certamente portarono alla introduzione dell'ideogramma, del geroglifico e poi del segno alfabetico. Naturalmente non tutti gli esoterici sono d'accordo, Ad esempio il Di Gennaro. I tre valori individuati (ideogramma, geroglifico, segno alfabetico) non si esclusero a vicenda ma sono sopravvissuti: sar sufficiente pensare alle lettere dell'alfabeto greco e latino che di volta in volta erano numeri non posizionali, suoni (note musicali?) o componenti autonome di suoni complessi (parole). Ma si pensi anche al triplice valore che assumevano ed assumono i segni degli alfabeti del ceppo semitico (ebraico ed arabo) e sopravvivono tuttora in particolari aree geografico-culturali coesistendo e dando vita ad un corpus simbolico molto complesso. Non deve meravigliare come, fin dai primordi del pensiero filosofico, questa combinazione non sia sfuggita agli esoteristi. Le loro intuizioni hanno fatto s che, col tempo, ideogramma - geroglifico - segno alfabetico sono, insieme, divenuti simbolo della Divinit creatrice, inesprimibile ed indefinibile, ed hanno dato vita a quelle che impropriamente vengono definite religioni politeiste. Thoth-Ermete (definito dai Greci Trismegisto = tre volte grandissimo) probabilmente il primo e pi antico esponente delle "divinit" alla quale si attribuiva, non a caso, la paternit del linguaggio e della scrittura (che i Greci attribuirono al Cadmo). Traducendo il concetto in termini pi accessibili potremmo dire che a Thoth - come a Cadmo - veniva riconosciuto il merito di aver penetrato e diffuso tra gli uomini la rivelazione del Logos divino attraverso la parola e lo scritto (cio attraverso il suono primordiale ed il simbolismo grafico). Thoth-Ermete Trismegisto fu, in sostanza, una sorta di Bodhisattwa che, rinunci ad immedesimazione in Amun per restare in una sfera a met strada tra Dio e gli Uomini allo scopo di aiutare questi ultimi a ricostruire l'unit originaria attualizzano il compito della risalita a Dio (5). Ebbene questo processo era espresso proprio nel simbolo di Amun (il geroglifico dell'ariete) perch non esisteva altro che potesse esprimerne il concetto (6). Col tempo successo che questa prima, antichissima, simbologia abbia generato una proliferazione e stratificazione di simboli generando quel problema che siamo abituati a chiamare "politeismo". Di fatto il fenomeno dell'unico simbolo originario ha di fatto seguito il continuo spostamento in avanti delle frontiere del sapere umano che tentava di ridurre ad uno una Realt divenuta multidimensionale (7). Ma v' di pi: in ogni strato successivo si annidava il grado precedente. La conoscenza esoterica era divenuta una sorta di scatola cinese con tanti livelli, almeno quanti erano i livelli di conoscenza, ognuno riservato ad un livello di iniziazione. Cos Ra era divenuto il simbolo di Thoth ma conteneva il simbolo di Knuhm che a sua volta conteneva quello di Amun (8). All'iniziato era destinato a sostituirsi il Grande Iniziato. Di conseguenza "Grande Iniziato" colui che capace di possedere la Realt completa: cio il Mahatma della tradizione ind ed il profeta della tradizione giudaico-cristiana. Cos, conoscere il "nome di Dio", nella tradizione Talmudica, equivale ad essere Dio perch il concetto, che si sostanzia nella relazione parola = simbolo di Dio = indicibile, deriva dalla tradizione egizia, alla quale sono ispirate tutte le formule rituali del Libro dei Morti, del Libro dell'apertura delle Porte, dell'Apertura della Bocca e cos via. Il soggetto senziente con la conoscenza del nome (che equivaleva ad un superiore livello di conoscenza) si integrava con l'oggetto della rappresentazione: equivaleva ad acquisirne le caratteristiche e le capacit (secondo le affermazioni del Talmud e della Kabalah) di compiere miracoli e prodigi. Orbene, tale affermazione molto meno campata in aria di quanto si possa pensare e si basa su una pluralit concorde di argomenti testuali. Ad esempio la Bibbia riferisce che a Mos, esule sul Sinai, Dio si manifesta sotto forma di roveto ardente. E Mos chiede al roveto "Chi sei?".

In questa domanda, dove lecito leggere la legittima curiosit per una manifestazione di realt che supera quella dell'iniziato Egiziano, facile intravedere anche una punta di malizia nella domanda che chiede una autentica rivelazione. Ma la malizia di Mos viene aggirata dalla risposta "Io sono colui che " (9). Insistere sul tema del possesso della parola - come possesso della Realt - come dire possedere la divinit, e non casuale. Un'analisi pi accurata degli strumenti utilizzati nel simbolismo attraverso i secoli, mi induce a ritenere che lo strumento principe risieda proprio nella parola sia nella sua espressione grafica che fonetica. Per una esemplificazione pratica del simbolo grafico consideriamo il simbolo costituito dai due triangoli equilateri intrecciati (la cosiddetta "Stella di Davide"). Potremo subito rilevare che in questo segno un araldico vedrebbe lo stemma dello Stato di Israele, lo storico vi vedr il segno del sovrano saggio di Israele Davide; lo studioso di esoterismo vi legger la circolarit della creazione negli aspetti del trascendente e dell'immanente. Eppure evidente che questa polivalenza dell'interpretazione del simbolo giustifica altri tipi di considerazioni. Infatti, premesso che il simbolismo, nasca pure in relazione ad esigenze della vita pratica, diviene immediatamente patrimonio delle religioni. di tutta evidenza che l'evoluzione del simbolo rimanda, indissolubilmente legata, all'evoluzione del pensiero. Ne consegue che il problema dell'interpretazione attuale del simbolismo originario, sia legato all'evoluzione della lettura dei cosiddetti "Testi sacri". Purtroppo, per quasi tutte le religioni, non abbiamo testi originari; Quelli di cui siamo in possesso sono frutto, prima di una trasmissione orale, e poi, di trascrizioni, traduzioni e si sovrapposizioni. Ed il processo evolutivo del testo continua abbastanza a lungo, almeno fino alla formazione di un "canone" che fissa quale sia il testo ufficiale espellendone tutto ci che non concorda con il pensiero religioso di quel momento. Si formano, in successione, due "corpora": quello "canonico" che si contrapposto a quello "apocrifo". E questo fenomeno tipico del Testo biblico (si del Vecchio che del Nuovo Testamento). Ebbene, proprio nel contrasto tra le due serie riscontrabile una serie di contraddizioni nelle quali il critico trova collegamenti tra le due serie (10). Una tale situazione comporta gi notevoli confusioni e difficolt di rinvenimento del carattere simbolico originario delle scritture. Ma il fenomeno della "canonizzazione" equivale, in effetti, ad una cristallizzazione del testo a quel particolare momento storico-filologico ed a quella particolare lettura del testo. E il compito del ricercatore diventa immane almeno quanto il risultato dubbio. Il risultato , infatti, legato, da un lato alle parole di cui siamo in possesso e dall'altro al senso complessivo che il lettore dell'epoca ha loro dato. In un caso come nell'altro si tratta del "ritmo" che l'autore originale, ispirato dalla divinit, aveva loro impresso (11). Riassumendo questo concetto in termini accessibili mi sentirei di dire che i testi sacri originali erano dei "metalinguaggi" con cui il trascendente divinit comunicava con l'immanente. I testi che noi oggi possediamo sono, di fatto, metalinguaggi di metalinguaggi (12). Il che comporta la necessit (e la difficolt) di ricostruire un testo che riproduca la multiformit dell'originale allo stesso modo in cui per intendere un testo dantesco occorre leggerlo nel significato che ne avrebbe dedotto un lettore medievale cosciente dei principi delle arti del "Trivio" e del "quadrivio" (13). Quello che intendo dire questo. Qualche anno fa ho avuto modo di vedere la iscrizione di Grtina a Creta (la famosa "Regina delle iscrizioni"). Orbene anche ad un osservatore disattento salta agli occhi un particolare: non esistono segni di divisione delle parole; ad un osservatore un tantino pi attento diviene evidente che, nella maggior parte dei casi, sono omesse le desinenze delle parole (ad esempio QEMISQOKLES EPOIESE. Ebbene pu essere variamente compitato (cio scomposto in fonemi elementari) e variamente letto e interpretato). Il che significa che la ritmazione delle parole (cio l'inserimento delle cesure equivalenti alla distanziazione delle parole) e l'eventuale aggiunta delle desinenze rimaneva a discrezione del lettore comune, mentre la "Lettura" rimaneva esclusiva dell'iniziato che ne conosceva intuitivamente il significato pi profondo. Il fenomeno diviene ancor pi complesso ove dalla lingue indoariane si passi alle lingue ed alle scritture di tipo semitico (arabo e, pi in antico, egiziano e, solo da ultimo, nel cosiddetto ebraico quadrato) perch queste mancavano di vocalizzazione (l'inserimento della vocalizzazione stata effettuata, per l'egiziano, ex post sulla base della lingua copta): tenendo presente tra l'altro che nelle scritture semitiche i segni

(geroglifici) non hanno, sempre un andamento uniforme. Le teorie anteriori a Champollion sostenevano che la disposizione dei geroglifici e l'andamento della scrittura rispondesse ad esigenze estetiche. Chiaramente un tale modo di pensare era errato perch la elaborazione grafica della scrittura dava luogo a calligrafismi (si pensi alla scrittura cufica rispetto all'arabo) ma non a differenziazioni nella disposizione dei geroglifici. La diversa disposizione dei geroglifici evidentemente d luogo a diversi fonemi, a diverse, cifre, a diverse parole: ritengo quindi che il modo di disporre i segni non fosse n arbitrario n casuale ma rispondesse a veri e propri criteri jeratici che avevano senso solo agli iniziati (14). Ne un buon esempio la Bibbia dei jaivisti che a tali criteri risponde, costituendo essa stessa un testo jeratico a diversi livelli di lettura. Ad esempio, al sostantivo utilizzato per denominare la divinit in ebraico quadrato (tipica lingua jeratica = metalinguaggio), corrisponde il simbolo del Tethragrammaton ed costituito dai segni Jod, H, Vau, H e i sintesi: JHVH Esso viene letto normalmente Jahv o Jehovah. Ebbene della sua complessit simbolica ci rendiamo conto quando ci riferiamo ad analoghe radici contenute in altre lingue come ASHER HEJEJEH o con l'arcadico EVOE': in tutte queste presente la locuzione "Egli colui che ". Ma pensiamo anche al nome Adamo che in ebraico costituito dalle lettere Aleph, Daleth, Meth: ADM (= vita, umanit). Con una semplice metatesi diviene: D M '[a] (= morte) (15). E non dimentichiamo la "parola" greco-arcadica "EVOE" (che in greco suonava: ieuoi). Tenuto conto che nel dialetto arcadico la "u" sostituisce la "o" l'EVOE' con lo jotacismo il grido delle baccanti pu essere sillabato come [i] - E - O - O - E che ripropone la frase del libro dei morti e quello mosaico di "egli colui che " (16). di tutta evidenza come il ruolo del sacerdote-sciamano (cio l'Iniziato) assuma una rilevanza tutta particolare proprio come tramite tra l'umano e il divino: egli non solo colui che sa, ma soprattutto sa come parlare alla divinit per esserne inteso. Ed anche chiaro come si possa creare l'illusione di poter possedere il divino, di generare magia e, spesso, magia nera (Goetia secondo Elipas Levi). Ma forse l'esempio pi significativo ci viene dal suono, dal canto Gregoriano. Le sue caratteristiche salienti, a parte alcuni pochissimi requisiti di carattere formale (come l'assenza di accompagnamento strumentale: il cosiddetto canto a cappella che influisce direttamente sull'ascoltatore), sono essenzialmente tre e riguardano, rispettivamente: l'interprete, il modo e l'animus. Non un caso che l'interprete debba essere preferibilmente un chierico ( l'iniziato, colui che sa), n che il canto sia monodico e non corale (tutti cantano la stessa cosa, allo stesso modo e secondo certe cadenze di tipo metrico con alternanza di brevi e lunghe = cesure). Il terzo requisito quello che mi ha dato pi da pensare, almeno considerando il problema dal lato dell'ascoltatore che difficilmente riesce a comprendere come un canto di tipo ripetitivo (17) possa essere intonato in modo tale che ogni volta il chierico si comporta come se lo intonasse per la prima volta. In effetti il canto Gregoriano era l'erede naturale della primitiva "cantillazione", pure riservata ai chierici. Non ho trovato tracce di cosa fosse e con quali modalit si svolgesse. Ma il termine mi induce a ritenere che si trattasse del canto su un testo sillabato dove le cesure (alternanza di sillabe lunghe e brevi) determinassero il luogo ove da una parola si passava alla successiva realizzando parole dal significato diverso da quelle del testo: simbolo di diverso esoterico significato rivolto essenzialmente da un chierico ad un altro e da tutti alla divinit non all'ascoltatore. Un discorso analogo dovr essere svolto per il simbolismo grafico, ma credo che dovremo rinviarlo ad una

prossima occasione. Note: 1. Notare anche l'equivalenza con BR(a) o BR(o) che indica la "rottura". 2. In tal caso il simbolo, per il fatto stesso di non essere oggetto di percezione ma di ragionamento, degrada ad allegoria che opera tra soggetti di natura non omogenea (non adepti) e diviene il terreno in cui opera normalmente il mito. 3. Come potrebbe essere nel rapporto tra diseguali: si pensi al rapporto tra i due frammenti che danno luogo alla definizione, o meglio al rapporto tra un adepto e un non adepto. D'altra parte a questa conclusione ci conduce la riflessione sul grafico che ho tracciato: il simbolo della staticit il punto che si realizza solo nell'Assoluto; il nostro simbolo invece il triangolo. 4. Si pensi in senso fisico al Monte Ararat, al Glgota, al Monte Mehru della simbologia vedica, allo Ziggurath mesopotamico, alla piramide centro-americana, al Monte Fuji dello shintoismo, al Rapa-Nui delle tradizioni delle terre dell'Oceano Pacifico, al Walhalla delle tradizioni nordiche, allo stesso "cranio" dell'uomo, al Lingam di Shiva e cos via. 5. Si tratta, in sostanza di quel procedimento che, secoli o millenni dopo, diverr il nocciolo del pensiero plotiniano. 6. Amun era per questo motivo quello che la cultura greca definiva "il Dio sconosciuto" e che visivamente rappresentato nella cella del Tempio di Abu Simbel tra Ra ed Osiride. 7. Si erano confusi con altrettante ipostasi della divinit quelle che, in effetto, erano solo attributi della stessa. 8. In tal senso vanno lette le cosmogonie delle varie scuole egiziane successivamente formatesi nel tempo e nello spazio dei diversi distretti. Nello stesso senso stato di recente risolto il problema del Santo Graal nel quale stato ravvisato (e il testo de "La quete du San Graal" sembra confermarlo) un simbolo dell'Arca dell'Alleanza nel quale potrebbe essere annidato il simbolo della Maest e della potenza Divina. 9. In effetti la risposta riportata nel testo Biblico molto pi antica della stessa Bibbia e riproduce i testi del Libro dei Morti della IV dinastia: corrisponde infatti alla formula della cerimonia dell'apertura della Bocca e viene pronunciata da Osiride-Amun-Ra nei confronti di Thoth. Ma l'espressione ambivalente perch, dalla lettura della LXX apprendiamo corrisponde alla rivelazione della Trinit dell'Essere: Dio, essenza, esistenza. Si veda Padre Vincenzo M. Romano "Dissequestrate la Bibbia". 10. Si pensi al tipico il caso dell'incontro tra le figlie degli uomini e dei figli di Dio che non trova alcuna spiegazione logica a meno di non interpolare il testo biblico canonico con l'episodio di Lilith del testo apocrifo. 11. Facciamo un esempio sulla base di un noto e controverso verso dantesco: "Pap Satan, Pap Satan aleppe". Comunemente ci si dice che il verso non ha significato, ma noi non sappiamo se Dante, che non aveva certo l'abitudine di scrivere cose inutili, non si fosse limitato a trascrivere foneticamente, con ritmo cambiato, l'espressione francese "Pas paix Satan, pas paix Satan, l'pe" che ha lo stesso suono e gli stessi accenti del verso volgare. 12. Si vedano sul punto i quaderni di Padre Vincenzo M. Romano e la sua proposta di rilettura dei Libri Testamentari. Ad esempio per la Bibbia, non gi il testo ebraico (come ne "La langue braique restitu") che, a mio parere, per svariati motivi storico-filologici non mai esistita indipendentemente dai testi di Qum'ram che sono di epoca di gran lunga posteriore (I-II secolo d.C.), n a quello di una ipotetica lingua "sinaitica", ma alla traduzione in greco dei LXX (melius dei LXXII) che, per le circostanze ed i risultati cui pervennero pu essere considerato il testo pi vicino all'originale. Ma il problema consiste nel fatto che esso era un metalinguaggio e la sua cristallizzazione divenuta un altro metalinguaggio. 13. Si noti il 3, il 4 e il 7 che, graficamente, riproducono il simbolo del Tethragrammaton: il quadrato sormontato dal Triangolo equilatero. 14. Cos, ad esempio, a seconda della disposizione dei geroglifici, il nome del Faraone Thutankamon pu essere letto come "Thoth [Thuth o Thoth] anima [ankh] di Amun [Amon o Amun]" oppure come "Signore della stella del Sud". Ne risulta evidente che il modo di intonarlo, come la scansione (ritmo) del Sacerdote (iniziato) aveva un senso che non era sempre lo stesso. 15. Da essa deriva la leggenda del Golem che poteva essere distrutto cancellando l'Aleph. 16. Del resto questo parlar nascosto caratteristico della poetica di molte letterature compresa quella italiana almeno fino a tutto l'800: basti pensare a Dante, Petrarca e Boccaccio, ai rimatori del Dolce Stil Novo. 17. Tale cio che riesca a riprodurre le condizioni dell'estasi. Non a caso originariamente il canto si accompagnava alla danza che, nei suoi movimenti vorticosi, unita al suono, induceva una sorta di trance. Ne sono un esempio, nella religione islamica, i rituali dei sufi seguaci di Mevlana.

