Alternativa news
In collaborazione con: Megachip
IN QUESTO NUMERO
1 Sfascisti bastardi codardi e perdenti Di: Ennio Remondino [ pag. 1/2 ] 2 Lettera aperta a Giulietto Chiesa e a tutti coloro che leggono Megachip Di: Stella [ pag. 2/3/4 ] 3 Telejato e Santoro Di: Riccardo Orioles [ pag. 5 ] 4 Roma a fuoco. Perch Maroni non si dimette? Di: Ilmondodiannibale [ pag. 5 ] 5 I Draghi e la crisi Di: Franco Berardi [ pag. 5 ] 6 Di vari modi per togliere la voce Di: Piotr Megachip [ pag. 6 ] 7 Il 15 Ottobre in piazza contro lEuropa che distrugge i diritti del lavoro Di: Giorgio Cremaschi [ pag. 6 ] 8 Non siamo scudi umani Di: Marino Badiale e Fabrizio Tringali [ pag. 7 ] 9 500 contro 500mila Di: Giulietto Chiesa [ pag. 7 ] 10 Lo scenario Soros e gli allegri firmaioli Di: Felice Fortunaci [ pag. 7/8 ] 11 Io parlo delle ragioni dei 500mila e non della stupidit dei 500 Di: Massimo Ragnedda [ pag. 8 ]
banda di centinaia di delinquenti abbia potuto devastare, aggredire, incendiare e tenere in scacco per ore il centro di Roma". Il ministro del lavoro Sacconi al suo solito sbraga e azzarda paragoni con gli anni '60 e '70. Alemanno sindaco fa il tifo romanesco: "Quei violenti venivano da fuori Roma". Per fortuna c' il superbanchiere Draghi (uno dei bersagli indiretti della contestazione) che prima riconosce: "Se la prendono con la finanza come capro espiatorio e li capisco", poi definisce "un gran peccato" quanto accaduto. Poi le solite polemiche Rai. Comincia Alessio Butti, capogruppo Pdl nella Commissione parlamentare di vigilanza Rai, con l'attacco a Rainews24, colpevole, di minimizzare scontri e danneggiamenti nella sua copertura giornalistica. Giorgio Merlo, Pd, vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai gli contesta di avere detta un mucchio di scemenze. Butti ammorbidisce. Fuffa politichese. Non ascoltano purtroppo le notizie degli scontri in corso neppure i telespettatori della Rete Uno. Il sindacato del Tg1 avrebbe voluto allestire una diretta e degli speciali sulla manifestazione di Roma ma la richiesta stata respinta dalla Rai. "Abbiamo chiesto all'azienda spazi per edizioni straordinarie o almeno finestre informative, ma i responsabili aziendali hanno respinto la richiesta del Tg1 e stanno continuando a mandare in onda programmi registrati". Replica ufficiale della Rai: "Tutte le richieste per le dirette e le edizioni speciali avanzate dai direttori delle maggiori testate" sono state "immediatamente autorizzate". Sta a vedere che ad essere distratti oltre che Maroni era anche il direttorissimo Augusto Minzolini.
Lettera aperta a Giulietto Chiesa e a tutti coloro che leggono Megachip Prima di tutto, che senso ha scrivere una
lettera aperta? Scrivere risponde sempre a una necessit. In questo caso, si tratta della mia necessit personale di agire in modo costruttivo, condividendoli, langoscia, lindignazione, lincredulit e il senso di impotenza che mi accompagnano da tempo. Se fosse solo un problema mio personale eviterei di cercare visibilit pubblica. Ma siccome credo si tratti di sentimenti collettivi, da ricondurre alle quattro crisi maggiori del sistema di cui parla Paul Aris, forse non sar inutile discuterne insieme. Premetto che il mio il punto di vista di una studentessa neolaureata di primo livello come si usa dire in questo linguaggio spersonalizzante che si guarda intorno e si pone domande come giovane donna della cosiddetta generazione senza futuro, con una modesta esperienza non di partito ma di movimento. Lintento di questo scritto quindi quello di mettere in fila dei pensieri, dei dubbi, delle idee, con la speranza che diventino il punto di partenza per un largo dibattito sulle pagine di Megachip e, nella migliore delle ipotesi, per la costruzione di un percorso politico condiviso. Dal virtuale al reale, insomma. Alle quattro crisi sistemiche di Aris ambientale (deregolamentazione del clima), sociale (aumento delle diseguaglianze), politica (disaffezione e deriva della democrazia) ed esistenziale (perdita di senso) ne aggiungerei unaltra: quella culturale. Lorigine del senso di smarrimento: la mancanza di un orizzonte politico adeguato ai nostri bisogni e desideri. Mi sembra che, da almeno ventanni, abbiamo perso un modello essenziale per dare un orizzonte politico e una strategia organizzativa ai bisogni sociali, allutopia di una societ diversa da quella dominata dal capitale: sto parlando, ovviamente, del comunismo. Oggi di rivoluzione parlano
le banche, non ricordo di aver sentito pronunciare questa parola a nessun esponente politico di recente. La BNL Paribas, invece, offre un conto corrente dallallettante nome BNL Revolution: per un mondo che cambia. Fino a 100 mila euro e 120 mesi con una rata a misura per te. Rivoluzionario il marketing, che riuscito a stravolgere i pi elementari principi di economia domestica, facendo credere che spendere soldi sia in realt un guadagnare soldi. Come recita, ad esempio, la pubblicit della Smart Genius: Vuoi 19 mila euro? Compra Smart Genius!. Credo che gran parte dello stato di smarrimento e di impotenza che molti di noi sentono oggi derivi proprio da questo stravolgimento di senso, da questa perdita di razionalit, che avvengono in un vuoto politico devastante, e dal fatto che la sinistra non abbia saputo aggiornare i propri contenuti politici, perdendo in gran parte di significato. Oggi la destra e la sinistra governative non hanno differenze sostanziali, n nel linguaggio n negli obiettivi politici, poich avallano lo stesso modello di sviluppo. E, peggio, la sinistra lo fa perch crede ancora possibile coniugare lo sviluppo economico - cio la crescita, la gallina dalle uova doro che mette tutti daccordo - al benessere sociale. Questo modello ha funzionato nei primi ventanni dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla congiunzione di un motivo ideologico e di un motivo sistemico. Il primo era la necessit, per le democrazie occidentali, di porsi come modello alternativo e vincente rispetto a quello sovietico. Il welfare state stato il protagonista di quello che Ralf Dahrendorf chiamava il secolo socialdemocratico, di quel tentativo, cio, di armonizzare capitalismo e democrazia, libert e sicurezza, profitto e benessere sociale. Ci stato possibile in una fase storica di abbondanza, che garantiva grandi opportunit di investimento e remunerazione del capitale. Ma proprio qui che si innesta il motivo sistemico che caratterizza tanto le fasi doro del capitalismo, quanto quelle di crisi, come quella che stiamo vivendo oggi. Il