Il Simbolo appartiene all'uomo ed sicuramente il frutto della mente mitica che rappresenta lo strato pi antico della nostra psiche, ovvero di quella che ha preceduto la mente logico - razionale, sviluppatosi solamente in un secondo tempo con l'incremento e l'evoluzione della corteccia cerebrale. La coscienza umana, prima di diventare quella che conosciamo oggi ha avuto una sua precedente organizzazione ed passata attraverso lo stadio mitico psichico' , stadio in cui l'uomo era molto pi attrezzato per leggere i simboli di quanto non lo sia oggi; questa stata anche la fase in cui tutto era scritto e compreso in forma mitica, quella che noi oggi leggiamo come mitologia che, verr comunque affrontata in questa sezione del sito. La grande crisi del nostro tempo forse anche dovuta alla forma di pensiero imperante che si sviluppa unicamente in forma lineare e causale e che, perci, restringe e riduce tutto ci che invece appartiene prettamente alla natura e all'uomo. La radice della parola simbolo racchiusa in quella (synmbllein) che significa letteralmente tenere insieme , congiungere' ; in effetti nell'antica Grecia quando ci si doveva separare, si spezzava una moneta, oppure un oggetto di terracotta o un anello ed ognuna delle due persone ne teneva una met: quando uno dei due faceva ritorno doveva mostrare la sua met e se le due combaciavano la persona che la portava veniva riconosciuta come amica' e riceveva ospitalit. Questo significa che la parola simbolo' indica qualcosa di diverso da ci che appare; nel caso su esposto, simboleggiava l'amicizia e il diritto all'ospitalit. Il simbolo dunque la parte visibile di qualcosa che non presente e dunque invisibile o, meglio ancora, un qualcosa che si vede nel mondo della materia in cui per racchiuso un significato spirituale ed interiore. Quando cerchiamo di interpretare il simbolo cerchiamo infatti di collegare due cose tra di loro, ovvero cerchiamo la realt invisibile nascosta dietro a quella visibile e cerchiamo il collegamento analogico tra le due. Infatti, il simbolo e ci che rappresenta, hanno un legame intimo e non possono essere in alcun modo separati. Per questo i simboli condividono qualcosa con i segni , ma nel segno non si presenta nulla di nascosto, si basa su convenzioni comuni, da tutti pi o meno accettate. Il segno ha una funzione sostitutiva (ad esempio, noi indichiamo con una casetta fatta in un certo modo un campeggio, o con forchetta e coltello il ristorante, ma in questo non c' nulla di nascosto). I segni possono essere cambiati: se io metto una tenda al posto della casetta, o se metto un piatto e un cucchiaio e mi convenziono su questo posso lo stesso indicare un campeggio e un ristorante. Non possiamo invece convenzionarci con il mondo sul significato di un simbolo , perch in esso il significato legato in modo indissolubile all'immagine ed immediato, non possiamo fare un ragionamento razionale per comprendere un simbolo, mentre lo dobbiamo fare per tradurre l'informazione che implicita nel segno. Jung sosteneva che il simbolo non pu mai rivelare interamente il suo significato, vi dunque sempre un'eccedenza di significato che diventa personale e che si lega all'emozione che suscita la vista dell'immagine. Mentre un simbolo non pu essere ridotto a segno , pu invece accadere il contrario: il segno pu diventare un simbolo nel momento in cui noi gli attribuiamo un significato nascosto, non immediatamente visibile. Ad esempio, ai nn. 13 e 17 molte persone hanno legato delle qualit: fortuna, positivit oppure sfortuna e negativit. Esistono tre tipi di simboli:

- Convenzionali per lo pi si tratta di segni e sono quelli che usiamo pi frequentemente e di cui non possiamo fare a meno: sono i numeri, le lettere che formano le parole e le note musicali. Come ho gi detto sopra si basano su convenzioni e sono condivisi da tutti, per cui sono anche universali. - Universali sono quelli che tutti comprendono poich c' una stretta relazione tra il simbolo e quello che rappresentano : la croce ad esempio un simbolo universale; tutti, credenti o meno, sanno che cosa significa. Accidentali sono quelli che hanno un esclusivo significato personale perch si legano a precisi fatti vissuti. Il simbolo permette un rapidissimo collegamento tra il segno o l'oggetto e il significato nascosto e questo perch permette anche un collegamento immediato tra i due emisferi: il sinistro percepisce il simbolo, lo registra nella mente il destro gli d significato, lo interpreta e lo comprende'. Questa immediatezza e questa potenzialit dovuta al fatto che nella nostra psiche sono assiepati gli strati che appartengono alle fasi precedenti a quella della mente razionale e sono proprio questi che risuonano. La funzione del simbolo quella di far venire alla mente qualcosa che non quello che vediamo con i nostri occhi e perch questo possa accadere il simbolo deve possedere una energia precisa che ha il potere di EVOCARE, ovvero di far esplodere i sentimenti e le emozioni che giungeranno alla mente nel momento in cui avverr partendo un semplice processo associativo tipico della mente analogica. Il simbolo analogico e infatti va al di l del significato logico ed immediato e, pertanto, possiede un aspetto inconscio che non pu mai essere totalmente spiegato. Ed a causa di questo che la mente razionale non pu avere un rapporto chiaro con il simbolo poich esso legato al pensiero associativo e non a quello causale. I simboli sono presenti nei sogni, nelle favole, nei miti ed anche nelle creazioni artistiche, a volte per sono presenti in modo semplice nella vita di tutti i giorni. In questa sezione di Eridanoschool verr spiegato il significato dei pi importanti simboli, non solo a livello astrologico, ma a livello mitico, psicologico e generale tenendo sempre presente che il simbolo un ponte tra mondi diversi. Il simbolo un qualcosa che pu definirsi Universale in quanto non risponde a tempo, spazio e non si lascia in alcun modo definire ne' collocare in una precisa epoca. La maggior parte degli studiosi di simbolismo sono concordi nel collocare il simbolo o meglio il pensiero simbolico in un'epoca che precede la storia ovvio che si pu parlare di storia dal momento in cui vi un preciso ordine mentale che colloca e conteggia cronologicamente -. I primi simboli e quindi, anche i primi maestri dell'uomo sono tutti derivati dall'osservazione della natura: animali, pietre, piante, cielo, costellazioni; l'uomo si mostrato un osservatore eccezionale, capace di rappresentazioni mentali potenti. Il simbolo si organizza nella sua amplia funzione esplicativa e creatrice come un sistema di connessioni molto complesse ma nelle quali il fattore dominante sempre il carattere polare che serve a collegare il mondo fisico con quello metafisico.

Astrologicamente parlando, il simbolo legato al segno del Sagittario e ai suoi pianeti Giove e Nettuno, capaci di immaginare, di associare e di interpretare e dare significato. Jung dice del simbolo : ci' che noi chiamiamo simbolo un termine, un nome, o anche una rappresentazione che pu essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. Percio' una parola o un'immagine simbolica quando implica qualcosa che va al di l del significato immediato. Possiede quindi un aspetto pi ampio - inconscio - che non mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Ne' si pu definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, viene portata a contatto con qualcosa che va e sta al di l delle capacit razionali. Vedere l'immagine di una ruota infatti, pu farci pensare ad un carro, ma pu farci pensare anche al disco del Sole, oppure all'immagine della vita con la sua ciclicit e continuit. Ed a questo punto che la ragione deve ammettere la sua totale incompetenza nei confronti del simbolo. Mircea Eliade afferma quanto segue: il simbolo aggiunge valore nuovo a un oggetto o una parola o a un'azione, senza per questo attentare ai suoi valori propri o immediati o storici. Resta da sapere continua l'autore se il simbolo apre ad un mezzo di evasione oppure permette l'unica possibilit di accesso alla vera realt del mondo. Il simbolo lavora attraverso l'analogia. La definizione di analogia : una relazione tra due fatti o proposizione fra i quali c' similitudine e almeno, un elemento uguale. La vera analogia simbolica - dice Rene' Gunon quella che ha luogo fra il livello della realt fenomenica e il livello dello spirito equiparabile, se vogliamo, al mondo platonico delle idee. Vi sono parole che sono simboliche: se noi parliamo di divino, dobbiamo ammettere che la mente razionale ha delle difficolt a spiegare o a inquadrare che cos' precisamente qualcosa di divino. Per questo le religioni devono usare il Simbolo o le Immagini, per spiegare qualcosa che la ragione non pu spiegare. Potremo dire, per parlare in termini astrologici che Giove e Nettuno spesso conducono ben oltre le barriere della realt di Mercurio e Y . Ed qui che inizia il regno simbolico, proprio dove i sensi trovano il loro limite: il simbolo ci permette di vedere anche quello che non c', di comprendere qualcosa che la mente non pu percepire, di sentire qualcosa che le orecchie non odono. La tradizione esoterica conosceva la divisione verticale sui tre livelli del pensiero in subconscio (pensiero degli istinti e dei sentimenti); coscienza (pensiero delle idee e del riflessivo); supercoscienza (pensiero intuitivo e delle verit superiori); questo concetto stato ripreso da Assagioli nella sua psicosintesi. Vi sono dei simboli universali, tipo l'idea del mondo visto come un labirinto che vede la vita come un pellegrinaggio, un viaggio qualcosa che per deve portare ad un centro come simbolo della finalit assoluta dell'uomo e della sua conquista del paradiso e della coscienza. Ad esempio il simbolo del mandala rappresenta il tema dell'arrivo al centro che pu essere rappresentato anche come tesoro nascosto o ritrovamento dell'oggetto perduto simboli che indicano la conoscenza, il sapere, qualcosa a cui da sempre l'uomo aspira.

Maurizio Villani Metafora, simbolo e concetto nella "Filosofia delle forme simboliche" di Cassirer

"Se tutta la civilt si dimostra attiva nella creazione di determinati mondi di immagini, di determinate forme simboliche, lo scopo della filosofia non consiste nel ritornare al di qua di tutte queste creazioni, ma invece nel comprenderle e renderle coscienti nel loro fondamentale principio creativo. Solo in questa consapevolezza il contenuto della vita si eleva alla sua forma autentica. La vita emerge dalla sfera della mera esistenza data da natura: essa non rimane n un elemento di questa esistenza, n un processo meramente biologico, ma si trasforma e si perfezione divenendo forma dello spirito." (E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche)

1. Le forme simboliche Lo studio delle strutture fondamentali della conoscenza ha caratterizzato tutta la ricerca teoretica di Cassirer. Gi nella sua prima opera, Il concetto di sostanza e il concetto di funzione, del 1910, veniva condotta un'analisi delle leggi costitutive del conoscere, attraverso l'indagine sulla matematica e sulle scienze della natura, dove la conoscenza raggiunge il pi alto grado di universalit e necessit. "La forma della conoscenza quale ivi venne determinata, coincise quindi in sostanza con la forma della conoscenza esatta" [1]. Nella prefazione alla Filosofia delle forme simboliche Cassirer denuncia come angusta questa prospettiva, allorch si pone il problema di estendere i risultati teorici di quelle ricerche sulle critica della conoscenza scientifica ad una critica di tutti i fenomeni culturali. "Nello sforzo di rendere fecondi per la trattazione dei problemi pertinenti alle scienze dello spirito i risultati di tali indagini (Il concetto di sostanza e il concetto di funzione), le quali riguardavano essenzialmente le strutture del pensiero matematico e scientifico, mi si era fatto sempre pi chiaro come la teoria generale della conoscenza non fosse sufficiente, nella sua corrente accezione e limitazione, per una fondazione metodica di quelle scienze. Se si voleva arrivare a tale fondazione, il piano di questa teoria appariva abbisognevole di essere ampliato nei suoi principi. Anzicch indagare i presupposti scientifici della conoscenza del mondo, occorreva pensare a stabilire e delimitare, l'una rispetto all'altra, almeno nell'ambito generale, le varie forme fondamentali dell' 'intelligenza' del mondo, e cogliere ciascuna di esse pi nettamente possibile nel suo peculiare intento e nella sua peculiare forma spirituale" [2]. Si presenta, a questo punto, il problema preliminare della chiarificazione, teoreticamente fondata, della possibilit di visioni del mondo che non siano solo scientifiche; in secondo luogo da vedere come la conoscenza concettuale, propria delle scienze esatte, si ristrutturi, all'interno delle "forme simboliche", rivolgendosi fondamentalmente non pi ai suoi propri contenuti, ma cercando di cogliere le mediazioni di pensiero che intercorrono tra quelli. Il punto da cui Cassirer parte la convinzione che l'essere e la conoscenza dell'essere siano la stessa cosa. Non c' infatti essere al di fuori del processo mediante il quale la funzione conoscitiva coglie l'oggetto nelle sue determinazioni. Questo processo problematico, nel senso che l'essere dell'oggetto non il punto di partenza, metafisicamente dato, che bisogna scoprire, ma rappresenta il significato "ideale" - in senso platonico (come avevano inteso Platone, Cohen e Natorp) - presente come principio su cui la conoscenza si fonda. "Solo l dove l'essere assume il significato nettamente determinato di problema, il pensiero assume il significato nettamente determinato di principio. Esso ora non accompagna pi semplicemente l'essere, non un semplice riflettere "su di" esso, ma la sua specifica forma interna ci che, da parte sua, determina la forma interna dell'essere"[3]. La scienza, da una parte, ci mostra come l'oggetto, nel suo stesso essere tale, si determini solo attraverso le mediazioni di una particolare struttura logico-concettuale, che conferisce forma specifica alla conoscenza scientifica. D'altra parte, per, "l'essere unico a cui il pensare si tiene fermo e da cui sembra non poter prescindere senza distruggere la sua propria forma, si ritrae sempre pi dal dominio della conoscenza. Esso diviene una mera X che, quanto pi afferma rigorosamente la sua unit metafisica, come 'cosa in s', tanto pi sfugge ad ogni possibilit di conoscenza per essere alla fine sospinta completamente nel campo dell'inconoscibile"[4]. Per la perdita della nozione dell'essere unitario e la sua frantumazione nella molteplicit degli oggetti fenomenici parrebbe comportare lo stesso dissolvimento dell'unit del sapere; e tale infatti , se la si riferisce al sapere degli oggetti "semplici". Emerge perci l'esigenza metodologica di