capitalismo un modo di produzione narcisista, che ha al centro esclusivamente il capitale e la sua auto-valorizzazione, sprezzante tanto delluomo quanto della natura. Proprio per queste caratteristiche intrinseche il capitalismo non pu a lungo indossare la maschera del paternalismo con il suo popolo schiavo, e deve passare presto a sonore manganellate: la caduta tendenziale del saggio di profitto porta il capitalista nel circolo vizioso dellaccumulazione di plusvalore tramite lallargamento della scala di produzione. per questa via che si arriva agli accordi capestro alla Marchionne: i lavoratori sono un onere troppo alto per il capitalista e se vogliono avere un impiego devono lavorare e consumare di pi, guadagnando meno. Si tratta di un gesto di responsabilit nazionale, altrimenti il sistema andr a rotoli: il paradosso a cui siamo arrivati, una bugia criminale narrata tanto dalla sinistra quanto dalla destra. Pare che la sinistra non si sia accorta di questo cambiamento epocale davanti al quale siamo di fronte e della necessit si una vera e propria rivoluzione culturale, prima che politica. E credo che sia proprio questa incapacit di analisi a bloccare la sinistra in una secca ideologica e politica mostruose. da qui, mi pare, che nasce lincapacit di rispondere figuriamoci di rappresentarlo! - al disagio sociale diffuso, di costruire una narrazione di sinistra, in grado di dare lo spessore danalisi e le risposte adeguati a problemi quali la precariet, limmigrazione, lambiente, la gestione del denaro pubblico. E forse un altro limite della sinistra sta nel voler riprodurre forme del fare politica legate a dinamiche novecentesche vincenti, che oggi evidentemente non funzionano pi. Si pensi ai partiti di massa guidati dai leader carismatici, ridotti a calcarei apparati di ceto politico senza base sociale attiva. Oggi la democrazia diretta non sta pi nelle sedi dei partiti. Si badi bene, non lo considero un elemento necessariamente positivo, ma un dato di fatto legato al declino degli stati nazionali con cui dover fare i conti: arrivato il momento di risignificare il concetto di sovranit. Cosa
sta cambiando? Dallet dei partiti allet della rete e i limiti della lotta di classe Mi sembra, per, che unalternativa alla politica mainstream si stia costruendo e che questo sia lunico dato positivo nel panorama politico attuale. Si sta costruendo lentamente e dal basso, contrariamente al modello politico novecentesco, sta nascendo dai comitati che si costituiscono spontaneamente in difesa dei beni comuni e della conservazione del territorio nazionale, dalle lotte studentesche e, certo, anche dal no degli operai di Mirafiori e di Termini Imerese. Quello che voglio dire, insomma, che s, ancora valida la lotta di classe nelle fabbriche e il ruolo che dovrebbe avere il sindacato in questo contesto innegabile (anche se la mondializzazione del sistema di produzione capitalistico, nella sua forma transnazionale assunta nel corso del Novecento, dovrebbe imporre ai sindacati una prospettiva extranazionale, che unisse almeno i lavoratori europei). Tuttavia credo che sarebbe fallimentare un discorso politico che si limitasse a parlare secondo queste categorie. Come il capitale ha preso molte forme, cos la lotta contro di esso deve essere combattuta oggi anche in luoghi diversi dalla fabbrica, da soggetti sociali e punti di vista variegati. Credo che a questo cambiamento in atto abbia in gran parte concorso la diffusione di internet come mezzo di informazione e mobilitazione su scala planetaria. Perch se vero che oggi una buona parte del potere politico si basa sullaccesso allinformazione, anche vero che grazie ad internet tutti potenzialmente possono sapere, quindi tutti potenzialmente possono avere potere. In questo modo i luoghi deputati a fare politica si sono decentralizzati e connessi in una rete globale. Internet forse oggi la forma di democrazia che manca allo Stato, a patto che non diventi un altro strumento di delega e di leaderismo. Credo che sia gi partito un processo di cambiamento molecolare. Si tratta di potenziarlo con unopera di cucitura del tessuto sociale: si tratta di un lavoro enorme e molto complesso da fare. Il rischio di molti (micro)movimenti che non riescano a fare questo lavoro, restando delle di indignazione sociale che dopo una vita intensa, a tratti spettacolare, di qualche mese, si spengono, lasciando tracce indelebili solo nel ricordo di chi vi ha partecipato. Credo che il motivo sia da cercare nel fatto che molte volte le dinamiche sociali dal basso ricadono nelle stesse dinamiche politiche del sistema che si vuole cambiare: gerarchie, narcisismo, autocelebrazione e spettacolarizzazione del movimento, mancanza di unaccurata analisi teorico