costruire un'unit diversa, puramente funzionale, che prenda il posto dell'unit sostanzialistica da cui era dominato l'antico concetto dell'essere. In Il concetto di sostanza e il concetto di funzione Cassirer ha gi dimostrato come l'attivit logicoconcettuale consenta di raggiungere l'oggettivit della conoscenza scientifica; il problema che affronta nei due primi volume della Filosofia delle forme simboliche di vedere se e in che modo altre funzioni fondamentali dello spirito raggiungono l'oggettivit. "La conoscenza resta fondamentalmente indirizzata a questo fine: far rientrare il particolare in una forma intesa come legge e come ordine universale. Ma accanto a questa forma di sintesi intellettuale, che si presenta e opera nel sistema dei concetti scientifici, altre specie di attivit formatrici si trovano nel complesso della vita spirituale, Anch'esse possono venir indicate come determinati modi di "obiettivazione": cio come mezzi per conferire a una entit individuale un valore di universalit; ma esse raggiungono questo scopo della universale validit per una via totalmente diversa da quella del concetto logico e della norma logica. Ogni vera funzione fondamentale dello spirito presenta in comune con la conoscenza un'unica caratteristica di valore decisivo, costituita dall'avere in se stessa un'attivit originaria formativa e non semplicemente riproduttiva. Essa non esprime in maniera meramente passiva una entit esistente, ma racchiude in s un'energia autonoma dello spirito attraverso la quale la semplice esistenza dei fenomeni acquista un significato determinato, un peculiare valore ideale. Ci vale per l'arte come per la conoscenza, per il mito come per la religione. Essi tutti vivono in peculiari mondi di immagini nei quali non semplicemente si rispecchia un dato empirico, ma che essi, invece, producono secondo un principio autonomo. E cos ciascuno di essi si crea anche forme simboliche che, sebbene non siano dello stesso genere dei simbolo intellettuali, sono ad essi equivalenti per la loro origine spirituale"[5] . Questa visione , per Cassirer, coerente con la rivoluzione copernicana di Kant, intesa nel senso allargato delle tre Critiche. Il primato della funzione rispetto all'oggetto diventa il principio fondamentale di ogni attivit formatrice tesa verso il mondo: la critica della ragione diventa cos critica della civilt" [6]. A questo punto l'enucleazione del principio formale, garante dell'universalit delle scienze dello spirito e nello stesso tempo capace di cogliere la particolarit di ciascuna delle forme singolari, si presenta come il nuovo problema emergente della ricerca filosofica. "Se si potr trovare un medium attraverso cui trascorra ogni forma, quale di realizza compiutamente nelle singole fondamentali direzioni della vita spirituale, e in cui ci nondimeno esse mantengono la loro particolare natura, il loro carattere specifico, sar dato il necessario termine medio per una considerazione che estenda alla totalit delle forme spirituali i risultati raggiunti dalla critica trascendentale per la pura conoscenza"[7]. Questa funzione mediatrice individuata da Cassirer nel simbolo. L'approccio alla teoria del simbolo di tipo linguistico. Il linguaggio, allorch si fa veicolo di espressione, attua un'operazione rappresentativa, intesa come "la presentazione di un contenuto in un altro e per mezzo di un altro (...) essenziale per la costruzione della conoscenza stessa e condizione della sua peculiare universalit formale"[8]. In quest'operazione rappresentativa il simbolo mantiene un determinato significato ideale che, come tale, permane, di contro al reale mutarsi del contenuto singolo della coscienza. "L'atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in un qualche simbolo caratteristico. Cos ogni pensiero veramente rigoroso ed esatto trova il suo punto fermo solo nella simbolica, nella semiotica, sulla quale esso poggia"[9]. Come il linguaggio, anche gli altri modi della conoscenza sono simbolici. "Il mito, l'arte e cos il linguaggio e la conoscenza divengono simboli; non gi nel senso che essi designino sotto forma di immagini, di allegoria che allude e spiega, una pluralit precedentemente data, bens nel senso che ciascuna di queste forme crea e fa emergere da se stessa un suo proprio mondo di significato. In esse si manifesta l'autodispiegamento dello spirito: e soltanto per mezzo di esse sussiste in lui una 'realt', un essere determinato ed organico"[10]. Cassirer concepisce il simbolo come "il complesso di quei fenomeni in cui si presenta in genere una qualsiasi realizzazione significativa del sensibile, in cui un elemento del suo esistere e del suo esser-cos si presenta al tempo stesso come differenziazione e materializzazione, come manifestazione e incarnazione di un significato"[11].

Ciascuna delle forme simboliche individua un determinato modo in cui un aspetto specifico del reale si costituisce e il simbolo viene a svolgere la funzione di medium per le operazioni trascendentali che presiedono al processo di oggettivazione. Riflettendo su questo punto del trascendentalismo di Cassirer, Habermas ha osservato che "l'oggetto fenomenico non viene pi immediatamente costituito con le categorie dell'intuizione e dell'intelletto, bens attraverso un'operazione trascendentale riconoscibile nella sfera della sensibilit stessa: con la creazione dei simboli ordinati sistematicamente, conferenti oggettivit alle impressioni sensoriali. L'intelletto non pu compiere da solo la sintesi dei fenomeni; ci vogliono i simboli per far s che, nel dato, traspaia la traccia di un non-dato. Al soggetto conoscente il dato di fatto intramondano presente solo nella misura in cui trae da se stesso forme capaci di rappresentare una realt inaccessibile alla intuizione sensibile. in quanto rappresentata che la realt diventa fenomeno. La rappresentazione la funzione fondamentale della coscienza trascendentale; e la sua opera non decifrabile che indirettamente, in base alle relazioni grammaticali delle forme simboliche. La Filosofia delle forme simboliche, nella quale si risolve la critica della ragion pura, intende tutto ci nel senso di un'analisi logica del linguaggio impostata in maniera trascendentale"[12].

2. L'impianto fenomenologico Cassirer procede nell'analisi delle forme simboliche non per una via sistematica, bens tracciandone una fenomenologia. L'impianto fenomenologico - nel senso di Hegel - a cui esplicitamente Cassirer fa riferimento [13], costituisce il presupposto fondamentale della conoscenza filosofica che voglia porsi di fronte al "corso dello spirito oggettivo per ricreare l'energia dello sviluppo della civilt e scolpirne le forme agli occhi di uno spettatore che abbia una visione sinottica della filosofia, visione che capace di offrirci l'ontogenesi di ci che lo spirito oggettivo ha fatto per generazioni nel difficile lavoro filogenetico"[14]. Secondo Cassirer il significato metodologico della Fenomenologia dello spirito di Hegel racchiuso nell'idea che per abbracciare la totalit delle forme spirituali sia necessario cogliere il passaggio da una forma all'altra, che solo nello svolgimento del movimento del pensiero la verit progressivamente si mostri. "La riflessione filosofica non contrappone in questa maniera il fine all'inizio e a ci che sta in mezzo, ma li considera tutti e tre elementi integranti di un complesso movimento unitario. In questo principio fondamentale della trattazione la filosofia delle forme simboliche si trova d'accordo con l'impostazione hegeliana, sebbene nel giustificarlo e nello svolgerlo sia costretta a seguire altre vie. Anch'essa vuole offrire all'individuo la scala che lo conduca dalle formazioni primarie, quali si trovano nel mondo della 'coscienza immediata', al mondo della 'coscienza pura'. Di nessuno dei gradini di questa scala si pu fare a meno sub specie della riflessione filosofica"[15]. I limiti di questo studio impediscono di seguire tutto lo sviluppo di tale scala; ci che pu essere utile fare di enucleare il momento in cui ciascuna forma raggiunge la verit: cio il momento della concettualizzazione in cui ciascuna forma conclude il proprio processo di oggettivazione, o, per meglio dire, nella comparazione dei modi di formazione del concetto, che si afferma il carattere simbolico, e perci unitario, di tutte le costruzioni spirituali.

3. Linguaggio e mito Le lunghe analisi che Cassirer conduce nel mondo del mito e delle forme linguistiche lo portano a concludere che linguaggio e mito sottostanno a medesime o analoghe leggi spirituali di sviluppo, la comprensione delle quali si pu raggiungere solo dopo che si sia dimostrata la radice comune dalla quale provengono entrambe: questa radice il pensiero metaforico. Per metafora Cassirer intende "il consapevole surrogato alla designazione di un certo contenuto rappresentativo mediante il nome di un altro contenuto, il quale in qualche tratto simile al primo, oppure presenta certe mediate 'analogie' con esso"[16].

I due contenuti, di cui la metafora costituisce il tramite, stanno fissi come significati in s determinati e indipendenti, e tra essi ha luogo il movimento della rappresentazione che porta alla sostituzione dell'uno all'altro nel momento dell'espressione. La maniera in cui il processo rappresentativo, di cui la metafora espressione, si attua costituisce i perno della connessione tra linguaggio e mito, perch formazione linguistica e formazione mitico-religiosa hanno alla loro radice la stessa forza spirituale di formazione, che Cassirer chiama "intensificazione dell'intuizione sensibile". La specifica natura di questa forza spirituale rilevabile nelle modalit con cui agisce nella formazione dei concetti linguistico-mitici. L'intuizione, in questi concetti, si concentra, per cos dire, in un unico punto della realt, si restringe, acquistando di penetrazione, per focalizzare il "significato" che la pienezza dell'intuizione immediata fa scaturire. Mentre nello spazio concettuale della logica domina una luce uniforme, diffusa, lo spazio intuitivo del mito e del linguaggio raffigurabile come una successione di luoghi dai quali promana un'intensa energia luminosa - i punti focali del significato - e di luoghi avvolti nella penombre. Per i concetti mitici e linguistici i rapporti di estensione e quelli quantitativi non hanno importanza, ci che conta l'intensit e la qualit; la parte e il tutto si correlano in un rapporto di equivalenza per cui non gi la parte rappresenta soltanto il tutto e l'individuo soltanto il genere, ma essi sono l'una e l'altra cosa insieme. Il principio che sta alla base tanto della metafora linguistica quanto di quella mitica il principio della pars pro toto. Parlando del pensiero magico, che, come quello linguistico e mitico, pensiero metaforico, Cassirer scrive: "Tutto quanto il pensiero magico, come ben si sa, dominato e pervaso da questo principio. Chi si impadronito di una qualche parte del tutto, ha con ci ottenuto il potere, in senso magico, sopra il tutto: quale importanza abbia questa parte per la struttura e la connessione del tutto, quale 'funzione' adempia in esso qui relativamente indifferente"[17]. Tutto ci dimostra la contrapposizione tra la formazione concettuale discorsiva e la formazione dei concetti linguistico-mitici. La filosofia che si occupa di queste ultime forme spirituali resta in une regione intermedia "della semplice mediatezza" e sempre pi sembra perdere l'unit assoluta dell'essere perch si riferisce ad un'esperienza esterna del mondo che resta legata ad un processo di un oggettivazione in cui la mediazione simbolica coglie solo singolarmente la varia molteplicit dei simboli. Un problema diverso, anche se fa parte della tematica sulla struttura dei concetti conoscitivi quello riguardante al forma dei concetti storici. La distinzione fatta dal necriticismo storicistico tra i concetti generalizzanti della scienze naturali e quelli individualizzanti delle scienze storiche, per Cassirer e insufficiente. vero infatti che la individualizzazione storica indaga il "qui" e "l'ora" per affermarli e conoscerli in quanto tali, mentre le scienze della natura li assumono come semplici casi particolari di una legge generale; per la conoscenza della particolarit dei fatti concreti costituisce soltanto la materia della scienza storica. Perch i fatti particolari acquistino un senso necessario che la forma specifica del sapere storico li connetta tra loro; essi devono "essere veduti sub specie della storia, stare come membri di un determinato svolgimento o di un determinato nesso teleologico.[...] Ogni considerazione storica deve spingersi a questi punti pregnanti dello svolgimento, nei quali si congiungono, come punti focali, le intere serie degli avvenimenti. [...] Allorch dal fiume uniforme del tempo emergono momenti determinanti, che entrano in relazione reciproca e si congiungono in serie, con ci si fanno chiari l'inizio e il fine dell'accadere, il suo 'donde' e il suo 'dove'. Anche il concetto storico dunque caratterizzato da ci, che qui in un solo tratto si stabiliscono mille connessioni; e non tanto nell'intuizione del singolo, quanto piuttosto nella considerazione di quelle connessioni che costituiscono ci che noi chiamiamo lo specifico 'senso' storico dei fenomeni, la loro portata storica" [18]. Ritornando alla questione della forma simbolica della conoscenza umana in generale, Cassirer affronta la questione capitale relativa alla possibilit del pensiero di oltrepassare il piano del simbolo per cogliere la realt in esso contenuta. Per condurre questa ricerca occorre analizzare l'esperienza interna del soggetto, "non cercare il vero immediato nelle cose esteriori, ma cercare in noi stessi. Non gi la natura come il complesso degli oggetti nello spazio e nel tempo, bens il nostro proprio io, non gi il mondo delle cose, bens il mondo della nostra esistenza"[19]. La questione che qui viene posta investe il rapporto tra la psicologia e la teoria della conoscenza, ovvero il rapporto tra le tre originarie fonti della conoscenza sulle quali, secondo la Critica della ragion pura, si fonda in generale la possibilit dell'esperienza: senso, immaginazione e intelletto. La chiarificazione della struttura della conoscenza percettiva e della conoscenza intuitiva possibile, per Cassirer, se si evitano i

fraintendimenti delle posizioni "della psicologia intesa come scienza naturale e fondata su interpretazioni causali, o del metodo della pura descrizione come tale" [20]. Nella scuola neokantiana fu Natorp a eliminare questi fraintendimenti psicologistici e ad affermare che l'oggetto della psicologia non un fenomeno, ma semplicemente il puro fatto dello stesso apparire. Essa non ha a che fare con un essere gi determinato, ma ricerca "ci che forma il presupposto e il fondamento di ogni siffatta determinazione"; tale principio e fondamento la coscienza stessa, intesa come "pura potenzialit per tutte le formazioni oggettive" [21]. "In tal modo - scrive Natorp - diventa assolutamente impossibile inserire sia la coscienza nella natura, come avviene in Aristotele, sia, come fa la massima parte degli psicologi moderni, trattare la coscienza con gli stessi mezzi di pensiero che servono per la natura e presentarla quindi come un'altra natura, ancorch la si consideri come posta accanto alla natura e magari come tale da comprendere in s la natura. Come secondo universo rispetto a quello della conoscenza teoretica in senso kantiano si trova ora il mondo morale e come terzo il mondo dell'arte; vi forse ancora, come mondo trascendente rispetto a questo, il mondo della religione. Ma il mondo interiore della coscienza non si lascia in alcun modo sovraordinare, coordinare o subordinare logicamente a questi quattro mondi; anzi rispetto ad essi, rispetto all'oggettivazione di ogni specie o grado, rappresenta per cos dire l'opposto, rappresenta il proprio volgersi verso l'interno, cio l'ultima concentrazione di essi tutti nella coscienza vivente. Questa concentrazione ci che il concetto di psichico come di coscienza, conformemente a tutto il suo significato concreto, non deve semplicemente riconoscere come dato in precedenza, ma deve anzitutto stabilire e sviluppare" [22]. Tutto questo era gi stato precorso dalla Critica della ragion pura, laddove si dice che l'appercezione trascendentale condizione della possibilit della percezione. L'unit sintetica dell'appercezione deve accompagnare ogni rappresentazione, sia essa sensibile o intellettuale in quell'atto di spontaneit per cui le rappresentazioni riferite ad un oggetto si riuniscono in una coscienza. Il complesso delle regole secondo le quali la spontaneit della connessione si compie raccolto nella prima critica kantiana sotto il concetto di intelletto. L'intelletto - scrive Cassirer - la semplice espressione trascendentale per indicare il fenomeno fondamentale per cui ogni percezione, come percezione cosciente, deve sempre e di necessit essere percezione formata. La percezione non potrebbe essere pensata n come appartenente all'io, n riferirsi oggettivamente a qualcosa, a un oggetto percepito, se queste due specie di relazioni non fossero soggette a leggi universali e necessarie; soltanto queste leggi conferiscono alla percezione tanto il suo significato 'soggettivo' come il suo significato 'oggettivo', la liberano dalla sua singolarit e le danno il suo posto nel tutto della coscienza e dell'esperienza oggettiva" [23]. Che, del resto, gli elementi che fanno parte dei processi psicologici stabiliscano tra loro connessioni un fatto da tutti ammesso, ma resta da chiarire che cosa rende possibile che le connessioni vengano poste. Cassirer ritiene che la questione sia risolubile solo riaffermando, anche in campo psicologico, "il primato della relazione", ovverosia una concezione che conferma la natura formale della psicologia, in base alla quale ogni percezione momentanea rimane insignificante se non correlata in un quadro di comprensibilit, tale da determinarne il suo significato oggettivo. "Noi cerchiamo di esprimere questo reciproco determinarsi, introducendo per esso il concetto e il termine di 'frequenza simbolica'. Per 'frequenza simbolica' si deve quindi intendere la maniera in cui l'esperienza vissuta della percezione, in quanto esperienza di 'senso', racchiude in s un determinato 'senso' non intuitivo, e immediatamente lo esprime in modo concreto. Si tratta qui non di semplici dati percettivi in cui si siano successivamente innestati certi atti appercettivi. [...] E' invece la percezione stessa, in virt della propria struttura immanente, che acquista una specie di articolazione spirituale, la quale, in quanto in se stessa ordinata, appartiene anche a un determinato ordine di significato. [...] Il processo simbolico mostra da un lato come l'analisi della coscienza non possa mai ricondurre a elementi 'assoluti', giacch la relazione, il puro rapporto ci che domina la struttura della coscienza e che si manifesta in essa come l'autentico a priori, come l'elemento essenziale primo. [...] Non vi alcuna percezione cosciente che sia semplicemente 'data' e che come tale sostenga interamente la sua parte; ogni percezione ha invece in s un determinato 'carattere di tendenza', per mezzo del quale rinvia al di l dello hic et nunc" [24].