politica e preferenza per il fare che spesso diventa un farsi vedere. Questi aspetti rendono le onde rivoluzionarie dei giganti dai piedi dargilla, delle rivolte potenti, ma non delle rivoluzioni. La decrescita il pensiero rivoluzionario di cui abbiamo bisogno? Credo ci sia bisogno di molta discussione teorica e di elaborazione politica a partire dallanalisi della fase che stiamo vivendo. Ultimamente mi sono avvicinata al pensiero della decrescita. Non posso dire di saperne abbastanza e di avere le idee chiare, anche perch si tratta di un pensiero in fieri. Tuttavia mi sembra una direzione giusta da provare a elaborare. Non solo perch prende le mosse da una constatazione ormai sotto gli occhi di tutti: la limitatezza delle risorse del pianeta e limpossibilit di mantenere livelli di crescita come quelli attuali. Ma anche perch mi sembra un pensiero rivoluzionario con degli elementi buoni non solo a potenziare quello che dal basso gi ha iniziato a muoversi, ma anche a scardinare le logiche centenarie che presiedono al sistema occidentale. Nel movimento trovo molta ostilit pregiudiziale verso questo pensiero. Si tratta di un altro meccanismo pericoloso, in grado di creare lacerazioni e rotture, che potremmo chiamare compagnometro: il valutare idee e persone in base a quanto sono compagne. una logica da stato dassedio, comprensibile alla luce della storia dItalia, ma forse oggi un po anacronistica, specie se ad usarla sono le generazioni che non hanno vissuto sotto la dittatura fascista, e controproducente rispetto alla volont di allargare la partecipazione politica e di creare una grande massa critica. Questa ostilit nasce dal fatto che, fino ad oggi, il pensiero rivoluzionario pi intrinsecamente coerente e strutturato, per certi aspetti con una capacit analitica e predittiva geniali e in grado di indicare una strategia politica anticapitalistica, stato il marxismo. Ed quindi facile tacciare tutto ci che non apertamente marxista come antirivoluzionairo. Spesso, per, mi sembra di trovare nei discorsi denigratori della decrescita unincomprensione di fondo degli obiettivi di essa. Come se si desse per scontato, appunto, che un discorso non strettamente di classe non possa essere rivoluzionario. Ho gi detto sopra che secondo me oggi come oggi un discorso di tal fatta sarebbe anzi minoritario e perdente. In pi, mi sembra che la decrescita abbia proprio come obiettivo finale quello di costruire una societ radicalmente opposta a quella occidentale capitalista che ben conosciamo. Il pensiero decrescente prima di tutto una rivoluzione culturale: criticare il concetto di sviluppo
come concetto di crescita economica, opporsi alla fede tecno-scientifica, significa sgretolare le fondamenta del pensiero occidentale. Pensiamo a uno dei punti di avvio di questo pensiero: la critica dellantropocentrismo, dello sfruttamento della natura come uno strumento qualsiasi per aumentare il profitto. Non si tratta solo di sensibilit ambientale. Oggi sullambiente si giocano partite economiche e politiche di importanza planetaria. Gli equilibri finanziari mondiali, dopo il crack immobiliare, si stanno assestando nel campo delle derrate alimentari e delle materie prime cinesi e indiane. Per questo i prezzi di tali beni stanno aumentando e leventualit che i Paesi emergenti non riescano a sostenere il loro ritmo di sviluppo attuale se non a costi di lacerazioni e guerre sociali interne di difficile gestione, che in Cina si stanno gi manifestando si fa concreta. Questo un esempio di come un discorso che vada a intaccare il modello della crescita senza fine, cos come le lotte popolari per la difesa del territorio dalla cementificazione forsennata e per i beni comuni, siano essenzialmente di tipo anticapitalista: ostacolano laccumulazione allargata del plusvalore, che nelle sue forme pi estreme e anomale si traduce nella sussunzione della natura e nelleconomia virtuale, cio nella finanziarizzazione delleconomia. Ancora. La vittoria dei referendum contro il nucleare e contro la privatizzazione dellacqua pubblica sta creando seri problemi tanto alle societ private per la gestione degli acquedotti, quanto alle grandi lobbies dellenergia a combustione, che vedono sfumare accordi di milioni di euro. Certo, adesso il lavoro da fare uno stretto monitoraggio affinch lesito referendario non venga ignorato e la transizione dal nucleare al rinnovabile non venga gestita dagli oligopoli di sempre, ma evidente che la massa critica ha ancora un qualche potere di influenzare le dinamiche economiche e, speriamo a breve, anche politiche del nostro Paese. Mi sembra, se non vado completamente errata, che questi due esempi rispecchino lidea di fondo della decrescita: fare dei comportamenti e delle piccole scelte individuali dei volani del cambiamento sociale, economico e politico globali. Restituire allindividuo, in una societ dove lindividualismo predomina, il ruolo di soggetto politico, di attore di cambiamento. Per dirla in slogan: si scrive conversione ma si legge rivoluzione. Si tratta prima di tutto di unazione di educazione, un lavoro di termiti dentro il tessuto sociale, per spostarlo nella direzione del cambiamento radicale: si
tratta di originare una marea a partire da piccoli mulinelli che girano in direzione opposta a quella del mare Il problema pi grande che vedo, per, sta proprio nel riuscire a dare spessore politico alle buone pratiche individuali. Per dirla fuori dai denti: non credo che la decrescita sia soltanto farsi il sapone in casa, o il pane, o la marmellata (anche perch come fare a iniziare questo circuito virtuoso di autoproduzione finch non cambia lorganizzazione del lavoro in modo da dare a ognuno maggior tempo libero?) , andare a fare la spesa con le buste di tessuto per non sprecare la plastica, chiudere il rubinetto quando ci spazzoliamo i denti Questo fa parte della responsabilit sociale e ambientale di ciascuno di noi e gi non un discorso da poco. Ma la decrescita ha lambizione di collegare questi comportamenti a un discorso politico molto pi ampio. Ecco, quello che mi sembra ancora non ben sviluppato nel pensiero decrescente, il come far s che i comportamenti individuali diventino prassi politica. In altre parole, come fare a cambiare forme, modi di funzionare e obiettivi delle istituzioni in modo che esse diventino alleate in quel percorso di cambiamento, di cui la volont popolare emersa nei referendum ha gi indicato alcune tappe. Perch mi pare innegabile che per attuare una transizione, come quella auspicata dalla decrescita, da un mondo socialmente e ambientalmente irresponsabile a un mondo socialmente e ambientalmente responsabile, ci vogliano radicali azioni coordinate quantomeno a livello nazionale, le uniche in grado di dare lefficacia della pianificazione, delleducazione e della diffusione al cambiamento. Certo non un obiettivo semplice: essere contro la crescita significa essere contro la logica stessa del modo di produzione capitalistico, di cui le istituzioni, oggi come oggi, sono lespressione politica e i tutori sociali. Faccio un esempio. Uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori della crescita (del PIL) che senza tale crescita non potranno essere garantiti gli stessi servizi che ora, grazie alla crescita, vengono garantiti senza bisogno di aumentare le aliquote fiscali. Facendo per un momento finta di ignorare i tagli capestro fatti negli ultimi tempi indiscriminatamente su tutti i servizi di necessit pubblica, si pu facilmente dimostrare che legare la crescita al benessere dellerario statale del tutto mistificatorio della realt. Un arresto della crescita del PIL, unita a una revisione delle voci di spesa statali apportando tagli massicci, ad esempio, alle spese militari e a quelle per le grandi opere finalizzate allo sviluppo economico non porterebbe necessariamente a dover
tagliare i servizi, anzi, probabilmente consentirebbe di ridurre il debito pubblico . Inoltre, una societ rispondente al motto lavorare meno, lavorare tutti, associata ad una ristrutturazione del sistema produttivo a favore di beni e servizi socialmente necessari, anzich beni commerciabili, merci, creerebbe pi lavoro lasciando maggior tempo libero al singolo lavoratore, aumentando al contempo domanda e offerta di beni relazionali e riducendo il bisogno di spesa pubblica. Con pi tempo libero dal lavoro, ad esempio, si ridurrebbe il bisogno di certi servizi, come ad esempio di assistenza agli anziani. In una societ ambientalmente sostenibile, poi, si ridurrebbero le spese per il ripristino dei danni ambientali causati dalla produzione deregolamentata. Parallelamente, una produzione rilocalizzata e finalizzata alla conservazione dellesistente permetterebbe di risparmiare sui trasporti, sulle grandi opere e di favorire il lavoro indipendente. Ma sommando tutte queste cose non si sta sferrando un duro colpo ai grandi profitti e alle grandi rendite e delineando limmagine di una societ del tutto diversa da quella in cui viviamo? Non si tratta di una transizione rivoluzionaria? Credo che sarebbe ora di prendere in considerazione con maggiore apertura mentale il pensiero decrescente. Forse ci si accorgerebbe che non si tratta di una favola per addormentarsi tranquilli la sera, ma di un pensiero in grado di destrutturare la nostra societ, di scardinarne i rapporti produttivi, sociali e quindi politici. Si tratta di aprire un grosso dibattito su come fare a dare concretezza politica a questo percorso.