4. La conoscenza scientifica La via della soggettivit ci ha cos ricondotto all'interno del regno dei simboli e del pensiero rappresentativo. La fenomenologia della conoscenza, esaurita una ulteriore figura della struttura dello spirito, pronta a occuparsi del mondo oggettivo della scienza, in tal modo portando a compimento il programma della Filosofia delle forme simboliche. Ch solo nella funzione significativa che sta a base della struttura della conoscenza scientifica si pu cogliere il momento conclusivo dell'intero processo della creazione spirituale. Poich "il concetto, in ogni particolare livello della cultura, esprime i significati e fissa le relazioni peculiari a quel particolare livello con un sufficiente grado di necessit logica e ne garantisce la loro validit oggettiva" [25], i concetti matematici e scientifici rappresentano il momento in cui il processo di oggettivazione raggiunge la sua massima rigorosit, determinatezza, universalit e necessit, essendosi liberato dalle connessioni con la sensibilit, presente nei livelli inferiori, per giungere il "pensiero puro"[26]. La forma teoretica del pensiero puro, nel regno del concetto naturale del mondo, analizzato sin qui, si venuta chiarendo nel suo prodotto, nei contenuti oggettivi dell'intuizione. Ma i princpi della formazione teoretica non sono stati isolati e determinati in s. "Il pensiero, formando una determinata immagine della realt, esprimendola per cos dire da se stesso, rimaneva d'altro lato legato proprio a questa immagine derivata dal suo proprio fondo. Il suo sapere di se stesso non pu essere da lui ottenuto altrimenti che in virt di questo mezzo, con la mediazione di un sapere oggettivo" [27]. Il processo conoscitivo, a questo livello, si rivolge alla singola formazione per renderla direttamente rappresentabile sotto il profilo intuitivo. Lo sviluppo dello spirito esige che si compia un processo di smaterializzazione e di liberazione, la cui meta la costituita dall'universale che si pu manifestare nell'esempio singolo, ma che non esaurisce mai nessun contenuto[28]. Lo strumento conoscitivo di cui il pensiero puro si serve per questa operazione il concetto scientifico[29]. Il compito primo del concetto scientifico quello si "stabilire una regola di determinazione, la quale debba trovare conferma nell'intuizione e realizzarsi nel campo dell'intuizione"[30]. Ma proprio perch questa regola vale per il mondo dell'intuizione, non appartiene pi a quel mondo. Essa significa qualcosa di speciale e di diverso, nel senso che, a differenza delle forme della visione naturale del mondo, non solo elabora formalmente la realt, ma si riconosce come funzione universale del pensiero, andando in tal modo ben al di l del semplice "venir posta per"; infatti proprio in questo riconoscimento - che un autoriconoscimento - che consiste il presupposto della conoscenza teoretica del mondo. A questo livello la conoscenza scioglie i rapporti con la realt concreta e individualmente determinata delle cose, per "rappresentarli come tali nella universalit della loro 'forma', nel loro carattere di relazione"[31]. Il concetto scientifico instaura un tipo nuovo di rapporto, che Cassirer chiama "critico", nel senso che alla relazione concetto-intuizione si sostituisce un'attivit specifica e indipendente del pensiero, la quale si sviluppa secondo norme e criteri che si trovano nel pensiero stesso. Questa attivit costruisce in piena autonomia il mondo dei simboli, "abbozza costruttivamente gli schemi con cui e su cui orienta la totalit del mondo. Certo neppure questi schemi possono rimanere nel vuoto del puro pensiero astratto. Abbisognano di un punto di arresto e di sostegno, ma non l'assumono pi semplicemente dal mondo empirico delle cose, se li creano invece essi stessi"[32]. La determinazione logica, in cui la funzione conoscitiva si inquadra, non costituisce un nuovo modo di rapportare il pensiero con le cose in quanto gi a livello di conoscenza intuitiva si visto che questo rapporto non mai immediato, ma possibile solo in virt di specifiche forme connettive. La novit del concetto logico-scientifico risiede nel fatto che in esso il pensiero non guarda pi ad un realt esterna, ma si rivolge a se stesso, non opera secondo forme gi costruite, ma le crea. A Cassirer preme notare che non c' una frattura fra i vari livelli del sapere: la conoscenza scientifica completa la struttura delle formazioni simboliche, raggiungendo la consapevolezza del pensiero puro. "Sia che innalziamo ai suoi gradi pi alti, sia che scendiamo ai suoi gradini pi bassi, sia che indaghiamo l'intuizione o il pensiero puro, la formazione dei concetti nel campo del linguaggio o nel campo logico-matematico, troviamo sempre quell'unit nella molteplicit che si presenta e si esprime, con qualcosa di identico quanto al suo senso, nei gradi pi diversi della conoscenza. E questa superiore unit in tutti i casi non tanto l'unit del genere, sotto cui la specie e gli

individui vengono assunti, quanto piuttosto l'unit del rapporto, in virt del quale un molteplice si determina come internamente collegato"[33].

5. Rappresentazione e cosa in s Questo rapporto, su cui il concetto deve essere fondato, rimane tale qualunque sia il mondo concettuale in cui si muove: il contenuto pensato non tocca e non cambia la forma pura del pensiero. In tale prospettiva il rapporto tra concetto e oggetto diventa il momento in cui concretamente la funzione produttiva e costruttiva del concetto si manifesta. Dopo la rivoluzione copernicana non si tratta pi di rispecchiare analiticamente l'unit sostanziale della cosa, bens solo in virt di una possibile unit sintetica pensata in precedenza si pu rappresentare l'unit analitica. Al problema del "carattere dell'oggetto" si sostituisce il problema del "valore oggettivo". Da questa acquisizione della critica kantiana Cassirer ricava quello che chiama "il rapporto puramente ideale di condizionamento", secondo il quale si definisce la funzione concettuale nell'essere essa la condizione necessaria all'esistenza dell'oggetto. Superato ogni dualismo sostanzialistico che ponga un rapporto di tipo ontico-reale, concetto e oggetto costituiscono la relazione simbolica nella quale si raggiunge l'oggettivit. All'interno del processo oggettivante l'oggetto della conoscenza acquista il suo esatto significato solo se e in quanto viene riferito ad una determinata funzione della conoscenza e in tal modo entra in connessione sistematica con gli altri contenuti di quella. La conoscenza, creando per s questi oggetti, si completamente staccata da quello che Kant chiamerebbe il piano della sensibilit, per costituire il puro regno della significazione simbolica, la quale esclude in modo assoluto, per Cassirer, un qualsiasi rapporto causale tra il significante e il significato. La categoria del significato, a cui Cassirer fa ricorso per spiegare il rapporto della rappresentazione con il suo oggetto, mostra la non identit della rappresentazione con l'oggetto rappresentato. "Ogni singolo fenomeno rappresenta la cosa senza mai potere, in quanto singolo, coincidere con essa. In questo senso anche per l'idealismo critico vale il principio secondo cui il semplice fenomeno rinvia necessariamente al di l do se stesso ed fenomeno di qualche cosa"[34]. Fenomeno e cosa, presi in se stessi, non hanno nessun significato, e siccome solo il mondo dei significati per la coscienza, essi hanno senso, ovvero sono, soltanto nel loro rapporto. "Sebbene la rappresentazione e la cosa rappresentata non siano affatto identiche, questa ha un senso comprensibile solo in relazione a quella e quella in relazione a questa. La funzione vale per i singoli valori appunto per il fatto che nessun valore , e d'altro lato i singoli valori sono solo in quanto si trovano fra loro nella relazione espressa mediante la funzione. L'elemento singolo e staccato sussiste solo in rapporto al nesso che esso possiede in una qualche forma dell'universale, sia questo inteso come universalit del concetto o come universalit dell'oggetto; e similmente l'universale si pu manifestare solo nel particolare e pu confermare e dimostrare la propria validit solo come ordine e regola per il particolare"[35]. L'inesauribilit delle rappresentazioni per l'oggetto singolo rimanda alla totalit dei rapporti funzionali dell'oggettivit, per cui il "residuo noumenico" viene rappresentato dalle possibilit ulteriori, che la scienza possiede, di aggiungere altre determinazioni oggettivanti per il fenomeno. La "cosa in s" per Cassirer, come per Cohen e Natorp, la scienza che si costituisce nelle leggi di determinabilit. Il mezzo di questa determinabilit il sistema dei segni costruiti per l'uso scientifico, ossia le forme simboliche della conoscenza discorsiva; esse, come forme dell'oggettivazione, sono il solo "medium" dell'operazione cognitiva datrice di senso: la correlazione particolare-universale. Per, dal momento che l'oggetto solo in quanto correlazione, fuori dalla quale nulla significa alcunch, la mediazione avviene tra termini che gi devono essere mediati, nel senso che essi sono, e non possono non essere, rappresentazioni simboliche. Queste ultime esauriscono in se stesse l'intera funzione significativa senza dar luogo al problema del riscontro con il rappresentato: dietro al simbolo c' il simbolo.

6. Matematica e fisica I riferimenti di Cassirer alla struttura della matematica sono la conferma si questo carattere puramente ideale del rapporto cognitivo. "La caratteristica veramente decisiva dell'oggetto della matematica si riassume [...] nell'unico concetto fondamentale di ordine. In Leibniz questo processo di pensiero compiuto e al tempo stesso affermata l'esigenza che all'ordine dell'oggetto pensato corrisponde un ordine esattamente determinato dei segni. [...] Ogni singola operazione del pensiero deve essere esprimibile mediante una analoga operazione nei segni ed essere controllabile mediante le regole generali che sono state stabilite per la connessione dei segni. Con questo postulato stato raggiunto il punto di vista della moderna mathesis universalis. In questa, per quanto essa esiga una completa formalizzazione dell'intero processo matematico del pensiero, non si rinuncia affatto al 'riferimento all'oggetto': ma gli oggetti stessi non sono pi 'cose' concrete, ma sono pure forme di relazione"[36]. I pensiero, passando dal campo degli oggetti matematici e quello degli oggetti fisici, non abbandona la sua propria forma, tuttavia ha da affrontare il problema che gli si para davanti per la presenza del "dato" , che sembra avere un'origine del tutto eterogenea al pensiero, a cui pare che sia presentato dalla percezione come qualcosa di esterno. Si impone allora l'esigenza di considerare il dato come se non fosse estraneo al pensiero, ma fosse prodotto dal pensiero stesso, in virt delle sue condizioni costitutive [37]. Operativamente il pensiero scientifico postula la conversione della forma della molteplicit di fatto nella forma della molteplicit concettuale e percorre la serie dei "dati" cogliendo le regole del passaggio da un termine all'altro. In tal modo il "dato" non sussiste pi in s, ma solo si costituisce attraverso quelle regole simboliche che fanno del "dato" un oggetto. La realizzazione del processo di oggettivazione viene definendosi attraverso il concorso di tre elementi: 1) l'oggetto, che vi concorre come termine ad quem; 2) il concetto, che il momento costruttivo di questo termine; 3) il giudizio, che di quel processo la proposizione generale normativa [38]. Il processo di oggettivazione inesauribile, perch trova il proprio limite ideale nelle teorie scientifiche costantemente in mutamento, e nello stesso tempo portatore di unit perch all'interno di quel limite si precisa la determinazione oggettiva dell'esperienza. Nel momento in cui la fenomenologia della conoscenza raggiunge la consapevolezza di questo processo essa stessa conclude la rassegna della filosofia delle forme simboliche nella figura dell'autocoscienza del pensiero puro. La conoscenza concettuale non coglie pi i contenuti, ma le relazioni del pensiero; non analizza il prodotto della sua attivit, ma il corso e la direzione del produrre stesso. Al termine del suo cammino la Filosofia delle forme simboliche afferma il suo carattere trascendentale, anche se il processo di costruzione dell'oggetto teorizzato nelle forme simboliche appare dissimile da quello kantiano, nei confronti del quale il trascendentalismo di Cassirer presenta un significato assai diverso.

7. Trascendentalismo e idealismo Il processo di oggettivazione pone l'oggetto attraverso l'operazione trascendentale fatta scattare dalla funzione simbolica, senza la quale l'intelletto non in grado di compiere nessuna sintesi. Tutto il processo si compie tra forme: esse sono per lo spirito la realt, oltre la quale non ha senso andare. "Nella totalit delle sue prestazioni e nella conoscenza della regola specifica in base alla quale ogni forma del suo proprio agire determinata [...] lo spirito possiede l'intuizione di se stesso e della realt. Ma alla domanda che cosa possa essere l'assoluto reale al di fuori di questa totalit delle funzioni spirituali, [...] a questa domanda esso non ricever pi alcuna risposta, e questo perch a poco a poco impara a riconoscerla come un problema mal posto, come un'immagine ingannevole del pensiero" [39]. La struttura simbolica costituisce la condizione trascendentale affinch possa manifestarsi a dei soggetti un mondo un generale. Cassirer riesce in tal modo ad estendere l'a priori a tutte le attivit dello spirito; ma la costitutivit delle forme spirituali, che non richiedono alcun riscontro con qualcosa di esterno determinandosi sufficientemente nelle loro relazioni interne, delinea un concetto di sintesi a priori diverso da quelli kantiano. La sintesi in Cassirer fondamentalmente logico-linguistica e, nel momento in cui si costituisce, pone esse

stessa il materiale sul quale esercita la funzione di relazione, senza richiedere che qualcosa le sia "dato". L'esclusione della categoria della "datit" rappresenta la conclusione dello svolgimento della gnoseologia del neocriticismo della Scuola di Marburgo, di cui Cassirer ultimo e ragguardevole esponente; ma tale esclusione allontana questa concezione dalla tesi originaria di Kant, che aveva sempre mantenuto, seppure in forma problematica, l'esigenza del realismo empirico. Il progressivo dissolvimento di questa esigenza e l'affermarsi di problemi legate ai temi della civilt, della vita, dello spirito, attestano l'influenza di tematiche idealistiche nella Filosofia delle forme simboliche. Nell'ultimo Cassirer l'analisi trascendentale della possibilit del conoscere viene compiuta sotto una prospettiva che, ricercando dietro l'attivit formatrice l'unit dell'essenza stessa dello spirito, si pone al di l della problematica del criticismo, in un terreno che ha punti di contatto con l'idealismo [40]. Le parole conclusive dell'Introduzione alla Filosofia delle forme simboliche delineano questo punto di vista. "Se tutta la civilt si dimostra attiva nella creazione di determinati mondi di immagini, di determinate forme simboliche, lo scopo della filosofia non consiste nel ritornare al di qua di tutte queste creazioni, ma invece nel comprenderle e renderle coscienti nel loro fondamentale principio creativo. Solo in questa consapevolezza il contenuto della vita si eleva alla sua forma autentica. La vita emerge dalla sfera della mera esistenza data da natura: essa non rimane n un elemento di questa esistenza, n un processo meramente biologico, ma si trasforma e si perfezione divenendo forma dello spirito. [...] Se la filosofia della civilt riuscir a far propri e a rendere evidenti tali tratti fondamentali, essa avr assolto in senso del tutto nuovo il suo compito di dimostrare, di fronte alla molteplicit delle manifestazioni dello spirito, l'unit della sua essenza, e infatti quest'ultima si dimostra nella maniera pi evidente nel fatto che la verit dei suoi prodotti non pregiudica in alcun modo l'unit del suo produrre, ma invece la dimostra e la conferma per la prima volta" [41].