Stella.
Cara Stella, grazie per la lunga riflessione che hai proposto a me e ai lettori di Megachip. Capisco che parte di un lungo processo di maturazione personale e vedo, con grande piacere, che tu sei giunta da sola agli approdi cui molti di noi - parlo di Alternativa - siamo giunti in et pi avanzata della tua. Cio sei in anticipo, almeno rispetto a me. Alla tua et io ero ben lontano dal pormi gli stessi problemi e sarei stato in difficolt ad esprimermi con tanta precisione di linguaggio. Segno anche questo che i tempi corrono. Troppo velocemente, aggiungo. La tua generazione temo sar costretta a correre disperatamente non solo per mantenere il livello di vita che ha trovato nascendo, ma addirittura per sopravvivere. Siamo d'accordo, in sostanza, su quasi tutto. Sulla decrescita, io penso, non vi sono dubbi. Decresceremo anche se non volessimo. E sar una decrescita tanto pi infelice quanto pi grande sar il ritardo
con cui la dovremo fronteggiare. Cio pi che un programma la considero un obbligo. Meno convinto sono delle tue certezze su internet come luogo del sapere. Per la stragrande maggioranza dei suoi frequentatori internet il luogo dell'istupidimento e sono sempre pi convinto, dati i risultati intellettuali e morali del mondo che ci circonda - che gi il mondo di internet - che lo sar sempre di pi in futuro. Noi tutti (noi intellettuali, e tu sei un'intellettuale, che lo voglia o no) tendiamo a proiettare noi stessi sugli altri, sulla massa, quasi che la massa possa essere come noi. In questo modo finiamo per ingannarci e per commettere gravi errori di valutazione. Le masse sono diverse da noi. In primo luogo perch sono gi state manipolate in profondit e non hanno gli strumenti per emanciparsene. Non basta sedersi di fronte a un computer per sapere cosa significa studiare, dove si deve andare per imparare, con quale metodo imparare. Il fatto che tu abbia imparato non dice nulla statisticamente. E mentre tu hai imparato a milioni sono diventati analfabeti di ritorno. E' un discorso che non posso affrontare qui. Suggerisco, come faccio spesso, la lettura di due libri che sono stati per me illuminanti: Neil Postman , "Divertirsi da morire" e Giovanni Sartori , "Homo videns". Sono certo che uscirai da quelle pagine trasformata. Per intanto credo tu gi sappia che Alternativa, il laboratorio politico che ho fondato un anno e mezzo fa, si muove su coordinate di decrescita, di cambio degli stili di vita, di giustizia sociale e di democrazia nella comunicazione che forniscono nuovi paradigmi per la lettura di questa Matrix in cui noi viviamo e per la sua demolizione controllata. Se avrai tempo e voglia, vieni con noi per proseguire il discorso che hai cominciato con te stessa e che noi stiamo gi percorrendo. Cordiali saluti.
Giulietto Chiesa
TELEJATO E SANTORO...
di Riccardo Orioles.
Una bella notizia dal nuovo sito di Santoro, Serviziopubblico.it: in tre giorni hano raccolto circa 400mila euro di donazioni! Un attestato di
stima, affetto e anche voglia di non avere bavagli, di informazione libera. Ma linformazione libera (e strangolata) c anche altrove: per esempio nel cuore della mafia, a Partinico. La fa Pino Maniaci, con Telejato. Picchiato dai mafiosi, minacciato sui muri (W la mafia, Sei lo schifo della terra e bara accanto) e alla fine ora pure imbavagliato, con la nuova leggina anti-piccole tv. E allora? Sentiamo un lettore del Fatto, Mario 75: Il Fatto parteciper alla realizzazione del nuovo programma di Santoro. Non sarebbe una buona idea quella di creare nellambito del programma una rubrica, un qualsiasi tipo di collegamento con Telejato? Mario 75 non una persona importante, e non lo neanche Pino Maniaci: per lidea non male. Ehi, Santoro, ce lo facciamo un pensierino? Se lo merita, il collega Maniaci, uno piccolo spazio nel servizio pubblico oppure no? (Ma prima che lo facciano fuori, per favore. Non aspettiamo ogni volta i funerali, come per Mauro, come per Peppino).