Simboli Ci che si chiama simbolo un termine, un nome, o anche una rappresentazione che pu essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede caratteristiche specifiche oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso contiene qualcosa di vago, di sconosciuto ed inaccessibile per noi. Un immagine simbolica quando implica qualcosa che sia al di l del suo significato ovvio ed immediato. Essa possiede un aspetto pi ampio "inconscio" che non mai definito con precisione o completamente spiegato. Ne si pu tentare di definirlo o di spiegarlo. Perch "parla" per sensazioni, direttamente alla mente dello spettatore, anche a chi "non lo sa ascoltare". Immancabile in una enciclopedia dei simboli, una categoria dei simboli nelle arti figurative, per la grande importanza ed il grande ruolo che hanno avuto ed hanno le immagini-simbolo o meglio l'arte dei simboli; nel tempo gran parte di queste icone sono passate attraveso l'arte,tramite artisti pi o meno consapevoli dell'uso dei simboli. Vorrei quindi distinguere ora la differenza che c' tra segno e simbolo, che sono entrambe immagini visive con un significato che non viene rivelato direttamente. Il segno sempre qualcosa di meno rispetto al concetto da esso rappresentato, mentre il simbolo rappresenta qualcosa che st al di l del suo significato ovvio e immadiato, inoltre i simboli sono prodotti naturali e spontanei.Nessuno ha mai preso la penna o il pennello dicendo: "ora invento un simbolo". Nessuno pu scegliere un pensiero razionale, raggiunto con la logica o per intenzione e dargli una forma "simbolica".Essa rimarr sempre un segno, legato al pensiero cosciente da cui deriva e non sar mai un simbolo suggestivo di qualcosa non ancora conosciuto. Esistono alcuni simboli che turbano fin quando non li abbiamo capiti e subito dopo ci annoiano: essi sono frutto di un ragionamento razionale. Il loro "oracolo" un luogo comune mascherato. Ma un grande simbolo esattamente il contrario, vive con maggior pienezza quando il suo enigma stato sciolto, come ad esempio nel dipinto:"La Primavera" del Botticelli o nel quadro:"La Tempesta" del Giorgione. Altra cosa molto importante la nostra costante necessit di queste immagini simboliche legate indissolubilmente alle leggi che muovono l'universo e l'uomo; come in antichit gli astri o le calamit

naturali. Servono quindi a comprendere meglio concetti troppo ampi per essere spiegati diversamente e dimostrano il bisogno dell'uomo di dare forma ai propri pensieri, costruendoli, dipingendoli, divulgandoli...in molte maniere diverse. Riflettendo, mi sono resa conto che l'uomo non percepisce o comprende mai nulla completamente.Egli pu vedere, udire, toccare e gustare, ma ci che vede e ci che sente come pure ci che egli conosce attraverso il tatto ed il gusto dipende dal numero e dalla qualit dei suoi sensi. Per esempio, egli pu guardare pi lontano, utilizzando un binocolo o aumentare il suo udito con amplificatori elettrici; tuttavia anche le pi sofisticate invenzioni non possono far pi che rendere visibili oggetti distanti o di piccole dimensioni o rendere udibili suoni pi deboli. A prescindere dagli strumenti da lui usati, a un certo punto l'uomo raggiunge un limite di certezza attraverso il quale la sua conoscenza non pu procedere. Quando ci troviamo ad osservare un simbolo la nostra mente viene trasportata a contatto con idee che stanno al di l delle capacit razionali. Ad esempio: una ruota pu condurreni nostri pensieri al concetto di un sole "divino" ma a questo punto la ragione deve ammettere la propria incompetenza: non siamo capaci di definire un concetto come quello di un essere divino. Poich ci sono innumerevoli cose che superano l'orizzonte della comprensione umana, gli artisti e le persone tutte hanno ricorso costantemente all'uso di immagini simboliche per rappresentare concetti che ci impossibile definire o comprendere completamente. Questa una delle ragioni per cui tutte le religioni e le arti impiegano un linguaggio simbolico delle immagini.

Simbolismo religioso

simboli di alcune religioni

Con l'espressione simbolismo religioso si indica l'insieme di segni che, per astrazione, rappresentano e mettono in particolare evidenza aspetti importanti delle religioni. Nella religione cristiana la croce un simbolo di Ges Cristo, la mezzaluna rappresenta l'Islam, nella religione ebraica la stella a sei punte fa riferimento a Davide e pi in generale a tutta la religione ebraica, mentre il lingam induista richiama Shiva e la fertilit maschile.

Definizione e funzione del simbolismo[1] [modifica]


Duomo di Milano, deambulatorio dell'abside. Lapide con copia moderna del Crismon Sancti Ambrosii

Se come sostiene Ren Alleau una societ senza simboli non pu evitare di cadere al livello delle societ infraumane, poich la funzione simbolica un modo di relazione tra lumano ed il sovraumano[2], altrettanto vero che sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego, da sempre, gli uomini, sia gli studiosi sia luomo della strada, si accapigliano e si dividono. Tale atteggiamento spesso dovuto al fatto che troppo spesso si assiste a tentativi di trovare significato ai simboli, mentre un simbolo non significa: evoca e focalizza, riunisce e concentra, in modo analogicamente polivalente, una molteplicit di sensi che non si riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto[3]. Allinterno del medesimo simbolo vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono affatto reciprocamente, sono anzi perfettamente concordanti tra loro, perch in realt esprimono le applicazioni di uno stesso principio a ordini

diversi; ed in tal modo si completano e si corroborano, integrandosi nellarmonia della sintesi totale[4]. proprio questo che rende il simbolismo un linguaggio molto meno limitato del linguaggio comune ed adatto per lespressione e la comunicazione di certe verit, facendone il linguaggio iniziatico per eccellenza ed il veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale[5].

Caratteristiche ed importanza del simbolismo religioso [modifica]


I simboli religiosi non sono la realt che rappresentano ma, pur non essendolo, la richiamano immediatamente. Inoltre hanno il grande vantaggio di essere immediati, semplici e universali. In particolare sono indipendenti dalla lingua e dall'appartenenza ad un popolo.[senza fonte] I simboli numerici sono assolutamente universali, semplici e immediati. Infatti i numeri sono un elemento conosciuto da tutta l'umanit e sciolto da qualsiasi appartenenza locale o nazionale. Il simbolismo religioso, per le sue caratteristiche di semplicit, immediatezza ed universalit, facilita la comprensione e la diffusione di concetti-chiave delle rispettive religioni in vasti strati della popolazione. Le immagini sacre (quadri, affreschi, statue,...) sono altrettanti simboli che aiutano la preghiera e rafforzano la devozione. Diventa questo l'uso pi tipico del simbolismo religioso e come tale stato ampiamente diffuso e utilizzato ad esempio dalla Chiesa cattolica e dalle tradizioni devozionali della bhakti.

Simbolismo nell'induismo [modifica]


L'induismo una religione con un simbolismo fortemente formalizzato e codificato. Posture del corpo, i gesti delle mani (mudra), acconciature, oggetti, vestiario, ornamenti, personaggi e figure di contorno dell'arte cultuale sono codificati secondo un preciso simbolismo.

Uno yantra

Il linguaggio simbolico, in grado di rendere visibili i miti e le storie contenute nei Veda immediatamente comprensibile in tutto il subcontinente indiano. Le murti ed in generale le sculture che raffigurano gli dei (nella sola Benares, con i suoi 2000 templi, se ne contano pi di mezzo milione) sono ben distinguibili l'una dall'altra proprio grazie a questo codice condiviso e ben conosciuto. [6] Le immagini degli dei non devono essere confuse con gli stessi dei, ma rispecchiano l'idea astratta del Dio, che si rivolge al devoto e rivela la divinit. Le sculture ed i simboli sacri possono avere un carattere naturalistico, imitando cio quello che intendono rappresentare (vyakta) in modo concreto (rpa) o avere un carattere puramente simbolico (avyakta) e astratto (skma).

La pratica religiosa quotidiana fortemente ritualizzata e basata sull'uso di simboli che riproducono dei o concetti religiosi complessi. Di seguito un elenco di alcuni simboli dell'induismo:

Aum, il suono primordiale, la celeberrima sillaba sacra, presente nei mantra ed utilizzato in tutte le adorazioni

Il Tridente di Shiva

Gli yantra, complesse forme geometriche mistiche che aiutano la meditazione e avvicinano il devoto alla divinit venerata, segnalando o contraddistinguendo un luogo di culto. Disegnare uno yantra equivale ad evocare la divinit. Il lingam, simbolo fallico che rappresenta Shiva

Lingam a Varanasi

La yoni, la vagina, simbolo che rappresenta la potenza femminile e la capacit di creare Il trishula, il tridente simbolo di Shiva Il Sudarshana Chakra, il disco utilizzato da Vishnu come arma Il fiore di loto, simbolo di purezza e bellezza La conchiglia, che, proveniendo dall'acqua e con la forma spirale rappresenta l'origine dell'esistenza. e viene suonata prima dell'adorazione La svastica, simbolo solare Le impronte dei piedi (pada), simbolo del maestro spirituale o del dio Il tilaka un simbolo posto sulla fronte dei fedeli, per evidenziarne l'appartenenza alle differenti correnti dell'induismo. Allo stesso modo il filo sacro dei brahmana, alcuni abiti, il bastone (danda) dei guru e dei sannyasa, le acconciature e i gioielli, i colori (come ad es. il color zafferano) contraddistinguono l'appartenenza ad un particolare gruppo religioso

Simbolismo cristiano nella Bibbia [modifica]

Il simbolismo religioso molto presente nella Bibbia. Gli innumerevoli simboli che vi compaiono possono essere cos catalogati:

Simboli antropologici: sono quei simboli che si rifanno direttamente all'uomo. Esempi: il cuore per indicare l'anima umana; il dito di Dio per indicare lo Spirito Santo, il pastore per indicare Ges Cristo. Simboli animali: sono quei simboli presi dal mondo degli animali. Esempi: l'agnello (Cristo), le pecore (le anime), il leone (Cristo nel suo potere), ... Simboli cosmici: sono quei simboli che usano elementi del cosmo per parlare di Dio e delle realt spirituali. Esempi: il vento (lo Spirito Santo), il fuoco (lo Spirito Santo), il cielo (il Paradiso),... Simboli numerici (vedi simbolismo numerico): sono quei simboli che attribuiscono ad alcuni numeri particolari significati. Esempi: il numero 7 indica la perfezione, il numero 666 indica le forze del male.

Altri simboli cristiani [modifica]

il pesce un tipico simbolo di Ges Cristo

Oltre a quelli derivati dalla Bibbia, nel cristianesimo hanno assunto importanza altri simboli:

Il pesce divenuto simbolo di Cristo per via delle sue lettere greche (: esous Christs heou Hyios Soter, "Ges Cristo Figlio di Dio Salvatore"). Il monogramma di Cristo composto dalle lettere greche 'chi' () e 'rho' () iniziali del nome greco di Cristo Sarebbe stato introdotto da Costantino I in occasione della battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio. Il monogramma composto dalle lettere latine IHS (spesso con la H sormontata da una croce) o IHC, deriverebbe anch'esso dal nome di Ges in greco o da "Jesus Hominum Salvator" ed divenuto il monogramma dei Gesuiti. La nave vista come simbolo della Chiesa. (San Gregorio Magno fu uno dei primi ad usare questa simbologia). Il delfino. Legato al dio Apollo e divenuto simbolo del Salvatore (Ges Cristo) perch si pensava che i delfini potessero salvare i naufraghi.

Pi in generale l'arredo di una Chiesa, i paramenti usati, i colori liturgici assumono un grande valore simbolico.

Elenco di simboli suddivisi per religione [modifica]


Religione o filosofia Simbolo

Ayyavazhi

Fior di loto con fiamma

Ruota del Dharma Triratna Gankyil

Buddhismo

Croce latina Croce greca

Cristianesimo

Croce ortodossa

Cristogramma Pesce

Ebraismo

Stella di Davide

Fede Bah'

Stella a nove punte

Giainismo

Svastica

Induismo

Omkar (Aum)

Islam

Mezzaluna

Mani di Dio

Religioni Etniche, Paganesimo Neopaganesimo, Feticismo


Mjlner Pentagramma

Croce del sole

Shintoismo

Torii

Sikhismo

Khanda

Taoismo

Yin e Yang Faravahar

Zoroastrismo

Simbolismo numerico Con Simbolismo numerico si intende quando la mente umana usa il concetto di numero per indicare un'altra realt. Storicamente, accanto allo sviluppo del concetto di numero, si sviluppava pure una certa riflessione sul numero in quanto simbolo: 1 (il principio, l'indivisibile...), 2 (la coppia...), 3 (la perfezione, la stabilit...), 4 (i punti cardinali e dunque il cosmo...), ecc. Furono i greci in particolare ad elaborare una certa mistica del numero, cadendo in certi casi in una forma sterile di idolatria simbolica. Fu con gli ebrei che i numeri acquistarono una grande valenza religiosa. Simbolismo numerico nella Bibbia [modifica]

Il candelabro a sette braccia (Menorah) indica la perfezione di Dio La Bibbia usa moltissimo i numeri, oltre che per la quantit che indicano, anche in un senso simbolico. Questo uso simbolico dei numeri ci descrive delle qualit importanti di Dio oppure della realt umana. In particolare i libri della Bibbia di tipo apocalittico usano molto il simbolismo numerico. Ecco un elenco dei principali numeri usati in senso simbolico:

1: sta sovente ad indicare l'unicit di Dio. In mezzo a tanti popoli politeisti, il popolo ebraico afferma con forza l'unicit di Dio: cfr. Dt 6,4

3: enfasi 4: un simbolo cosmico. Ad esempio nell'Apocalisse sono presentati quattro personaggi che governano il mondo simili, rispettivamente, ad un leone, ad un vitello, ad un uomo e ad un'aquila: cfr Ap 4,6-8 6: inferiore a 7 di uno; indica imperfezione 7: indica la completezza, la perfezione. In riferimento al tempo indica l'eternit, in riferimento a Dio ne sottolinea l'eternit e la perfezione. Cos Dio crea il mondo in sette giorni: cfr Gn 1,1-2,4 12: partendo dalle Dodici trib di Israele, il numero 12 con i suoi multipli e derivati sta ad indicare la pienezza umana. Ges Cristo sceglie 12 apostoli: cfr Mc 3,13-15 e Lc 6,13 . Nell'Apocalisse 24 sono i vegliardi che attorniano il trono di Dio: cfr Ap 4,4 ; 144.000 sono i salvati (12x12x1000): cfr Ap 7,4

28: considerato a pari del sette un numero perfetto in quanto anch'esso somma dei sui divisori(1, 2, 4, 7, 14) 40: indica una misura di tempo spesa alla presenza di Dio. Il popolo ebraico trascorre 40 anni nel deserto prima di raggiungere la terra promessa: cfr Numeri 32,13 ; Ges trascorre 40 giorni nel deserto prima di iniziare la sua predicazione: cfr Matteo 4,2

666: numero descritto nell'Apocalisse 13,16-18 che ha dato adito a molte interpretazioni. Per approfondire si pu vedere la voce numero della bestia;

1000: particolarmente significativo il regno dei 1000 anni introdotto nel libro dell' Apocalisse: cfr Ap 20,4

Scienza del Simbolo


Myrdhin

Nellistituzione sociale in cui viviamo convivono diverse "anime dove la scienza dei simboli pu suscitare conflitto: la razional-illuministica, la storico-risorgimentale e lesoterica Pur rappresentando una caratteristica massonica, i simboli assumono molteplici valenze, spesso discordanti, che si riconoscono nell'una o nell'altra anima. Per i razional-illuministi sono reliquie storiche, per gli storico-risorgimentale orpelli decorativi per addobbarci il tempio in ricordo di tempi gloriosi e per gli esoteristi sono preziose ed arcane chiavi di segreti insegnamenti da riportare alla luce per chi subisce il fascino della Tradizione e dei Lumi.

Argomento da affrontare senza pregiudizi e con rispetto dell'opinione di ognuno, con la consapevolezza che, alla fine della via, potr trovarsi il Graal o il nulla.

1.1 Definizione di Simbolo


Quasi tutti i sistemi esoterici e le culture precedenti all'affermarsi del razionalismo illuministico (i cui esponenti, da Newton a Locke a Voltaire, non disdegnavano l'esoterismo) hanno fatto uso di immagini simboliche affermando che esse evocavano, velandole realt superiori che non possono essere descritte e comunicate attraverso gli usuali schemi razionali e verbali. Non il caso di dilungarsi, basti ricordare, a titolo d'esempio, (oltre alla pletora di simboli lasciatici in eredit dalle culture del Mediterraneo Greco/Romano/Arabo/Giudaico) i misteriosi Triskells, i graffiti "Cup and Ring" e gli Ogham dei Celti, i decorati tamburi rituali degli Sciamani Siberiani, l'Yggdrasil e le Rune della mitologia Scandinava o i tatuaggi rituali dei popoli tribali per convenire che l'uomo pre-illuminista ha spesso privilegiato la rappresentazione simbolica del mondo rispetto a quella descrittiva ed analitica, la visione mitica a quella storica. Bisogna precisare che per simbolo non dobbiamo limitarci ad intendere solo un segno grafico suggestivo, ma ogni forma di espressione metarazionale che, superando i lacci del linguaggio e della ragione, raggiunge lo spirito umano comunicando significati che la parola-razionale non riesce ad esprimere. Un suono, un profumo o un luogo possono essere simboli anche pi di un'immagine grafica. Pensate alla potenza evocativa di un pieno d'organo tra le arcate di una cattedrale gotica, al richiamo al passato del suono di un'arpa celtica, o di una cornamusa, l'odore salmastro di una brughiera, l'ebbrezza che provoca allo spirito il profumo dell'incenso o il suono dei mantra in un tempio Buddhista ecc... Si tratta di una forma di comunicazione metarazionale, che va oltre la mera parola, dove il simbolo, che non pu essere compiutamente spiegato e razionalizzato perch ogni tentativo porterebbe al suo svilimento e al suo annullamento, sottratto alla sua dimensione "magica" e a-razionale verrebbe schiacciato a forza in una dimensione "logica" (dalla radice greca - che rimanda tanto al concetto di parola quanto a quello di ragione) assumendo una forma che non gli appartiene. (come pretendere di obbligare un oggetto tridimensionale in uno spazio bidimensionale.) Il fatto che il simbolo sia una forma di comunicazione metarazionale e metaverbale non significa che non possa essere costituito da una parola o composto di parole. La parola pu avere una triplice valenza simbolica: suono (mantra), immagine grafica (Ogham) e immagine evocata (formula rituale). Parola intesa non come parte di un discorso razionale, ma "magica", quel segno grafico, quel suono o pluralit di suoni che pur essendo comunemente usati nel linguaggio scritto o parlato riescono ad andare oltre il loro comune significato ed esplicare un'azione evocativa sullo spirito umano in forza ad una determinata pronuncia, una certa associazione o come vengono scritti. Cosa distingue una parte di discorso razionale da una parola magica e piena di mistero? Non certo le parole in s e per s. La differenza data dal fatto che mentre in una parte di discorso razionale le parole descrivono un fatto secondo un processo logico-analitico con lo scopo di fornire un resoconto, in una parola magica e piena di mistero le parole non descrivono: evocano, alludono, tendono a stimolare un riflesso spirituale e non una comprensione razionale. (Si pensi ad esempio a certi passi di James Joyce -non a caso un Celta Irlandese, un Bardo dell'Era moderna-. Nell'Ulysses si legge di un gatto accanto ad un fuoco di torba, in una povera casa della vecchia Dublino che lecca un pezzo di carta oleata, fino a poco prima conteneva del rognone. In s e per s potrebbe essere ributtante, parole senza alcunch di straordinario, eppure nell'insieme un passo tra i pi poetici ed evocativi. Poesia ed evocazione nascono dalla combinazione sapiente delle parole attraverso un processo alchemico simbolico.

1.2 Valore nel tempo del Simbolo

Un valore simbolico (evocativo) per un soggetto o per un'epoca non rappresenta sempre ugual valore per tutte le persone o per tutte le epoche; a titolo esemplificativo tale concetto pu essere rappresentato dal differente effetto che la visione di una Svastica produce su un Ebreo (simbolo di morte) o su un Ind (simbolo di vita). Il fatto pu essere spiegato prendendo in ausilio la diversit tra stessi metodi e simboli di Tradizioni che, pur differenti, tutte legittimate ad essere portatrici (in epoche e aree geografiche determinate) di una primordiale e autonoma trasmissione iniziatica. Si pu forse ipotizzare che tra simbolo ed osservatore si instauri una specie di "risonanza", di vibrazione spirituale simpatetica determinata da fattori ancestrali, una specie di ricordo o sottile nostalgia che coglie losservatore di fronte a suoni, parole, luoghi o profumi fortemente evocativi. Da queste considerazioni discendono, secondo i sostenitori del relativismo dei simboli, due conseguenze precise: non esistono simboli di valore universale, validi per tutte le epoche, culture, persone. Secondo il Sufi Idries Shah, non esiste un metodo iniziatico esoterico, e quindi un simbolismo ugualmente valido per tutte le epoche ed per tutti i contesti geografico-culturali. La VIA individuale, anche quando si giova di un comune Cammino Iniziatico e di uno scambio di esperienze. L'interpretazione o catalogazione dei simboli pu essere un esercizio:pregevole, sotto il profilo storico-documentariointellettuale; sterile, sotto il profilo esoterico. Qualsiasi tentativo di interpretare i simboli riducendoli nellambito della razionalit destinato a fallire e a produrre delle falsit nellambito esoterico. Chi ha mai letto un testo esoterico, o sedicente tale, e ha poi capito qualcosa sotto laspetto razionale? La maggior parte dei libri iniziano, aulicamente, con iperboli tipo: "finalmente disveleremo la chiave delle segrete cose ecc...", e subito degenerano in uno sterile, irritante e contraddittorio sfoggio di erudizione che lascia il lettore in uno stato di totale confusione mentale con la sensazione di essere un minus habens senza speranza. Tale oscurit spesso determinata dalla necessit di dire senza dire, di svelare senza violare la consegna del silenzio imposta agli iniziati. Secondo Rene Guenon, l'errore di fondo di chi pretende di accostarsi ai simboli come a qualsiasi altro ambito d'indagine di tipo scientifico di non comprendere che i simboli, come i riti, non vanno capiti razionalmente, ma sperimentati e vissuti nellinteriorit di noi stessi.

1.3 Caratteristiche del Simbolo


Per entrare nel significato partiamo dalla tecnica usata per produrre le cornici dorate, abitualmente parte integrante della "esperienza artistica" quotidiana dove il metodo di riflessione abituale dell'artista consiste nel procedere a ritroso. In campo tecnico conditio sine qua non, si obbligati a riflettere sull'opera dalle prime fasi della concezione e realizzazione (spesso "invisibili" ad opera terminata), non dallesito ultimo visibile solo alla fine. Dai <fatti>, attraverso le motivazioni "invisibili" giungeremo alle fasi precedenti lultimazione dellopera. Prendiamo una cornice dorata, analizziamola nelle varie componenti (materiali, processi tecnici e loro fasi) ci avvicineremo cos ai significati di origine. Per facilitare la lettura di questo percorso cominciamo dallinizio, cerchiamo i primi esempi di utilizzazione dell'oro e doratura, e seguiamone le tracce sino ai nostri giorni. Ci rifaremo a periodi storici (esempio "antico egitto") senza fornire esempi specifici. Torniamo alla cornice: anima di legno, modanata e/o scolpita, rivestita di un composto di gesso, colle animali e altri ingredienti, sulla quale applicata, in soluzione, una terra naturale di colore rossastro (bolo armenico), un minerale

ricco di ferro. In ultimo viene applicato, in lamine sottilissime o foglie, l'oro che pu essere brunito per aumentarne la lucentezza. Lo schema in sezione di una cornice dorata si presenta dunque nella maniera seguente: Foglia d'oro; Bolo (ossido di ferro) gesso + colla animale etc. Sagoma in legno Cerchiamo di seguire questa tecnica "a ritroso", seguiamo le sue diverse manifestazioni partendo dai materiali impiegati: l'oro (1). La definizione chimica dei metalli elementi a struttura cristallina dotati di lucentezza caratteristica, di cui nobili quelli che si ossidano difficilmente. Questo ci riconduce alla pratica e ai materiali non soltanto della doratura, ma anche della pittura, dei quali fanno parte vari ossidi metallici. Nella tecnica della doratura ci che sta sotto (in termini filosofici la sub-stantia o upo-keimenon) e che permette la successiva applicazione dell'oro (bolo rosso), una terra ricca di ossido di ferro, dal colore caratteristico (caput mortuum). Le prime utilizzazioni dell'oro che ritornano alla mente si riferiscono alle maschere funerarie che ritroviamo in tutte le culture antiche: egitto, grecia, messico e per. La maschera funeraria (celebre quella del sarcofago di Tutankhamon o quella ritrovata nella tomba detta di Agamennone) coniuga l'idea del rilievo con l'uso dell'oro. La sua destinazione regale ci consente di ipotizzare un legame tra oro e regalit, legame riservato alle immagini degli dei perch, mentre l'ossidazione offusca lo splendore dei metalli, l'oro, per sua inossidabilit, il pi lucente e il pi nobile dei metalli. La maschera etimologicamente rappresenta la persona: come aspetto contingente e caduco; come personalit e corpo fisico; come, nel senso della piena realizzazione del carattere immutabile e eterno dell'uomo divinizzato (i faraoni), figurato della regalit alla quale ben si addicono le insegne della porpora e dell'oro, assimilato alla luce. Nella dottrina cabbalistica (2), in particolare negli schemi sephirotici dei quali una serie riportata da Eliphas Lvi (3), l'oro collegato attraverso la corrispondenza delle diverse decadi o schemi: al sole; all'uomo-dio nella decade umana, alla generazione, alla forma della pelle, derma ed epiderma, al pensiero e al Verbo. Nella decade celeste o astrologica il posto dell'oro occupato dall'empireo o caput. Nella sua Storia della Magia (4), Lvi scrive (pag. 145):

. nei calendari sacri degli Egizi dei quali ogni mese, come noto, era posto sotto la protezione di tre decadi o geni di dieci giorni, la prima decade del segno del leone rappresentata da una testa umana a sette raggi con una grande coda di scorpione e il segno del Sagittario sotto il mento. Al di sotto di questa testa si trova il nome IAO (5); questa figura era chiamata khnoubis, parola egiziana che significa oro e luce. Ancora un collegamento, stavolta con l'astrologia. L'oro, centro di una raggiera di significati, diversamente collegati tra loro, e a differenti livelli. Ci troviamo di fronte all'aspetto caratteristico di simboli e simbolismo: l'oro, la luce ... pi che un senso preciso, si profila una serie (<costellazione> , <configurazione>) di significati che assumono sfumature diverse se considerati nel loro insieme o a piccoli gruppi. Una grande ricchezza di senso, diversa dal pensiero "razionale" al quale siamo abituati. Pluralit semantica e diversificazione non soltanto quantitativa ma qualitativa e interpretativa sembrano essere le caratteristiche fondamentali del simbolo. Le arti delle civilt antiche sono caratterizzate da un linguaggio quasi esclusivamente simbolico, le diverse conoscenze hanno un carattere fortemente unitario pur esistendo specifici ambiti di riflessione speculativa. Qualcosa di analogo alla teoria fisico-metafisica dei quattro elementi, secondo la quale ogni corpo ne composto da una proporzione variabile. Analogamente, ogni manifestazione delle culture antiche un composto unitario dei quattro "elementi": religione, scienza, filosofia, arte. Le maschere funerarie comportano delle credenze religiose (immortalit, divinit), delle conoscenze scientifiche (metallurgia), delle concezioni filosofiche (legame tra "fisica" e "metafisica") e delle capacit tecnico-artistiche (lavorazione a sbalzo dei metalli, parametri stilistici, visione della figura umana, etc.). Nel caso delle maschere funerarie il significato simbolico della tecnica evidente: nel "simbolo" oro la regalit collegata alla divinit e all'immortalit, come nel caso dei faraoni. Queste caratteristiche vengono conservate, con riferimento pi o meno identico, anche nella prima arte cristiana e nell'arte medievale con significativi adattamenti della simbologia e modifiche tecniche. Non bisogna dimenticare l'impiego delle maschere funerarie che venivano poste sul volto del defunto. Dall'immagine "spenta" del volto del defunto si passava all'immagine "sempre viva" - perch incorruttibile - del volto, luminosamente trasfigurato dall'arte e dalla maschera d'oro. Con l'aumentare del numero di rappresentazioni dedicate a divinit o santi, nell'arte, ormai cristiana, si adempie alla necessit di ridurre l'impiego del materiale riducendo l'oro in sottili lamine. Dal punto di vista simbolico si pensa di accentuare l'idea di passaggio dalla morte alla vita, essendo cambiata la natura del manufatto, da maschera funeraria con un impiego ben preciso ad icona. L'icona, che non si appoggia pi sul volto del defunto come la maschera e si riferisce ad una divinit non pi in "carne ed ossa" ma trascendente anche se incarnata, deve essere capace di divenire "autoportante", ovvero di riassumere in s il messaggio e i simboli che vuol trasmettere, indipendentemente da qualsiasi altra circostanza esterna, se si esclude la sua collocazione in uno spazio ben preciso (come sar pi tardi l'iconostasi). Caput mortuum: testa di morto, ma il defunto non c' pi e la destinazione dell'icona non pi funeraria, ma culturale dove l'idea della divinit non pi legata al riferimento di un "corpo" ben preciso, o "mistico". I riferimenti alla spoglia del faraone o dei dio non sono pi possibili. Se l'oro lucentezza ed inossidabilit, un metallo molto pi ossidabile, anzi il prodotto della sua corrosione, servir allo scopo rimpiazzando, nel sistema simbolico, le "spoglie mortali"; l'ossido di ferro, o caput mortuum contenuto nel bolo armenico, svolge, nella nascente tecnica della doratura, questa specifica funzione.

Al di sotto troviamo il composto di cariche inerti (gesso, colla animale), a volte con l'aggiunta di altri ingredienti (miele, favorisce l'elasticit); per ultima, la sagoma di legno, modanata e a volte scolpita, destinata ad essere ricoperta dagli strati soprastanti. Troviamo ancora quattro livelli, in corrispondenza coi quattro elementi e le quattro forme fondamentali di conoscenza; tra uno strato e l'altro vi un "salto" qualitativo, una differenza di livello. Man mano che procediamo verso l'alto la quantit diminuisce e aumenta la qualit della materia. Lo strato di gesso sottile rispetto alla sagoma in legno, pi sottile lo strato di bolo che ancora assai spesso rispetto alla lamina d'oro, spessore quasi invisibile. Questi livelli stabiliscono una "scala" che dalla materia inerte (legno "morto"), rappresentata della sagoma di legno, attraverso una materia che gi "composta" (la miscela di gesso e colla), gi "corpo", materia organizzata, che giunge ad "ossidarsi" e dunque a "morire" nello strato superiore (bolo armenico) per giungere infine alla luce e all'immortalit dell'oro come materia incorruttibile ed eterna (doratura). Il mondo non razionale usa simboli la cui definizione e' imcompleta: Lo fa l'arte, la letteratura, la religione, la magia. Sono conoscenze non del tutto penetrabili; la misura in cui le penetri e' la misura in cui le distruggi. Quando definisci la bellezza ottieni un canone. Quando definisci la poesia ottieni una metrica. Quando definisci una religione ottieni una dottrina. Quando definisci la magia tenti di farci una scienza, dice Frazer. MA se vuoi bellezza, letteratura, poesia, religione e magia devi abituarti a simboli dei quali meno parli, meglio e'. Vuoi sapere cosa sia il matto dei tarocchi? Guardalo e ascolta.

1.4 Vivere nel Simbolo


Cosa significa "vivere un simbolo"? "Vivere" si intende "percepire l'influenza evocativa" o, "fare oggetto di meditazione". I simboli, come i riti, offrono i loro Segreti dove trovano rispondenza nell'animo di chi li contempla, e diventano inaccessibili se oggetto di un esame esclusivamente razionale e intellettuale. La pretesa d'indagare razionalmente i simboli serve a fuggire dal reale senso iniziatico per fornire un supporto alle tesi dello scrittore di turno che vuole soddisfare la curiosit di conoscenza degli uomini che si interrogano e formulano ipotesi, anche tra le pi irreali. Questa una delle cause principali dell'aspetto sconcertante del simbolismo, specie ideografico: lUomo a volte si ostina a cercare di capire in un modo errato che non conviene usare in questo dominio: la pretesa di ridurre il tutto ad una comprensione razionale. L'insegnamento esoterico, rivolgendosi ad altre facolt e non a quelle puramente razionali, non pu e non deve esprimersi in termini di soddisfazione puramente razionalista. Nella Conoscenza esoterica il simbolo ha lo stesso posto che il concetto ha nella conoscenza razionale e logica. La giustificazione tecnica, fondamentale dell'uso dei simboli (specialmente dei simboli grafici) si pu formulare cos: addestrare lo spirito a comprendere vedendo piuttosto che pensando alla formulazione discorsiva e razionale a cui l' uomo colto moderno invece abituato. (comprendere saltando l'intermediario che, rispetto alla conoscenza integrale, pi che un intermediario un neutralizzatore del cervello).