che meno rivoluzione, ma una jacquerie. Queste persone dimostrano cos di essere prigioniere senza scampo della logica della societ dello spettacolo che parte integrante del sistema che esse vogliono combattere: esisti solo se di te parlano i media, solo se ti mostrano seppur senza volto o fanno una bella panoramica sul risultato delle tue imprese. Costi quel che costi, non vero? Anche lincolumit di madri e padri presenti alla manifestazione coi loro bambini, delle persone pi anziane, o dei disabili l presenti in piazza. E costi anche lafonia del movimento in cui vi siete intrufolati. Un movimento che ora costretto a discutere cosa dire di voi, e non delle banche, delle multinazionali, delle oligarchie finanziarie, delle guerre imperiali. Il movimento del 15 ottobre, o meglio solo alcune delle sue varie anime, aveva con difficolt ottenuto qualche spazio mediatico in questa societ da cambiare. Molte altre voci, come le componenti del Comitato 1 ottobre, sono state emarginate preventivamente, ben prima della giornata di Sabato. Oggi la nostra voce stata totalmente sovrastata da persone la cui irresponsabilit non pu essere giustificata dalla loro disperazione. Siamo tutti disperati. E anche esasperati. Ma il 15 ottobre noi non lo abbiamo potuto dire, perch siamo stati azzittiti. Tutti. E senza voce non si vive, perch la voce collegamento, coordinamento, crescita e radicamento. Non dovr pi succedere.
di Giorgio Cremaschi.
scrivono il finanziere George Soros e altri 95 "europei preoccupati" in una lettera pubblicata sul "Financial Times". I firmatari chiedono ai governi dell'area dell'euro di istituire un tesoro comune, di rafforzare la supervisione comune e di sviluppare una strategia per la convergenza economica e la crescita. Nel frattempo i governi devono garantire pi poteri all'European Financial Stability Facility e alla Banca centrale europea, al fine di ricapitalizzare il sistema bancario e permettere ai paesi di rifinanziare i loro debiti. La ricerca di soluzioni nazionali, concludono, pu portare solo alla dissoluzione.
Io parlo delle ragioni dei 500mila e non della stupidit dei 500
di Massimo Ragnedda
Il
15 ottobre era la giornata mondiale dellindignazione. Una giornata carica di significato e di voglia di cambiare il mondo, di protesta democratica e di voglia di farsi sentire. Il 15 ottobre milioni di persone nei quattro angoli del pianeta sono scesi in piazza per protestare contro la distruzione dei diritti sociali e democratici e labbattimento del Welfare State provocata dalle ricette con cui i governi stanno affrontando la crisi economica. Crisi creata dal mondo della finanza e delle banche, ma pagata dai ceti pi deboli e dai poveri. Il 15 ottobre in 951 citt del mondo milioni di persone di ogni et, ma soprattutto giovani, sono scesi in piazza indignati per un sistema politico economico che si preoccupa di salvare le banche prima dei cittadini. Non pagheremo la vostra crisi, era uno degli slogan della manifestazione oscurata, perlomeno in Italia, da facinorosi che hanno cos conquistato le prime pagine dei giornali e obbligato i Tg a parlar di loro. Io, in queste poche righe, non parler di loro, ma delle ragioni che hanno spinto milioni di persone in tutto il mondo a protestare. Parler delle ragioni degli Indignados, che poi sono le ragioni della stragrande maggioranza dei cittadini, e non cadr nella trappola mediatica che ha oscurato le ragioni della protesta. Gli indignati credono sia ancora possibile rimettere al centro il lavoro, lo stato sociale, la cultura, listruzione, i beni comuni e la sostenibilit ambientale. Lindignazione dei..