Il simbolo non offre presa alla ragione (nessuno pi lontano dal comprendere un simbolo, di chi vi lavora sopra con stentati filosofemi): se la comprensione deve avvenire, necessario che entrino in azione altre facolt, in certa misura un intelligere che simultaneamente vedere e realizzare. Se non si inibisce la via con cui la conoscenza precipita in pensieri formulati dal cervello traducendoli in parole aventi un valore semplicemente discorsivo e interindividuale, nulla potr venire dal tesoro della sapienza esoterica. Cerchiamo di intuire cosa possa significare vivere i simboli attraverso esempi e cominciamo dal grado di Apprendista Libero Muratore che rappresenta una base per iniziare lanalisi. Fuoco, aria, terra ed acqua: richiamano gli elementi fondamentali dell'essere materiale e della vita fisica, rappresentano gli estremi e le fasi intermedie nelle manifestazioni della materia e possono essere collegati, secondo modelli ternari o quaternari, al ciclo vitale fisico (generazione, trasformazione, distruzione,rinascita) rappresentando quindi una specie di metafora della vita terrena. "Vivere" questi simboli significa "vivere" la vita, (naturalmente, consapevolmente), quale prima fase (apprendistato) di un cammino di elevazione. La vita altro non che una scuola, una palestra di evoluzione che, attraverso le molteplici esperienze sui piani fisico, razionale ed emotivo determina levoluzione dello spirito (approccio consapevole all'esperienza) o un'involuzione (approccio inconsapevole). La lezione dell'apprendista quella di sperimentare a fondo il mondo fisico, i suoi estremi e sue fasi intermedie (sesso, astinenza, temperanza oppure fantasia, ragione, apertura mentale). L'apporto del principio di tolleranza nell'apprendimento evidente: consente di riconoscere l'esistenza e la necessit degli estremi operando una mediazione La visione settaria riconosce il bene o il male fuggendo l'opposto, la tollerante l'ineluttabilit delle polarit positiva e negativa nella dimensione terrena e forse anche in quella spirituale. Esempio violenza - non violenza - pace dove: - violenza : componente ineludibile dell'animo umano; - non violenza: aspirazione spirituale; - pace : sintesi sul piano umano dei principi di violenza e di non violenza, ottenibile, come storia dimostra, attraverso l'equilibrio tra i due principi. L'esperienza umana non pu essere mono - polare ma deve passare attraverso gli opposti e le sfumature intermedie: fuoco - aria - terra - acqua, gioia - dolore - indifferenza - estasi. L'apprendistato con i suoi simboli pu rappresentare l'esperienza dell'esistenza materiale e sensibile; i viaggi iniziatici, viaggi attraverso la materia e gli opposti che potrebbero volerci comunicare di essere feroci guerrieri, teneri figli, saggi filosofi, amanti passionali, amici leali ecc.. in un'unica o in pi esistenze al fine di trarne una lezione spirituale. Il simbolismo con da sempre stata rivestita la sapienza nascosta nel simbolo, oltre a preservarne la purit garantisce la libert dell'individuo (il simbolo, a differenza dell'argomentazione che vuole convincere e del ragionamento stringente, non si impone lasciando all'individuo la sua indipendenza). Non parla, se non quando si voglia farlo parlare attraverso un atto interno nel silenzio, in un attivo rapporto solo a solo. Wirth ha chiamato filosofia magica la filosofia del silenzio: La nostra ambizione di addestrare il lettore a connettere il suo pensiero non pi a parole secondo il metodo scolastico, bens a figure mute, ad emblemi grafici, a simboli e ideogrammi. Alla meditazione applicata agli elementi di un simbolismo pieno di sapienza si connette una filosofia del silenzio coltivata da tutte le scuole iniziatiche , un modo di sottrarsi alla tirannia delle parole (pronunciate o pensate) ormai divenute l'unica moneta corrente ed accettata dell'intellettualit moderna.

Questo scritto non rappresenta certamente una risposta esaustiva alla domanda iniziale, ma uno spunto di riflessione e studio. Cambiano le epoche, i costumi, cambiano i simboli ma la vita ce ne fornisce ogni giorno di nuovi e tocca a noi saper essere sensibili anche a quelli pi antichi ed arcani. I simboli evocano realt nascoste, ognuno - parafrasando Shakespeare - ci ricorda che "esistono pi cose in cielo ed in terra di quante i nostri filosofi possano immaginare". Sta a noi essere aperti all'esperienza e tendere alla Conoscenza senza limitarci alla venerazione dei simboli in s:

- sono mezzi, non traguardi. 1.5 Trascendenza

nel simbolo

Simboli, significanti, segni, enti che rimandano ad un significato, ad un oggetto o ad altro ente. Quando segno o simbolo rimanda alla trascendenza, si parla di simbolismo della trascendenza. Questo ramo della psicologia della religione interessante nella misura in cui riesce a spiegare la forza di simbolo, segno, o significante nel suscitare in chi lo riceve, una sorta di esperienza intima, detta anche di trascedenza. Nella trascendenza del simbolo esistono due distinte correnti di pensiero: "superstiziosa", nel senso negativo del termine, che si inchina al simbolo ritenendolo protettore o minaccioso; porta delluniverso interiore, rappresenta la memoria che contiene tutto il vissuto e l'emozione di un gruppo, di un'etnia, di una cultura con i suoi splendori e le sue paure. Questo il distinguo tra totem e mito. Il senso di totem raggiunge in pieno quello di "idolatria" dove immagine, simbolo o oggetto in s e per s non ha alcun valore particolare. Sul fatto che esista la superstizione, nel suo senso comune e deteriore, vi poco da dire, in questo feticismo, in questa attribuzione di valore che non riposa su niente di autentico, si possono includere anche tutti gli status symbol ed gli altri processi di creazione e legittimazione di valore "imaginario". Sulla natura e sul valore di ci cui il simbolo si riferisce esistono - o sono esistite - conoscenze superiori attestate dalle religioni e dal simbolismo; importante indagare perch si possono ri-trovare aspetti perduti, o rimossi, di ci che noi siamo; meno importante tradurli in santini, operazione che svilisce il simbolo, versante negativo della superstizione (come seppellire monete per far crescere un albero, anzich capire il senso reale della moneta). I simboli di enti trascendenti si sono formati nel corso della storia sedimentadosi nell'inconscio collettivo, in quell'immaginario che prende subito un individuo rendendolo membro della societ in cui quale nasce. Il trascendente non deve essere per forza un dio antropomorfo, pu anche essere un concetto. In questo caso, il simbolo non rimanda ad un ente preciso, ma a qualcosa di indeterminato, di inoggettivabile. Nel momento in cui il simbolo si manifesta al soggetto, il concetto trascendente derivante (NON dio antropomorfo) diviene indeterminato. Pur non potendo accedere direttamente alla fonte (all'ente, all'oggetto) possibile quindi accedere al simbolo che rimanda al concetto che a sua volta rimanda all'ente inoggettivabile. Un esempio che cerca di rendere pi semplice il concetto appena espresso: Il mistero dell'essere (tutto quello che ci circonda) tale perch viene percepito dal soggetto come qualcosa di inconscibile che non si riesce a penetrare. Ma il simbolo che rimanda a questo concetto (lo stesso mistero) ha la forza di denotare il mistero stesso. Ci troviamo di fronte ad un paradosso dove il simbolo non solo non rappresenta il significato ma si sostituisce ad esso rimandandoci ad un oggetto inconscibile.

La potenza di questi simboli molto forte. La stessa meditazione trascendentale si costruisce su questi presupposti: un simbolo rinvia ad un concetto che a sua volta denota un mistero, o comunque qualcosa di non spiegabile del tutto. Il misticismo si fonda su questo presupposto: il mistico usa dei simboli, che rinviano ad un oggetto inconscibile, ma l'incontro con questo oggetto l'incontro con il SUO simbolo e non con l'oggetto stesso. Simbolo e allegoria sono cose diverse: simbolo, ente che partecipa a qualcosa e in qualche modo lo "incarna", allegoria, immagine che rimanda a qualcosa d'altro. La Divina Commedia NON un'allegoria ma ha una forte dimensione simbolica. Virgilio non un'allegoria della ragione, ma una persona reale (almeno per Dante), il miglior esempio di uomo razionale, e quindi simbolo della ragione. Scrive il dantista Sigleton : "Il libello dantesco (parla della Vita Nova, poi estende il discorso anche alla Divina Commedia) pieno di simbolismo e di analogia mistica, ma simbolo e analogia non sono allegoria. Roman de la Rose un'allegoria: la rosa ha un altro significato e c' una chiave per scoprirlo. Nella Vita Nova non c' nulla del genere [...] Neppure Amore, infatti rappresenta qualcos'altro" (6). Il simbolo non una "rappresentazione in altra forma, o sotto maschera", ma qualcosa che, oltre ad avere un significato proprio, pu "rimandare" ad altri significati. (una croce rossa "simboleggia" tutto ci che riguarda medici e medicine, mentre "meccanico dei corpi" per dire "medico" un metafora, un'allegoria). Nello specifico della religione, in particolare nel rapporto con la trascendenza, il simbolo acquista una forte valenza perch rappresentato lunico mezzo in grado di suscitare il vissuto al corrispettivo stato razionale. La religione monoteista ha bisogno di simboli perch la divinit non rappresentabile, la divinit creatrice non stata mai vista, per questo trascende ogni immaginazione. Per "vivere" emotivamente il rapporto con la divinit, bisogna simboleggiarla, si ricorre a statue o comportamenti (preghiera) etc. . Questo simbolismo entrato a far parte della specie umana nella tradizione sia occidentale che orientale. I concetti vengono elaborati dopo un lungo periodo durante il quale sono i simboli (miti, metafore etc) a rendere certe le idee e la comunicazione tra gli uomini, hanno una capacit significativa maggiore in grado di toccare l'ambito emotivo e i sensi delluomo in modo diretto. Quando si fa un discorso concettuale, le aree cerebrali interessate sono molteplici senza un diretto interessamento di uno dei cinque sensi, se non come mezzo (vista per leggere etc) per decodificare tutto. Loperazione di decodificazione rende tutto pi complesso e meno immediato ed evita la sfera emotiva quasi del tutto . Il simbolo, per natura immediato, viene percepito a livello sensoriale senza decodifiche razionali, la coscienza lo vive in modo emotivo e quindi immediato senza farlo "transitare" per la parte razionale. Una statua associata ad una divinit in grado di suscitare un rapporto la divinit in modo immediato, richiamando tutti i vissuti e tutte le speculazioni razionali associate al simbolo Questa immediatezza dovuta al fatto che i simboli, recepiti dallintelletto in modo primitivo, vengono associati a eventi recepiti precedentemente. Nel rapporto con la trascendenza, il simbolismo mette l'individuo a contatto con il proprio limite di conoscenza, non vi nessun oggetto da conoscere e denotare ma solo il nostro prendere coscienza attraverso il simbolo che siamo limitati. Questo avviene sia per associazione immediata (forma di ignoranza di tutte le nostre conoscenze), che per forma mediata, dopo aver conosciuto, ragionato e capito di essere limitati (associazione dei giusti simboli a tali concetti: dotta ignoranza). In entrambi i casi si conosce il limite il limite del sentirsi superati, trascesi.

Vivere l'esperienza di trascendenza significa usare il simbolo capace di richiamare una serie di acquisizioni precedenti sia concettuali che non. Questa associazione tra simbolo e trascendenza difficoltosa perch la trascendenza un limite conoscitivo, un modo di atteggiarsi verso l'esistente e di vederlo, uno stile di vita, un capire di essere nellignoranza etc. . Vi sempre una inconscia concetualizzazione che precede l'associazione tra simbolo e relativo vissuto: il simbolo viene associato ad un vissuto e non a un oggetto perch non si conosce razionalmente loggetto a cui il simbolo viene riferito. Attraverso concettualizzazioni inconsce si perviene al limite conoscitivo, e alla creazione di simboli che denotano non l'oggetto, ma il vissuto. Inconsciamente si conosce, vivendola, la nostra limitatezza. Per richiamare alla memoria, e cio alla coscienza, questo vissuto che deve esistere prima del simbolo, occorre lassociazione ad un simbolo denotante. Questo dimostrato dal fatto che un credente che ha associato la sua esperienza di trascendenza ad un simbolo, capace di richiamare alla coscienza il vissuto che ha associato tramite lo stesso simbolo. In questo caso possiamo parlare addirittura di condizionamento operante. Chi non ha associato quel vissuto di esperienza trascendentale a quel simbolo, nel vedere quel simbolo non ne ricaver nulla. Le associazioni operate da credenti sono pi complesse di quelle di chi non crede: i credenti, portano avanti una istanza emotiva (la scienza da loro torto) che li spinge ad insistere e persistere, anche contro le evidenze razionali, sia perch toccati nella ragione da piccoli (proprio da queste associazioni sbagliate), sia perch il loro vissuto li porta ad un livello di autenticit a cui non possono rinunciare; si rifanno ad una costruzione teologica costruendo un vero e proprio impianto che spiega loro una cosmogonia, o altro, e cominciano ad operare gi a livello concettuale e conscio; i non credenti, non avendo mai fatto alcuna speculazione e non essendo mai stati condizionati (nel senso comportamentale), sono incapaci di estendere il loro sentire e quindi non operano alcun aggancio, nessun discorso metafisico, non vivono lesperienza di trascendenza ed operano a livello istintivo, senza fare ragionamenti o associazioni, evitando di andare oltre i limiti imposti ragione dalla stessa. Questo il motivo per cui facile per il credente avere simboli forti, cio denotanti: vi stata una precedente speculazione, una associazione del simbolo a quel vissuto che viene scatenato dalla speculazione stessa. Si specula a livello metafisico avvertendo il proprio limite, dopo si associano simboli a questo vissuto, e quando si vuole richiamare il vissuto si ripete il ragionamento o si richiama il simbolo ad esso associato. La differenza tra credenti e non credenti provoca una diversa fenomenologia con incomprensioni a livello emotivo prima ancora che razionale. Infatti il credente fa di tutto pur di addurre ragione al suo vissuto perch il suo vissuto il frutto di una profonda speculazione. Ma se la speculazione stata superata, non vale pi; valgono invece i simboli, quei simboli capaci di far vivere una profonda esperienza di trascendenza e il danno prodotto di natura logica perch si associano una serie di simboli, e quindi di vissuti, a speculazioni superate. Luomo avverte lincapacit di queste speculazioni a spiegare le contraddizioni, ma allo stesso tempo avverte il condizionamento, e cio il suo vivere l'esperienza di trascendenza in tutta autenticit. Tutti coloro che credono sono vissuti in una tradizione religiosa subendone gli influssi ( come la lingua che si impara, anche se non si vuole imparare qualcosa si apprende sempre). Presso tutti i popoli la tradizione religiosa talmente intrisa di questi elementi che diventa utopistico fuggirne; occorre attuare un ragionamento pi attuale mantendo lo stesso obiettivo: viene cambiato il ragionamento, la speculazione aggiornata senza eliminare lesperienza di trascendenza che viene rafforzata con decisione, per non cadere nella oggettivazione (Oggettivare significa far diventare dio come qualcosa di conosciuto e quindi il simbolo non serve pi, paradossalmente diventa non pi esperienza di trascendenza ma il conoscere un ente e basta).

Si comprende l'esigenza dei simboli capaci di suscitare la esperienza di trascendenza, e allo stesso tempo si comprende il problema di cambiare e aggiornare la speculazione. Oggi il teismo deve essere rivisto in quanto andava bene millenni fa, quando non si conosceva nulla di cosmologia, di fisica etc. .. Tutte le cosmogonie dei semidei non sono pi capaci di spiegare compiutamente la creazione stessa. Ma queste cosmogonie e religioni, hanno simboli tramandati che in se hanno la potenza di suscitare lesperienza di trascendenza (come vedere un leone in gabbia, sappiamo che non ci puo fare nulla, eppure vengono attivate le solite vie di fuga). Il condizionamento esiste e non viene eliminato, mentre pu e deve essere eliminato il ragionamento (il leone non pu farmi nulla perch la logica mi dice che la gabbia lo blocca).

La potenza dei simboli deve essere preservata, la speculazione che ha portato a tali vissuti rivista ed aggiornata.
Esiste una "terza via", un modo di conoscenza che non n puramente umano e razionale, n la sua negazione mistificatoria e deviante, una terza via, porta simbolica per accedere alla Conoscenza dei rapporti tra divino e uomini. Via irta di difficolt, e la prima difficolt che spesso immediatamente rigettata: gi ammettere la sua esistenza arduo e stupefacente. Ecco la necessit di capire i segni che vengono dal passato: provengono dal profondo e ci avvicinano a ci che di comune abbiamo con gli uomini dei secoli passati, ricostruiscono una continuit che quasi un perpetuarsi della loro vita in noi, e per noi un ritrovare le radici perdute che da sempre in noi sono nascoste e custodite. Simbolo di morte che si trasforma in vita, simbolo di una spada piantata nel suolo alla fine di una battaglia, quando ritorna la pace.

Note

(1) Riassunto storia dell'oro e tecniche di lavorazione: Le tecniche artistiche, a cura di C. Maltese, Mursia, 1973, pagg. 173-77. (2) Informazioni assunte in quanto tali, indipendentemente dalla natura dei testi citati. (3) Corso di filosofia occulta, Lettere al Barone Spedalieri, Parigi, Trdaniel, 1977. (4) Storia della Magia, Parigi, Baillire, 1860. (5) Le stesse lettere, nell'ordine AOI, si trovano nella Chanson de Roland, che narra le imprese di Carlo Magno; sono disposte negli intervalli, nei momenti pi significativi del poema, come una sorta di acclamazione. (6) Singleton, La Poesia nella Divina Commedia, Il Mulino, Bologna, 1978 p. 8

Simboli e Miti
Cagliostro

Il simbolo contiene prevalentemente un carattere esoterico, lo stesso possiamo affermare per i miti e proprio su questo connubio riteniamo importante fare unosservazione su quella che potrebbe essere stata la nascita dei miti e dei simboli ricorrenti in molte religioni e tradizioni; un esempio attinente a tale esposizione la religione Egizia. Gli studi effettuati fino ad oggi sulla preistoria suggeriscono che i primi uomini non si dedicassero allosservazione del cielo in modo regolare, non erano neanche soliti registrare e trasmettere il frutto delle loro osservazioni; nonostante ci una particolarit venne comunque notata e registrata, il movimento precessionale ed il modo in cui esso si sviluppa: molto probabile che la religione dei primi egiziani si fondasse su questa specifica conoscenza e che tale conoscenza ebbe un enorme peso sul suo sviluppo. Partendo dal presupposto che le antiche culture basassero le certezze dei loro miti sui risultati osservabili della precessione, le continue differenze nel cielo dovevano riflettere le composizioni religiose scritte durante tre millenni di storia Faraonica in Egitto. Quali miti scaturirono da queste osservazioni? E furono proprio questi miti che vennero preservati nella tradizione orale? Lo studio del movimento dei cieli era una parte necessaria delleducazione dei sacerdoti dai primi tempi della storia, in quanto le stelle annunciavano larrivo dellalba, ovvero lapparire del Dio Sole. Ogni importante momento del corso del Sole era accompagnato da un rituale, e certe date erano ricordate e festeggiate con riti speciali. Una delle cariche pi importanti che potesse ricoprire un sacerdote egiziano era quella di osservatore delle ore (imy-wnwt), egli stabiliva il periodo esatto del tempo prima dellalba e trascorreva la notte a preparare i cibi e le cerimonie; lalba avrebbe purificato il sacerdote, il sostituto del re, questo era un momento di grande solennit{ e doveva svolgersi nel preciso istante in cui il Sole compariva allorizzonte. Appurato quindi che il fenomeno precessionale era un fenomeno normale, gli antichi pensatori dovettero cercare in qualche modo di misurarlo e comprenderne il preciso funzionamento; i miti non erano altro, quindi, che delle informazioni sui movimenti celesti e sugli eventi ciclici, un rimando orale di secoli di osservazioni prima che il tutto venisse conservato per iscritto. Questa potrebbe essere una delle spiegazioni dellintrigato mondo mitologico egizio e delle inquietanti raffigurazioni animali presenti nelliconografia sacra. Daltra parte sarebbe impensabile supporre che losservazione dei cieli si praticasse solo dopo la costruzione dei templi solo per il fatto che questi ultimi erano preposti a tale scopo; indubbiamente questa tecnica venne affinata sin dagli inizi dellumanit, tramandando sotto forma di simboli (Dei) il frutto di quanto visto ed appurato; soltanto in seguito la pratica si trasfer nei templi e

soltanto dopo la scoperta della scrittura essa venne posta come testo sacro dalle varie popolazioni, egiziana compresa. Quando gli Egizi ricordavano il loro passato, erano soliti sottolineare che pi era antica la scrittura, pi questa assumeva carattere di sacralit; i primi veri approcci con la scrittura egizia avvennero dopo il 1799, anno della scoperta della Stele di Rosetta, ma dobbiamo aspettare il 1822 perch, grazie al lavoro di Thomas Young e Jean Francois Champollion, sia possibile decifrare i misteriosi geroglifici. Arriviamo quindi al Diciannovesimo Secolo, e la situazione che debbono affrontare gli studiosi e gli storici vede ovunque testi religiosi ancora non tradotti, la maggior parte dei quali incisi sulle fiancate dei monumenti sparsi per tutto il paese; altri erano stati trascritti su rotoli di papiro, sotterrati, e solo successivamente riportati alla luce dal lavoro degli archeologi. Nel 1880 i lavoratori della Piana di Saqqara, 32 miglia a Sud Ovest del Cairo, penetrarono nella piramide di Pepi I, un Faraone della sesta dinastia, e nel 1881 si scopr la piramide di Unas, della quinta dinastia. Entrambe queste scoperte aggiunsero una grande quantit di testi. Nel 1952 viene pubblicata una versione inglese dei Testi delle Piramidi di Samuel A. Mercer. Nel 1954, il primo di sei volumi di una traduzione di vari testi religiosi tratti da tombe e papiri viene redatta da Alexandre Piankoff. Nel 1969 i testi di tutte le cinque piramidi furono tradotti in inglese da R. O. Faulkner. La pubblicazione avvenne nel 1972. Le teorie formulate sulla base delle prove esistenti in merito alla religione Egizia sono molteplici; alcuni autori sostengono che i primi osservatori del Cielo fossero innanzitutto osservatori dellorizzonte, altri autori credono invece che i primi egiziani osservassero i transiti. Nonostante i progressi fatti fino ad oggi, le origini dei miti egizi rimangono sconosciute e queste origini giacciono probabilmente sepolte o nascoste nellet{ comunemente definita preistorica, cio proprio in quel periodo nel quale la memoria era un elemento importante che avrebbe potuto perpetuare le tradizioni mediante il racconto e la ripetizione orale. Nellenigmatica e confusa religione degli abitanti delle rive del Nilo, ci sono due eventi di primaria importanza: la morte e la rinascita di Osiride ed il sacrificio fatto da suo figlio dellimportantissimo occhio di Horus. Nonostante il sacrificio dellocchio possa sembrare una tradizione esclusivamente egiziana, la storia ha vaghe eco in tutti i miti del mondo. Alla luce di quanto scritto inizialmente, la tradizione collegata a Osiride e Horus, si originata, nei millenni, prima della scrittura e tale origine da ricercarsi nellosservazione del movimento nei cieli; ovvio che la registrazione di un determinato gruppo di stelle ed il trauma di non averne pi la visione nel corso dei millenni a causa della precessione, potrebbe essere un fattore scatenante lorigine dei miti, trauma iniziale e duraturo nel tempo potrebbe essere la scomparsa di Orione. Se il mito riflette le conseguenze della precessione, il collegamento tra le antiche convinzioni circa la risurrezione e i cambiamenti occorsi nel cielo si vanno rafforzando. I Testi delle Piramidi dellAntico Regno e altre scritture funerarie, come il Libro dei Morti, il Libro delle Caverne e la Litania del Re, dovrebbero essere esaminati prestando attenzione al fatto che gli antichi guardavano al cielo per cercare i loro Dei, e che questo fosse un evento infinitamente pi importante per la formazione della loro religione che qualunque cosa potesse accadere sulla terra. La religione egiziana dei tempi storici pu essere considerata

incentrata sul mito del Sole; ma nellEra Predinastica il pi importante oggetto di venerazione a Eliopoli, pi tardi luogo centrale per il culto del Dio-Sole Ra, era quello delle stelle. Rileggendo con maggior attenzione il mito di Osiride, ci accorgeremmo che questa storia sembra riportata come una verit tramandata, assodata, accettata per questione di fede, senza andare alla ricerca delle sue misteriose origini; il mito esisteva ed era normale che fosse cos, in tal senso esso riflesso di una verit molto pi antica, influenzata nel tempo dai cambiamenti culturali e strutturali, ma pur sempre riporto di una verit. Alcuni ritrovamenti fatti a Helwan e riguardanti lantico simbolo di Djed, e del volto di Iside (la controparte femminile di Osiride), sono la prova evidente di come, anche durante il periodo arcaico (dalla I alla II dinastia), il culto di Osiride fosse gi esistente. Passiamo quindi ad esaminare pi da vicino il mito di Osiride: Osiride il legislatore dEgitto, Iside sua moglie/sorella e Seth il fratello cattivo. Seth uccide Osiride e butta il suo corpo chiuso in un sarcofago dentro il Nilo. Iside riesce a recuperare il sarcofago e nasconderlo; ma Seth lo trova e taglia il suo corpo in 14 pezzi e li disperde per il territorio dEgitto. Iside piangente vaga per tutto il territorio alla ricerca dei pezzi del corpo di suo marito e quindi, con laiuto di Nefiti, sua sorella, di Anubi, il Dio dalla testa di sciacallo, e di Thoth, Dio della conoscenza e della parola, mette insieme i pezzi del corpo smembrato avvolgendolo in bendaggi di limo e pronunciando sacre parole e riti magici. Quindi Iside avvolge il corpo di Osiride con le sue ali e riesce a farlo rivivere il tempo sufficiente a concepire Horus. A questo punto bene ricordare che lepisodio dello smembramento non figura nella tradizione pi primitiva; i 14 pezzi in cui il corpo di Osiride viene diviso potrebbero rappresentare i 14 giorni di crescita della luna, oppure i 14 giorni della sua riduzione progressiva. I testi matematici successivi mostrano questa frazione, che basata essenzialmente sulla aritmetica Egiziana, e si pensa che ogni parte rappresentasse una frazione del tutto. Osiride ora diventato legislatore dei morti, non potendo mai pi occupare il suo trono precedente. Comunque, nelle scritture e nei disegni sui muri dei templi Tolemaici, il ritrovamento del corpo salutato al pianto di Evviva, risorto. Infatti, i testi pi antichi che abbiamo, i Testi delle Piramidi, parlano del legislatore morto dicendo sorgente come Osiride. Lui risorto, ma la sua natura mutata ed il suo posto sulla terra ora occupato da suo figlio. Iside si isola per tutta la durata della gravidanza ed il bambino Horus viene partorito in un luogo segreto. Questi cresce fino allet{ adulta ed in un evento descritto come il giorno della battaglia Horus combatte contro lassassino di suo padre. Questa battaglia dettagliatamente raccontata dagli scribi come un evento avvolto nel mistero. Nel Libro dei Morti, specialmente nella linea 17, importante perch ci d un racconto dettagliato della battaglia, le glosse aggiunte dagli scribi successivi chiedono Cosa successo quindi? e Chi lui?. Le glosse e le interpretazioni delle innumerevoli generazioni di sacerdoti sono state accettate come un modo per ricercare la verit. Horus perde il suo occhio nella battaglia e Seth perde i testicoli, Horus e Seth ingaggiano una susseguente contesa per il periodo di otto anni, durante i quali gli altri Dei sono stati profondamente incerti nel tentativo di decidere chi dei due avesse ragione di occupare il posto vacante di Osiride. La battaglia tra Horus e Seth detto sia stata determinata dalla disputa su chi dovesse succedere sul trono di Osiride e suggerisce lesistenza di una storia su Osiride

antica almeno quanto il culto di Horus. Lantico testo riporta che Horus prese locchio che aveva sacrificato per Osiride e glielo port nellaldil{. Dando a suo padre il suo occhio, gli diede eterna vita e Osiride pot dirsi ben equipaggiato. Nel papiro Chester Beatty, dal regno di Ramesses V, datato 1160-1154 a.C. (circa mille anni dopo i Testi delle Piramidi), troviamo un racconto del conflitto tra Horus e Seth. Qui si dice che la contesa tra i due continu per otto anni. Anche in questo caso, dunque, si potrebbe supporre che la battaglia abbia avuto qualcosa a che fare con accadimenti osservati nel cielo, con il lento ma verificabile moto della precessione; quindi, se la storia degli Dei collegata agli eventi celesti, qualcosa deve essersi verificato nei cieli sopra lEgitto e protratto per un periodo di circa 8 anni. Ma pu essere prospettata unaltra soluzione. I miti egizi indicano anche che ad un certo punto locchio di Horus fu perso, certi testi riferiscono di una ricerca simile a quella per il corpo di Osiride; ma locchio venne ritrovato, ed allora che Horus lo port a suo padre, Osiride. Nella risurrezione di Osiride gli egiziani volevano leggere la speranza di una vita eterna per s stessi dopo la morte. Il defunto assume il titolo di Osiride, se la famiglia o gli amici faranno per lui ci che stato fatto per Osiride, ad esempio mediante la dazione di offerte (in luogo del sacrificio dellocchio) affinch il defunto viva per sempre.

Brevi appunti sul simbolismo


Mercoled 26 Maggio 2010 13:44 Ren Gunon Articoli - Simbolismo

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Traduzione dallo spagnolo a cura di Anna Polino

Walter Andrae 11/08/2003 Bastano solo due paragrafi dellarcheologo e scrittore Walter Andrae per immergersi in ci che c di spirituale nellarte dei suoi ornamenti. Il simbolo, non ci stanchiamo di dirlo, il Cammino Reale. Lumanit cerca di incorporare in una forma tangibile o in ogni caso percettibile, possiamo dire che cerca di materializzare, ci che in se stesso intangibile e impercettibile. Produce simboli, caratteri scritti e immagini di culto di sostanza terrena, e vede in esse e attraverso esse la sostanza spirituale e divina che non ha somiglianza e che non potrebbe esser vista in altro modo. Solo quando si acquisito questo modo di vedere le cose,

possono comprendersi i simboli e le immagini; ma non quando siamo abituati a una visione ristretta delle cose che ci rinvia sempre a uninvestigazione degli aspetti esteriori e formali di simboli e immagini e che ce li fa apprezzare di pi, quanto pi sono complicati o pienamente sviluppati. Il metodo formalista conduce sempre a un vuoto. Qui stiamo trattando solo la fine, non linizio, e ci che incontriamo in questa fine sempre qualcosa di difficile e oscuro, che non getta nessuna luce sulla via. Solo con un tale barlume di ci che spirituale si pu raggiungere lultima meta, qualunque siano i metodi o i mezzi di investigazione a cui si ricorre. Quando sondiamo larchetipo, allora troviamo che esso ancorato a ci che pi alto, non a ci che pi basso.[1] Questo non significa che noi moderni necessitiamo di perderci in una speculazione irrilevante, visto che ognuno di noi pu sperimentare nel proprio microcosmo, nella propria vita e nel proprio corpo, che ha vagato disperso fin da ci che pi alto, e che quanta pi fame e sete del simbolo e della somiglianza impara a sentire, tanto pi profondamente la sente; cio basta solamente che si rammenti del potere di guardarsi dalla durezza e dalla pietrificazione interiore, in cui tutti siamo in pericolo di perderci. Certamente, il metodo formalista pu solo giustificarsi in proporzione a come noi ci siamo allontanati dagli archetipi fino a oggi. Le forme sensibili, nelle quali ci fu una volta un equilibrio polare di ci che fisico e di ci che metafisico si sono svuotate sempre pi di contenuto nella loro discesa fino a noi. Come noi sosteniamo, ci un ornamento; e come tale, certamente, pu essere trattato e investigato alla maniera formalista. E questo ci che accaduto costantemente per quel che si riferisce a ogni ornamento tradizionale, senza escludere il presunto ornamentoche rappresentato nel bel modello del capitello ionico Colui al quale sembra strano questo concetto dellorigine dellornamento, dovrebbe studiare, anche se solo per una volta, le rappresentazioni del quarto e terzo sec. a. C. in Egitto e in Mesopotamia, paragonandole con quelli che nel nostro significato moderno vengono chiamati ornamenti. Si vedr che difficilmente di esso potr trovarsi neanche un solo esempio. Tutto ci che potrebbe sembrare tale, una forma tecnica drasticamente indispensabile o una forma espressiva, limmagine di una verit spirituale. Perfino il presunto ornamento nella pittura e dellincisione nella ceramica, che rinvia al periodo neolitico in Mesopotamia e in altre parti, per la maggior parte legato alla necessit tecnica e simbolica[2]

NOTA: Testo trascritto da Coomaraswamy da un libro di Walter Andrae che compare nel capitolo XVIII del suo libro Figure di Linguaggio o figure di Pensiero, tradotto da Pedro Rodea.

[1] Cf. Ren Gunon, Du Prtendu Empirisme des anciens . Le Voile dIsis, CLXXV (1934). [2] Cf. C. G. Jung, Modern Man in Search of a Soul (Londres, 1933), p. 189, la cosiddetta ruota del sole poich data unepoca in cui nessuno aveva pensato alle ruote come a

uninvenzione meccanica non pu aver avuto la sua fonte in nessuna esperienza del mondo esterno. E pi un simbolo che rappresenta un fatto psichico; nasconde unesperienza del mondo interiore, e senza alcun dubbio una rappresentazione molto vivace come i famosi rinoceronti con gli uccelli sulla schiena.

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