cittadini verso una classe politica prona agli interessi delle banche, degli uomini dellalta finanza e della speculazione. Si indignano perch la crisi stata creata dalle banche e dagli speculatori, ma pagata dai lavoratori e dalle famiglie. Che cosa chiedono? Chiedono che vengano tassate le transazioni finanziarie e i grandi capitali, eliminati il segreto bancario e limitati il potere alle banche centrali. Si chiedono perch leconomia di uno Stato debba essere fortemente influenzata dalla banche centrali che sono in mano ai privati. Gi, perch? Sono molteplici le ragioni degli Indignados e per comodit si possono dividere in quattro grandi categorie: indignazione contro le iniziative militari che costano in termini economici e di vite umane; indignazione contro il sistema finanziario e gli annessi paradisi fiscali dove evasori, trafficanti e faccendieri nascondono i soldi sfuggiti al fisco o riciclano il denaro sporco; indignazione contro la classe politica che ha perso contatto con la realt e con la popolazione, e che ascolta, invece, i diktat delle banche, privatizza il sistema sociale e impone opere faraoniche contro gli interessi dei cittadini e contro lambiente; indignazione contro il potere mediatico, accusato di non dare spazio sufficiente al dissenso e di nascondere le vere ragioni della crisi. Ecco le ragioni degli indignati che avrebbero dovuto conquistare il dibattito pubblico e spingere i cittadini a ragionare su questo. Ma di questo i TG non hanno parlato. Vi era altro di cui parlare. Purtroppo. Gli indignati protestano contro quell1% della popolazione mondiale che detiene e gestisce il capitale e il potere e che influenza le politiche
economiche di uno stato sovrano. Questo manipolo di banchieri, finanzieri, funzionari delle agenzie di rating o di altri enti-sovra nazionali non sono eletti dai cittadini ma decidono, lontani dai riflettori, la politica degli stati. Un esempio: la lettera che Trichet ha inviato al governo italiano dove chiedeva, o meglio imponeva, di tagliare lo Stato sociale e di privatizzare progressivamente gran parte dei servizi pubblici come scuola, previdenza e sanit. Perch devo pagarla io questa crisi? Perch si deve privatizzare la scuola e la sanit? Perch le banche devono avere sempre pi potere e gli speculatori possono agire, a livello globale, indisturbati? Ecco perch ci si indigna: perch si chiedono sacrifici ai deboli e si aggrediscono i pi elementari diritti sociali, mentre la classe politica, eletta per tutelare i nostri interessi, non riesce ad opporsi ai nuovi tiranni. Ma indignarsi non basta. Uno degli slogan usati dal movimento internazionale : Siamo indignati, costruiamo lalternativa. Lobiettivo primario promuovere una democrazia partecipativa che restituisca dignit e valore allazione politica e che metta il cittadino, e non leconomia, al centro del dibattito. A questa indignazione globale si aggiunge altra indignazione nazionale. In Italia, ci si indigna per una classe dirigente e un governo lontano dagli interessi dei cittadini. Ci che indigna liniqua manovra fiscale del governo italiano, considerato dai manifestanti un massacro ai danni dei lavoratori, delle famiglie e dei pensionati. Le ragioni dei cittadini indignati stanno, nel caso italiano, in una manovra economica che non tassa le grandi ricchezze e i grandi patrimoni, che non riduce le spese militari, che non taglia le spese inutili, ma fa
pagare la crisi ai pi deboli, perch non ha il coraggio di toccare gli interessi dei pi forti. Il cittadino indignato di fronte ad uno Stato forte con i deboli e debole con i forti, che tiene impegnato un parlamento a parlare di intercettazioni, di leggi bavaglio contro la libert di stampa (c chi chiede addirittura il carcere per i giornalisti che pubblicano ci che non dovrebbero pubblicare, ovvero notizie vere ma scomode), di processo breve, di leggi ad personam, che nega lautorizzazione allarresto di Cosentino prima e di Milanese dopo, che dice di credere che Ruby sia la nipote di Mubarak, che ha un ministro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione dalla Procura di Palermo, etcetera. Ci si indigna per una classe politica incapace e degradante, che sta distruggendo, oltre alle istituzioni e ai conti, la nostra credibilit di cittadini e di Stato. Ci si indigna contro un governo incapace di dare un futuro ai tanti giovani che da tempo hanno perso ogni speranza. Ci si indigna perch ci stanno rubando il futuro, i sogni, la poesia. Queste sono alcune delle ragioni che indignano i cittadini. Ragioni, invece, oscurate dai violenti organizzati.